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UNIVERSIT ` A CATTOLICA DEL S. CUORE Sede di Brescia Facolt` a di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali FISICA MATEMATICA Appunti a cura di A. Musesti Anno Accademico 2017-2018 Versione del 21 dicembre 2017 Indice 1 Calcolo delle Variazioni 3 1.1 Il caso unidimensionale ................................ 3 1.2 Il caso multidimensionale .............................. 9 2 Princ` ıpi variazionali in Elasticit` a lineare 11 2.1 Energia di deformazione ............................... 12 2.2 Energia complementare ............................... 15 3 Problemi variazionali e spazi funzionali 17 4 Funzioni convesse e semicontinuit` a inferiore 21 5 Metodo diretto del Calcolo delle variazioni 24 5.1 Semicontinuit` a debole ................................ 25 5.2 Convessit` a degli integrandi ............................. 26 6 Esistenza della soluzione per il problema misto dell’elasticit` a lineare 28 7 Dipendenza non lineare da u 30 8 Elasticit` a finita e iperelasticit` a 32 8.1 Materiali isotropi ................................... 35 8.2 Materiali ortotropi .................................. 38 8.3 Materiali trasversalmente isotropi .......................... 39 9 Quasiconvessit` a 40 10 Convessit` a di rango 1 43 11 Policonvessit` a 45 12 Approfondimento sulle funzioni policonvesse 51 1

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UNIVERSITA CATTOLICA DEL S. CUORESede di Brescia

Facolta di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

FISICA MATEMATICA

Appunti a cura di A. Musesti

Anno Accademico 2017-2018

Versione del 21 dicembre 2017

Indice

1 Calcolo delle Variazioni 3

1.1 Il caso unidimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

1.2 Il caso multidimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

2 Princıpi variazionali in Elasticita lineare 11

2.1 Energia di deformazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12

2.2 Energia complementare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15

3 Problemi variazionali e spazi funzionali 17

4 Funzioni convesse e semicontinuita inferiore 21

5 Metodo diretto del Calcolo delle variazioni 24

5.1 Semicontinuita debole . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25

5.2 Convessita degli integrandi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26

6 Esistenza della soluzione per il problema misto dell’elasticita lineare 28

7 Dipendenza non lineare da u 30

8 Elasticita finita e iperelasticita 32

8.1 Materiali isotropi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

8.2 Materiali ortotropi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38

8.3 Materiali trasversalmente isotropi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

9 Quasiconvessita 40

10 Convessita di rango 1 43

11 Policonvessita 45

12 Approfondimento sulle funzioni policonvesse 51

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13 Il teorema di John Ball 54

14 Policonvessita delle energie di Ogden 58

15 Esercizi 62

16 Rilassamento di un funzionale 63

17 Breve cenno alla Γ -convergenza 6617.1 Il caso quadratico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71

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1 Calcolo delle Variazioni

In molte situazioni le soluzioni di un problema alle derivate parziali possono essere vistecome estremali di un opportuno funzionale definito su un opportuno spazio; anzi, talvoltaaddirittura il problema fisico che conduce all’equazione puo in realta formularsi anche comeprincipio variazionale. Il cosiddetto metodo diretto del Calcolo delle Variazioni e uno deglistrumenti matematici che permette di mostrare esistenza e molte altre proprieta dei minimi diun funzionale.

Iniziamo con alcuni richiami. Sia dato un funzionale F definito su uno spazio vettoriale Asul quale per ora non facciamo specificazioni precise. Sia poi B uno spazio di Banach denso inA. Diremo che u ∈ A e un estremale per il funzionale F (o un punto stazionario, o un puntocritico) se per ogni v ∈ B la funzione gu : R×B → R data da

gu(t;v) = F [u+ tv]

verifica la condizione

g′u(0;v) = 0. (1)

Chiaramente, se F ha minimo in u ed e in qualche modo derivabile, allora u sara un estremaleper F . Chiameremo equazione di Eulero-Lagrange per un funzionale F una qualunquecondizione equivalente alla (1).

Nel seguito ci restringeremo solo al caso in cui A e B siano spazi di funzioni e F sia dellaforma

F [u] =

∫ΩF (x,u(x),∇u(x)) dV

dove u : Rn → Rk e una funzione sufficientemente regolare, ∇u denota il complesso dellederivate prime di u, Ω e un aperto di Rn con frontiera regolare (per esempio, C1 a tratti) edV denota l’integrazione rispetto alla misura (di volume) di Lebesgue n-dimensionale L n.

1.1 Il caso unidimensionale

Nel caso n = 1 in cui Ω =]a, b[, abbiamo un funzionale del tipo

F [u] =

∫ b

aF (x,u(x),u′(x)) dx

che si puo anche scrivere

F [u1, ..., uk] =

∫ b

aF (x, u1(x), ..., uk(x), u′1(x), ..., u′k(x)) dx

ossia l’azione lagrangiana di un sistema olonomo a k gradi di liberta.Il problema variazionale, oltre che dall’espressione del funzionale F , dipende fortemente

dal tipo di spazio funzionale sul quale e definito. Per esempio, il caso della lagrangiana di unsistema olonomo da un problema ben preciso quando si cerca la soluzione nello spazio dellefunzioni u : [a, b]→ Rk di classe C2 e tali che u(a) = ua ∈ Rk e u(b) = ub ∈ Rk.

Vediamo un esempio di come ricavare un’equazione di Eulero-Lagrange in questo caso.Durante il corso di Meccanica Analitica abbiamo imparato che le equazioni del moto diLagrange sono proprio le equazioni di Eulero-Lagrange per questo funzionale, sotto alcune

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ipotesi di regolarita; in particolare, la lagrangiana F doveva essere una funzione di classe C2

nelle variabili u′1, . . . , u′k. Vedremo ora una tecnica piu raffinata che permette di indebolire

questa ipotesi, che per alcune applicazioni e a volte troppo restrittiva. Premettiamo un lemmafondamentale.

Lemma 1.1 (DuBois-Reymond). Sia u : [a, b]→ Rk una funzione continua tale che∫ b

au(x) · v′(x) dx = 0

per ogni v ∈ C∞c (]a, b[;Rk). Allora u e costante.

Dimostrazione. Per ogni h > 1, h ∈ N sia ρh : R→ R una funzione positiva di classe C∞ taleche ρh(x) = 0 per |x| > 1/h e ∫ ∞

−∞ρh(x) dx = 1.

Preso poi x ∈]a, b[, sia h ∈ N tale che ]x− 1/h, x+ 1/h[⊆ ]a, b[ per ogni h > h. Allora(1)∣∣∣∣∫ b

aρh(x− ξ)u(ξ) dξ − u(x)

∣∣∣∣ =

∣∣∣∣∫ b

aρh(x− ξ) (u(ξ)− u(x)) dξ

∣∣∣∣ 66∫ b

aρh(x− ξ) |u(ξ)− u(x)| dξ 6 max

|x−ξ|61/h|u(ξ)− u(x)| .

Per la continuita di u esistera ξh ∈]x− 1/h, x+ 1/h[ tale che

max|ξ−x|61/h

|u(ξ)− u(x)| = |u(ξh)− u(x)| .

Ma allora, passando al limite per h→ +∞, abbiamo

∀x ∈]a, b[ : limh→+∞

∫ b

aρh(ξ − x)u(ξ) dξ = u(x). (2)

Siano a questo punto x1, x2 in ]a, b[ e h ∈ N tale che]x1 −

1

h, x1 +

1

h

[∪]x2 −

1

h, x2 +

1

h

[⊆ ]a, b[

per ogni h > h. Poniamo

vh(x) = (u(x2)− u(x1))

∫ x

a(ρh(x2 − ξ)− ρh(x1 − ξ)) dξ;

chiaramente vh e di classe C∞ e nulla fuori da un compatto contenuto in ]a, b[. Pertanto peripotesi abbiamo ∫ b

au(x) · v′h(x) dx = 0,

che significa

(u(x2)− u(x1)) ·[∫ b

aρh(x2 − ξ)u(ξ) dξ −

∫ b

aρh(x1 − ξ)u(ξ) dξ

]= 0.

(1)La funzione (di x)∫ρh(x− ξ)u(ξ) dξ si chiama convoluzione e viene spesso denotata col simbolo ρh ∗ u.

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Passando al limite per h→ +∞, dalla (2) segue che∫ b

aρh(xi − ξ)u(ξ) dξ → u(xi), i = 1, 2,

e quindi |u(x2)− u(x1)|2 = 0, cioe u e costante su ]a, b[. Per continuita deve essere costanteanche su [a, b].

Corollario 1.2. Siano u,U : [a, b]→ Rk due funzioni continue tali che∫ b

a

[U(x) · v′(x) + u(x) · v(x)

]dx = 0

per ogni v ∈ C∞c (]a, b[;Rk). Allora U ∈ C1(]a, b[,Rk) e U ′ = u.

Dimostrazione. Poniamo

V (x) =

∫ x

au(ξ) dξ;

la funzione V e di classe C1. Per ogni v ∈ C∞c (]a, b[;Rk) si ha, integrando per parti,∫ b

a[U(x)− V (x)] · v′(x) dx =

∫ b

a

[U(x) · v′(x) + V ′(x) · v(x)

]dx

=

∫ b

a

[U(x) · v′(x) + u(x) · v(x)

]dx = 0.

Ma allora dal lemma precedente si ha che U −V e costante, per cui U e di classe C1 e inoltre

U ′(x) = V ′(x) = u(x).

Naturalmente vale anche il viceversa del corollario precedente.

Nel seguito, se F : Rm → R porremo per brevita

∂F

∂u=

(∂F

∂u1, . . . ,

∂F

∂uk

).

Teorema 1.3. Sia F il funzionale definito, sullo spazio delle funzioni di classe C1, da

F [u] =

∫ b

aF (x,u(x),u′(x)) dx,

dove F e una funzione continua nella variabile x e di classe C1 nelle variabili u e u′.Allora u e un estremale per F se e solo se verifica l’equazione differenziale

d

dx

∂F

∂u′(x,u(x),u′(x)) =

∂F

∂u(x,u(x),u′(x)). (3)

Dimostrazione. Calcoliamo g′u(t;v), dove v e una funzione in C∞c (]a, b[;Rk). Abbiamo

gu(t;v) =

∫ b

aF (x,u(x) + tv(x),u′(x) + tv′(x)) dx

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per cui

g′u(0;v) =

∫ b

a

[∂F

∂u(x,u,u′) · v +

∂F

∂u′(x,u,u′) · v′

]dx.

A questo punto e chiaro che se u e un estremale per F , si ha g′u(0;v) = 0 per ogni v e dallaproposizione precedente si trae che ∂F

∂u′ e di classe C1 e la tesi. E viceversa.

Si noti che, nel caso un cui F sia la lagrangiana di un sistema meccanico olonomo, la (3)corrisponde proprio alle equazioni del moto di Lagrange.

Osservazione 1.4. Se u e un punto stazionario di classe C2, si ha

d

dx

(u′ · ∂F

∂u′− F

)= u′′ · ∂F

∂u′+ u′ · d

dx

∂F

∂u′− ∂F

∂x− ∂F

∂u· u′ − ∂F

∂u′· u′′− = −∂F

∂x.

Quindi se F non dipende esplicitamente da x la quantita a primo membro e un integrale primo(ovvero una quantita conservata) e puo sostituire una delle equazioni di Eulero-Lagrange. ?

Esempio 1.5 (Superficie minima di rivoluzione). Consideriamo il problema di trovareuna curva congiungente due punti dati di un piano in modo che il solido ottenuto dallarotazione del piano stesso attorno a una data retta non passante per il segmento congiungentei due punti abbia superficie laterale minima.

Se si prende per asse x l’asse di rotazione e i punti hanno coordinate (−h, u1) e (h, u2),dalla condizione data si deve avere u1u2 > 0. Se indichiamo con u : [−h, h]→ R la funzioneche da l’equazione della curva, l’area della superficie laterale del solido e data, secondo leformule della Geometria differenziale, da

F [u] = 2π

∫ h

−hu(x)

√1 + u′2(x) dx,

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da cui si vede che k = 1, ossia che ci troviamo nel caso scalare. L’equazione di Eulero-Lagrangedi questo problema e

d

dx

u(x)u′(x)√1 + u′2(x)

=√

1 + u′2(x).

Poiche F non dipende esplicitamente da x, per l’Osservazione 1.4 si ha

u(x)u′2(x)√1 + u′2(x)

− u(x)√

1 + u′2(x) = −C.

Questa identita si puo anche scrivere

u(x) = C√

1 + u′2(x) (4)

e quindi dall’equazione di Eulero-Lagrange segue

d

dx(Cu′(x)) =

u(x)

C

ossia

u′′(x)− 1

C2u(x) = 0.

Le soluzioni di questa equazione sono della forma

u(x) = Aex/C +Be−x/C

che pero contengono una costante sovrabbondante. Imponendo infatti la (4) si trova con facilipassaggi

4AB = C2

e quindi, ponendo

A =C

2e−K/C , B =

C

2eK/C

troviamo

u(x) =C

2(exp((x−K)/C) + exp(−(x−K)/C)) = C cosh

x−KC

.

Imponendo le condizioni u(−h) = u1 e u(h) = u2 si trovano delle relazioni per K e C. Se essesono risolubili in queste incognite, avremo trovato degli estremali per il funzionale dato. Lacurva cercata e, in questi casi, una catenaria.

Osserviamo che la soluzione non sempre esiste: per esempio, se u(−h) = u(h) = R,imponendo la condizione u(−h) = u(h) si trova facilmente, dalla parita del coseno iperbolico,che K = 0. Dunque resta da verificare

C coshh

C= R,

che, posto z = h/C, conduce a

cosh z =R

hz. (5)

Siccome da uno studio grafico si vede facilmente che l’equazione non ammette soluzioni perR/h piccolo, troviamo che in alcuni casi il problema non ammette una soluzione regolare

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(anche se l’estremo inferiore dei valori di F esiste, ed e pari a 2πR2, ma non corrispondeal grafico di una funzione). Negli altri casi, dallo studio grafico si trova che l’equazione (5)ammette due soluzioni (tranne che nel caso di tangenza), e quindi tra queste bisogna cercarequella che da l’area minima. Calcolando

A = 2π

∫ h

−hC cosh2 x

Cdx = · · · = πC2

[sinh

2h

C+

2h

C

]e sostituendo i due valori di C trovati si puo stabilire quale delle due soluzioni dia l’areaminima. ?

Esempio 1.6 (Brachistocrona). Consideriamo ora il problema che storicamente ha datoorigine al Calcolo delle Variazioni: quello di trovare la cosiddetta brachistocrona, ovvero lacurva congiungente due punti in un piano verticale che minimizza il tempo di percorrenza diun punto che, partendo da fermo, scorre su di essa, senza attrito, sottoposto alla forza-peso.

Prendiamo l’asse x orizzontale e l’asse y rivolto verso il basso. Poniamo il punto di partenzanell’origine e quello di arrivo in (b, β) con b, β > 0. Supponiamo che la curva sia il grafico diuna funzione u : [0, b]→]0,+∞[. Dalla conservazione dell’energia meccanica si ha

1

2mv2 −mgu(x) = E = 0

da cui si ricava la nota legge v =√

2gu(x). Quindi si ha

dt =ds

v=

√1 + u′(x)2√

2gu(x).

Integrando si ottiene

T =1√2g

∫ b

0

√1 + u′(x)2√u(x)

dx,

che deve essere minimizzato. Quindi bisogna trovare i punti critici del funzionale∫ b

0F (u(x), u′(x)) dx, F (u, u′) =

√1 + u′2√u

che non dipende esplicitamente da x (abbiamo tolto il fattore 1/√

2g). L’integrale primo e√

1 + u′2√u

− u′ u′√u√

1 + u′2= c ⇒ 1

√u√

1 + u′2= c

che possiamo riscrivere, ponendo 2R = 1/c2, come

u(1 + u′2) = 2R.

Si puo mostrare che sono soluzioni dell’equazione differenziale le cicloidi(2) di equazione

u(x) = R(

1− cos θ−1( xR

))(2)In forma parametrica una cicloide ha equazione

x = R(t− sin t)

y = R(1− cos t)

dove R e il raggio della circonferenza che genera la cicloide.

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dove θ(t) = t− sin t. Poiche si ha gia u(0) = 0, resta solo da trovare R in modo che u(b) = β.

β

β

β

b

y

x

?

1.2 Il caso multidimensionale

Veniamo ora al caso delle funzioni di piu variabili, cioe n > 1, e con incognita scalare, cioek = 1. In questo caso non possiamo piu ridurre la regolarita della funzione, come abbiamofatto nel caso scalare, e la tecnica da usare e molto simile a quella della Meccanica Analitica.Il lemma che segue quindi e una versione semplificata del lemma di DuBois-Reymond, adattaal caso multidimensionale.

Lemma 1.7. Sia Ω un dominio regolare in Rn e sia u : Ω → R una funzione continua. Seper ogni funzione v ∈ C∞c (Ω) si ha ∫

Ωu(x) v(x) dV = 0

allora u = 0.

Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che esista x ∈ Ω tale che u(x) > 0. Allora, siccomeu e continua, esistera una palla B(x, δ) di centro x e raggio δ contenuta in Ω sulla qualeu > 0. Prendendo allora per v una funzione C∞c nulla fuori da B(x, δ) e positiva all’interno, siotterrebbe che l’integrale non e nullo, contro l’ipotesi.

Teorema 1.8. Una funzione u : Ω → Rk di classe C2 e punto stazionario del funzionale

F [u] =

∫ΩF (x,u,∇u) dV (6)

(con F di classe C2 nei suoi argomenti) se e solo se

div

(∂F

∂∇u

)=∂F

∂u,

dove ∂F/∂(∇u) e il tensore di componenti ∂F/∂(∂ui/∂xk).

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Dimostrazione. Calcoliamo la funzione g′(t;v) per v ∈ C∞c (Ω;Rk):

g′(0;v) =

∫Ω

[∂F

∂u· v +

∂F

∂∇u· ∇v

]dV.

Ora trasformiamo il secondo integrale usando la formula

T · ∇v = div(T′v)− v · divT

con T = ∂F/∂∇u e troviamo

g′(0;v) =

∫Ω

[∂F

∂u− div

∂F

∂∇u

]v dV +

∫Ω

div

(( ∂F

∂∇u

)′v

)dV.

Trasformiamo ora l’ultimo integrale usando il teorema della divergenza; denotando con dSl’integrazione nella misura (di superficie) di Hausdorff (n− 1)-dimensionale H n−1, scopriamoche ∫

Ωdiv

(( ∂F

∂∇u

)′v

)dV =

∫∂Ωv(x) · ∂F

∂∇u(x)n(x) dS = 0

in quanto v = 0 sul bordo di Ω. Quindi

g′(0;v) =

∫Ω

[∂F

∂u− div

∂F

∂∇u

]· v dV ;

per cui una parte dell’enunciato e dimostrata. Il viceversa segue invece dal Lemma 1.7, dopoaver osservato che la funzione tra parentesi quadre e continua in x.

Pertanto l’equazione

div∂F

∂∇u=∂F

∂u

e l’equazione di Eulero-Lagrange per il funzionale (6). Si noti che l’equazione e stata ottenutanell’ipotesi di F di classe C2, mentre nel caso unidimensionale le richieste sulla regolarita di Ferano piu deboli.

Esempio 1.9. Consideriamo il funzionale

F [u] =1

2

∫Ω

[|∇u|2 + f · u

]dV

dove f : Ω → Rk e un campo vettoriale continuo assegnato.

Allora∂F

∂∇u= ∇u, ∂F

∂u= f

e quindi l’equazione di Eulero-Lagrange per questo funzionale e

div∇u = ∆u = f ,

che e l’equazione di Poisson vettoriale. Accanto a questa equazione va considerata la condizioneal contorno, che di solito e codificata nello spazio funzionale in cui si cerca la soluzione. ?

10

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Esempio 1.10. Se consideriamo invece il funzionale con

F (x,u,∇u) =1

p|∇u|p + f · u (p > 1)

avremo∂F

∂∇u= |∇u|p−1 ∇u

|∇u|= |∇u|p−2∇u

e quindi l’equazione di Eulero-Lagrange in questo caso e

div(|∇u|p−2∇u) = f .

L’operatore differenziale (a valori vettoriali) div(|∇u|p−2∇u) viene denotato con ∆pu e sichiama p-laplaciano. Nel caso p 6= 2 esso non e lineare. ?

Esempio 1.11. Consideriamo il funzionale

F [u] =1

2

∫Ω

[l(divu)2 +m∇u : ∇u+m∇uT : ∇u− 2ρ0b · u

]dV

dove ρ0b e un campo assegnato.In questo caso calcolando l’equazione di Eulero ritroviamo l’equazione di Navier

(l +m)∇ divu+m∆u+ ρ0b = 0. ?

2 Princıpi variazionali in Elasticita lineare

Richiamiamo il problema misto statico ai valori al contorno in elasticita lineare

div S + ρ0b = 0 in Ω

S = C[E], E =1

2(∇u+∇uT)

u = u0 su Γ0

Sn = s su Γ1

Γ0 ∪ Γ1 = ∂Ω, Γ0 ∩ Γ1 = ∅

(PM)

nel quale ricordiamo che u rappresenta il campo di spostamento (piccolo rispetto alla configu-razione di riferimento), ρ0 la densita (assegnata), b il campo di forze di volume (assegnate),S il tensore di Piola-Kirchhoff e C il tensore quadruplo di elasticita. Ad esempio, per unmateriale isotropo C ha la forma

S = C[E] = l(trE)I + 2mE. (7)

Ricordiamo anche che C manda tensori simmetrici in tensori simmetrici e che e nullo suitensori antisimmetrici. Inoltre si suppone usualmente che C soddisfi la grande simmetria,ovvero che sia autoaggiunto rispetto al prodotto scalare dei tensori simmetrici:

C[E1] · E2 = E1 · C[E2].

In questo paragrafo supporremo valide le seguenti condizioni di regolarita:

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(1) Ω e un dominio connesso con frontiera regolare;

(2) x 7→ C(x) e una funzione regolare su Ω;

(3) x 7→ b(x) e continua su Ω;

(4) x 7→ u0(x) e continua su Γ0;

(5) x 7→ s(x) e regolare a tratti su Γ1

e la seguente condizione di positivita:

C e definita positiva, ossia

∀E ∈ Sym(Rn) : E : C[E] > 0,

E : C[E] = 0 se e solo se E = 0.

2.1 Energia di deformazione

Definizione 2.1. Se E e un campo tensoriale simmetrico su Ω, poniamo

UC[E] =1

2

∫ΩE : C[E] dV

che viene detta energia di deformazione.

Proposizione 2.2. L’energia di deformazione verifica l’identita

UC[E1 + E2] = UC[E1] + UC[E2] +

∫ΩE1 : C[E2] dV.

Dimostrazione. Poiche C : Sym(Rn)→ Sym(Rn) e vale la grande simmetria, abbiamo

E1 : C[E2] = E2 : C[E1]

e quindi

(E1 + E2) : C[E1 + E2] = E1 : C[E1] + E2 : C[E2] + 2E1 : C[E2]

da cui la tesi.

Definizione 2.3. Diremo che uno spostamento u e cinematicamente ammissibile per ilproblema elastico (PM) se vale

u(X)∣∣∣Γ0

= u0.

Denotiamo con S l’insieme degli spostamenti cinematicamente ammissibili per il problemaelastico (PM).

Ricordiamo che uno spostamento rigido infinitesimo e uno spostamento u tale che

u(x) = u(y) + ω × (x− y).

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Lemma 2.4. Siano dati due campi di spostamento u1,u2 e siano E1,E2 i corrispondentitensori di deformazione. Allora

E1 = E2 se e solo se u1 − u2 e uno spostamento rigido infinitesimo.

Dimostrazione. Poniamo u = u1 − u2; allora E = (∇u+∇uT)/2 e nullo. La tesi consiste nelvedere che cio e equivalente a vedere che u e spostamento rigido infinitesimo.

Se E = 0, allora ∇u(x) = W(x), con W antisimmetrica. Presi x,y in una palla aperta delcorpo, e detto ` il segmento che li congiunge, abbiamo

u(y)− u(x) =

∫`W(ξ) dξ =

∫ 1

0W(x+ t(y − x))(y − x) dt.

Da qui, moltiplicando scalarmente per y − x e ricordando l’antisimmetria, troviamo subito

(u(x)− u(y)) · (x− y) = 0.

Prendendo il gradiente di questa identita rispetto a x abbiamo allora

∇u(x)T(x− y) + u(x)− u(y) = WT(x)(x− y) + u(x)− u(y) = 0

e prendendo il gradiente rispetto a y risulta

W(x)−W(y) = 0

dal che si trae che W e costante. Ma allora

u(x) = u(y) + ω × (x− y)

cioe u e spostamento rigido infinitesimo. Il viceversa e ovvio.

Teorema 2.5 (Principio di minima energia potenziale). Sia

Φ[u] = UC[E]−∫Ωρ0b · u dV −

∫Γ1

s · u dS

e sia u ∈ S una soluzione di (PM). Allora per ogni spostamento u′ ∈ S si ha

Φ[u] 6 Φ[u′]

e l’uguaglianza vale se e solo se u′ = u a meno di uno spostamento rigido infinitesimo.

Dimostrazione. Poniamo u = u′ − u, e conseguentemente

E = E′ − E, S = S′ − S, u|Γ0= 0.

A questo punto dalla Proposizione 2.2 applicata a E′ segue

UC[E′]− UC[E] = UC[E] +

∫ΩS : E dV.

Ma dal Teorema di Gauss-Green si ha∫ΩS : E dV =

∫Γ1

Sn : u dS −∫Ωu · div S dV

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e dunque

Φ[u′]− Φ[u] = UC[E]−∫Ω

(div S + ρ0b) · u dV +

∫Γ1

(Sn− s) · u dS.

Siccome pero u e soluzione del problema, abbiamo

Φ[u′]− Φ[u] = UC[E] =1

2

∫ΩE : C[E] dV.

Dalla positivita di C si trae allora Φ[u] 6 Φ[u′]. Se poi Φ[u] = Φ[u′], allora E = 0, cioe, per ilLemma 2.4, u = u′ − u e uno spostamento rigido infinitesimo.

Il principio di minima energia potenziale dice che ogni soluzione del problema elastostati-co (PM) rende minima la differenza tra l’energia di deformazione e il lavoro compiuto dalleforze esterne (sia di volume che di superficie). Dal teorema ora dimostrato segue facilmente il

Teorema 2.6 (di unicita). La soluzione del problema misto (PM), se esiste, e unica a menodi uno spostamento rigido infinitesimo.

Dimostrazione. Basta osservare che, dette u1,u2 due soluzioni, si deve avere

Φ[u1] 6 Φ[u2], Φ[u2] 6 Φ[u1],

e quindi Φ[u1] = Φ[u2]. Ma allora u1 − u2 e uno spostamento rigido infinitesimo.

Vogliamo ora dimostrare l’inverso del principio di minima energia potenziale. Per questoserve una generalizzazione del Lemma 1.7.

Lemma 2.7. Sia Γ1 una superficie regolare a tratti e sia u : Γ1 → Rn una funzione continuae tale che ∫

Γ1

u · v dS = 0

per ogni funzione di classe C∞ su Ω e tale che esista un intorno di Γ0 su cui v = 0. Allorau = 0 su Γ1.

Dimostrazione. Sia x0 un punto regolare di Γ1, interno a Γ1 nella topologia indotta sul bordo.In componenti rispetto a una base ortonormale sara u(x) = ui(x)ei. Supponiamo per assurdoche uk(x0) > 0. Allora, per continuita, cio sara vero anche in una palla di centro B(x0, r),intersecata con Γ1. Presa ϕ ∈ C∞c (B(x0, r)) con ϕ > 0 e ϕ(x0) > 0, poniamo v = ϕek. Allorav ∈ C∞ su Ω e v = 0 su un intorno di Γ0, pero

0 =

∫Γ1

u · v dS =

∫Γ1∩B(x0,r)

ukϕdS > 0

che e assurdo. Al variare di x0, dalla regolarita a tratti di u, si trae la tesi.

Chiaramente, ragionando in componenti, un risultato analogo vale per funzioni a valoritensoriali, o tensoriali simmetriche. Siamo ora in grado di dimostrare il

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Teorema 2.8 (Inverso del principio di minima energia potenziale). Sia u ∈ S unospostamento cinematicamente ammissibile, e supponiamo che

∀u′ ∈ S : Φ[u] 6 Φ[u′].

Allora u e a una soluzione del problema misto.

Dimostrazione. Sia u un arbitrario campo vettoriale C∞ che si annulla in un intorno di Γ0 eponiamo u′ = u+ u. Si ha allora che u′ appartiene ad S . Poiche

Φ[u′]− Φ[u] = UC[E]−∫Ω

(div S + ρ0b) · u dV +

∫Γ1

(Sn− s) · u dS

avremo

0 6 UC[E]−∫Ω

(div S + ρ0b) · u dV +

∫Γ1

(Sn− s) · u dS.

Sostituendo αu a u (e di conseguenza αE a E), troviamo

0 6 α2UC[E]− α∫Ω

(div S + ρ0b) · u dV + α

∫Γ1

(Sn− s) · u dS

e dall’arbitrarieta di α troviamo∫Ω

(div S + ρ0b) · u dV +

∫Γ1

(Sn− s) · u dS = 0.

Considerando ora un campo u ∈ C∞c (Ω;R3), il secondo integrale nella precedente relazione siannulla e ∫

Ω(div S + ρ0b) · u dV = 0,

per cui dal Lemma 1.7 seguediv S + ρ0b = 0

in Ω. A questo punto riprendiamo u come all’inizio, quindi vale∫Γ1

(Sn− s) · u dS = 0

per ogni campo u di classe C∞ che si annulla vicino a Γ0. Dal Lemma 2.7 abbiamo allora cheSn = s su Γ1, quindi u e una soluzione del problema misto.

2.2 Energia complementare

Un risultato di Algebra Lineare afferma che quando il tensore elastico e definito positivo, si puo invertire lasua restrizione a Sym(Rn):

H = C−1

che viene detta tensore di conformita (compliance tensor). Per esempio, nel caso di un corpo isotropo, dalla (7)segue

trS = 3l trE + 2m trE

e quindi

E = − l

2m(3l + 2m)(trS)I +

1

2mS = H[S].

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In questo modo e possibile anche definire l’energia di sforzo

UH[S] =1

2

∫Ω

S : H[S] dV.

Dalla commutativita del prodotto scalare appare poi evidente che

UC[E] = UH[C[E]].

Vale poi una proprieta analoga a quella della Proposizione 2.2.

Introduciamo una nozione di ammissibilita per gli sforzi.

Definizione 2.9. Diremo che un campo tensoriale simmetrico regolare S e uno sforzo staticamente ammissibileper il problema elastico (PM) se valgono le relazioni

div S + ρ0b = 0 in Ω, Sn = s in Γ1.

In maniera, per cosı dire, duale rispetto alla sezione precedente, si puo dimostrare il

Teorema 2.10 (Principio di minima energia complementare). Sia

Ψ[S] = UH[S]−∫Γ0

Sn · u0 dS

e sia S il campo di sforzi corrispondente a una soluzione del problema misto ai valori al contorno. Allora perogni altro campo di sforzo staticamente ammissibile si ha

Ψ[S] 6 Ψ[S′]

e l’uguaglianza vale se e solo se S′ = S.

Dimostrazione. Abbiamo

UH[S′]− UH[S] = UH[S′ − S] +

∫Ω

(S′ − S) : E dV

e stavolta, siccome div(S′ − S) = 0 e (S′ − S)n|Γ1= 0, avremo∫

Ω

(S′ − S) : E dV =

∫Γ0

(S′ − S)n · u dS =

∫Γ0

(S′ − S)n · u0 dS

in quanto u = u0 su Γ0. Ne segue facilmente che

Ψ[S′]−Ψ[S] = UH[S′ − S]

e l’asserto segue dalla positivita di H.

Il principio di minima energia complementare dice che lo sforzo corrispondente a una soluzione del problemaelastostatico (PM) rende minima la differenza tra l’energia di sforzo e il lavoro compiuto sullo spostamentoprescritto. Enunciamo anche il

Teorema 2.11 (Inverso del principio di minima energia complementare). Sia Ω semplicemente con-nesso e convesso rispetto a Γ0 (nel senso che ogni segmento congiungente due punti arbitrari di Γ0 non ha altreintersezioni con ∂Ω). Sia S uno sforzo staticamente ammissibile tale che

Ψ[S] 6 Ψ[S′]

per ogni altro sforzo staticamente ammissibile S′. Allora S e lo sforzo corrispondente a una soluzione delproblema misto (PM).

Per la sua dimostrazione si puo vedere [Gurtin72, Sect. 36].

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3 Problemi variazionali e spazi funzionali

Sin qui non abbiamo fatto cenno al problema dell’esistenza di funzioni minimizzanti gliintegrali che sono via via comparsi, e neppure di estremali. In effetti, puo benissimo capitareche esistano funzionali inferiormente limitati per i quali non esiste un minimo, perlomeno nellaclasse delle funzioni per il quale l’integrale ha senso.

Esempio 3.1. Consideriamo il seguente funzionale per l’incognita u : [−1, 1]→ R:

F [u] =

∫ 1

−1x4u′2(x) dx.

Ci proponiamo di trovare un minimo di questo funzionale tale che u(−1) = −1, u(1) = 1.Constatiamo subito che il funzionale e inferiormente limitato da zero.

L’equazione di Eulero-Lagrange per questo funzionale e

d

dx(x4u′(x)) = 0,

la quale, integrata, da

u(x) = − Ax3

+B

e che imponendo le condizioni date, fornisce

u(x) =1

x3.

e ora evidente che questa soluzione non e di classe C2, ne puo minimizzare il funzionale dato,in quanto il modulo della derivata tende all’infinito in un intorno dell’origine.

Ma non e tutto: se si considerano 0 < ε < 1 e la funzione

vε(x) =

−1 x 6 −εx

ε−ε < x < ε

1 x > ε

si vede subito che

F [vε] =2

5ε3.

Pertanto il valore del funzionale puo essere reso piccolo a piacere, ma non e possibile passareal limite per ε→ 0+, in quanto si otterrebbe la funzione

v0(x) =

−1 x < 0

1 x > 0

che non e continua, quindi neppure di classe C1. Per la verita nemmeno le funzioni vε sono diclasse C1, ma e possibile modificare il discorso fatto sopra (per esempio, prendendo sin(πx/2ε)in luogo di x/ε) senza alterare la qualita del risultato.

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Infine, ci rendiamo conto che se si rinuncia a chiedere che la derivata della funzione limiteesista ovunque, ma ci si accontenta che esista quasi ovunque, allora la funzione v0 e il minimodel funzionale dato, cosı come anche tutte le funzioni del tipo

v0(x) =

−1 x < α

1 x > α

con α ∈]0, 1[. ?

Da questo esempio appaiono evidenti due cose: primo, che il fatto che un funzionale siainferiormente limitato non assicura l’esistenza del minimo e, secondo, che se si vuole passareal limite su una successione minimizzante di funzioni puo servire una nozione di convergenzadiversa da quella delle funzioni continue con derivate continue.

Per questo richiamiamo brevemente alcune nozioni di convergenza che ci saranno indispen-sabili in seguito.

Definizione 3.2. Sia X uno spazio di Banach, X∗ il suo duale topologico. Diremo che unasuccessione (xh)h∈N converge debolmente a x ∈ X (e scriveremo xh x) se per ogni x∗ ∈ X∗si ha

〈x∗, xh〉 → 〈x∗, x〉.

Diremo poi che una successione (x∗h)h∈N converge debolmente* a x∗ ∈ X∗ (e scriveremo

x∗h∗ x∗) se per ogni x ∈ X si ha

〈x∗h, x〉 → 〈x∗, x〉.

Si dimostra in Analisi Funzionale il seguente risultato.

Teorema 3.3. Sia X uno spazio di Banach. Allora valgono i seguenti fatti:

(1) Se xh x, allora la successione ‖xh‖ e limitata, e

‖x‖ 6 lim infh‖xh‖;

(2) Se x∗h∗ x∗, allora la successione ||x∗h||X∗ e limitata, e

‖x∗‖X∗ 6 lim infh‖x∗h‖X∗ ;

(3) Se xh → x, allora xh x;

(4) Se x∗h → x∗, allora x∗h∗ x∗.

Ma la proprieta principale della convergenza debole sta nel seguente teorema, valido perspazi riflessivi.(3)

Teorema 3.4. Se X e riflessivo e una successione (xh)h∈N in X e limitata, allora esistonox ∈ X e una sottosuccessione (xhk)k∈N della successione data tali che xhk x.

(3)Ricordiamo che uno spazio di Banach si dice riflessivo se e isomorfo al suo spazio biduale, ovvero al dualetopologico del suo duale topologico.

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Il teorema precedente e anche una caratterizzazione degli spazi riflessivi, ovvero: se ognisuccessione limitata ammette una sottosuccessione debolmente convergente, allora lo spazio eriflessivo (Teorema di Kakutani).

Osservazione 3.5. Nell’importante caso X = Lp(Ω), Ω aperto di Rn, e noto che se 1 6 p <∞, allora X∗ = Lp

′(Ω), dove 1

p + 1p′ = 1. (Lo spazio duale di L∞(Ω) e invece strettamente

piu grande di L1(Ω)). Quindi la convergenza debole si esprime con∫Ωfh(x)g(x) dV →

∫Ωf(x)g(x) dV per ogni g ∈ Lp′(Ω)

In particolare, se 1 < p <∞ si ha che Lp(Ω) e uno spazio riflessivo.Si noti che la convergenza debole non e stabile per composizione con mappe non lineari:

puo benissimo capitare chefh f ma f2h 6 f2. ?

Esempio 3.6. Si consideri la successione di funzioni fh ∈ Lp(0, 1) definite da

fh(x) := sin(2πhx).

Allora si puo dimostrare che (fh) e limitata in Lp e fh 0 in Lp per ogni 1 < p <∞,(4) anchese fh 6→ 0 (la successione non converge puntualmente, neanche a meno di sottosuccessioni).

Piu in generale, se f ∈ Lploc(R) e una funzione 1-periodica e si definisce la successione

fh(x) := f(hx),

si ha

‖fh‖pp =

∫ 1

0|fh(x)|p dx =

∫ 1

0|f(hx)|p dx =

∫ 1

0|f(y)|p dy

dove abbiamo effettuato il cambio di variabile hx = y e sfruttato la 1-periodicita di f . Quindi(fh) e limitata in Lp(0, 1) e dunque converge debolmente. Piu precisamente, si puo dimostrareche fh f in Lp, dove la costante f e data dalla media di f :

f :=

∫ 1

0f(x) dx

(si veda l’Appendice in [Ball & Murat]). ?

Veniamo ora alla definizione che maggiormente ci interessa, ossia quella degli spazi diSobolev. Introduciamo preliminarmente l’insieme

W 1,1loc (Ω) =

u ∈ L1

loc(Ω) : esistono wj ∈ L1loc(Ω) tali che∫

Ωu∂f

∂xjdV = −

∫Ωfwj dV ∀j = 1, . . . , n, ∀f ∈ C∞c (Ω) .

Non e difficile osservare che le funzioni wj sono univocamente determinate. Esse prendonoil nome di derivate di u nel senso delle distribuzioni o derivate deboli.(5) E anche facile

(4)Domanda: che cosa succede alla successione f2h?

(5)Osserviamo che questa definizione, pur coincidendo formalmente con quella di derivata di una distribuzione,e piu restrittiva in quanto le funzioni e le loro derivate sono vere e proprie funzioni (a meno della solita classedi equivalenza in Lp).

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vedere, usando il teorema di Gauss-Green, che se u ∈ C1(Ω), allora la derivata debole e quellaordinaria coincidono. Per questo, se non vi e pericolo di confusione, si usano gli stessi simboliper le derivate deboli e quelle ordinarie.

Esempio 3.7. La funzione |x| sta in W 1,1loc (R) e la sua derivata debole e

v0(x) =

−1 x < 0

1 x > 0

Infatti, se f ∈ C∞c (R), abbiamo facilmente∫R|x| f ′(x) dx = −

∫ 0

−∞xf ′(x) dx+

∫ ∞0

xf ′(x) dx

=

∫ 0

−∞f(x) dx−

∫ ∞0

f(x) dx = −∫Rv0(x)f(x) dx. ?

Poniamo poi

W 1,ploc (Ω) =

u ∈W 1,1

loc (Ω) : u,∂u

∂xj∈ Lploc(Ω), (j = 1, . . . , n)

.

Se u e poi a valori in Rk, scriveremo W 1,1loc (Ω;Rk), o anche (W 1,1

loc (Ω))k o W 1,1loc (Ω).

Definizione 3.8. Sia p ∈ [1,∞]. Poniamo

W 1,p(Ω) =

u ∈W 1,1

loc (Ω) : u,∂u

∂xj∈ Lp, (j = 1, . . . , n)

.

W 1,p(Ω) si dira spazio di Sobolev.

Se p = 2, e usuale la notazione W 1,2(Ω) = H1(Ω). Le norme introdotte in questi spazisono(6)

‖u‖1,p =(‖u‖pLp + ‖∇u‖pLp

)1/p‖u‖1,∞ = max‖u‖∞, ‖∇u‖∞

Si dimostra in Analisi Funzionale che gli spazi sopra introdotti, con le rispettive norme,sono spazi di Banach, separabili se p 6= ∞ e riflessivi se p 6= ∞ e p 6= 1. H1(Ω) e poi unospazio di Hilbert riflessivo, dotato del prodotto scalare

(u, v)1,2 = (u, v)L2 + (∇u,∇v)L2

che induce la norma sopra introdotta.Infine, se si completa lo spazio C∞c (Ω) rispetto alla norma di W 1,p(Ω) (p 6=∞) si trovano

i cosiddetti spazi W 1,p0 (Ω). Essi risultano essere spazi di Banach con le stesse proprieta di

separabilita e riflessivita dei loro omologhi. In particolare H10 (Ω) = W 1,2

0 (Ω) e uno spazio diHilbert separabile.

(6) Si intende che ‖v‖pLp =∫Ω

∑nj=1 |vj |

p per 1 6 p <∞ e che ‖v‖∞ = maxj ‖vj‖.

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L’importanza di questi spazi sta nel fondamentale risultato che segue, che e l’unione delteoremi di immersione di Sobolev e Morrey e del teorema di compattezza di Rellich, che dannocondizioni affinche una funzione che sta in uno spazio di Sobolev sia anche in qualche Lq(Ω) eche da successioni limitate si possano estrarre sottosuccessioni convergenti.

Poniamo per brevita p∗ il numero (eventualmente ∞) tale che

1

p− 1

p∗=

1

n.

Teorema 3.9 (di Sobolev-Rellich-Morrey). Sia Ω un aperto limitato con frontiera diLipschitz e sia p ∈ [1,∞]. Allora

(1) se 1 6 p < n, allora

W 1,p(Ω) ⊆ Lq per ogni 1 6 q 6 p∗

e l’immersione e compatta se 1 6 q < p∗;

(2) se p = n, alloraW 1,p(Ω) ⊆ Lq per ogni 1 6 q <∞

e l’immersione e compatta;

(3) se p > n, alloraW 1,p(Ω) ⊆ C(Ω)

e l’immersione e compatta.

Osservazione 3.10. In realta “l’unione” fatta qui sopra e riduttiva rispetto all’insieme deirisultati dei tre teoremi; abbiamo citato solo quello di cui necessiteremo in seguito. Per unadiscussione piu completa si veda [Degiovanni]. ?

Concludiamo con un corollario molto importante del Teorema di Sobolev valido per undominio a misura finita.

Corollario 3.11 (Disuguaglianza di Poincare). Per ogni p ∈ [1,∞[ e per ogni Ω a mi-sura finita si ha per ogni u ∈W 1,p

0 (Ω)

‖u‖p 6 CΩ‖∇u‖p

e dunque‖u‖1,p 6 CΩ‖∇u‖p.

4 Funzioni convesse e semicontinuita inferiore

Nel Calcolo delle Variazioni ci si e presto resi conto che i funzionali convessi giocano unruolo principale. Non a caso tutti i funzionali introdotti finora sono convessi. Per questoci servono alcune definizioni e risultati in proposito. Si veda [Brezis, Capitolo 1] per alcunedimostrazioni.

Definizione 4.1. Sia X uno spazio di Banach e sia f : X → R una funzione.

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(i) f si dice inferiormente semicontinua in x se per ogni successione (xh) che converge a xsi ha

f(x) 6 lim infxh→x

f(xh).

(ii) f si dice convessa se per ogni x, y ∈ X, λ ∈ [0, 1], si ha

f(λx+ (1− λ)y) 6 λf(x) + (1− λ)f(y).

(iii) Il dominio e l’epigrafico di f sono definiti rispettivamente da

dom f = x ∈ X : f(x) < +∞, epi f = (x, y) ∈ X × R : f(x) 6 y.

(iv) La funzione f si dice propria se f(x) > −∞ per ogni x ∈ X e se dom f 6= ∅.

E facile dimostrare le seguenti caratterizzazioni.

Proposizione 4.2. Sia X uno spazio di Banach e sia f : X → R una funzione. Allora

f e inferiormente semicontinua ⇐⇒ epi f e chiuso,

f e convessa ⇐⇒ epi f e un insieme convesso.

In particolare, poiche l’intersezione di convessi e convessa, si ha che l’estremo superiore(puntuale) di una famiglia di funzioni convesse e convessa, ovvero se fi : i ∈ I e una famigliadi funzioni convesse, anche la funzione

f(x) := supi∈I

fi(x)

e convessa.

Un modo per capire se una funzione e convessa e dato dalla seguente

Proposizione 4.3. Sia f : X → R con la proprieta che per ogni x ∈ X esista η(x) ∈ X∗ taleche

∀y ∈ X : f(y) > f(x) + 〈η(x), y − x〉. (8)

Allora f e convessa.

Dimostrazione. Per ogni λ ∈ [0, 1] e per ogni a, b ∈ X si ha, scegliendo y = a e x = λa+(1−λ)bnella (8),

f(a) > f(λa+ (1− λ)b) + 〈η(λa+ (1− λ)b), (1− λ)(a− b)〉.

Scegliendo invece y = b e di nuovo x = λa+ (1− λ)b si ottiene

f(b) > f(λa+ (1− λ)b) + 〈η(λa+ (1− λ)b), λ(b− a)〉.

Moltiplicando la prima disuguaglianza per λ e la seconda per 1 − λ e sommando, segue laconvessita.

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La proposizione precedente diventa una caratterizzazione delle funzioni convesse nel casoimportante della differenziabilita. Ricordiamo che f : X → R e differenziabile in x se esiste illimite (derivata direzionale)

f ′(x, y) = limh→0+

f(x+ hy)− f(x)

h

e si dice differenziale secondo Gateaux la forma lineare f ′(x) ∈ X∗ tale che

〈f ′(x), y〉 = f ′(x, y).

Allora vale il

Teorema 4.4. Sia f : X → R differenziabile secondo Gateaux. Allora f e convessa se e solose

∀x, y ∈ X : f(y) > f(x) + 〈f ′(x), y − x〉. (9)

Dimostrazione. Supponiamo che f sia convessa. Allora per ogni 0 < h < 1 si ha

1

h(f(x+ h(y − x))− f(x)) 6 f(y)− f(x).

Passando al limite per h→ 0+ si trova la tesi. Il viceversa si ottiene dalla Proposizione 4.3.

Osservazione 4.5. Anche la Proposizione 4.3 ammette un viceversa: se f : X → (−∞,+∞]e convessa, propria e semicontinua inferiormente, allora per ogni x ∈ X esiste η(x) ∈ X∗ taleche

∀y ∈ X : f(y) > f(x) + 〈η(x), y − x〉.

La dimostrazione di questo fatto pero e piu articolata e si basa sul concetto di funzioneconiugata e sul Teorema di Hahn-Banach (l’insieme degli elementi η(x) ∈ X∗ che soddisfanola disuguaglianza viene detto sottodifferenziale di f in x). ?

Vale poi la seguente disuguaglianza per funzioni sommabili.

Teorema 4.6 (Disuguaglianza di Jensen). Siano Ω ⊆ Rn un aperto non vuoto di misurafinita, u ∈ L1(Ω;Rk) e f : Rk → R convessa e inferiormente semicontinua. Allora si ha

f

(1

V (Ω)

∫Ωu(x) dV

)6

1

V (Ω)

∫Ωf(u(x)) dV.

Dimostrazione. Intanto poniamo

u :=1

V (Ω)

∫Ωu(x) dV

e osserviamo che u ∈ Rk e ben definito. Poiche f e convessa e semicontinua inferiormente, perl’Osservazione 4.5 esiste η(u) ∈ Rk tale che(7)

∀z ∈ Rk : f(z) > f(u) + 〈η(u), z − u〉.(7)Si noti che nel caso di dimensione finita X = Rk la dimostrazione dell’Osservazione 4.5 e molto piu semplice

e non richiede l’uso del Teorema di Hahn-Banach!

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Prendendo z = u(x) e integrando su Ω otteniamo∫Ωf(u(x)) dV >

∫Ω

[f(u) + 〈η(u),u(x)− u〉] dV

= V (Ω)f(u) + 〈η(u),

∫Ω

[u(x)− u] dV 〉.

Ma l’ultimo integrale e nullo, dunque dividendo tutto per la misura di Ω si ha la tesi.

Il risultato principale di questa sezione collega la nozione di convergenza debole al concettodi convessita. La sua dimostrazione si basa sul Teorema di Hahn-Banach.

Teorema 4.7. Sia X uno spazio di Banach e C ⊆ X un insieme chiuso e convesso. AlloraC e debolmente chiuso, cioe C contiene tutti i limiti deboli di successioni in C.

Dimostrazione. Supponiamo che C 6= X e dimostriamo che X \ C e debolmente aperto. Siax0 6∈ C; poiche C e chiuso e convesso e x0 e compatto, dal Teorema di Hahn-Banach esistonox∗ ∈ X∗ e α ∈ R tali che

〈x∗, x0〉 < α < 〈x∗, x〉

per ogni x ∈ C. Quindi l’insieme V = x ∈ X : 〈x∗, x〉 < α e contenuto in X \ C e contienex0. Poiche V e debolmente aperto (per definizione di topologia debole), si ha che X \ C edebolmente aperto, quindi C e debolmente chiuso.

5 Metodo diretto del Calcolo delle variazioni

In questa sezione vogliamo vedere alcuni risultati di esistenza dei minimi dei funzionaliintrodotti sopra, e di altri ancora. Sia dato un problema di minimo della forma

minx∈X

F [x]

dove X e uno spazio di Banach e F : X → R ∪ +∞. Il cosiddetto metodo diretto consistenell’attuare la seguente strategia:

(1) mostrare che F e inferiormente limitata e che non fa costantemente +∞;

(2) prendere una successione minimizzante (xh)h∈N, ossia tale che

limh

F [xh] = infx∈X

F [x];

(3) trovare una sottosuccessione (xhk)k∈N convergente a x ∈ X (in un senso opportuno,eventualmente);

(4) mostrare che F e inferiormente semicontinuo rispetto alla convergenza introdotta sopra,ossia che

F [x] 6 lim infj

F [xj ].

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A questo punto segue che

F [x] 6 lim infk

F [xhk ] = limh

F [xh] = infx∈X

F

per cui F e inferiormente limitato e ammette minimo, e x e il minimo cercato.

Siccome 1 e una richiesta evidentemente necessaria e 2 segue da 1, la prima difficoltariguarda il punto 3. Se X e di dimensione finita, basta dimostrare che (xh) appartiene aun chiuso limitato, ma in generale gli spazi funzionali non hanno dimensione finita. Invecesappiamo che se la norma di xh e uniformemente limitata e X e riflessivo, allora da (xh) sipuo estrarre una sottosuccessione debolmente convergente. Quindi nella 4 sara opportunoconsiderare la debole inferiore semicontinuita.

Si noti che i punti 3 e 4 sono in competizione tra loro: infatti, per avere la possibilita ditrovare una sottosuccessione convergente conviene usare delle topologie piu deboli, ma allorala semicontinuita del funzionale diventa piu difficile da soddisfare.

5.1 Semicontinuita debole

Definizione 5.1. Siano X uno spazio di Banach e F : X → R una funzione. F si diradebolmente inferiormente semicontinua (weakly lower semi-continuous, WLSC) su X se perogni successione (xh) con uh x si ha

F [x] 6 lim infh

F [xh].

Si osservi che F e debolmente inferiormente semicontinua se e solo se epi F e debolmentechiuso.

Introduciamo poi un concetto utile per garantirsi che la successione minimizzante sialimitata.

Definizione 5.2. Siano X uno spazio di Banach e F : X → R una funzione. F si diracoercitiva su X se esistono α > 0 e β ∈ R tali che

F [x] > α‖x‖+ β

per ogni x ∈ X.

In generale si definisce coercitivita ogni proprieta che garantisca che i sottolivelli di unfunzionale siano limitati, per lo meno vicino all’estremo inferiore. La definizione precedentefornisce una nozione di coercitivita che ben si adatta a funzionali convessi come quelli chetratteremo noi.

Poiche il nostro principale interesse verso la convergenza debole sta nel fatto di poterestrarre delle successioni convergenti da una successione limitata, d’ora in poi ci porremo nelcaso di X spazio di Banach riflessivo.

Teorema 5.3. Siano X uno spazio di Banach riflessivo e F : X → R ∪ +∞ una funzionepropria. Allora se F e debolmente inferiormente semicontinua su X e coercitiva, esiste ilminimo della funzione F su X.

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Dimostrazione. Dalla coercitivita, intanto F [x] > β > −∞. Presa poi una successioneminimizzante (xh)h∈N abbiamo che esistera h tale che per ogni h > h valga

F [xh] 6 inf F [x] + 1.

Dalla coercitivita deduciamo allora che

‖xh‖ 61

αF [xh]− β

α6

1

α(inf F [x] + 1)− β

α

per cui esistera K > 0 tale che ‖xh‖ 6 K per ogni h ∈ N.

A questo punto la successione e limitata, dunque debolmente convergente a x ∈ X. SiccomeF e debolmente inferiormente semicontinuo su X, x e punto di minimo per quanto vistosopra.

Il vero problema consiste nel verificare che F e debolmente inferiormente semicontinua,cosa in generale difficile. Esiste pero una vasta classe di funzionali debolmente inferiormentesemicontinui: quelli convessi, come mostra il seguente teorema.

Teorema 5.4. Sia X uno spazio di Banach e sia F : X → R∪ +∞ una funzione convessae inferiormente semicontinua. Allora F e debolmente inferiormente semicontinua.

Dimostrazione. Poiche F e inferiormente semicontinua, il suo epigrafico e chiuso. Inoltre,dalla convessita si ha che e anche convesso, quindi debolmente chiuso. Ne segue che che F edebolmente inferiormente semicontinua.

Vediamo ora che per un funzionale convesso l’equazione di Eulero-Lagrange e anchesufficiente per l’esistenza di un minimo.

Teorema 5.5. Sia F : X → R convessa, differenziabile secondo Gateaux e supponiamo cheesista x ∈ X tale che

〈F ′[x], x〉 = 0 ∀x ∈ X.

Allora

F [x] = infx∈X

F [x].

Dimostrazione. Dal Teorema 4.4 abbiamo che per ogni x ∈ X

F [x] > F [x] + 〈F ′[x], x− x〉 = F [x]

da cui la tesi.

5.2 Convessita degli integrandi

Definizione 5.6. Sia F : Ω×Rm → R∪+∞ una funzione. Diciamo che F e una funzionedi Caratheodory se:

(i) per ogni z ∈ Rm, la funzione F (·, z) e misurabile in Ω;

(ii) per quasi ogni x ∈ Ω la funzione F (x, ·) e continua.

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Le funzioni di Caratheodory sono importanti perche godono di una proprieta di composi-zione che le semplici funzioni misurabili non hanno. Infatti, si puo mostrare (vedi [Dacorogna,Proposition 3.7]) che se F : Ω × Rm → R ∪ +∞ e una funzione di Caratheodory ew : Ω → Rm una funzione misurabile, allora la funzione x→ F (x,w(x)) e misurabile. Inoltre,esse permettono di considerare anche integrandi non continui rispetto a x.

Enunciamo ora un primo risultato riguardante integrandi convessi del tipo

F [u] =

∫ΩF (x,∇u(x)) dV.

Notiamo che se F e di Caratheodory e inferiormente limitata e ∇u(x) e misurabile, alloraF [u] e ben definita a valori in R∪+∞. Per questo nel prossimo teorema supporremo F > 0.

Teorema 5.7. Sia F : Ω ×Mk×n → [0,+∞[ una funzione di Caratheodory tale che per q.o.x ∈ Ω

F (x, ·) e convessa

e sia p ∈ [1,+∞].Allora il funzionale F : W 1,p(Ω;Rk)→ [0,+∞] dato da

F [u] =

∫ΩF (x,∇u(x)) dV

e debolmente inferiormente semicontinuo rispetto alla convergenza debole in W 1,p.

Dimostrazione. Poiche F e evidentemente convesso, basta vedere che F e semicontinuoinferiormente rispetto alla convergenza forte in W 1,p(Ω;Rk).

Sia allora uh → u rispetto alla norma di W 1,p. In particolare si ha che ∇uh → ∇u in Lp.Sia quindi (uhj ) una sottosuccessione tale che

∇uhj (x)→ ∇u(x) q.o. in Ω,

limj

F [uhj ] = lim infh

F [uh].

Siccome F (x, ·) e continua per q.o. x ∈ Ω, troviamo che

F (x,∇u(x)) = limjF (x,∇uhj (x))

per q.o. x ∈ Ω. Quindi dal lemma di Fatou abbiamo

F [u] =

∫ΩF (x,∇u(x)) dV 6 lim inf

j

∫ΩF (x,∇uhj (x)) dV

= lim infj

F [uhj ] = lim infh

F [uh]

da cui il risultato.

Corollario 5.8. Sia F come nel teorema precedente e sia G un funzionale lineare e continuosu W 1,p(Ω;Rk).

Allora il funzionale F : W 1,p(Ω;Rk)→ [0,+∞] dato da

F [u] =

∫ΩF (x,∇u(x)) dV + G (u)

e debolmente inferiormente semicontinuo rispetto alla convergenza debole in W 1,p.

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Dimostrazione. Basta osservare che il funzionale G , essendo lineare e continuo, e convesso efortemente inferiormente semicontinuo, quindi lo e anche la somma.

Esempio 5.9. Facciamo a questo punto un semplice esempio con il funzionale

F [u] =1

2

∫Ω|∇u|2 dV +

∫Ωfu dV

dove Ω e limitato, f ∈ L2(Ω) e u ∈ H10 (Ω). Questo funzionale e evidentemente debolmente

inferiormente semicontinuo dal Corollario 5.8, poiche il primo integrando e convesso in ∇ue il secondo e lineare e continuo. Vediamo che e anche coercitivo: innanzitutto, per ladisuguaglianza di Poincare la norma ‖∇u‖ e una norma equivalente a quella naturale suH1

0 (Ω), quindi

‖∇u‖22 > C‖u‖21,2.

Dalla disuguaglianza di Holder segue che

F [u] >C

2‖u‖21,2 − ‖f‖2‖u‖2 >

C

2‖u‖21,2 − ‖f‖2‖u‖1,2

Quindi e evidente che esistono α > 0, β ∈ R tali che

F [u] > α‖u‖1,2 + β

e pertanto F e coercitivo.Quindi esiste in H1

0 (Ω) un unico punto di minimo del funzionale dato, che risulta essere lasoluzione dell’equazione ∆u = f con dato nullo al bordo. ?

Esempio 5.10. Sia 1 < p <∞ e

F [u] =1

p

∫Ω|∇u|p dV +

∫Ωfu dV

dove Ω e limitato, f ∈ Lp′(Ω) e u ∈W 1,p0 (Ω).

Allo stesso modo dell’esempio precedente si dimostra che F ammette minimo, e dunque ilproblema ∆pu = f ammette soluzione in W 1,p

0 (Ω). ?

6 Esistenza della soluzione per il problema misto dell’elasticitalineare

Sia Ω un aperto limitato di Rn con frontiera regolare e sia Γ0 ⊆ ∂Ω. Poniamo

H1Γ0

:= u ∈ H1(Ω;Rn) : u = 0 su Γ0 nel senso delle tracce.

Denotiamo con Eu la parte simmetrica di ∇u e vediamo alcune disuguaglianze che coinvolgonoEu.

Proposizione 6.1 (Disuguaglianza di Korn, caso omogeneo). Sia u ∈ H10 (Ω;Rn). Al-

lora si ha

‖∇u‖22 6 2‖Eu‖22.

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Dimostrazione. Supponiamo u ∈ C20 (Ω;Rn). Il caso generale segue per densita. Si ha

‖Eu‖22 =∑i,j

1

4

∫Ω

(∂ui∂xj

+∂uj∂xi

)2

dV =1

2‖∇u‖22 +

1

2

∑i,j

∫Ω

∂ui∂xj

∂uj∂xi

dV.

Usando due volte la formula per parti sull’ultimo integrale si ha

∑i,j

∫Ω

∂ui∂xj

∂uj∂xi

dV = −∑i,j

∫Ω

∂2ui∂xj∂xi

uj dV =∑i,j

∫Ω

∂ui∂xi

∂uj∂xj

dV = ‖divu‖22.

Quindi abbiamo ottenuto la formula

2‖Eu‖22 = ‖∇u‖22 + ‖divu‖22,

da cui in particolare2‖Eu‖22 > ‖∇u‖22.

Enunciamo senza dimostrazione il caso piu generale in cui u non faccia zero al bordo.

Teorema 6.2 (Disuguaglianza di Korn, caso generale). Sia Ω limitato e p <∞. Allo-ra esiste c > 0 tale che per ogni u ∈W 1,p(Ω;Rn)

‖u‖1,p 6 c(‖u‖p + ‖Eu‖p).

Corollario 6.3. Sia Γ0 ⊂ ∂Ω tale che

u ∈ H1Γ0

, Eu = 0 su Ω ⇒ u = 0 su Ω. (10)

Allora esiste c > 0 tale che per ogni u ∈ H1Γ0

‖u‖1,2 6 c‖Eu‖2.

Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che esista (uh) in H1Γ0

con ‖uh‖1,2 = 1 e ‖Euh‖2 → 0.Dal fatto che (uh) sia limitata in H1 segue che esiste u ∈ H1

Γ0con uh u in H1, a meno di

sottosuccessione. Allora il Teorema 3.9 (SRM) garantisce la convergenza forte in Lq di unasottosuccessione per ogni q < 2∗, quindi in particolare la convergenza forte di (uh) ad u in L2.

Poiche ‖Euh‖2 → 0, si ha ‖Eu‖2 = 0 e dunque, per la proprieta (10), u = 0. ma allora dalTeorema 6.2 segue che

1 = limh‖uh‖1,2 6 c lim

h(‖uh‖2 + ‖Euh‖2) = 0,

da cui l’assurdo.

A questo punto possiamo dimostrare l’esistenza della soluzione per il problema mistodell’elasticita lineare (PM). Cominciamo dal caso omogeneo in cui u = 0 su Γ0.

Teorema 6.4. Supponiamo che Γ0 soddisfi l’ipotesi (10) e che u = 0 su Γ0. Allora ilproblema (PM) ammette soluzione.

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Dimostrazione. L’energia potenziale

Φ(u) =1

2

∫ΩEu · CEu dV −

∫Ωρ0b · u dV −

∫Γ1

s · u dS

e ben definita sullo spazio riflessivo H1Γ0

ed e inferiormente limitata. Dimostriamo che su talespazio ammette minimo assoluto.

Poiche Φ e convesso in ∇u e la parte in u e lineare e continua,(8) il Corollario 5.8 garantisceche Φ sia debolmente inferiormente semicontinuo. Inoltre, essendo C definito positivo, si ha

A · CA > ν|A|2,

e dunque, applicando il Corollario 6.3 alla disuguaglianza di Korn, otteniamo

Φ(u) >ν

2‖Eu‖22 − c‖u‖2 > α‖u‖22 − β

per opportuni α > 0 e β ∈ R, da cui la coercitivita. Il metodo diretto del calcolo dellevariazioni (Teorema 5.3) ci garantisce l’esistenza del minimo.

Nel caso non omogeneo u = u0 su Γ0, aggiungiamo l’ipotesi necessaria che u0 si possaestendere a tutto Ω, ovvero che esista u0 ∈ H1(Ω;R3) tale che u0 = u0 su Γ0 nel senso delletracce. Poi cerchiamo una soluzione della forma

u = z + u0, z ∈ H1Γ0,

che quindi avra le giuste condizioni al contorno su Γ0. Per questo sara sufficiente risolvere ilproblema

div S(z + u0) + ρ0b = 0 in Ω

S(z + u0)n = s su Γ1

dove abbiamo usato la notazione S(u) = CE(u). Per la linearita, tale problema puo essereriscritto nell’incognita z ∈ H1

Γ0come

div S(z) = −ρ0b− div S(u0) in Ω

S(z)n = s− S(u0)n su Γ1

e quindi risolto come nel teorema precedente.

7 Dipendenza non lineare da u

La dipendenza solo lineare da u puo escludere dei risultati di interesse. Mostriamo allorache e possibile anche considerare funzionali dipendenti non linearmente da u, purche positivie convessi in ∇u.

Teorema 7.1. Sia Ω un aperto limitato di Rn e F : Ω×(Rk×Mk×n)→ [0,+∞[ una funzionedi Caratheodory tale che per q.o. x ∈ Ω e per ogni u ∈ Rk, F (x,u, ·) e convessa. Allora, postoper ogni u ∈W 1,p(Ω;Rk), p ∈ [1,+∞[,

F [u] =

∫ΩF (x,u(x),∇u(x)) dV

si ha che F e debolmente inferiormente semicontinuo rispetto alla convergenza debole in W 1,p.(8)Per l’integrale su Γ1, si puo dimostrare che l’operatore di traccia e lineare e continuo da H1 a L2.

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Dimostrazione. Data una successione uh convergente debolmente in W 1,p to u, il Teorema 3.9 (SRM) garantiscela convergenza forte in Lq di una sottosuccessione per ogni q < p∗, quindi in particolare la convergenza forte inLp. Quindi possiamo supporre, passando a una sottosuccessione:

lim infh

F [uh] = limh

F [uh]

uh → u in Lp

uh(x)→ u(x) q.o. in Ω.

(11)

Per proseguire abbiamo bisogno del seguente risultato di carattere tecnico, che non dimostriamo.

Lemma 7.2. Per ogni ε > 0 esistono un insieme misurabile Eε ⊂ Ω e una successione uhj tali che

∀j ∈ N :

V (Ω \ Eε) < ε∫Eε

∣∣F (x,uhj (x),∇uhj (x))− F (x,u(x),∇uhj (x))∣∣ dV < εV (Ω).

Ammettendo questo risultato, concludiamo la dimostrazione. Fissiamo ε > 0 e applichiamo il Lemma.Dalla (11) abbiamo che, poiche F > 0,

lim infh

F [uh] = limh

F [uh] = limj

F [uhj ]

> lim infj

∫Eε

F (x,uhj (x),∇uhj (x)) dV

> −εV (Ω) + lim infj

∫Eε

F (x,u(x),∇uhj (x)) dV.

(12)

Osserviamo che se poniamo per ogni x ∈ Ω, z ∈ Rkn

Gε(x, z) := χEε(x)F (x,u(x), z)

Gε e una funzione di Caratheodory, convessa in z. Dunque, dal Corollario 5.7 segue

lim infj

∫Eε

F (x,u(x),∇uhj (x)) dV = lim infj

∫Ω

Gε(x,∇uhj )

>∫Ω

Gε(x,∇u(x)) dV =

∫Eε

F (x,u(x),∇u(x) dV.

(13)

Da (12) e (13) troviamo allora

lim infh

F [uh] >∫Eε

F (x,u(x),∇u(x)) dV

e quindi, facendo tendere ε a 0, dato che V (Ω \ Eε)→ 0 si ha la tesi.

Questo teorema, molto potente, afferma che la convessita in ∇u e sufficiente per averela debole inferiore semicontinuita (anche nel caso scalare, cioe u : Ω → R). Assieme a dellecondizioni che implicano la coercitivita, esso da un teorema di esistenza del minimo. Adesempio, e facile verificare che la condizione

F (x, ξ, z) > a|z|p, a > 0

garantisce la coercitivita del funzionale F su W 1,p0 per p ∈]1,+∞[. Si possono pero trattare

anche altri tipi di condizioni al contorno, basta che garantiscano il fatto che le successioniminimizzanti siano limitate. Quindi si puo considerare il caso in cui u ∈ u0 +W 1,p

0 , oppure ilcaso delle funzioni a media nulla, oppure ancora il caso delle funzioni a media fissata.

Non e detto, invece, in generale, che la convessita sia necessaria ai fini della debole inferioresemicontinuita. Tuttavia, nel caso scalare o nel caso di funzioni di una sola variabile, cio evero, come mostreremo nella Sezione 11.

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8 Elasticita finita e iperelasticita

Dato un corpo Ω ⊂ R3, denoteremo con χ : Ω → R3 la deformazione, con F = ∂χ∂X il

gradiente di deformazione e con J = detF il coefficiente di dilatazione cubica. Ricordiamo chela deformazione e per ipotesi un campo sufficientemente regolare (ad esempio sta in uno spaziodi Sobolev), iniettivo e che soddisfa la condizione J > 0, per evitare interpenetrazione dellamateria. La condizione J > 0 implica l’iniettivita locale della deformazione; quella globalee molto piu ardua da verificare sulle soluzioni. Ad esempio, una condizione sufficiente perl’iniettivita globale, se la deformazione e molto regolare, e che J > 0 e che la deformazioneristretta a ∂Ω sia iniettiva (vedi [Gurtin83, pag. 31]; ma per una deformazione che sta inuno spazio di Sobolev molte questioni sono ancora aperte. Per questo motivo, d’ora in poiprenderemo come ammissibili anche quelle deformazioni che hanno solo l’iniettivita locale.

Nell’elasticita non linearizzata (detta anche elasticita finita, dove l’aggettivo finita sta inopposizione all’aggettivo infinitesima), all’equilibrio l’equazione del moto si scrive

div S + ρ0b = 0 in Ω

dove S, il (primo) tensore di Piola-Kirchhoff, deve soddisfare la condizione aggiuntiva

SFT = FST

poiche vale la relazione che lega S col tensore degli sforzi di Cauchy T

T = (detF)−1SFT (14)

e T e un tensore simmetrico. Inoltre si devono dare anche delle condizioni al contorno tipoproblema misto.

Un’equazione costitutiva deve poi metter in relazione il tensore degli sforzi S con il gradientedi deformazione F, ovvero

S = S(X,F).

L’esempio che maggiormente ci interessa e quello dei cosiddetti materiali iperelastici,che sono caratterizzati da un potenziale elastico, detto anche densita di energia elastica,Ψ : Ω ×M3×3

+ → R di classe C1 nella seconda variabile che verifica la relazione

Sij =∂Ψ

∂Fijper i, j = 1, 2, 3, ossia S =

∂Ψ

∂F= ∇Ψ

dove M3×3+ indica l’insieme di tutte le matrici 3× 3 con determinante strettamente positivo e

dove F e il gradiente della deformazione χ : Ω→ R3, che e l’incognita del problema.Se indichiamo con V : Ω × R3 → R la densita volumetrica di energia potenziale delle forze

di volume, allora l’energia associata alla deformazione e data da

F [χ] =

∫Ω

Ψ(x,F(x)) dV +

∫ΩV (x,χ(x)) dV.

Ci interessa il problema

minF [χ] : χ ∈W,

W = χ ∈W 1,p(Ω;R3) : χ(x) = X(x) su ∂Ω,det(∇χ(x)) > 0 in Ω,

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o, nel caso di materiali incomprimibili,

minF [χ] : χ ∈W0,

W0 = χ ∈W 1,p(Ω;R3) : χ(x) = X(x) on ∂Ω,det(∇χ(x)) = 1 in Ω.

In ogni caso il minimo verifica le equazioni di equilibrio (di Eulero-Lagrange)

3∑i=1

∂xi

(∂Ψ

∂Fij(x,F(x))

)=

∂χjV (x,χ(x)) per j = 1, 2, 3

con la condizione det∇χ(x) > 0 (o det∇χ(x) = 1). Tale equazione e proprio l’equazione dibilancio

div S + ρ0b = 0,

che corrisponde al problema di equilibrio dell’elasticita.

Il potenziale elastico deve anche soddisfare alcuni requisiti tipici della teoria delle Equazionicostitutive:

• Indifferenza: la cosiddetta frame indifference (o indipendenza dall’osservatore) richiedeche

Ψ(x,QF) = Ψ(x,F) per ogni F ∈M3×3+ e per ogni rotazione Q. (15)

Tale condizione afferma che Ψ(x, ·) e indipendente dalla scelta del sistema di riferimento.Per il Teorema di decomposizione polare,(9) e facile mostrare che il potenziale elastico eindifferente se e solo se

Ψ(x,F) = Ψ(x,C)

per ogni F ∈M3×3+ , dove C = FTF e il tensore (destro) di Cauchy-Green. Se si esprime

l’energia in termini di C, si ha che

S =∂Ψ

∂F= 2F

∂Ψ

∂C; (16)

infatti in componenti si ha, usando la convenzione della somma sugli indici ripetuti:

Sij =∂Ψ

∂Fij=

∂Ψ

∂Chk

∂(FphFpk)

∂Fij=

∂Ψ

∂Chk(δipδjhFpk + δipδjkFph) =

∂Ψ

∂CjkFik +

∂Ψ

∂ChjFih

e sfruttando la simmetria di C si ottiene la formula cercata. Da questa formula si ottieneanche che un materiale iperelastico indifferente soddisfa automaticamente la condizioneSFT = FST, infatti:

SFT = 2F∂Ψ

∂CFT, FST = 2F

(∂Ψ

∂C

)T

FT

e le due quantita coincidono grazie alla simmetria di C.

(9)Il Teorema di decomposizione polare afferma che ogni matrice quadrata F con detF > 0 puo essere scrittain modo unico come prodotto F = QU, dove U e una matrice simmetrica definita positiva e Q e una rotazione.Vale inoltre che U2 = FTF.

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• Non degenericita: per evitare paradossi di tipo energetico, si richiede che

Ψ(x,F)→ +∞ per detF→ 0+, (17)

Ψ(x,F)→ +∞ per |F| → +∞. (18)

L’indifferenza e la non degenericita sono condizioni che devono valere per ogni materialeiperelastico. Proprio queste condizioni, pero, ci costringeranno a rinunciare all’ipotesi diconvessita, come vedremo nelle prossime due proposizioni.

Proposizione 8.1. Un’energia convessa e indifferente non puo descrivere tutti gli stati disforzo.

Dimostrazione. Fissiamo le matrici Q e F. Visto che Ψ e di classe C1, scriviamo la condizionedi convessita per Ψ usando il Teorema 4.4 sulle matrici QF e F (per comodita non denotiamola possibile dipendenza da x):

Ψ(QF)−Ψ(F)−∇Ψ(F) · (QF− F) > 0.

L’indifferenza materiale di Ψ fa cancellare i primi due termini, quindi

∇Ψ(F) · (Q− I)F 6 0 ⇒ ∇Ψ(F)FT · (Q− I) 6 0.

Ricordando il legame (14) tra il primo tensore di Piola-Kirchhoff e il tensore degli sforzi diCauchy si ha

T · (Q− I) 6 0 per ogni rotazione Q;

ma questo implica, denotando con τi gli autovalori di T (che ricordiamo essere simmetrico),che

τ1 + τ2 > 0, τ2 + τ3 > 0, τ1 + τ3 > 0,

e quindi T non puo essere un tensore simmetrico generale.

Proposizione 8.2. La condizione (17) di non degenericita e incompatibile con la convessitadi Ψ.

Dimostrazione. L’insieme M3×3+ non e convesso, come si vede ad esempio dal fatto che, ponendo

A = diag(−3, 1,−1), B = diag(1,−3,−1),

−I =1

2A +

1

2B.

Se per assurdo Ψ fosse convesso, si avrebbe

Ψ(x, λA + (1− λ)B) 6 λΨ(x,A) + (1− λ)Ψ(x,B),

ma esiste una successione di λ che rende la prima combinazione convessa arbitrariamentevicina ad avere il determinante nullo, e quindi il membro di sinistra puo esplodere, mentrequello di destra resta limitato.

Osservazione 8.3. Le due proposizioni precedenti ci mostrano che l’ipotesi di convessita espesso troppo forte per i problemi di iperelasticita. Esiste anche un’altra motivazione che ciporta a trattare con funzioni non convesse, almeno strettamente: in presenza di convessitastretta abbiamo visto che il minimo quando esiste e unico. Ma l’unicita della soluzione diequilibrio non si ha quasi mai in elasticita finita, poiche in presenza di grandi deformazionie ragionevole pensare che il corpo elastico possa avere piu posizioni di equilibrio (si pensial fenomeno del buckling, ovvero dell’incurvamento di una trave compressa per questioni diinstabilita, o al guscio elastico rovesciato). ?

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8.1 Materiali isotropi

Definizione 8.4 (Isotropia). Un materiale e detto isotropo se vale che

Ψ(x,FQ) = Ψ(x,F) per ogni F ∈M3×3+ e per ogni rotazione Q. (19)

Definizione 8.5 (Invarianti e valori singolari). Dato un gradiente di deformazione F,denotiamo con v1, v2, v3 i valori singolari di F, cioe le radici quadrate degli autovalori (neces-sariamente positivi) di C := FTF. Denotiamo poi con I1, I2, I3 i tre invarianti principali di C,ovvero

I1 = trC, I2 =1

2

((trC)2 − trC2

), I3 = detC.

Il tensore C viene detto tensore (destro) di Cauchy-Green.

Esiste anche il tensore sinistro di Cauchy-Green: B := FFT, e si puo verificare che i treinvarianti principali non cambiano se si sostituisce C con B.

Per i materiali indifferenti e isotropi vale la seguente proposizione.

Proposizione 8.6. Se un materiale e indifferente e isotropo, allora si ha

Ψ(x,F) = Ψ(x, v1, v2, v3) = Ψ(x, I1, I2, I3)

con Ψ simmetrica in (v1, v2, v3).

Dimostrazione. Sappiamo gia per l’indifferenza che Ψ deve essere solo una funzione Ψ di C.Inoltre, dall’isotropia segue che

Ψ(C) = Ψ(F) = Ψ(FQ) = Ψ(QTCQ)

e dunque Ψ deve dipendere solo dagli invarianti di C, cioe deve essere una funzione simmetricadegli autovalori di C.

Si ha che

S =∂Ψ

∂F= Ψ1

∂I1∂F

+ Ψ2∂I2∂F

+ Ψ3∂I3∂F

, Ψj :=∂Ψ

∂Ij.

Quindi per calcolare il tensore degli sforzi e utile conoscere le derivate degli invarianti di Crispetto a F. Si provi a mostrare che(10)

∂I1∂F

= 2F,∂I2∂F

= 2(I1 F− FFTF

),

∂I3∂F

= JF−T. (20)

Tra i materiali iperelastici isotropi troviamo l’importante classe dei materiali di Ogden,che definiamo.

(10)Piu in generale, per matrici A quadrate di ordine n si puo dimostrare che

∂Ik(A)

∂A=

k−1∑j=0

(−1)jIk−j−1(A)(AT)j , 1 6 k 6 n, I0(A) := 1

(vedi [Ciarlet, Chapter 1, Exercise 1.5]).

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Definizione 8.7. Si chiamano materiali di Ogden quei materiali iperelastici per cui ilpotenziale elastico e dato da

Ψ(x,F) = a(x) +m∑i=1

bi(x)(vαi1 + vαi2 + vαi3 )+

+n∑j=1

cj(x)(

(v1v2)βj + (v2v3)

βj + (v1v3)βj)

+ γ(detF), (21)

dove a, bi, cj : Ω → [0,+∞[ sono funzioni limitate e positive, αi, βj sono costanti strettamentepositive e γ : ]0,∞[→ R e una funzione convessa e inferiormente limitata tale che

limt→0+

γ(t) = +∞.

I materiali di Ogden soddisfano automaticamente indifferenza materiale, non degenericita eisotropia.

Ad esempio, nel caso particolare m = n = 1, αi = βj = 2 abbiamo

Ψ(x,F) = a(x) + b(x)(v21 + v22 + v23) + c(x)((v1v2)2 + (v1v3)

2 + (v2v3)2) + γ(detF)

= a(x) + b(x)|F|2 + c(x)|Cof F|2 + γ(detF),

dove la matrice Cof F e la matrice dei cofattori di F, cioe la matrice dei complementi algebrici.

Osservazione 8.8 (Marice dei cofattori). Se F e invertibile, e noto che

(detF)I = FT Cof F = (Cof F)FT.

Tale relazione ha senso anche per matrici non invertibili e caratterizza la matrice dei cofattori.In particolare si ha

Cof (FG) = (Cof F)(Cof G).

Inoltre si verifica che l’invariante del secondo ordine di una matrice e proprio la traccia dellamatrice dei cofattori. ?

Esempio 8.9 (Materiale di Mooney-Rivlin). Una densita di energia elastica della forma

Ψ(I1, I2) = c1(I1 − 3) + c2(I2 − 3)

definisce un materiale di Mooney-Rivlin incomprimibile. Nel caso comprimibile, solitamente siaggiunge un termine del tipo k(I3 − 1)2. Se c2 = 0, il materiale si chiama neo-Hookeano.

I materiali di Mooney-Rivlin sono utili per descrivere materiali soffici e soggetti a grandideformazioni, come la gomma. ?

Nel caso dell’elasticita isotropa lineare, ricordando che F = I +∇u, si fa l’approssimazionedelle piccole deformazioni

FTF = (I +∇uT)(I +∇u) = I + 2E +∇uT∇u ≈ I + 2E

e, sempre concordemente con questa approssimazione,

(I + 2E)12 ≈ I + E.

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Quindi il potenziale elastico Ψ nel caso delle piccole deformazioni dipende dagli autovalori diE. Siccome in questo caso la relazione tra S e E e lineare, la funzione Ψ risulta quadratica in E,quindi si deve avere αi = 2, βj = 1 e a, γ ≡ 0. Posto b(x) = `/2 +m e c(x) = ` e denotandocon λi gli autovalori di E segue

Ψ(E) =

(`

2+m

)(λ21 +λ22 +λ23)+ `(λ1λ2 +λ1λ3 +λ2λ3) =

`

2(λ1 +λ2 +λ3)

2 +m(λ21 +λ22 +λ23)

che equivale a

Ψ(E) =`

2(trE)2 +mE : E

che e la ben nota espressione dell’energia di deformazione nel caso isotropo. In questo caso ilfunzionale F e convesso e funzione di u (anziche di χ).

Esempio 8.10 (Materiali di St.Venant-Kirchhoff). Una delle piu semplici classi di ma-teriali iperelastici veramente non lineari e data dai materiali di St.Venant-Kirchhoff, in cuil’energia e molto semplice (una forma quadratica) ma e data come funzione di un descrittorenon lineare.

Introduciamo il tensore di Green-St.Venant

E =1

2(FTF− I) =

1

2(∇u+∇uT +∇uT∇u)

(che nel caso di piccoli gradienti di spostamento, ipotesi tipica dell’elasticita lineare, corrispondealle parte simmetrica di∇u), osservando che e simmetrico. Possiamo allora scrivere il potenzialedegli sforzi Ψ(C) in funzione di E:

ΨE(E) := Ψ(I + 2E).

Siccome il potenziale e definito a meno di una costante, possiamo supporre che ΨE(0) = 0. Sesviluppiamo con Taylor tale funzione attorno alla configurazione di riferimento (caratterizzatada E = 0) e supponiamo che nella configurazione di riferimento gli sforzi siano nulli (stress-freeconfiguration) allora abbiamo

ΨE(E) =1

2E · CE +O(|E|3),

dove C e un tensore del quarto ordine che soddisfa le piccole simmetrie e la grande simmetria,quindi e caratterizzato da 21 coefficienti. Per definizione, un materiale di St.Venant-Kirchhoffe un materiale iperelastico per cui il resto dello sviluppo di Taylor viene trascurato, ovvero

ΨE(E) = ΨSV K(E) :=1

2E · CE.

Il potenziale elastico per tali materiali e una forma quadratica in E, allo stesso modo deimateriali elastici lineari, ma stavolta E non e piu solo la parte simmetrica di ∇u ma ha untermine aggiuntivo. In particolare tale potenziale non e quadratico in u. ?

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8.2 Materiali ortotropi

Siano `1, `2, `3 tre vettori ortonormali in R3, e siano

Li := `i ⊗ `i i = 1, 2, 3.

Si puo verificare facilmente che

L1 + L2 + L3 = I, tr Li = 1, LiLj = 0 per i 6= j.

Definizione 8.11 (Ortotropia). Sia Gor l’insieme delle matrici di rotazione Q tali che

QLiQT = Li ∀i = 1, 2

(e quindi vale anche che QL3QT = L3). Un materiale indifferente e detto ortotropo se vale che

Ψ(QCQT) = Ψ(C) per ogni C e per ogni Q ∈ Gor. (22)

Le direzioni `i vengono dette direzioni materiali principali del materiale ortotropo.

Per i materiali ortotropi vale il seguente teorema di rappresentazione, di cui pero nondaremo la dimostrazione.

Teorema 8.12 (Teorema di Rychlewski). Un materiale iperelastico indifferente e orto-tropo se e solo se

Ψ(C) = Ψ(C, Li) = Ψ(trCLi, trC2Li, detC),

dove la funzione Ψ e isotropa, ovvero

Ψ(QCQT,QLiQT) = Ψ(C, Li) per ogni rotazione Q.

Quindi il potenziale elastico di un materiale iperelastico ortotropo e indifferente si scrivecome funzione di 7 quantita scalari:

C · L1,C · L2,C · L3,C2 · L1,C2 · L2,C2 · L3,detC.

Poiche gli invarianti di C sono legati in modo semplice agli invarianti del tensore di Green-St.Venant E, il potenziale elastico di un materiale di St.Venant-Kirchhoff ortotropo si scrivecome combinazione quadratica di trCLi e trC2Li. L’invariante del terzo ordine infatti e cubicoin E e deve essere scartato. Si giunge quindi all’espressione

ΨSV K(E) =1

2

3∑i,j=1

aij(trELi)(trELi) +3∑i=1

bi trE2Li;

risulta che i materiali di St.Venant-Kirchhoff ortotropi sono caratterizzati da 9 coefficienti.

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8.3 Materiali trasversalmente isotropi

Nel caso trasversalmente isotropo abbiamo un materiale che ha una direzione materialeprincipale `1 e si comporta in modo isotropo nel piano perpendicolare a questa. Introduciamoquindi i tre tensori

L1 := `1 ⊗ `1, L2 = L3 :=1

2(I− L1).

Anche in questo caso si puo verificare facilmente che

L1 + L2 + L3 = I, tr Li = 1, LiLj = 0 per i = 1, 2, i 6= j.

Definizione 8.13 (Materiale trasversalmente isotropo). Sia Gtr l’insieme delle matricidi rotazione Q tali che

QL1QT = L1

(e quindi vale anche che QLiQT = Li per i = 2, 3). Un materiale indifferente e detto

trasversalmente isotropo se vale che

Ψ(QCQT) = Ψ(C) per ogni C e per ogni Q ∈ Gtr. (23)

Naturalmente un materiale trasversalmente isotropo e anche ortotropo.Dal Teorema di rappresentazione di Rychlewski segue che il potenziale iperelastico per

materiali indifferenti e trasversalmente isotropi si puo scrivere nella forma

Ψ(C) = Ψ(C, Li) = Ψ(trCLi, trC2Li, detC),

dove la funzione Ψ e isotropa e i = 1, 2. In particolare tale potenziale dipende da 5 quantitascalari:

C · L1,C · L2,C2 · L1,C2 · L2,detC

e, poiche L2 si puo scrivere in funzione di L1, il potenziale puo essere espresso anche in funzionedelle cinque quantita

I1(C), I2(C), I3(C), I4(C), I5(C)

dove I1(C), I2(C), I3(C) sono i tre invarianti della matrice C e si pone

I4(C) := C · L1, I5(C) := C2 · L1.

Nel caso di materiale di St.Venant-Kirchhoff trasversalmente isotropo, procedendo comenel caso ortotropo si trova l’espressione

ΨSV K(E) =1

2

2∑i,j=1

aij(trELi)(trELi) +

3∑i=2

bi trE2Li

che dipende solo da cinque coefficienti e puo anche essere riscritta in altro modo come

ΨSV K(E) = aI1(C)2 + bI1(C)I4(C) + cI4(C)2 + dI2(C) + eI5(C),

dove a, b, c, d, e sono cinque coefficienti ed e non e necessariamente il numero di Nepero.

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9 Quasiconvessita

Abbiamo visto che la convessita e una condizione sufficiente per la debole inferiore semi-continuita. La definizione che segue introduce una nozione piu debole, comunque necessariaper la debole inferiore semicontinuita come vedremo nel Teorema 9.4.

Definizione 9.1 (Morrey, 1952). Sia Ω un aperto limitato e F : Mk×n → R una funzionecontinua. La funzione F si dice quasiconvessa se per ogni A ∈ Mk×n e per ogni funzioneϕ ∈ C1

0 (Ω,Rk) vale la seguente disuguaglianza:∫ΩF (A +∇ϕ(x)) dV > V (Ω)F (A) (24)

o, introducendo il valore medio,F (A +∇ϕ) > F (A).

Osservazione 9.2. Se (24) vale per qualche aperto limitato Ω, allora vale anche per ognialtro aperto limitato Ω′. Infatti, se Ω′ e un aperto qualsiasi, esistono λ > 0 e x0 ∈ Rn tali che

x0 + λΩ′ ⊂ Ω.

Fissati A ∈Mk×n e ϕ ∈ C10 (Ω′;Rk), la funzione

ψ(x) =

λϕ(x−x0λ

)se x ∈ x0 + λΩ′

0 se x ∈ Ω \ (x0 + λΩ′)

appartiene a C10 (Ω;Rk). Allora, dalla (24) troviamo

F (A)V (Ω) 6∫ΩF (A +∇ψ(x)) dV =

= F (A)V(Ω \ (x0 + λΩ′)

)+

∫x0+λΩ′

F

(A +∇ϕ

(x− x0λ

))dV,

e quindi

F (A)V (x0 + λΩ′) 6∫x0+λΩ′

F

(A +∇ϕ

(x− x0λ

))dV.

Osserviamo che V (x0 + λΩ′) = λnV (Ω′); quindi, grazie al cambio di variabili y = (x− x0)/λ,abbiamo

F (A)λnV (Ω′) 6 λn∫Ω′F (A +∇ϕ(y)) dV (y)

e, dividendo per λn,

F (A)V (Ω′) 6∫Ω′F (A +∇ϕ(y)) dV (y),

cioe (24) vale anche per Ω′. ?

Osservazione 9.3. La condizione (24) dice che se U(x) e una funzione affine, U(x) = Ax+b,allora U minimizza F rispetto ad ogni campo tale che u = U su ∂Ω; infatti, se u = U +ϕ,con ϕ ∈ C1

0 (Ω,Rm) (24) dice esattamente che F [u] > F [U ], e per densita troviamo che

F [u] > F [U ]

per ogni u ∈ U + W 1,p0 (Ω;Rm) ≡ v ∈ W 1,p(Ω;RN ) : v = U + w,w ∈ W 1,p

0 (Ω;RN ) perqualche p > 1. ?

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Teorema 9.4. Sia Ω un aperto limitato e F : Mk×n → R una funzione continua. Se ilfunzionale F : W 1,p(Ω,Rk)→ R dato da

F [u] =

∫ΩF (∇u(x)) dV

e debolmente inferiormente semicontinuo rispetto alla convergenza debole in W 1,p(Ω,Rk) perqualche p > 1, allora F e quasiconvessa.

Dimostrazione. Dimostriamo il teorema nel caso particolare Ω = (0, 1)n. Il caso generalepuo essere ottenuto a partire dall’Osservazione 9.2. Fissiamo A ∈Mk×n e ϕ ∈ C1

0(Ω;Rk) eestendiamo ϕ a Rn in modo periodico. Ponendo per ogni h

ϕh(x) =1

hϕ(hx)

troviamo che

ϕh(x)→ 0 uniformemente.

Inoltre, essendo ∇ϕh limitato in Lp per ogni p > 1, si ha

∇ϕh 0 debolmente in Lp(Ω,Mk×n) per ogni p > 1.

Quindi, ponendo

u(x) = Ax, uh(x) = Ax+ϕh(x),

abbiamo che uk u debolmente in W 1,p per ogni p > 1.

Poiche per ipotesi F e debolmente inferiormente semicontinua, abbiamo

F [u] 6 lim infh

F [uh]. (25)

Indichiamo con Ωh,i gli hn cubi ottenuti dividendo Ω in cubetti congruenti piu piccoli di lato1/h. Dalla (25), usando il fatto che ϕ e periodica, troviamo

F [u] = F (A)V (Ω) 6 lim infh

hn∑i=1

∫Ωh,i

F (A +∇ϕ(hx)) dV

= lim infh

hn∫Ωh,1

F (A +∇ϕ(hx)) dV.

Col cambio di variabili y = hx, che porta Ωh,1 in Ω, troviamo

F (A)V (Ω) 6∫ΩF (A +∇ϕ(y)) dV

e questo dimostra il teorema.

Esiste anche un risultato molto significativo, che pero non dimostriamo, che afferma unasorta di viceversa del teorema precedente, cioe che una funzione quasiconvessa, con alcuneproprieta aggiuntive, e debolmente inferiormente semicontinua. Lo enunciamo direttamentenel caso piu generale in cui F puo dipendere anche da x e da u.

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Teorema 9.5 (Acerbi-Fusco, 1984). Sia Ω un aperto limitato di Rn e F : Ω × Rk ×Mk×n → [0,+∞[ una funzione di Caratheodory tale che esistano L > 0 e p > 1 per cui siabbia

0 6 F (x,u, z) 6 L(1 + |u|p + |z|p).Se per q.o. x ∈ Ω, per ogni u ∈ Rk, la funzione F (x,u, ·) e quasiconvessa, allora il funzionale

F [u] =

∫ΩF (x,u,∇u) dV

e debolmente inferiormente semicontinuo rispetto alla convergenza debole in W 1,p(Ω;Rk).

Il Teorema 9.4 ci dice, in particolare, che la quasiconvessita e in generale una nozione piudebole della convessita, visto che la convessita implica la debole inferiore semicontinuita, che asua volta implica la quasiconvessita. Il confronto tra quasiconvessita e convessita pero puoessere mostrato direttamente usando la disuguaglianza di Jensen, come vediamo ora.

Proposizione 9.6. Sia F : Mk×n → R una funzione convessa. Allora F e quasiconvessa.

Dimostrazione. Per mostrare che F e quasiconvessa, fissiamo A ∈Mk×n, un aperto limitatoΩ ∈ Rn e ϕ ∈ C1

0 (Ω;Rk). Dalla disuguaglianza di Jensen abbiamo

F (A +∇ϕ) > F(A +∇ϕ

).

Poiche dalla formula di Gauss-Green segue∫Ω∇ϕ(x) dV = 0, abbiamo

F (A +∇ϕ) > F (A),

e quindi la (24).

Esempio 9.7 (di funzione quasiconvessa ma non convessa). Prendiamo n = k = 2 econsideriamo la funzione determinante det : M2×2 → R. Tale funzione non e convessa: presele matrici A =

(1 00 −1

)e B =

(−1 00 1

), si ha

det

(1

2A+

1

2B

)= 0 > −1 =

1

2detA+

1

2detB.

Pero la funzione determinante e quasiconvessa. Per mostrarlo, sia Ω un aperto limitato di R2

e u ∈ C20 (Ω;R2); allora si ha, applicando il Lemma di Schwarz,∫

Ωdet∇u dV =

∫Ω

(∂u1∂x1

∂u2∂x2− ∂u1∂x2

∂u2∂x1

)dV =

∫Ω

[ ∂

∂x1

(u1∂u2∂x2

)− ∂

∂x2

(u1∂u2∂x1

)]dV

=

∫Ω

div(u1∂u2∂x2

,−u1∂u2∂x1

)=

∫∂Ω

(u1∂u2∂x2

,−u1∂u2∂x1

)· n dS.

Ora prendiamo una matrice A e una funzione ϕ ∈ C20 (Ω;R2). Applicando la formula appena

trovata e tenendo conto che ϕ si annulla al bordo abbiamo∫Ω

det(A +∇ϕ) dV =

∫Ω

det∇(Ax+ ϕ) dV

=

∫∂Ω

((A11x1 +A12x2 + ϕ1)

(A22 +

∂ϕ2

∂x2

),−(A11x1 +A12x2 + ϕ1)

(A21 +

∂ϕ2

∂x1

))· n dS

=

∫∂Ω

((A11x1 +A12x2)A22,−(A11x1 +A12x2)A21

)· n dS = |Ω| detA.

42

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Quindi la disuguaglianza di quasiconvessita e verificata addirittura come uguaglianza(11) suitest di classe C2. Con un argomento di densita si puo vedere che vale anche sui test di classeC1. ?

10 Convessita di rango 1

Introduciamo un nuovo concetto legato alla convessita, che si rivelera essere una condizionenecessaria per la quasiconvessita.

Definizione 10.1 (Convessita di rango 1). Una funzione F : Mk×n → R ∪ +∞ si diceconvessa di rango 1 (o anche 1-convessa) se per ogni coppia di matrici A,B ∈ Mk×n conrank(A− B) 6 1 e per ogni 0 < λ < 1 si ha

F (λA + (1− λ)B) 6 λF (A) + (1− λ)F (B).

Fissata una componente della matrice A, e chiaro che se B e una matrice che differisceda A per al piu quella componente, allora la differenza A− B ha rango al piu 1. Quindi inparticolare F (A) e convessa in ogni singola componente di A. Inoltre, poiche ogni matricedi Mk×n di rango al piu 1 si puo scrivere nella forma ξ ⊗ η con ξ ∈ Rk,η ∈ Rn, allora laconvessita di rango 1 di F equivale alla convessita della funzione di variabile reale

g(t) = F (A + tξ ⊗ η)

al variare di A, ξ, η.Una caratterizzazione semplice della convessita di rango 1, nel caso regolare, e data dalla

definizione seguente, che esprime una condizione sulle derivate.

Definizione 10.2 (Condizione di Legendre-Hadamard). Una funzione F ∈ C2(Mk×n)soddisfa la condizione di Legendre-Hadamard se per ogni A ∈Mk×n e ogni ξ ∈ Rk,η ∈ Rn siha

∂2F (A)

∂A2(ξ ⊗ η) · (ξ ⊗ η) > 0,

ossia, in componenti,k∑

p,q=1

n∑i,j=1

∂2F (A)

∂Api∂Aqjξpξqηiηj > 0.

Proposizione 10.3. Sia F : Mk×n → R di classe C2. Allora F e convessa di rango 1 se esolo se F verifica la condizione di Legendre-Hadamard.

Dimostrazione. Essendo F ∈ C2, la funzione g introdotta sopra e convessa se e solo seg′′(t) > 0, ossia

∂2F (A + tξ ⊗ η)

∂Api∂Aqjξpξqηiηj > 0

che e la condizione di Legendre-Hadamard. (11)Le funzioni che soddisfano la disuguaglianza di quasiconvessita come uguaglianza sono tali che anche le

loro opposte sono quasiconvesse, e vengono dette funzioni quasiaffini, in analogia con le funzioni affini per laconvessita. Si veda anche il Teorema 12.3.

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Proposizione 10.4. Sia F ∈ C2(Mk×n) una funzione quasiconvessa. Allora F soddisfa lacondizione di Legendre-Hadamard.

Dimostrazione. Fissata A ∈Mk×n, ξ ∈ Rk, η ∈ Rn, prendiamo λ ∈ R, γ ∈ C10 (Ω), e poniamo

ϕ(x) = γ(x) sin(λη · x)ξ ∈ C10 (Ω;Rk),

ψ(x) = γ(x) cos(λη · x)ξ ∈ C10 (Ω;Rk).

Per ipotesi, la quasiconvessita dice che la funzione

g(t) =

∫Ω

F (A + t∇ϕ) dV

ha un minimo in 0, quindi g′′(0) > 0, cioe

∫Ω

n∑i,j=1

k∑p,q=1

∂2F (A)

∂Api∂Aqj

∂ϕp∂xi

(x)∂ϕq∂xj

(x) dV > 0 (26)

e allo stesso modo ∫Ω

n∑i,j=1

k∑p,q=1

∂2F (A)

∂Api∂Aqj

∂ψp∂xi

(x)∂ψq∂xj

(x) dV > 0. (27)

Poiche∂ϕp∂xi

= ξp∂γ

∂xisin(λη · x) + λξpηiγ cos(λη · x),

∂ψp∂xi

= ξp∂γ

∂xicos(λη · x)− λξpηiγ sin(λη · x),

inserendo queste uguaglianze nelle (26) e (27) e sommando troviamo

n∑i,j=1

k∑p,q=1

∫Ω

∂2F (A)

∂Api∂Aqj

[ξpξq

∂γ

∂xi

∂γ

∂xj+ λ2ξpξqηiηjγ

2

]dV > 0.

Dividendo per λ2 e facendo tendere λ→ +∞ troviamo

n∑i,j=1

k∑p,q=1

∫Ω

∂2F (A)

∂Api∂Aqjξpξqηiηjγ

2(x) dV > 0

e quindi (∫Ω

γ2(x) dV

) n∑i,j=1

k∑p,q=1

∂2F (A)

∂Api∂Aqjξpξqηiηj > 0.

Lemma 10.5. Sia F quasiconvessa. Allora esiste una successione (Fh) di funzioni di classeC∞ tale che Fh e quasiconvessa per ogni h e Fh → F uniformemente sui compatti.

Dimostrazione. Poniamo per ogni h > 1

Fh(X) = hn∫ρ(hY)F (X− Y) dL k×n(Y) = (ρh ∗ F )(X)

dove ρ e un mollificatore nello spazio delle matrici Mk×n, cioe ρ ∈ C∞0 (Mk×n), ρ > 0, ρ(X) = 0per |X| > 1 e

∫Mk×n ρ = 1, e ρh(X) = hnρ(hX). Allora Fh e C∞ e Fh → F uniformemente

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sui compatti; verifichiamo che e ancora quasiconvessa: dato un aperto limitato Ω ∈ Rn, unamatrice A ∈Mk×n e una funzione ϕ ∈ C1

0 (Ω,Rk) si ha∫ΩFh(A +∇ϕ(x)) dV =

∫Ω

∫ρh(Y)F (A +∇ϕ(x)− Y) dV (Y)dV (x)

=

∫ρh(Y)

(∫ΩF (A− Y +∇ϕ(x)) dV (x)

)dV (Y)

>∫Ωρh(Y)V (Ω)F (A− Y) dV (Y) = V (Ω)Fh(A),

dove abbiamo usato la quasiconvessita di F in A− Y e la positivita di ρh.

Ora possiamo dimostrare il teorema principale di questa sezione, per cui la convessita dirango 1 e una condizione necessaria per avere la quasiconvessita.

Teorema 10.6. Sia F una funzione quasiconvessa. Allora F e convessa di rango 1.

Dimostrazione. Sia Fh come nel Lemma 10.5. Poiche Fh e regolare e quasiconvessa per ogni h,dalla Proposizione 10.3 si ha che Fh soddisfa la condizione di Legendre-Hadamard, e dunque eanche convessa di rango 1.

Dalla convergenza uniforme di Fh a F , passando al limite nella disuguaglianza dellaconvessita di rango 1, si ottiene la tesi.

Dal teorema precedente possiamo ricavare anche il seguente fatto.

Corollario 10.7. Se n = 1 o k = 1 ogni funzione convessa di rango 1 e anche convessa.

Dimostrazione. Poiche nel caso n = 1 o k = 1 tutte le matrici hanno rango 1, la convessita dirango 1 equivale alla convessita.

In particolare, nel caso n = 1 o k = 1 la nozione di quasiconvessita e di convessita coincidono.

11 Policonvessita

L’ipotesi di quasiconvessita e necessaria, ma e moto difficile da controllare, poiche si trattadi una nozione non locale. Nelle applicazioni sarebbe preferibile avere a che fare con nozioniche possano essere verificate piu facilmente. Introdurremo in questa sezione una specialefamiglia di funzioni, le cosiddette funzioni policonvesse, che hanno una definizione di tipoalgebrico, quindi piu semplice da controllare, e che sono quasiconvesse.

Premettiamo un risultato sulla matrice dei cofattori di un gradiente.

Lemma 11.1. Sia u ∈ C2(Ω;Rn). Allora div(Cof∇u) = 0, cioe

per i = 1, . . . , n :

n∑j=1

∂xj(Cof∇u)ij = 0,

ovvero le righe della matrice Cof∇u hanno divergenza nulla.

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Dimostrazione. Ricordiamo che la matrice dei cofattori verifica

(detA)I = AT Cof A

per cui, ponendo C = Cof A, in componenti si ha

(detA)δij =n∑p=1

ApiCpj . (28)

In particolare, ponendo i = j, troviamo che

∂ detA

∂Akj= Ckj (29)

dove abbiamo tenuto conto del fatto che Ckj non dipende da Akj . Applicando la (28) allamatrice A = ∇u (calcolata in un punto x0 fissato) abbiamo

(det∇u)δij =n∑k=1

∂uk∂xi

Ckj ,

dove stavolta C = Cof∇u. Prendendo la divergenza (a i fissato) di questa relazione otteniamo

∂xi(det∇u) =

n∑k,j=1

[∂2uk∂xj∂xi

Ckj +∂uk∂xi

∂Ckj∂xj

]. (30)

Applicando la (29) al primo membro, derivando per composizione si ha

∂xi(det∇u) =

n∑k,j=1

∂(det∇u)

∂Akj

∂xi

∂uk∂xj

=n∑

k,j=1

Ckj∂2uk∂xi∂xj

.

Quindi, tornando alla (30) e usando il Lemma di Schwarz,

n∑k,j=1

Ckj∂2uk∂xj∂xi

=

n∑k,j=1

[∂2uk∂xj∂xi

Ckj +∂uk∂xi

∂Ckj∂xj

].

Semplificando i termini uguali si ottiene

n∑k,j=1

∂uk∂xi

∂Ckj∂xj

= 0 per i = 1, . . . , n.

Ora, se det∇u(x0) 6= 0 vuol dire che la matrice ∇u(x0) e non singolare e quindi

n∑j=1

∂Ckj∂xj

= 0 per k = 1, . . . , n,

ovvero div(Cof∇u) = 0. Se invece la matrice ∇u(x0) e singolare, esiste ε > 0 tale che perogni ε < ε

det(∇u(x0) + εI) 6= 0,

e quindi si puo rifare il ragionamento per u(x) = u(x) + εx e poi mandare ε→ 0+.

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Una conseguenza di questo lemma, che dimostriamo anche se non useremo nel resto delcorso, e l’analogo del Lemma 2.4. Denotiamo con SO(n) l’insieme delle matrici ortogonali diordine n.

Proposizione 11.2 (Teorema di Liouville). Sia u ∈ H1(Ω;Rn) tale che

∇u ∈ SO(n) per q.o. x ∈ Ω.

Allora u e affine.

Dimostrazione. Poiche per le matrici ortogonali Q ∈ SO(n) si ha Q = ±Cof Q, dal lemmaprecedente segue che

0 = div(Cof∇u) = ±div∇u = ±∆u,

quindi u e armonica. In particolare, u e regolare. Ora osserviamo che, essendo ∇u unamatrice ortogonale, fissato i = 1, . . . , n si ha

|∇ui|2 = 1 = cost.

e dunque, usando alcune note formule del calcolo vettoriale,(12) si ottiene

0 = ∆(|∇ui|2) = 2∇ui ·∆∇ui + 2|∇∇ui|2

da cui ∇u =cost.

Come conseguenza del lemma precedente abbiamo anche il seguente risultato, che puoessere interpretato dicendo che “il determinante di un gradiente e una divergenza”, e cheavevamo gia trovato nel caso 2× 2 nell’Esempio 9.7.

Teorema 11.3. Sia u ∈W 1,n(Ω;Rn). Allora per i = 1, . . . , n si ha

det∇u = div (ui(Cof∇u)i) =n∑j=1

∂xj(ui(Cof∇u)ij), (31)

dove le derivate si intendono nel senso delle distribuzioni, ovvero per ogni ϕ ∈ C∞c (Ω)∫Ωϕdet∇u dV = −

∫Ωui

n∑j=1

(Cof∇u)ij∂ϕ

∂xjdV.

Dimostrazione. Procediamo per densita: sia u(h) ∈ C2(Ω;Rn) tale che u(h) → u inW 1,n(Ω;Rn),e sia ϕ ∈ C1

0 (Ω).Essendo u(h) di classe C2, il Lemma 11.1 implica che, per ogni i = 1, . . . , n,

n∑j=1

∂xj(u

(h)i (Cof∇u(h))ij) =

n∑j=1

(∇u(h))ij(Cof∇u(h))ij = det∇u(h)

(12)Le formule che servono sono:

∇(|v|2) = 2∇vTv, div(TTv) = divT · v + T · ∇v, ∆∇ui = ∇∆ui.

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che e la tesi nel caso regolare.

Moltiplicando per un test ϕ ∈ C∞c (Ω) e integrando su Ω si trova∫Ωϕdet∇u(h) dV

=

∫Ωϕ

n∑j=1

∂xj(u

(h)i (Cof∇u(h))ij) dV = −

∫Ωu(h)i

n∑j=1

∂ϕ

∂xj(Cof∇u(h))ij dV.

Dal fatto che u ∈W 1,n segue che

u(h)i → ui in Ln(Ω),

det∇u(h) → det∇u in L1(Ω),

Cof∇u(h) → Cof∇u(h) in Lnn−1 (Ω),

visto che det∇u e somma di prodotti di n funzioni di Ln e gli elementi di Cof∇u sono sommedi prodotti di n− 1 funzioni di Ln. Quindi il primo integrale converge a∫

Ωϕdet∇u dV

per il Teorema della convergenza dominata. Essendo nn−1 l’esponente coniugato di n, si ha che

per lo stesso motivo l’ultimo integrale converge a

−∫Ωui

n∑j=1

∂ϕ

∂xj(Cof∇u)ij dV

e quindi la tesi.

Osservazione 11.4. Il teorema precedente ammette alcune naturali estensioni.

(1) Si possono fare ad esempio altre scelte degli esponenti: se p > 2, u ∈ W 1,p(Ω;Rn) eCof∇u ∈ Lp′ , allora si ha ancora che det∇u ∈ L1 e dunque il teorema vale.

(2) Poiche anche i cofattori di ∇u sono dei determinanti (di ordine 2), anche essi sonodelle divergenze in senso debole. In particolare, se n = 3 e u ∈W 1,2(Ω;Rn), si ha cheCof∇u ∈ L1 e vale la formula

(Cof∇u)ip =1

2

3∑q=1

∂xq

3∑j,k,r=1

εijkεpqruj∂uk∂xr

nel senso delle distribuzioni. ?

Proposizione 11.5. Se u,v ∈W 1,n(Ω,Rn) sono tali che u− v ∈W 1,n0 (Ω,Rn), allora∫

Ωdet∇u dV =

∫Ω

det∇v dV. (32)

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Dimostrazione. Vediamo prima il caso u,v ∈ C2(Ω;Rn) con w = u − v ∈ C20(Ω,Rn).

Dalla (31) abbiamo (scegliendo ad esempio i = 1):∫Ω

det∇w dV =

∫Ω

div(w1(Cof∇w)1) dV =

∫∂Ωw1(Cof∇w)1 · n dS = 0

da cui la tesi nel caso C2. Il caso generale si ottiene procedendo come nella dimostrazioneprecedente: si prendono u(h),v(h) ∈ C2(Ω;Rn) con u(h) − v(h) ∈ C2

0 (Ω;Rn) tali che

u(h) → u, v(h) → v in W 1,n(Ω;Rn)

e si usa il fatto che

det∇u(h) → det∇u, det∇v(h) → det∇v in L1(Ω;Rn).

Da questa identita segue un primo risultato interessante per l’iperelasticita.

Teorema 11.6. Sia γ : R→ R una funzione convessa. Allora la funzione

Ψ(F) = γ(detF)

e quasiconvessa.

Dimostrazione. Sia A ∈Mn×n e ϕ ∈ C10 (Ω;Rn). Allora, dalla disuguaglianza di Jensen,

Ψ(A +∇ϕ) = γ(det(A +∇ϕ)) > γ(det(A +∇ϕ)).

Siccome A e A +∇ϕ hanno lo stesso valore al bordo, dalla precedente proposizione segue

det(A +∇ϕ) = γ(detA)

e quindiΨ(A +∇ϕ) = γ(detA) = Ψ(A).

Osservazione 11.7. Il Teorema 11.3 e la Proposizione 11.5 si estendono anche a tutti ideterminanti dei minori della matrice ∇u. In particolare, nel caso n = 3 si puo generalizzareil Teorema 11.6 mostrando che se g : R19 → R e convessa, allora la funzione

Ψ(F) = g(F,Cof F,detF)

e quasiconvessa. ?

Questo suggerisce la seguente definizione.

Definizione 11.8. Una funzione Ψ : M3×3 → R ∪ +∞ della forma

Ψ(F) = g(F,Cof F,detF)

con g : R19 → R ∪ +∞ convessa, si dice policonvessa.(13)

(13)Per una definizione su Mk×n si veda [Dacorogna, Capitolo 5].

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Quindi le funzioni policonvesse (e finite) sono quasiconvesse. Il viceversa non e vero, ma lapoliconvessita e molto piu semplice della quasiconvessita, poiche si verifica con una condizionealgebrica su Ψ.

Osservazione 11.9. Si noti che la funzione g della definizione precedente non e unica. Fac-ciamo un semplice esempio nel caso n = 2, per cui i cofattori coincidono con le entrate dellamatrice e dunque g : R5 → R. Consideriamo la funzione

Ψ(F) := |F|2 = F 211 + F 2

12 + F 221 + F 2

22.

Allora Ψ e policonvessa (anzi, e addirittura convessa) e una scelta possibile per la funzione g eproprio g(f, δ) = |f |2, che e ovviamente convessa in (f, δ). Ma riscrivendo Ψ(F) come

Ψ(F) = (F11 − F22)2 + (F12 + F21)

2 + 2 detF,

si puo fare la sceltag(f, d) = (f11 − f22)2 + (f12 + f21)

2 + 2δ,

che e ancora convessa in (f, δ), in quanto somma di funzioni convesse, ma e diversa dallaprecedente. ?

Osservazione 11.10. La nozione di policonvessita e ovviamente piu ampia di quella diconvessita nel caso n > 2. Ad esempio, nel caso n = 2, la funzione

Ψ(F) = detF = F11F22 − F12F21

non e convessa, come sappiamo, ma scegliendo

g(f, δ) = δ

si ha che g e convessa in (f, δ) e Ψ(F) = g(F, detF). ?

Pertanto lo schema finale e il seguente(14)

convessita ⇒ policonvessita ⇒ quasiconvessita ⇒ convessita di rango 1⇑ m m

esempi fisici debole condizioni diinferiore Legendre-Hadamard

semicontinuita

Per quanto riguarda le implicazioni inverse si ha, nel caso n > 2 e k > 2:

• policonvessita 6⇒ convessita: il controesempio e quello della funzione Ψ(F) = detF

• quasiconvessita 6⇒ policonvessita: qui il controesempio e piu laborioso ed e essenzialmentedovuto all’olandese F. J. Terpstra nel 1938

• convessita di rango 1 6⇒ quasiconvessita: in questo caso si ha un famoso controesempiodi Vladimır Sverak del 1992, che pero vale solo nel caso n > 3, k > 2. Nel caso n = k = 2non si sa ancora se le due nozioni siano veramente distinte.

Grazie al Corollario 10.7, nel caso n = 1 o k = 1 le nozioni di convessita, policonvessita,quasiconvessita, convessita di rango 1 coincidono.

(14)Se l’immagine della funzione contiene anche +∞, non si parla di quasiconvessita, e quindi si ha soltanto lacatena di implicazioni

convessita ⇒ policonvessita ⇒ convessita di rango 1.

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12 Approfondimento sulle funzioni policonvesse

Vediamo un’altra possibile caratterizzazione delle funzioni policonvesse.

Teorema 12.1. Sia F : M3×3 → R. Allora F e policonvessa se e solo se esistono H,K ∈M3×3

e d ∈ R tali che per ogni A,B ∈M3×3

F (B) > F (A) + H · (B− A) + K · (Cof B− Cof A) + d(detB− detA). (33)

Dimostrazione. L’implicazione “⇒” viene direttamente dalla convessita della funzione g. Permostrare il viceversa, definiamo

g(B,C, δ) := supA∈M3×3

[F (A) + H · (B− A) + K · (Cof B− Cof A) + d(detB− detA)] .

Essendo l’estremo superiore di funzioni affini (e quindi convesse), g e convessa. Inoltre dalla (33)si ha facilmente

g(B,Cof B,detB) = F (B).

Si noti inoltre che la funzione g assume solo valori finiti, poiche si puo dimostrare che l’inviluppoconvesso dell’insieme

(B,Cof B,detB) : B ∈M3×3

e tutto lo spazio M3×3 ×M3×3 × R.

Osservazione 12.2. Sostituendo A + B al posto di B nella disuguaglianza (33), si ottiene,per ogni A,B ∈M3×3, la disuguaglianza equivalente

F (A + B) > F (A) + H · B + K · Cof B + ddetB

per opportuni H, K ∈M3×3 e d ∈ R.

In particolare, tale disuguaglianza permette di dimostrare facilmente che le funzionipoliconvesse sono quasiconvesse. Infatti, dato Ω aperto limitato in R3, A ∈ M3×3 e ϕ ∈C10 (Ω;R3), si ha∫

ΩF (A +∇ϕ) dV >

∫ΩF (A) dV +

∫Ω

[H · ∇ϕ+ K · Cof∇ϕ+ ddet∇ϕ

]dV

e il secondo integrale e nullo per il Teorema della Divergenza. ?

Ora caratterizziamo le funzioni quasiaffini.

Teorema 12.3. Sia F : Mn×n → R continua e tale che F e −F siano convesse di rango 1. Allora F e unafunzione affine dei minori delle matrici. In particolare nel caso n = 3 F ha la forma

F (A) = a+ H · A + K · Cof A + ddetA

per opportuni H,K ∈M3×3 e a, d ∈ R.

Si noti che il teorema implica che F e −F sono anche policonvesse, e dunque F e quasiaffine. In particolare,le nozione di poliaffinita, quasiaffinita, affinita di rango 1 coincidono.

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Dimostrazione. Per semplicita facciamo la dimostrazione nel caso n = 2.Vediamo prima il caso F ∈ C2. Poiche F e −F sono convesse di rango 1 e regolari, le condizioni di

Legendre-Hadamard diventano2∑

i,j,p,q=1

∂2F (A)

∂Api∂Aqjξpξqηiηj = 0 (34)

per ogni ξ,η ∈ Rn e per ogni A ∈M2×2. Poniamo

M =∂2F (A)

∂A2, Mpiqj =

∂2F (A)

∂Api∂Aqj

che e un campo tensoriale del quart’ordine dipendente da A.Dalla (34) si ha (gli indici non sono sommati):

Mpiqj = −Mqipj = Mqjpi, Mpipj = Mpiqi = 0.

In particolare, poiche M1111 = M2222 = 0, si ha che F e affine nelle variabili A11, A22, e dunque

F (A) = F0(A12, A21)A11A22 + θ1(A12, A21)A22 + θ2(A12, A21)A11 + χ(A12, A21),

dove le F0, θi, χ sono di classe C2.Ora dal fatto, ad esempio, che M1112 = 0, ne segue che

∂F0

∂A12A22 +

∂θ2∂A12

= 0

da cui, per l’arbitrarieta di A22 si ottiene

∂F0

∂A12=

∂θ2∂A12

= 0.

Allo stesso modo, da M1121 = M2212 = M2221 = 0 si ottiene che

∂F0

∂A21=

∂θ2∂A21

=∂θ1∂A12

=∂θ1∂A21

= 0

e dunque F0, θ1, θ2 sono costanti. Per cui si giunge a

F (A) = F0A11A22 + θ1A22 + θ2A11 + χ(A12, A21).

Ora sfruttiamo il fatto che anche M1212 = 0 e M2121 = 0, ottenendo

∂2χ

∂A212

=∂2χ

∂A221

= 0,

da cuiχ(A12, A21) = χ0A12A21 + χ1A12 + χ2A21 + χ3

con χi costanti. Dunque otteniamo

F (A) = F0A11A22 + θ1A22 + θ2A11 + χ0A12A21 + χ1A12 + χ2A21 + χ3.

Infine imponiamo che M1122 = −M1221, da cui F0 = −χ0 e quindi

F (A) = F0(A11A22 −A12A21) + θ1A22 + θ2A11 + χ1A12 + χ2A21 + χ3.

Abbiamo mostrato che F e affine in A e in detA.Se ora F e soltanto continua, regolarizziamo per convoluzione. Sia ρ ∈ C∞0 (M2×2) con ρ > 0, ρ(A) = 0 per

|A| > 1 e∫M2×2 ρ dL

4 = 1. Sia

ρε(A) = ε−4ρ

(A

ε

)e poniamo Fε = ρε ∗ F . Allora Fε e −Fε sono convesse di rango 1 e regolari, quindi

Fε(A) = aε + Hε · A + dε detA.

Sia ora A = tep ⊗ ei e poniamogε(t) = Fε(tep ⊗ ei) = aε + t(Hε)pi;

poiche detA = 0 e Fε → F uniformemente sui compatti, si ha che gε → g uniformemente sui compatti, e sivede subito che g e della forma

g(t) = a+ tHpi.

Quindi aε → a e Hε → H. Per differenza si ottiene anche che dε → d e quindi la tesi.

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Teorema 12.4. Sia Φ : M3×3 → R una funzione quasiaffine non costante, e sia

F (A) = g(Φ(A))

per qualche g : R→ R. Allora

F e policonvessa ⇔ F e quasiconvessa ⇔ F e convessa di rango 1 ⇔ g e convessa.

Dimostrazione. Ovviamente basta dimostrare che

F convessa di rango 1 ⇒ g e convessa.

Dal teorema precedente sappiamo che Φ e della forma

Φ(A) = a+ H · A + K · Cof A + d detA

per opportuni H,K ∈M3×3 e a, d ∈ R e con almeno uno tra H, K, d non nullo.Se H 6= 0, sia Hpi 6= 0 e poniamo

Api =x− aHpi

, Bpi =y − aHpi

, Aqj = Bqj = 0 altrimenti.

Allora si ha che Cof A = Cof B = 0, detA = detB = 0, A− B ha rango 1 e

Φ(A) = x, Φ(B) = y.

PoicheΦ(λA + (1− λ)B) = λx+ (1− λ)y,

ne segue

g(λx+ (1− λ)y) = F (λA + (1− λ)B)) 6 λF (A) + (1− λ)Φ(B) = λg(x) + (1− λ)g(y),

quindi g e convessa.Se invece H = 0 e K 6= 0, sia Kpi 6= 0 e poniamo

Ap+1,i+1 =x− aKpi

, Ap+2,i+2 = 1, Bp+1,i+1 =y − aKpi

, Bp+2,i+2 = 1,

Aqj = Bqj = 0 altrimenti.

In questo modo si ha nuovamente che detA = detB = 0, A − B ha rango 1 e Φ(A) = x, Φ(B) = y, e si puoripetere l’argomento precedente.

Infine, se H = K = 0, si ha d 6= 0 e consideriamo le matrici

A = diag(x− a

d, 1, 1

), B = diag

(x− ad

, 1, 1),

in modo che ancora A− B ha rango 1 e Φ(A) = x, Φ(B) = y.

Vediamo ora un teorema che riguarda il caso quadratico.

Teorema 12.5. Sia F : Mk×n → R la forma quadratica data da

F (A) = CA · A = CpiqjApiAqj

dove C e un tensore del quart’ordine simmetrico, cioe Cpiqj = Cqjpi.Allora F e convessa di rango 1 se e solo se F e quasiconvessa.

Dimostrazione. Intanto la quasiconvessita equivale a dire che

∀ϕ ∈ C10 (Ω;Rk) :

∫Ω

C∇ϕ · ∇ϕdV > 0;

infatti si ha ∫Ω

F (A +∇ϕ) dV =

∫Ω

C(A +∇ϕ) · (A +∇ϕ) dV

= |Ω|F (A) dV + 2CA ·∫Ω

∇ϕdV +

∫Ω

C∇ϕ · ∇ϕdV

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e il secondo integrale e nullo per le condizioni al contorno. Inoltre osserviamo che la convessita di rango 1equivale alle condizioni di Legendre-Hadamard, visto che la funzione e regolare.

Ora estendiamo ϕ a 0 fuori da Ω e consideriamo la sua trasformata di Fourier; il teorema di Plancherelafferma che il prodotto in L2 di due funzioni coincide col prodotto in L2 delle loro trasformate,(15) dove fdenota la trasformata di Fourier di f , ovvero

f(ξ) =

∫e2πix·ξf(x) dV.

Applicando il risultato a C∇ϕ e ∇ϕ si ottiene∫Ω

C∇ϕ · ∇ϕdV =

∫C∇ϕ · ∇ϕdV =

∫C∇ϕ · ∇ϕdV

=

∫Cpiqjiξpϕiiξqϕj dV =

∫Cpiqjξpξq(Re ϕi + i Im ϕi)(Re ϕj − i Im ϕj) dV

=

∫Cpiqjξpξq Re ϕi Re ϕj +

∫Cpiqjξpξq Im ϕi Im ϕj dV > 0

e la disuguaglianza e data dalle condizioni di Legendre-Hadamard.

Inoltre si puo dimostrare che nel caso k = 2 o n = 2 le forme quadratiche sono policonvesse se e solo sesono quasiconvesse, mentre cio non e vero se k, n > 3.

13 Il teorema di John Ball

In questa sezione enunciamo e dimostriamo un teorema riassuntivo che applica i risultatidella policonvessita a un materiale iperelastico. Premettiamo prima due lemmi; il primogeneralizza la disuguaglianza di Poincare.

Lemma 13.1. Sia Ω un aperto connesso e limitato di Rn con frontiera regolare, e sia Γ0 ⊂ ∂Ωun sottoinsieme regolare tale che |Γ0| > 0. Allora esiste una costante d > 0 tale che

∀u ∈W 1,p(Ω) : ‖u‖pp 6 d(‖∇u‖pp +

(∫Γ0

|u| dS)p)

,

dove l’ultimo integrale va inteso nel senso delle tracce.

Dimostrazione. Per assurdo sia (uh) in W 1,p(Ω) tale che ‖uh‖p = 1 e

‖∇uh‖pp +(∫

Γ0

|uh| dS)p6

1

h.

Si ha subito che (uh) e limitata in W 1,p(Ω), quindi a meno di sottosuccessioni

uh u in W 1,p(Ω).

In particolare dalla semicontinuita inferiore debole della norma si ha ‖∇u‖p = 0, da cui u = ccostante. Inoltre, poiche l’operatore di traccia e continuo in Lp(Γ0),

0 = limh

∫Γ0

|uh| dS =

∫Γ0

|u| dS = |c||Γ0|

(15)Si osservi che in generale f, g : Cn → Cn, e dunque

(f, g)L2 =

∫f(x) · g(x) dV,

dove g(x) e il complesso coniugato di g(x).

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e dunque u ≡ 0. D’altra parte, a meno di una ulteriore successione si ha anche uh → u inLp(Ω), e dunque la sottosuccessione tende a 0 fortemente in Lp; questo e assurdo, poiche‖uh‖p = 1.

Naturalmente il lemma precedente si generalizza al caso u ∈ W 1,p(Ω;Rk). Il secondolemma stabilisce una proprieta di convergenza dei determinanti e dei cofattori di gradienti.

Lemma 13.2. Sia n = 3 e sia u(h) u in W 1,p(Ω;R3) per qualche p > 2. Allora valgono iseguenti fatti:

(1) si ha, a meno di sottosuccessioni,

Cof∇u(h) → Cof∇u nel senso distribuzionale,

ovvero

∀ϕ ∈ C∞0 (Ω;M3×3) :

∫Ω

Cof∇u(h) · ϕdV →∫Ω

Cof∇u · ϕdV ;

(2) se in piu Cof∇u(h) Cof∇u in Lp′, allora, a meno di sottosuccessioni,

det∇u(h) → det∇u nel senso distribuzionale.

Dimostrazione. Dimostriamo la (1). Per la (2) si procede in modo simile.Per l’Osservazione 11.4, per ogni ϕ ∈ C∞0 (Ω) si ha∫

Ω(Cof∇u(h))ipϕdV = −1

2

3∑q,j,k,r=1

εijkεpqr

∫Ωu(h)j

∂u(h)k

∂xr

∂ϕ

∂xqdV.

Sia ora Ω′ ⊂ Ω regolare e tale che suppϕ ⊂ Ω′. Poiche u(h) u in W 1,p(Ω′R3), dalTeorema 3.9 si ha

u(h) → u in L2(Ω′;R3) a meno di sottosuccessioni.

Quindi

u(h)j

∂u(h)k

∂xr→ uj

∂uk∂xr

in L1

e dunque ∫Ω

(Cof∇u(h))ipϕdV →∫Ω

(Cof∇u(h))ipϕdV.

Veniamo ora al teorema principale di esistenza del minimo.

Teorema 13.3. Sia Ω ∈ R3 un aperto limitato connesso con frontiera regolare, e sia Ψ :Ω ×M3×3

+ → R un potenziale elastico continuo tale che

(i) (policonvessita) esiste g : Ω ×M3×3 ×M3×3×]0; +∞[→ R di Caratheodory tale cheg(x, ·, ·, ·) e convessa per q.o. x ∈ Ω e

∀F ∈M3×3+ : Ψ(x,F) = g(x,F,Cof F, detF);

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(ii) (continuita all’infinito) se Fh → F, Ch → C, δh → 0+, allora

limhg(x,Fh,Ch, δh) = +∞;

(iii) (coercitivita) esistono α > 0, β ∈ R, p > 2, q > p′, r > 1 tali che

∀F,C ∈M3×3, δ > 0 : g(x,F,C, δ) > α (|F|p + |C|q + δr) + β.

Supponiamo che ∂Ω = Γ0 ∪ Γ1 in modo disgiunto e con |Γ0| > 0. Siano f : Ω → R3 et : Γ1 → R3 misurabili tali che l’applicazione

L[u] =

∫Ωf · u dV +

∫Γ1

t · u dS

sia continua su W 1,p(Ω;R3). Infine sia u0 : Γ0 → R3 misurabile e tale che l’insieme

U =u ∈W 1,p(Ω;R3) : Cof∇u ∈ Lq, det∇u ∈ Lr, det∇u > 0 q.o. in Ω,u = u0 su Γ0

non sia vuoto.(16)

Allora, definendo il funzionale F : U → R ∪ +∞ come

F [u] =

∫Ω

Ψ(x,∇u) dV − L[u]

e supponendo che inf F [u] < +∞, si ha che esiste

minu∈U

F [u].

Dimostrazione. Si noti che il funzionale F e ben definito in quanto g e di Caratheodory. Sinoti inoltre che la funzione g e definita su tutto M3×3, e non solo su M3×3

+ .Passo 1: modifica del problema Definiamo una funzione g : Ω ×M3×3 ×M3×3 × R→R ∪ +∞ nel seguente modo:

g(x,F,C, δ) =

g(x,F,C, δ) se δ > 0

+∞ se δ 6 0.

Allora g(x, ·, ·, ·) resta continua e convessa; inoltre, g(x,F,C, δ) > β dalla (iii). Se introduciamol’insieme

U =u ∈W 1,p(Ω;R3) : Cof∇u ∈ Lq, det∇u ∈ Lr,u = u0 su Γ0

che contiene U e definiamo F : U → R ∪ +∞

F [u] =

∫Ωg(x,∇u(x),Cof∇u(x),det∇u(x)) dV − L[u],

otteniamo un’estensione di F , e in particolare

minU

F = minU

F .

(16)Ad esempio, si puo considerare il caso in cui u0 sia la traccia di un campo u0 ∈ W 1,p(Ω;R3) tale cheCof∇u0 ∈ Lq, det∇u0 ∈ Lr, det∇u0 > 0 q.o. in Ω. In questo modo certamente u0 ∈ U e dunque U 6= ∅.

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Inoltre, F [u] < +∞⇒ det∇u > 0 q.o. in Ω.Passo 2: minorazione Usando (iii), stabiliamo una minorazione per F : per ogni u ∈ Usi ha

F [u] > α(‖∇u‖pp + ‖Cof∇u‖qq + ‖ det∇u‖rr) + β|Ω| − c‖u‖1,pdove c e la costante di continuita di L. Poiche dal Lemma 13.1 abbiamo che per ogni u ∈ U

‖u‖pp 6 d(‖∇u‖pp +

(∫Γ0

|u0| dS)p)

= d‖∇u‖pp + cost,

troviamo che

F [u] > c0 + c1(‖u‖p1,p + ‖Cof∇u‖qq + ‖det∇u‖rr)− c‖u‖1,p

con c1 > 0, c2, c ∈ R. Poiche p > 1, esiste una costante b ∈ R tale che c‖u‖1,p 6 c12 ‖u‖

p1,p+b,(17)

e dunque si puo maggiorare l’ultimo addendo col primo, ottenendo

F [u] > c+c12

(‖u‖p1,p + ‖Cof∇u‖qq + ‖det∇u‖rr). (35)

In particolare, F e coercitivo su U , e poiche la stessa stima vale per F [u] su U , si ha che Fe coercitivo su U .Passo 3: successione minimizzante Sia uh in U una successione minimizzante per F ,ovvero

limh

F [uh] = infU

F .

Per la disuguaglianza trovata al passo precedente, e poiche infU F e finito, si ha che

(uh) e limitata in W 1,p

(Cof∇uh) e limitata in Lq

(det∇uh) e limitata in Lr.

Per la riflessivita degli spazi si ha, a meno di sottosuccessioni,

uh u in W 1,p

Cof∇uh C in Lq

det∇uh δ in Lr.

Poiche il limite debole negli spazi Lp implica quello distribuzionale, per l’unicita del limiteil Lemma 13.2 garantisce che C = Cof∇u e δ = det∇u (e qui che serve l’ipotesi q > p′), edunque in particolare Cof∇u ∈ Lq e det∇u ∈ Lr.

Ora si noti che la policonvessita di F non implica automaticamente la quasiconvessita,visto che la funzione g assume anche il valore +∞. Pero possiamo procedere cosı: poicheabbiamo appena visto che

(∇uh,Cof∇uh, det∇uh) (∇u,Cof∇u, det∇u) in Lp × Lq × Lr,(17)Per trovare la costante b, si puo minorare la funzione c1

2xp con la retta tangente in un suo punto, scegliendo

il punto in modo che il coefficiente angolare sia c. Facendo i conti, dovrebbe risultare

c12xp > cx− cp− 1

p

(2c

pc1

) 1p−1

.

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la convessita di g implica cheF (u) 6 lim inf

hF (uh),

quindi si trova cheF (u) = min

UF .

In particolare F (u) < +∞ e dunque det∇u > 0. Poiche e facile vedere che si ha ancheu = u0 su Γ0, si ha u ∈ U e dunque u e il minimo di F .

14 Policonvessita delle energie di Ogden

Ora vogliamo trovare una classe di materiali iperelastici a cui si possa applicare il Teoremadi Ball (e dunque che ammettano un minimo dell’energia). Ci occuperemo in particolare deimateriali isotropi, la cui energia dipende solo dai valori singolari del gradiente di deformazione.

Premettiamo alcuni lemmi, partendo da un risultato di Von Neumann di cui non diamo la dimostrazione.

Lemma 14.1 (Von Neumann). Siano A, B due matrici n× n con valori singolari rispettivamente

α1 > α2 > . . . > αn, β1 > β2 > . . . > βn.

Allora si ha

|A · B| 6n∑i=1

αiβi.

In particolare, si ha anche | tr(AB)| 6∑αiβi.

Lemma 14.2. Siano v1 > v2 > . . . > vn i valori singolari di F e siano r1 > r2 > . . . > rn > 0. Allora lafunzione Ψ : Mn×n → R definita da

Ψ(F) :=

n∑i=1

rivi

e convessa.

Dimostrazione. Il Teorema di decomposizione ai valori singolari (SVD) afferma che esistono due matriciortogonali P,Q tali che

diag(v1, . . . , vn) = PFQT.(18)

Consideriamo la matrice diagonale B = diag(r1, . . . , rn). Allora si ha

(PF) · (BQ) = (PFQT) · B =

n∑i=1

viri = Ψ(F).

Ma poiche A, RA e AR hanno gli stessi valori singolari per ogni matrice ortogonale R, dal Lemma di VonNeumann si ottiene

Ψ(F) = maxR1,R2

(R1F) · (BR2)

e dunque Ψ e convessa in quanto estremo superiore di funzioni affini.

In particolare, scegliendo r1 = · · · = rk = 1 e rk+1 = · · · = rn = 0 si ha che la funzione

Ψ(F) =

k∑i=1

vi

e convessa.

(18)Il Teorema SVD si puo dimostrare cosı: poiche FTF e simmetrica, si ha che esiste una matrice ortogonaleQ per cui la matrice QFTFQT e diagonale con gli autovalori decrescenti in valore assoluto. Riscrivendo tale

relazione come (FQT)T(FQT), si ha che le colonne della matrice FQT sono vettori ortogonali. Normalizzando e

completando questo sistema di vettori e mettendolo per righe in una matrice ortogonale P si giunge alla tesi.

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p0 p1

p2convC

p1(12) p2

(12)

Figura 1: Un esempio di C nel caso n = 2 e p = (3, 1)

Lemma 14.3. Sia g : [0,+∞[n→ R una funzione convessa, simmetrica, non decrescente in ogni variabile.Allora per ogni λ ∈ [0, 1] e per ogni A,B ∈ Mn×n con valori singolari rispettivamente a = (a1, . . . , an),b = (b1, . . . , bn), si ha

g(u) 6 g(λa+ (1− λ)b), (36)

dove u = (u1, . . . , un) sono i valori singolari di λA + (1− λ)B.

Dimostrazione. Chiamiamo per brevita a = (a1, . . . , an), b = (b1, . . . , bn), u = (u1, . . . , un) rispettivamente ivalori singolari in ordine decrescente di A, B, λA+ (1−λ)B, e poniamo p := λa+ (1−λ)b. Il problema e quellodi confrontare p con u, cioe i valori singolari di una combinazione convessa di matrici con quelli delle matricistesse. Poniamo anche

p0 = (0, . . . , 0), p` = (p1, . . . , p`, 0, . . . , 0) per 1 6 ` 6 n

e, per ogni permutazione σ ∈ Sn,p`σ = (p`σ(1), . . . , p

`σ(n)).

Affermiamo che u e combinazione convessa dei p`σ. Infatti: posto

C = p`σ : 0 6 ` 6 n, σ ∈ Sn ⊂ Rn,

si ha che il convessificato di C e l’intersezione di tutti i semispazi chiusi che contengono C. Quindi dobbiamodimostrare che, dati d ∈ Rn e δ ∈ R,

∀σ ∈ Sn, 0 6 ` 6 n : d · p`σ 6 δ ⇒ d · u 6 δ.

Dal Lemma 14.2 sappiamo che per ogni r1 > . . . > rn > 0 si ha, per convessita,

n∑i=1

riui 6 λn∑i=1

riai + (1− λ)

n∑i=1

ribi =

n∑i=1

ripi. (37)

Siano ora d ∈ Rn e δ ∈ R tali che d · p`σ 6 δ per ogni σ ∈ Sn e 0 6 ` 6 n. In particolare, poiche p0 e il vettorenullo, si ha δ > 0. Sia σ−1 ∈ Sn la permutazione che ordina in modo decrescente le componenti di d, ovverotale che

dσ−1(1) > dσ−1(2) > . . . > dσ−1(n).

Se tali componenti sono tutte negative allora e ovvio che d · u 6 δ e vera (ricordiamo che u e un vettore divalori singolari, quindi ha componenti non negative). Altrimenti esiste 1 6 k 6 n tale che

dσ−1(1) > . . . > dσ−1(k) > 0 > dσ−1(k+1) . . . > dσ−1(n).

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Allora si ha(19)

d · u =

n∑i=1

dσ−1(i)uσ−1(i) 6n∑i=1

dσ−1(i)ui 6k∑i=1

dσ−1(i)ui 6k∑i=1

dσ−1(i)pi = d · pkσ

dove nell’ultima disuguaglianza abbiamo usato la (37). Quindi d·u 6 d·pkσ 6 δ e dunque u sta nel convessificatodi C.

Se quindi u e combinazione convessa dei p`σ, si ha che esistono dei coefficienti λ`σ ∈ [0, 1] tali che

n∑`=0

∑σ∈Sn

λ`σ = 1 e u =

n∑`=0

∑σ∈Sn

λ`σp`σ.

Ora sfruttiamo, nell’ordine, la convessita, la simmetria, la non decrescenza di g:

g(u) 6n∑`=0

∑σ∈Sn

λ`σg(p`σ) =

n∑`=0

∑σ∈Sn

λ`σg(p`) 6n∑`=0

∑σ∈Sn

λ`σg(p)

= g(p) = g(λa+ (1− λ)b)

e dunque la (36) e dimostrata.

Teorema 14.4. Sia g : [0,+∞[n→ R una funzione convessa, simmetrica, non decrescente inogni variabile. Allora la funzione Ψ : Mn×n → R definita da

Ψ(F) = g(v1, v2, . . . , vn), v1, v2, . . . , vn valori singolari di F

e convessa.

Dimostrazione. Dal Lemma 14.3 e dalla convessita di g segue che

Ψ(λA + (1− λ)B) = g(u) 6 λg(a) + (1− λ)g(b) = λΨ(A) + (1− λ)Ψ(B)

e dunque Ψ e convessa.

Corollario 14.5. Sia Ψ : Ω ×M3×3+ → R l’energia di un materiale di tipo Ogden (21)

Ψ(x,F) = a(x) +m∑i=1

bi(x)(vαi1 + vαi2 + vαi3 )+

+n∑j=1

cj(x)(

(v1v2)βj + (v2v3)

βj + (v1v3)βj)

+ γ(detF),

dove a, bi, cj : Ω → [0,+∞[ sono funzioni limitate e positive e γ : ]0,∞[→ R e una funzioneconvessa.

Se αi, βj > 1, allora Ψ e policonvessa e vale la disuguaglianza di coercitivita:

per q.o. x ∈ Ω, ∀F ∈M3×3+ : Ψ(x,F) > α(|F|p + |Cof F|q) + γ(detF)− ‖a‖∞

con p = maxα1, . . . , αm, q = maxβ1, . . . , βn e α > 0.

(19)Usiamo nella prima disuguaglianza il fatto che se α1 > . . . > αn e β1 > . . . > βn, allora per ognipermutazione σ ∈ Sn si ha

n∑i=1

αiβi >n∑i=1

αiβσ(i).

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In particolare, se p > 2, q > p′ e γ e tale che

limt→0+

γ(t) = +∞, |γ(x)| > β|x|r per qualche β > 0, r > 1, (20)

allora si puo applicare il Teorema di Ball e il problema elastico ammette esistenza del minimo.

Dimostrazione. Introduciamo la notazione

Ψα(F) := vα1 + vα2 + vα3 .

Poiche per α > 1 la funzione

(v1, v2, v3) 7→ vα1 + vα2 + vα3

e convessa, simmetrica e non decrescente nelle sue componenti, dal Teorema 14.4 si ha chel’energia Ψα(F) e convessa. Inoltre e facile riscrivere l’energia di Ogden come

Ψ(x,F) = a(x) +m∑i=1

bi(x)Ψαi(F) +n∑j=1

cj(x)Ψβj (Cof F) + γ(detF).

Quindi per quasi ogni x l’energia di Ogden e convessa in (F,Cof F,detF), in quanto somma difunzioni convesse, e dunque e policonvessa.

Per la seconda parte, osserviamo che per α > 1 la funzione

(v1, v2, v3) 7→ (vα1 + vα2 + vα3 )1/α

e una norma su R3 e dunque e equivalente alla norma euclidea. Dunque esiste cα > 0 tale che

vα1 + vα2 + vα3 > cα(v21 + v22 + v23

)α/2= cα(trFTF)α/2 = cα|F|α.

Si noti che nel caso αi = 2 e immediato dimostrare la convessita della funzione

g(v1, v2, v3) = v21 + v22 + v23,

in quanto g(v1, v2, v3) = |F|2 che e evidentemente convessa. La dimostrazione nel caso αi 6= 2,invece, e sorprendentemente piu sottile e articolata e si basa sul Lemma 14.3.

In generale, tutte le funzioni g(v, c, δ) = g1(v) + g2(c) + g3(δ) con g1, g2 convesse, simmetriche e nondecrescenti e g3 convessa danno luogo a funzioni Ψ policonvesse.

Le funzioni simmetriche dei valori principali possono essere combinate anche in altri modi tra loro, nonsolo sommate, purche sempre in modo convesso, come vediamo nel seguente teorema.

Teorema 14.6. Sia n = 3 e g : [0,+∞[7→ R ∪ +∞ tale che

Ψ(F) = g(v1, v2, v3, v1v2, v1v3, v2v3, v1v2v3)

dove g e convessa, non decrescente nelle prime sei entrate e simmetrica nelle prime tre e nelle seconde treentrate. Allora Ψ e policonvessa.

(20)Un esempio di funzione convessa che soddisfa tali requisiti e dato da

γ(x) = xr +1

xt, r > 1, t > 0.

61

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Dimostrazione. Sia γ : M3×3 ×M3×3 × [0,+∞[→ R ∪ +∞ definita da

γ(F,C, δ) = g(v1, v2, v3, c1, c2, c3, δ),

dove ci sono i valori singolari di C (si noti che γ e ben definita grazie alle simmetrie di g). Allora si ha

Ψ(F) = γ(F,Cof F, detF)

e basta dimostrare che γ e convessa.Siano A,B,C,D ∈ M3×3, con valori singolari (in ordine decrescente) rispettivamente a = (a1, a2, a3),

b = (b1, b2, b3), c = (c1, c2, c3), d = (d1, d2, d3). Siano poi δ, µ > 0 e λ ∈ [0, 1]. Chiamiamo per brevitarispettivamente u = (u1, u2, u3) e h = (h1, h2, h3) i valori singolari (in ordine decrescente) delle matrici

λA + (1− λ)B, λC + (1− λ)D.

Sfruttando la (36) sulle prime due componenti e la convessita di g si ottiene

γ(λA + (1− λ)B, λC + (1− λ)D, λδ + (1− λ)µ

)= g(u,h, λδ + (1− λ)µ

)6 g(λa+ (1− λ)b,h, λδ + (1− λ)µ

)6 g(λa+ (1− λ)b, λc+ (1− λ)d, λδ + (1− λ)µ

)6 λg(a, c, δ) + (1− λ)g(b,d, µ) = λγ(A,C, δ) + (1− λ)γ(B,D, µ)

e dunque γ e convessa.

15 Esercizi

(1) Sia α > 0 e si consideri un materiale iperelastico omogeneo e isotropo che occupa laconfigurazione di riferimento Ω = x ∈ R3 : |x| 6 1, soggetto a una deformazione

χα(x) = αx

quando sottoposto a una forza di pressione della forma

g(x) = −pα(det∇χα(x))∇χα(x)−Tn(x), pα > 0.

Si supponga che l’energia totale

F (χ) =

∫Ω

Ψ(∇χ(x)) dV −∫∂Ωg(x) · χ(x) dS

verifichiF (χα) = min

χ∈WF (χ)

dove

W = χ : Ω → R3 : det∇χ > 0,

∫Ωχ(x) dV = 0.

Si dimostri chelim

detF→0+Ψ(F) = +∞ ⇒ lim

α→0+pα = +∞

e si interpreti fisicamente il secondo limite.

(2) Sia p > 2 e q > 1. Si mostri che l’insieme

ψ ∈W 1,p(Ω) : Cof∇ψ ∈ Lq(Ω)

non e convesso in W 1,p(Ω).

62

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(3) Sia (φh) una successione di funzioni tale che

φh φ in W 1,p(Ω) e φh = φ0 su Γ0, Γ0 ⊂ ∂Ω.

Si dimostri che φ = φ0 su Γ0.

(4) Sia g : [0,+∞[n→ R una funzione simmetrica tale che la funzione Ψ : Mn×n → Rdefinita da

Ψ(F) = g(v1, v2, . . . , vn)

sia convessa (vi sono i valori singolari di F). Si dimostri che la funzione g e convessa enon decrescente rispetto ad ogni variabile.

(5) Un materiale elastico e detto materiale di St. Venant-Kirchhoff isotropo se soddisfa laprescrizione costitutiva

S(E) = λ(trE)I + 2µE

dove

E =1

2(FTF− I) =

1

2(∇u+∇uT +∇uT∇u)

e il cosiddetto tensore di Green-St. Venant (si veda l’Esempio 8.10). Tali materiali sonotra i piu semplici esempi di materiali elastici non lineari.

Si scriva l’energia elastica associata a tali materiali, mostrando che si ha

Ψ(F) = −3λ+ 2µ

4(v21 + v22 + v23) +

λ+ 2µ

8(v41 + v42 + v43) +

λ

4(v22v

23 + v21v

23 + v21v

22)

a meno di costanti, dove v1, v2, v3 sono i valori singolari di F. Si dimostri poi che taleenergia non e policonvessa, seguendo [Ciarlet, Theorem 4.10-1].

16 Rilassamento di un funzionale

Quando un funzionale non e semicontinuo inferiormente, un modo per ottenere l’esistenzadi un minimo e quello di passare al funzionale rilassato. In breve, si costruisce un funzionalediverso, associato a quello di partenza, e che abbia buone proprieta di semicontinuita, e silavora su questo.

Definizione 16.1. Sia X uno spazio metrico e F : X → R. Poniamo

(sc−F )(x) = supG (x) : G : X → R, G 6 F , G semicontinuo inferiormente.

Si ha che sc−F e la piu grande funzione semicontinua inferiormente minore o uguale a F .

Teorema 16.2 (Proprieta del rilassato). Sia F : X → R. Allora

(1) infX

sc−F = infX

F ;

(2) se x ∈ X e punto di minimo per F , allora x e punto di minimo per sc−F ;

(3) se (xh) e una successione minimizzante per F e xh → x, allora x e punto di minimoper sc−F .

63

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In particolare, se F e coercitiva allora sc−F ammette minimo.

Dimostrazione. (1) E chiaro che infX sc−F 6 infX F ; viceversa, se infX F = −∞ abbiamofinito, se invece infX F > −∞, allora per ogni t ∈ R con t < infX F si ha t 6 infX sc−F(scegliendo la funzione costante G (x) = t), e dunque vale l’altra disuguaglianza.(2) Segue immediatamente da (1).(3) Dalla semicontinuita inferiore del rilassato si ha

sc−F (x) 6 limh

sc−F (xh) 6 limh

F (xh) = infX

F = infX

sc−F

e dunque x e minimo per sc−F .

Teorema 16.3 (Caratterizzazioni alternative del rilassato). Sia X spazio metrico e F : X → R. Allo-ra:

(sc−F )(x) = inflim infh

F (xh) : xh → x, (38)

G = sc−F ⇐⇒

(a) ∀x ∈ X, ∀xh → x : G (x) 6 lim inf

hF (xh)

(b) ∀x ∈ X, ∃xh → x : G (x) > lim suph

F (xh).(39)

Le proprieta (a), (b) vengono anche dette, rispettivamente, disuguaglianza del liminf e disuguaglianza dellimsup. Si noti che, se vale (a), allora (b) puo essere riscritta come

(b’) ∀x ∈ X, ∃xh → x : G (x) = limh

F (xh).

Tale successione (xh) viene spesso chiamata recovery sequence (successione di recupero).

Dimostrazione. Poniamo G (x) := inflim infh F (xh) : xh → x; vogliamo mostrare che G e il rilassato di F .Dalla disuguaglianza

lim infh

F (xh) > lim infh

sc−F (xh) > sc−F (x) (40)

segue subito che G > sc−F . Ora mostriamo che G e semicontinuo inferiormente: sia xh → x e prendiamo unasottosuccessione tale che

limk

G (xhk ) = lim infh

G (xh).

Se il limite vale +∞, siamo a posto. Altrimenti sia (tk) una successione in R tale che

tk > G (xhk ), limktk = lim

kG (xhk ).

Per definizione di G , esiste yhk tale che

d(xhk , yhk ) 61

k, tk > F (yhk ).

Quindi yhk → x elim inf

hG (xh) = lim

kG (xhk ) = lim

ktk > lim inf

kF (yhk ) > G (x).

Ne segue che G e semicontinua e dunque sc−F 6 G .Passiamo alla (39). Sia G = sc−F ; la proprieta (a) segue subito dalla (40). Per la (b): se sc−F (x) = +∞,

siamo a posto; altrimenti, sia (th) una successione in R tale che

th > sc−F (x), limhth = sc−F (x) = inflim inf

hF (xh) : xh → x.

Allora per ogni h esiste xh tale che

d(x, xh) 61

h, th > F (xh).

Quindi xh → x esc−F (x) = lim

hth > lim sup

hF (xh) > lim inf

hF (xh) > sc−F (x).

Viceversa, sia G che verifica (a), (b). Usando la caratterizzazione (38), da (a) segue subito che G 6 sc−F .Inoltre, dalla (b) per ogni x esiste una successione (xh) tale che

G (x) > lim suph

F (xh) > lim infh

F (xh) > inflim infh

F (xh) : xh → x = sc−F (x).

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Dal teorema precedente si deduce immediatamente un corollario che garantisce che il funzionale rilassatonon aggiunge “troppi” minimi al funzionale di partenza.

Corollario 16.4. Ogni punto di minimo di sc−F e limite di una successione minimizzante per F .

Dimostrazione. Sia x punto di minimo di sc−F . Allora esiste una recovery sequence xh → x tale chelimh F (xh) = (sc−F )(x). Poiche minX sc−F = infX F , si ha

limh

F (xh) = (sc−F )(x) = minX

sc−F = infX

F

e dunque (xh) e una successione minimizzante per F .

Per rilassare un funzionale che ha un addendo continuo (attenzione: continuo rispetto allatopologia di X, che potrebbe anche essere quella debole), e sufficiente rilassare il resto delfunzionale, come vediamo nella proposizione seguente.

Proposizione 16.5. Se G : X → R e una funzione continua e F + G e ben definita su X,allora anche sc−F + G e ben definita e

sc−(F + G ) = sc−F + G .

Dimostrazione. Poiche G , essendo continuo, e semicontinuo inferiormente, si ha che anchesc−F + G e semicontinuo inferiormente. Inoltre sc−F + G 6 F + G , quindi

sc−F + G 6 sc−(F + G ).

Sia ora H un funzionale semicontinuo inferiormente con H 6 F + G . Si ha che ancheH − G e semicontinuo inferiormente e H − G 6 F , quindi H − G 6 sc−F e dunqueH 6 sc−F + G .

Ma come si costruisce il rilassato di un funzionale dato in forma integrale su uno spazio diSobolev, cioe il tipico funzionale che abbiamo studiato finora? Senza addentrarci nei dettagli,diciamo che se il funzionale e della forma

F : W 1,p(Ω)→ R, F [u] :=

∫ΩF (∇u) dV,

allora si ha

sc−F [u] =

∫Ω

convF (∇u) dV,

dove convF , il convessificato di F , e la piu grande funzione convessa piu piccola di F , ovvero

convF (z) := supG(z) : G 6 F, G convessa

.

Se invece u e a valori vettoriali, e dunque il dominio di F sta nelle matrici, si rimpiazza lanozione di convessificato con quella di quasiconvessificato:

QF (A) := supG(A) : G 6 F, G quasiconvessa

.

Nel caso F : Rk×n → [0,∞[ si puo anche mostrare la formula di Dacorogna:

QF (A) = inf

1

|Ω|

∫ΩF (A +∇φ(x)) dV : φ ∈ C1

0 (Ω;Rk),

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dove Ω e un qualsiasi aperto limitato non vuoto in Rn.

In generale le ipotesi di coercitivita si trasmettono anche al rilassato: ad esempio, se si hauna stima di crescita del tipo

F (A) > α|A|p + β,

allora, poiche la funzione h(A) := α|A|p + β e quasiconvessa (anzi, e addirittura convessa) ed epiu piccola di F , si ha per definizione che h 6 QF , e dunque anche

QF (A) > α|A|p + β.

17 Breve cenno alla Γ -convergenza

La Γ -convergenza e una nozione di convergenza di funzionali che ben si adatta al Calcolodelle Variazioni, poiche i minimi convergeranno al minimo del funzionale limite. Capita spessonella modellizzazione dei materiali di costruire un modello per approssimazioni successive, nevediamo qualche esempio.

Esempio 17.1 (Omogeneizzazione). Supponiamo di avere una miscela di due materialielastici lineari che si alternano periodicamente (rappresentati in bianco e grigio nella figura).

· · · →

In questo caso si ha un tensore dell’elasticita C(x) periodico e un’energia elastica della forma

Wh(u) =1

2

∫ΩC(hx)E · E, E =

1

2(∇u+∇uT),

ed e ragionevole chiedersi cosa succeda per h → ∞. Questo processo viene chiamatoomogeneizzazione. ?

Esempio 17.2 (Riduzione dimensionale). Supponiamo di avere un dominio cilindrico

della forma Ωh = S ×(

0, 1h

), dove S e un aperto limitato di R2, e un’energia elastica (anche

non lineare)

Wh(u) =

∫Ωh

F (∇u) dV.

Effettuiamo un cambio di coordinate x′3 = hx3, in modo da mappare il dominio “sottile” Ωhnel dominio fisso Ω = S × (0, 1). L’energia si riscrive come

Wh(u) =1

h

∫ΩF

(∂u

∂x1,∂u

∂x2, h∂u

∂x′3

)dx1dx2dx

′3,

ed e interessante chiedersi cosa succeda per h→∞, ovvero quando il dominio tende a diventareuna lamina bidimensionale. ?

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Definizione 17.3 (Γ -convergenza). Siano Fh,F : X → R, dove X e uno spazio metrico.Diremo che F e il Γ -limite della successione Fh, e scriveremo

FhΓ→ F o anche F = Γ - lim

hFh ,

se valgono le due condizioni seguenti:

(a) disuguaglianza del liminf: ∀x ∈ X,∀xh → x : F (x) 6 lim infh

Fh(xh);

(b) disuguaglianza del limsup: ∀x ∈ X,∃xh → x : F (x) > lim suph

Fh(xh).

Le due disuguaglianze ricordano molto una delle caratterizzazioni del rilassato di un funzionale;anche in questo caso e facile vedere che la successione del punto (b), se vale anche (a), e taleche

F (x) = limh

Fh(xh),

e viene detta recovery sequence.

Osservazione 17.4.1) Per avere la disuguaglianza del liminf ci vuole una topologia forte, mentre per avere quelladel limsup occorre una topologia piu debole.2) Si verifica subito una “strana” proprieta di questa nozione di convergenza: se Fh ecostantemente uguale a F , si ha

Γ - limh

F = sc−F ,

e dunque il Γ -limite di una successione costante di funzionali potrebbe essere un altro funzionale.3) In generale vale che

Γ - limh

Fh = Γ - limh

sc−Fh.

4) Spesso e utile calcolare il Γ -limite di opportuni riscalamenti dei funzionali, ovvero si vuolevedere come e fatto

Γ - limh

(1

hαFh

)al variare di α.5) Se i funzionali Fh sono definiti su spazi diversi, ovvero Fh : Xh → R, si puo prendere unospazio metrico X ⊇ Xh che li contenga tutti, e definire

Fh(x) :=

Fh(x) se x ∈ Xh,

+∞ altrimenti.

In questo modo ci si riconduce a una famiglia di funzionali definiti sullo stesso spazio. ?

Esempio 17.5. Sia X = R e per h > 1 definiamo fh(x) := sin(hx) una successione di funzionidi periodo 2π/h. Allora si ha

fhΓ→ −1,

infatti:

• disuguaglianza del liminf: ∀x ∈ R, ∀xh → x: −1 6 lim infh sin(xh).

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• disuguaglianza del limsup: per ogni x ∈ R definisco (xh) tale che

hxh =3

2π + 2khπ e xh → x,

scegliendo ad esempio come kh la parte intera di hx2π . In questo modo fh(xh) = −1 per

ogni h e dunquelim sup

hfh(xh) = −1.

Si noti pero che anche la successione (−fh) Γ -converge a −1! ?

Definizione 17.6 (Equicoercitivita). Una famiglia (Fh) : X → R di funzionali si diceequicoercitiva se per ogni t ∈ R esiste un compatto Kt ⊆ X tale che

∀h : x ∈ X : Fh(x) 6 t ⊆ Kt.

Teorema 17.7 (Teorema fondamentale della Γ -convergenza). Se (Fh) : X → R euna famiglia di funzionali equicoercitiva e F = Γ - limh Fh, allora:

(1) esistenza: esiste il minimo di F in X;

(2) convergenza dei valori minimi: si ha minX

F = limh

(infX

Fh

);

(3) convergenza dei minimi: se (xh) e precompatta (ovvero la sua chiusura e compatta)in X e limh Fh(xh) = limh (infX Fh), allora ogni limite di sottosuccessione di (xh) e unminimo di F .

Dimostrazione. Dalla disuguaglianza del limsup, per ogni x ∈ X esiste una successione xh → xtale che lim suph Fh(xh) 6 F (x), e dunque

lim suph

(infX

Fh

)6 lim sup

hFh(xh) 6 F (x);

passando all’estremo inferiore a destra, troviamo

lim suph

(infX

Fh

)6 inf

XF .

Costruiamo una successione “minimizzante”: dato h > 1, per definizione di estremo inferioresia xh tale che

infX

Fh 6 Fh(xh) 61

h+ inf

XFh,

e dunque

lim infh

Fh(xh) = lim infh

(infX

Fh

).

Dall’equicoercitivita esiste una sottosuccessione (xhk) convergente a x ∈ X, e dunque, usandola disuguaglianza del liminf,

lim suph

(infX

Fh

)6 inf

XF 6 F (x) 6 lim inf

kFhk(xhk) = lim inf

h

(infX

Fh

),

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da cui

F (x) = minX

F = limh

(infX

Fh

).

Sia ora (xh) una generica successione precompatta tale che

limh

Fh(xh) = limh

(infX

Fh

)= min

XF .

Allora come prima si ha, per ogni xhk → x,

F (x) 6 lim infk

Fhk(xhk) = limk

Fhk(xhk) = minX

F

e dunque x e punto di minimo.

Osservazione 17.8. Al contrario di cio che accade per il rlassato di un funzionale, non evero che tutti i punti di minimo del Γ -limite sono limiti di successioni minimizzanti per (Fh).Un esempio banale e dato dalla famiglia Fh(x) = x2/h, che ha sempre soltanto un minimo in0 ma il cui Γ -limite e la funzione nulla.

Questo fatto puo essere usato come criterio di selezione dei punti di minimo, cioe dellesoluzioni, per un funzionale F che ne ammetta tanti: se esiste un modo naturale per costruireuna successione di problemi Fh che Γ -convergono a F , si potrebbero accettare soltanto quellesoluzioni che sono limiti di successioni minimizzanti. ?

Teorema 17.9 (Definizione equivalente). Siano Fh,F : X → R, dove X e uno spazio metrico. Allora

FhΓ→ F se e solo se

F (x) = inflim infh

Fh(xh) : xh → x = inflim suph

Fh(xh) : xh → x.

La dimostrazione e analoga a quella della formula (38) per il funzionale rilassato.Poniamo anche

Γ - lim infh

Fh(x) := inflim infh

Fh(xh) : xh → x,

Γ - lim suph

Fh(x) := inflim suph

Fh(xh) : xh → x.

Ora vediamo alcune proposizioni relative a successioni crescenti e decrescenti. La prima ci dice che unasuccessione decrescente di funzionali ammette sempre Γ -limite, e tale limite e dato dal rilassato del limitepuntuale (che esiste, visto che la successione e decrescente).

Proposizione 17.10 (Successioni decrescenti). Se Fh+1 6 Fh per ogni h ∈ N, allora

Γ - limh

Fh = sc−(

infh

Fh

)= sc−

(limh

Fh

).

Dimostrazione. Si ha Fh → infh Fh puntualmente, quindi in particolare, scegliendo la successione costante,

Γ - lim sup Fh(x) 6 infh

Fh(x)

da cui (essendo Γ - lim sup Fh semicontinuo inferiormente)

Γ - lim suph

Fh 6 sc−(

infh

Fh

).

Inoltre per ogni h ∈ N si ha

sc−(

infh

Fh

)6 inf

hFh 6 Fh.

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Per ogni xh → x si ha allora

sc−(

infh

Fh

)(x) 6 lim inf

h

(sc−(

infh

Fh

)(xh)

)6 lim inf

hFh(xh).

Passando all’estremo inferiore su tutte le successioni convergenti a x si trova

sc−(

infh

Fh

)6 Γ - lim inf

hFh .

Proposizione 17.11 (Successioni crescenti). Se Fh 6 Fh+1 per ogni h ∈ N, allora

Γ - limh

Fh = suph

sc−Fh = limh

sc−Fh .

In particolare, se Fh e semicontinuo inferiormente per ogni h ∈ N, allora

Γ - limh

Fh = limh

Fh ,

cioe il Γ -limite coincide col limite puntuale (che esiste sicuramente poiche la successione e monotona).

Dimostrazione. Essendo sc−Fh 6 Fh 6 Fh+1, si ha anche sc−Fh 6 sc−Fh+1, e dunque la successione deirilassati e ancora crescente e

sc−Fh → suph

(sc−Fh

).

In particolare,Γ - lim sup

hFh = Γ - lim sup

h

(sc−Fh

)6 sup

h

(sc−Fh

).

Viceversa, per ogni j 6 h si hasc−Fj 6 Fj 6 Fh

e dunque, per ogni xh → x,

sc−Fj(x) 6 lim infh

sc−Fj(xh) 6 lim infh

Fh(xh).

Passando all’estremo inferiore su tutte le successioni convergenti a x si trova

sc−Fj(x) 6 Γ - lim infh

Fh(x).

Ora passiamo all’estremo superiore su j:

supj

(sc−Fj

)6 Γ - lim inf

hFh(x).

Proposizione 17.12 (Addendo continuo). Sia G : X → R una funzione continua e F = Γ - limh Fh.Allora

F + G = Γ - limh

(Fh + G ).

Dimostrazione. Usando la continuita di G e le caratterizzazioni di Γ -lim inf e Γ -lim sup si trova subito la tesi.

17.1 Il caso quadratico

Proposizione 17.13. Se Fh : X → [0,+∞] sono tutte forme quadratiche definite positive e F = Γ - limh Fh,allora anche F e una forma quadratica definita positiva.

Dimostrazione. (Solo una traccia). Usando l’identita del parallelogrammo, si puo dimostrare che una funzioneF : X → [0,+∞] e una forma quadratica definita positiva se e solo se

F (0) = 0,

∀x, y ∈ X : F (x+ y) + F (x− y) 6 2(F (x) + F (y)),

∀x ∈ X, ∀t > 0 : F (tx) 6 t2F (x).

Poiche per Γ -convergenza “le disuguaglianze si conservano”, tutto passa al Γ -limite.

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Concludiamo con un teorema sui funzionali, di cui non diamo la dimostrazione.

Teorema 17.14. Siano Ω un aperto limitato in Rn e Ah : Ω → Sym(Rn) una famiglia difunzioni tale che

∃α, β > 0 : αI 6 Ah(x) 6 βI

per ogni x ∈ Ω e per ogni h ∈ N. Allora esiste A : Ω → Sym(Rn) tale che αI 6 A 6 βI e∫ΩA(x)∇u(x) · ∇u(x) dV = Γ - lim

h

∫ΩA(x)h∇u(x) · ∇u(x) dV

a meno di sottosuccessioni, su H1(Ω;Rn).

In generale tale funzione A non e facilmente deducibile dalle Ah. Ad esempio, nel casosemplice di omogeneizzazione unidimensionale, con ah :]0, 1[→ [0,+∞[ data da

ah(x) = g(hx), g : R→ [0,+∞[ periodica di periodo 1 e limitata,

si trova

a(x) = a :=

(∫ 1

0

1

g(y)dy

)−1che e una media armonica.

Riferimenti bibliografici

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