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KARL JASPERSPERDERSI PER RITROVARSI
Copyright © 2017 Stefano Martini
NAUFRAGIO DELL’ESISTENZA E CIFRE DELLA TRASCENDENZA
1
Perdersi per ritrovarsi
Karl Theodor Jaspers nasce nel 1883 a
Oldenburg, non lontano dal Mare del
Nord [«Sono cresciuto con il mare»],
da una famiglia di agiate condizioni
borghesi, «educato dal padre all’amore
della verità, della fedeltà e del lavoro»,
ma anche al di fuori di ogni influenza
del cristianesimo ecclesiastico.
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Perdersi per ritrovarsi
Fin da giovane seriamente malato
(di bronchiettasia polmonare e
insufficienza cardiaca), egli studia
dapprima giurisprudenza a
Heidelberg e Monaco (dove prende
anche lezioni di grafologia da
Ludwig Klages [1872-1956]),
quindi medicina a Berlino,
Gottinga e Heidelberg, dove si
laurea nel 1909.
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Perdersi per ritrovarsi
Nel 1910 sposa Gertrud Mayer (1879-1974),
ebrea, che gli sarà per molti anni fedele
compagna di vita e di lavoro.
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Perdersi per ritrovarsi
Specializzatosi in psichiatria, lavora dal
1910 al 1915 come assistente del neurologo
Franz Nissl (1860-1919) nella clinica
psichiatrica di Heidelberg.
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Perdersi per ritrovarsi
Grazie all’opera Allgemeine
Psychopathologie (1913)
(Psicopatologia generale),
ancor oggi considerata un
testo di grande importanza,
ottiene nello stesso anno la
libera docenza in psicologia
con Wilhelm Windelband
(1848-1915).
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Perdersi per ritrovarsi
In essa, mettendo a frutto il
metodo fenomenologico di
Edmund Husserl (1859-1938),
egli presenta la psicopatologia
come una parte della psicologia.
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Perdersi per ritrovarsi
Fondatore della
psicopatologia come scienza,
Jaspers si occupa dei
problemi metodologici
relativi allo studio delle
manifestazioni morbose
della psiche.
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Perdersi per ritrovarsi
Contro la tendenza ancora
dominante nella psichiatria a
ridurre la patologia psichiatrica a
spiegazioni organicistiche, egli
propone il metodo husserliano
come strumento con il quale lo
psicopatologo dovrà cercare di
riattualizzare in sé, rivivendoli, gli
stati d’animo vissuti dal malato.
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Perdersi per ritrovarsi
La psicopatologia viene affrontata,
pertanto, come studio della persona per
raggiungere il “chiarimento
dell’esistenza” (cfr. oltre), che non
coincide con la conoscenza scientifica
della psiche. Lo psicopatologo deve
collocarsi sullo stesso versante del
paziente, rinunciando a guardare agli
stati di quest’ultimo dalla propria
prospettiva di indagatore.
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Perdersi per ritrovarsi
Riprendendo da Wilhelm Dilthey (1833-1911)
la distinzione tra ‘spiegare’ (erklären) e
‘comprendere’ (verstehen), Jaspers attribuisce
allo psicopatologo il compito primario di
‘comprendere’, ossia di interpretare
dall’interno la vita psichica altrui,
immedesimandosi con essa.
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Perdersi per ritrovarsi
In psicopatologia non si tratta
quindi di ‘spiegare’, cioè di
ricondurre a leggi universali e
necessarie un materiale empirico
a cui si è indifferenti; si tratta
invece di ‘comprendere’, di
penetrare con l’intuizione
nell’anima di malati (i quali sono
l’uno diverso dall’altro), di
riuscire ad accedere al senso di
queste esistenze.
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Perdersi per ritrovarsi
Jaspers ritrova la lezione di
Søren Kierkegaard (1813-1855),
ma non giunge a questo
incontro per vie libresche o
accademiche: è l’incontro con
individui sofferenti, con la
malattia mentale, anche con la
follia, la base di esperienza a cui
tutta la sua filosofia
dell’esistenza attingerà.
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Perdersi per ritrovarsi
In Jaspers osserviamo una
caratteristica importante di
tutta la filosofia
esistenzialistica: essa vuole
essere una filosofia del
concreto, che valorizzi la vita e
l’esperienza quotidiana,
persino nei loro aspetti più
bassi e disturbanti.
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Perdersi per ritrovarsi
Dopo la Psicopatologia generale,
Jaspers, specializzatosi in
psicologia, si porta gradualmente
sul terreno della filosofia,
sforzandosi di costruire un nuovo
sapere filosofico, che sappia dar
conto dell’esistenza umana.
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Diventato, infatti, nel 1916 professore di
psicologia a Heidelberg (grazie all’opera
sulla psicopatologia), Jaspers pubblica nel
1919 la Psychologie der Weltanschauungen
(Psicologia delle visioni del mondo ), che
segna il suo definitivo passaggio alla
filosofia.
Perdersi per ritrovarsi
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Perdersi per ritrovarsi
In questo libro egli intende
comprendere la vita psichica e le sue
manifestazioni, facendo riferimento ai
suoi “orizzonti estremi”, cioè quelle
situazioni-limite (il dolore, la lotta, la
morte, la disgrazia, la colpa) in cui le
forme fisse e irrigidite della vita si
sciolgono per lasciare scorrere e fluire
le sue “forze ultime”.
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Perdersi per ritrovarsi
Martin Heidegger (1889-1976),
con il quale inizia un’amicizia, poi
interrotta nel 1933, scrive una lunga
recensione critica di tale opera,
senza però pubblicarla.
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Perdersi per ritrovarsi
Il testo jaspersiano, considerato da
molti l’atto di nascita
dell’esistenzialismo tedesco,
rappresenta la conclusione del processo
che lo ha portato a maturare una scelta
più esplicitamente filosofica e che si
conclude con la sua nomina a
professore ordinario di filosofia nella
stessa Università di Heidelberg (1922).
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Perdersi per ritrovarsi
Gli interessi di natura filosofica sono
stati favoriti dall’incontro, nel 1909, con
Max Weber (1864-1920), considerato
come proprio maestro, cui dedicherà nel
1932 un saggio;
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Perdersi per ritrovarsi
ma anche da approfondite e varie
letture: autori, come Platone, Plotino,
Cusano, Bruno, Spinoza, Kant,
Schelling, Hegel, sono di importanza
fondamentale per il giovane studioso,
che, però, soprattutto in Kierkegaard
e Friedrich Nietzsche (1844-1900)
scopre coloro che ispireranno la sua
‘filosofia dell’esistenza’.
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Perdersi per ritrovarsi
Il nuovo sapere filosofico non
dovrà essere teorico, ma mirerà a
trasformare l’interiorità dello
stesso ricercatore e ad aprirne le
infinite possibilità. Infatti, il
fondo misterioso di ciascuno di
noi è “la possibilità di essere”,
dunque la libertà.
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Perdersi per ritrovarsi
Fonte privilegiata per attingere a
tale fondo è il confronto con
individui d’eccezione, soggetti
marginali, sul limite o oltre il
limite della follia, come lo scrittore
svedese August Strindberg
(1849-1912) e il pittore olandese
Vincent Van Gogh (1853-1890)
(ma anche i già citati filosofi
Kierkegaard e Nietzsche).
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Perdersi per ritrovarsi
Ai due artisti Jaspers dedica
nel 1922 l’importante libro
Strindberg und Van Gogh
(Genio e follia. Strindberg e
Van Gogh).
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Perdersi per ritrovarsi
Del 1923 è Die Idee der Universität
(L’idea dell’università), più volte
riedita. Nel 1931 egli pubblica un
fortunato libello Die geistige
Situation der Zeit (La situazione
spirituale del nostro tempo).
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Perdersi per ritrovarsi
Del 1932 è l’esposizione sistematica della filosofia
dell’esistenza: Philosophie (Filosofia), opera in tre volumi
intitolati, rispettivamente, Philosophische Weltorientierung
(Orientamento filosofico del mondo), Existenzerhellung
(Chiarificazione dell’esistenza), Metaphysik (Metafisica).
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Perdersi per ritrovarsi
Nonostante le difficoltà con il regime
nazionalsocialista (la moglie, come sappiamo, è
ebrea), egli pubblica varie opere: il già citato
Max Weber (1932), Vernunft und Existenz (1935)
(Ragione ed esistenza);
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Perdersi per ritrovarsi
Nietzsche. Einführung in das
Verständnis seines Philosophierens
(1936) (Nietzsche: introduzione alla
comprensione del suo filosofare);
Descartes und die Philosophie (1937)
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Perdersi per ritrovarsi
e Existenzphilosophie (Filosofia dell’esistenza),
del 1938, anno in cui il governo hitleriano gli
proibisce di continuare a pubblicare.
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Perdersi per ritrovarsi
Già nel 1937, messo di fronte
alla scelta di divorziare dalla
amatissima moglie, Gertrud,
perché ebrea, oppure di
dimettersi dalla cattedra,
Jaspers non esita a lasciare
l’insegnamento, da lui ripreso
solo nel 1945, dopo la fine della
seconda guerra mondiale.
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Perdersi per ritrovarsi
Quando nel 1945 torna a insegnare a
Heidelberg, tiene un corso sulla
“colpa della Germania”, pubblicato poi
con il titolo Die Schuldfrage (1946)
(La questione della colpa).
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Perdersi per ritrovarsi
In esso affronta il tema della
possibile colpevolezza individuale
dei tedeschi di fronte ai crimini del
nazismo e addita ai connazionali
come sola via di “redenzione”
quella che dovrebbe condurre,
superato il nazionalismo rivelatosi
così pernicioso nella storia tedesca,
a una confederazione europea e
infine mondiale.
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Perdersi per ritrovarsi
Nel 1946 esce il volume Nietzsche und Christentum
(Nietzsche e il Cristianesimo).
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Perdersi per ritrovarsi
Del 1947 è, invece, l’importante testo Von der Wahrheit.
Philosophische Logik (Della verità. Logica filosofica).
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Perdersi per ritrovarsi
Nel 1948, in dissidio con il
governo tedesco-occidentale al
quale rimprovera una politica di
“delirio nazionalistico”, lascia la
Germania e si trasferisce a Basilea,
nella cui Università insegna per
lunghi anni, e dove muore, esule e
sempre più convinto dei propri
ideali cosmopolitici, nel 1969.
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Perdersi per ritrovarsi
Anche negli anni dell’esilio Jaspers non
desiste dall’intervenire sulle vicende del
tempo con saggi politico-filosofici, come
Die Atombombe und die Zukunft des
Menschen (1958) (La bomba atomica e il
futuro dell’umanità)
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Perdersi per ritrovarsi
e con scritti di attualità politica, come
Wohin treibt die Bundesrepublik? (1966)
(Germania d’oggi. Dove va la Repubblica
Federale?).
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Pure la produzione filosofica è intensa:
Der philosophische Glaube (1948) (La fede filosofica);
Vom Ursprung und Ziel der Geschichte (1949)
(Origine e senso della storia);
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Perdersi per ritrovarsi
Einführung in die Philosophie (1950)
(Introduzione alla filosofia);
Vernunft und Widervernunft in unserer Zeit (1950)
(Ragione e antiragione nel nostro tempo);
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Rechenschaft und Ausblick. Reden und Aufsätze (1951);
Das radikal Böse bei Kant, 1951 (Il male radicale in Kant);
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Über das Tragische (1952) (Sul tragico);
Leonardo als Philosoph (1953) (Leonardo filosofo);
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Philosophische Autobiographie (1953)
(Autobiografia filosofica);
Die Frage der Entmythologisierung (1954)
(Il problema della demitizzazione [con
Rudolf Bultmann]);
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Schelling (1955); Die großen Philosophen (1957)
(I grandi filosofi) [che costituisce la prima parte
di una vasta opera di storia del pensiero
filosofico e religioso];
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Philosophie und Welt (1958); Vernunft und Freiheit (1959)
(Ragione e libertà); Freiheit und Wiedervereinigung. Über
Aufgaben deutscher Politik (1960);
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Der philosophische Glaube angesichts der Offenbarung (1962)
(La fede filosofica di fronte alla rivelazione);
Nikolaus Cusanus (1964);
Die Sprache (1964) (Il linguaggio);
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Kleine Schule des Philosophischen Denkens (1965)
(Piccola scuola del pensiero filosofico);
Hoffnung und Sorge. Schriften zur deutschen
Politik 1945–1965 (1965);
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Schicksal und Wille. Autobiographische Schriften (Hans
Saner hrsg, 1967) (Volontà e destino: scritti autobiografici);
Chiffren der Transzendenz (1961) (Hans Saner hrsg, 1970)
(Cifre della trascendenza).
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L’assistente di Jaspers dal 1962 al 1969,
Hans Saner (1934-), cura l’opera
postuma del filosofo. Oltre ai due
volumi appena citati (con Jaspers
ancora in vita), tra i libri apparsi dagli
anni ’70 in poi possiamo per esempio
ricordare:
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Philosophie und Offenbarungsglaube (1971)
(Filosofia e fede nella rivelazione, con Heinz Zahrnt);
Kant. Leben, Werk, Wirkung (1975);
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Perdersi per ritrovarsi
Was ist Philosophie? (1976);
Notizen zu Martin Heidegger (1978);
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Die großen Philosophen. Nachlass, 2 Bände:
I. Darstellung und Fragmente,
II. Fragmente - Anmerkungen - Inventar
(1981);
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Weltgeschichte der Philosophie [Einleitung] (1982);
Briefwechsel 1926–1969. Hannah Arendt & Karl Jaspers (1985)
(Carteggio 1926-1969: filosofia e politica, con Hannah Arendt);
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Perdersi per ritrovarsi
Briefwechsel 1920–1963. Martin Heidegger & Karl Jaspers (1990)
(Lettere 1920-1963, con Martin Heidegger);
Der Arzt im technischen Zeitalter (1991)
(Il medico nell’età della tecnica).
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Perdersi per ritrovarsi
Tra gli autori che Heidegger cita
nel suo Essere e tempo (1927) c’è
anche Karl Jaspers, che con la
Psicologia delle visioni del mondo
(1919) ha dato l’avvio
all’esistenzialismo tedesco,
provenendo però dalla
psichiatria e non dalla
fenomenologia come l’altro
‘padre fondatore’.
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Perdersi per ritrovarsi
Come Heidegger, anche Jaspers
rifiuta la qualifica di ‘esistenzialista’:
a differenza dei francesi, e
soprattutto di Jean-Paul Sartre
(1905-1980), che fa dell’esistenza
l’oggetto esclusivo della filosofia, i
due tedeschi pongono al centro il
problema dell’essere, o meglio, del
rapporto tra l’esistenza e l’Essere.
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Perdersi per ritrovarsi
Detto tra parentesi, Jaspers non ama
particolarmente l’etichettatura del proprio
pensiero come “filosofia dell’esistenza”,
perché questa espressione non definisce
per lui un particolare indirizzo filosofico,
ma la filosofia in quanto tale, fin dai suoi
esordi: «ciò che si denomina filosofia
dell’esistenza è in verità soltanto una forma
dell’unica antichissima filosofia».
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Perdersi per ritrovarsi
Tuttavia, Heidegger e Jaspers non
sono d’accordo solo su questa
centralità della ontologia.
Entrambi intendono l’esistenza
come possibilità: il rapporto
dell’uomo con l’Essere non è dato,
è solo possibile, e come tale è
rimesso al progetto che l’uomo fa
di se stesso, con libera decisione.
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Perdersi per ritrovarsi
Ma l’accordo finisce qui. Mentre, infatti, per
Heidegger oggi siamo alla fine dell’epoca
della metafisica e già si impone un tempo
nuovo per la filosofia, un tempo in cui
nessun compito è riservato alla ragione così
come è stata intesa da Platone a Hegel, per
Jaspers, invece, la metafisica quale ricerca
dell’Essere resta un compito irrinunciabile,
anche se fallimentare, e, in questo compito,
la via della ragione è l’unica praticabile.
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Perdersi per ritrovarsi
Questo recupero dell’asse razionale risulta
anche dal diverso significato che in Jaspers
ha l’esserci, il Dasein. Mentre per Heidegger
il Dasein è soltanto l’uomo, e l’esistenza è
implicita nel Dasein come sua essenza, per
Jaspers il Dasein è la realtà empirica di
qualsiasi genere – l’uomo, le cose, gli eventi
della natura, le stesse produzioni umane – e
l’esistenza è l’emergere proprio dell’uomo, in
virtù della sua coscienza, dalla empiricità: il
trascendimento.
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Perdersi per ritrovarsi
Per Heidegger l’esistenza è già nel Da
del Da-sein (nel ci dell’esser-ci), per
Jaspers è invece nell’ec dell’ec-sistere
(Ec-sistenz [Existenz]).
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Perdersi per ritrovarsi
Questa variante, apparentemente
minima, diventa rilevante nella
costruzione del sistema filosofico,
che Jaspers ci ha dato nella sua
Filosofia (1932), incentrata
appunto sul trascendere.
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Perdersi per ritrovarsi
Prima ancora di Heidegger, Jaspers
sostiene nella sua opera principale,
che la filosofia occidentale ha finito
con il dare, nel suo cammino, alla
propria domanda metafisica una
risposta inadeguata, consistente nel
ridurre l’essere agli enti determinati
che si presentano nel mondo come
oggetti dell’astratto intelletto.
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Perdersi per ritrovarsi
La scienza ha favorito l’identificazione,
culminata nel positivismo ottocentesco,
dell’essere con l’essere conosciuto, ossia
con l’oggettività stessa. In tal modo
l’uomo si è eretto a misura di tutte le
cose e, con la tecnologia figlia della
cultura scientifica moderna, ha preteso
di dominare l’essere invece di
riconoscerlo come orizzonte irriducibile
a ogni determinazione concettuale.
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Perdersi per ritrovarsi
Sulle tracce di Anassimandro (VII-VI sec. a.C.),
Jaspers, seguendo la lettura nietscheana, indica
l’essere come il “tutto-abbracciante”
(periéchon), che mai potrebbe essere
circoscritto, ossia entificato.
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Perdersi per ritrovarsi
La pretesa antropocentrica di
racchiuderlo in un sistema conosciuto
di enti si rivela come quella stessa
“tracotanza” (hýbris), che il pensatore
arcaico indicava come “colpa” che la
cosa determinata commette nei
confronti dell’essere indeterminato
(ápeiron), e alla quale non può non
seguire, “secondo l’ordine del tempo”,
l’espiazione.
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Perdersi per ritrovarsi
[e donde viene agli esseri la nascita, là avviene anche la loro distruzione] secondo necessità: infatti si pagano l’un l’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia <secondo l’ordine del tempo>.
DK 12 B 1
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esistenza
destino
storia
Perdersi per ritrovarsi
Nello svolgimento della prima parte
del suo disegno filosofico, quella
riguardante l’orientamento mondano,
Jaspers sviluppa un principio
epistemologico già applicato, con
risultati ritenuti ancora oggi di
grande valore, nella sua
Psicopatologia generale (1913).
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Perdersi per ritrovarsi
E infatti, prima di passare alla
psicologia esplicativa, nella
quale le reazioni psichiche del
malato vengono ricondotte a
cause, egli articola tra di loro la
spiegazione scientifica e la
comprensione fenomenologica
in una psicologia comprensiva.
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Perdersi per ritrovarsi
D’altra parte, la comprensione
presuppone sempre la spiegazione, la
ragione presuppone sempre
l’intelletto, proprio come insegnava
Immanuel Kant (1724-1804).
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Perdersi per ritrovarsi
Per uno Jaspers, venuto alla filosofia dalla
medicina, l’interesse per la scienza è stato
sempre vivo nella sua speculazione, tanto che
arriva a dire che, se non deve esistere «torbida
contaminazione» tra scienza e filosofia,
tuttavia «la filosofia e la scienza non sono
possibili l’una senza l’altra». Comunque,
«l’attività filosofica non può essere né identica
né antinomica al pensiero scientifico»:
pertanto, distinzione e non sovrapposizione tra
i due tipi di ricerca.
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Perdersi per ritrovarsi
Contrariamente alle tesi di Husserl e della
fenomenologia, in Filosofia I, dedicato alla
Orientazione filosofica nel mondo, Jaspers
sostiene che la filosofia non possa essere
“scienza rigorosa”.
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Perdersi per ritrovarsi
L’esposizione completa e matura della
filosofia jaspersiana è esposta, come già si è
detto, nel trattato Filosofia, articolato in tre
volumi e incentrato intorno a tre concetti
fondamentali: mondo, esistenza,
trascendenza. La loro successione indica la
direzione del procedere della filosofia, che,
oltrepassando il mondo degli oggetti, va
all’esistenza, nel suo essere se stessa, e vi trova
la possibilità di riconoscere la trascendenza
come fondamento di tutto l’essere.
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Perdersi per ritrovarsi
Jaspers distingue, pertanto, tre sfere
di essere: l’essere empirico, l’essere
dell’uomo, l’essere assoluto. La
prima costituisce l’oggettività,
l’essere-per-noi, e la forma di
conoscenza corrispondente è la
scienza, che è perciò una
orientazione nel mondo.
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Perdersi per ritrovarsi
La seconda comprende l’uomo
nella sua soggettiva concretezza,
come io, come essere-se-stesso, o
come esistenza nel suo significato
autentico, e le corrisponde quella
conoscenza che Jaspers chiama
rischiaramento dell’esistenza, o
filosofia in senso vero e proprio.
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Perdersi per ritrovarsi
La terza è quella dell’Essere-in-sé,
o della Trascendenza, che è al di là
sia dell’oggettività, sia
dell’esistenza umana e, come tale,
è il termine della metafisica. Le
tre sfere sono eterogenee, ma non
separate: il passaggio dall’una
all’altra è perciò discontinuo e si
compie con un “salto”.
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Perdersi per ritrovarsi
Il mondo è oggetto della
conoscenza scientifica: nel loro
dominio le scienze hanno una
validità universale e vincolante,
ma la necessità del sapere
scientifico è ipotetica e non
assoluta: essa si fonda o su fatti
che sono irriducibili alle leggi
della logica o su postulati non
evidenti per se stessi.
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Perdersi per ritrovarsi
Il suo progresso è illimitato: nessuna
scienza è in grado di esplorare fino in
fondo il suo oggetto d’indagine, e
soprattutto non può abbracciare il
mondo nella sua totalità. La
formazione di un’immagine unitaria
del mondo (tentata per esempio dal
positivismo) è destinata allo scacco per
l’incompiutezza e l’inconcludibilità di
principio del nostro conoscere.
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Perdersi per ritrovarsi
Dobbiamo pertanto imparare a riconoscere i limiti del sapere
scientifico:
a. «la conoscenza scientifica delle cose non è conoscenza
dell’‘essere’: essa è particolare, diretta su oggetti determinati,
non è diretta sulla realtà stessa»;
b. «la conoscenza scientifica non è in grado di dare nessuna
direzione per la vita. Non stabilisce valori validi, […] non può
guidare la vita»;
c. «la scienza non può dare nessuna risposta alla domanda sul
suo vero e proprio senso».
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Perdersi per ritrovarsi
La scienza dunque non ci dà il senso
della nostra vita, né ci fa conoscere
l’Assoluto: in essa «non c’è nulla che
chiarisca e illumini il suo significato e
dica all’uomo se ha senso o non ha
senso il rivolgersi a essa. Scambiare le
convinzioni di cui vivo con un sapere
che dimostro, rende perplesso l’intero
atteggiamento dell’uomo nella vita».
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Perdersi per ritrovarsi
E tuttavia solo attraverso la scienza io
posso evadere dalla prigionia di
un’immagine ristretta e dogmatica del
mondo; e ogni scienza dev’essere libera,
affinché ci si possa emancipare dalla
superstizione scientifica, cioè dal pericolo
di rendere assoluto il relativo; attraverso
la libera conquista delle scienze ho il
dovere di prepararmi a ciò che è più della
scienza, ma che soltanto sulla faticosa via
della scienza può acquistare chiarezza.
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Perdersi per ritrovarsi
E questo può avvenire in quanto il
processo conoscitivo ci sospinge al di là di
ogni oggetto, perché nessun oggetto
conosciuto è l’Essere. Alla coscienza di
questo limite, per cui al conoscere diretto
agli oggetti non è mai dato l’Essere nella
sua totalità, si accompagna altresì la
consapevolezza che a tale conoscere si
sottrae pure il mio essere proprio, cioè
l’esistenza, di cui tale sapere oggettivo non
coglie la vera origine.
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Perdersi per ritrovarsi
È compito dell’“orientamento
filosofico del mondo” (Philosophische
Weltorientierung) mostrare, passando
per la conoscenza scientifica degli
oggetti, il limite con il quale essa si
scontra e rinviare all’essere che sta
oltre di esso. Al trascendimento nel
mondo, che è caratteristico
dell’“intelletto scientifico”, succede il
trascendimento del mondo, che è
opera della “ragione filosofica”.
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Per cogliere l’esistenza nel suo essere
proprio è necessaria quella che Jaspers
chiama la “chiarificazione dell’esistenza”
(Existenzerhellung). L’esistenza,
costituisce, infatti, la seconda sfera
dell’essere, e per esistenza dev’essere
inteso l’Io (Ichsein) nella sua
soggettività, che, pur appartenendo al
mondo con una parte di se stesso, non è
riducibile ad alcun fenomeno oggettivo,
perché tutti li può trascendere.
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L’esistente, l’uomo, benché possa essere
studiato da scienze come antropologia,
psicologia, sociologia, non può essere
tuttavia del tutto oggetto di conoscenza
scientifica, poiché «egli è sempre più di
quanto sappia o possa sapere di se stesso»;
è necessario perciò che la filosofia
esistenziale, nel suo tentativo di orientarsi
in una descrizione che non potrà non
essere inadeguata, ricorra a degli indici.
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Questi indici sono tre (e via via
li incontreremo): la libertà, la
comunicazione, la storicità.
Essere io, infatti, consiste:
nello scegliersi; nel porsi in
rapporto con gli altri; nel farsi
nel mondo. Tutti e tre
costituiscono dei paradossi
dell’esistenza e in certa misura
sono destinati allo scacco.
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Nel passaggio dalla scienza alla
filosofia, deve compiersi una
decisione, un “salto”, attraverso cui
io trascendo il mondo
dell’oggettività e il mio stesso
essere-nel-mondo, e mi realizzo
come “esistenza”, ossia come
“possibilità” di essere. La
chiarificazione dell’esistenza, come
già detto, è opera della ragione.
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Jaspers intende la ragione, per
distinguerla dall’intelletto scientifico
anonimo e impersonale, come attività
incarnata e personale, ragione
“esistentiva”. Essa infatti è parte integrante
e costitutiva dell’esistenza singola, e
insieme a questa rappresenta i due poli tra
i quali si svolge la ricerca filosofica: senza
la ragione l’esistenza si ridurrebbe a cieco
e inerte esserci, senza l’esistenza la
ragione sarebbe vuoto e astratto intelletto.
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L’analisi esistenziale jaspersiana è tutta giuocata sulla
distinzione tra esserci e esistenza, tra situazione e libertà. In
quanto mèro esserci, l’uomo è cosa tra le cose, essere-nel-
mondo immerso nella temporalità, chiuso in una situazione
più o meno angusta al cui interno esso vive e muore. Esistere
comporta una “rottura” aperta nell’esserci del mondo,
significa, come suggerisce la parola stessa, emergere, uscir
fuori da, distinguersi. Se l’esserci è datità e necessità – l’esserci
non può non essere quello che è –, l’esistenza è possibilità, di
oltrepassare il mèro esserci, e dunque esercizio di libertà.
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Questo trascendimento dell’esserci non
significa che l’esistenza possa annullare
l’esserci e la situazione in cui questo è calato.
Anzi, l’esistenza è segnata da una radicale
finitudine proprio perché è vincolata a una
determinata situazione storico-mondana, da
cui mai potrebbe distaccarsi, e che costituisce
il fondamento della sua storicità. Jaspers
insiste fortemente su questa finitudine
situazionale fino a dire che «il mio io è identico
con il luogo della realtà in cui mi trovo».
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La filosofia jaspersiana è una filosofia della libertà.
L’uomo è ciò che sceglie di essere: la sua scelta è
costitutiva del suo essere ed egli non è se non in
quanto sceglie. La scelta di me stesso è la libertà
originaria, quella libertà senza la quale io non
sono io stesso. Jaspers parla del rischio che è
inerente alla scelta di se stesso, della decisione
esistenziale che non scaturisce dall’io come da una
sorgente nascosta, ma costituisce l’io stesso; e
scorge nella volontà la chiarezza della scelta
originaria.
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Ma, e questo è il punto decisivo, l’io che
sceglie è la sua stessa situazione nel
mondo, situazione storicamente
determinata e particolare; e la sua
scelta autocostitutiva non è che
l’autocostituirsi di questa situazione (la
cui trama si stende fino ad abbracciare
l’epoca prenatale dell’individuo e, al
limite, l’universo intero). La libertà è,
come in Baruch Spinoza (1632-1677),
la coscienza della necessità.
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L’unica scelta autentica è quella che
accetta la situazione di fatto e
l’unica possibilità implicita in essa.
Afferma Jaspers: «Io non posso
rifarmi da capo e scegliere tra
l’essere me stesso e il non essere me
stesso, come se la libertà fosse
davanti a me solo come uno
strumento. Ma in quanto scelgo
sono, se non sono non scelgo».
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Io non posso scegliere se non ciò
che già sono, e la libertà è
decidere di divenire ciò che si è,
appropriarsi della situazione in
cui siamo, amor fati, come ha
insegnato Nietzsche. Quando
Jaspers parla di esistenza
possibile, in realtà vuole che per
possibilità s’intenda lo svolgersi
‘fatale’ della situazione in cui
ognuno di noi è posto nel mondo.
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D’altronde, è anche possibile che
io non prenda alcuna decisione e
lasci che altro decida per me. Ma,
in questo caso, io rinuncerei a
esistere, ridotto alla cecità del mio
puro esserci oggettivo: «o sono io a
decidere (esistendo), o si decide su
di me (e allora, privo di esistenza,
divento un semplice materiale
nelle mani di un altro)».
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Intendere la libertà dell’esistenza come
scelta tra diverse possibilità tutte
egualmente praticabili, significa esser
fermi a una visione astratta e
oggettivistica delle possibilità.
Scaturisce da questo modo d’intendere
l’esistenza quella che potremmo
chiamare la morale della fedeltà: la
fedeltà a se stessi, al “dovere” di essere se
stessi, realizzando le possibilità
costitutive del proprio io.
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Non termina qui peraltro il lavoro
di chiarificazione dell’esistenza.
Esistere significa soffrire l’angustia
dell’essere-in-situazione. Jaspers
parla, analogamente a Heidegger
(ma ancor più, forse, ad
Anassimandro) di una “colposità”
originaria e inevitabile che
contrassegna la natura finita
dell’esistenza.
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Riecheggiando motivi
kierkegaardiani, egli afferma che
esistere significa limitazione, e
limitazione peccato in quanto,
assumendo le possibilità insite nel
mio esserci, io mi separo dalle infinite
possibilità di essere che sono oltre il
limite. Si tratta di una colpevolezza
radicale, ineludibile e impurificabile
che sta a fondamento delle colpe
evitabili ed espiabili della vita.
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D’altronde, il riconoscimento della
insuperabile identità dell’io con la propria
situazione (che è la ‘colpa’ originaria, da
cui ogni altra colpa ha origine) ci rende
liberi dalla colpa e ci mette in grado di
dare adempimento all’antico precetto di
“diventare quel che si è”, secondo
l’espressione di Nietzsche (mutuata da
Pindaro [517-438 a.C.]).
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Per l’autorealizzazione dell’esistenza è poi
indispensabile la comunicazione esistenziale, in
quanto solo attraverso l’altro io posso arrivare a
essere consapevole di me stesso: essa è un
reciproco riconoscere e spingere a manifestarsi il
“me-stesso” nell’altro (anticipazione del pensiero
di Emmanuel Lévinas [1905-1995]). Ma anche
la comunicazione rivela in fondo un aspetto
paradossale, poiché, se è vero che solo nell’altro
l’esistenza arriva a se stessa, è altrettanto vero
che ogni esistenza è unica e irripetibile.
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La vera esperienza dell’esistenza
si ha allora solo con le
situazioni-limite: la lotta, la
colpa, il dolore, la morte. In esse
l’assenza di vie d’uscita e
l’incombere del naufragio
(Scheiten) pongono l’esistenza
nuda di fronte a se stessa.
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Con l’esperienza di tale nudità e
della possibilità dello scacco e del
naufragio si spalanca un baratro che
manifesta tutta la precarietà
dell’esistere umano lasciato a se
stesso, ma che apre con questo la
possibilità della trascendenza. Il
termine dello slancio dell’esistenza è
«l’origine donde essa scaturisce».
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Jaspers rimane kantianamente fermo nei limiti
della ragione, anche là dove la ragione non fa
che registrare lo scacco. Nella sua terza fase,
cui è dedicata l’ultima parte della Filosofia
(intitolata significativamente “Metafisica”), il
compito della ragione è di verificare le
situazioni invalicabili – nelle quali appare per
quello che è l’abisso che separa esistenza e
trascendenza – e di cogliervi il simbolo che
nasconde e insieme rivela l’orizzonte non
oggettivabile del trascendente.
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Jaspers scrive che l’essere, «mentre ci si rivela
venendoci incontro in ogni oggetto e in ogni
orizzonte, pure come tale sempre
indietreggia e ci si allontana». L’essere è
allora concepito come ciò che è al di là di ogni
orizzonte determinato, ma che comprende e
circoscrive tutto: quello che egli chiama il
“tutto-abbracciante” (das Umgreifende), su
cui ritornerà in La filosofia dell’esistenza
(1938) e in Della verità (1947).
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Sappiamo che l’io non può raggiungere
mai ciò che cerca, né attuare
pienamente ciò che desidera, e ch’egli è
destinato allo scacco e al naufragio. È
condannato allo scacco il suo
orientamento nel mondo, la sua libertà
che non può mai essere piena
esplicazione di sé, la sua comunicazione
che non può mai diventare piena unità
con l’altro, la sua storicità che s’imbatte
in situazioni-limite.
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Il doversi assumere la responsabilità di
una colpa non commessa, il sentirsi
costretto a una lotta con gli altri per
garantire la propria sopravvivenza, il non
poter vivere senza dolore, la destinazione
alla morte e il sentimento di angoscia
derivante dalla consapevolezza della sua
inevitabilità, e infine il naufragio del
pensiero di fronte all’essere, sono
situazioni-limite, in cui la trascendenza fa
sentire la sua presenza
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Soprattutto la consapevolezza
dell’esistenza di non potersi fondare su
di sé, «di non aver creato il proprio
esserci, e quindi di essere abbandonata,
impotente, a un naufragio sicuro», di
non poter mai aver compimento nel
tempo, di essere ricerca inesausta
dell’essere, di mai poter arrivarne al
possesso sicuro, tutto rende chiara
all’esistenza la propria “insufficienza”.
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Essa è, appunto, «quell’infinita
insufficienza che coincide con la ricerca
della trascendenza, sicché l’esistenza o
esiste in rapporto alla trascendenza o
non esiste affatto».
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Siamo qui di fronte a una
situazione-limite del nostro esistere
che anche più evidentemente delle
altre segna l’apertura salvifica alla
trascendenza. E l’‘esistenzialismo’
jaspersiano acquista una
intonazione decisamente religiosa:
l’essere trascendente al quale
l’esistenza si rapporta è Dio.
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Ciò peraltro non significa alcuna
concessione né alle onto-teologie
della metafisica tradizionale né alle
religioni positive. Innanzitutto,
l’esperienza del divino è relativa al
singolo e incomunicabile; in secondo
luogo, la trascendenza mi si rivela
nascondendosi, in quanto l’assoluto è
sempre al di là dello sforzo che io
faccio per raggiungerlo.
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La trascendenza, che non può essere né
oggettivata né dimostrata tramite il
ragionamento e il pensiero, può essere
solamente esperita mediante delle
“cifre” (Chiffren), cioè segni, allusioni,
messaggi enigmatici che,
nell’immanenza, a essa rinviano: si
tratta di una ‘conoscenza’ sempre
parziale, per illuminazioni, che scintilla
solo in occasioni privilegiate,
sostituendosi alla conoscenza ordinaria.
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Esse sono di due tipi: quelle che
appartengono alla sfera oggettiva
– e che sono date nell’esperienza
della natura, nei miti religiosi o
nei sistemi metafisici – e quelle
che appartengono alla sfera
soggettiva, cioè all’esistenza,
come la libertà, o anche lo scacco
o il naufragio dell’esistenza,
autenticamente esperiti.
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L’essere assoluto si configura
come una “trascendenza
immanente”: così lontano da
costituire una «impossibilità
dell’esistenza», eppure così
vicino, che non lo potremmo,
inesausti, cercare se, come
insegnava Agostino (354-430),
non l’avessimo da sempre
trovato.
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Incapaci di conoscerlo, noi possiamo
solo «confidare nell’inconcepibile». E
così la filosofia, in questo suo ultimo
grado “metafisico”, si dispone come
“fede”: fede filosofica che si profila, ai
confini del conoscibile, come allusione
e presentimento di una verità assoluta
e incondizionata. In quanto fede, la
filosofia è rinuncia alla spiegazione ed
è, piuttosto, arte ermeneutica, con il
suo compito di “leggere” e decifrare.
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Il mondo è una “scrittura cifrata”
(Chiffreschrift) e non c’è nulla che non
possa fungere da cifra della trascendenza,
da traccia, quanto si vuole labile e
ambigua, della presenza di Dio. Jaspers
scrive in Introduzione alla filosofia (1950):
«i filosofi del nostro tempo sono inclini ad
aggirare il problema se Dio esiste. Né
affermano la sua realtà né la negano. Ma
chi filosofa deve parlare chiaro.
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Se Dio è posto in dubbio, il filosofo
deve dirlo chiaramente, senza di che
egli non oltrepassa la filosofia scettica,
in cui nulla si afferma, nulla si dice e
nulla si nega. Oppure, chiudendosi
nel sapere oggettivamente
determinato, cioè nel conoscere
scientifico, mette fine al filosofare con
la sentenza: di ciò che non può essere
oggetto di sapere si deve tacere».
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Il fatto che il mondo sia
cifra della trascendenza,
“vestigium Dei”, spiega
perché l’esistenza sia nel
mondo e al tempo stesso
fuori del mondo. La fede
filosofica, scrive Jaspers in
La filosofia dell’esistenza
(1938),
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«richiede di essere sempre nel mondo,
a contatto con le cose, di non trovare
nulla di più importante del fare con
tutte le forze e in ogni momento quello
che ha, volta per volta, un valore, per
apprendere da ciò […] la parola sempre
più significativa della trascendenza, e
però dell’aver, nel momento stesso,
sempre presente la nullità del tutto di
fronte alla trascendenza».
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Ed è proprio l’accadere di questa “nullità”, il
naufragio dell’intera sfera dell’esserci e della
stessa esistenza, a costituire paradossalmente
la cifra ultima, la più eloquente, dell’essere,
dalla quale tutte le altre ricevono la loro
estrema conferma. Questo è «sperimentare
l’essere nel naufragio»: certo, occorre per
questo saper “leggere”, in mancanza di che non
rimarrebbe davvero che il nulla e, nella perdita
della trascendenza, la “disperazione radicale”.
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Due ulteriori (tra i tanti
possibili) approfondimenti: uno
sulla “verità” e uno sulla “storia”.
Cominciamo con la questione
della verità. Si diceva sopra che
la trascendenza, inattingibile
alla conoscenza scientifica,
invece si rivela nelle cifre delle
situazioni-limite e nel naufragio
dell’esistenza.
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Ma, si è pure detto, questo
linguaggio cifrato deve venir letto. E
viene letto nell’intimità della
propria esistenza. Per questo,
mentre la verità scientifica è
oggettiva e anonima, quella
filosofica è esistenziale e singola.
Afferma Jaspers: «Dio è sempre il
mio Dio, e io non l’ho in comune
con gli altri uomini».
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Ma se la verità filosofica ha le sue
radici nel profondo della singola
esistenza, come si può comunicarla
agli altri e con quali ragioni può mai
venire selezionata e accettata? Per
Jaspers la “verità”, cioè la
trascendenza, è cercata da tutte le
filosofie, ma essa non è mai l’esclusivo
possesso di un punto di vista.
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Perdersi per ritrovarsi
Certo, la verità è connessa alla
singola esistenza, per questo
essa è unica: io sono la mia
verità. Ma se la verità è unica,
essa è anche molteplice, giacché
la singola esistenza sta insieme
con altre esistenze che hanno
ognuna la propria verità.
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Scrive Jaspers in Ragione ed esistenza:
«L’esistenza diventa manifesta a se stessa e
con ciò reale, se essa con un’altra
esistenza, attraverso di essa e con essa,
giunge a se stessa». In sostanza, la verità
altrui non è tanto una verità opposta alla
mia, quanto piuttosto la verità di un’altra
esistenza che, insieme alla mia, cerca
quella Verità Una, che è al di là di tutte le
verità, è l’orizzonte che le trascende tutte
e verso cui tutte si muovono.
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Di conseguenza, Jaspers evita sia il
dogmatismo e il fanatismo di chi afferma
essere la propria verità l’unica verità; sia il
relativismo e lo scetticismo di chi sostiene
esistere tante verità quante sono le esistenze.
Il filosofo attento «non cade nell’errore della
verità totale e compiuta». Quel che il filosofo
dà non è, quindi, una verità definita; egli
difende sempre, avanzando per una via senza
garanzie, la possibilità della comunicazione
fra le verità delle singole esistenze.
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Proprio a partire da riflessioni del
genere Jaspers sviluppa la sua
critica ai sistemi totalitari (come
quello sovietico o quello nazista),
che presumono di conoscere
l’intero corso della storia, e si
schiera per il mondo libero.
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Nel dominio della libertà, benché
esistano forze negative che tendono
a distruggere la libertà, «il pensiero
filosofico si manifesta in una
grande varietà di modi, dovuti alla
molteplicità delle possibilità». Nel
mondo libero l’individuo, pur con
la sua debolezza, aiuta a sostenere il
tutto, nei regimi totalitari è
oppresso e schiacciato dal tutto.
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Da una parte c’è la libertà di giudizio
del singolo, la quale si esercita nelle
libere discussioni, e dall’altra
l’arrogante censura del potere che
opprime e proibisce: «in opposizione
a una supposta conoscenza totale, la
filosofia ha il dovere di tenere sveglia
la facoltà di pensiero indipendente, e
di conseguenza l’indipendenza
dell’individuo, che il potere
totalitario cerca di soffocare».
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E passiamo al tema della storia.
Proprio la questione della pluralità e
unità della verità ha ispirato a Jaspers
un ripensamento della storia
universale del pensiero che, in
opposizione a un certo eurocentrismo
del suo tempo, abbraccia l’universo
delle civiltà, senza la pretesa
hegeliana che il pensiero occidentale
rappresenti la sintesi della storia
spirituale del mondo.
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Nella sua opera Origine e senso della
storia (1949), egli individua per il
divenire dell’umanità un arco di
tempo, tra il IX e il II sec. a.C., con il
suo fulcro nel VI, da Jaspers
denominata “età assiale (Achsenzeit)
dell’uomo”, durante la quale «vennero
formulate le categorie fondamentali,
secondo cui pensiamo ancor oggi, e
poste le basi delle religioni universali,
di cui vivono tuttora gli uomini».
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Il periodo assiale è già di per sé un
documento inoppugnabile della
trascendenza creativa che regola il
corso collettivo della specie. Scrive
Jaspers: «Un asse della Storia
universale […] dovrebbe essere
situato nel punto in cui fu generato
tutto ciò che, dopo di allora, l’uomo
ha potuto essere, nel punto della più
straripante fecondità nel modellare
l’essere umano».
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E poi: «In questo periodo si concentrano i fatti più
straordinari. […] Tutto ciò che tali nomi [Confucio,
Lao-tzu, Upanishad, Buddha, Zoroastro, Elia, Isaia,
Geremia, Parmenide, Eraclito ...] implicano prese forma
in pochi secoli quasi contemporaneamente in
Cina, in India e nell’Occidente, senza che alcuna
di queste regioni sapesse delle altre. La novità di
quest’epoca è che in tutti e tre i mondi l’uomo
prende coscienza dell’“Essere” nella sua interezza
(umgreifende), di se stesso e dei suoi limiti.
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Viene a conoscere la terribilità del mondo e la propria
impotenza. Pone domande radicali. Di fronte all’abisso
anela alla liberazione e alla redenzione. Comprendendo
coscientemente i suoi limiti si propone gli obiettivi più
alti. Incontra l’assolutezza nella profondità dell’essere-
se-stesso e nella chiarezza della trascendenza. Ciò si
svolse nella riflessione. La coscienza divenne ancora
una volta consapevole di se stessa, il pensiero prese il
pensiero ad oggetto».
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L’età della scienza e della tecnica
che caratterizza il nostro tempo
potrebbe averci introdotti in un
secondo periodo assiale, che pone
l’umanità nella necessità di
trascendersi in forme di vita che
superano le nostre attuali capacità
d’immaginazione.
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La bomba atomica (sul cui significato
etico e politico Jaspers ha scritto un
ponderoso e appassionato volume, La
bomba atomica e il futuro dell’umanità
[1958]) ci pone dinanzi alla alternativa
della morte universale o di un più alto
livello di esistenza: «Niente è da sperare
se lo speriamo dal di fuori, tutto se ci
affidiamo all’origine della trascendenza».
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Da qualunque angolo si osservi, in
quello dello dischiudersi
dell’esserci verso l’essere o in quello
della storia dell’umanità, l’orizzonte
della trascendenza si rivela
impossibile, e cioè senza possibili
rapporti di continuità con il
presente:
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«La trascendenza è, quindi, per noi,
un nulla, solo in quanto tutto ciò
che è riveste per noi il senso
dell’essere determinato. Essa è
invece per noi tutto, in quanto tutto
ciò che nella sfera dell’esserci
determinato è essere per noi, lo è
solo in rapporto alla trascendenza,
o come cifra della trascendenza».
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