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FIDAart PERIODICO della FIDA-Trento N. 04 - Aprile ANNO 2013

FIDAart N. 4 2013 Rolando Trenti

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Rivista d'arte e cultura

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In copertina: Rolando Trenti, Ibridi, 2006, acquarello acrilico su tela, cm 70x70

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FIDAartsommario04Aprile 2013, Anno 2 - N.04

Copyright FIDAart Tutti i diritti sono riservatiL’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare

Intervista ad un artista Rolando Trenti

Mostre in regione

Federico Lanaro

Memorandum FIDA-Trento

pag. 4-5

pag. 6-19

pag. 22

pag. 23

pag. 24

pag. 20-21

pag. 25

pag. 33

pag. 34

La Magnifica Ossessione

Storia e arte

Mercato dell’arte? Carl Andre

RMX

Animal house

Dove sarebbe arrivato L. Senesi? 2

Madri di montagna

Libri & libri Il ruvido mistero

Voci poetiche

Politiche culturali FIDA-TrentoEditoriale

Guido Polo

Collettiva FIDA-Trento

Christian Fogarolli

pag. 31

pag. 32

pag. 28-30

In ricordo di mio padre

White

disORIENTAMENTI

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EDITORIALE

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Collettiva FIDA-Trento - “disORIENTAMENTI”Trentino tra Sud e Mitteleuropa

Non possiamo fare a meno di esprimere pro-fonda soddisfazione nel constatare che, con l’attuale, siamo arrivati alla terza stagione delle mostre organizzate da FIDA-Trento presso il pa-lazzo della Regione Trentino Alto Adige. Quest’anno, i sette artisti si sono trovati d’ac-cordo sul titolo della collettiva poiché sembrava rappresentare perfettamente i tempi che stia-mo vivendo: “disORIENTAMENTI”. L’immagine

della bussola spezzata posta sulla copertina del catalogo è la metafora del dis-orientamen-to che caratterizza questo momento storico; infatti, “perdere la bussola” indica uno stato dell’animo e della mente in cui viene a manca-re la certezza dei punti di riferimento, una rotta da seguire e, soprattutto, un obbiettivo da rag-giungere. A volte, è un individuo a perdere la bussola, al-tre volte è una società, un po’ com’è il periodo attuale in cui stiamo assistendo a cambiamenti epocali che ci impongono di cambiare mentali-

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POLITICHE CULTURALI FIDA-Trento

tà, modi di vita e visioni del mondo per tentare di adeguarci a situazioni prima inimmaginabi-li. Gli artisti che, storicamente, hanno sempre anticipato le tensioni e i fermenti sotterranei che si manifestavano nei momenti di crisi e che, per loro natura, seguono percorsi non conven-zionali, ignoti, creativi che permettono loro di percepire e interpretare - prima e meglio - lo spirito del tempo, sono in grado di raccontare anche oggi i loro punti di vista e offrire visioni alternative.Se il titolo “disORIENTAMENTI” esprime il dub-bio del presente e l’inquietudine del futuro, il sottotitolo “Trentino tra Sud e Mitteleuropa” rimanda sia alla volontà di mantenere vivo quanto la Storia passata ci ha insegnato, nella fattispecie quella legata al concetto di Mitte-leuropa, cioè quell’area geopolitica dell’Europa Centrale dotata di una sua distinta identità cul-turale in cui ricadeva anche il Trentino, sia alla necessità di prestare attenzione al Sud, inteso come la Storia presente nel suo farsi. La Mitteleuropa, che nella sua accezione cul-turale evoca l’ambiente e la tradizione cultu-rale dell’Impero asburgico al suo tramonto e, in senso lato, la crisi epocale dell’Occidente, si caratterizza per essere stata “una delle più ric-che fonti mondiali di talento creativo tra il XVII e il XX secolo” grazie ad opere prodotte in ogni campo del pensiero e dell’arte che, tuttora, con-dizionano e influenzano la cultura contempora-nea. Ricordiamo solo i nomi di Klimt, Schiele, Kafka, Loos, Roth, Wittgenstein, Schönberg, Ko-koschka, Musil, Schnitzler, von Hofmannsthal, Rilke, Svevo, Singer, Kraus, Canetti ecc.Se, tradizionalmente, per Mitteleuropa si è in-tesa quella parte d’Europa posta tra Oriente ed Occidente, il “Sud” rappresenta metaforica-mente il resto del Mondo, cioè quell’insieme di

trasformazioni culturali, sociali, antropologiche che stanno modificando radicalmente, anche se in gran parte inconsapevolmente, il nostro modo di essere. Il Trentino, terra di confine e di passaggio tra Nord e Sud, ha sempre svolto una funzione di scambio e di raccordo tra due culture, quella del Nord, tedesca (e non solo) e quella del Sud, italiana ma anche mediterranea, riuscendo a mantenere una sua autonoma identità. Nono-stante le limitate dimensioni e la marginalità economica e politica, o forse proprio per que-sto, Il Trentino ha saputo produrre artisti di as-soluto valore come Depero, Baldessari, Garba-ri, Moggioli, Melotti, Libera. E anche se queste eccellenze non hanno portato alla formazione di una “scuola trentina” riconosciuta, è riscon-trabile nel nostro territorio una “forma mentis” autoctona originale che, opportunamente sti-molata e valorizzata, potrebbe naturalmente emergere nel panorama italiano.L’arte, che non possiede confini, né etnici, né politici, né tantomeno culturali, è uno dei lin-guaggi “universali” privilegiati per dialogare in un mondo globalizzato che sembra smarrire le sue radici e divenire sempre più massifica-to e indifferenziato. Anche i sette artisti “dis-orientati” della FIDA-Trento raccolti in questa collettiva provengono da realtà geografiche varie (Friuli, Sardegna, Veneto e quattro tren-tini, di cui uno del Primiero, a sua volta, “di confine”) e sono connotati da storie, espe-rienze, weltanschauung e linguaggi espressivi personali,immediatamente riconoscibili, che permettono di offrire un quadro estremamen-te variegato e, speriamo, interessante del fare arte oggi in Trentino.

Paolo Tomio Presidente FIDA-Trento

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Intervista a ROLANDO TRENTI

Sotto: Meccanismi, 2005, acquarello acrilico su tela, cm 120x150

A sinistra: Architetture del vento, 1985 acquarello acrilico su tela, cm 150x135

I dipinti di Rolando Trenti sono decisamente particolari. Innanzitutto, per l’uso dell’acquarello, una tecnica pittorica che instaura un’immediata empatia con l’osservatore grazie alla sua natura liquida, trasparente, delicata, quasi illusionistica, che lascia ampio spazio alle elaborazioni dell’inconscio. In secondo luogo, per il tipo di forme che popolano le sue tele e che rimandano ad un mondo organico, acquatico, onirico che fluttua nello spazio e nel tempo. Tracce leggere, figure ondulate, tentacoli flessuosi che proiettano ombre in una sorta di luminescenza che ricorda i vetri Art Noveau. Ma mentre, storicamente, questa tecnica ha privilegiato i piccoli formati proprio per il suo carattere intimista e descrittivo, Trenti ha scoperto-inventato gli acquarelli di grandi dimensioni che gli hanno dato una immediata riconoscibilità. Proprio a causa delle dimensioni (due, tre metri e oltre), Rolan-do si è dovuto ideare un sistema di pittura orizzontale perché la tela (altra anomalia rispetto alla più usata carta) è distesa sul pavimento. La necessità peculiare dell’acquarello di operare velocemente sulla superficie bagnata, lo obbliga a lavorare inginocchiato, girando intorno al grande dipinto con pennelli e spazzole proporzionate al supporto, proprio come faceva Pollock. Ogni dipinto deve esse-re preceduto da lunghi studi proprio perché non sono permesse correzioni e il gesto pittorico deve essere preciso ma fluido affinchè il segno risulti quanto più possibile naturale. Trenti è artista sensibile e sobrio interessato ai linguaggi poetici, alle delicate atmosfere evanescenti allusive e non assertive. I suoi colori, soffusi e trasparenti ricercano percezioni ed emozioni profon-de e rimandano a visioni oniriche sospese che lasciano la massima libertà all’interpretazione. Dietro queste calligrafie apparentemente informali che percorrono le superfici luminose, c’è sempre un pensiero intellettuale organizzato e una costante ricerca sui temi della memoria, del paesaggio, della natura, della forma e della bellezza che prosegue coerentemente oramai da lunghi anni.Paolo Tomio

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Pagine bianche, 1983, acquarello acrilicosu tela, cm 160x160

Quando e perché hai cominciato a interes-sarti alla pittura?

L’incontro con il mondo delle immagi-ni è per me riconducibile all’infanzia. Prima della pittura si parla dell’espe-rienza con il disegno. Ricordo il pia-cere nel tracciare segni segni colorati legati al mondo della fantasia e del racconto ed anche una certa facilità nel “copiare”, la sensazione di posse-dere l’oggetto, di farlo proprio, di ri-animarlo mediante la pratica del dise-gno. L’azione era sempre avvolta nel

mistero, nella gioia, nella sorpresa. Il foglio bianco un meraviglioso territo-rio dove ogni volta potevano nascere nuove avventure. Il mondo delle im-magini veniva rafforzata anche dal gioco dalle piccole invenzioni, delle scoperte. Luci, ombre, intercettate da oggetti domestici che nella loro proie-zione nello spazio diventavano di vol-ta in volta presenze fantastiche, im-magini danzanti. L’occhio che rimane incantato, estasiato. L’esperienza ma-gnifica della “grotta” dove un mostro meccanico abilmente ammaestrato da mio padre soffiava nella buia sala un raggio, una lama lucente dalla

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quale nascevano incredibili immagi-ni. E poi una curiosità per il mondo vegetale, i suoi cambiamenti, le sue metamorfosi, la mutevolezza, i rifles-si dell’acqua, il “tesoro”, un gioco che diventa un paradigma. Il disegno ri-sultava per tanto una pratica che mi permetteva di dialogare con questi aspetti della realtà, intrepretandola e trasformandola in esperienze visive e tattili.

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Quali sono stati le correnti artistiche e gli arti-sti che ti hanno condizionato?

La scuola è stata un momento di crescita anche per la mia formazio-ne artistica, l’incontro con la storia dell’arte, i suoi maestri, i primi punti di riferimento, da Piranesi a Caravaggio, da Turner alle Avanguardie Storiche, dall’Espressionismo americano all’In-

Per Turner, 1989, acquarello acrilico su tela cm 170x140

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formale europeo degli anni cinquan-ta/sessanta.

Oggi, cosa ti interessa e cosa non ti piace dell’arte contemporanea?

Senza perdere di vista la propria spe-cificità linguistica, sono tuttavia affa-scinato dalla grande libertà, il noma-dismo, la contaminazione, il carattere anti-ideologico dell’arte contempo-ranea che le permette di agire su un territorio visivo più ampio, compren-dente discipline quali la musica, l’ar-chitettura e altre forme di lettura della realtà. Forse non mi identifico in una certa rigidità del sistema-arte, che tal-volta preclude una lettura più elastica delle singole ricerche, ponendo limiti generazionali troppo vincolanti.

Hai conosciuto o frequentato molti artisti lo-cali o nazionali?

Non essendo più nè molto giovane nè molto vecchio, ho avuto modo di conoscere artisti che hanno caratte-rizzato la scena del nostro territorio ed altri che hanno definito quello na-zionale e anche europeo; frequenta-zione di mostre, fiere, stage, viaggi e residenze. Rispetto a questo è sta-ta determinante la frequentazione e l’amicizia con una persona come Da-nilo Eccher, con il quale abbiamo ini-ziato la bellissima avventura dell’arte. Tanti viaggi fatti insieme, tante occa-sioni di incontro con artisti di grande spessore, momenti di infinite discus-sioni, scambi di opinioni e una sincera affinità intellettuale.

Come ti sembra il panorama dei pittori trentini d’oggi? Chi apprezzi a livello provinciale?

Curioso, variegato, caratterizzato da professionisti che lavorano con entu-siasmo e competenza, e con i quali ho condiviso il dibattito culturale del territorio. Tuttavia, al di là dei facili giudizi, ritengo che questo sia un la-Grande California, 1997, acquarello acrilico

su tela, cm 195x370

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Reminiscenze, 2006, acquarello acrilico su tela, cm 140x82

voro “fortunato” e che implica mol-teplici possibilità, contatti, aspetta-tive e anche delusioni. La parte più complessa, ambigua, “alchemica”, è quella riguardante l’altra faccia della questione, ovvero il sistema dell’ar-te. E’ li che a mio parere si innesta-no una mutevole serie di varianti che influiscono inevitabilmente sulle dina-miche che portano alla visibilità e al ri-conoscimento delle singole ricerche.

Cosa manca al Trentino per poter essere più presente sul mercato esterno?

In tal senso il Trentino è caratterizzato da una politica culturale a doppia ve-locità. Da una parte c’è una notevo-le disponibilità di strutture, strumenti legislativi, luoghi di ricerca e centri di eccellenza che rendono più snella e dinamica la gestione socio-culturale del territorio. Dall’altro ci vorrebbe for-se una maggior fiducia e convinzio-ne nel sostenere le risorse intellettuali presenti, inserendole in una proget-tualità extra-regionale. Per quanto ri-guarda le arti visive nello specifico sa-rebbe opportuno attivare strumenti in grado di superare il momento pretta-mente espositivo, a favore di proces-si che interagiscano con altre realtà, in un ottica di de-localizzazione della proposta artistica.

Nel corso della tua attività hai sperimentato molte tecniche artistiche?

Al di là dei condizionamenti fisici, la

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A destra: Fiume, 2008 acquarello acrilico su tela, cm 195x195

scelta, l’utilizzo e la manipolazione de-gli strumenti dipende da un processo mentale dove lo strumento deve lavo-rare in modo sinergico con l’idea. La tecnica può suggerire un suo conte-nuto, essere un meta-dato. Lo stru-

mento nella sua fisicità, nel lasciare una traccia su un supporto, una me-moria, può evocare, trasmettere dati sensitivi diversi, essere continuamen-te rielaborato, creare di volta in volta nuove combinazioni. Essere dunque un paradigma. Questo credo sia im-portante nella creazione dell’immagi-ne dove lo strumento può addirittura prescindere da un uso prettamente virtuosistico, da una conoscenza o memoria artigianale. Pertanto anche il mio approccio alle tecniche digitali ri-sponde anch’esso ad un desiderio di sperimentazione e di contaminazione che mi permette uno sconfinamento sia dai limiti tecnici dello strumento in sé, sia dai limiti spaziali dello studio.

I tuoi dipinti sono molto riconoscibili. Come definiresti il tuo “stile”?

L’uso dello strumento, del colore, del segno, la scelta dei materiali, che po-tremmo codificare nella nozione di “stile”, sono in realtà solo il momento finale di un processo molto più ampio e articolato. Il mio lavoro si è sempre collocato lungo un orizzonte visivo ambiguo, sospeso tra figurazione e astrazione, tra presenze e assenze. Inizialmente segni, lame, colate, di-verse tipologie calligrafiche, bolle, e poi piccoli paesaggi appena accen-nati che collassano in ruvidi disegni. Spazi che si dissolvono in grondanti nubi, sulfuree profondità, bolle intese

Contenitore poetico, 1997, acquarello acrilico su tela, oggetto paraffina, cm 300x155

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come nicchie o dimensioni parallele dove possono coesistere frammen-ti di realtà sospesi su vertiginosi vuoti cromatici; e di nuovo paesaggi dove un lucente passeggero, una lama d’acciaio, fa le sue prime apparizioni, un segno prediletto che acquista, per

qualche sorta di magia, un’instabile fisicità. Pensare alla pittura come un “cadere di Icaro”, fino all’ultima im-magine di un fiore che in un processo filmico cattura attraverso sequenze la sua metamorfosi. Forse in tutto que-sto c’è un desiderio di paradigmare,

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di volta in volta, i cambiamenti che avvertivo nel reale.

Segui la “politica culturale” trentina? Pensi che si possa fare di più e meglio per il settore artistico?

Il ruolo dell’artista segue inevitabilmente i cambiamenti che avvengono nella realtà. Questa è una distinzione che parte dal pre-supposto di una storicizzazione o metabo-lizzazione a posteriori del ruolo dell’artista e dei suoi modi di agire e di manifestarsi. Quando invece il confronto viene rapportato al presente non possono esserci modalità o comportamenti prestabiliti. La realtà estre-mamente mutevole, velocizzata dalle nuove

tecnologie, la compresenza di esperienze fino a ieri divise da distanze fisiche e ora in-vece fruibili in un istante, modificano inevi-tabilmente il tutto. L’artista partecipa quindi di questo generale arricchimento operativo e percettivo. Per quanto mi riguarda negli ulti-mi anni mi sono cimentato con ricerche che hanno avuto come soggetto il territorio, in-teso non solo come aspetto fisico ma come una rete di “flussi desideranti”. Nel 2006 ho iniziato il lavoro Il fiume che sale, una riflessione attuata attraverso la realiz-zazione nel tempo di un corpo di elaborati grafici (disegni, video, installazioni, riflessioni teoriche) che indagavano il legame tra fiu-me e città. Si trattava di mettere in discus-sione la distanza, la separazione fra questi due elementi imprescindibili del territorio e di sensibilizzarla attraverso un insieme di azioni estetiche.

Ciclo Ibridi, 2005, acquarello acrilico su tela, cm 70x100

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Altro luogo di indagine è stata l’area Ex Ital-cementi. Una testimonianza fisica e insieme un vuoto, di piranesiana memoria, in grado di evocare un concetto di entropia, di entro-pia emozionale. Ed ecco allora apparire at-traverso la polvere forme danzanti, fluttuanti, che diventano le metafore visive di un vissu-to, di un desiderio personale e collettivo, un eco deleuziano di una società intesa come un fluido.

Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri fattori?

A prescindere dai canoni che nel-la storia hanno tentato di definire il concetto di bellezza, oggi, di fronte alla mutevolezza e alla diversità del-la scena globale, la bellezza diventa sempre più indefinita e imprevedibile. Posso tentare di avvertirla attraverso

Paesaggio alchemico, 1992, acquarello acrilicosu tela, lamina d’acciaio, cm 195x370

l’empatia che si stabilisce nell’ascolto o nella visione di un referente. La bellezza può essere un aspetto del potere dell’arte, nel senso che at-traverso l’arte possiamo aggiungere bellezza alla realtà delle cose, al no-stro vissuto; si tratta di un gradiente di qualità che distingue il nostro opera-re, un modo di vivere. Si, possiamo migliorare il nostro vissuto attraverso un atteggiamento estetico. Proprio per sfuggire da un’accezione puramente accademica, fatta di re-gole e proporzioni relegate all’interno dell’opera, oggi si deve riversare ver-so l’esterno un nuovo senso dell’ar-monia, che deve instaurare una nuo-va dialettica nel contesto attuale delle cose.

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E, infine, cos’è per te l’arte? E chi è l’artista?

Definire l’arte per me è incompren-sibile. Dalle oscure grotte alle nuove grotte luminose mediatiche, dal sem-plice gesto di una mano appoggiata sulla ruvida nuda roccia alla mano che per ora sfiora asettiche superfici digitali, ecco il dipanarsi della magni-fica avventura delle immagini. Un bisogno innato, alle volte assopi-to dalle barbarie che hanno segnato la storia, sempre pronto ad affiorare

Emotional maps, installazione, 2007Centro Microsoft

A destra: Tracce, 2000, acquarello acrilico su tela, cm 180x130

nuovamente, a manifestarsi. Identificare il suo ruolo è abbastanza facile, definirlo attraverso regole di-rei impossibile; c’è sempre un alone pulsante che rende imprevedibili le forme del suo divenire. Il punto pro-spettico si sposta con l’avanzare dello spettatore, questa è la continua ten-sione che determina la sua irriducibile vitalità.

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ROLANDO TRENTI

Nato a Trento il 29 giugno 1951.Si è diplomato all’Istituto d’Arte di Tren-to nel 1975 in seguito ha frequentato la facoltà di Architettura di Venezia, lo studio di Emilio Vedova e ha iniziato l’attività espositiva nel 1970.Vive e lavora a Trento via Antonio da Trento, 12 0461-824045 348-4420255e.mail [email protected]

ESPOSIZIONI DI GRUPPO1981 Trento, Palazzo della Regione, Il lavoro dell’artista, a cura di Fiorenza Degasperi e Bruno Sanguanini Venezia, Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian, L’artista tra il pubblico e il privato, 1982 Trento, Palazzo delle Al-bere, Il Museo e la sua Immagine, a cura di Gabriella Belli e Fiorenzo De-gasperi

1983 Arco, Casinò Municipale, So-spensioni1984 Bari, Fiera Internazionale Expo Arte1985 Ferrara, Palazzo dei Diamanti, Nel segno di Zoroastro, a cura di Da-nilo EccherBologna, Arte Fiera 85Stenico, Castello di S:Stenico, Appa-rizioni a cura di Danilo EccherLevico, Palazzo delle Terme, Contat-to, a cura di Danilo EccherRovereto, Galleria Pancheri, Contatto, a cura di Danilo Eccher1986 Nago-Torbole, Palazzo Pavese, 40 artisti per Goethe Mantova Palasso Ducale 40 artisti per Goethe.Bolzano, Galleria Meta, Aponia1988 Trento, Palazzo delle Albere, Si-tuazioni Arte del Trentino dal’451991-92 Salisburgo, Galerie im Trakl-haus, Artisti Salisburghesi e Trentini.Trento, Galleria Civica di Arte Con-temporanea, Artisti Salisburghesi e Trentini1993-94 Rovereto, Castello di Rove-reto, No War,a cura di Maurizio Scu-dieroTrento, Galleria il Cenacolo1995 Ivano Fracena Valsugana, Ca-stel Ivano Correnti e Arcipelaghi, at-tualità dell’arte in Trentino, a cura di Luigi SerravalliTrento,Galleria Civica di Arte Contem-poranea, Percorsi: tracce di arte con-temporanea in Trentino e in Sudtirolo 1996 Castel Mareccio, L’acqua che unisceTrevi, Il Premio Trevi Flash Art Mu-seum1998 Trento, Galleria Il Cenacolo1999 Repubblica di S.Marino, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Le vie e le ricerche, a cura di Vittoria Coen e Riccarda Turrina

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FIDAart copertina del N.04 2013

Periodico di arte e cultura della FIDAart

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Bologna, Fondazione Martani Cà la Ghironda 2000 Comune di Andorra Paraxo 2000 VII Rassegna d’Arte Contem-poranea 2001 Trento Palazzo Trentini Arte Trentina del 900 a cura di Maurizio Scudiero2003 Vittorio Veneto (TV),4: Rassegna Internazionale d’Arte Contempora-nea2003 MART Rovereto. Situazioni Trentino Arte2003Trento Palazzo Trentini Arte Trentina del 900 -1975-2000 a cura di Mauri-zio Scudiero2004 Galleria Il cenacolo Trento 2005 Arte Fiera Bolzano2007 Microsoft Research University Emotional Maps of Trento a cura di Federico Mazzonelli2008 Capolinea Underground Trento2008 Vittorio Veneto, “Dissolvenze”, personale presso “La Torre” a cura di Lorena Gava2010 Trento, “Prossimità. Strategie artistiche in spazi urbani”, Gallerie Piedicastello2012 Rovereto-Trento “Cantos“ a cura di Federico Mazzonelli.

Di lui hanno scritto:D. Eccher, F. Degasperi, S. Vernacci-ni, R. Sandri, G. Pacher, L. Seraval-li, M. Dall’Aglio, G. Nicoletti, M. Scu-diero, A. Nardi, L. Gava, V. Coen, M. Bertoni, P. Jori, M. Tomasini, R. Fran-cescotti, F. Mazzonelli

La rivista può essere richiesta

gratuitamente inviando una mail

al seguente indirizzo:

[email protected]

Chi fosse interessato a ricevere i

cinque numeri del 2012,

può riceverli gratuitamente.

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CARL ANDRE

E’stato definito dal Museion “padre fondatore della Minimal Art” e, addirittura, “leggenda vivente”; nel testo di presentazione si dichiara che: “con le sue opere radicali Carl Andre ha rivoluzionato il concetto di scultura e influito fortemente sullo sviluppo dell’arte del XX secolo”.Carl Andre smette di scolpire nel 1959 e, poiché respinge l’idea di dover sgrossare e modellare (scolpire), incollare, saldare ecc., inventa delle sculture composte da forme semplici ottenute solo dall’accostamento di unità geometriche elementari. I materiali vengono utilizzati con le loro finiture industriali senza ulteriori interventi dell’artista: legno, acciaio, rame, alluminio, piombo, pietra, blocchi di cemento sono presentati esattamente così come sono messi in commercio. L’unico “vezzo” che concede l’artista consiste nella struttura compositiva: i pezzi sono semplicemente allineati, appoggiati casualmente, ritmati secondo moduli elementari, sovrapposti ecc.. Le opere non hanno alcun intento narrativo o allusivo, men che meno estetico (anche se è evidente una ricerca di piacevolezza geometrica) ma dichiarano semplicemente se stesse come oggetti concreti.Un’arte come fenomeno fisico che non pretende di essere niente altro. Il visitatore impreparato potrebbe rimanere perplesso nel trovarsi di fronte oggetti comuni privi - volutamente, programmaticamente - di qualità. Anonimi e, soprattutto, noiosi. Il Museion, infatti, avverte che “è un’arte che non colpisce e può passare inosservata, pur intrattenendo una relazione fondamentale con l’ambiente in cui si trova” e che le sculture “non sono un oggetto da contemplare, ma un luogo in cui stare, muoversi e fare esperienza, in una relazione di contatto fisico”. Vale a dire, esattamente quello che succede con tutti gli oggetti “normali”, siano essi pavimenti in piastrelle, cordonate stradali, paracarri, pali della luce, battiscopa, pareti intonacate, tappeti nettapiedi ecc.. Il mondo è pieno di oggetti d’uso artificiali che passano inosservati, che “non sono da contemplare” ma con cui abbiamo delle “esperienze e relazioni di contatto fisico”. Probabilmente nessuno aveva mai esposto un parallelepipedo di legno appena uscito dalla segheria definendolo “una scultura”. Carl Andre lo ha fatto spiegando il senso della sua operazione con una frase diventata famosa: “Dalla scultura come forma alla scultura come struttura per approdare alla scultura come luogo”. Il programma, effettivamente, è ambizioso, i risultati ottenuti non a tutti sembrano particolarmente entusiasmanti visto che “passano inosservati”. “Usare i materiali come tagli inferti allo spazio piuttosto che tagliare nello spazio i materiali” è un’altra celebre frase di Andre che dovrebbe riassumere la rivoluzione compiuta rispetto al modo tradizionale di intendere la scultura. Basta con le forme plastiche tridimensionali in pietra, bronzo, legno, acciaio, terracotta (a cui siamo abituati da qualche migliaio di anni) che posseggano una qualche ambizione di interessare e coinvolgere esteticamente, emotivamente, percettivamente; meglio l’accostamento di unità geometriche elementari che ”inferiscano tagli nello spazio”. Anche

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MERCATO DELL’ARTE ?

se non è ben chiaro perché un pavimento di quadrotti metallici o di mattoni di cemento “taglino lo spazio” e la classica scultura scolpita, no.Andre ha definito il suo lavoro ateo, materialista e comunista: ateo per la mancanza di trascendenza e di qualità spirituali, materialista perché la materia si presenta per sé stessa senza rimandi allusivi ad altro, comunista perché fruibile da qualsiasi essere umano indifferentemente. Se questo è il minimalismo puro dell’artista, Andre si dimostra un vero artista negli affari. Infatti, la cosa incomprensibile è che un’opera composta da 100 lastre di acciaio e piombo di 20x20x0,8 cm, materiale di serie, comune, anonimo e privo di qualsiasi intervento dell’artista, sia stata venduta nel 2011 da Christie’s per 2,4 milioni di dollari. La domanda che sorge spontanea nel fruitore è: ma se la “scultura” è realizzata con dei blocchi di cemento di serie, comuni travi di legno o lastre di acciaio e piombo semplicemente accostati, cosa impedisce a chiunque di realizzarsi, in quattro e quattr’otto, un’opera identica a quelle di Carl Andre? Sicuramente è una domanda che deve essersi posto lo stesso artista il quale si rendeva conto che, dopo aver distrutto il concetto di scultura, rischiava di distruggere anche il concetto di Mercato. A questo problema, apparentemente irrisolvibile, Andre è riuscito a dare una risposta creativa. E’ interessante, a questo proposito, leggere le sua “Politica per l’emissione di certificati”, riportata sul sito dell’artista, in cui sono pedantemente elencate tutte le condizioni e operazioni previste per certificare le sue opere “comuniste”. E in cui riesce ad introdurre anche un pagamento in monete d’oro e l’obbligo di sopralluogo e ispezione per le sue sculture seriali. In questo frangente dimostrandosi un vero artista materialista.Andre prevede un solo certificato originale per ogni opera, la sostituzione dei certificati perduti e la sostituzione dei materiali originali per causa di agenti atmosferici, danni, perdite ecc. Ciascuna delle sculture di Carl deve essere accompagnata da un certificato originale rilasciato una sola volta dall’artista e che deve seguire il lavoro ad ogni cambio di proprietà. Questo certificato è la prova che si tratta di un lavoro creato da Carl Andre e costituisce la sua firma e la sola autenticazione. Sia nel caso di perdita del certificato, che della necessità di sostituzione del materiale, la procedura prevede sempre l’obbligo di sopralluogo da parte di Andre o suo rappresentante per ispezionare i lavori, valutare lo stato dell’opera, approvare i campioni di materiali sostitutivi e, infine, controllare il lavoro “restaurato” con il nuovo materiale. Per queste operazioni è richiesta: “una tassa di due monete da un oncia d’oro canadese Maple Leaf per il rilascio della prima dichiarazione di autenticità, tre monete per la seconda, quattro per la terza e così via. Inoltre, Andre o il suo rappresentante, deve essere rimborsato per ogni e tutte le spese di viaggio sostenute durante il controllo del lavoro”.

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LA MAGNIFICA OSSESSIONE

Animal house

E’ in corso al Mart La Magnifica Ossessione, un’esposizione decisamente anomala nel panorama delle mostre a cui siamo stati abituati. La direttrice l’ha definita “autodidatta, succube o protagonista, perturbante e conturbante, maniacale e feticista. E rabdomante”. Ciò che colpisce (positivamente) il visitatore è l’assenza di un “percorso prestabilito” lungo il quale le opere seguano la consueta logica “lineare”. Questo è il metodo classico impostato su chiare finalità didattiche e didascaliche: il museo come contenitore-detentore della cultura alta istituzionalizzata. Per il solo fatto di essere esposto in un museo, un’opera si carica di un’aura che pone l’osservatore in una condizione di subordinazione psicologica che ne indirizza le capacità critiche personali. Tutto ciò non avviene a chi percorra le sale de “La magnifica ossessione”. Un’altra caratteristica atipica di questa mostra che stupisce il visitatore è la scelta di esporre tutte le opere senza le didascalie. Questa volontà di non privilegiare le gerarchie ha permesso di far convivere opere con valori, storici, estetici, economici molto diversi lasciando al libero arbitrio del visitatore l’onere e l’onore di individuare gli autori e i dipinti preferiti. Inoltre, i dipinti sono concentrati per gruppi secondo una logica apparentemente casuale

così come si potrebbero ritrovare nelle collezioni private dove i quadri acquistati nel corso degli anni, ricoprono le pareti.Infine, non è ricercata una esplicita coerenza stilistica a priori: ci si trova di fronte ad una commistione di linguaggi, anche contrastanti, che dialogano liberamente tra di loro creando un insieme forse disomogeneo ma più imprevedibile e stimolante. Alcuni quadri piacciono, altri un po’ meno, alcuni sono delle vere scoperte altri perdono nel confronto. Questo sistema espositivo informale e destrutturato crea nel visitatore una piacevole sensazione di libertà da vincoli culturali ponendolo nella condizione di curiosità e gioco che è alla base del piacere dell’arte.Liberate dalle “scenografie” professionali (luci, sfondi, pannelli) che, spesso, caricano i dipinti di contenuti incongrui, le opere riprendono il ruolo più normale e più umano di “quadri” per il quale erano nate slegandosi dall’obbligo di dover essere “capolavori”. Il Museo diventa luogo della “scoperta”, uno spazio aperto ai gusti e alle interpretazioni che ognuno preferisce esprimere. Come dire, non c’è il professore che ti spiega cosa è bello e cosa no e, soprattutto, perché. Lo spettatore, può farsi guidare dal proprio istinto, dal proprio gusto (più o meno affinato) o, perché no, anche dal caso, passeggiando liberamente nelle sale e cercando ciò che più lo attira o lo interessa. Forse, i puristi storceranno il naso temendo la perdita del ruolo storico dell’istituzione museale ma, d’altro canto, anche le mostre tradizionali non garantiscono il favore del pubblico e, con i tempi duri di oggi, è necessario inventare nuovi sistemi che diano maggiore spazio anche al pubblico. Come diceva John Belushi in Animal house, “Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”.

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STORIA E ARTE

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Dove sarebbe arrivato Luigi Senesi? Paolo Zammatteo - Seconda parte

Qui l’accostamento è possibile con Roland Barthes e la visione dei segni presente in L’empire des signes del 1970. Citando a memoria la tesi del semiologo francese, ogni differenza tra le concezioni dell’umanità, passata, presente o futura, è solo un’incrinatura superficiale, che agisce a livello di sistemi simbolici, non di contenuti. Quindi non è una proprietà intrinseca dei prodotti culturali. Piuttosto è un movimento, una scossa, una vacillazione della conoscenza. Tempo, storia e luogo diventano irrisori: Senesi è sempre d’attualità e interpreta, come in un satori (il sisma, che è l’agire zen), quella stessa superficie che, al di là di ogni metafora del moderno, è il luogo dell’immagine.Dove sarebbe arrivato Luigi Senesi senza quel disgraziato incidente ferroviario del 1978?Piace pensare che avrebbe agito nel medesimo solco seguito dal “coetaneo” Gerhard Richter.L’arte di Richter è nota per i suoi foto-dipinti, in particolare i suoi paesaggi, e le sue complesse opere astratte. La pittura di Richter si sviluppa su un tema unificatore che è allo stesso tempo esprimibile in due punti. Le immagini, e le idee, e gli ideali, sono statici, superficiali, irraggiungibili, e devono essere avvicinati con la forza del dubbio. La realtà è un processo di immaginazione, creazione materiale e revisione. Anche Richter è nato prima della guerra, nel 1932, a Dresda, e ha rifiutato le categorie dell’ideologico: negli anni Settanta esplora le dimensioni minimali del colore sul piano grafico in modo non distante da Luigi Senesi.Se guardiamo il filmato dedicato nel 2011 al

lavoro recente di Richter (Gerhard Richter. Paintings), possiamo derivarne una ritualità quando, nell’arco di vari giorni, crea complesse opere astratte apparentemente casuali, superfici spesse affidate esclusivamente al colore e inspiegabilmente lavorate in verticale (ma non c’è alcuna prospettiva albertiana), del tutto prescritturali, addirittura più primitive delle tassellature minimali. Anche in Richter la poetica è quella del dubbio nel flusso continuo di relazioni fra la realtà, la forma, il segno e l’interpretazione. Avvertiamo ancora il satori, pienamente, nel senso a cui dedica la sua attenzione Roland Barthes nell’introduzione a L’empire des signes: non c’è silenzio, ma quel vuoto di parola, che costituisce la necessità di scrivere, costruire o fare arte.

“Per sapere cosa si vuol dipingere, si deve cominciare a dipingere” (P. Picasso).

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LIBRI & LIBRI

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VOCI POETICHE

Nadia Scappini

Madri di montagna

quelle madri di montagna ora che non hanno più dentidentro le rughe conservanole stanze della gioia

immobili, le mani scarnesopra la coperta dell'ultimo Natalestudiano l'attesa di un tempoche scorre chiuso tra due pieghe

sempre uguale

e ripetono ostinate il sorsodi un ritorno al velo biancoi giochi con le treccela luce di una lucciola

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Aprile 2013, Anno 2 - N.04

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Mostre in regione

Guido Polo

FIDA-Trento

Christian Fogarolli

Federico Lanaro

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In ricordo di mio padre

White

RMX

disORIENTAMENTI

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disORIENTAMENTI Trentino tra Sud e Mitteleuropa

Sarà aperta al pubblico martedì 9 aprile alle ore 18.00, a Trento nella presti-giosa sala al piano terra del Palazzo delle Regione in Piazza Dante, la Mostra d’arte “disORIENTAMENTI - Trentino tra Sud e Mitteleuropa”. Il catalogo, è introdotto da un testo critico particolarmente importante di Maurizio Scu-diero.Un avvenimento che si inserisce nel particolare momento culturale della Regione Trentino Alto-Adige caratterizzato dalla presenza al Kunst Meran, in collaborazione con la collezione Verbund di Vienna, di un progetto che proviene dall’Austria e dopo aver fatto tappa a Ginevra, presenta cinquanta opere del primo periodo di Cindy Sherman; dallo straordinario allestimen-to al Mart di Rovereto “La magnifica ossessione”, che celebra i dieci anni dell’edificio di Mario Botta; dalla presenza al Museion di Bolzano di una selezione di straordinarie opere provenienti dal Migros Museum di Zurigo. Bolzano, Trento, Rovereto un territorio descritto dall’austriaco Robert Mu-sil, soldato nel 1915 in Val dei Mocheni, nella novella “Grigia”, ambientata a Palù del Fersina. Maurizio Scudiero afferma, nel catalogo della mostra “disORIENTAMENTI”, che: “caratteristica del territorio Trentino è il continuo mutare d’aspetto del suo paesaggio e questa è anche la “predominante” dell’arte di questo Territorio che muta continuamente per l’assimilazione di influssi prove-nienti ora dal Sud, ora dal Nord e a volte contemporaneamente da ambo le parti, e questo da origine a nuove espressioni creative. Questa caratte-ristica è presente storicamente ma anche nell’arte contemporanea, e può indurre ad un’analisi superficiale a un qualche “disOrientamento”. Infatti, il fattore “autoctono”non va cercato tanto in uno “stile” distintivo, quanto piuttosto in una “attitudine” operativa verso un nomadismo semantico, cioè ad un’ampia apertura verso i territori confinanti, ma anche verso le “discipline” confinanti a quelle ortodosse di Pittura e Scultura, come ad esempio la Poesia e le Arti Applicate”... ...Quindi, questi artisti di oggi, che vivono le “periferie dell’Arte”, e spe-cialmente nei territori di confine, di cerniera, hanno paradossalmente un “plus-valore” che è quello di un continuo confronto con le “mutazioni” che passano loro davanti. Hanno una marcia in più, e proprio per questo sa-rebbe riduttivo definirli genericamente “artisti” in quanto dell’Arte hanno un’idea molto più“vasta”, debordante, e diffusa di quanto si intende soli-tamente. Sono a tutti gli effetti degli “operatori culturali” perché la loro azione è sì artistica negli “esiti ultimi”, ma è interdisciplinare nelle sue “modalità operative”.

Silvio Cattani

Roberto Codroico

Lome (Lorenzo Menguzzato)

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I protagonisti della Mostra di Trento sono:Silvio Cattani ha costruito nel corso di una lunga carriera, artistica un suo universo pittorico composito, nel quale un geometrismo nervoso crea mor-fologie cromatiche dinamiche che spesso dialogano con scritte, “messaggi fluttuanti”, preferibilmente in tedesco, terra che spesso lo ospita. Una pit-tura che si fonda sulla “parola” sulla citazione poetica, o forse una Poesia che si fa pittura.Roberto Codroico, architetto, che porta la sua ampia “visione europea” (nato vicino a Kassel, poi trasferitosi a Padova e quindi a Trento) in dipinti astratto-cosmici e spesso “compressa” in piccoli oggetti, delle boites, delle scatole di legno dipinto, che contengono della “plastico-pittura” che che si porta sulle spalle tutta la storia delle avanguardie ed oltre.Lome (Lorenzo Menguzzato) dipinge e realizza sculture in ferro e vetro, ve-trate, ceramiche e gestisce un sito sul territorio (un bosco!) che si occupa di Poesia. Fabio Cavallucci parlando di Lome ha coniato il termine de “i colori della Poesia”, Lome, da parte sua, ha invece rovesciato questo assunto (in buona compagnia con personaggi come Nicola De Maria e Andrea Zanzot-to) affermando che “La Pittura è come la Poesia”. Paul Sark (nome d’arte di Paolo Cau) nato a Cagliari una “terra di confine” una terra dove, come in Trentino, spesso la natura è estrema. Inizia a lavo-rare su qualsiasi supporto poi, con il tempo la sua visione si allarga alla poe-sia, alla musica, al teatro, realizza performance multimediali e libri d’artista. Si sente vicino alle avanguardie storiche, specie a quella russa. Renato Sclaunich è nato a Gorizia, città di cerniera per eccellenza. Si espri-me con la poesia-visiva. La “sua” poetica è di una semplicità disarmante, immediata. Ma da non confondersi con semplici giochi semantici. In realtà si tratta di associazioni di “significati”, di combinazioni di oggetti e testi che non mirano tanto alla provocazione quanto alla “dis-locazione” dei signifi-cati. Un po’ alla maniera di de Chirico, il suo è un “nomadismo” attorno al senso consolidato delle cose e delle parole.Paolo Tomio, architetto. e quindi anche lui ha il “valore aggiunto” tratto dalla ‘poetica fantasia’ che è appunto tipica della professione dell’architet-to. La sua formazione gli permette di accostarsi all’arte con un’attitudine progettuale e fattuale che è propria nelle modalità del suo lavoro. Anche questo è un segno della modernità, o meglio: il realizzare prodotti artistici con qualunque mezzo, non importa quale.Simone Turra, l’unico scultore del gruppo. La scultura di Turra, che vive nel Primiero, ha un “impatto psicologico” notevole, perlomeno così come lo voleva intendere Rudolf Arnheim. Il suo è un lavoro prevalentemente figurativo, a volte di grandi e “pesanti” corpi, autentiche masse marmoree in un situazionismo quasi “metafisico” e in un clima di “sospensione della realtà” quale risultante di una sensazione di “attesa esistenziale”

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Paul Sark

Renato Sclaunich

Paolo Tomio

Simone Turra Palazzo Trentini, via Manci, 27 - Trento 26 marzo - 16 aprile 2013

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Palazzo Trentini, via Manci, 27 - Trento 26 marzo - 16 aprile 2013

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white - Christian Fogarolli a cura di Chiara Ianeselli Arte Boccanera via Milano 128/130, TrentoDal 2 febbraio 2013 al 26 aprile 2013

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Federico Lanaro - RMX

Studio d'Arte Raffaelli - Palazzo Wolkenstein, via Marchetti

dal 28/03/2013 al 31/05/2013

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QUOTA DI ISCRIZIONE PER L’ANNO 2013

E’ stata mantenuta la quota d’iscrizione di euro 50.00 Il versamento dovrà essere effettuato con la causale: ISCRIZIONE ANNO 2013

MEMORANDUM

IMPORTANTE

Per ragioni fiscali e contabili, TUTTI i versamenti (ad es. per l’iscrizione, la quota annuale, partecipazioni a mostre o eventi FIDA ecc.) dovranno essere effettuati sul conto corrente della FIDA-Trento: Volksbank-Banca Popolare dell’Alto Adige - Piazza Lodron 31 38100 Trento IBAN: IT47 B058 5601 8010 8357 1214 752 NB! INSERIRE SEMPRE LA CAUSALE (es. iscrizione 2013)

Poiché questo Conto Corrente dovrà essere utilizzato sempre si consiglia di stamparlo e di tenerlo sul computer in una cartella FIDASegretario-tesoriere: Alessando Goio [email protected]

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