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CUORE - PEREZ Principio di Claude Bernard (fisiologo francese,1878) o principio della costanza del mezzo interno conosciuto anche come ambiente extracellulare. “Il mantenimento entro un rango ben preciso di valori dei parametri chimico-fisici (pressione parziale dei gas, la glicemia, la osmolarità ecc...) dell' ambiente extracellulare rappresenta la condizione indispensabile per lo svolgimento normale delle funzioni cellulari e quindi dei tessuti (che di cellule si compongono), degli organi (costituiti di tessuti) e dell'organismo in generale, nonostante modificazioni dell'organismo che possono derivare o dall'ambiente interno o dall' ambiente esterno in cui l'organismo si trova. Questo principio è rimasto fondamentale fino ai giorni nostri. Circa 50 anni dopo (1926) un fisiologo americano di nome W. B. Cannon introdurrà il concetto di omeostasi. La nozione di omeostasi si riferisce alla condizione di equilibrio stazionario in cui si trova l'organismo nonostante le oscillazioni e cioè il passaggio attraverso stadi fisiologici tra loro simili (da cui “ omeo-”) che consistono in variazioni dei valori dei parametri chimico-fisici dai valori di riferimento. Secondo l'eminente fisiologo americano l'organismo umano è dotato di meccanismi omeostatici, volti cioé a riportare le variabili modificate ai valori di riferimento. Lo studio di meccanismi omeostatici ha reso possibile la elaborazione di farmaci in grado di correggere le patologie in cui questi valori stazionari sono modificati. Solo recentemente sul finire degli anni 80' è stata proposta la nozione di allostasi, concetto derivato da condizioni fisiopatologiche, riferendosi alle condizioni in cui i valori delle variabili fisiologiche vengono spostate dai valori di riferimento a seguito di condizioni di particolari circostanze in cui l'organismo può ritrovarsi, ovvero condizioni di stress in cui la possibilità di sopravvivenza è resa possibile da uno spostamento di valori siano essi pressori, glicemici ecc... La modificazione di tali parametri è resa possibile dall'intervento coordinatorio del sistema nervoso. Fisiologia cardiaca. La funzione cardiaca si compendia dei seguenti principi: i) Teniamo in considerazione che il cuore è un organo meccanico cavo che svolge un lavoro che consiste nell'esercitare una pressione sulla circolazione sanguigna polmonare (a bassa resistenza) e la circolazione sanguigna generale (ad alta resistenza). Il cuore mantiene attraverso l'attività contrattile un gradiente pressorio tra il sistema arterioso e venoso. In virtù di tale gradiente pressorio è resa possibile la continuità del flusso del sangue all'interno dei vasi e in virtù di tale continuità a livello della rete capillare sono possibili gli scambi secondo gradiente di concentrazione il passaggio di sostanze nutritizie e di sostanze di scarto. ii) Il cuore spesso assolve alla funzione di regolazione della gittata cardiaca (= volume di sangue che in un minuto il ventricolo destro e sinistro espelle, quello di sinistra in aorta e quello di destra nelle arterie polmonari, 5 litri/min.). Il cuore assicura che il volume espulso dal ventricolo sinistro nell'aorta eguagli quello che il ventricolo di destra immette nella vena polmonare (piccola circolazione). Questa eguaglianza è resa possibile dalle intrinseche proprietà del miocardio (effetto Frank-Starling). Ma la regolazione della gittata cardiaca da parte del cuore avviene anche a seguito di modificazioni che sul miocardio stesso sono esercitate all'occorrenza dal sistema nervoso a partire da influenze e informazioni che provengono dal miocardio stesso e che mediante vie afferenti sono portate fino all 'ippocampo e che successivamente attraverso le vie efferenti modificano attraverso il sistema nervoso autonomo l'attività cardiaca. (modificazioni che sono aderenti alle particolari condizioni in cui il soggetto si trova) iii) il cuore è anche una ghiandola endocrina. Il ruolo endocrino del cuore deriva dal fatto che esso secerne il peptide natriuretico senoatriale. L'altro aspetto o ruolo endocrino che si attribuisce al miocardio è quello per cui la circolazione ematica consente il trasporto di un ormone che è secreto dalle ghiandole endocrine, convogliandoli ai tessuti bersaglio.

Fisiologia Degli Apparati (Cuore

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CUORE - PEREZ

Principio di Claude Bernard (fisiologo francese,1878) o principio della costanza del mezzo interno conosciuto anche come ambiente extracellulare. “Il mantenimento entro un rango ben preciso di valori dei parametri chimico-fisici (pressione parziale dei gas, la glicemia, la osmolarità ecc...) dell'ambiente extracellulare rappresenta la condizione indispensabile per lo svolgimento normale delle funzioni cellulari e quindi dei tessuti (che di cellule si compongono), degli organi (costituiti di tessuti) e dell'organismo in generale, nonostante modificazioni dell'organismo che possono derivare o dall'ambiente interno o dall'ambiente esterno in cui l'organismo si trova. Questo principio è rimasto fondamentale fino ai giorni nostri. Circa 50 anni dopo (1926) un fisiologo americano di nome W. B. Cannon introdurrà il concetto di omeostasi. La nozione di omeostasi si riferisce alla condizione di equilibrio stazionario in cui si trova l'organismo nonostante le oscillazioni e cioè il passaggio attraverso stadi fisiologici tra loro simili (da cui “omeo-”) che consistono in variazioni dei valori dei parametri chimico-fisici dai valori di riferimento. Secondo l'eminente fisiologo americano l'organismo umano è dotato di meccanismi omeostatici, volti cioé a riportare le variabili modificate ai valori di riferimento. Lo studio di meccanismi omeostatici ha reso possibile la elaborazione di farmaci in grado di correggere le patologie in cui questi valori stazionari sono modificati.Solo recentemente sul finire degli anni 80' è stata proposta la nozione di allostasi, concetto derivato da condizioni fisiopatologiche, riferendosi alle condizioni in cui i valori delle variabili fisiologiche vengono spostate dai valori di riferimento a seguito di condizioni di particolari circostanze in cui l'organismo può ritrovarsi, ovvero condizioni di stress in cui la possibilità di sopravvivenza è resa possibile da uno spostamento di valori siano essi pressori, glicemici ecc... La modificazione di tali parametri è resa possibile dall'intervento coordinatorio del sistema nervoso.

Fisiologia cardiaca. La funzione cardiaca si compendia dei seguenti principi:

i) Teniamo in considerazione che il cuore è un organo meccanico cavo che svolge un lavoro che consiste nell'esercitare una pressione sulla circolazione sanguigna polmonare (a bassa resistenza) e la circolazione sanguigna generale (ad alta resistenza). Il cuore mantiene attraverso l'attività contrattile un gradiente pressorio tra il sistema arterioso e venoso. In virtù di tale gradiente pressorio è resa possibile la continuità del flusso del sangue all'interno dei vasi e in virtù di tale continuità a livello della rete capillare sono possibili gli scambi secondo gradiente di concentrazione il passaggio di sostanze nutritizie e di sostanze di scarto.

ii) Il cuore spesso assolve alla funzione di regolazione della gittata cardiaca (= volume di sangue che in un minuto il ventricolo destro e sinistro espelle, quello di sinistra in aorta e quello di destra nelle arterie polmonari, 5 litri/min.). Il cuore assicura che il volume espulso dal ventricolo sinistro nell'aorta eguagli quello che il ventricolo di destra immette nella vena polmonare (piccola circolazione). Questa eguaglianza è resa possibile dalle intrinseche proprietà del miocardio (effetto Frank-Starling). Ma la regolazione della gittata cardiaca da parte del cuore avviene anche a seguito di modificazioni che sul miocardio stesso sono esercitate all'occorrenza dal sistema nervoso a partire da influenze e informazioni che provengono dal miocardio stesso e che mediante vie afferenti sono portate fino all'ippocampo e che successivamente attraverso le vie efferenti modificano attraverso il sistema nervoso autonomo l'attività cardiaca. (modificazioni che sono aderenti alle particolari condizioni in cui il soggetto si trova)

iii) il cuore è anche una ghiandola endocrina. Il ruolo endocrino del cuore deriva dal fatto che esso secerne il peptide natriuretico senoatriale. L'altro aspetto o ruolo endocrino che si attribuisce al miocardio è quello per cui la circolazione ematica consente il trasporto di un ormone che è secreto dalle ghiandole endocrine, convogliandoli ai tessuti bersaglio.

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iv) ruolo termoregolatore attraverso la perfusione periferica di volumi variabili di sangue si favorisce la maggiore o minore diffusione di calore, contribuendo al mantenimento della temperatura corporea interna intorno ai 36 C°.

Il cuore è un organo muscolare che presenta la peculiarità di essere un particolare tipo di muscolo, unitario. Il cuore è costituito da un tessuto muscolare che si comporta dal punto di vista meccanico come se fosse un'unica cellula. In altre parole il miocardio si adatta a cellule che hanno una loro individualità. Tale caratteristica è da ascrivere alla presenza nel cuore di un particolare tipo di tessuto: il miocardio specifico. Nel cuore si distingue il tessuto miocardiaco comune o di lavoro e il tessuto cardiaco specifico che è quello che è alla base delle 2 proprietà principali del cuore: i) automatismo (capacità di autoeccitarsi) e ii) la ritmicità. Il miocardio comune sviluppa sempre un potenziale d'azione solo a seguito della generazione del potenziale da parte del miocardio specifico. Tale tessuto non ha nessuna proprietà contrattile ma è alla base della generazione dell'impulso nervoso. Il miocardio comune non ha più invece la proprietà autoeccitatoria. L'attività sia del miocardio comune che del miocardio specifico può essere influenzata dall'attività del sistema nervoso ortosimpatico e parasimpatico. Il tessuto miocardico specifico si compone di cellule che sono organizzate o a costituire degli aggregati chiamati nodi oppure tali cellule costituiscono fasci volti a propagare l'impulso. Il tessuto miocardico specifico prende l'impulso dal nodo senoatriale, il cosiddetto avviatore primario in quanto da esso origina l'impulso elettrico che è ala base dell'automatismo cardiaco. Ha forma di nastro allungato ed è dislocato al di sotto dell'epicardio in prossimità dello sbocco della vena cava superiore.Da un punto di vista istologico il nodo senoatriale è il responsabile primo della generazione dell'impulso elettrico alla base della ritmicità contrattile del cuore e si costituisce a partire da 2 tipi di cellule:

- Si costituisce in primo luogo a partire da cellule piccole dotate di un grande nucleo – cellule P o cellule del pacemaker, disposte a costituire dei raggruppamenti i quali sono delimitati da una membrana basale. In tali raggruppamenti tali cellule sono in stretto rapporto l'una all'altra mediante giunzioni serrate o mediante la giustapposizione delle loro membrane.

- Vi sono anche cellule T o cellule di transizione, dalla forma più allungata, a cui si annette il ruolo di trasferire l'impulso, sorto dalle cellule P, sino ai confini con il miocardio comune atriale, allo scopo cioè di consentire che sia stata omogeneamente e sincronicamente interessata tutta la popolazione cellulare del nodo senoatriale, prima che l'impulso giunga al miocardio atriale. Solo dopo l'impulso si propagherà al miocardio atriale.

Sistemi di conduzione del cuore – miocardio specifico.Il nodo atrioventricolare rappresenta il secondo avviatore e l'impulso a questo livello giunge attraverso delle vie specifiche, i tratti internodali anteriore medio e posteriore. Questi costituiscono un fascio che origina dall'estremità superiore del nodo senoatriale e dopo un decorso breve sul setto interatriale si dive in 2 branche, una destra e una sinistra. La branca che va a sinistra manda una serie di ramificazioni alla parete del miocardio atriale di sinistra, innervandolo. L'altra branca prende posto sul margine superiore del setto interatriale per lo spessore dello stesso e si porta in corrispondenza del nodo in atrio-ventricolare. Il fascio medio internodale muove dal margine postero-superiore del nodo interatriale decorrendo sul margine superiore del setto interatriale, manda ramificazioni impegnandosi nello spessore del setto interatriale portandosi a livello del margine superiore del nodo atrio-ventricolare. Il fascio internodale posteriore decorre dall'estremo superiore del nodo senoatriale e si porta passando attraverso la cresta terminale, attraversando il setto, in corrispondenza dell'estremo sinistro del nodo atrio-ventricolare. Ora questi tratti sono stato oggetto di uno studio abbastanza vivace negli anni 70-80. Prima non se ne riconosceva la specificità strutturale.

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i) Quando il tessuto in questione viene esposto a soluzioni ipertoniche di K+ - un elettrolita a cui le membrane eccitabili sono particolarmente sensibili – non viene inibita alla contrazione mentre, come invece accade al miocardio comune a seguito dell'esposizione di una soluzione con più elevata [K+]. Pur non essendo una eccitazione quando tali cellule di questi tratti esposti a soluzione più elevata di K+, si osservava come veniva meno l'eccitazione del miocardio comune atriale e tuttavia a livello del nodo atrio-ventricolare l'impulso venivo suscitato.

ii) La seconda ragione che conferma la specificità di tali tratti proviene dalla cardiochirurgia: l'escissione accidentale di parti di tali tratti comporta successivamente disturbi del ritmo di conduzione.

Giungiamo così a livello del nodo atrio-ventricolare, che si trova a livello a livello del setto interatriale, situato in posizione sotto-endocardica, in corrispondenza del setto interatriale nella regione postero-inferiore di questa, medialmente allo sbocco del seno coronarico (mentre il nodo senoatriale era in posizione sotto-epicardica in prossimità dello sbocco della cava inferiore ). E' una struttura fusiforme, della lunghezza di 15 mm, larga 10mm e spesa 3mm. La costituzione è praticamente analoga al nodo senoatriale, con la caratteristica di essere costituita da un minor numero di cellule P e un maggior numero di cellule T.

Tale struttura si distingue in 3 parti: - il nodo vero e proprio (porzione centrale), - la porzione di connessione con l'atrio (porzione nodo-atriale) - e una porzione di connessione con il fascio di His.

Dal nodo atrio-ventricolare si continuano fibre che costituiscono il fascio di His. Questi elementi cellulari perdono progressivamente le caratteristiche che contraddistinguono il pacemaker del nodo, proprie delle cellule P, e assumono le caratteristica tipiche delle cellule T, ovvero elementi cellulari di dimensioni piuttosto grandi, dell'ordine di 70-80 um di diametro, con particolari caratteristiche elettrofisiologiche, che si organizzano a costituire il fascio comune di His. Il fascio di His è quel tratto che segue immediatamente al nodo e che si inoltra attraverso lo scheletro fibroso del cuore che divide gli atri dai ventricoli, penetrando all'interno dei ventricoli stessi e mettendo in relazione elettrica le cavità atriali con quelle ventricolari.

Il fascio comune di His si inoltra nel setto interventricolare e in corrispondenza del margine superiore del setto interventricolare si divide in 2 branche: la branca di destra è la prosecuzione del fascio mentre la branca di sinistra si stacca ad angolo retto disponendosi al di sotto dell'endocardio del setto inter-ventricolare dal versante di sinistra; la branca di destra invece decorre al di sotto dell'endocardio del setto inter-ventricolare dal versante di destra:

– La branca di destra decorre al di sotto dell'endocardio e con alcuni rami cui essa da luogo contrae rapporto funzionale con la base dei muscoli papillari che sono dotati di filamenti di connettivo con i quali essi aderiscono ai lembi delle cuspidi della valvola atrio-ventricolare tricuspide impedendone il ribaltamento. Altri rami della branca di destra si inoltreranno nella zona apicale del ventricolo di destra.

– la branca di sinistra, dopo breve decorso, si divide in 2 rami, uno anteriore ed uno posteriore: entrambi mandano dei rami anch'essi a livello della base dei muscoli papillari i cui corpi tendinei impediscono il ribaltamento dei lembi della valvola atrio-ventricolare mitrale.

– Ulteriori rami sia di destra e di sinistra si distribuiscono: i) al di sotto dell'endocardio all'apice del ventricolo; ii) alla parete sia anteriore che posteriore della porzione centrale delle 2 camere ventricolari;iii) quindi verso la base dei 2 ventricoli giungendo come ultima porzione ad essere interessata alla parte membranacea basale del setto inter-ventricolare.

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Il rapporto che questo sistema di conduzione contrae col miocardio comune è costituita dalla rete del Purkinji. Questa è costituita particolari cellule che hanno la caratteristica di condurre velocemente l'impulso al miocardio comune (o di lavoro). L'impulso pertanto si propaga dall'endocardio all'epicardio. Ciò è molto importante, specialmente per quanto attiene l'elettrocardiogramma.

Per quanto riguarda il nodo senoatriale si è visto come a poca distanza di esso sono state rinvenute altri aggregati di cellule che generalmente hanno attività sincrona con il nodo senoatriale (autoritmica). Può accadere che l'attività di segna-passo possa essere spostata dal nodo senoatriale a qualcuno di questi aggregati: - L'attività ritmica primaria resta comunque a carico del nodo senoatriale (in soggetto adulto normale l'attività del nodo genera 65-70 impulsi/min).- Il nodo atrioventricolare è anch'esso dotato di attività autoritmica anche se quando si esclude l'attività del nodo senoatriale risulta minore rispetto al nodo senoatriale (generalmente 40 impulsi/min.). L'attività del nodo senoatriale, detta anche sinusale, è maggiore e come tale è quella che determina la risposta al livello del nodo atrioventricolare, la cui attività è invece chiamata nodale (l'attività nodale si ha quando è presente l'attività autoritmica del solo nodo atrio-ventricolare). - Oltre al nodo atrio-ventricolare l'attività autoritmica è esibita anche dal fascio di His e dal miocardio. Ma anche questi presentano differenze in termini di frequenza di autogenerazione di impulsi, la quale è molto minore ossia pari 15-20 impulsi/min. Tale ritmo è detto idioventricolare.

Ciò detto vediamo quali sono le caratteristiche elettrofisiologiche, ovvero le proprietà ioniche che determinano l'attività delle cellule del nodo senoatriale. L'impulso che sorge a livello del nodo senoatriale come del resto del nodo atrio-ventricolare rientra nell'ambito di quelle che sono conosciute come potenziali a risposta lenta, rispetto invece al potenziale proprio sia del miocardio comune atriale che ventricolare che delle cellule del Purkinji, il quale rientra nei potenziali detti a risposta rapida. (vedi in Berne e Levy i rispettivi grafici).

- Le differenze tra i due tipi di risposte si compendiano innazitutto dal fatto che il livello del potenziale a riposo differiscono assai perché il livello di risposte lente si presenta di minore ampiezza, - 65mV, rispetto al potenziale a risposta rapida che si aggira attorno ai -90 mV.In secondo luogo il pontenziale a risposta lenta non è stabile ma tende alla depolarizzazione, mentre negli elementi a risposta rapida è stabile e si modifica solo ove giunga ad essi un impulso con un potenziale d'azione (maggiore?).

- La fase 0 di ascesa del potenziale – quella precedente alla fase di riposo contrassegnata da 4 - è

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meno ripida/pendente nella riposta lenta rispetto alla fase 0 nel potenziale a risposta rapida. In secondo luogo l'ampiezza della variazione del potenziale è di gran lunga maggiore nel potenziale a risposta rapida che non in quello a risposta lenta. - Il potenziale o la risposta lenta nelle cellule del nodo senoatriale e atrio-ventricolare generalmente si attesta a livello 0, non si attesta l'inversione di polarità che invece si osserva nelle cellule caratterizzate da potenziale a risposta rapida (fase 1).- Inoltre negli elementi a risposta lenta non rileviamo un plateaux nella fase 2 se non appena accennato. - La fase 3 o di ripolarizzazione è presente in entrambi i grafici, anche se negli elementi a risposta lenta è molto meno ripida e di maggiore durata rispetto alla ripolarizzazione osservata negli elementi a risposta rapida.

– La fase 4 è caratterizzato dal potenziale proprio della membrana a riposo che è di gran lunga maggiore negli elementi a risposta rapida (-90mV) rispetto a quelli a risposta lenta (-).

La modalità con cui la membrana delle cellule del nodo senoatriale e atrio-ventricolare si auto-ripolarizzano è legata al concorso di diverse correnti ioniche, almeno 3.Queste correnti che popolano la membrana da valori di -65 mV (quello che la membrana assume tra un impulso e l'altro) e -40mV, a partire dal quale nasce il potenziale “a punta” dotato della capacità

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di propagarsi al miocardio di lavoro. Che cosa porta alla riduzione crescente della riduzione di polarità da -65 a -40mV? Quest'ultimo potenziale è detto potenziale pacemaker o potenziale segna passo. In che modo la membrana si depolarizza? Vi concorrono almeno 3 correnti.

1) In primo luogo osserviamo una corrente, detta “funny current”, che è indicata con l'acronimo IF o HCN (attivata durante la iperpolarizzazione). La corrente HCN è determinata da un movimento di cariche dall'esterno all'interno della cellula. Questa corrente è tanto più attiva quanto la membrana è iper-polarizzata. Questa corrente viene ad attivarsi non appena la membrana si sta per ri-polarizzare, quando il pontenziale passa da -65 a -50 mV e poi a -40mV. Lungo tutto questo arco di tempo viene attivata la corrente IF- vi è una corrente IF, caratterizzata dal flusso di Na+, in grado di ridurre la differenza di potenziale (l'interno della cellula diventa meno negativo).

2) Ma un'altra corrente si aggiunge a questa, dovuta a movimenti di cariche di calcio, ICa. Questa corrente si attiva allorché la membrana nel corso della sua depolarizzazione che sta avendo luogo per l'ingresso della corrente If del Na+: allorché il voltaggio della membrana arriva a -55mV si aprono questi canali per lo ione Ca3+, detti transient, (= transitori) ed è pertanto di breve durata poiché i canali si attivano e disattivano rapidamente, tuttavia quanto basta poiché Ca2+ entrino all'interno della cellula contribuendo a ridurre la differenza di potenziale.

3) Queste due correnti si iscrivono a una terza corrente legata allo ione potassio, IK+. Si tratta dell'ultima fase della corrente IK+ che aveva precedentemente ripolarizzato la membrana ma che si affievolisce immediatamente, da cui ne risulta una riduzione dell'efflusso dall'interno all'esterno. Si tratta cioè di una riduzione dell'uscita di cariche positive che contribuiscono a ridurre ulteriormente diminuire quindi ulteriormente il pontenziale (o la negatività interna). Questa corrente è la corrente rettificata ritardata del potassio. La membrana delle cellule del nodo seno-atriale viene portata progressivamente attraverso il concorso di queste 3 correnti fino ad un valore di -40 mV.

- Si è messo inoltre in evidenza il contributo di altre 2 correnti. Vi sarebbe una corrente di fondo data sempre dal Na+ (ancora oggetto di studio) e un'altra corrente depolarizzante: ione Ca2+ che dall'interno della cellula P che era entrato dal canale transient in seguito viene espulso. Dunque a livello membranario abbiamo un trasporto del tipo antiporto o trasporto attivo secondario nel quale l'energia/gradiente elettrochimico del Na+ ,che muove dall'esterno verso l'interno, viene utilizzato per trasferire all'esterno Ca2+. Nelle cellule del nodo atrio-ventricolare vi è un antiporto che trasferisce 3Na+ all'interno e allo stesso tempo 1Ca++ all'esterno. Nella cellula stanno entrando 3 cariche (+) mentre stanno uscendo 2 cariche (+): ciò comporta una ulteriore depolarizzazione, ecco quindi un'altra corrente che fornisce un ulteriore contributo alla depolarizzazione. (non è strettamente importante ai fini dell'orale)

1) La corrente funny è innescata dalla iperpolarizzazione della membrana attraverso i canali per il Na+. Con questa corrente si ha una depolarizzazione verso valore via via sempre più minori di -65mV e 2) allorché passa intorno a valori di -55mV ciò comporta l'attivazione dei canali transient per il Ca2+, il cui ingresso contribuisce a depolarizzare la membrana. 3) A ciò si aggiunge un ridotto efflusso di K+ verso l'esterno legato alla decrescente corrente ripolarizzante del K+, l'ultima parte della corrente rettificata ritardata. In questo modo la membrana delle cellule del nodi è portata a -40 mV.

- A questo punto si attivano i canali per il Ca2+ di tipo L ovvero “long lasting”. Sono canali che si attivano lentamente e altrettanto lentamente si disattivano. Questa corrente dei Ca2+ è responsabile dell'ascesa del potenziale che in queste cellule è meno ripido che nelle cellule a risposta rapida di potenziale. La corrente in questione depolarizza via via la membrana portandola a valori di 0 mV, ma in genere non si osserva l'inversione della polarità.

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- Al raggiungimento del pontenziale di 0 mV si ha l'attivazione di una corrente così detta “rettificata” che diffonde in un solo senso ovvero dall'interno cellula all'esterno ed è la corrente rettificata ritardata del potassio, la quale determina la ripolarizzazione (la parte discendente nel grafico dopo il picco a 0 mV) della membrana. Questa corrente subito dopo però si affievolisce poiché si ha un ridotto efflusso di K+ ionico all'esterno, ecco perché questa corrente corrisponde ad una depolarizzazione della membrana.

La diffusione dell'impulso dal nodo senoatriale è piuttosto lenta (0,05 m/s). Non deve sorprendere perché gli elementi cellulari a livello dei quali questo impulso sorge sono piccoli.Le cellule di transizione o cellule T si incaricano a che l'impulso abbia interessato l'intera struttura pacemaker, dopodiché l'impulso è propagato in maniera sincrona lungo tutta la parete del cuore alla velocità di 1m/s. Quando l'impulso perviene al nodo atrio-ventricolare alla velocità di 1m/s subisce un ritardo, ovvero la sua velocità di conduzione si riduce ulteriormente. Qual è la ragione di questa riduzione? Dal punto di vista strutturale morfologico il nodo atrio-ventricolare è dato da 3 porzioni: i) una di connessione con la muscolatura atriale, i) una porzione centrale nodale e una porzione di confine o passaggio da nodo al fascio di His. Questa distinzione è opportuna per spiegare il motivo per cui si ha la riduzione della propagazione dell'impulso.La riduzione della propagazione dell'impulso è dovuta sia alla parte non atriale sia alla parte nodale, le quali, costituite da elementi cellulari di piccole dimensioni, causano la riduzione della propagazione dell'impulso: i) sia il tragitto del tratto nodo atriale (la sua lunghezza); ii) sia le dimensioni cellulari di cui questi fasci di conduzione sono costituiti contribuiscono al ritardo; iii) si rinviene anche una ridotta presenza di gap giunctions attraverso cui il potenziale d'azione passa da un elemento all'altro;

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Questo ritardo consente all'atrio di completare la propria contrazione (presistole atriale) attraverso cui il riempimento ventricolare viene completato. Perché ciò avvenga in modo fisiologico il ventricolo quando l'atrio si contrae non deve contrarsi di modo da accogliere il sangue. Dopodiché l'impulso riprende a propagarsi imboccando il fascio di His, nel quale la velocità di propagazione aumenta notevolmente fino a 1 a 2-4 metri/sec, proprio in virtù delle caratteristiche degli elementi cellulari di queste strutture.

Mentre la propagazione lungo gli atri aveva determinato un eccitamento delle pareti atriali (attestato graficamente nell'elettrocardiogramma da una particolare onda, l' “onda P” ), quando l'impulso imbocca le due branche, destra e sinistra, in cui si divide il fascio di His decorre al di sotto dell'endocardio a livello del setto inter-ventricolare. i) In tal modo si trasmette immediatamente al miocardio di questa struttura determinandone la contrazione. La contrazione del setto è importante perché costituisce il punto di ancoraggio del resto delle pareti ventricolari. ii) Dal setto inter-ventricolare la seconda parte interessata dall'impulso sono i muscoli papillari, i quali connessi alle cuspidi valvolari impediscono durante la contrazione il ribaltamento dei lembi valvolari negli atri.iii) Successivamente l'impulso attraverso le fibre del Purkinji viene ad interessare le pareti dei ventricoli: prima la porzione apicale poi le porzione centrali (anteriori e posteriori) ed infine le porzioni più basali (anteriore e posteriore). L'ultima parte è data dalla porzione basale del setto inter-ventricolare. Questa particolare sequenza con cui l'eccitamento interessa le pareti cardiovascolari serve per comprendere la genesi delle onde che caratterizza il tracciato dell'elettrocardiogramma.

Vi sono circostanze in cui nell'ambito del miocardio specifico possono inerirsi alcune strutture o tratti-fibre muscolari che si dispongono in maniera diversa dal normale percorso del miocardio specifico. Sono fibre anomale che sono alla base di frequenti disturbi del ritmo cardiaco. - Queste fibre partono dal tratto inter-nodale e raggirando il nodo atrio-ventricolare si portano al setto inter-ventricolare o ritornano nel nodo artrio-ventricolare dal margine inferiore.- Altre fibre muscolari invece possono disporsi a partire dai tratti inter-nodali, dal nodo atrio-ventricolare o dallo stesso miocardio atriale e, a mo di ponte, portarsi fino al setto inter-ventricolare.- Ancora, vi sono fibre che possono disporsi sempre a mo' di ponte tra gli atri e i ventricoli. → Queste fibre spesso possono determinare alterazioni del normale ritmo cardiaco perché determinano delle vie attraverso cui l'impulso viene condotto in interferenza alla via in cui l'impulso viene normalmente propagato.

Che cosa influisce sulla propagazione dell'impulso?

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i) In primo luogo l'ampiezza del potenziale che è stato generato a livello del miocardio specifico.La modificazione dell'ampiezza del potenziale di esso che può verificarsi per ragioni diverse può benissimo ridurre la velocità di propagazione. La riduzione marcata dell'ampiezza può anche portare ad un arresto della contrazione quindi l'ampiezza del potenziale che è trasmesso dal miocardio specifico al miocardio comune è fondamentale. ii) Altri fattori che possono influire sono rappresentati dall'ambiente ionico (la maggiore o minore concentrazione degli elettroliti) iii) o ancora l'influenza del sistema nervoso vegetativo para- e orto-simpatico.

→ i) Qual è la modalità con cui l'impulso viene condotto dal miocardio specifico al miocardio comune? La modalità è fondamentalmente data da quelli che viene chiamata “modalità dei circuiti locali”. A messo della modalità dei circuiti locali l'impulso è propagato attraveros tutto il miocardio specifico e da questo al resto del miocardio comune. I circuiti locali sono dei flussi di corrente elettro-tonica che dalla zona che è stata eccitata - che quindi presenta la superficie esterna carica carica “-” e quella interna carica “+” - si propaga alla zona a riposo non ancora eccitata: ciò comporta che un flusso di cariche “+” dalla zona a riposo, all'esterno della membrana, diffonde verso quella che è zona depolarizzata/eccitata della membrana esterna. All'interno della membrana ha luogo un movimento in senso opposto.

Ne consegue che ovviamente, per via dell'effetto capacitivo (vi è una sorta di redistribuzione delle cariche), la superficie esterna depolarizzata diventa via via meno negativa mentre quella interna via via meno positiva. La membrana non ancora eccitata diventa sul versante esterno meno positiva, mentre sul versante interno meno negativa. Cosa ne risulterà? La membrana prima polarizzata risulterà con una riduzione della sua d.d.p.La membrana cerca per così dire di arginare l'effetto capacitivo favorendo la fuoriuscita del K+, ma se l'intensità del circuito locale – dipendente dall'ampiezza del potenziale che ha eccitato la membrana che ha eccitato il segmento della membrana vicino - è sufficiente, quindi l'ampiezza del potenziale è normale, questa tendenza a fuoriuscire del K+ per ripolarizzare la membrana (effetto ohmico perché ovviamente questa uscita di corrente ubbidisce alla legge di ohm ) non è sufficiente. Ecco che si raggiunge quel valore di ripolarizzazione critico a cui si aprono i canali voltaggio dipendente del Na+ (funny current). Ecco la nascita dell'impulso.

→ ii) Il miocardio specifico è particolarmente sensibile all'ambiente ionico: quando l'elemento del nodo seno-atriale come atrio-ventricolare vengono esposti ad un ambiente a bassa concentrazione di Ca2+ si osserva una modificazione rispetto alle condizioni normali consistente in una riduzione sia della pendenza del pontenziale pacemaker che dell'ampiezza stessa del potenziale rispetto alle condizioni normali. Che l'ambiente ionico sia importante lo si evince anche quando si considera l'influenza di un altro

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elettrolita, che è il K+. Il K+ è importante poiché il livello di concentrazione di questo elettrolita a livello del liquido extracellulare, in normali condizioni, deve essere mantenuto costante mediante specifici meccanismi omeostatici (3.5 – 4.5 mM). L'effetto di incremento della concentrazione extracellulare del K+, o iperkalemia, ha effetti gravi o anche letali se raggiunge certi valori soglia a livello del miocardio specifico e del nodo senoatriale o del fascio di His.

Che cosa comporta un incremento del K+? i) Dall'equazione di Nerst si evince che quando noi incrementiamo la concentrazione intracellulare del K+ inneschiamo una riduzione del gradiente elettrochimico tra l'interno e l'esterno. Ne risulta una depolarizzazione. Ciò comporta la possibilità che si raggiunga più precocemente il valore di -40 mV e allora l'impulso nasce più precocemente a livello del miocardio specifico e allora un impulso precoce si trasmette al miocardio comune determinando una contrazione precoce detta extrasistole, al di fuori del normale ritmo cardiaco. Se la concentrazione di K+ incrementa ancora di più si avrà un arresto cardiaco (aneddotico l'esempio di un paziente a cui è stata somministrata una soluzione di sale di sodio piuttosto che una soluzione con un sale di potassio). ii) Un incremento elevato extracellulare di K+ comporta addirittura un valore che va oltre – 40mV, fino a -30 mV, valore in cui i canali per il Ca2+ long-lasting non si aprono più, il che risulta in una inibizione dell'auto-ritmicità. ( Il cardiochirurgo per operare sul cuore lo immobilizza poiché la sua contrazione non sarebbe compatibile con la riuscita dell'operazione potendo ledere parti vitali dell'organo, esponendolo ad una soluzione di sali di potassio. Ovviamente l'organo dopo l'operazione lavato con soluzione fisiologica di NaCl ritornerà a battere). iii) Che la concentrazione del K+ è importante lo si evince anche quando si passa da una concentrazione di 3-4 mEq/L a 6 mEq/L a livello delle fibre del Purkinji. Osserviamo una progressiva riduzione dell'ampiezza del potenziale perché l'aumentata concentrazione extracellulare del K+ ha progressivamente inattivato i canali per il Na+. Questo a significare come l'incremento di K+ interessa sia i nodi che le atre strutture di conduzione.

→ iii) Oltre all'azione di questi ioni è importante anche l'influenza esercitata dall'innervazione. Anche il sistema nervoso autonomico ha degli impatti profondi. Parasimpatico - Quando vi è una stimolazione mediata dalla fibre post-gangliari del parasimpatico viene liberata aceticolina che legandosi ai recettori muscarinici M2 della membrana delle cellule del nodo senoatriale ha un duplice effetto:

1) inibizione dell'adenilato-ciclasi che riduce il cAMP, e quindi viene ridotta la corrente depolarizzante IF del Na+ (cAMP dipendente)

2) sempre ad opera dell'acetilcolina via M2 viene attivata un canale che favorisce l'efflusso di K+ che tende a ripolarizzare la membrana. Ciò si traduce in un maggiore allungamento della fase di potenziale, ovvero in un rallentamento della genesi dell'impulso autoritmico e quindi in un decremento del ritmo (cronotopo negativo);

3) Il parasimpatico sempre attraverso l'acetilcolina può, qualora la sua stimolazione sia intensa, agire attraverso una altro meccanismo che determina non solo un allungamento della fase del potenziale pacemaker, ma addirittura una iperpolarizzazione, portando la membrana da -65mV a -70, -75 mV attraverso l'efflusso di K+. Ma iperpolarizzare la membrana corrisponde ad una spesa di tempo maggiore per portarsi da -70/-75 mV fino a -40 mV, contribuendo a determinare il cronotopo negativo. La stimolazione del parasimpatico è un aspetto particolarmente importante perché esso si esercita non solo sul nodo senoatriale, ma anche a livello del nodo atrioventricolare. Questa stimolazioni parasimpatiche qui arrivano a iperpolarizzazre a tal punto la membrana da impedire il passaggio degli impulsi dal nodo senoatriale al nodo atrio-ventricolare: si ha pertanto un blocco della trasmissione degli impulsi (arresto cardiaco).

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Se a livello del nodo atrio-ventricolare qualora si induce una stimolazione vagale si nota dall'elettrocardiogramma una inibizione dell'insorgenza di un impulso, proprio a causa della iper-polarizzazione così intensa a livello delle cellule del nodo seno-atriale.Il nodo atrio-ventricolare ha la proprietà di avere una refrattarietà post-ripolarizzazione. Quando incrementa la frequenza (numero degli impulsi) che nascono nel nodo senoatriale. Frequenza, refrattarietà, presistole e inibizione dell'autopolarizzazione -

- Il fatto che quando incrementa la frequenza ovvero il numero di impulsi che nascono dal nodo senoatriale a livello delle cellule del nodo atrio-ventricolare giunge un numero superiore di impulsi. Il periodo di refrattarietà, che caratterizza le membrane del miocardio specifico, dura molto più a lungo rispetto a quanto lo stato di ripolarizzazione non faccia pensare. Accade quindi che la membrana si ripolarizza ma ancora permane su di essa uno stato di refrattarietà. L'impulso generalmente giunge quando la refrattarietà si è esaurita ma quando aumenta la frequenza l'impulso giunge quando la membrana si trova ancora in uno stato in cui la refrattarietà non si è esaurita. Allora è chiaro che l'impulso non viene generato se non in una ampiezza talmente modesta da non potersi propagare. Ciò ha una importanza fisiologica, poiché il ventricolo viene interessato in misura minore quando la frequenza degli impulsi aumenta in modo tale da non limitare il riempimento normale del ventricolo che risulterebbe fortemente limitato se esso venisse eccitato con una maggiore frequenza giacché questo lo esporrebbe ad un numero maggiore di contrazioni e quindi ad una riduzione della fase diastolica. Quindi questa proprietà della refrattarietà post-ripolarizzazione ha la funzione di preservare la costanza della normale gittata sistolica che verrebbe pregiudicata se il ventricolo si venisse a contrarre più frequentemente in risposta ad un aumento della frequenza degli impulsi.

- Un'altra proprietà del miocardio specifico, quando la frequenza di impulsi è elevata, è quella della soppressione della sua stessa attività autopolarizzante. Essa consiste nel fatto che quando vi sia stata una elevata eccitazione con una elevata stimolazione del miocardio specifico accade che dopo una elevata frequenza degli impulsi il miocardio specifico si arresti. Può anche avvenire che tale arresto perduri per pochi secondi, equivalendo all'arresto cardiaco stesso con perdita di coscienza. A cosa è dovuto questo effetto conseguente all'aumentata frequenza degli impulsi alle cellule del miocardio specifico? Dopo ogni impulso la pompa Na+/K+ ripristina le normali concentrazioni del Na+ e del K+. Questa pompa porta fuori 3 ioni Na+ e 2 ioni K+ all'interno e quando questo meccanismo si intensifica, allorché aumenta la frequenza ovvero il numero degli impulso che sorge nell'unità di tempo, ciò si risolve in un notevole accumulo di Na+ all'esterno in misura maggiore di quanti K+ siano stati riportati all'interno della membrana. Ne risulta una iper-polarizzazione della membrana delle cellule del nodo seno atriale. Se aumenta l'accumulo a ridosso della membrana ciò equivale ad una iper-polarizzazione. L'iper-polarizzazione costituisce in notevole ritardo nel riportare la membrana al valori critico di ripolarizzazione.

Sistema ortosimpatico - A livello delle cellule del nodo seno-atriale avremo l'innervazione post-gangliare ortosimpatica. Quando l'innervazione dell'ortosimpatico aumenta aumenta la liberazione di noradrenalina, che si lega ai beta-recettori situati a livello delle cellule del nodo senoatriale. A livello delle cellule del nodo seno-atriale si ha quindi l'attivazione dell'adenilato ciclasi con formazione di cAMP e l'accumulo di questo nucleotide favorisce ulteriormente i) la corrente IF (cioé la corrente del Na+): questa è la prima ragione che spiega l'aumento della ripidità della fase del pontenziale pacemaker, per cui il raggiungimento di -40mV ha luogo in un intervallo di tempo più breve (cronotopo positivo). ii) Ciò anche perché oltre all'aumentata corrente di Na+ la noradrenalina aumenta anche la corrente dei Ca2+ attraverso i canali transient.

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iii) Inoltre la noradrenalina agisce anche sui canali long lasting aumentandone il numero di quelli aperti, così da favorire una più ripida l'ascesa del potenziale (vedi grafico Berne Levy). Questo effetto è noto come “cronotopo positivo” e risulta in un aumento della frequenza. iv) Gli stessi circuiti locali comporteranno una più immediata depolarizzazione, sia specifico che comune, determinando una aumentata velocità di depolarizzazione (effetto “dromotopo positivo”, "dromos" dal greco "velocità").

Fibre del Purkinji, refrattarietà assoluta e difesa da centri ectopici - A questo punto l'impulso ha interessato il miocardio specifico o tramite questo a mezzo delle fibre del Purkinji viene trasmesso al miocardio comune. Al miocardio comune questo impulso rappresenta l'eccitamento che porta alla genesi del potenziale del miocardio comune sia atriale che ventricolare, cioé alla genesi del potenziale a risposta rapida. Le fibre del Purkinji, presentano un potenziale a livello del miocardio specifico di tipo rapido e la durata di questo potenziale è particolarmente elevata, simile a quello della muscolatura del miocardio ventricolare. Le fibre del Purkinji non hanno delle proprietà contrattili, esso ha solo la capacità di generare e propagare l'impulso. La proprietà contrattile è esclusiva del miocardio comune che non ha proprietà autoeccitabili e che viene eccitato dal miocardio specifico. Il potenziale delle fibre del Purkinji è particolarmente ampio ed ha una morfologia simile a quella del miocardio ventricolare, caratterizzato da una spiccata lunghezza. Qual è il significato di questa così lunga durata? Ciò perché questi elementi sono dotati di una refrattarietà assoluta molto lunga. La ragione di ciò si spiega con il fatto che questi elementi cellulari proprio in virtù di questo lungo periodo di refrattarietà sono in grado di impedire che impulsi provenienti da fonti ectopiche di impulso possano propagarsi e interferire con la normale stimolazione del miocardio. (vedi Berne e Levy per fonti ectopiche e loro regolazione). Allorché un potenziale proveniente da un centro ectopico si propaga attraverso il miocardio specifico, dalle fibre del Purkinji non viene propagato al miocardio, poiché per via della refrattarietà assoluta degli elementi cellulari delle fibre del Purkinji. Questo tipo di difesa da impulsi ectopici si rinviene specialmente quando la frequenza di stimolazione è bassa (poiché quando la frequenza di stimolazione è bassa è possibile che si attivino dei foci ectopici e quindi inviano impulsi al miocardio, ma grazie alla refrattarietà assoluta delle fibre del Purkinji questi impulsi non hanno effetto). Del resto questo è un meccanismo analogo a quello che elettricamente viene utilizzato quando il ventricolo si trova in fibrillazione. Nei casi di fibrillazione la parete del ventricolo si contrae in più punti e ognuno indipendentemente dall'altro. In questa maniera il ventricolo non riesce a organizzare la forza sufficiente per pompare il sangue nell'aorta. Il meccanismo che con cui opera il defibrillatore, che viene impiegato in questi gravi casi, è che attraverso un impulso di corrente che viene applicato al miocardio ventricolare si porta quest'ultimo in un periodo di refrattarietà assoluta di modo che cessino tutte le correnti provenienti dai vari foci ectopici del miocardio ventricolare. Infine, risoltosi questo periodo di refrattarietà assoluta, il cuore riprende la sua normale funzione.

- 0) Il potenziale d'azione del miocardio comune ventricolare rappresenta la tipica risposta rapida per cui dal valore di -90 mV l'impulso portato dal miocardio specifico è sufficientemente ampio da portare la membrana delle fibrocellule del miocardio comune al valore critico di il potenziale a -65 mV, causando l'apertura dei canali voltaggio dipendenti per il Na+: questi sono canali che si attivano immediatamente e che si inattivano anche immediatamente: sono responsabili della genesi della fase 0 del potenziale, quella in cui la membrana non solo si depolarizza ma addirittura inverte la polarità, raggiungendo valori dell'ordine +25/+30 mV (inversione di polarità).

- 1) Alla fase 0 segue la fase 1 la quale si caratterizza per almeno 2 correnti di ingresso: i) una corrente di ingresso rappresentata dalla corrente transitoria rappresentata dai Cl-, (ripolarizzante)ii) un'altra corrente rappresentata da una corrente transitoria in uscita ITO, data dai K+ che tende a ripolarizzare, sia pure brevemente, la membrana.

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- 2) Alla fase 1 segue la fase 2 che caratterizza questo lungo periodo (anche 200 ms) di refrattarietà assoluta, in cui il potenziale d'azione viene mantenuta a valori pari a 0 o di poco positivi (+10 mV)Questo avviene per la concomitanza di altre correnti: in primo luogo vi è una corrente di ingresso di Ca2+, che costituisce una risposta lenta che era stata mascherata precedentemente dalla corrente voltaggio dipendente da Na+. Ove si utilizzasse un inibitore di tali canali ciò permetterebbe di osservare a qual punto del voltaggio della membrana vengono attivati i canali long lasting del Ca2+: infatti quando la membrana sta attraversando nella sua fase di depolarizzazione, al raggiungimento del valore di -20mV si attivano anche il canali long lasting per il Ca2+. Nella fase 2, quando non abbiamo più l'ingresso di Na+, ci si accorge della presenza di questa corrente voltaggio-dipendente ( che richiede un preciso valore di potenziale per essere attivata) e tempo-dipendente (si può rilevare per un certo periodo a seguito del fatto che è venuta meno la corrente che determina la polarità della membrana in condizioni di riposo, ovvero la corrente del K+, poiché il potenziale elettrochimico del K+ determina in gran parte il valore del potenziale di membrana a riposo, anche se attenuato dall'ingresso del Na+). Questa corrente è diretta verso l'esterno e, a seguito poi della negatività interna della membrana, viene riportata all'interno. La corrente in questione è contrassegnata dalla sigla IK1 ed è una corrente che viene soppressa. La corrente in questione è altrimenti nota come “corrente rettificata in ingresso” poiché essa si svolge in una sola direzione. Che cosa determina che il fatto che la corrente in questione non si svolge più in uscita, perché è la sua uscita che è determinata dalle proprietà della membrana. Nel corso dell'ingresso del Na+, mentre la membrana si va depolarizzando, cariche positive all'interno della membrana (Mg2+) ostruiscono il canale interno attraverso cui muove K+. L'ostruzione mediata da queste cariche positive del versante interno del canale attraverso cui fluisce il K+ impedisce che il K+ stesso muova all'esterno. Ne risulta che l'unico versante da cui il K+ può muoversi è dall'esterno all'interno: ecco la rettificazione. Questa corrente cessa per poi riprendere di nuovo a scorrere, però essa durante l'intera fase del plateaux è venuta meno. Se la corrente infatti permanesse ciò impedirebbe l'ingresso degli ioni Ca2+ (attraverso i canali voltaggio dipendenti Long lasting che si attivano quanto durante la fase di ascesa del potenziale d'azione, Vm diventa meno negativo e che una volta aperti si inattivano lentamente) perché la membrana verrebbe subito ripolarizzata e non rimarrebbe tra 0-10 mV.Per cui la membrana è mantenuto a questo potenziale (0-10mV) che rimarrebbe di gran lunga minore se permanesse l'uscita del K+. Ora gli ioni Ca2+ possono quindi fluire all'interno ma così facendo dovrebbero comportare una modificazione repentina del voltaggio (0-10 mV) della membrana che è mantenuto tale (in fase di plateaux) grazie all'azione di 2 correnti: la corrente rettificata ritardata di altri 2 canali e cioé il KR e il KS: si tratta di correnti di K+ in uscita ritardata poiché questi intervengono con una certa latenza e con cinetiche alquanto diverse, tant'è che si distingue una corrente ritardata R (R = “rapid”), che interviene immediatamente, e una corrente ritardata S (S = “Slow”) che si attiva più lentamente. Queste 2 correnti in efflusso fanno sì che durante il plateaux il potenziale della membrana permanga al livello di 0-10 mV che consente influsso di cariche trasferite Ca2+. Qui stiamo parlando del potenziale del miocardio comune e questo lungo periodo di refrattarietà assoluta grazie a questo movimento di Ca2+ non solo ha il vantaggio di opporsi alle eventuali impulsi provenienti da foci ectopici, ma qui il Ca2+ rivesti l'importante funzione di attivare i processi contrattili che sono propri di questo tessuto.

- 3) Gli ioni di reflusso della corrente ritardata R e S portano lentamente alla conclusione della fase 2 e quindi si arriva alla fase 3 che si caratterizza per la ripolarizzazione della membrana. Si interrompe il flusso di Ca2+ dall'esterno all'interno perché l'accumulo di K+ di queste 2 correnti ha determinato la modificazione del potenziale che è diventato più negativo, disattivando quindi i “canali long lasting” per il calcio.

- 4) La fase di ripolarizzazione porta il potenziale a quei livelli vicini al valore di riposo di -90 mV e la corrente rettificata in ingresso o IK1 che prima era stata disattivata incrementa.

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16-3-2012 – La fase 3 risulta dal compimento sia dalla corrente transitoria (transient) in uscita che aveva caratterizzato la fase 1 e che ancora, seppur attenuata, permane fino alla fase 3 e poi abbiamo le 2 correnti rettificate ritardate che nella fase 3 contribuiscono alla ripolarizzazione della membrana il cui potenziale, cessato il plateaux, attraverso l'efflusso di K+ viene riportato verso valori negativi pari a -60 mV, valore a cui è riattivata quella corrente che è contrassegnata da IK1, corrente rettificata in ingresso, responsabile del potenziale di membrana a riposo. Questa corrente viene per l'appunto riattivata quando la membrana diviene più negativa e il suo effetto si somma a quello della corrente rettificata ritardata (KS, KR) riportando il potenziale a livelli di -90 mV, ovvero i valore del potenziale di riposo. Tale valore, con ciò rientriamo nella fase iniziale da cui eravamo partiti, ovvero la fase di riposo 4, era mantenuto dal contributo delle pompe Na+/Ca2+ che devono estrudere il Ca2+ e dalla pompa Na+/K+. Vi sono circostanze in cui l'alterazione di questi meccanismi può determinare una depolarizzazione della membrana quand'essi siano molto intensificati come l'iperattività della pompa Na+/K+ ATPasi. In uno stato normale è conseguito attraverso il contributo della pompa Na+/Ca2+ , che estrude Ca2+ con l'ingresso di Na+ all'interno; poiché l'ingresso di Na+ comporterebbe una aumentata quantità di cariche positive sul versante interno della membrana il Na+ viene poi estruso dalla pompa Na+/K+ATPasi. L'analisi del potenziale d'azione del miocardio comune sottolinea che la sua durata in genere dell'ordine di 300ms e abbiamo visto il significato che la presenza di questo plateaux riveste sia per le fibre del Purkinji sia per il miocardio comune. La dinamica di tale potenziale nel miocardio

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comune varia tra le cellule atriali rispetto a quelle ventricolari: quelle atriali presentano un potenziale che ha una durata minore rispetto a quella del miocardio ventricolare. Ciò è legato al contributo sia delle correnti transitorie in uscita ITO che delle correnti rettificanti ritardate, giacché nei miociti atriali produrrà maggiore intensità sia la corrente transitoria in uscita che la corrente rettificante ritardata: esse sono responsabili dell'accorciamento della durata del potenziale d'azione, agendo sia sull'accorciamento fase 1 che sulla riduzione della fase 2. Ma questo effetto è presente a livello delle cellule del miocardio ventricolare, cioè a livello dello spessore della parete compreso tra l'endocardio verso l'epicardio. I miociti della parete del miocardio rivolto verso l'epicardio sono ricchi di elementi nei quali è maggiormente attiva questo tipo di corrente, sia “transitoria in uscita” che “rettificante in entrata”. Ne risulta che la durata del potenziale degli elementi in questione (rivolti verso l'epicardio) sia più ridotta e pertanto - benché l'eccitamento proceda dall'endocardio verso l'epicardio - le cellule rivolte verso l'epicardio si ripolarizzano prima dei miociti rivolte verso dell'endocardio. Nel tracciato elettrocardiografico l'onda di ripolarizzazione della parete del ventricolo o onda T, è rivolta verso l'alto così come l'onda di depolarizzazione della parete del ventricolo. Perché entrambe sono rivolte verso l'alto? Ci si aspetterebbe che l'onda di ripolarizzazione T fosse rivolta verso il basso avendo un polarità invertita rispetto all'onda di ripolarizzazione (complesso QRS). Il fenomeno è determinato proprio la presenza di questi miociti rivolti verso l'epicardio, che sono gli ultimi ad essere eccitati ma i primi a ripolarizzarsi, precedendo nella ripolarizzazione quelli dell'endocardio: è come se la parete venisse depolarizzata di nuovo (vedi lez. su ECG).Il potenziale che sta viaggiando ancora lungo l'endocardio comune, evento di superficie che interessa la membrana delle cellule del miocardio secondo le modalità del circuito locale, si propaga da cellule a cellula ma si tratta di un evento che in un tessuto muscolare come quello del miocardio ha la finalità di avviare un processo endocellulare che è la contrazione muscolare.Il potenziale d'azione giunto a livello dei tubuli T della stessa membrana del sarcolemma determina l'aumentata permeabilità dei canali Long lasting per il Ca2+. Questi canali sono canali che hanno un loro sensore alpha 1 (sono dati da diverse subunità alpha 1-2 Beta, gamma ecc..) detto recettore diidropiridinico (ha particolare affinità come la diidropiridina, un Calcio-antagonista); attraverso l'attivazione di questi canali si ha l'ingresso di Ca2+ , che è più concentrato all'esterno, sia a livello della membrana sia a livello dei tubuli a T. Si tratta degli Ca2+ che determinano il plateaux. Essi entrano nella cellula ma sono in quantità considerata del tutto insufficiente per l'attivazione del meccanismo contrattile.

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E tuttavia si tratta di ioni importanti pur nella loro modesta quantità. Essi infatti con la loro presenza servono ad attivare un altro canale il quale si trova in corrispondenza della cisterna terminale del reticolo sarcoplasmatico: si tratta del canale della ryanodina. Questo canale per essere attivato richiede la presenza o l'incremento di ioni Ca2+ all'interno del sarcoplasma. E' quanto accade ad opera dei Ca2+ che sono entrati durante il periodo di plateaux i quali inducono attivando il recettore della ryanodina la liberazione di Ca2+ dall'interno delle cisterne del reticolo sarcoplasmatico.In questo processo si ha la liberazione di calcio indotta da calcio. La concentrazione endocellulare dopo la liberazione del Ca2+ dalla cisterna del reticolo sarcoplasmatico sale da 10^-7 mol a 10^-5 mol, sufficiente ad attivare il meccanismo contrattile del miocardio. Il meccanismo di rilascio è attivato attraverso la captazione del calcio liberato dalle cisterne dove è presente una ATPasi, una pompa (SERCA) che trasferisce contro gradiente il calcio dal sarcoplasma alla cisterna. Parte del calcio entrato dall'ambiente interstiziale viene estrusa mediante l'antiporto Na+/Ca2+, altrimenti si potrebbe venire a determinare un enorme ristagno di calcio non solo nel citoplasma ma anche nel reticolo sarcoplasmatico, causando degli insormontabili problemi osmotici.

Nelle cellule muscolari scheletriche lo sviluppo della forza di contrazione è legato al reclutamento di unità motorie via via con una maggiore soglia di eccitabilità. Ciò discende dal fatto che siamo in un tessuto muscolare multi-unitario. Nel caso del cuore abbiamo un tipico muscolo unitario che si comporta come un sincizio funzionale in cui all'atto della contrazione tutte le cellule contrattili sono attive. Da cosa può discendere l'incremento della forza di contrazione se all'atto di contrazione sono già attive tutte le cellule? Il meccanismo da cui dipende la modulazione della forza di contrazione poggia proprio sul Ca2+. Questa forza di contrazione è legata a 3 meccanismi che potremmo considerare intrinseci e 1 estrinseco, tutti legati al Ca2+.

→ Per quanto riguarda i fattori che sono legati all'incremento della forza sono intrinseci e sono dati: i) dalla lunghezza del sarcomero, ovvero dalla sovrapposizione dei filamenti sottili e dei filamenti spessi. ii) L'altro fattore importante è rappresentato dalla particolare sensibilità che i filamenti di actina e miosina hanno per lo ione calcio in relazione ad un determinato stiramento del muscolo. All'incrementare dello stiramento aumenta infatti la sensibilità/affinità da parte dell'actina e della miosina per lo ione calcio: parrebbe che al momento in cui viene stirato il muscolo - e quindi il sarcomero - questa maggiore affinità del calcio ione verrebbe mediata da una isoforma della titina che tiene legati e l'actina e la miosina a line Z. La trazione a cui è sottoposta durante lo stiramento di questo proteina determinerebbe questa maggiore sensibilità di actina e miosina a Ca2+. iii) Lo stiramento del muscolo inoltre agirebbe sulla permeabilità degli stessi canali del Ca2+, determinando un aumento dell'afflusso di calcio dall'ambiente extracellulare al sarcoplasma.

→ I meccanismo estrinseco è determinato dal meccanismo dell'innervazione ortosimpatica ovvero alla liberazione di noradrenalina. La noradrenalina pervenendo liberata a livello delle membrane dei miociti si lega al beta-recettori e il legame con questi recettori comporta l'attivazione dell'adenilato ciclasi, la produzione di cAMP il quale attiva delle protein-kinasi cAMP-dipendenti che a) fosforilano ulteriori canali per il Ca2+ attivandoli e favorendo un maggiore influsso di Ca2+ nel sarcoplasma; b) L'altro ruolo di queste kinasi è di fosforilare una proteina che si trova nella membrana delle cisterne favorendo un aumento della captazione di Ca2+ ad opera della pompa Ca2+ ATPasi che verrebbe resa più attiva in modo tale da favorire un più precoce rilascio del muscolo (fenomeno chiamato lusitropo o lusitropismo);

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effetto ionotropo positivo, dipendenza dalla concentrazione extracellulare del Ca2+ e impossibilità di tetanizzazione: differenze tra muscolo scheletrico e muscolo cardiaco.

- L'aumento della concentrazione nelle fibrocellule muscolari di Ca2+ per un aumentato efflusso dall'ambiente extracellulare fa si che che questi ioni agendo sul recettore della ryanodina inducano una maggiore liberazione di Ca2+ dalla cisterna terminale, determinando una maggiore attivazione di poche fibre muscolari. Ciò induce lo sviluppo di una maggiore forza di contrazione: si tratta dell'effetto ionotropo positivo. - Il ventricolo contraendosi con maggior forza determina una maggiore espulsione di sangue e quindi un maggiore svuotamento. Non è noto o almeno è ancora dubbio se la protein-kinasi cAMP-dipendente attivi anche il recettore per la Ryanodina della cisterna. Sembra che questa protein kinasi fosforili la frazione inibitrice della troponina che inibirebbe a sua volta la troponina c, accorciando il periodo di attivazione dei ponti actina-miosina . Che la concentrazione extracellulare dello ione Ca2+ è pertanto critica ai fini dello sviluppo della forza di contrazione è provato da un esperimento molto semplice in cui si osserva come su di in un muscolo papillare in cui si somministra una sostanza calcio antagonista, che impedisce l'ingresso di calcio attraverso i canali long lasting responsabili del plateaux, si osserva che ad un incremento della concentrazione della sostanza si riduce la durata del plateaux e concomitantemente si riduce anche la tensione di contrazione. Tutto ciò ci mostra come il miocardio sia strettamente dipendente dalla concentrazione extracellulare di calcio, una caratteristica che non osserviamo nel muscolo striato scheletrico. - Ora se procediamo a riconsiderare la forza o tensione sviluppata dall'endocardio o da un elemento cellulare di esso e lo si compara con la durata del potenziale d'azione (durata dell'evento meccanico) si osserva - con un dinamometro e un elettrodo – che la durata della tensione (forza di contrazione meccanica) rispetto alla durata dell'evento elettrico è pressoché coincidente. Cosa indica l'eguaglianza delle due durate, l'una dell'evento elettrico l'altra dell'evento meccanico? l'impossibilità di sviluppare il tetano. Nel muscolo striato scheletrico lo sviluppo del tetano, ovvero la contrazione massima sostenuta, era strettamente legato alla fusione delle risposte meccaniche a seguito di una stimolazione ad elevata frequenza esercitata sul muscolo. La durata del potenziale d'azione nel muscolo scheletrico aveva una durata modestissima (5 ms) rispetto alla durata di una singolo evento contrattile (40-100ms). In base a ciò nel muscolo striato scheletrico l'aumento della frequenza - ovvero del numero di stimolazioni/impulsi esercitate sul muscolo nell'unità di tempo - può sortire una sommazione e fusione delle risposte meccaniche portando allo sviluppo della massima tensione e dunque del tetano.

Nel miocardio comune non è possibile ciò poiché per poter sortire una seconda stimolazione dobbiamo attendere l'esaurirsi del precedente evento, altrimenti cadremmo nel periodo refrattario assoluto o relativo. Per questa ragione è chiaro che una seconda stimolazione determinerebbe un secondo evento ritmico che si assocerebbe ad un secondo evento meccanico ma senza la possibilità che gli eventi meccanici possano fondersi e dare luogo al tetano.Il muscolo cardiaco non è tetanizzable e il tetano del miocardio comune non sarebbe funzionale per l'organismo.

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Richiamo della microstruttura del miocardio. Il muscolo cardiaco è dato un insieme di cellule volte a costituire un sincizio funzionale . Le caratteristiche di queste cellule determinano: i) le manifestazioni a livello dell'intero organo dell'attività elettrica che portano all'elettrocardiogramma. ii) Eventi meccanici del ciclo cardiaco.

Quei singoli elementi cellulari sono organizzati a costituire un muscolo il quale delimita le cavità di quest'organo, sia le cavità atriale che ventricolari.

- camere atriali sono organizzate a partire da 2 strati di muscoli, uno superficiale e 2 più profondi, delimitando delle pareti relativamente spesse, giacché le camere atriali assolvono al ruolo di riserva di sangue e di pressione. Le camere atriali sono separate da quelle ventricolari da un anello fibroso che funge da supporto sia per la muscolatura degli atri che per la muscolatura dei ventricoli.

- La muscolatura dei ventricoli è data dai sistemi/strati muscolari multipli nel quale sono distinguibili ad un primo esame i) un primo strato superficiale verticale che decorre dal margine interno dell'anello fibroso e che portandosi verso l'apice descrive una spirale per proseguire posteriormente a ridosso dell'endocardio fino alla base del ventricolo, rinserendosi sull'anello fibroso e sugli anelli che delimitano la valvola aortica e quella polmonare. ii) Oltre a questo primo strato superficiale con andamento pressoché verticale se ne individua un altro con un andamento circolare ed un terzo con un andamento verticale con sempre questa disposizione verso l'apice dove tali fasci descrivono una spirale per poi inserirsi sull'anelli fibroso.

iii) Tra questi vari strati se ne individuano una serie di altri interposti separati da tessuto elastico - che svolge un certo ruolo nella meccanica dell'endocardio - cosicché osserviamo che la disposizione dei vari strati che costituiscono lo spessore della parete dall'endocardio all'epicardio assume un inclinazione di 180°.

In considerazione di questa particolare disposizione nello spazio dei vari strati ne risulta che la contrazione dei ventricoli avviene secondo 2 modalità: i) una secondo un piano verticale, quindi di una progressione in avvicinamento della base del piano valvolare verso l'apice e non viceversa (giacché il cuore è adeso al diaframma attraverso il legamento freno-cardiaco).ii) L'altra dimensione in cui la contrazione si svolge è quella concentrica che risulta dalla particolare disposizione dei vari strati costitutivi della parete muscolare. In particolare per quanto attiene il ventricolo di destra la parete di esso è relativamente poco spessa (0,5 cm) rispetto allo spessore del ventricolo di sinistra. Il motivo di questa differenza è il fatto che il ventricolo di destra pompa in un circolo polmonare a bassa resistenza, dove si va da un minimo di pressione di 8-9 mmHg ad un massimo di 25 mmHg. Il ventricolo di destra si contrae sia su un piano verticale sia accostandosi alla parete del ventricolo di sinistra. Il ventricolo di sinistra si contrae verticalmente con accorciamento per avvicinamento della base all'apice sia per una contrazione concentrica dovuta ad una contrazione secondo un piano trasversale della parete stessa.

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Concetto di pre-carico e post-carico.Dallo studio del muscolo striato scheletrico si sa che fissato ad un estremo libero di una fibra muscolare striata nell'altro estremo può essere fissato un determinato carico di un certo peso che in genere comporta uno certo stiramento/distensione del muscolo (scheletrico o papillare), a carico della componente elastica disposta in serie e in parallelo nonché della distensione degli stessi elementi muscolari.

- Quando prendiamo in considerazione l'intera cavità ventricolare come intendiamo la nozione di pre-carico. In questo caso questa nozione va intesa come la forza che distende le pareti del ventricolo prima che esso inizi a contrarsi (per pre-carico intendiamo la forza che si esercita sul ventricolo determinandone un certo grado di distensione prima che il ventricolo inizi a contrarsi). Nel ventricolo il pre-carico è rappresentato dal volume presente alla fine della diastole, ovvero alla fine del periodo di rilasciamento, chiamato pertanto volume-tele-diastolico. Esso è il volume che in relazione alla sua entità determina il grado di distensione della parete ventricolare altrimenti detta lunghezza iniziale delle fibre del miocardio da cui dipenderà poi la forza che il miocardio sarà in grado di sviluppare al momento della contrazione. Nel muscolo cardiaco il pre-carico è rappresentato dal volume pre-sistolico, che porta ad un certo grado di distensione le fibre prima che il ventricolo inizi a contrarsi. Il valore di questo parametro è importante perché in relazione all'entità della distensione rispetto alla lunghezza iniziale si svilupperà una determinata forza di contrazione. Il valore di pre-carico influirà sul grado di sovrapposizione tra filamenti spessi e sottili da cui i singoli sarcomeri muoveranno al momento della contrazione.

- Parliamo di post-carico come della forza o resistenza che il ventricolo deve vincere dopo che esso ha iniziato a contrarsi. Nell'esempio che è riportato sul manuale questi 2 concetti sono rappresentati da un segmento muscolare a cui è applicato un pre-carico mentre il muscolo non è attivato: ciò comporterà una certa distensione portandolo a quella lunghezza iniziale. Il muscolo dopo essere stato applicato il pre-carico viene a contrarsi. In questo esempio l'autore hanno illustrato anche il post-carico che segue al precarico. Ora, quando il muscolo si contrae esso è sottoposto ad una forza che è rappresentata non solo dal pre-carico ma anche dalla forza aggiunta/rappresentata dal post-carico. Per poter il muscolo sollevare il pre-carico deve sviluppare una maggiore forza in quanto deve vincere prima il post-carico. Nel caso del cuore il post-carico è rappresentato dal valore della pressione presente al di là delle valvole aortiche e polmonari. In normali condizioni il valore in questione per il ventricolo di sinistra è la pressione diastolica 80 mmHg (pressione diastolica propria del circolo sistemico, ad elevata resistenza), mentre per il ventricolo di destra la pressione

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che vige al di là delle valvole semilunari polmonari è pari a 8-9mmHg (pressione diastolica propria del circolo polmonare, a bassa resistenza). Il ventricolo deve a partire da un particolare di pre-carico, ovvero di volume telediastolico, spingere il volume di sangue telediastolico in aorta. Il ventricolo dovrà vincere prima il valore del post-carico e solo dopo potrà muovere il volume rappresentato del pre-carico, cioè nel caso del ventricolo, la così detta gittata sistolica ovvero il volume di sangue che il ventricolo espelle in una singola sistole.

Eventi meccanici del ciclo cardiaco – Il cuore consente/permette che il volume di sangue in un circuito chiuso sia mantenuto in costante circolazione, consentendo che il gradiente delle varie sostanze portate dal sangue ai tessuti possano consentire una continua diffusione a livello dei distretti capillari, l'unico distretto in cui i tessuti possono ricevere l'ossigenazione con il sangue. Il ciclo cardiaco in condizioni normali in un soggetto adulto non è altro che dato dall'intervallo di tempo che intercorre tra l'inizio di una diastole (rilasciamento ventricolare) o di una sistole (contrazione ventricolare) e la successiva. L'intervallo che intercorre tra due sistoli o due diastoli compendia la durata di un ciclo cardiaco. La durata di un ciclo cardiaco in un soggetto adulto con una frequenza in condizioni di riposo dell'ordine di 70-75 pulsazioni al minuto dura 0.8-09 sec o 800-900 ms, con la durata della fase sistolica di 270 ms, e della fase diastolica di 430 ms. Nel descrivere gli eventi meccanici del ciclo cardiaco terremo presente non solo ciò che accade alla parete del ventricolo ma anche a quegli altri eventi correlati alla fase del ciclo ventricolare dati dal tracciato dell'elettrocardiogramma. Prenderemo in considerazione gli eventi che caratterizzano:

- il polso venoso rilevato a livello della giugulare, - i così detti toni cardiaci, - la variazione del volume ventricolare - del volume del flusso aortico, - della pressione a livello atriale, ventricolare e aortico.

Si inizierà, per comodità, la trattazione del ciclo cardiaco dalla sistole, precisamente dalla sistole isovolumetrico o contrazione isovolumetrica. Questa prende inizio dal momento in cui completato il riempimento ventricolare a mezzo della contrazione atriale e dopo che l'impulso giunge a livello della parete ventricolare il ventricolo si contrae. Ciò dal punto di vista più macroscopico-elettrico corrisponde sul tracciato elettrocardiografico al complesso TRS, che attesta la avvenuta depolarizzazione/eccitazione della parete ventricolare.

1a fase, contrazione isovolumetrica.La contrazione ventricolare è detta iso-volumetrica. Essa inizia con la contrazione delle pareti del ventricolo (tenuto conto delle differenze pressorie quello che si dirà del ventricolo di sx è

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qualitativamente omologo a quanto accade a dx). La contrazione iso-volumetrica avviene a volume costante e con sviluppo di pressione: allorché il ventricolo comincia a contrarsi il sangue preme sugli sbocchi valvolari che restano chiusi e il volume resta costante, a modificarsi è solo la forma del ventricolo che da conico diventa nodoso, mentre il raggio resta invariato. Sono chiuse le valvole aortiche perché la pressione all'interno dell'aorta (80mmHg) è superiore al valore della pressione che vige all'interno del ventricolo; sono chiuse altresì le valvole atrio-ventricolari in quanto allorché il ventricolo comincia a contrarsi spinge il sangue sulla faccia inferiore dei lembi valvolari e ciò determina la chiusura completa sia attraverso il collabimento dei margini dei lembi sia attraverso le corde tendinee e la contrazioni dei muscoli papillari cui i lembi sono connessi (che impediscono il ribaltamento dei lembi valvolari negli atri). A misura che la contrazione procede il volume resta costante (sistole isovolumetrica) ma aumenta tuttavia la pressione e la muscolatura del miocardio sviluppa una tensione attiva: il sangue preme sulla faccia inferiore dei lembi valvolari e ne determina la liberazione, originando il primo tono cardiaco. Il primo tono cardiaco origina i) la liberazione dei lembi valvolari per la spinta che il ventricolo esercita tramite il sangue su di essi, ii) ma poiché tali vibrazioni si trasmettono alla massa ematica presente nel ventricolo ciò determina un effetto acustico particolarmente grave e intenso legato a vibrazioni a bassa frequenza. iii) Parte delle cause che determinano il primo tono cardiaco sono relative anche al fatto che quando il sangue espulso allorché è stata completata la contrazione iso-volumetrica ed è stato vinto il post-carico (pressione diastolica) determinando l'apertura delle valvole semilunari, il sangue viene espulso in aorta dando luogo a dei vortici cioè ad un moto di regime turbolento. La turbolenza che il sangue assume in questa prima fase è una seconda componente del primo tono cardiaco. E' importante tenerne conto perché quando vi dovessero essere dei difetti valvolari ciò si rifletterebbe proprio sulle modificazioni di questa seconda componente del primo tono cardiaco. Ad esempio un restringimento dell'ostio valvolare comporterebbe un protrarsi di questo rumore.

Primo tono - Il primo tono cardiaco è importante auscultarlo. Non si ausculta in corrispondenza della proiezione toracica della valvola mitrale ma piuttosto in quella parte della superficie del torace dove quelle vibrazioni giungono più precocemente:

– per quanto riguarda il primo tono della valvola tricuspide l'auscultazione del primo tono è effettuata pertanto in corrispondenza del quinto spazio intercostale sul margine sinistro dello sterno;

– per quanto riguarda il tono derivante dalla chiusura della valvola mitrale sempre al quinto spazio ma in corrispondenza della punta del cuore (quella che fa percepire il ritmo cardiaco), collocata sull'emiclaveare, a 10 cm dalla linea mediana del torace.

- In corrispondenza di questa prima fase della contrazione isovolumetrica vi è un aumento pressorio a livello della giugulare. La contrazione isovolumetrica comportando una spinta del sangue sulla superficie inferiore dei lembi valvolari, sia la tricuspide che la bicuspide, fa si che questi comportino un lieve incremento pressorio nella sovrastante cavità atriale. L'incremento pressorio atriale determina un incremento pressorio a livello delle giugulari che si aprono al sistema venoso che si aprono negli atri.

- La contrazione iso-volumetrica aumenta fino a che la pressione non supera il valore pressorio del post-carico (80 mmHg per quanto attiene la pressione diastolica del circolo sistemico e 8-9 mmHg per quanto attiene la pressione diastolica del circolo polmonare). Superato tale valore ecco che si aprono le valvole e inizia una fase di contrazione caratterizzata dalla eiezione di sangue. Questa contrazione è denomina “contrazione auxtonica” perché questa si caratterizza per il fatto di essere una contrazione che da un canto sta avvenendo con un tono costante ma nello stesso tempo le fibre muscolari si stanno accorciando. Quindi non è da confondere con la contrazione isotonica del

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muscolo striato scheletrico perché in questo caso avevamo l'accorciamento del muscolo mentre il carico era costante. Qui invece emerge che il carico supportato dal miocardio mentre si contrae non è costante, tant'è vero che deve vincere un post-carico che va progressivamente incrementando: il valore del post-carico pari a 80mmHg presente nell'aorta incrementerà complessivamente portandosi da 80 a 120 mmHg. Il ventricolo dovrà terminare la sua contrazione con un post-carico che aumenta. Nella contrazione isotonica del muscolo scheletrico il carico resta costante, qui invece il carico va crescendo: la pressione del ventricolo realizza deve essere superiore al post-carico altrimenti l'efflusso della gittata sistolica si arresta.

- Alla fase di contrazione isovolumetrica segue una fase di contrazione auxotonica che si contraddistingue per una eiezione rapida e una eiezione lenta. i) Nella eiezione rapida il ventricolo espelle il sangue in aorta e in questa fase osserviamo come la tensione da parte del ventricolo sovrasta seppur di poco quella all'interno dell'aorta. Ciò è dovuto al fatto che a misura che il ventricolo espelle sangue esso si riduce di raggio e se la tensione resta costante per la legge di Laplace (PC - PEXT = 2t / l ), se L si sta riducendo in quanto ora il sangue può essere espulso essendo stato vinto il pre-carico ed ecco allora che il valore della pressione cresce. Anche nell'aorta la pressione sta parallelamente crescendo con la differenza che quella all'interno del ventricolo e , nella fase di eiezione rapida, si mantiene di poco superiore a quella dell'aorta. ii) Durante la fase di eiezione lenta il deflusso di sangue dall'aorta verso la periferia supera l'eiezione ventricolare e, pertanto, la pressione aortica declina. Durante la sistole ventricolare il sangue che ritorna agli atri determina un progressivo incremento della pressione atriale. Si noti che durante il periodo di eiezione rapida la pressione ventricolare supera leggermente la pressione aortica e il flusso accelera (continua a incrementare), mentre durante l'eiezione ventricolare ridotta si verifica esattamente l'opposto. Tale inversione del gradiente pressorio tra ventricolo e aorta, in presenza di flusso continuo di sangue dal ventricolo sinistro all'aorta, è il risultato dell'immagazzinamento di energia potenziale elastica nelle pareti arteriose dilatate, che provoca una decelerazione del flusso ematico nell'aorta. L'apice della curva di flusso coincide con il punto in cui la curva della pressione del ventricolo sinistro interseca la curva della pressione aortica durante l'eiezione. La curva del polso venoso (giugulare) è costituita da 3 onde. L'onda a si verifica per l'aumento di pressione provocato dalla contrazione atriale. L'onda c è provocata dall'impatto della vicina arteria carotide comune con la vena giugulare e, in parte, per l'improvvisa chiusura della valvola tricuspide nella fase iniziale della sistole. L'onda v riflette l'aumento della pressione dovuto al riempimento atriale. A parte l'onda c il polso venoso segue abbastanza fedelmente la curva della pressione atriale.

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Secondo tono cardiaco - Il secondo tono cardiaco avviene come conseguenza della chiusura delle valvole semilunari (tra il ventricolo destro e l'arteria polmonare e tra il ventricolo sinistro e l'aorta) allorché una modestissima quantità di sangue defluisce dall'aorta verso il ventricolo e tale reflusso tende a chiudere i lembi della valvole per cui l'infrangersi del sangue sulla superficie inferiore dei lembi e la chiusura di questi comporta delle vibrazioni che si trasmettono non solo al sangue ma anche alle pareti dell'aorta. Sono queste vibrazioni la causa del 2° tono cardiaco, superiori come frequenza rispetto al primo tono cardiaco e presenta un carattere acustico più schioccante e viene rilevato in corrispondenza del 2° spazio intercostale a destra dello sterno per quanto attiene la valvola aortica (il più intenso), mentre a sinistra dello sterno in corrispondenza del 2° spazio intercostale per quanto attiene la valvola polmonare. Esso è udibile come unico durante l'espirazione ma durante la fase inspiratoria il secondo tono risulta duplice. Durante la inspirazione accade che nello spazio pleurico si riduca la pressione intratoracica, cioé si porti a valori minori di quella atmosferica, ma poiché lo spazio pleurico è in continuità con la regione mediastinica dove si trova il cuore e i grossi vasi come la vena cava inferiore. Nel corso della inspirazione anche a livello mediastinico, che è in continuità con lo spazio pleurico, si avrà una ricaduta della pressione, il che comporta una ridotta pressione all'esterno della parete della cava inferiore dunque incrementando il ritorno venoso a livello dell'atrio di destra prima e dell'atrio di sinistra poi. Ciò aumenterà il volume di sangue che il ventricolo espellerà nella fase di eiezione e quindi comporterà un tempo più lungo per cui la chiusura delle valvole semilunari polmonari avverrà in un tempo successivo in relazione

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alla chiusura delle valvole aortiche. E per questa ragione si ha uno sdoppiamento ovvero della possibilità di rilevare durante la fase inspiratoria un intervallo di tempo tra quello rilevabile a livello della valvola polmonare e quello rilevabile a livello della valvola aortica.

- Con la conclusione della fase di eiezione lenta abbiamo la conclusione della sistole. Da questo punto inizia dunque la fase della diastole. Nella diastole si distinguono la diastole isovolumetrica e una fase di diastole con riempimento sia rapido che lento.i) Nella fase del rilasciamento isovolumetrico osserviamo come la pressione a livello del ventricolo si riduca in caduta ripida ed elastica mentre la pressione a livello aortico assume un andamento del tutto indipendente e divaricato rispetto all'andamento della pressione ventricolare.

Intanto osserviamo che al momento in cui le valvole semilunari si chiudono a livello aortico si osserva una incisura, la così detta incisura valvolare o dicrota, che rappresenta una piccola digressione dell'andamento della pressione aortico e che rappresenta il punto di chiusura della valvola semilunare aortica. Immediatamente dopo tale curva proprio perché la colonna ematica tende a comprimere le pareti dell'aorta inducendo una transitoria distensione ecco che vediamo un lieve incremento della pressione (non riportato nel libro di testo) che prende il nome di onda dicrota. Il movimento del sangue verso il ventricolo causa la chiusura della valvola semilunare: questa trasforma in pressione l'energia cinetica del sangue diretto al ventricolo. Così si ha la generazione di un'onda dicrota sul tracciato della pressione aortica. La chiusura della valvola aortica provoca una incisura nel tratto discendente della curva della pressione aortica e causa il secondo tono cardiaco, segnando la fine della sistole ventricolare. Il periodo tra la chiusura delle valvole semilunari e l'apertura delle valvole atrio-ventricolari è chiamato rilasciamento isovolumetrico ed è caratterizzato da una caduta della pressione ventricolare molto rapida (6-7 mmHg) senza variazione del volume.L'andamento della pressione nel ventricolo si riduce progressivamente: dobbiamo far riferimento alla legge di Laplace in quanto in questa fase si sta riducendo sia la tensione attiva mentre il raggio ventricolare permane costante poiché questa fase sta avvenendo a sbocchi valvolari chiusi (sia le valvole atrio-ventricolari in quanto la pressione del ventricolo è ancora superiore alla pressione negli atri, sia delle valvole semilunare in quanto la pressione aortica è superiore a quella del ventricolo); il ventricolo si sta rilassando e sia la componente contrattile (actina-miosina) sia la componente elastica, che durante l'atto contrattile erano state sottoposte a trazione contribuiscono poi a sviluppare tensione attiva. Nella fase del rilasciamento isovolumetrico a livello del polso giugulare abbiamo un picco di pressione perché l'ingresso di sangue venoso nell'atrio ha comportato un incremento pressorio sulla camera atriale che si ripercuote sulla parete della giugulare

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determinato un picco pressorio chiamato v ( si fa riferimento al rilasciamento ventricolare). Al rilasciamento isovolumetrico segue la fase di riempimento rapido e la fase di riempimento lento.

- La maggior parte del riempimento ventricolare avviene subito dopo l'apertura delle valvole atrio-ventricolari, quando il sangue che è ritornato agli atri nel corso della precedente sistole ventricolare è improvvisamente immesso nei ventricoli che si stanno rilasciando. Questo è il periodo di riempimento rapido. L'inizio della fase di riempimento rapido è contraddistinta dalla riduzione della pressione sia nell'atrio che nel ventricolo, specialmente nel ventricolo per il rilasciamento sia della componente muscolare sia della componente elastica. Concomitantemente osserviamo che a livello ventricolare l'ingresso di sangue dagli atri comporta un aumento del volume mentre a livello della giugulare notiamo una riduzione della pressione e ciò non sorprende perché l'atrio in conseguenza dell'apertura della valvole atrio-ventricolari sta svuotandosi del sangue venoso che aveva accumulato e ciò ha come riflesso la caduta pressoria a livello delle giugulari. Terzo e quarto tono cardiaco - L'immissione del sangue all'interno del ventricolo comporta la genesi di un 3° tono cardiaco, che si caratterizza assieme al 4° per una bassa frequenza (30-40 Hz) e la decelerazione che il sangue penetrato dall'atrio al ventricolo subisce, quindi liberazione e l'improvviso arresto della distensione delle pareti ventricolari su cui tale sangue si infrange. Tale tono è rilevabile con strumenti molto sensibili, udibili meglio nella regione dell'apice. Il terzo tono è più apprezzabile nei bambini con pareti toraciche sottili o nei soggetti affetti da insufficienza ventricolare sinistra.

- Alla fase di riempimento rapido segue la penultima fase della diastole che è nota come diastasi o fase di riempimento lento. In questa fase osserviamo come il gradiente pressorio ventricolare si vada riducendo e la parete del ventricolo comincia a essere distesa dall'ingresso di questa seconda parte del volume di sangue, presentando un incremento di tensione passiva attestato dall'andamento crescente della pressione ventricolare, atriale e venosa, causata dal fatto che il sangue refluo dalla periferia defluisce nel ventricolo destro e il sangue refluo dei polmoni nel ventricolo sinistro. Si nota la presenza di un' “onda P” sul tracciato elettrocardiografico che fino ad ora era stato caratterizzato da un silenzio elettrico ovvero da un tratto isoelettrico. Ora l' “onda P” che si susseguono a conclusione della diastasi attesta l'eccitamento che sta interessando l'intera parete atriale. L' “onda P” determinando l'eccitamento del miocardio atriale determina per ciò stesso la contrazione del miocardio stesso. Questa fase, l'ultima della diastole, è nota anche come pre-sistole o sistole atriale. Notiamo in primo luogo a livello dell'atrio un incremento pressorio che precede ad un incremento della pressione all'interno del ventricolo. Ciò non sorprende perché l'atrio con la sua contrazione introduce una quantità sia pur modesta di sangue nel ventricolo. L'entità del volume ematico che l'atrio immette a seguito della sua contrazione nel ventricolo si aggira intorno ai 10-20 % del volume totale che resta nel ventricolo alla fine della diastasi: si tratta del volume telediastolico. E' una quantità modesta e in ogni caso non significativa ai fini del riempimento ventricolare, il quale avviene indipendentemente della sistole atriale. Ciò è stato osservato in circostanze particolari in cui l'atrio è sempre in fibrillazione, condizioni in cui l'atrio è incapace di sviluppare una forza sufficiente ad immettere sangue nel ventricolo: nondimeno il riempimento ventricolare non ne risulta compromesso.

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La contrazione atriale è rilevante quando è responsabile di 2 dei 3 meccanismi che determinano la chiusura delle valvole atrio-ventricolari. i) Precisamente il primo sta nel fatto che allorché l'atrio si contrae e quindi spinge sangue attraverso i lembi valvolari l'aumentata velocità comporta per ciò stesso una riduzione della pressione sulla superficie dei lembi valvolari: ciò comunque si ricava dal principio di Bernulli. A misura che aumenta la velocità del flusso si riduce la pressione trans-murale e quindi i lembi valvolari sono maggiormente favoriti ad avvicinarsi. ii) La seconda ragione che discende dal contributo della contrazione atriale è nel fatto che allorché questo spinge sangue nel ventricolo il moto del sangue si trasforma da laminare a turbolento allorquando esso entra nel ventricolo. La turbolenza ematica comporta la presenza di vortici i quali generandosi al di sopra dei lembi valvolari inducono a spingere verso la linea mediana e quindi verso la chiusura dei lembi valvolari. iii) La terza causa la conosciamo ed è rappresentata dalla contrazione della parete ventricolare che comprende anche la chiusura valvolare e la genesi del primo tono.

Il 4° tono è dovuto all'ingresso di sangue proveniente dall'atrio al ventricolo ed è un tono di bassissima frequenza e intensità. Al tempo stesso a livello della giugulare osserviamo un picco rappresentato dall'“onda a” (a sta per atriale) il che si propaga a livello della parete spessa del ventricolo. La contrazione atriale contribuisce in maniera non significativa al riempimento ventricolare e alla gittata cardiaca, almeno in condizioni normali, ovvero in normali condizioni di frequenza cardiaca. Quando la frequenza cardiaca incrementa la sistole atriale comincia ad acquisire rilievo. Se la frequenza cardiaca incrementa segue una riduzione della diastasi (rilasciamento ventricolare in cui si ha il riempimento lento) e la contrazione atriale contribuisce al riempimento ventricolare in maniera significativa. Se la frequenza diventa ancora maggiore (120-130 battiti/min) come nel corso di una attività fisica moderata o più o meno intensa la sistole viene ad interferire con la fase di riempimento rapido, pertanto la contrazione atriale assume grande importanza nello spingere rapidamente il sangue nei ventricoli durante questo breve periodo del ciclo cardiaco. Se il periodo di rilasciamento ventricolare è ancora più breve nemmeno la contrazione atriale può impedire che il riempimento ventricolare rimanga adeguato: la conseguente riduzione dell'eiezione cardiaca può provocare la sincope. Per quanto attiene il volume di sangue che resta nel ventricolo dopo che esso contraendosi ha espulso il volume della gittata sistolica, il volume che resta nel ventricolo prende il nome di volume telesistolico, dello stesso ordine di equivalenza di quello che è stato espulso. Il volume generalmente presente alla fine del riempimento del ventricolo si aggira intorno ai 130 ml. Poiché il volume sistolico espulso è dell'ordine dei 70-75 ml il volume residuo o tele-sistolico (cioé quello che resta dopo la sistole ventricolare) è pari a 50-60 ml (130 – 75 = 55ml). - In relazione alla contrattilità (forza di contrazione) che eroga il miocardio ventricolare, maggiore è questa - ad esempio in concomitanza dell'influenza del sistema nervoso ortosimpatico minore è il volume tele-sistolico. - Questo volume però è suscettibile di modificazioni in relazione in primo luogo alla frequenza cardiaca, riducendosi all'aumentare della stessa. - In condizione di ridotta frequenza cardiaca il volume tele-sistolico tende ad incrementare, o ancora in condizioni patologiche il volume in questione un ventricolo ipo-dinamico o affetto da insufficienza miocardica il volume tele-sistolico può essere pari a 3-4 volte quello della gittata sistolica. E' invalsa la denominazione di tono riservando il termine di rumore o soffi quando vi sono delle condizioni patologiche che si associano a delle alterazioni in circostanze in cui vi siano o delle insufficienze valvolari o dei restringimenti/stenosi valvolari: ad esempio una insufficienza e una stenosi mitralica si associano rispettivamente a soffi in condizioni sistoliche e, nel caso di una stenosi, in condizioni diastoliche. A carico della valvola semilunare l'insufficienza si accompagna a soffi in diastole e in caso di stenosi della valvola vi sono soffi in sistole.

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Abbiamo altresì visto che il cuore in condizioni normali è contenuto all'interno di una struttura quale il pericardio. Il pericardio contribuisce a mantenere in posizione anatomica il cuore. Difatti sappiamo come esso attraverso il legamento freno-cardiaco contribuisce ad essere mantenuto in loco nonostante i movimenti che gli eventi meccanici comportano. Tuttavia si è visto che la funzionalità cardiaca ne risulta particolarmente modificata ove per ragioni patologiche questo sacco non vi sia. Oltre al contenimento dell'organo in normale posizione il pericardio contribuisce anche data la sua modesta distensibilità a limitare la distensione del ventricolo destro, la quale si può modificare in relazione al ritorno venoso. Laddove vi sia una dilatazione ciò comporta lo spostamento del liquido pericardico e lo spostamento del liquido determina una limitazione dei movimenti dei ventricoli: si parla in questo caso di tamponamento cardiaco. Come conseguenza vi è una limitazione delle contrazioni con riduzione della gittata cardiaca. Nel concludere questo argomento alcuni elementi vanno ricordati:

- Quando le due metà del cuore disposte in sede nel corso degli eventi cardiaci, la metà di destra si contrae con un intervallo che precede di pochi millisecondi la contrazione della metà di sinistra. - Ciò che è da tenere a mente è che l'apertura delle valvole semilunari polmonari precede l'apertura delle valvole semilunari aortiche e questo è conseguenza del fatto che il circolo polmonare è un circolo a bassa resistenza a differenza di quello sistemico ad alta resistenze. (Queste resistenza sono conseguenza della notevole distribuzione delle arteriole e degli sfinteri capillari, notevolmente rappresentati nel circolo sistemico. Tale distretto è in grado di modificare il diametro di questi vasi e di diminuire la resistenza: una maggiore resistenza significa che più rapidamente si aprono le valvole semilunari aortiche (???). La chiusura delle valvole in questione avviene prima nelle valvole aortiche e poi nelle valvole polmonari. Ciò dipende da 2 fattori, in primo luogo le resistenze del circolo sistemico contribuiscono alla chiusura delle valvole ma nel circolo polmonare si aggiunge il fatto che in conseguenza della inspirazione essendo maggiore il ritorno venoso maggiore è il volume di sangue presente nel ventricolo di destra e maggiore è la durata della fase di eiezione. La pressione è rilevata a livello del circolo sistemico in pressione diastolica e sistolica. A livello del circolo sistemico la pressione diastolica ovvero il valore del post-carico è 80mmHg, ovvero la pressione che vige al di là delle valvole semilunari e aortiche. La pressione che vige oltre le valvole semilunari polmonari è di appena 8-9 mmHg. La pressione sistolica massima nel circolo sistemico è pari a 120-130 mmHg, mentre nel circolo polmonare tale valore è di circa di 25 mmHg. A livello dell'atrio di destra in genere la pressione è di 3mmHg rispetto agli 8 mmHg dell'atrio di sinistra. Alla fine della diastole nel ventricolo di destra abbiamo una pressione di 4 mmHg, in quello di sinistra 9 mmHg. La durata del circolo cardiaco è complessivamente 0.8 sec e ciò è funzione della frequenza a cui il cuore sta lavorando giacché il valore di 0,8 s va considerato unitamente a una frequenza di 75 battiti al minuto. Quando la frequenza delle pulsazioni incrementa si riduce la durata del ciclo mentre quando la frequenza si riduce è chiaro che la durata del ciclo aumenta. La durata totale della diastole è 0,53 s, mentre la sistole è di 0,27 s.

UOMO CANE

Contrazione isometrica 0,05s 0,05s

Espulsione massima 0,09s 0,12s

Espulsione ridotta 0,13s 0,1s

Durata totale della sistole 0,27s 0,27s

Protodiastole (momento che precede l'incisura)

0,04s 0,02s

Rilasciamento isometrico 0,08s 0,05s

Rilasciamento rapido 0,11s 0,06s

diastasi 0,19s 0,29s

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Sistole atriale 0,11s 0,11s

Durata totale della diastole 0,53s 0,53s

Concluso l'argomento di gittata sistolica

Gittata cardiaca – Se la gittata sistolica rappresenta il volume di sangue che il ventricolo espelle in una singola sistole, quello di destra nell'arteria polmonare e quello di sinistra nell'aorta, in condizioni normali per una frequenza di 70-75 battiti al minuto un ammontare di 70 ml, la gittata cardiaca è per definizione il volume di sangue che ciascuno dei due ventricoli immette nell'arteria polmonare e nell'aorta in un minuto. Pertanto tenendo conto che una gittata sistolica in condizioni normali è pari a 70ml, moltiplicando questa per la frequenza ne risulta che il valore della gittata cardiaca risulta in media pari a 5L. La gittata cardiaca rappresenta un parametro fondamentale giacché essa determina quell'importante parametro fisiologico che è appunto il così detto volume circolante efficace, un parametro tipicamente fisiologico che presiede alla perfusione tissutale, ovvero che è incaricato nell'unità di tempo di fornire ossigeno e altre sostane nutritizie ai tessuti perfusi. Esso non è da intendere necessariamente come un volume di sangue all'interno dei vasi. Possiamo avere infatti volumi endovasali che non stanno circolando, non partecipano alla perfusione e quindi non entrano a far parte del volume circolante efficace. La valutazione della gittata cardiaca può essere fatta in vari modi ma qui verranno trattate quella secondo i) il metodo di Fick e ii) quella secondo la diluizione dell'indicatore.

Considerazioni preliminari. A volte vi sono delle difficoltà nell'esprimere certe definizioni elementari di tipo formale.

Concentrazione → C = 1mg/1 ml, quantità totale di soluto → Q, Volume → Vx1mg * 1ml = Q * Vx

1ml*Q = 1mg*VxVx = 1ml Q/1mg = Q/CQ = CV C = Q/VIl principio a cui ora ci richiamiamo per la determinazione della gittata è il principio di Fick (fisiologo tedesco). Esso non è che l'applicazione fisiologica del principio più generale di conservazione della massa e cioé alla determinazione del flusso ematico attraverso gli organi. Dove la conservazione della massa viene applicata? A livello del circolo polmonare. L'autore stabilisce che la quantità di un determinato soluto Q1, ad es. un gas come O2, presente all'interno del volume di sangue che in un minuto fluisce attraverso l'arteria polmonare (volume di sangue che proviene dal ventricolo di destra) viene a sua volta addizionata di un volume che il soggetto assume dall'esterno. Tale quantità che perviene al sangue attraverso lo scambio gassoso alveolare (Q2) si unisce alla prima (Q1), cioé alla quantità di ossigeno che nel circolo polmonare era stata trasportata dall'arteria polmonare, e la somma delle due (Q1 +Q2) risulta uguale, nell'unità di tempo di un minuto, alla quantità (Q3) che è data nel volume di sangue che con le quattro vene polmonari lascia i polmoni e si porta alla metà sinistra del cuore (atriosinistro e ventricolo sinistro) e che verrà in seguito espulsa nell'aorta. Q1O2 + Q2O2 = Q3O2

La quantità di ossigeno Q1 presente nell'arteria polmonare è data dalla concentrazione di soluto [O2] x il volume di sangue venoso complessivo “Q” (scriviamo Q come volume perché un volume al minuto è un flusso!) che in 1 min lascia il ventricolo di destra attraverso l'arteria polmonare. Quindi Q1 = Q[O2]V La somma delle 2 quantità Q[O2]A + Q2 (ossigeno assunto in un minuto che passa dall'alveolo al sangue che sta fluendo nel circolo polmonare) = Q3 , la quantità di O2 contenuta nel volume di sangue arterioso che in 1 min sta lasciando il polmone e le vene polmonari per essere

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espulso dal ventricolo di sinistra in aorta. Q3 = Q*[O2]A dove “Q*” è il volume di sangue arterioso che in 1 min è stato espulso dal ventricolo di sinistra in aorta (flusso). Il volume di sangue che ha lasciato la metà destra del cuore è uguale a quello che lascerà la metà sinistra. Q* = QQuindi → V[O2]V + Q2 = Q*[O2]A → Q2 = Q*[O2]A - Q[O2]V

posto che avremo che Q2 = Q ([O2]A – [O2]V)V, ovvero il volume di sangue che dalla parte destra del cuore si porta alla parte sinistra fino all'aorta è dato in ultima analisi da: Q = Q2/([O2]A – [O2]V)Di questa equazione il termine che ci interessa è il flusso ematico Q (volume in 1 min) poiché gli altri termini di questa equazione sono tutti valutabili:

i ) il numeratore Q2 è il volume di gas assunto in normali condizioni dal soggetto adulto. Questo parametro è molto importante ed è pari a 250ml/min. Rappresenta l'ossigeno necessario alla combustione delle sostanze energetiche per ottenere l'energia necessaria per la sopravvivenza del soggetto (attività cardiovascolare e altre funzioni metaboliche).In condizioni basali il soggetto è a riposo, è a riposo da 12 ore ed è in un ambiente termoneutro per cui minimo è lo scambio energetico termico. Il consumo di energia che un soggetto ha in queste condizioni caratterizza il metabolismo basale e la quota di Q2 è la quantità necessaria di O2 per l'ossidazione dei substrati energetici, ovvero 250 ml/min. Si può determinare empiricamente attraverso l'uso dello spirometro, uno strumento che consente di valutare i volumi di aria che il soggetto in determinate condizioni scambia in un minuto. Conoscendo la concentrazione di O2 nell'aria possiamo risalire a quale è stata l'entità di O2 assunto in un minuto (CV = Q).

ii) La concentrazione di O2 nel sangue arterioso è valutabile prelevando un campione da una arteria periferica (arteria radiale): in questo modo troviamo che la concentrazione di [O2] riferita per 100 ml è 20ml di O2 /100ml di sangue arterioso. (In quei 20ml è compreso la quota di O2 fisicamente disciolta nel sangue, molto modesta, e la parte di O2 trasportata a livello dell'emoglobina.)

iii) La concentrazione di O2 nel sangue venoso non può essere determinato in una qualunque vena. Il sangue venoso ha una concentrazione di O2 non uniforme ma differente a seconda della sede del tessuto da cui il sangue refluo è preso in esame, in base cioè al metabolismo più o meno elevato. Vi sono tessuti che bruciano determinati combustibili piuttosto che altri. Per avere una misura affidabile di questo parametro occorre prelevare un campione di sangue a livello del ventricolo di destra, dove le differenze legate alle specificità metaboliche e tissutali si sono ridotte. Occorre procedere mediante una cateterizzazione. Si perviene al ventricolo di destra e addirittura all'imbocco dell'arteria polmonare per prelevare un campione di sangue. La concentrazione di O2 a tale livello è pari a 15ml/100ml di sangue venoso.

Q = (250 ml min-1 ) / (20 ml[O2]/100 mlblood – 15ml[O2]/100 mlblood) = 5000 ml min-1 (gittata cardiaca)

(Quindi il passaggio nel circolo pomonare di 1 L di sangue serve affinché vi sia una perfusione periferica di 50ml di O2, poiché il soggetto ne sta assumendo 250 ne occorreranno 5 L.)

Il valore della gittata in condizioni normali può oscillare tra 4-8 L/min. Il calcolo della gittata cardiaca mediante il principio di Fick ha dei limiti circa la sua applicabilità: i) comporta un certo dispendio di tempo, ii) è legato alle condizioni del soggetto e iii) comporta un aspetto invasivo svantaggioso (il fatto cioé di dover cateterizzare il soggetto per avere una indicazione della concentrazione di O2 venosa).

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Un altro metodo è il metodo della diluizione dell'indicatore. Il metodo della diluizione dell'indicatore, o metodo di Stewart, è un metodo il quale sfrutta sempre il principio della diluizione. La diluizione è la quantità di un soluto presente in una soluzione / la concentrazione dello stesso all'interno del volume. Stewart negli anni 50' mise a punto un metodo nel quale si serviva di un indicatore rappresentato da un soluto il quale doveva almeno soddisfare 2 requisiti: i) non poteva essere tossico per il soggettoii) dopo essere stato iniettato non poteva passare dall'ambiente vascolare a quello interstiziale.

Questo tipo di soluto è rappresentato o da alcuni coloranti o da sostanze maracate come l'albumina marcata con iodio 131. Questo indicatore viene iniettato in soluzione fisiologica in un vaso venoso (vena brachiale) e poi si preleva dal vaso arterioso, per comodità dall'altro lato, ovvero in una arteria brachiale dell'altro braccio, campioni di sangue in cui si saggia la concentrazione C dell'indicatore che è stato somministrato al soggetto. A noi è nota la quantità Q che è stata somministrata, per calcolare la gittata V si utilizzerà la seguente relazione V = Q/C. Le concentrazioni saggiate dai prelievi vengono riportate in un sistema di riferimento XoY sull'asse delle ordinate Y. Tali prelievi vengono effettuati ad intervalli regolari (ogni 2-3 sec.) perché se i prelievi sono effettuati a intervalli regolari ciò consente di valutare la concentrazione media e di effettuare la media aritmetica della concentrazione. I valori dei tempi a cui i prelievi vengono effettuati sono riportati sull'asse delle ascisse X. Generalmente percorre un certo lasso di tempo di latenza prima che la concentrazione del marcatore incrementi di un valore diverso da 0, esso è il tempo necessario perché il soluto venga dal sangue a livello dell'arteria da dove si sta effettuando il prelievo. Successivamente la concentrazione comincia ad incrementare: il marcatore una volta nel plasma va lentamente diluendosi e il fronte di avanzamento presenterà inizialmente delle variazioni di concentrazione piccole che via via avranno un incremento crescente, fino al raggiungimento di un massimo dopo di ché la concentrazione decrementa. Ci si aspetterebbe che la concentrazione si riduca fino ad intersecare l'asse delle ascisse, cioè che attesterebbe che la concentrazione diventa uguale a 0. Ebbene ciò non avviene, osserviamo invece 2 cose: i) l'andamento discendente della concentrazione è di tipo esponenziale e non rettilineo, ciò è dovuto al fato che il ventricolo di sinistra non espelle tutto il volume di sangue poiché vi è il volume di sangue residuo telesistolico e poiché il sangue venoso successivamente giungerà al ventricolo di sinistra mediante le vene polmonari, diluendo il sangue telesistolico, ne risulta che il ventricolo allorché espelle sangue continuerà a presentare una certa concentrazione che assume un decremento esponenziale. ii) pur essendoci questo andamento esponenziale non si arriva ad intersecare l'asse x delle ascisse ma si osserva una ripresa della concentrazione: tale incremento è dovuto al fenomeno della re-circolazione. Accade che prima ancora che il ventricolo di sinistra abbia completamente espulso l'indicatore giunge nuovamente il soluto che era stato iniettato attraverso la circolazione venosa. Sembra che ciò sia dovuto ad anastomosi artero-venose (vene bronchiali e vene polmonari).

Per portarsi alla concentrazione di sangue uguale a 0 si ricorre ad un espediente matematico, rendendo lineare il tratto discendente. Per linearizzare la curva si prende la funzione logaritmica corrispondente alla funzione esponenziale della diluizione della curva. Si fa pertanto riferimento alla funzione logaritmica sottesa alla curva in questione, linearizzando l'andamento discendente. Sotto queste condizioni ecco come la branca discendente si sia linearizzata.

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Giustuficazioni teoriche del fenomeno della ripresa della concentrazione: i) Quando il soluto viene introdotto nel plasma tende a sciogliersi, lentamente, nel plasma. Nel frattempo il flusso ematico per convenzione porta verso il punto di prelievo e noi per questa ragione osserveremo un incremento crescente di concentrazione. Sotto il punto di prelievo arriva prima il fronte di avanzamento di questo soluto le cui concentrazioni sono molto più basse. A misura che il flusso procede arriveremo a quei livelli in cui il soluto presenta concentrazioni maggiori poiché non si è ancora raggiunta una omogeneità di diluizione. Il fatto poi che vi sia la re-circolazione è legata al fatto che il ventricolo di sinistra viene invaso da un secondo flusso di sangue del soluto prima che il ventricolo abbia completamente il soluto/marker che sia era accumulato nel ventricolo dalla prima circolazione. In corrispondenza di ciò accade di osservare un nuovo incremento perché altrimenti se il ventricolo avesse espulso nella prima circolazione il soluto noi avremmo avuto una circolazione pari a 0 ma ciò non avviene perché prima ancora che il ventricolo abbia espulso il volume sistolico in aorta con l'indicatore è già giunto con la seconda circolazione il fronte di avanzamento del soluto che è rimasto in circolo: ecco allora il picco nuovamente ovvero l'incremento di circolazione.

ii) Un'altra possibilità, sia pure discussa, per cui vi può essere l'incremento è quella in cui il soluto anziché passare per l'intera circolazione sistemica, vi sono alcuni tratti del sistema vascolare in cui questa rete sistemica viene raggirata, saltata. Ciò accade per esempio a livello delle arterie bronchiali. Queste irrorano il bronchi e l'albero bronchiale e le vene che derivano da queste arterie si scaricano in parte nelle vene polmonari: una parte di sangue finisce per portare l'indicatore precocemente al ventricolo sinistro, vale a dire prima ancora che esso abbia attraversato la circolazione capillare.

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Otteniamo la linearizzazione mediante l'estrapolazione della funzione logaritmica della relazione esponenziale. In questo modo l'area che viene delimitata è una superficie curva. Noi dobbiamo determinare la concentrazione! Essa nell'unità di tempo è andata via via modificandosi e pertanto è necessario che il valore della concentrazione sia valutato attraverso l'integrale della curva definito dall'intervallo tra l'inizio e la fine t1-t2, oppure sostituendo alle superfici in questione una superficie equivalente (un rettangolo) che ha come base i punti in cui la concentrazione è nulla (prendendo in considerazione l'estrapolazione logaritmica per t2), l'altezza è data dalla concentrazione media, valutata mediante la somma dei valori delle concentrazioni saggiate diviso il numero dei prelievi, posto che questi ultimi siano stati compiuti a intervalli regolari. Noi in questo modo valutiamo una quantità Q a numeratore (= la quantità di indicatore che abbiamo somministrato) diviso il prodotto della concentrazione C media per il tempo in cui noi abbiamo effettuato le nostre osservazioni. Così troviamo il volume V che finisce in aorta nell'intervallo di tempo in cui noi abbiamo effettuato le nostre osservazioni. Ciò non è ancora la gittata cardiaca, ma supponendo che l'intervallo di tempo sia stato ad es. di 39 sec. Ad esempio se troviamo che iniettando una quantità pari a 5 mg si apprezza una concentrazione media di 1,6 mg/L di sangue nell'intervallo di 39 secondi in cui sono state effettuati i prelievi otteniamo il flusso relativo a 39 secondi. Dovremo quindi mediante una proporzionalità valutare la portato per 1 min. Moltiplicando il flusso relativo a 1 sec (dividendo per 39 il valore trovato del flusso relativo a 39 sec) moltiplicato per 60 sec (= 1 min).

Vantaggi del principio della diluizione rispetto al principio di Fick.Un'altra applicazione di questo principio della diluizione è la valutazione della gittata quanto l'esercizio sta effettuando l'esercizio fisico. Ciò è una possibilità che la valutazione mediante il metodo di Fick non consente. Generalmente durante un'attività fisica intensa la gittata cardiaca aumenta notevolmente. L'area si restringe notevolmente, cioé la variazione del marcatore avviene in una unità di tempo molto più ridotta. Dovremo moltiplicare il flusso relativo all'intervallo per 60 ma dividerlo per un tempo più ridotto (ad esempio 9 invece). Aumenta la gittata ma aumenta anche il flusso ovvero il movimento del sangue nei vasi, e il tratto discendente della curva della variazione di concentrazione dell'indicatore viene ad intersecare l'asse delle ascisse in un tempo ben più breve rispetto al caso precedente. (3,3 x 60 /9). Modalità attraverso cui la gittata cardiaca viene regolata - La gittata cardiaca è un valore importantissimo ed è modificato in relazione alla condizioni in cui un soggetto si trova (se l'attività fisica è molto intensa si quadruplica o quintuplica fino anche a 25-30 L/min). Vi sono 2 tipi di regolazioni:

i) regolazione eterometrica: viene modificata la lunghezza delle fibre ventricolari, poggia su quel meccanismo messo in luce da Frank-Starling. Questi due autori pervennero ad una legge conosciuta come “legge del cuore” attraverso l'utilizzazione del così detto “preparato cuore-polmone di Franck Starling”. Il preparato di Frank-Starling è un preparato in cui il cuore è stato escisso però non è stato scollegato col resto: - resta collegato al sistema venoso rappresentato da un serbatoio il quale può essere portato ad altezze differenti (può cioè essere sollevato o abbassato), simulando il grado di ritorno venoso. E' chiaro che si tratta del sangue venoso dell'organismo su cui si sta facendo l'osservazione. - Per quanto attiene il distretto arterioso di sinistra osserviamo come questo è simulato da un vaso il quale presenta un tubo di gomma che simula le così dette resistenze periferiche proprie del circolo sistemico, ovvero quelle parti date dalle arteriole, dalle metarteriole e dagli sfinteri capillari. In questi distretti la muscolatura liscia è in grado di modificare il diametro del lume e in conseguenza di ciò – poiché le resistenze sono strettamente correlate alla 4° potenza del raggio di questi vasi – le resistenze stesse. Questa modificazione delle resistenze lo sperimentatore le realizza nel preparato attraverso il manicotto di gomma che è compreso nel tubo di vetro nel quale si può modificare la pressione.

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- L'altra caratteristica del circolo periferico è l'elasticità dei grossi vasi quali l'aorta. Questa elasticità è importante poiché durante la fase di diastasi (rilasciamento isovolumetrico) e durante la fase riempimento la pressione all'interno dell'aorta continuava a mantenersi elevata e questo è possibile ad opera della relazione elastica dell'aorta e dei grossi vasi: in virtù di tale relazione il flusso ematico viene mantenuto costante in periferia nonostante nel ventricolo sinistro la pressione oscilli tra 9mmHg in diastole a 120-125 mmHg in sistole. In tal modo la perfusione ematica tissutale è costante. Il tono elastico di questi grossi vasi è qui rappresentato da un recipiente il quale consente di gravidare l'entità del flusso ematico a livello del territorio arteriolare.

Questi autori hanno concluso modificando sia l'entità del ritorno venoso (cioé il valore del pre-carico perché il ritorno venoso determina il valore del volume telediastolico, cioé il volume di sangue che determina l'entità della distensione delle pareti dei ventricoli, ovvero, in termini più espliciti, la così detta lunghezza delle fibre che è presente all'inizio della contrazione), mentre le modificazioni a livello del manicotto servono a determinare il post-carico, cioè il carico o la forza che deve vincere il ventricolo al momento in cui deve effettuare l'eiezione. La regolazione secondo i meccanismo di Frank-Starling opera quando si modifichi o il pre-carico o il post-carico (le 2 variabili in gioco). La legge a cui tali autori pervennero dice che:

“la forza di contrazione del miocardio ventricolare e quindi il volume che viene espulso come gittata sistolica dipende o dalla lunghezza iniziale della fibra miocardica (all'inizio della contrazione) che è a sa volta funzione del volume espulso o dall'entità del volume telediastolico (pre-carico) perché è l'entità di questo volume che determina la lunghezza iniziale delle fibre miocardiche”.

In un grafico cartesiano i due autori hanno riportato sulle ordinate (variabile dipendente) la pressione o forza di contrazione, mentre sull'asse delle ascisse (variabile indipendente) è riportata la lunghezza iniziale o entità del volume telediastolico. La lunghezza iniziale (volume telediastolico) o pre-carico fungono da variabile indipendente ed è quanto per l'appunto gli autori facevano nel modello sperimentale perché sollevando il recipiente simulatore del ritorno venoso: in tal modo essi aumentavano il pre-carico e facendo sì che la lunghezza iniziale delle fibre del miocardio fosse maggiore. In conseguenza di ciò allorché la parete miocardica ventricolare si contraeva sviluppava una forza di contrazione maggiore e quindi di un maggiore volume sistolico eiettato. L'aumento del volume ventricolare (collegato all'aumento della lunghezza delle fibre miocardiche delle pareti del ventricolo) aveva in qualche modo facilitato la contrazione ventricolare, conferendo al ventricolo la capacità di pompare un volume sistolico maggiore, rendendo uguali la portata cardiaca e il ritorno venoso. Vi era un picco oltre il quale un ulteriore aumentanto la lunghezza delle fibre e dunque del pre-carico riduceva la forza di contrazione (in un soggetto ciò corrisponderebbe ad uno scompenso cardiaco). L'andamento della curva sottostante attesta l'entità della distensione passiva a cui sono sottoposte le pareti ventricolari in relazione all'entità del ritorno venoso. (vedi immagine Guyton***).

La regolazione eterometrica della gittata sistolica opera a seconda che si modifichi il pre-carico o il post-carico. Questo meccanismo poggia su 2 aspetti: i) il primo attiene alla sovrapposizione tra i filamenti spessi e sottili e precisamente al numero di ponti di actina e miosina: l'indagine sulla fisiologia dei sarcomeri ha messo in luce come vi sia una lunghezza ottimale in cui è massimo il grado di sovrapposizione e dunque vi è un numero massimo di ponti di actina e miosina che si formano, ponti da cui dipende la tensione sviluppata che si traduce poi in forza di contrazione. ii) Oltre a questo primo aspetto si aggiunge la sensibilità che i filamenti di actina hanno per gli ioni Ca2+ al variare della distensione delle fibre muscolari (e quindi della lunghezza del sarcomero). Sull'asse delle ascisse XoY è riportata sulle ascisse la concentrazione di Ca2+, sull'asse

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delle ordinate è riportata la forza di contrazione. E' stato osservato che a concentrazioni saturante di Ca2+rispetto alla condizione di controllo troviamo che quando la fibra viene tirata il grado di forza sviluppata è maggiore rispetto quando non vi è alcun stiramento a parità di concentrazione di calcio. Viceversa quanto al fibra viene accorciata, sempre a parità di concentrazione di Ca2+ la forza erogata erogata si riduce. Quindi emerge come la sensibilità da parte dei filamenti sottili agli ioni Ca2+ sia particolarmente più elevata se stiramento-dipendente. Il motivo di ciò chiaramente non è ancora compreso ma si ipotizza che ciò coinvolge una particolare proteina, la titina la quale lega sia i filamenti sottili di actina che i filamenti spessi di miosina alle linee Z. Quando la fibra viene stirata proprio per questa particolare disposizione della titina i filamenti sottili e i filamenti spessi vengono maggiormente avvicinati. Questa maggiore vicinanza mediata dalla titina spiegherebbe la maggiore sensibilità degli ioni Ca2+. Vi sarebbe infatti un numero maggiore di ponti che si formerebbero consentendo al miocardio di sviluppare una maggiore forza/tensione di contrazione.

La regolazione eterometrica è anche nota come regolazione intrinseca (che si distingue dalla regolazione estrinseca legata all'influenza di fattori esterni al miocardio comune, quali quelli nervosi e umorali). Vi sono 2 modi di studiare la regolazione eterometrica:

i) in primo luogo mantenendo costante il post-carico e modificando il pre-carico: tale condizione poteva essere studiata nel preparato cuore polmone di Frank-Starling semplicemente modificando l'altezza del serbatoio di sangue del ritorno venoso connesso con l'atrio di destra. - Nelle condizioni fisiologiche umane che determinano una modificazione del del pre-carico, ovvero del ritorno venoso il quale influenza il volume telediastolico, abbiamo la situazione in cui il soggetto durante la inspirazione, in conseguenza di una diminuzione della pressione endopleurica e quindi a livello mediastinico, essendo questo in continuità con lo spazio pleurico, ne risulta che la pressione all'esterno dell'arcata inferiore si riduce e la colonna ematica è più favorita e aumenta in tale condizione il ritorno venoso. - Condizioni fisiologiche che comportano un aumentato ritorno venoso sono quelle in cui il soggetto passa dalla condizione ortostatica alla condizione clinostatica [comp. del gr. � � � � � «letto» (cfr. clino-) e -statico, (pl. m. -ci). – Nel linguaggio medico, posizione c., la posizione giacente, distesa, dell’uomo, in contrapposizione alla posizione ortostatica, cioè eretta]. - Un aumentato ritorno venoso può instaurarsi nel corso di aumentate perfusioni ematiche, cioè a seguito della somministrazione sangue per via endovenosa, aumentando il volume circolante efficace. In queste condizioni accade aumenta il volume di sangue che perviene al ventricolo di destra e l'incremento conseguente del volume telediastolico incrementa la distensione ventricolo destro. All'atto della contrazione ventricolare aumentano il pre-carico: ciò comporta un'aumento della forza di contrazione che determina un aumentato volume che il ventricolo di destra immette nell'arteria polmonare. In tal modo perviene al polmone, cioè al circolo polmonare, un maggior volume di sangue (gittata sistolica) pertanto attraverso le vene polmonari una maggiore quantità di sangue giunge alla metà sinistra del cuore, ovvero all'atrio e al ventricolo sinistro. Ciò comporta nuovamente un aumento del volume telediastolico e quindi una aumentata forza di contrazione che determina una aumentata gittata sistolica immessa nel circolo sistemico attraverso l'aorta.L'incremento del ritorno venoso e quindi dell'aumentato volume del sangue espulso dalla metà di destra corrisponde ad un aumento del volume di sangue espulso dalla metà sinistra, ovvero dalla metà del cuore che si trova in serie con la metà di destra. Ciò rappresenta un aspetto principale della regolazione eterometrica di Frank e Starling: vi è cioè un equilibrio tra la gittata sistolica di una metà della pompa, ovvero della metà di destra, con quella erogata dalla metà di sinistra.Vediamo invece quali sono le modificazioni intrinseche a seguito della modificazione del post-carico, che nell'arteria polmonare si aggira intorno agli 8-9 mmHg, mentre nell'aorta intorno agli 80mmHg, ovvero la pressione che deve vincere il ventricolo per aprire le valvole semilunari ed espellere la gittata sistolica.

ii) Nel preparato cuore polmone il post-carico veniva realizzato attraverso un aumento delle resistenze, ovvero un aumento della compressione del fluido a mezzo dell'abbassamento del pistone e dunque una riduzione del calibro. Ciò in condizioni fisiologico corrisponde a ciò che può avvenire

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mediante: - un transitorio incremento delle resistente periferiche, dovuto ad esempio ad un aumento del tono simpatico (la stimolazione delle fibre post-gangliari destinate alle arteriole, alle metarteriole e agli sfinteri capillari) e poiché sappiamo che le resistenze sono funzione dei seguenti parametri R = 8ul/pigreco r^4, se la resistenza al flusso del sangue incrementa, per via della riduzione del raggio causata dalla vasocostrizione mediata attraverso l'ortosimpatico, il flusso del sangue in un sistema come quello circolatorio, se deve restare costante, essendo Flusso = DeltaP/R ed essendo la resistenza incrementata, un aumento delle resistenze periferiche si traduce in una aumento di pressione che vi è all'interno dell'aorta cioè del post-carico che da 80 mmHg si porta a 100-110 mmHg (post-carico = la tensione ventricolare durante la sistole, cioè la somma di tutte le resistenze che si oppongono allo svuotamento. Il precarico o ritorno venoso è il volume ventricolare alla fine della diastole. Viene chiamata anche pressione di riempimento del precarico.).

L'aumento del post-carico che in ognuno di noi può fisiologicamente verificarsi in maniera transitoria (se è cronico il caso cade nell'ambito del patologico) che genere di risposte di regolazione innesca?

Risposta intrinseca o eterometrica - Allorché il ventricolo si contrae a partire da una lunghezza iniziale fissa (pre-carico, volume tele-diastolico fissato a 120 -130 ml) se abbiamo un post-carico che anziché essere 80 mmHg è divenuto 110 mmHg il ventricolo espleterà una contrazione iso-volumetrica più protratta di quanto non avverrebbe in condizioni fisiologiche con un post-carico di 80mmHg, e dunque la forza di contrazione necessaria per determinare l'apertura delle valvole semilunari aortiche risulterà maggiore. Pertanto si allunga il periodo della contrazione isovolumetrica prima di avere l'inizio dell'immissione rapida. Superato il valore di post-carico inizia la contrazione con l'eiezione rapida ma poiché la forza che il ventricolo aveva dovuto erogare per vincere un aumentato post-carico ha comportato una riduzione della stessa per espellere nella fase dell'eiezione rapida la gittata sistolica. Quindi una minore gittata sistolica viene espulsa in aorta. (perché si è ridotta la forza di cui il ventricolo dispone per questo scopo, avendo dovuto erogare in misura maggiore per vincere il maggiore post-carico). Ne risulta che al livello del ventricolo residua un volume telesistolico maggiore rispetto a quanto non accade in condizioni normali (50-60 ml). In condizioni di questo tipo il volume può anche incrementare portandosi anche a 80-100 ml. Pertanto risulta che nella fase successiva, cioè la fase di riempimento, il ventricolo muoverà da un volume tele-diastolico maggiore che risulterà sia dal normale ritorno venoso sia da un incrementato volume tele-sistolico. Dunque il volume di pre-carico è divenuto maggiore pertanto la lunghezza iniziale da cui le fibre muoveranno è divenuta maggiore e pertanto all'atto della contrazione ciò comporterà lo sviluppo di una forza maggiore. Non solo viene vinto il maggiore valore di pre-carico ma al tempo stesso viene ripristinata una gittata sistolica normale perché in questo caso il ventricolo in virtù della sua lunghezza iniziale e maggiore volume telediastolico è in grado di erogare la forza necessaria in grado di vincere il post-carico e concomitantemente ad espellere la normale gittata sistolica. In tal modo il meccanismo di Frank-Starling consente la costanza nel mantenimento della gittata sistolica. Questo meccanismo lo vediamo operare in condizioni fisiologiche allorquando si modifica la frequenza cardiaca. In situazioni in cui la frequenza cardiaca si riduce (per es. negli sportivi), ovvero l'intervallo tra un evento sistolico e il successivo si è allungato (bradicardia).Si potrebbe forse pensare che la riduzione degli eventi sistolici si possa associare ad una riduzione della gittata. In realtà ciò non avviene perché con l'allungamento della fase diastolica ne risulta un incremento del volume ventricolare che comporta l'erogazione ad ogni singola sistole di una maggiore gittata sistolica: quindi in caso di bradicardia la gittata cardiaca rimane costante in virtù del fatto che ciascuna delle sistoli si caratterizza per un aumentato volume di gittata sistolica, poiché la fase di diastole è più prolungata e consente un maggior riempimento dei ventricoli.

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Sistole prematura - Può verificarsi l'insorgenza di una sistole prematura (saggiata a livello delle pareti del ventricolo come potenziale elettrico), ovvero immediatamente dopo una precedente normale sistole, la quale si caratterizza per una ridotta ampiezza. Questa contrazione prematura avviene infatti con una concentrazione di Ca2+ intra-citoplasmatica molto minore rispetto a quella che si dà in condizioni normali (con normale frequenza) perché la liberazione di Ca2+ da parte del reticolo sarcoplasmatico, dopo essere stata captata da un evento sistolico per poter poi essere successivamente liberata, richiede almeno un intervallo di 500-800 ms. Ecco perché un evento prematuro, proprio per essersi verificato immediatamente con una latenza ben minore di 500 sec., implica che meno calcio si è liberato dal reticolo sarcomplasmatico, e quindi non sorprende che la pressione che viene realizzata nel ventricolo sia ridotta.

All'evento contrattile prematuro segue una fase compensatoria più lunga di quanto non sia l'intervallo che si pone tra un evento sistolico e l'altro. Quando arriva un impulso è chiaro che se vi è stato un evento contrattile il successivo impulso elettrico troverà il miocardio in condizioni di refrattarietà, assoluta o relativa, ed esso non sortirà nessun effetto meccanico. Pertanto bisognerà attendere l'arrivo di un successivo normale impulso per cui subentra una fase compensatoria o un intervallo lungo. Il successivo impulso susciterà la eccitazione del miocardio ventricolare ed essendosi allungato il periodo diastolico conseguentemente all'allungamento della durata della fase compensatoria ecco che aumenta il ritorno venoso, cioè il ritorno di riempiemento del ventricolo e quindi aumenta la lunghezza iniziale per l'aumento del volume telediastolico e il ventricolo erogherà una forza di contrazione maggiore. Successivamente il ventricolo ripristina il normale ciclo e le normali pressioni ventricolari. In un grafico in cui viene rappresentata la curva delle forze generate durante le contrazioni premature in un preparato di muscolo ventricolare isolato. La scala lungo l'asse delle x indica il tempo tra il battito indotto e quello prematuro. Sulla scala delle y sono riportati i rapporti tra la forza contrattile del battito prematuro e quella del battito indotto. Otteniamo un incremento esponenziale che attesta che laddove la contrazione prematura è molto vicina alla contrazione normale sistolica sarà caratterizzata da una piccolissima pressione endoventricolare. A misura che la contrazione prematura si distanzia dalla normale contrazione si attesterà una forza maggiore perché il maggiore intervallo di tempo consente una più copiosa liberazione di Ca2+.

- regolaizone a seguito dell'aumento di frequenza - Un'altra proprietà intrinseca del miocardio comune è l'aumento della forza di contrazione indotta dall'aumento della frequenza. La forza di contrazione muove da una condizione in cui vi è una frequenza di stimolazione del miocardio (ci si sta riferendo alla contrazione del muscolo papillare) fisiologica di 1 impulso /20 sec, passando da una stimolazione che avviene ogni 0,63 sec: osserviamo un crescere continuo della forza sviluppata. Si tratta non di potenziali d'azioni ma espressioni meccaniche, ovvero i valori della forza contrattile. A cosa è dovuto tale incremento quando la frequenza, ovvero il numero delle stimolazioni incrementa? Ciò è riconducibile a 2 ragioni: 1°) la prima è legata al fatto che all'aumentare della frequenza contrattile osserviamo che il

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numero di potenziali d'azione , ognuno dei quali è caratterizzato da un plateaux (fase 2), causa una riduzione della durata del plateaux di ogni contrazione. La durata del plateaux in questa fase si va riducendo ma pur riducendosi la durata del singolo evento il numero degli eventi di plateaux associata al numero dei potenziali d'azione, notevolmente incrementato, è per ciò stesso incrementato e ciò si associa ad un aumentato ingresso di Ca2+ che determina un aumento della forza di contrazione. 2°) La seconda ragione per cui incrementa la forza di contrazione è legata al fatto che la corrente del Ca2+ in questa condizione di aumentata stimolazione e quindi aumentata insorgenza del potenziale d'azione è incrementata. Quindi non solo abbiamo un aumento degli eventi di plateaux ma durante questi plateaux, seppur ridotti in lunghezza, la membrana presenta una maggiore conduttanza per i Ca2+ rispetto alla conduttanza che si ha quando la frequenza di stimolazione è normale. E l'inattivazione dei canali attraverso cui passano i Ca2+ si è ridotta pertanto permane la permeabilità nei confronti di essi.

ii) regolazione omeometrica: In una condizione in cui un soggetto compie un esercizio fisico più o meno intenso vede la gittata cardiaca incrementare da 5L/mina 20-25L/min. Tale attività la si può realizzare mettendo il soggetto su un nastro trasportatore ad inclinazioni via via crescenti. In questo modo si è osservato mediante l'elettrocardiografo che dopo un iniziale incremento del volume ventricolare all'aumentata intensità dell'esercizio fisico, successivamente il ventricolo non solo riduceva il proprio volume ma addirittura assumeva volumi a raggio di curvatura minore di quello normale. Ecco che cosa allora ci permette di introdurci ad una nuova modalità di regolazione che subentra e che provoca questa condizione. Si tratta della regolazione omeometrica o estrinseca, perché è sotto il controllo di fattori specificatamente nervosi. Questo tipo di regolazione è chiaro che non poteva essere osservato da Frank e Starling per il fatto che le loro osservazioni erano condotte su un cuore denervato e isolato. Ecco perché gli autori potevano solamente studiare la regolazione intrinseca al cuore, indipendente dalla regolazione mediata dai fattori nervosi e umorali. E detta anche omeo-metrica in considerazione del fatto che il ventricolo si porta a raggi di curvatura costanti e si mantiene su tali raggi.

Richiami di anatomici con pertinenza sul cuore - Il cuore riceve una duplice innervazione, ortosimpatica e parasimpatica. Il contributo di entrambe le innervazioni risulta nella frequenza che in vivo l'organo esibisce, vale a dire che la frequenza in condizioni normali di un cuore (70-75 battiti/min) non è la frequenza intrinseca del cuore ma la frequenza risultante dell'azione del tono parasimpatico e ortosimpatico sul cuore stesso. Se si denerva il cuore la frequenza del miocardio è dell'ordine di 110 battiti al minuto. - L'innervazione orstosimpatica del cuore prende origine propriamente dal tronco dell'encefalo a livello bulbare e precisamente dall'area pressoria. L'area pressoria è data da un nucleo a livello del bulbo il così detto gruppo rostrale ventro-mediale bulbare (BRVM) che riceve una afferenza di tipo inibitorio dall'area depressoria o nucleo caudale ventro-mediale bulbare (BCVM). Dal gruppo rostrale ventro-mediale bulbare partono impulsi che mediante delle fibre che giungono al midollo spinale, a livello delle colonne intermedie laterali del midollo spinale, precisamente a livello dei segmenti T1-T5. Qui arrivano i neuroni pre-gangliari coi quali le fibre discendenti dal bulbo contraggono sinapsi (corno laterale?) che a mezzo della radice anteriore del nervo spinale, il ramo comunicante bianco, si portano ai ganglii cervicali superiore medio ed inferiore. (Quello inferiore spesso è unito al 1° ganglio toracico dando luogo al ganglio stellato.) Da questi partono (= le fibre pre-gangliari fanno sinapsi con) le fibre post-gangliari che si portano al cuore e precisamente, seguendo le pareti dei vasi fino al miocardio specifico e al miocardio comune. L'ortosimpatico di destra innerva sia il nodo seno-atriale che la muscolatura atriale di destra e di sinistra. L'ortosimpatico di sinistra innerva il nodo atrioventricolare e la muscolatura miocardica dei due ventricoli, distribuendosi uniformemente e al miocadio specifico e al miocardio comune.

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- L'innervazione vagale per quanto concerne la fibra pre-gangliare prende origine sempre dal bulbo, dal nucleo ambiguo del vago che è sede delle fibre pre-gangliari vagali. Questo decorrono nei nervi vago di destra e sinistra fino ai gangli che sono in genere, nel sistema ortosimpatico a ridosso degli organi innervati. Da questi gangli muovono le fibre post-gangliari vagali che si portano, per quanto riguarda il vago di destra al nodo seno-atriale, mentre il vago di sinistra si porta al nodo atrio-ventricolare e alla prima parte del fascio di His mentre molto modesta è l'innervazione a livello del miocardio comune delle pareti ventricolari. I mediatori liberati a livello delle fibre post-gangliari dell'ortosimpatico sono costituiti da noradrenalina, mentre nel parasimpatico l'acetilcolina. La noradrenalina agisce legandosi ai beta-recettori mentre l'aceticolina esercita anch'essa effetti sul miocardio specifico e comune legandosi ai recettori muscarinici. Abbiamo poco fa detto come l'innervazione del cuore sia ortosimpatica che parasimpatica non siano propriamente separate giacché vi sono sovrapposizioni a livello del miocardio sia dell'uno che dell'altro: le terminazioni ortosimpatiche stabiliscono sinapsi con terminazioni post-gangliari vagali e viceversa. Le terminazioni vagali hanno una azione sulle terminazioni ortosimpatiche mediante terminazioni asso-assoniche. Il sistema ortosimpatico e parasimpatico determinano sul cuore la frequenza che in condizioni fisiologiche è di 70-75 pulsazioni/min. Questa frequenza è suscettibile di variazioni in relazione a una serie di influenze che possono provenire sia dalla periferia - attraverso fibre sensitive viscerali o somatiche - ma anche da strutture sopra-bulbari ovvero dalla corteccia motoria, pre-motoria, dalla parte anteriore del lobo temporale, dall'insula, dal talamo e ancora dal diencefalo (ipotalamo) non solo dalla parte postero-ventrale ma anche dalla regione anteriore preottica dell'ipotalamo, in considerazione del fatto che tale regione regola la temperatura interna corporea e quindi l'attività cardiaca attraverso la distribuzione maggiore o minore di sangue alla periferia possa influire sulla regolazione della temperatura corporea.

Questo grafico dimostra in quale misura l'attività contrattile del miocardio sia influenzata dalle due sezioni orto-e parasimpatico. Lo si vede bene quando ai soggetti si somministra a 2 campioni di soggetti quattro dosi uguali di atropina (antagonista dei recettori muscarinici che blocca gli effetti parasimpatici) e propanololo (antagonista dei recettori Beta-adrenergici che blocca gli effetti simpatici) sulla frequenza cardiaca di 10 uomini di giovane età. Il grafico risultate ha come dimensioni sull'asse delle ordinate la frequenza cardiaca mentre sull'asse delle ascisse il farmaco

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somministrato. A seguito della somministrazione di propanololo la normale frequenza cardiaca si porta progressivamente verso una riduzione della stessa intorno ai 50 battiti/min. Se invece ad un altro campione muovendo dalla normale frequenza si somministra l'atropina, venendo meno l'inibizione vagale la frequenza cardiaca si porta a 115 pulsazioni al minuto. Quindi un tono inibitore vagale esplicitato dal farmaco in condizioni normale è di gran lunga superiore rispetto a quello eccitatorio ortosimpatico esplicitato dal farmaco. Se il propanololo si somministra all'atropina si vedrà come la frequenza incrementi notevolmente e viceversa se a un soggetto cui era stata somministrata atropina si somministra poi propanololo si vede come la frequenza diminuisca sì ma molto poco. Di conseguenza il tono vagale prevale sul tono eccitatorio.

Innervazione parasimpatica - L'innervazione orto- e para-simpatico agisce secondo quali seguenti meccanismi agisce? L'effetto che viene indotto dalla stimolazione vagale è un effetto determinato dalla liberazione di acetilcolina. Questa viene in genere liberata con una cadenza di 10-50-100 msec e a sua volta dopo avere agito sui recettori muscarinici l'effetto dell'acetilcolina è interamente arrestato in considerazione della notevole attività dell'acetilcolinesterasi presente sul versante post-sinaptico. Innervazione ortosimpatica - Differente è invece l'azione che si osserva a livello delle terminazioni post-gangliari ortosimpatiche. Qui la noradrenalina agisce a livello dei beta-recettori. L'azione della noradrenalina ha innanzitutto una latenza con cui essa da luogo ai suoi effetti maggiore. L'effetto che essa sortisce è pertanto maggiormente ritardato, anche perché la noradrenalina viene liberata più lentamente. In secondo luogo l'effetto che la noradrenalina induce permane per una durata maggiore sul miocardio per il motivo che gli effetti della noradrenalina generalmente si manifestano attraverso una via molto più lunga di quella dell'acetilcolina, quindi ad opera di secondi messaggeri, quindi l'attivazione di protein-kinasi che richiedono tempi maggiori. Trasduzione del segnale a confronto - Mediante l'acetilcolina l'effetto è mediato attraverso la sola azione di questa sul canale per il K+ che è strettamente legato al recettore per l'acetilcolina. Il recettore beta adrenergico è invece un recettore metabotropo che comporta una catena metabolica più lunga. Inoltre la noradrenalina attivata non viene inattivata così velocemente ma molto più lentamente e perché viene ricaptata dai terminali. Da qui il più protratto effetto che la noradrenalina determina sul miocardio.

Effetti della noradrenalina - Per quanto riguarda gli effetti della noradrenalina essa agisce a livello dei beta-recettori sia del miocardio specifico che comune. A livello del miocardio specifico l'effetto è una attivazione dell'adenilato ciclasi, aumento di cAMP che determina

i) un aumentato afflusso delle corrente funny del Na+ con un incremento e maggiore ripidità della fase di ripolarizzazione;

ii) l'aumentata fosforilazione dei canali transient del Ca2+. Questi due eventi determinano la maggiore ripidità del potenziale pacemaker da cui deriva l'aumentata frequenza ovvero il numero di impulsi per unità di tempo (effetto cronotopo positivo)

iii) A livello invece dei canali “long-lasting” per il Ca2+ la noradrenalina induce un aumentato afflusso di Ca2+ quindi una maggiore ripidità del potenziale delle cellule del nodo senoatriale il che si associa al fatto che gli impulsi aumentano non solo nell'unità di tempo ma aumenta anche la velocità di conduzione sia nella membrana del tratto internodale che delle fibre di conduzione (effetto dromotropo positivo).

iv) La noradrenalina nel miocardio comune determina sempre attraverso i recettori beta-adrenergici, via attivazione di adenilato ciclasi attivazione cAMP e AMPK con fosforilazione di ulteriori canali per il Ca2+, con conseguente aumento di entrata di Ca2+ nel miocardio comune, aumento che indurrà mediante l'attivazione dei recettori della ryanodina l'apertura delle cisterne del reticolo sarcoplasmatico con aumentata disponibilità di Ca2+ nel sarcoplasma. Ciò avrà come effetto un aumento della forza di contrazione

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(effetto ionotropo positivo). v) Ma questa fosforilazione a sua volta attraverso la fosforilazione della proteina associata alla

parete del ventricolo sarcoplamatico comporta una attivazione della pompa che presiede alla captazione del Ca2+ dal sarcoplasma all'interno del reticolo, captazione che in questo caso viene maggiormente e più precocemente attivata: ne risulta pertanto una anticipazione del rilasciamento della cellula. La durata del plateaux, sotto l'effetto della noradrenalina si riduce alquanto senza pregiudicare l'intensità della forza sviluppata dal miocardio (vedi più sopra). La riduzione del plateaux è importante per spiegare l'aumento della frequenza e certamente incide anche sulla fase di diastole ma questa non può essere eccessivamente ridotta perché ciò pregiudicherebbe il riempimento ventricolare.

In un preparato del ventricolo sinistro a livello della contrazione isovolumetrico la stimolazione dei nervi simpatici cardiaci provoca un notevole aumento

- della pressione massima nel ventricolo sinistro,

- della massima velocità di sviluppo e di caduta della pressione intra- ventricolare ( 1° indice di contrattilità del miocardio, velocità con cui aumenta la pressione per secondo o Delta(P)/Delta(t) max);

- e della frazione di eiezione ( 2° indice di contrattilità, V(gittata sistolica)/ V(telediastolico) x 100, si aggira tra 50-70%);

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EIEZIONE

Lavoro del cuore – Si prenda in riferimento il ciclo pressione-volume del ventricolo sinistro in un singolo ciclo cardiaco. Sull'asse delle ascisse è riportato il volume del ventricolo sinistro mentre sull'asse delle ordinate è riportata la pressione (rilevata mediante catetere) del ventricolo sinistro. Il ciclo cardiaco si compone di 6 fasi:

A-B) In A vi è la conclusione della fase di diastole isovolumetrica e la pressione del ventricolo si è portata a valori minori di quelli dell'atrio (7mmHg) ed inizia pertanto la fase di riempimento rapido (rapid filling), una fase che è caratterizzata ad un ulteriore calo di pressione dovuto sia al rilasciamento della componente contrattile che alla componente elastica non contrattile caratterizzata da un certo grado di distensibilità passiva. (Tale rilassamento procede in maniera ancora più veloce di quanto non sia l'aumento pressorio conseguente all'ingresso del sangue in fase di eiezione rapida ) fino a quando non arriviamo all'ultima parte di questa fase caratterizzata da un lieve incremento pressorio dovuto alla contrazione atriale o sistole.

B-C) In B le valvole atrio-ventricolari si chiudono ed inizia la sistole ventricolare isovolumetrica. Essa sottende ad una parte del lavoro cardiaco molto particolare, caratterizzata da una camera la quale si contrae fino a un valore massimo (C) , oltre il quale viene superato il valore pressorio dell'aorta (il valore del post-carico è in genere di 80mmHg). C-D) i) Superato il post-carico inizia la fase di eiezione rapida, caratterizzata da una fase iniziale di eiezione rapida (C-D) caratterizzata da un incremento pressorio fino ad un picco di 120 mmHg (massima sistolica) cui segue ii) una fase di eiezione lenta caratterizzata da un declino della pressione e nel ventricolo e nell'aorta (in quest'ultima però vi è anche un lieve incremento pressorio). Il declino pressorio è dovuto al fatto che la parete del miocardio ventricolare sta iniziando ad espandersi e quindi la

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tensione si sta riducendosi in misura maggiore di quanto non sia il decremento del volume conseguente alla eiezione di sangue: pertanto la pressione decresce. Precisiamo come in questa fase, nonostante nell'aorta l'incremento pressorio sia lievemente maggiore rispetto a quello del ventricolo, ciò non si associa a un reflusso di sangue dall'aorta al ventricolo in quanto oltre alla pressione occorre prendere in considerazione il contenuto energetico totale del sangue e dell'aorta (la somma dell'energia cinetica e dell'energia potenziale): la somma dell'energia cinetica e potenziale nel ventricolo è nel ventricolo superiore a quella vigente in aorta, anche se il ventricolo si sta rilasciando. In seguito, conclusa la fase di eiezione lenta, il contenuto energetico totale del sangue in aorta è maggiore rispetto al sangue nel ventricolo ed ecco che ora il sangue tenderebbe a defluire nel ventricolo ma ciò comporta la chiusura delle valvole aortiche semilunari (D).

D-A) Segue una fase di diastole isovolumetrica caratterizzata da un declino rapido della pressione a volume costante giacché gli sbocchi valvolari sono chiusi.

Calcolo del Lavoro - In un sistema fisico il lavoro “W” è dato dal prodotto scalare della forza “F” per lo spostamento “L” del punto di applicazione della forza. W = F x L. Il lavoro così espresso, nella maniera più semplice, sussiste anche nel ventricolo perché la relazione consiste nella pressione che esso sviluppa per trasferire un determinato volume sistolico dal ventricolo all'aorta, pertanto nel caso del cuore immediatamente tale lavoro è uguale al prodotto di pressione x volume che viene espulso in aorta: W = P x ΔV. Possiamo in ogni istante calcolare il lavoro rilevando i valori pressori e i valori di gittata sistolica (� V ). La pressione è infatti una forza per unità di superficie F/L^2, mentre il volume è una lunghezza al cubo o L^3: il prodotto di queste due grandezze dà F x L. Energia totale del sistema - Nel caso del cuore l'energia totale è però dato non solo dal lavoro meccanico esterno volto a spostare il volume sistolico di sangue dal ventricolo all'interno dell'aorta ma anche comprendente l'energia potenziale che viene sviluppata dal cuore quando esso deve espletare la contrazione isovolumetrica. Questa contrazione isovolumetrica avviene a volume costante ma con incremento pressorio. In tale sviluppo di tensione il muscolo non sta compiendo alcun lavoro meccanico esterno come quello che sarà il lavoro nella fase di eiezione. Il lavoro in questione è quindi più indiretto e consiste nello sviluppo di tensione che ovviamente possiamo valutare semplicemente mediante l'integrale della tensione sviluppata lungo tutto l'intervallo di tempo della contrazione isovolumetrica. La tensione che viene mantenuta costante è necessaria per poter poi rendere possibile il lavoro meccanico volto a spostare il volume sistolico dal ventricolo in aorta. Se dovessimo dunque considerare la modalità del lavoro compiuto dal ventricolo noi dovremmo pertanto considerare come dato dalla somma dell'integrale della pressione per Delta V (lavoro meccanico per poter spostare il volume sistolico dal ventricolo in aorta) sommato all'integrale della tensione che deve essere mantenuta costante affinché venga poi, nella fase successiva di eiezione rapida, compiuto il lavoro meccanico. Rendimendo del cuore: Precisando che il lavoro nel ventricolo richiede energia sia per l'espletamento del lavoro meccanico sia per l'espletamento del mantenimento della tensione attiva costante noi possiamo introdurre la nozione di rendimento del cuore. Il rendimento del cuore è dato dal rapporto tra lavoro meccanico W e l'energia totale fornita la sistema (WMECCANICO/ETOT). Non è altro che la definizione generale per cui in un sistema meccanico che compie un lavoro il rendimento è pari al lavoro compiuto dal sistema / l'energia totale fornita al sistema.

Ancora lavoro del cuore e regolazione omeometrica - Durante la regolazione omeometrica della gittata cardiaca il ventricolo si porta a raggi più piccoli di curvatura e in questo modo viene erogata per unità di tempo una gittata cardiaca che nel corso di un esercizio fisico di moderata entità risulta essere 3-4 volte i valori basali. Ciò avviene nonostante la riduzione del volume ventricolare grazie all'incremento sia della frequenza (effetto cronotopo positivo) che della forza di contrazione (effetto ionotropo positivo) conseguenti all'innervazione estrinseca ortosimpatica.

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In che modo e quali sono le ragioni fisiologiche che sono alla base di questa modalità di regolazione della gittata che si discosta il meccanismo intrinseco di franK-Starling? Quali sono le ragioni fisiologiche che spiegano: i) lo spostamento del ventricolo a raggi più piccoli e ii) se la legge di frank-Starling venga meno o se in tali condizioni continui ad essere osservata.

- Al primo quesito abbiamo richiamato il grafico pressione volume attraverso il quale abbiamo richiamato gli eventi con cui si compendia l'attività completa del ventricolo e attraverso tale grafico abbiamo potuto valutare il lavoro che viene compiuto dal ventricolo, lavoro che è dato dal prodotto della pressione per il volume. Tale lavoro rappresenta il così detto lavoro volumetrico, dunque esso non va identificato come il lavoro del ventricolo tout court ma come quel lavoro che serve per spingere il volume sistolico dal ventricolo in aorta. Questa precisazione è necessaria in quanto il grafico stesso di pressione-volume ci mostra come un'altra quota di lavoro è data da quel lavoro che non è un lavoro esterno, ovvero il lavoro che favorisce la eiezione del volume sistolico ma è un lavoro caratterizzato dallo sviluppo di tensione senza che ciò si associ ad un lavoro esterno, ovvero il lavoro che il ventricolo compie durante la contrazione isovolumetrico. Quel lavoro è valutabile come int(T)dt (integrale della tensione dt/dt sull'intervallo di tempo della contrazione isovolumetrico). (Pertanto il lavoro totale che il ventricolo compie durante l'intero ciclo si può considerare dato dalla somma dell'integrale del lavoro isovolumetrico sommato all'integrale del lavoro pressorio ovvero l'integrale della tensione per l'intervallo di tempo della contrazione isovolumetrica). Il lavoro pressorio (lavoro interno dato dalla tensione nella contrazione isovolumentrica) serve per creare il grado di tensione necessaria a vincere il post-carico ed espellere poi il volume sistolico in aorta (lavoro volumetrico o esterno). Il rendimento o efficienza del sistema è dato dal rapporto tra il lavoro netto/ l'energia totale fornita al sistema. Se questo concetto del rendimento lo applichiamo al ventricolo troveremo che il rendimento alla luce del lavoro svolto dal cuore risulterà dato dal lavoro isovolumetrico (integrale di P per dV) / energia totale del sistema, ovvero int(P)dt + int(P)dV. Quindi R = L/E = int(P)dV/int(P)dt + int(P)dV = lavoro utile (volumetrico)/ lavoro utile (volumetrico) + lavoro pressorio. Il lavoro pressorio lo possiamo è l'espressione della tensione attiva mantenuta costante per tutto il periodo in cui si svolge la contrazione isovolumetrica.La resa del ventricolo in base a tale formula è in genere molto bassa e ammonta a circa il 14-15%. A fronte di tutta l'energia spesa solo il 14% di questa appare a numeratore come lavoro utile (volumetrico per spingere il volume sistolico in aorta), mentre la restante energia, pari al 85%, è utilizzata per lo sviluppo del lavoro pressorio, ovvero l'energia necessaria per mantenere costante la tensione attiva contrattile del ventricolo. Alla luce di ciò possiamo scrivere: R = (Lav. utile)/(Lav. utile) + (Attivazione costante)Reso in tal modo il rendimento del ventricolo possiamo in seguito utilizzare la relazione di La Place P = 2τ/R Poiché stiamo rispondendo al quesito sul perché il ventricolo si porta a raggio inferiore prenderemo in considerazione una condizione in cui il ventricolo presenta R1 e una condizione in cui il ventricolo presenta R2 con R2 > R1. Scriviamo la relazione di La Place per il ventricolo di raggio R1 → P1= 2τ/R1 e per il ventricolo di raggio R2 → P2= 2τ/R2, assumendo che P1 = P2, cioé che i ventricoli con raggi diversi realizzino una eguale pressione per spingere il volume sistolico in aorta. In tale condizione noi osserviamo che quando ventricolo ha il raggio più piccolo R1, il parametro τ - ovvero la tensione attiva che viene mantenuta costante nella fase isovolumetrica, dovrà essere proporzionalmente più piccolo. Pertanto ne risulterà che essendo il “lavoro utile” rimasto costante e la tensione attiva ridotta un denominatore minore e quindi un rendimento aumentato nella condizione in cui il raggio è più piccolo, per cui a parità di lavoro utile erogato è minore il consumo di ossigeno. Nel caso invece in cui il ventricolo operi ad un raggio di curvatura maggiore, a parità di pressione un raggio maggiore, se P1 = P2, va da sé che la tensione attiva τ deve risultare

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maggiore, ma se cià accade è chiaro che il denominatore nella relazione del rendimento aumenta, essendo il lavoro utile costante, pertanto il rendimento risulterà minore, ovvero sarà consumato più ossigeno per l'erogazione di un lavoro utile rispetto alla condizioni a raggio di curvatura minore.

- Questa è la ragione fisiologica per cui il ventricolo si porta a raggi più piccoli di curvatura, poiché la tensione da sviluppare per lo stesso lavoro pressorio si riduce. E' chiaro che se il ventricolo si porta a raggio più piccolo di curvatura per erogare una stessa gittata cardiaca a raggio più piccolo (che quindi una gittata sistolica minore) ha necessità di una regolazione mediata dall'innervazione ortosimpatica che incrementa la frequenza (più eventi sistolici nell'unità di tempo) e con l'aumento della attività contrattile che la noradrenalina determina si ha l'effetto ionotropo positivo per cui un volume maggiore sistolico possa essere espulso in aorta nonostante il ventricolo muova da un volume telediastolico minore. - Il ventricolo è avvantaggiato in considerazione del fatto che l'esercizio fisico, di carattere isotonico (tensione costante, post-carico costante) caratterizzato da una attività muscolare nella quale contrazioni della muscolatura striata scheletrica si alternano a rilasciamento, in tali condizioni tutto il territorio delle resistenze periferiche (arteriole, metarteriole e sfinteri capillari) presenta una riduzione della resistenza al flusso rispetto ad un esercizio isovolumetrico come il sollevamento pesi in cui noi avremmo un aumento delle resistenze con aumento del post-carico. Nell'esercizio di carattere isotonico il post-carico rimane immodificato oppure addirittura un po' ridotto e ciò avvantaggia la contrazione del ventricolo poiché se la pressione diastolica si riduce in conseguenza di una minore resistenza periferica (ΔP = RQ ) e vi è una minore spesa per l'energia pressoria ovvero una minore energia di attivazione costante (τ). In un grafico in cui in ordinata abbiamo il lavoro sistolico del ventricolo sinistro e in ascisse la pressione telediastolica del ventricolo sinistro notiamo che un'infusione a velocità costante di noradrenalina provoca una deviazione verso sinistra della curva della funzione ventricolare (red line) che compendia la legge di Frank-Starling (la quale dice che la forza di contrazione o il volume espulso dal ventricolo è funzione del volume telediastolico o lunghezza iniziale), indicando un aumento della contrattilità ventricolare.

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Nel corso della regolazione omeometrica la regolazione eterometrica non viene meno, è semplicmente celata. L'essenza della regolazione della legge di Frank-Starling risiede ne fatto che “il volume di sangue espulso dalla metà destra nel cuore, conseguenza del ritorno venoso, corrisponde al volume di sangue eiettato dalla metà sinistra” e ciò sussiste anche quando è in corso l'attivazione estrinseca da parte dell'ortosimpatico. - L'intervento dell'ortosimpatico ha portato la curva che esprime la legge di Frank-Starling a spostarsi sinistra. Ciò comporta che per uno stesso volume tele-diastolico il lavoro sistolico corrisponde in ordinata un valore del valore sistolico del ventricolo sinistro maggiore, pertanto in presenza dell'innervazione ortosimpatica adrenergica con lo spostamento a sinistra della curva uno stesso lavoro pressorio è ottenuto con un valore pressorio minore, cioè con un raggio di curvatura più piccolo perché partiamo da un valore più piccolo di pre-carico, cioé un valore tele-diastolico minore. La legge di FranK-Starling anche durante la regolazione omeometrica continua a essere operante ma la curva che la compendia, ovvero la curva della funzione ventricolare, viene ad essere spostata a sinistra, per cui per cui la stessa pressione sistolica del ventricolo (quindi lo stesso lavoro utile), realizzata rispetto ad una condizione in cui il sistema ortosimpatico non è attivo, può essere realizzata a partire da valori minori di volume tele-diastolico (compatibile con una riduzione del raggio del ventricolo). Un raggio più piccolo comporta una τ più bassa, il che corrisponde ad un rendimento maggiore ovvero una quota di lavoro utile erogato maggiore (ovvero lavoro volumetrico o meccanico) in relazione al consumo di ossigeno. Il ventricolo normalmente in condizione fisiologiche non si sposta mai verso raggi grandi di curvatura. Laddove incrementa il post-carico, ovvero abbiamo un incremento pressorio, se questo è un valore semplicemente transitorio esso si associa ad una ridotta gittata sistolica che associandosi al successivo ritorno venoso comporterà un maggior volume telediastolico, il cuore però è in grado di sviluppare la forza necessaria a vincere il post-carico: se tale meccanismo esiste in condizioni transitorie il ventricolo ritorna a raggi minori di curvatura. Ma se il post-carico permane elevato, come accade nelle patologie ipertensive croniche o situazioni in cui vi sia una stenosi dell'aorta, che si associa ad incrementi del raggio del ventricolo - poiché esso espellerà i) un volume minore di sangue ii) ciò costituirà un progressivo aumento del volume telesistolico iii) quindi ad ad un raggio maggiore per compensazione. Ma lentamente il raggio maggiore purtroppo comporta una resa minore del ventricolo che dopo un certo periodo non riesce seppur muovendo da un volume telediastolico (perché si è ridotto il volume sistolico nella fase di eiezione quindi aumenta il volume residuo telesistolico e se il ritorno venoso permane ancora invariato avremo un volume telediastolico maggiore cioé quel volume che è stato determinato da un incremento del raggio) maggiore ad erogare la normale gittata sistolica che si riduce ulteriormente, il che aumenterà un ulteriore incremento del volume residuo telesistolico e quindi un ulteriore incremento del volume tele-diastolico (circolo visiosp). Ciò aumenterà progressivamente il raggio di curvatura e poiché ciò si associa a rendimento minore il ventricolo si scompensa. Emergono in maniera drammatica le manifestazioni tipiche dello scompenso cardiaco da situazioni di sofferenza e l'impossibilità di espletare la minima attività fisica, il che rende necessario l'intervento immediato. Il ristagno ematico non avviene solo nel ventricolo di sinistra ma a monte in tutto il circolo polmonare che comporterà stravaso a livello degli interstizi aumentando la resistenza e il tragitto che l'ossigeno deve compiere dal lume alveolare al capillare. Ciò porta ad una minore apporto di sangue e ossigeno. In terapia intensiva si cerca di ridurre la stasi ematica a livello del circolo

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polmonare fornendo maggiore forza al ventricolo. Ciò è ottenuto attraverso l'impiego di sostanze come la digitale che agendo attraverso il meccanismo di favorire una maggiore concentrazione e permanenza di Ca2+ nelle fibrocellule miocardiche permette la realizzazione di una forza di contrazione maggiore. Occorre però ridurre anche il post-carico in modo tale che il ventricolo possa tornare a operare a raggi di curvatura più piccole. Il ventricolo opera sulla parte bassa della curva che esprime la legge di FranK-Starling.

L'incremento dell'attività del sistema ortosimpatico può essere causata da influenze originate i) dalla corteccia ii) da alcune strutture sottostanti del sistema limbico che presiede al controllo della vita affettiva/emotiva del soggetto (prima ancora che il soggetto avvii la propria attività fisica si trova in una condizione di aspettativa che coinvolge questa struttura che invia impulsi all'ortosimpatico). iii) Inoltre ad attivare questa porzione dell'ortosimpatico intervengono afferenze – sempre poco prima che l'esercizio fisico sia avviato – propriocettori presenti a livello delle capsule articolare e nei fusi neuromuscolari rilevanti la distensione o le contrazioni dei muscoli. La sensibilità propriocettiva invia informazioni centralmente nel tronco encefalico, nell'area vaso-pressoria del bulbo e attivandola causa la stimolazione ortosimpatica fino agli alle strutture splancniche tra cui il cuore.

La resa del miocardio è modesta: si parla del 14-15%. Questa resa modesta deriva dal fatto che il ventricolo riceve un volume di sangue che è pari a 80ml per 100 g di tessuto/ min. Il volume di ossigeno O2 che con questo flusso ematico perviene al miocardio è propriamente pari, in condizioni normali, intorno a 9 ml/100 g di tessuto /min. Poiché il cuore ha un peso di 300g al cuore pervengono 27ml di O2/300g/min. La “estrazione” - cioé il volume di O2 che viene estratto dal miocardio dal volume di sangue che arterioso che arriva mediante le coronarie - è elevata, ovvero dell'ordine del 60-70%. Si parla di 1 Kcal come dell'ammontare di calore necessario per portare 1 Kg di acqua da 14,5C° a 15,5C°. cal è un sottomultiplo, ammontare di calore necessario per portare 1g di acqua da 14,5 a 15,5 C°. A quante Kcal corrisponde l'ammontare di ossigeno che viene utilizzato dal cuore? Per rispondere a tale quesito occorre conoscere l'equivalente calorico dell'ossigeno, ovvero le calorie che vengono liberate dal consumo di 1L di O2. Conoscendo l'equivalente calorico dell'ossigeno possiamo far corrispondere alla quantità di ossigeno consumato l'ammontare delle calorie consumate. 27 ml di O2 possono allora essere convertiti in un equivalente calorico ma per fa ciò occorre conoscere un altro parametro, ossia il quoziente respiratorio o QR, cioé il rapporto tra il volume di CO2 che il soggetto elimina in un minuto / il volume di O2 il soggetto ha contemporaneamente utilizzato, pari a un valore che varia a seconda del tipo di sostrato energetico che viene ossidato: QR= CO2 prodotta / O2 consumato - Nel caso in cui la combustione fosse solo di carboidrati ciò corriponde a un volume di CO2 eliminata pari al volume di O2 consumato: il quoziente respiratorio in questo caso è 1. Nel tessuto nervoso il quoziente respiratorio è pari a 1 poiché quest'ultimo utilizza preferenzialmente carboidrati.

- Ma nell'organismo in toto ovviamente oltre ai carboidrati vengono utilizzati anche acidi grassi. Il tessuto muscolare in condizioni di riposo o in condizioni di moderata attività fisica consuma non glucosio ma acidi grassi. Quando sono bruciati acidi grassi il volume di O2 utilizzato è ben maggiore dei volumi di ossigeno che a parità di sostrato occorre utilizzare con i carboidrati, quindi quoziente respiratorio in questo caso si riduce e diventa minore di 1 (il denominatore della frazione del QR incrementa quindi la frazione <1).

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- Nel miocardio sono utilizzati diversi sostrati energetici: acidi grassi e anche carboidrati. Ne risulta che il quoziente respiratorio è dell'ordine di 0.82. Per un valore del genere l'equivalente calorico dell'ossigeno avrà un valore che deve necessariamente contemplare sia l'ossidazione dei carboidrati sia l'ossidazione degli acidi grassi: il valore delle piccole calorie a cui corrisponde un consumo di 27 ml di O2 è pari a 133 cal. Se consideriamo però la spesa energetica dei due ventricoli per compiere il lavoro volumetrico, tale lavoro è pari a 18,3 -18,4 cal. Il valore della resa energetica è dato dal rapporto tra 18,4/133cal *100 = 14% di resa del ventricolo (resa del lavoro volumetrico compiuto dal ventricolo sinistro per espellere il volume sistolico in aorta e dal ventricolo destro all'arteria polmonare).Il restante 85% della spesa energetica è impiegata per il lavoro pressorio ovvero il lavoro necessario a mantenere costante la tensione attiva, cioè quella che si incrementa durante la sistole isovolumetrica e che poi è necessaria alla fase di eiezione rapida (senza la tensione attiva noi non potremmo realizzare il lavoro volumetrico).

INDICI DI CONTRATTILITA' Sono praticamente indici della forza che viene sviluppata dal ventricolo, e cioè della bontà con cui il ventricolo si contrae:

i) il primo è costituito dalla massima velocità di pressione che nel corso della contrazione isovolumetrica viene raggiunta (massimi valori dP/dt, geometricamente è la tangente alla curva con ordinate dP e in ascisse dt, il punto in cui la tangente porta alla fase di ascesa isovolumetrica rappresenta il massimo valore di pressione raggiunto nel ventricolo nell'unità di tempo), pari a 1500-2000 mmHg/sec. Si distinguono pertanto 3 condizioni diverse, ovvero quando il ventricolo sono: (a) in fase di controllo; (b) in condizione ipodinamica - il valore è < 1500 mmHg/sec → ventricolo ipodinamico: si caratterizzano per una minore angolazione della tangente alla fase di ascesa della curva di pressione isovolumetrica) (c) in in condizione iperdinamica – se il valore >2000mmHg/sec → ventricolo iper-dinamico: vi è l'influenza dalla innervazione adrenergica, l'angolazione della tangente alla curva in la fase di ascesa è maggiore poiché la ripidità della curva dP/dt è maggiore.

ii) Frazione di eiezione: è espresso in percentuale %, consiste nella stima di quanto sangue viene espulso rispetto a quello che entra. (volume sistolico) / (volume telediastolico) x 100. In genere tale valore è pari al 50-70%. Un valore minore di questo attesta una ridotta contrattilità del ventricolo.

Regolazione di carattere umorale (rientra nella regolazione omeometrica).

- L'attività ventricolare sottostà oltre che all'azione e all'influenza dell'innervazione autonoma ortosimpatica e parasimpatica anche alla regolazione o influenza di natura umorale. Essa poggia sull'azione di ormoni oltre sulla variazione dei valori della pressione parziale di ossigeno pO2, dell'anidride carbonica pCO2 e della concentrazione idrogenionica [H+]. (sono questi i così detti fattori umorali).

Surrene (midollare e corteccia) - La liberazione delle catecolamine (adrenalina e noradrenalina) è conseguente all'attivazione dell'ortosimpatico. In normali condizioni il contributo della midollare del surrene sulla regolazione del miocardio è trascurabile. Pertanto l'attivazione osservata sul miocardio specifico e comune - ad es. durante l'esercizio fisico - è si dovuto alla frazione dell'ortosimpatico ma strettamente a quella parte dell'ortosimpatico che non comprende la midollare del surrene. E' molto controverso l'effetto che la corteccia surrenale (che secerne glucocorticoidi) esercita sul miocardio. Si è visto che quando si considera l'attività di un cuore proveniente da

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animali privati della corticale del surrene presenta una minore forza di contrazione e una minore contrattilità: la somministrazione degli ormoni ripristina i valori osservati negli animali provvisti di corticale surrenalica. L'effetto dei glucocorticoidi sul miocardio sembrerebbe legato ad un'azione permissiva (quindi indiretta) che i glucocorticoidi eserciterebbero sull'azione delle catecolammine. I glucocorticoidi tenderebbero ad inibire la ricaptazione delle catecolammine favorendone una maggiore durata d'azione, e quindi una maggiore contrattilità.

Tiroide - Altro fattore umorale importante è quello liberato dalla tiroide (T3, forma attiva di T4). Questi ormoni svolgono un ruolo importante sia per via genomica che per via non genomica.

- Azione genomica - Penetrati attraverso le membrane dei miociti si legano a recettori che agiscono a livello del DNA nucleare inducendo su determinati geni la trascrizione di alcune proteine importanti, sia proteine dei miociti (actina, miosina, troponina nonché delle proteine rappresentate dai recettori della ryanodina nonché delle proteine poste alla parete del reticolo sarco-plasmatico volte a ricaptare il calcio intracellulare o SERCA). Gli ormoni tiroidei sembrerebbero agire anche attraverso una aumentata sintesi di recettori beta a livello tissutale (a livello del miocardio comune).

Digressione fisiopatologica, ipertiroidismo e fibrillazione: Ne risulta che l'effetto degli ormoni tiroidei si esplicano con una aumentata forza di contrazione conseguente sia ad un aumentato rilascio di Ca2+ sia per una aumentata captazione di ioni Ca2+ da parte del reticolo sarcoplasmatico. Ci si spiega così che quando vi è una aumenta secrezione di questi ormoni, ad es. in caso di ipertiroidismo, vi è una aumentata tachicardia che può sfociare in extrasistoli e qualora la loro azione sia intensa si possono avere anche aritmie o addirittura fibrillazione. La fibrillazione è uno stato in cui le pareti atriali ma anche ventricolari si contraggono in più punti, l'uno indipendentemente dall'altro. In questo caso il miocardio non riesce a pompare efficientemente il sangue. Se la fibrillazione atriale può coesistere con la vita del soggetto quella ventricolare è ben più drammatica. La fibrillazione ventricolare porta immediatamente a perdita di coscienza e occorre intervenire con un defibrillatore. Esso agisce mediante un opportuno impulso elettrico inviato al cuore del soggetto, portando il miocardio in un completo periodo di refrattarietà assoluta. In conseguenza di ciò tutti gli impulsi che provengono parcellari dalle varie parti della parete ventricolare non sortiscono più alcun effetto. Risoltosi il periodo di refrattarietà assoluta il cuore riprende a battere normalmente. La fibrillazione atriale anche se non incide sullo svuotamento del ventricolo non è fisiologica. Se infatti l'atrio non può contrarsi determina il ristagno di sangue nell'atrio che può portare alla formazione di coaguli, quindi fibrillazione atriale che è foriera di trombi che possono occludere vasi importanti.

- Azione non genomica - L'attivazione da parte degli ormoni tiroidei si esplica mediante una via non genomica. Comportando questi ormoni un aumento metabolico comportano anche una vasodilatazione periferica riducendo le resistenze arteriolari e metarteriolari: ciò spiega un aumento della portata cardiaca, ovvero il volume di sangue che nell'unità di tempo perfonde i tessuti dell'organismo (P = RQ).

Nel caso si riduca l'attività di questi ormoni ciò si associa ad una riduzione della contrattilità e della frequenza del battito.

Insulina - Oltre agli ormoni tiroidei abbiamo l'azione dell'insulina. L'insulina generalmente comporta un aumentato assorbimento di glucosio nella cellula ma non è chiaro se l'aumento della contrattilità dipenda dal metabolismo endo-cellulare del glucosio oppure da altre azioni genomiche.

Glucagone - Il glucagone agisce a livello del miocardio con lo stesso meccanismo delle

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catecolamine. In condizioni normali esso non esplica alcun effetto rilevante. Esso in considerazione del suo effetto di ionotropismo che esercita sul cuore senza esercitare eccitabilità a livello del miocardio specifico viene utilizzato in clinica sui cuori depressi che presentano dei bassi indici di contrattilità. Il suo meccanismo endocellulare di azione si esplica attraverso l'adenilato ciclasi, quindi la formazione si cAMP e l'attivazione di maggiori canali-Ca2+ e di maggiore ricaptazione dello stesso. Altri meccanismi su cui esercita il suo effetto sono ancora oggetto di studio.

Ipofisi - L'effetto indotto dall'ipofisi deriva piuttosto dall'azione che l'ipofisi esercita attraverso i suoi ormoni trofici: sia il TSH sia l'ormone somatotropo (GH). L'azione di questi due ormoni combinati non è ancora del tutto chiara. Il ventricolo o il cuore si presenta generalmente, quando sia stata tolta l'ipofisi, depresso e si è visto come la somministrazione del solo GH non è in grado di portare il ventricolo in condizioni normali, mentre l'associazione di GH e ormoni tiroidei ripristina la normale funzionalità cardiaca e viceversa. Si osserva essere il ventricolo in condizioni di ipervolemia la somministrazione degli ormoni tiroidei non riesce a ripristinare la normale funzione del ventricolo.

pO2 - La pressione parziale dell'ossigeno pO2 è importante per il miocardio: i) quando questa pressione parziale pO2 è ridotta in misura modesta costituisce un fattore stimolante per l'attività del miocardio. ii) Al contrario forti ipossie, ovvero notevoli riduzioni della pO2, comportano un effetto depressivo perché viene ad essere interrotto il normale metabolismo ossidativo.

pCO2 - Un aumento della pCO2 agisce attraverso una reazione con l'acqua e dando origine ad acido carbonico H2CO3 che di dissocia in H+ e HCO3

-.Lo ione H+ determina una minore liberazione di ioni Ca2+ dal reticolo sarco-plasmatico interferendo con i canali della ryanodina e allo stesso tempo rende meno sensibili i filamenti di actina e miosina al Ca2+, deprimendo la contrattilità del miocardio.

***Perfusione del miocardio. Richiami anatomici - In condizioni di aumentata attività fisica è necessario un aumento della PO2 poiché l'ossigeno serve per ossidare i sostrati energetici da cui deriva l'energia chimica. Ciò è possibile attraverso la circolazione che irrora il cuore. Il miocardio è irrorato dalle arterie coronarie. Si distinguono 2 rami: arteria coronaria di destra e arteria coronaria di sinistra. Le arterie coronarie danno luogo inoltrandosi nello spessore del miocardio ad una rete capillare costituita da vene che si raccolgono nei seni coronarci e nelle vene cardiache che si aprono nell'atrio di destra. Vi sono però anche altri vasi: - alcuni mettono in diretta relazione i vasi o le ramificazione dei vasi delle arterie coronarie di destra e di sinistra direttamente con le cavità cardiache: sono i vasi arterio-sinusoidali, ovvero arteriole ramificate dalle coronarie che penetrano l'endocardio perdendo la loro tonaca muscolare, conservano l'endotelio che più volte si presenta fenestrato e possono anastomizzarsi aprendosi direttamente nelle camere ventricolari. - le arterie-luminali (mettono in comunicazione i vasi capillari derivanti dalle ramificazioni delle coronarie di destra e sinistra direttamente con le camere ventricolari) - e le vene di Tebesio (vasi venosi i quali sono in rapporto con i capillari derivati dalle arterie coronarie che possono aprirsi direttamente dentro le cavità ventricolari di destra ma alcune di queste si aprono nell'atrio di sinistra e la presenza di questi tronchi venosi che portano sangue venoso nelle camere atriali di sinistra mescolando sangue venoso a sangue arterioso. Questo tipo di commistione conosciuta come shunt anatomico contribuisce ad abbassare fisiologicamente la pO2 ). In genere le arterie coronarie di destra sono preponderanti nel 50% dei soggetti (dominanza destra), solamente il 20% è ad opera della coronaria di sinistra e nel restante 30% non vi è dominanza netta.

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Fattori che influenzano la perfusione del miocardio - Vi sono fattori molto importanti che regolano il flusso del sangue all'interno del miocardio. La regolazione del flusso del sangue nel miocardio è un fattore particolarmente importante. Col sangue trasportato dalle coronarie arriva ossigeno e la pO2 è fondamentale per il metabolismo del miocardio. I fattori che influiscono sulla perfusione del miocardio sono di natura: 1) fisica, 2) nervosa e 3) umorale.

1_ fattori strettamente fisici

i) pressione di perfusione e autoregolazione : procede parallelamente alla pressione aortica. Il vaso coronarico viene infatti sottoposto ad una variazione della pressione transmurale (differenza tra pressione interna ed esterna al vaso stesso). Quando intervengono tali variazioni di pressione transmurale vengono messi in atto dei meccanismi a livello delle pareti delle resistenze periferiche (arteriole, metarteriole, ma anche a livello renale) di autoregolazione volti a mantenere costante il del flusso ematico nel vaso (volume di sangue che fluisce nell'unità di tempo attraverso la sezione trasversa del vaso). Il meccanismo di autoregolazione prevede che laddove aumenta la pressione transumurale ciò induca una contrazione da parte della parete e dunque una riduzione del raggio e pertanto un incremento della resistenza. In questo se incrementa la pressione vasale, la sua muscolatura liscia vasale si contrae e il raggio si riduce incrementando la resistenza (legge di Peuseoille R = 8ηl/πr^4, se decrementa il raggio aumenta la resistenza!). Un concomitante aumento della resistenza R e della pressione P permette al flusso di mantenersi costante (Q = R/DeltaP).

A seguito di un incremento della pressione transmurale vi è una tendenza da parte del flusso a tornare verso i valori basali. Ecco come il flusso che è riportato sull'asse delle ordinate tende a mantenersi non troppo discosto dal valore di controllo indicato dalla intersezione delle 2 curve costituite dal flusso in condizioni normali e quello che si ha quando incrementa la pressione transmurale. Il meccanismo in questione agisce nel seguente modo: un incremento della pressione intramurale, conseguente a un aumento della pressione aortica, comporta i) una distensione della parete del vaso che ii) attiva una fosfolipasi C, un enzima che agendo sui fosfolipidi di membrana iii) forma fosfatidilinositolo-3-fosfato e diacilglicerolo (IP3) e (DAG). iv) Il DAG attiva la PKC. Si ricordi che siamo nella parete delle fibrocellule lisce della arteriole coronarie. v) La PKC attiva la fosforilazione di canali T (o “transient”) per il Ca2+, pertanto vi) ioni calcio entrano attraverso la membrana cellulare all'interno delle cellule. vii) Le membrane quindi vengono depolarizzate e quando la depolarizzazione raggiunge un valore critico viii) si aprono i canali long lasting per il calcio, innescando ix) la nascita di un potenziale d'azione e x) la contrazione della muscolatura liscia dei vasi. Ecco perché ne risulta una riduzione del raggio vasale.

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Un abbassamento della pressione comporta una distensione del vaso e comporta un maggiore afflusso di sangue. Attraverso questa modalità di autoregolazione il flusso che permane entro un ampio range di variazione pressoria (60-180mmHg) viene mantenuto costante (Q = DeltaP/R).Questo meccanismo auto-regolatorio si inscrive nell'ambito della tensione aortica la quale è anch'essa tenuta sotto controllo ad opera di meccanismi più generali quali sono i riflessi mediati attraverso i barocettori aortico-carotidei. Questi recettori attraverso vie discendenti (efferenti) dal tronco encefalico fanno si che i valori della pressione sistemica vengano mantenute costanti. Quindi le variazioni pressorie alla base della autoregolazione si iscrivono nell'ambito della pressione aortica che attraverso meccanismi controllati dai riflessi barocettivi sono anch'essi mantenuti entro limiti abbastanza costanti.

ii) Contrazione ventricolare : Queste contrazioni sono maggiori a livello del ventricolo di sinistra rispetto a quello di destra, per il fatto che i due ventricoli sono legati a circoli con differenti resistenze. All'interno degli stessi ventricoli l'endocardio nel corso degli eventi meccanici è sottoposto a contrazioni e con esso i vasi che si trovano al di sotto dell'endocardio per cui durante la sistole si trovano maggiormente compressi rispetto ai vasi presenti nell'epicardio. Tuttavia nella diastole noi abbiamo una maggiore perfusione a livello endocardico rispetto all'epicardio per cui mediamente si può dire che la perfusione si distribuisce in egual misura tra endocardio ed epicardio.

Perez mostra un grafi in cui in ordinata vi è il flusso ematico mentre in ascissa vi è il tempo: le tre situazioni sono relative all'aorta, all'arteria coronaria di destra e di sinistra. L'andamento del flusso procede con 2 differenze: a) a livello del flusso dell'arteria coronaria di sinistra nel corso della sistole isovolumetrica vi è una inversione del flusso che viene ad azzerarsi, cosa che non avviene nell'arteria coronaria di destra dove il flusso resta ai 6-7ml/min , ciò in conseguenza della compressione che il ventricolo sinistro determina è di gran lunga maggiore rispetto alla compressione del ventricolo di destra. b) un altro aspetto è che durante la fase diastolica il flusso della coronaria di sinistra rispetto al flusso della arteria coronaria di destra è maggiore.

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E' importante che i vasi sottostanti l'endocardio vengono compressi in misura maggiore in sistole rispetto ai vasi dell'epicardio. Laddove vi sia ipotensione od ostruzione delle coronarie ecco che proprio in conseguenza della maggiore compressione a livello endocardico si spiegano le ischemie (da mancata perfusione di sangue) e la necrosi del tessuto irrorato dai vasi che si trovano interamente al di sotto l'endocardio (costituiscono le regioni in cui sono più frequenti i fenomeni ischemici e di necrosi). In condizione di fibrillazione ventricolare si osserva il reale flusso di sangue nelle coronarie, perché durante la contrazione il flusso non è ostruito dalla contrazione cardiaca ed incrementa. Inoltre dal punto di vista metabolico il consumo di O2 è fortemente ridotto in condizioni di fibrillazione ed incrementa la pO2 poiché O2 non viene estratto dal sangue perché il ventricolo non sta sviluppando una forza di contrazione sufficiente.

iii) La frequenza cardiaca – Rappresenta un ulteriore fattore che favorisce la perfusione ematica poiché nonostante l'incremento della frequenza possa far pensare ad un aumento del periodo in cui vi è contrazione del ventricolo, circostanza in cui il flusso coronario tende ad essere ridotto, in realtà l'aumento degli eventi sistolici che caratterizzano l'aumentata frequenza, comportano però anche una aumentata attività metabolica* del tessuto cardiaco che si associa alla liberazione i fattori che tendono a determinare vasodilatazione, inducendo una riduzione delle resistenze arteriolari e metarteriolari dei vasi coronarici, aumentando quindi il flusso di sangue. Ecco perché l'aumento della frequenza cardiaca si associa ad un aumento della perfusione mentre la riduzione della frequenza, associata ad una minore attività metabolica e a un ridotto consumo di ossigeno, porta ad un ridotto rilascio di fattori vasodilatatori: permane pertanto il tono intrinseco/basale della muscolatura liscia, tendente a ridurre il lume del vaso.

2 _ fattori nervosi di regolazione coronarica - L'innervazione autonoma favorisce il flusso nelle coronarie. L'aumento del flusso nelle coronarie conseguente alla stimolazione nervosa è difficile da rilevare. Per mettere tale aspetto in evidenza si è cercato di separare l'effetto legato all'azione delle fibre post-gangliari sulla parete dei vasi da quello indotto dalle stesse terminazioni sul miocardio comune. Quando questo viene realizzato osserviamo che la stimolazione delle fibre post-gangliari comporta in ultima analisi una aumento del flusso attraverso le coronarie. i) Quando vengono separati gli effetti dell'innervazione ortosimpatica sul miocardio dalla stimolazione sulla parete dei vasi coronarici si osserva che sebbene sui vasi vi è direttamente un effetto vasocostrittore (dovuta a recettori-alpha che inducono una contrazione del vaso mentre i recettori beta stimolati sempre dalla noradrenalina avrebbero effetti vasodilatatori) l'effetto che complessivamente si osserva è vaso-dilatatorio perché la fibra post gangliare attiva anche il tessuto del miocardio comune che aumenta l'attività metabolica* del tessuto stesso, il che comporta la liberazione di alcuni fattori vasodilatatori (effetto indiretto > effetto diretto), aumentando il flusso coronarico. ii) La stimolazione vagale – fibre post-gangliari del vago – sono in grado di sortire una vasodilatazione ma di entità modesta, non perché manchino recettori muscarinici, ma perchè in tale stimolazione viene a mancare il fattore metabolico in grado di innescare la liberazione locale di

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sostanze vasoattive vaso-dilatatorie che si osserva nella stimolazione noradrenergica (infatti la stimolazione vagale riduce la frequenza del battito cardiaco e quindi riduce il consumo metabolico dell'endocardio).

3_ regolazione umorale della perfusione del miocardio -

I fattori metabolici – Questi intervengono quando si instaura una riduzione del rapporto tra la fornitura di O2 a messo del flusso coronarico e la richiesta di O2 in relazione allo stato metabolico del tessuto (O2 supply/O2 perfused). Quanto il rapporto tra la fornitura di ossigeno e richiesta di ossigeno si riduce ecco che viene indotta la sintesi di metaboliti i quali inducono vasodilatazione e incremento del flusso coronarico. Il flusso coronarico è strettamente correlato con l'aumentato consumo di ossigeno. Quando il rapporto tra richiesta di O2 e apporto ematico di O2 si squilibra il miocardio attua la sintesi di metaboliti vasodilatatori. Questo fenomeno evoca quello che in altre circostanze viene osservato nella muscolatura striata scheletrica, chiamato iperemia reattiva. Dopo una ostruzione di breve durata (30-60 sec) di un vaso arterioso afferente ad un determinato distretto muscolare scheletrico viene risolta e quindi si ripristina la normale circolazione si osserva come vi sia un aumentato flusso nella zona ostruita, ben maggiore di quello che era precedentemente presente in condizioni normali. Anche in tale caso il fenomeno dell'iperemia reattiva nel muscolo scheletrico lo si deve alla liberazione di fattori metabolici vasoattivi. I fattori coinvolti come metaboliti nel caso del miocardio quando la richiesta di O2 eccede il rifornimento sono rappresentati da: i) Attivazione dei canali del K+ ATP-dipendenti. Questi canali vengono attivati in una determinata situazione metabolica; ii) Adenosina; iii) dal NO.

i) Attivazione dei canali K+ ATP dipendenti a seguito della riduzione di O2 ne vasi coronarici - Poiché O2 serve alla sintesi di ATP dalla ossidazione dei substrati energetici, un minore apporto di O2 determina i) una minore sintesi di ATP, e ciò ii) attiva dei canali (canali K+ ATP dipendente) attraverso cui questo K+ può diffondere (all'esterno riducendo le cariche positive sul versante endocellulare) attraverso la membrana cellulare iii) iperpolarizzando la cellula. iv) La iperpolarizzazione della membrana cellulare del miocardio comporta l' inattivazione dei canali per il Ca2+ che richiedono un ben preciso valore di ripolarizzaione, dell'ordine di -20mV. v) Meno Ca2+ diffondono nella cellula e ciò influisce sul meccanismo che è alla base della contrazione, portando alla riduzione delle resistenze e all'aumento del flusso ematico nei vasi in questione: con l'aumento del flusso incrementa il volume di ossigeno che per unità di tempo perviene al tessuto. Ciò per quanto attiene l'effetto metabolico sulle cellule lisce della parete dei vasi coronarici. Effetti di una riduzione di O2 sul miocardio comune - Sul miocardio comune, ovvero sui miociti, l'azione l'attivazione di questi canali K+ ATP-dipendenti a seguito di un decremento di ATP porta ad una ripolarizzazione precoce delle miocardiociti e la fase 2 viene a ridursi quindi più precocemente si instaura la fase 3 determinata dalla fuoriuscita dei K+. Ciò ha un significato protettivo sul miocardio comune in quando con minore O2 la miocellula è messa nelle condizioni di lavorare e contrarsi per un tempo più ridotto.

ii) Adenosina - L'adenosina è un altro metabolita prodotto dalle cellule del miocardio comune e a sua volta può agire sulle fibrocellule (cellule muscolari lisce) dei vasi coronarici inducendo la liberazione di NO: l'azione risultante è una vasodilatazione. Si può avere anche un'azione sulle miocellule lisce dei vasi coronarici con una riduzione del tono muscolare. L'effetto dell'adenosina è di breve durata.

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Fattori umorali pCO2,[H+] - Il protratto effetto che viene mantenuto sul calibro delle coronarie può essere dovuto a fattori come la pCO2 (pressione parziale dell'anidride carbonica) sulla parete dei vasi o la concentrazione stessa degli idrogenioni [H+] che incrementerebbe una condizione di ipossia o di ridotta disponibilità di O2 a livello tissutale. Conseguenze dell'ipossiemia - Per quanto attiene alle conseguenze che la ipoperfusione ematica comporta sul miocardio va detto che quando questa sia particolarmente protratta può indurre una disfunzione sul miocardio comune caratterizzata dal fatto che l'ipossiemia induce nelle cellule un accumulo abnorme di Ca2+ proprio perché venendo meno l'O2 viene meno ATP, essenziale per l'estrusione degli ioni Ca2+ entrati dalla cellula e per la ricaptazione degli stessi nel reticolo sarcoplasmatico. In più si aggiunge la produzione di radicali liberi dell'ossigeno (ROS) e perossidi che contribuiscono a quello stato di disfunzione che in seguito al ripristino della normale perfusione si risolve. Ben altra condizione è l'interruzione della perfusione ematica quando di instaura una ostruzione. Ciò comporta ischemia e necrosi del territorio irrorato dal vaso ostruito determinando l'infarto del miocardio. Questa zona verra sostituita da tessuto connettivo cicatriziale e queste parti della parete cardiaca possono divenire nuovi foci ectopici da cui possono provenire impulsi elettrici. Le coronarie sono vasi terminali privi di anastomosi tra essi: ciò comporta in caso di ischemia la zona soggetta può essere riperfusa da vasi collaterali che si instaurano tra i normali vasi coronarici e quelli situati a valle della ostruzione. Ciò avverrebbe ad opera di fattori di VEGF o di altri metaboliti non ancora conosciuti liberati proprio dal tessuto ischemico: ciò permetterebbe il ripristino della funzione del tessuto privato di perfusione ematica, ma solo se tale ostruzione non è acuta e avviene lentamente. In normali condizioni il flusso ematico del tessuto (= perfusione) miocardico è pari a 80ml/110g/min. Mentre l'O2 che il tessuto utilizza (= che viene estratto) è di 9ml/100g/min. Poiché il cuore di un adulto è di 300g ne risulta un consumo di 27mlO2/min: questo valore rappresenta il consumo di O2 che interessa l'intero organo. Esso corrisponde in termini di calorie a 133 cal (equivalente calorico, dipende dal tipo di substrato energetico preferenzialmente utilizzato dall'organo). Di queste calorie si è poi detto che una aliquota, ovvero un valore dell'ordine circa di 18.6-18-7 cal vengono utilizzate dai 2 ventricoli per il solo lavoro volumetrico, ovvero il lavoro che serve per pompare il volume sistolico dal ventricolo in aorta, imprimendovi una certa energia cinetica. Il rapporto tra le calorie necessarie al lavoro volumetrico rapportate alle calorie totali che il cuore utilizza derivanti dal consumo di O2 al minuto (27ml/min) risulta moltiplicato per 100 pari alla resa energetica del cuore per compiere il lavoro volumetrico. Il cuore assume la quasi totalità dell'ossigeno in un solo passaggio. La percentuale di estrazione di ossigeno che arriva con le coronarie è dell'ordine del 63-65%, una percentuale di estrazione elevata. Per poter il miocardio assumere un ulteriore volume di ossigeno esso deve necessariamente aver bisogno di un ulteriore flusso ematico. Per quanto attiene il tipo di sostrati che il cuore utilizza va detto che tali sostrati sono di diversa natura. Il cuore utilizza il 30-35% di O2 all'ossidazione dei glucidi, il 60% dell'ossigeno estratto è devoluto all'ossidazione dei grassi e il restante 5% di sostrati come corpi chetonici e amminoacidi. La utilizzazione da parte del miocardio dei sostrati energetici procede in relazione alla loro concentrazione. Il miocardio utilizza un determinato sostrato proporzionalmente alla sua concentrazione del sangue. Per quanto attiene i carboidrati l'utilizzazione di questi è certamente completa in condizioni di normale ossigenazione, avendosi per ogni mole di glucosio la formazione di 36 moli di ATP. L'utilizzazione glucidica diventa limitata allorquando si instaura una condizione di ipossia, allorquando si instaura una situazione di glicolisi che rende appena 2 moli di Atp/1 mol di glucosio: quella condizione in cui si contrae a carico del miocardio un debito d'ossigeno lattacido. Il cuore in questo caso per utilizzare ATP immediatamente ricorre a una via che elude l'utilizzazione di

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ossigeno con l'effetto collaterale della formazione di lattato. Se l'ipossia permane la formazione di acido lattico porta alla liberazione di H+ limitando la funzionalità del miocardio in conseguenza del fatto che gli idrogenioni inibiscono la sensibilità di actina e miosina al calcio ma anche la sintesi proteica all'interno dei miociti, il che porta all'arresto funzionale del miocardio comune. funzionamento delle pompe del calcio). In condizione di normale ossigenazione il miocardio da un punto di vista metabolico può utilizzare il lattato in pari misura del glucosio. CHIUSA LA TRATTAZIONE SUL CUORE.

RENE – PEREZ

La funzione renale si compendia nei seguenti 5 punti:

i) regolazione (omeostasi) della osmolarità e del volume dell'ambiente extracellulare; L'osmolarità è la forza osmotica dei liquidi dei compartimenti extracellulari che in normali condizioni ha valori che vanno da 285-295 mOsm. Da questo parametro dipende il volume delle cellule: incrementi o decrementi dal normale valore comportano sottrazione per via osmotica di acqua dalle cellule (incrementi) e viceversa decrementi dell'osmolarità dal range normale comportano un ingresso di acqua nelle cellule. Ciò si traduce in una variazione del volume cellulare il quale si riflette sullo svolgimento delle variabili biochimiche poiché queste dipendono da variabili termodinamiche quali il volume cellulare. Dalla dimensione del volume dipende inoltre la costanza del volume circolare efficace, ovvero il volume di sangue che circolando nei vasi determina la pressione di perfusione tissutale, fornendo ai tessuti ossigeno e sostanze nutritizie. La regolazione dell'osmolarità e del volume dei compartimenti idrici vengono realizzati dal rene di concerto con strutture del sistema nervoso.

ii) regolano l'equilibrio elettrolitico; Il rene presiede alla regolazione di 8 importanti elettroliti quali (Na+,Cl- ), (K+), (HCO3- H+) (Mg2+), (Ca2+, PO4

3-). Il Na+ assieme al Cl- è il principale responsabile dell'osmolarità. K+ deve essere mantenuto alla concentrazione extracellulare tra 3.5 - 4-5 mOSM/Kg giacché valori al di sotto o al di sopra costituiscono degli insulti alla membrana e specificatamente alla membrana del miocardio specifico per la quale già a partire a livelli di 6-7 mOSM/Kg si cominciano ad avere extrasistoli e, quando la concentrazione si muove verso a 10-12, all'arresto cardiaco. Il rene rappresenta l'unica via di escrezione del K+. Per quanto attiene agli ioni HCO3- e H+ la regolazione va ricondotta al punto in cui il rene regola l'equilibrio acido-base. Per ioni come Ca2+ e PO4

3- la regolazione esercitata dal rene su di essi è importante non solo per il ruolo che il Ca2+ assolve nello stabilizzare il potenziale di membrana ma anche per le funzioni in cui esso assieme al fosfato svolge per la formazione della componente inorganica del tessuto osseo (nella costituzione di idrossiapatite), per il quale il rene svolge un ruolo fondamentale.

iii) il rene regola l'equilibrio acido base; Il rene cioè, di concerto sia con i meccanismi chimico fisici dei tamponi plasmatici, che con la funzione respiratoria, contribuisce in normali condizioni a mantenere costante il PH da 7.35 +/- 02 a 7.45 +/-02 nel plasma e nei distretti tissutali in relazione con esso (il primo valore è tipico del sangue venoso, il secondo valore del sangue arterioso ). Il rene interviene anche, in condizioni fisiopatologiche, laddove si instaurano alterazioni dell'equilibrio acido-base (acidosi o alcalosi). In queste condizioni il rene interviene come struttura volta a compensare l'alterazione che si viene ad instaurare.

iv) i reni regolano inoltre la escrezione di prodotti di rifiuto dell'organismo; I prodotti di rifiuto che il rene è preposto a espellere derivano o al catabolismo dei sostrati metabolizzati come: - l'urea derivante dal metabolismo azotato degli amminoacidi;

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- l'acido urico derivano dal catabolismo degli acidi nucleici; - la creatinina derivata dal metabolismo della creatina muscolare; - anche dai metaboliti presenti negli alimenti assunti con la dieta o nei farmaci. Va tenuto presente che saggiare l'escrezione di sostanze di rifiuto può essere importanti come parametro per valutare la funzionalità del rene stesso (vedi la clereance della creatinina). Alcuni metaboliti urinari sono valutati indici di funzionalità di altre strutture: ad esempio i livelli di cataboliti delle catecolammine i quali, se presenti in elevate concentrazioni, diventano un elemento per fare diagnosi di tumori presenti a carico della midollare del surrene. Il rene è in grado di effettuare l'eliminazione di sostanze di rifiuto proporzionalmente alla velocità con cui queste sostanze vengono prodotte.

v) I reni infine assolvono ad un importante ruolo endocrino; a) Il ruolo endocrino del rene è dato dalla formazione della forma attiva della vitamina D3 (1,25 diidrossicalcitriolo) che nel rene subisce la seconda idrossilazione in posizione C1. Quando il rene si associa a patologie croniche ciò si associa a patologie ossee in conseguenza della mancata sintesi di 1,25 diidrossicalcitriolo e a ridotto assorbimento di calcio. b) Altro ruolo endocrino da parte del rene è quello legato alla sintesi e liberazione della renina. La renina rappresenta l'enzima che avvia l'attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, particolarmente importante nell'omeostasi volemica e della concentrazione del sodio e del potassio extracellulare. c) Altro ruolo endocrino poggia sulla sintesi dell'eritropoietina, importante ai fini della formazione di eritrociti. Un deficit renale si associa spesso a condizioni anemiche legate alla ridotta o assente sintesi di EPO.

vi) i reni assolvono ad un ruolo metabolico secondario; In una misura contenuta il rene assolve alla funzione di gluconeogenesi, ovvero dalla formazione di glucosio da substrati non glucidici come amminoacidi glicerolo o lattato. In particolare la gluconeogenesi renale coinvolge il metabolismo della glutammina, importante nella regolazione dell'equilibrio acido-base svolta dal rene.

Richiami di anatomia del rene - Macro - Il rene è un organo pari presente nella cavità addominale a ridosso della parete posteriore dell'addome. E' retroperitoneale, disposto ai due lati della colonna vertebrale. I reni sono dislocati dall'altezza della 12T fino alla 3L. Si tratta di 2 organi che nel soggetto adulto normalmente hanno un peso medio di 150 grammi. Insieme i 2 organi pesano 300g. In un soggetto adulto di 70 Kg rappresentano lo 0.5% del peso totale e sono perfusi in un minuto da un volume di sangue di 1200ml di sangue al minute (25% della gittata cardiaca). I reni presentano una forma a fagiolo con un diametro verticale di 12cm, una larghezza di 6cm e uno spessore di 3cm. Sono avvolti da una capsula fibrosa, hanno un margine mediale concavo e un margine laterale convesso. Nell'ilo entra l'arteria renale, le fibre post-gangliari viscero-effettrici ortosimpatiche. Le strutture che emergono dall'ilo sono la vena renale, i vasi linfatici, le fibre sensitive viscerali e la pelvi renale.

Ad un esame macroscopico condotto dopo aver effettuato una sezione sul piano frontale dell'organo apprezziamo macroscopicamente come nel parenchima renale si individuano 2 parti: una zona più esterna di aspetto più chiaro e granulare in correlazione della presenza dei corpuscoli renali chiamata corticale, e una zona più interna, scura e striata dovuta all'alternarsi di tubuli e vasi. La parte più interna o midollare è costituita da strutture in numero variabile di 8-16 che sono le piramidi renali, caratterizzate da margini convessi rivolti verso la corticale. Le parti apicali delle piramidi confluiscono nei calici minori i quali confluiscono nei calici maggiori che a sua volta confluiscono nella pelvi.

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L'organizzazione macroscopica è il risultato di una disposizione a livello microscopico delle unità anatomiche e funzionali del rene: i nefroni. La popolazione del nefrone ammonterebbe a circa 2.000.000. Essi operano in parallelo (e non serie).

Micro - Spostandosi ad un esame microscopico osserviamo come il nefrone è dato da una duplice componente: una epiteliale e una vascolare. La componente epiteliale è data da un tubulo costituito da una introflessione a fondo cieco che da luogo alla struttura nota come capsula di Bowman che accoglie all'interno un'arteriola renale glomerulare con la quale viene a costituire il corpuscolo renale. La capsula è limitata da 2 foglietti, uno viscerale e l'altro parietale, delimitando uno spazio nel quale si raccoglie il risultato del processo di ultrafiltrazione ovvero l'ultrafiltrato. Dalla capsula prosegue il tubulo contorto prossimale. Il tubulo contorto prossimale segue con una parte retta e questa si continua con una struttura che è l'ansa di Henle. Essa si presenta in dimensioni diverse a seconda del tipo di nefrone che prendiamo in esame. Si distinguono tra nefroni corticali (quelli i cui corpuscoli renali sono presenti o nella parte più esterna della corticale immediatamente al di sotto della capsula o nella parte media) le cui anse si esauriscono all'interno della corticale o nella parte più esterna della midollare (85% della popolazione dei nefroni); il restante 15% rappresenta quelli che sono noti come i nefroni iuxtamidollari i quali hanno la parte corpuscolare a ridosso del confine tra la corticale e la midollare. Questi nefroni però hanno anche la proprietà di presentare un'ansa di Henle particolarmente sviluppata che si approfonda all'interno della midollare fino all'apice della piramide. Quest'ansa si compone di un segmento sottile discendente, un'ansa e una branca sottile ascendente. La branca sottile discendente prosegue con un segmento spesso ascendente che si inoltra fino alla corticale dando luogo ad una struttura chiamata macula densa. Queste sono le strutture da cui dipende la genesi dell'osmolarità che rinveniamo nella midollare e si pone tra valori da 300mOsm/KgH2O a1200mOsm/KgH2O. Grazie a questo gradiente ha luogo il riassorbimento di un volume di acqua che nell'arco delle 24 ore ammonta a 17-18 litri ed è indicato come volume di riassorbimento facoltativo, suscettibile di variazioni ambientali o abitudini dietetiche del soggetto (cioè la tendenza o l'abitudine ad assumere soluti più o meno ricchi di sostanze osmoticamente attive come il cloruro di sodio). Il riassorbimento di questo volume di acqua contribuisce a regolare finemente il volume

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circolante efficace. La formazione di questo gradiente osmolare (grazie al quale ha luogo il riassorbimento) è resa possibile proprio dall'ansa di Henle con la sua branca discendente ed ascendente mediante un meccanismo chiama moltiplicazione della concentrazione osmotica controcorrente. Grazie alla lunghezza (costituita dalla branca discendente e poi ascendente) di tale ansa di instaura un gradiente osmotico controcorrente (si veda in seguito). Il segmento spesso dalla branca ascendente dell'ansa di Henle, passando tra le due branche dell'arteriola afferente ed efferente da luogo ad una struttura che prende il nome di macula densa. Alla macula densa segue una parte tubulare che prende il nome di tubulo contorto di secondo ordine o tubulo contorto distale il quale a mezzo di un tratto reuniente - o di connessione - si apre nel dotto collettore corticale il quale prosegue nella midollare in cui si aprono altri dotti per formare il così-detto ultimo tratto che si apre poi nella piramide del Malpighi dando luogo alla struttura chiamata lamina cribrosa attraverso cui l'urina viene espulsa nel calice.

Per quanto attiene la vascolarizzazione alla conformazione del rene, corrisponde una precisa distribuzione dei vasi sanguigni. La vascolarizzazione è di tipo terminale. L’arteria renale, poco prima dell’ilo, si divide in - 4 RAMI PREPIELICI e 1 RAMO POSTPIELICO – Ciascun ramo si divide in

– arterie segmentali – arterie lobari

– arterie interlobari (1), che penetrano nel parenchima, attraversando la colonna renale, giunti al confine tra midollare e corticale, piegano formando le

– arterie arciformi (2) che costeggiano la base della piramide ed emettono dal lato convesso le – arterie interlobulari (3), che divergono radialmente nella corticale e dalle quali – originano a 90° le arteriole afferenti (5) ai glomeruli, che, dopo aver formato il glomerulo

vascolare, si continuano nelle arteriole efferenti (6) che possono: – Risolversi nella fitta rete capillare peritubulare e da qui dare luogo al ritorno venoso

– Portarsi nella midollare e formare le arterie rette spurie, che a loro volta si risolvono nella rete capillare delle piramidi (VASA RECTA), a cui segue il ritorno venoso.

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Caratteristiche citologiche e istologiche - Da un punto di vista funzionale nel tubulo renale si distinguono tratti i quali presentano caratteristiche istologiche e citologiche peculiari. In corrispondenza della parte corpuscolare notiamo come sia stretto il rapporto tra il foglietto viscerale della capsula di Bowman e i capillari del glomerulo. Le cellule endoteliali dei capillari glomerulari sono rivestite da una membrana basale e i pedicelli dei podociti formano la barriera di filtrazione. Un'altra componente del corpuscolo renale è data dal mesangio, costituito dalle cellule del mesangio e dalla matrice del mesangio. Le cellule del mesangio i) circondano i capillari glomerulari e ne formano il supporto strutturale, ii) secernono la matrice extracellulare, iii) hanno attività fagocitaria rimuovono le macromolecole e producono prostaglandine pro- infiammatorie. iv) Queste esibiscono attività contrattile e possono quindi influenzare la velocità della filtrazione glomerulare regolando il flusso sanguigno.Il foglietto viscerale poi si riflette a livello del polo vascolare e forma il foglietto parietale della capsula di Bowman. - Alla capsula di Bowman segue il tubulo contorto prossimale costituito da un epitelio cubico la cui membrana presenta sul versante luminale dei microvilli, incrementando così la superficie di contatto con l'ambiente luminale di 40 volte. Non desta dunque meraviglia che a livello del lume del tubulo contorto prossimale ha luogo il riassorbimento di gran parte del 60-70% dei soluti. La membrana basolaterale si presenta particolarmente ricca di invaginazioni che si dispongono in modo inter-digitato ad acquistare questa particolare disposizione. Il notevole riassorbimento è portato in questi interstizi e dopo essere rimasto in tali interstizi per una certa quantità di tempo è drenato dai capillari peritubulari. Il movimento di trasferimento di acqua e soluti dal lume all'interstizio è possibile grazie ad un dispendio di energia, trattandosi di movimenti contro gradiente, e la necessità di disporre di energia giustifica la particolare densità di mitocondri nel citoplasma di queste cellule. - Al tubulo contorto prossimale segue l'ansa di Henle. In quest'ansa le caratteristiche citologiche mutano passando dalla branca discendente alla branca ascendente. L'epitelio diviene piatto e il citoplasma è caratterizzato da scarsissimi mitocondri. Ciò suggerisce che in questo tratto ha luogo un semplice movimento passivo di acqua e quasi nullo di soluti. Nella branca ascendente vediamo un segmento sottile e uno spesso. Nel segmento sottile permane l'epitelio piatto giacché a tale livello ha luogo il movimento passivo non di acqua ma di soluti. Nel segmento spesso della branca ascendente la cellula torna costituire un epitelio cubico e con una notevole densità di mitocondri sul versante baso-laterale, perché in questo tratto abbiamo il meccanismo dell'incremento della concentrazione osmotica controcorrente, un processo moltiplicativo che porta la osmolarità dell'interstizio da 300 a 1200, dalla corticale alla midollare. Qui viene operato un trasferimento contro-gradiente dal lume all'interstizio di NaCl. Essendo trasferito soluto dal lume all'interstizio il liquido del segmento tubolare corrispondente risulta più diluito. - Al segmento spesso ascendente segue il tubulo contorto di secondo ordine il quale ripristina il carattere istologico proprio delle cellule del tubulo contorto prossimale, tuttavia con molti meno microvilli e meno mitocondri. Nella ultima porzione del tubulo contorto distale e del tubulo collettore le cellule assumono caratteristiche differenti e appartengono a 2 popolazioni:le cellule principali e le cellule intercalari. i) Le cellule principali hanno membrane basolaterali moderatamente invaginate e pochi mitocondri e tuttavia si tratta di quel particolare tipo di cellule che presiede al riassorbimento di Na+ e secrezione di K+ laddove agisce l'aldosterone (la concentrazione del K+ deve essere sempre costante pertanto il potassio in eccesso nel LEC deve essere immediatamente escreto nell'ambiente esterno). ii) Le cellule intercalate si presentano istologicamente più scure perché sono ricche id

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mitocondri. Questa popolazione di cellule è deputata alla regolazione dell'equilibrio acido-base del rene. E' a livello di tali cellule che hanno luogo 2 processi e difatti tali cellule si distinguono a loro volta in 2 sotto-popolazioni: iia) cellule (tipo alpha) deputate alla secrezione di H+ e riassorbimento di HCO3-. Questo processo contribuisce all'acidificazione delle urine (attive in caso di acidosi). iib) L'altra popolazione di cellule intercalate (tipo beta) svolgono un ruolo opposto: esse sono deputate a secernere HCO3- e riassorbire H+. Tali cellule sono attive specificamente in casi di alcalosi, condizioni in cui il rene allontana dall'organismo le basi e previene l'escrezione di idrogenioni.

- Nell'ultimo tratto del dotto collettore le cellule hanno superficie apicale e baso-laterale poco sviluppata, con pochi mitocondri. Tali cellule sono importanti perché attraverso di esse ha luogo il passaggio di un soluto come l'urea la cui maggiore o minore secrezione determina una urina più o meno concentrata. Tutte le cellule del nefrone a eccezione delle cellule intercalate possiedono nella membrana plasmatica apicale un singolo ciglio primario che protude nel lume del tubulo. Le ciglia primarie sono meccanosensori (rilevanti le variazioni della velocità di flusso del liquido tubulare) e chemosensori (rilevano e rispondono ai composti presenti nel circostante liquido tubulare) e danno inizio a vie di segnale Ca2+ dipendente che controlla la funzione delle cellule. La policistina 1 e 2 sono proteine espresse nella membrana delle ciglia primarie e mediano l'ingresso del Ca2+ nella cellula. Un aumento del flusso del liquido tubulare nel dotto collettore piegando il ciglio e attivando il sistema delle policistine 1 e 2, consentendo quindi l'ingresso di Ca2+

. Questo aumento del Ca2+

attiva i canali K+ nella membrana cellulare apicale con incremento della secrezione di K+ dalla cellula al liquido tubulare (secrezione di K+ è quindi flusso dipendente). (L'aumento di Ca2+ possa avviare meccanismi che attengono alla proliferazione, la differenziazione e l'apoptosi delle cellule dell'epitelio luminale). Vi è una patologia abbastanza frequente (1/800) o rene policistico in cui l'eziologica è da rintracciare in un alterazione delle proteine del ciglio, che porta alla presenza di cisti a seguito dell'alterazione delle vie Ca2+ dipendenti, incluse quelle che controllano la proliferazione, la differenziazione e l'apoptosi.

Apparato iuxta-glomerulare – E' importante perché mantiene costante la velocità di ultrafiltrazione glomerulare o VFG. Mantenere costante la VFG contribuisce al mantenimento della costanza dei compartimenti idrici dell'organismo. L'apparato iuxta-glomerulare è costituito da 3 tipi di cellule:

i) le cellule della macula densa del tratto ascendente spesso. Si trovano tra le due arteriole (afferente e efferente) e prendono contatto con le cellule del mesangio extraglomerulare. Sono degli osmocettori, ovvero sono cellule che costantemente misurano la concentrazione di sodio (Na+) vigente all’interno del tubulo contorto distale.

ii) le cellule del mesangio extraglomerulare - a) producono un materiale simile a quello delle membrane basali. Secernono la matrice mesangiale con funzione sostegno della struttura. Presentano funzione b) contrattile e c) fagocitaria: b) .Sono probabilmente periciti modificati in grado di modificare il diametro dei capillari in risposta a sostanze vasoattive prodotte dall’apparato iuxta-glomerulare. Pertanto, variando il flusso sanguigno, controllano la funzione glomerulare. b) .ripuliscono il filtro glomerulare dagli immunocomplessi e dai detriti cellulari;

iii) le cellule granulari o iuxtaglomerulari, poste nella parete (tonaca media) dell’arteriola afferente al glomerulo. a) Sono dei barocettori, ovvero sono cellule che costantemente misurano la pressione sanguigna vigente all’interno dell’arteriola afferente.

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b) Quando la pressione sanguigna scende sotto certi livelli, secernono la renina, un enzima che ha come substrato l’angiotensinogeno, una proteina del plasma prodotta dal fegato (epatociti) e dal tessuto adiposo univacuolare (grasso bianco).

INNERVAZIONE - Entrambe le componenti del sistema nervoso autonomo simpatico e parasimpatico (?) innervano il rene. - Le efferenze vasomotrici sono veicolate dalle cellule pregrangliari del simpatico collocate nel midollo spinali da T12 a L1, i cui assoni giungono attraverso i nervi splancnici ai gangli celiaco e renale (ganglio aortico renale anteriore e ganglio posteriore aortico renale) e di qui come fibre post-gangliari giungono a destinazione seguendo l'arteria renale. - Le vie sensitive e tra queste quelle dolorifiche, seguono a ritroso la via efferente simpatica, attraversando il plesso celiaco e i nervi splancnici fino al midollo spinale con le radici posteriori dei nervi T12 e L1 nei cui gangli dorsali hanno la cellula di origine. - Alcune afferenze sensitive viscerali decorrono con il nervo vago e raggiungono il tronco cerebrale.

Le fibre simpatiche noradrenergiche che innervano il parenchima renale liberano noradrenalina e dopamina. Queste decorrono in prossimità delle cellule muscolari lisce dei principali rami dell'arteria renale e delle arteriole afferenti ed efferenti. Innervano inoltre le cellule granulari che secernono renina, situate nelle arteriole afferenti ed efferenti. Un incremento della attività simpatica stimola il rilascio di renina. Alcune fibre nervose simpatiche innervano anche il tubulo prossimale, l'ansa di Henle, il tubulo distale e il dotto collettore. L'attivazione di queste fibre incrementa il riassorbimento di Na+ da parte di questi segmenti.

*** Concetto di clereance - Si tratta dell'applicazione del principio di conservazione della massa finalizzato applicato al rene. La quantità di una sostanza (che non deve essere né secreta, né sintetizzata né catabolizzata dal parenchima renale ) disciolta nel plasma che viene nell'unità di tempo (1 min) l'arteria renale porta al rene è uguale alla quantità di sostanza che lascia il rene mediante la via venosa o Qv (mediante la via renale) più la quantità di sostanza che viene escreta con le urine o Qu. Formalmente avremo:

Qa = Qv + Qu

La quantità di sostanza che arriva con l'arteria renale è data dalla concentrazione della sostanza (massa/volume) moltiplicato il volume di plasma che con l'arteria renale raggiunge il rene.Formalmente avremo:

Px*QPRa = PxQPRv + UxVdove: Px è la concentrazione plasmatica della sostanza in questioneFPRa flusso plasmatico renale arteriosoFPRv flusso plasmatico renale venosoUx concentrazione urinaria della sostanzaV flusso urinario

Il concetto di clereance attiene al bilancio di una determinata sostanza diluita tra il plasma e le urine. Il concetto di clereance renale può essere applicato a qualunque sostanza. Si definisce come: “il volume di plasma che è completamente depurato nell'unità di tempo (indicativamente 1 minuto) da una determinata quantità di sostanza che come tale è eliminata nell'ambiente esterno con le urine.”

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La clereance è un volume completamente depurato nell'unità di tempo da una sostanza che poiché è stata sottratta al plasma viene ad accumularsi nelle urine: allora tale quantità di sostanza in quanto tale può essere valutata nelle urine. La quantità in questione può essere data dalla concentrazione in questione urinaria Ux per il volume urinario o flusso urinario V nell'arco di tempo di riferimento. Q = Ux*VOra, la quantità eliminata prima che la depurazione avesse luogo era precedentemente disciolta nel plasma. Questa quantità possiamo esprimerla nei termini della quantità di plasma che la conteneva prima della depurazione. La stessa quantità Q quando era disciolta in un certo volume di plasma è data dal prodotto della concentrazione della stessa sostanza nel plasma (Px) x il volume di plasma che la conteneva Vp.

Q = Px Vp. Poiché Q e Px sono facilmente ottenibili (se somministriamo Q e a mezzo di un prelievo misuriamo Px ) l'incognita resta Vp.Essendo per il principio di conservazione della massa le 2 quantità Q uguali avremo che anche i secondo membri sono uguali, per cui: UxV = Px VpClereance = Vp = UxV/Px esso esprime anche la velocità con cui la depurazione avviene nell'unità di tempo. (Vp è dato dal rapporto tra una quantità UxV e una concentrazione ovvero ml/min.)Facciamo un esempio (si veda libro di testo, in cui è stato commesso un errore di stampa).

Supponiamo che nel plasma vi sia un sostanza alla concentrazione Px di 1 mg/ml di plasma e che la concentrazione urinaria a depurazione avvenuta Ux sia pari a 100mg/ml e sia altresì noto il flusso urinario, ovvero il volume di urina eliminato al minuto V= 1ml/min.La clereance sarà Quantità eliminata con le urine = (100mg/ml * 1ml/min)/1mg/ml = 100ml/min.La clereance si misura non in mg di sostanza eliminata al minuto (come riportato sul testo) ma in volume al minuto. Ci sono sostanze che pur assumendo valori di concentrazione plasmatica crescenti ciò nonostante il valore della loro clereance permane invariato, resta sempre un certo valore giacché se da un lato incrementa la concentrazione plasmatica, d'altra parte incrementa anche la quantità di sostanza stessa escreta con le urine in modo tale che il rapporto tra quantità escreta e concentrazione plasmatica resta costante*. Non si può dire in questo caso che incrementi il calore della clereance. Il concetto di clereance va giustamente riferito al volume di plasma depurato e non alla quantità di sostanza depurata.

Considerare il volume depurato come un volume reale sarebbe fuorviante. Il volume che esprime la clereance è un volume virtuale e non reale. Il volume reale lo è in un caso del tutto particolare ma più frequentemente il volume è virtuale.A misura che attraverso l'arteria renale nel rene fluisce plasma nell'unità di tempo pari circa di 1200 ml/min il rene, nei confronti di questo plasma, depura volumi parcellari di tutto questo volume plasmatico sottraendo da questi volumi parziali una determinata quantità di sostanza. E' la sommatoria di questi volumi parcellari (operazione compiuta da noi) che ci da il volume complessivo depurato. E' considerato virtuale perché osservando il sangue che esce dalla vena renale, noi non osserveremmo un volume completamente depurato da una determinata sostanza, semmai vedremo un plasma con una concentrazione ridotta della sostanza in esame. Quando il volume depurato invece è un volume reale? Quando l'intero volume di sangue che perfonde il rene (700ml/min) risulta totalmente depurato di una determinata sostanza. Quello che diciamo volume virtuale lo consideriamo tale perché il volume depurato è minore del volume di plasma che perfonde il rene nell'unità di tempo. Il caso del volume reale è proprio di una sostanza nota come para-amino-ippurato. Il rene è in grado di sottrarre totalmente e quindi depurare completamente tutto il plasma che lo perfonde e che contiene tale sostanza. In generale però il rene, in una determinata unità di tempo, depura solo un'aliquota della sostanza in questione e il plasma conterrà una concentrazione decrementale di tale sostanza.

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I valori delle clereance variano assai in condizioni fisiologiche: 0 per il glucosio (che viene in condizioni di normalità completamente riassorbito). La clereance dell'urea è di 50ml/min. I reni in un minuto depurano completamente 50 ml di plasma. L'acido para-ammino-ippurico ha la clereance massima (700 ml/min).

L'ultrafiltrazione glomerulare – L'ultrafiltrazione operata dall'insieme dei nefroni è realizzata mediante 3 processi: i) l'ultrafiltrazione glomerulare, ii) il riassorbimento iii) la secrezione.

i) Ci occuperemo qui della ultrafiltrazione glomeruale. L'ultrafiltrazione è un processo chimico-fisico per mezzo del quale acqua e soluti privi sia della componente corpuscolare del sangue che delle proteine plasmatiche viene spinta a passare dal versante capillare allo spazio presente all'interno della capsula del Bowman. L'energia è fornita dall'attività meccanica contrattile del miocardio di sinistra. E' importante questa precisazione perché le funzioni cardiache sono strettamente connesse con quelle renali. In particolare il regime pressorio, determinato dall'attività cardiaca, è correlato all'attività di filtrazione renale. La barriera di filtrazione è quella struttura attraverso cui si compie la filtrazione dal lume capillare allo spazio capsulare di Bowman: essa si compone da un primo strato rappresentato dall'endotelio capillare che si caratterizzata per la presenza di fenestrature il cui diametro si aggira intorno ai 70 nm (1nm = 10^-9 m). Certamente non riescono a passare le componenti corpuscolari del sangue ma tale fenestratura permetterebbe il passaggio di alcune proteine plasmatiche che tuttavia non avviene perché sulla superficie dell'endotelio è presente quella particolare struttura nota come glico-calice costituita di glicoproteine, ricche di gruppi solfato e quindi aventi carica netta negativa. In virtù di ciò questo glico-calice è in grado di respingere e quindi impedire il passaggio alle proteine plasmatiche. Le proteine plasmatiche sono anch'esse dotate di carica negativa. Perché? Le proteine del plasma (7%, rappresentate da albumine, globuline e fibrinogeno) sono sostanze in grado di comportarsi sia come acidi sia come basi (quindi anforere) in relazione al Ph ambientale. Per capire in che senso le proteine del plasma si dissociano occorre precisare il punto isoelettrico delle proteine del plasma, ovvero il valore del Ph plasmatico a cui le proteine plasmatiche presentano una carica elettrica netta uguale a 0, perché in tale condizione il numero delle cariche negative eguaglia quello delle cariche positive. Il punto isoelettrico delle proteine plasmatiche è PH = 6. Il valore del PH in cui le proteine in realtà si trovano è 7.45-7-44, quindi un valore ben maggiore del punto isoelettrico, per cui le proteine si dissociano come acidi deboli contrastando l'ambiente basico, acquisendo una maggiore carica netta negativa (= i residui amminoacidici diventano anioni). Le proteine plasmatiche vengono respinte avendo una carica eguale a quella presente sulle glicoproteine espresse ne glicocalice delle cellule endoteliali dei capillari del glomerulo. Alcune di queste proteine possono in realtà eludere la presenza del glicocalice e passare attraverso alle fenestrature (assieme ad altre sostanze come glucosio e urea);La parete endoteliale è sede di sintesi e liberazione di fattori come il NO, un vasodilatatore, o l'endotelina I, un potentissimo vasocostrittore. La liberazione di queste sostanze influisce notevolmente attraverso vie paracrine ed autocrine sull'emodinamica renale. La capacità di separazione del filtro glomerulare e la funzionalità dei reni si possono studiare confrontando la concentrazione di una sostanza nell’ultra-filtrato e la concentrazione della stessa nel plasma (filtrando). Il rapporto tra le due concentrazioni è detto rapporto FILTRATO / FILTRANDO, ossia il rapporto ultrafiltrato / plasma. Il valore del rapporto filtrato / filtrando varia da un massimo di 1 ad un minimo di 0. 0 rappresenta il valore di una sostanza che non viene ultrafiltrata.Le sostanze che ultrafiltrano liberamente, hanno un rapporto filtrato / filtrando = 1.

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Questo è il caso degli amminoacidi, del glucosio e di alcuni ioni. I valore che si interpongono tra 0 e 1 corrispondono ad una maggiore o minore facilità di attraversare la barriera di filtrazione. I fattori che influenzano la filtrazione sono:

– i) energia cinetica di cui la molecola è dotata, maggiore è Ec maggiore è la probabilità di attraversare la barriera.

– ii) Angolo con cui la molecola imbocca la fenestratura della parete endoteliale

– iii) forma della molecola (una molecola sferoidale viene filtrata più facilmente)

– iv) peso e raggio molecolare: Le sostanze con peso molecolare di circa 5000 Daltons e raggio molecolare inferiore a 15-18 Angostrom hanno un rapporto filtrato / filtrando = 1. Tale valore si riduce drasticamente per molecole più grandi, quali ad es. l'albumina sierica (e l'emoglobina), che ha un PM di 36000 Daltons e raggio di circa 36. Oltre i 40 Angstrom le molecole non vengono filtrate.

– v) carica della molecola. A parità di raggio molecolare le forme cationiche sono filtrate più facilmente di quelle anioniche. La riduzione della filtrabilità delle forme anioniche è spiegata con la presenza di glicoproteine cariche negativamente sulla superficie di tutte le componenti glomerulari che costituiscono la barriera di filtrazione. Una riduzione della carica negativa della parete glomerulare provoca filtrazione delle proteine che dipende solo dalle loro dimensioni. In questa condizione la filtrabilità relativa delle proteine dipende dal loro diametro molecolare.

Dinamica dell'ultrafiltrazione - La quantità di una sostanza che viene filtrata nell’unità di tempo è detta CARICO FILTRATO. Per una sostanza che ultra-filtra liberamente ( con rapporto filtrato / filtrando = 1 ) il carico filtrato si determina moltiplicando la concentrazione plasmatica Px per la velocità di filtrazione glomerulare VFG.

(Carico filtrato) = (Concentrazione plasmatica) x (Velocità di filtrazione glomerulare). CF = Px*VFG

Le regole che sono alla base del trasferimento di liquidi dai capillari glomerulari allo spazio di Bowmann sono descritte dal principio di Starling – Landis. Secondo il principio di Starling - Landis entità e direzione del movimento di liquido sono determinate dall’equilibrio tra pressione idrostatica e pressione colloido-osmotica interne ed esterne al capillare.

Jv = Kf [( Pc - Pi ) - σ ( πi - πc )]

Jv movimento di fluido / unità di tempo

Kf costante di filtrazione del capillare

Pc pressione idrostatica all’interno del capillare

Pi pressione idrostatica nel liquido interstiziale

πc pressione osmotica all’interno del capillare

πi pressione osmotica nel liquido interstiziale

� coefficiente di riflessione

[( Pc - Pi ) - � ( � i - � c )]

la pressione netta di filtrazione = 16 mmHg

Nei capillari sistemici in corrispondenza del capo arterioso l’equilibrio di tali forze favorisce la filtrazione ( pressione netta circa 16 mmHg ), mentre in corrispondenza delle venule

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l’equilibrio delle stesse favorisce il riassorbimento (pressione netta circa −14 mmHg ).

Nel caso dei capillari renali l’equazione di Starling - Landis si può riformulare come segue:

VFG = Kf [(PCG - PSB ) - σ (πCG - πSB)] semplificata VFG = Kf [(PCG - PSB - σ πCG)]

i) Kf = costante di filtrazione del capillare. Kf = S*Kc → è dato cioé dal prodotto di 2 grandezze: - “S”, la superficie dell'intera barriera di filtrazione (tutta la parete endoteliale attraverso cui si svolge il processo di filtrazione); - “Kc”, coefficiente di conduttività idraulica, cioè il volume di ultra-filtrato che attraversa nell'unità di tempo la superficie della barriera di filtrazione per ogni mmHg della pressione media di ultrafiltrazione. Questo parametro nei capillari glomerulari è di ben 100 volte maggiore di quando non lo sia a livello dei capillari sistemici. ii) PCG = pressione idrostatica del capillare glomerulare (favorisce la ultrafiltrazione) = 60 mmHg mentre nei capillari sistemici il valore della pressione è pari a 36 mmHg. La ragione di questa differenza risiede nella particolare architettura vascolare. La disposizione in parallelo delle arteriole glomerulari ricorda dall'emodinamica ricorda che le resistenze non si sommano più l'una all'altra ma si sommano come reciproci. Quindi la somma delle resistenze è molto bassa e ne risulta che la pressione idrostatica viene meno dissipata. I capillari sistemici derivano da tratti arteriolari che sono quasi sempre disposti in serie: in questo caso parte della pressione idrostatica viene utilizzata per vincere le resistenze. A pressione idrostatica dell'arteriola efferente è di circa 58 mmHg, un valore piuttosto alto: sembrerebbe quasi che non via sia differenza tra la pressione dell'arteriola afferente ed efferente. Al contrario in conclusione del capillare arterioso noi troviamo un valore particolarmente basso di pressione idrostatica. Le ragioni sono diverse: - le anse capillari glomerulari sono di diametro ampio raggio e la resistenza maggiore è il

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raggio minore la resistenza che è inversamente proporzionale alla 4a potenza del raggio R = 8ηl/πr^4) - le anse capillari sono brevi. “l” al numeratore è piccolo. - le anse capillari sono fra loro anastomizzate e ciò contribuisce ulteriormente a ridurre R. - il calibro della sezione uscente della arteriola efferente è minore rispetto al calibro del resto del glomerulo e ciò contribuisce ulteriormente a mantenere la pressione pressoché uguale rispetto a quella presente nella arteriola afferente. iii) PSB = pressione idrostatica della capsula di Bowman (si oppone alla ultrafiltrazione quindi è negativa) -15 mmHg iv) πCG = pressione osmotica del capillare glomerulare (si oppone la ultrafiltrazione), dovuta alle proteine presenti nel sangue che scorre nel capillare glomerulare. -28mmHg nel capo afferente e -35 mmHg nel capo efferente. Infatti tra il capo afferente e quello efferente vi è stata una filtrazione di acqua nello spazio di Bowman e le proteine si sono quindi concentrate. v) πSB = pressione osmotica della capsula di Bowmann (favorisce la ultrafiltrazione, trascurabile) vi) σ = coefficiente di riflessione (le proteine sono gli elementi che hanno il coefficiente di riflessione massimo); Per ogni sostanza presente nei liquidi organici, si attribuisce alla membrana cellulare un coefficiente di riflessione membranale, indicato con σ, che esprime la maggiore o minore capacità della membrana di ostacolare il passaggio delle particelle di soluto rispetto a quelle dell’acqua. Il coefficiente di riflessione membranale è = 1 per le sostanze che non attraversano le membrane in alcun modo (esse esplicano il massimo effetto osmotico), ed è = 0 per quelle

sostanze che attraversano la membrana altrettanto facilmente quanto l’acqua; sarà intermedio tra 0 e 1 per le sostanze che possono attraversare la membrana, ma meno facilmente dell’acqua.

vii) VFG La velocità di filtrazione glomerulare è uguale alla somma delle velocità di filtrazione di tutti i nefroni funzionanti. Pertanto la VFG è un indice della funzione renale. VFG può essere determinato quantitativamente. - VFG = QB/CB → (mg/s)/(mg/ml) = ml/s (dimensionalmente una portata ovvero un volume nell'unità di tempo) - QB = sostanza filtrata nell'unità di tempo e presente all'intero dello Spazio di Bowman - CB = concentrazione della sostanza nello spazio di Bowman. Non è possibile accedere allo spazio di Bowman e misurare CB, si è quindi ragionato nel seguente modo: utilizzando il principio di conservazione della massa si ha che la quantità di sostanza che viene ultra-filtrata Qf (= QB è la sostanza ultrafiltrata nell'unità di tempo moltiplicato per il tempo in cui la sostanza compare nel plasma a concentrazione costante fin quando non è più rintracciabile ) è uguale alla quantità di sostanza che viene escreta Qu.

Qf = VFG*Pax Qu = Ux*VUx = concentrazione plasmatica nell'urinaPax = concentrazione plasmatica della sostanza xV= velocità del flusso urinario per minuto

(Qf = Qu)

VFG*Pax = Ux*V

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Pax*VFG = Ux*V. RisolvendoVFG = Ux*V/Pax. Ogni sostanza che soddisfa i seguenti requisiti può essere usata come marker per misurare VFG:

- deve essere liberamente filtrata dal glomerulo; - non deve essere né riassorbita né secreta dal nefrone; - non deve accumularsi nel parenchima renale

- non deve essere tossica - non deve essere né metabolizzata né prodotta dal rene; - non deve produrre alterazioni della VFG.

La sostanza in questione è l'inulina (polisaccaride vegetale) che ha una filtrazione glomerulare di circa 0,98. VFG*PIN = UIN*V → tutti i parametri sono noti eccetto VFG, che può essere calcolata. - PIN - UIN va considerata in relazione dal momento in cui PIN abbia un concentrazione stazionaria (ad es. 0,25 mg/ml). - Il soggetto deve svuotare la vescica della preesistente urina e occorre considerare l'urina accumulata da quanto la concentrazione plasmatica è costante. - UIN in questo caso ì 35mg/ml - V = 1ml/min. - VFG = {(35mg/ml)x( 1 ml/min)}/ 0.25 mg/ml = 126 +- 0.2 ml/min (questo è il valore della QB) per un totale di 180 L/die. (Qf) Questo parametro è correlabile alla superficie corporea. Questo parametro è il valore di VFG. Nella donna è lievemente più basso che nell'uomo. Nel soggetto anziano questo valore è più basso a seguito della perdita di funzionalità di una certa percentuale di nefroni.

Differenze tra velocità di filtrazione glomerulare e clereance - VEF = (UIN)x(V)/(PIN) ricorda la formula della clereance ma il concetto di VFG è del tutto differente dal concetto di clereance!! Il concetto di clereance e il meccanismo della clereance è affatto diverso dal concetto e dal meccanismo dell'ultrafiltrazione. A volte le due cose vengono confuse. La VFG esprime invece un volume di acqua solubile riversata all'interno dello spazio capsulato di Bowman. La clereance esprime invece un volume di plasma virtuale che è stato completamente depurato da una determinata specie chimica. Perché si dice allora che la clereance dell'inulina ci da il valore della VFG? Per clearance si intende la capacità che hanno i reni di depurare il plasma da varie sostanze. La clearance plasmatica di una sostanza si esprime in ml/min ed è data dalla formula: clearance = Concentrazione nell’urina Ux ( mg/ml) x V ( ml/min) / Pax (in mg/ml). La clearance renale di una sostanza è, dunque, un volume fittizio, poiché rappresenta il volume di plasma in cui, data la sua concentrazione plasmatica, sta sciolta la quantità di sostanza eliminata in un minuto con le urine. Quindi non tiene conto di quel che succede di essa tra filtrazione ed escrezione: la sostanza filtrata potrebbe esser stata tutta riassorbita e poi secreta, comparendo nelle urine. Se la sostanza filtrata al glomerulo non viene né riassorbita né secreta dal tubulo, il volume di plasma da cui essa deriva corrisponde a tutto quello filtrato in un minuto e quindi alla velocità di filtrazione glomerulare (QB/CB): questo è esattamente il caso dell'inulina che, dopo essere stata filtrata dal glomerulo renale non viene né riassorbita né secreta. Di conseguenza la quantità dell'inulina escreta ogni minuto deve essere uguale alla quantità filtrata dai glomeruli in ogni minuto. Per questo, la clearance dell'inulina corrisponde alla velocità di filtrazione glomerulare (VFG); è da notare comunque come in ambito di laboratorio clinico sia più utilizzata la stima della

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clereance della creatinina (che deriva dal metabolismo nel muscolo della creatina) in quanto l'analisi con l'inulina implicherebbe la somministrazione per via parenterale. Inoltre occorrerebbe accertarsi che vi sia una concentrazione plasmatica stazionaria. La creatinina al pari dell'inulina filtra liberamente a livello dei glomeruli è in prima approssimazione non è escreta né riassorbita o metabolizzata dalle cellule del nefrone. VFG = (Ucr)x(V)/(Pcr). Pcr = Concentrazione plasmatica della creatinina.Ucr = quantità che nell'unità di tempo è allontanata. I calcoli si compiono sul volume di urina eliminato nelle 24 ore per smorzare le oscillazioni che possono verificarsi sulla concentrazione plasmatica di creatinina. Nel caso della creatinina è stato osservato che questa sostanza non rispetta proprio tutti i requisiti precedentemente posti perché si è visto che la quantità escreta con le urine è maggiore del 10% della quantità ultrafiltrata in quanto il 10% della creatina totale escreta in realtà non è ultrafiltrata ma è secreta dal rene stesso.

D'altra parte la modalità con cui ci si avvale per misurare la concentrazione sierica di creatinina sovrastima quest'ultima di un 10%, poiché valuta cioè come creatinina sostanze che creatinina non sono. La creatinina reagisce infatti in una soluzione alcalina con l'acido picrico per formare un complesso colorato. La quantità di complesso che si forma è direttamente proporzionale alla concentrazione di creatinina. L'acido picrico però colora anche altri sostrati come acetone, corpi chetonici, piruvati, acido ascorbico che sono presenti anch'essi nelle urine. Ecco perché la titolazione della creatinina è sovrastimata.

Quindi si avrà VFG = (UCR) x (V)10% / (PCR)10%. Prima ancora di calcolare la VFG per avere informazioni relative alla VFG si ricorre semplicemente al test della valutazione della concentrazione della creatinina nel plasma. Mentre la VFG resta normalmente sempre 126 ml/min, la clearance varia a seconda del tipo di sostanza presa in esame. Poiché la produzione di creatinina è costante per mantenere il bilancio della creatinina anche la sua escrezione deve essere costante (altrimenti nel plasma la concentrazione di creatinina aumenterebbe). Pertanto se la VFG scende da 120 a 60 mL la concentrazione plasmatica della creatinina PCR

deve aumentare da 1 a 2 mg/dL, affinché la filtrazione della creatinina e, quindi, la sua escrezione sia uguale alla sua produzione. Può essere tracciata una curva che fa corrispondere in ordinata la creaninina plasmatica (in mg/dL) e in ascissa la VFG* (mL/min) .

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*in inglese GFR = Glomerular Filtration Rate. La curva ricorda una iperbole: (PCR)x(UCR) = K. La velocità di ultrafiltrazione glomerulare influenza la concentrazione plasmatica e viceversa. Il valore normale della creatinina è di 1,2 +/- 0,2 mg/dL, ciò significa che 1,4 mg/dL è un valore ancora non statisticamente significativo. Il volume idrico di un soggetto normopeso vine filtrato dal rene ben più di 4 volte stimando che la VFG complessiva è di 180L/giorno. Di questi 180L un soggetto riassorbe circa il 99% e poco più dell'1% viene escreto (1,8 L).

Quali sono i caratteri dell'ultrafiltrato?

• Innanzitutto un PH uguale a quello del plasma (che successivamente viene acidificato fino ad un PH minore, fino a 4);

• La osmolarità è pari a quella plasmatica 285-295 mOS. La concentrazione dei soluti è generalmente uguale a quella del plasma con una modesta differenza relativa al Na e al Cl. Le proteine non diffondendo con la loro presenza influiscono sulla diffusione delle specie ioniche, per cui nel capillare è presente una osmolarità maggiore del 5% rispetto all'ultrafiltrato presente nello spazio capsulare di Bowman.

• Per quanto pertiene molecole organiche come glucosio e amminoacidi, questi hanno la medesima concentrazione che nel plasma.

Frazione di filtrazione QF = VFG *PX *Filtrato/Filtrando. Se la sostanza escreta ha un carico filtrato (filtrato/filtrando) minore di 1 se ne deve tenere conto, altrimenti se il valore del carico filtrato ha un valore di 1 la relazione si semplifica QUF = VFG *PX.

La frazione di filtrazione concerne il rapporto tra il volume ultrafiltrato nell'unità di tempo rispetto all'intero volume di plasma che in un minuto attraversa i reni.FER = flusso plasmatico renale totale (cioé il plasma che perfonde in un minuto il rene) F = VFG/FERx100 = 125/700x100 = 15-20%VFG = Kf [(PSG - PSB - σ πCG)] Fattori che influenzano VFG - L'aumento della pressione idrostatica capillare comporta un aumento della velocità di ultrafiltrazione, viceversa una diminuzione della stessa determina una riduzione della velocità di ultrafiltrazione. Variazione della Pressione idrostatica capillare sono importanti nell'instaurarsi della patologia renale. Incrementi cronici della stessa come uno stato ipertensivo incontrollato, comporta lesioni a livello della porzione finale delle arterie renali causando insufficienza renale. La pressione al di sotto di determinati valori potrebbe causare una lesione ischemica renale.

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- (PCG)Il rene tuttavia per variazioni della pressione sistemica non croniche ma di breve durata dispone di meccanismi per poter salvaguardare la sua funzione, nella fattispecie regolando il diametro dell'arteria afferente ed efferente. La costrizione dell'arteriola afferente o dell'arteriola efferente aumenta la resistenza. Secondo l'eq. Q = ΔP/R un aumento della resistenza riduce il flusso, cioé FPR. La dilatazione dell'arteriola afferente o dell'arteriola efferente aumenta FPR. Quindi se la VFG aumenta in forza di un aumento della pressione idrostatica sistemica il rapporto VFG/FPR rimane lo stesso attraverso l'aggiustamento del FPR mediante la contrazione/rilassamento del diametro dell'arteria afferente/efferente. Se sia l'arteria afferente che quella efferente si contraggono vi sarà una riduzione del flusso ma a fronte di un ridotto flusso la pressione all'interno dei capillari vi sarà una velocità di filtrazione proporzionale all'entità di filtrazione del flusso. - (PSB) Un altro parametro che influenza VFG è la pressione idrostatica nello spazio capsulato di Bowman. Questa può aumentare in tutte quelle circostanze in cui vi è la formazione di un calcolo con ostruzione delle vie urinarie o come conseguenza di una stenosi ovvero un restringimento del lume degli uroteli: la riduzione del flusso causa un ristagno nello spazi capsulare di Bowman che si riflette in una riduzione del VFG. - (πC) Un aumento della pressione colloido-osmotica πC implica una diminuzione della VFG e viceversa.

- (Kf= Kc*S) Inoltre tutti i processi che concorrono alla riduzione della superficie (glomerulonefriti) attraverso cui avviene la filtrazione comportano una riduzione della VFG.

Regolazione del fluso ematico renale (FER) - Q = ΔP/R (ΔP = pressione arteriosa media meno la pressione venosa dell'organo in esame.) Questa equazione descrive il flusso sanguigno attraverso qualsiasi organo. Nel caso del rene avremo: che il Flusso Ematico Renale (FER) è uguale a{(pressione aortica media) – (pressione vena renale)}/Resistenza vascolare renale.

Allorché ragioni fisiologiche causano l'alterazione di questi parametri come la pressione arteriosa il flusso ematico (FER) tende comunque a rimanere costante. Questa regolazione è giocata sulle resistenze che vengono modificate in modo affinché il flusso rimanga costante. Queste resistenze sono costituite dalle arteriole, dalle meta-arteriole e dagli sfinteri capillari. A livello del rene a fronte di variazioni di pressione arteriosa sistemica vi sono meccanismi di autoregolazione in grado di modificare le resistenze a livello delle arteriole afferenti con la conseguente conservazione sia della perfusione ematica (FER) e, conseguentemente, della velocità di filtrazione glomerulare o VFG. L'autoregolazione a fronte di variazioni pressorie sistemiche comprese tra 90 e 180 mmHg consente di mantenere costanti FER (flusso ematico renale) e, di conseguenza, anche la VFG. Un incremento pressorio ad esempio si può dare a seguito dell'incremento dell'attività fisica oppure a seguito di un aumento del tono simpatico.I meccanismi auto-regolatori sono 2: i) Il meccanismo miogenico e ii) il meccanismo a feedback tubulo-glomerulare.

i) Dipende dalla proprietà intrinseca dei muscoli lisci vascolari che tendono a contrarsi quando vengono stirati. Pertanto quando la pressione arteriosa aumenta l'arteriola afferente si distende e e la sua muscolatura liscia si contrae. L'aumento di resistenza dell'arteriola afferente annulla l'aumento pressorio, FER, e quindi VFG rimanono costanti (FER è costante se il rapporto ΔP/R rimane costante). ii) Il secondo meccanismo (estrinseco) responsabile dell'autoregolazione di VFG e FER è un meccanismo dipendente dalla concentrazione di NaCl. Questo meccanismo è basato su un circuito a feedback nel quale la concentrazione di NaCl del liquido tubulare viene rilevata da elementi sensori della macula densa dell'apparato juxta-glomerulare e convertito in segnali capacità di modificare la resistenza dell'arteriola afferente e quindi la VFG.

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Un incremento di VFG incrementa la concentrazione di [NaCl] nel liquido tubulare a livello della macula densa e nelle cellule della macula densa entrano maggiori quantità di NaCl mediante il sinporto 1Na+/1K+/2Cl- che induce un aumento della ATP e dell'adenosina. L'adenosina e l'ATP (che quindi si comportano da fattori paracrini) si legano a determinati recettori (A1, P2X) a livello della membrana plasmatica delle cellule muscolari lisce che circondano l'arteriola afferente, incrementando la [Ca++] intracellulare. Questo incremento causa una vasocostrizione dell'arteriola afferente, provocando quindi un ritorno ai valori normali della VFG. La contrazione dell'arteriola afferente causa la diminuzione del raggio e poiché per la relazione di Pouiseuille R= μ8 l/π r^4 . La riduzione del raggio incrementa rapidamente la resistenza dell'arteriola afferente in ragione della 4° potenza. L'aumento delle resistenze implica che l'incremento della pressione idrostatica arteriolare che deriva dall'incremento della repressione sistemica viene dissipato in parte per vincere le resistenze: ne risulta pertanto che il valore pressorio viene riportato a valori normali e dunque anche la VFG correlata a quel valore.

Una ridotta pressione idrostatica capillare (a seguito di un calo pressorio) a livello dell'arteriola afferente invece causa una riduzione della VFG. Ciò determina una riduzione della sintesi di adenosina e un conseguente minore ingresso di calcio nelle fibro-cellule e una riduzione del tono costrittore. Un maggior raggio corrisponde ad un aumentato flusso ematico che determina un incremento della VFG. La riduzione del flusso inoltre può indurre nelle cellule della macula densa la liberazione del monossido di azoto, NO, un tipico vasodilatatore che agisce aumentano il lume vascolare.

Disaccopiamento FER e VFG - Poiché gli animali vengono spesso a trovarsi in molte situazioni capaci di modificare la loro pressione arteriosa risulta estremamente favorevole che il rene possieda meccanismi capaci di di disaccoppiare la FER e VFG dalla pressione arteriosa. (VFG deve rimanere costante al valore di 125ml/min!, per un tot. di 180L/die) Se FER e VFG aumentassero o si riducessero parallelamente alle variazioni della pressione arteriosa sistemica (cambiamento di postura, aumento dell'attività fisica) si modificherebbe anche l'escrezione urinaria di acqua e sali in quanto le variazioni di VFG influenzano l'escrezione di acqua e sali. Queste non essendo commisurate alla loro assunzione determinerebbero uno squilibrio idrosalino. L'autoregolazione di FER e VFG costituisce quindi un efficace meccanismo per disaccoppiare la funzione renale dalla pressione arteriosa. L'autoregolazione è assente quanto la pressione arteriosa è <90mmHg. Nonostante l'autoregolazione FER e VFG possono essere modificati, in appropriate condizioni da diversi ormoni e dall'attività nervosa simpatica. Cosa accade per valori non fisiologici di pressione arteriosa, > 190mmHg < 90mmHg? L'ambiente extracellulare o LEC è dato dal compartimento interstiziale CI e dal plasma per un ammontare complessivo di 14 litri. Le variazioni di questo compartimento extracellulare comportano delle variazione sia della portata che della pressione. Un incremento del LEC determina un aumento della portata e della pressione, mentre una riduzione ha un effetto del tutto opposto. Di questo LEC c'é un parametro fisiologicamente importante: il così detto volume circolante efficace. Il VCE presenta modificazione parallele al variare del LEC. Il volume circolante efficace non è solamente il volume che è presente nel compartimento vascolare ma è quel volume di sangue che perfonde i tessuti. In condizioni fisiologiche variazioni del LEC avvengono in maniera proporzionale al volume circolante efficace ma questo non in condizioni patologiche come nell'insufficienza cardiaca congestizia (valori pressori elevati) e nell'ascite (valori pressori elevati a livello della vena porta), condizione in cui addirittura il VCE si modifica in misura opposta al LEC. In queste circostanze il VCE si riduce a fronte di un aumento del LEC - nella insufficienza cardiaca congestizia il liquido resta vincolato negli interstizi alveolo capillari provocando edemi polmonari. - Nell'ascite (complicazione più frequente della cirrosi epatica) il liquido resta confinato a

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livello addominale tra i 2 foglietti della sierosa peritoneale. Questo liquido non partecipa al VCE e quindi man mano che aumenta il liquido nel compartimento extracellulare (LEC), questo viene sottratto al VCE. - Il VCE si può anche ridurre a seguito di una emorragia, il che corrisponde ad una situazione in cui la pressione scende a valori <90mmHg. In tali circostanze il volume circolante efficace si riduce.

RIASSORBIMENTO.La clereance è effettuata dal rene mediante 3 processi fondamentali: i) ultrafiltrazione ii) riassorbimento iii) secrezione La depurazione di una determinata sostanza non deve essere necessariamente effettuata dal rene attraverso tutti e tre questi processi.Vi sono sostanze per cui i) la depurazione avviene solo per ultrafiltrazione, ii) altre in cui la depurazione è effettuata attraverso ultrafiltrazione e secrezione (acido para-ammino-ippurico), e infine iii) altre sostanze, come lo ione K+, vengono depurate mediante tutti e 3 i processi.

I meccanismi di assorbimento vanno distinti in:

i) meccanismi di trasporto attivo (comportano un gradiente che per essere instaurato comporta una spesa energetica)vanno distinti in meccanismi di trasporto attivo primario e secondario;

a) primario: utilizzano l'energia direttamente derivata dall'idrolisi dell'ATP, come - la pompa Na+/K+., è resposabile della differente concentrazione di Na+ e K+, rispettivamente a livello intracellulare ed extracellulare, costituendo e preservando i gradienti elettrochimici all'interno della cellula che consentono di attuare i meccanismi di trasporto secondario, che utilizzano la energia potenziale elettrochimica dipendente dalla pompa Na+/K+ ATPasi. - il trasporto H+/ATPasi, - il traporto H+/K+ ATPasi - Ca2+/ATPasi. b) secondario: l'energia che viene liberata dal movimento secondo il proprio gradiente elettrochimico di una determinata specie ionica è utilizzata per trasferire contro gradiente una seconda specie ionica molecolare. - Vi possono essere antiporti (movimento della prima specie e della seconda specie sono in differenti direzioni) - sinporti (il movimento delle specie molecolare avvengono durante la stessa direzione, come nel sinporto Na+/glucosio). - Nel trasporto secondario si distingue il trasporto tubolare massimo: tale tipo di trasporto è caratterizzato dallo spostamento di soluto dal lume all'interstizio basolaterale fino ad una quantità massima raggiunta la quale il trasporto è saturo e quindi non reca ulteriore soluto.

(Un esempio di tale trasporto ci è dato a quello che provvede al trasferimento di glucosio dal lume all'interstizio.)

- L'altra classe di trasporti è data dai trasporti attivi secondari. Tale tipo di trasporto è caratterizzato dalla proprietà di trasferire soluto osmoticamente attivo dal lume all'interstizio basolaterale sino a quando l'interstizio non raggiunge un valore di osmolarità superiore al lume di 200 mOSM/kg acqua. Raggiunta tale differenza il trasportatore non è in grado di trasferire ulteriori soluti. La quantità di soluto che viene trasferito dal lume all'interstizio è dipendente dal

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flusso del liquido tubulare (maggiore è il flusso di tale liquido in un tempo minore verrà raggiunto l'equilibrio );

c) L'endocitosi è un altro meccanismo che è attivo nel riassorbimento di aggregati sia di piccoli che di grandi peptidi a mezzo dei quali tali proteine vengono legati da specifici recettori internalizzandosi e dando luogo a una vescicola che esporrà il proprio contenuto ad enzimi endocellulari.

ii) meccanismi di trasporto passivo a) meccanismo di diffusione semplice che consiste nello spostamento di una specie ionica molecolare secondo il proprio gradiente elettrochimico.

b) Quando tale specie è rappresentata da un gas od una sostanza solida come NH3, molecole sprovviste di una carica elettrica e idrosolubili, il loro movimento si svolge in accordo al gradiente mediante una canale proteico trasmembrana;

c) se la specie in questione è data da uno ione la diffusione avverrà secondo gradiente attraverso specifiche proteine (carrier). Il movimento è secondo gradiente ma è accelerato da un carrier specifico che una volta che interagisce con la specie da trasportare si modifica allostericamente, favorendo la traslocazione della molecola, attuando la sua liberazione nel compartimento a più bassa concentrazione. Il carrier recupera lo stato iniziale una volta che la specie ionica è stata estrusa, pronto per compiere il lavoro una seconda volta. Questo tipo trasportatore è caratterizzato da saturabilità, specificità e da competizione. (Un esempio è dato dall'acqua che si posta da ambiente a ridotta osmolarità ad ambienti a più elevata pressione osmotica. Il flusso dell'acqua per osmosi trascina con sé specie ioniche come K+ Mg2+ e Ca2+, dal lume all'interstizio: si tratta di drenaggio del solvente).

Il movimento dei soluti e nell'acqua nel tubulo prossimale può avvenire sia attraverso la membrana luminale e basolaterale (in questo caso trasporto transcellulare). Se interessa l'acqua avviene a mezzo di specifici canali chiamati acquaporine, mentre i soluti richiedono specifici meccanismi di trasporto. Acqua e soluti possono diffondere anche attraverso le giunzioni strette tra le cellule, secondo il gradiente elettrochimico. Per quanto attiene le giunzioni strette osservate, nel tubulo prossimale esse presentano una modica resistenza e vi è una possibilità di un retro-flusso dall'interstizio basolaterale al lume. A livello del tubulo distale collettore queste resistenze sono più elevate e pertanto previe

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qualunque movimento (che non sia mediato da ormoni) di acqua e soluti dall'interstizio al lume.Il riassorbimento di acqua e soluti si ha dal lume all'interstizio dove in seguito acqua e soluti passeranno all'interno dei capillari peritubolari. A livello del tubulo prossimale dove il processo di riassorbimento ha inizio è riassorbito a) un volume del 67% di acqua ultrafiltrata, b) nonché degli ioni Na+, K+ e Cl-, c) oltre che quasi la totalità dei soluti organici come glucosio, lattati, amminoacidi, fosfati.

Si distinguerà il riassorbimento nella prima metà del tubulo prossimale e nella seconda metà del tubulo prossimale. Il Riassorbimento del Na+ in associazione di HCO3- . - Il riassorbimento dello ione sodio è fondamentale perché rappresenta un soluto osmoticamente efficace e trascina con se acqua e il riassorbimento di esso preserva il volume dei compartimenti idrici del LEC. - Il riassorbimento dello ione HCO3- che nella quasi totalità avviene nel tubulo prossimale riveste un ulteriore significato, non solo osmotico quanto piuttosto nel fatto che lo ione HCO3- è legato al Na+ a costituire il bicarbonato si sodio. Questo costituisce un importante tampone, il sistema acido carbonico bicarbonato. CO2 + H2O ↔ H2CO3 ↔ H+ + HCO3

-

NaHCO3 → Na+ + HCO3-

Il riassorbimento del Na+ in associazione al HCO3- è uguale a riassorbimento del NaHCO3, un

sale che rappresenta una fonte delle basi HCO3-. Il fatto che tale riassorbimento sia così rilevante

(80%) a livello del tubulo prossimale sta a indicare la immediata restituzione in circolo di tali basi affinché la capacità tampone del plasma e del LEC del soggetto resti preservata. - Già allo stato basale il soggetto produce acidi fissi (ovvero H+) per via del metabolismo e tali acidi debbono essere tamponati poiché il PH deve essere mantenuto costante. HCO3

- è prodotto all'interno della cellula dall'enzima anidrasi carbonica che ha come substrati H2O e CO2. CO2 è il prodotto del metabolismo cellulare. L' H2CO3 si dissocia in H+ e HCO3

- poiché è un acido di una certa forza. Lo ione idrogeno H+ viene estruso dalla cellula al lume attraverso un meccanismo di trasporto attivo secondario rappresentato da un carrier nel quale viene mediato l'ingresso del Na+, associato allo ione bicarbonato HCO3

-, dal lume alla cellula della parete tubulare (antiporto idrogeno/bicarbonato). Nell'interno del lume H+ estruso reagisce con HCO3

- che era legato al Na+, costituendo H2CO3. H2CO3 viene modificato da una isoforma di anidrasi presente nell'orletto a spazzola presente nella parte apicale delle cellule tubulari H2CO3 viene degradato ad H2O e CO2 . CO2 rientra poi nella cellula reagendo nuovamente con l'anidrasi carbonica intracellulare per formare acido carbonico. Dal versante basolaterale osserviamo che Na+ che era entrato a mezzo dell'antiporto Na+/H+ (trasporto attivo secondario ) viene estruso dalla parte basolaterale a mezzo della pompa Na+/K+

ATPasi. Ma vi è anche un sinporto che associa un Na+ a 3HCO3

- (1+ e 3-, complessivamente 2 cariche +, ma negativa è la parte interna alla membrana stessa e negativo è il carrier) e le trasporta nell'interstizio. Vi è altresì un antiporto (trasporto attivo secondario) che trasporta il Cl- (più concentrato all'esterno della cellula) all'interno della cellule e il bicarbonato HCO3

- fuori. Nell'interstizio abbiamo quindi l'accumulo di Na+ e HCO3

- cioé NaHCO3 o bicarbonato di sodio. Dall'interstizio è subito portato in circolo entrando a far parte del sistema tampone acido-bicarbonato, consentendo di tamponare acidi o basi fisse.

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*** Trasporto di acqua e soluti lungo il nefrone -

Le urine si formano mediante 3 processi di base: i) ultrafiltrazione (del plasma da parte dei glomeruli) ii) riassorbimento (di acqua e soluti dall'ultrafiltrato)iii) secrezione (selettiva di alcune sostanze che vengono trasferite al liquido tubulare)

- anche se vengono ultrafiltrati circa 130-180L viene escreto meno dell'1% dell'acqua e del NaCL ultrafiltrati. I tubuli renali modificano la composizione e il volume dell'urina mediante processi di riassorbimento e di secrezione. Di conseguenza i tubuli renali controllano in modo preciso i) il volume, ii) l'osmolarità, iii) la composizione e iv) il Ph dei compartimenti idrici (LEC e LIC).

RIASSORBIMENTO NELLA PRIMA META' DEL TUBULO PROSSIMALE.Abbiamo qui il riassorbimento del Na+ assieme a soluti organici (amminoacidi) e lattati. Esso avviene per trasporto attivo secondario o trasporto tubolare massimo che trasferisce soluto dal lume alla cellula e dalla cellula all'interstizio fino a che non viene raggiunto il valore massimo a livello dell'interstizio fino a che il trasporto si considera saturo.

riassorbimento del Na+ associato al glucosio nella prima metà del tubulo prossimale. La glicemia in normali condizioni va da un valore di 60 fino a 115 mg/100ml plasma. Possiamo avere dunque in media la concentrazione di glucosio di 100mg/100ml (= 1mg/ml) di plasma. Quale è il carico filtrato ovvero la quantità filtrata del glucosio? Q = Pg*VFG = 1mg/ml*125 ml/min = 125mg/min. Questo è il carico filtrato di glucosio ogni minuto (considerando un carico filtrato prossimo a 1). Il glucosio penetra dunque nel lume ed esso è

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trasferito nella cellula per riassorbimento ad opera di un particolare meccanismo di trasporto attivo secondario, dal lume alla cellula fino al raggiungimento di una quantità massima nell'interstizio oltre la quale il trasporto è saturo (trasporto tubulare massimo). Tale quantità di saturazione è pari a 375mg*min, perché rappresenta una quantità per unità di tempo ovvero una portata, non una concentrazione. Il riassorbimento del glucosio avviene a mezzo di un trasportatore le cui caratteristiche consistono nel fatto che l'energia liberata dal movimento secondo il proprio gradiente elettrochimico del Na+ è utilizzato per trasferire contro gradiente il glucosio. Questo tipo di trasportatore nella prima metà del tubulo prossimale si caratterizza per avere una elevata capacità ma bassa affinità: è contrassegnato dall'acronimo SGLUT2: a fronte di una molecola di Na+ abbiamo una molecola di glucosio che viene trasferita nella cellula. A misura che il glucosio passa nella cellula aumenta la sua concentrazione intracellulare. In seguito il glucosio viene quindi trasferito nell'interstizio mediante un meccanismo di diffusione facilitata, che si incarica di trasferire glucosio da dentro la cellula all'interstizio. (Questo che potrebbe apparire un dettaglio ma se non vi fosse un meccanismo di diffusione facilitata il glucosio tenderebbe a ristagnare all'interno del parenchima renale data la difficoltà a diffondere da esso ed esponendo il soggetto a un deficit ipoglicemico, costituendo un rischio specialmente per il tessuto nervoso. La quantità di glucosio che viene riassorbita è pari al carico filtrato ovvero 125mg/min (facendo riferimento a una concentrazione media di 100mg/100ml). Tipicamente valori al di sopra di 125mg/100ml sono tipici del diabete e valori tra 110-125mg/100ml sono caratteristici di condizioni pre-diabetiche.

II.

Se la concentrazione di glucosio va incrementando e cioè si porta a valori superiori a 125mg/100ml plasma ecco che aumenta il carico filtrato e il carico riassorbito. Quando si raggiunge il valore della concentrazione plasmatica che appunto satura il trasportatore del glucosio. Per valutare tale valore sappiamo da un lato che il trasporto tubolare massimo dal lume all'interstizio fino a una quantità di 375mg/min oltre il quale il carrier è saturo è non è in grado di trasferire una quantità maggiore di glucosio. Pg*VFG è il carico di glucosio filtrato nell'unità di tempo. Quale carico o quantità deve risultare affinché il carico venga saturato al trasporto tubolare massimo? Pg*VFG = Tmax sostituendo valori numerici avremo Pg*125ml/min = 375mg/min. → Pg = 3mg/ml = 300 mg/100ml di plasma. Ora in realtà nel soggetto diabetico la presenza di glucosio nel glomerulo si osserva prima ancora che nel plasma sia stato raggiunto il valore di concentrazione di 300mg/100ml, ovvero intorno a valori di 180-200mg/100ml. Questa concentrazione di 180-200 mg/100ml è altrimenti nota come soglia-renale reale del glucosio, mentre il valore di 300 mg/100ml si considera come soglia renale teorica. La spiegazione consiste nel fatto che:

i) la popolazione dei glomeruli non è omogenea poiché la parte ultrafiltrante presenta una superficie proporzionalmente più sviluppata rispetto alla componente degli stessi nefroni tubulari dove ha luogo il riassorbimento. In condizioni normali di glicemia questa sproporzione non ha effetti e l'intero carico aumentato è riassorbito (clereance = 0) ma quando la glicemia aumenta e ci si avvicina alla saturazione del trasporto ecco che questo divario diventa importante perché il meccanismo del trasporto è presente su una superficie tubulare minore rispetto alla superficie ultrafiltrante e quindi prima ancora che si abbia la saturazione una quota maggiore di glucosio è ultrafiltrata a fronte della quantità riassorbita. (ultrafiltrazione > riassorbimento)

ii) Il meccanismo con cui il trasportatore lega a sé il glucosio è dotato di affinità nei confronti del metabolita del glucosio: un'affinità che per quanto sia elevata è finita. Ora se noi consideriamo la relazione cinetica tra il complesso carrier glucosio esistente a livello della membrana luminale

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avremo che [C-G] ←→ [C] + [G]. Se scriviamo la legge di azione di massa di questo equilibrio per cui il rapporto tra i prodotti [C][G]/[CG] avremo che presenta un valore per quanto modesto > 0 (a causa dell'alto valore di [CG]). La probabilità con cui le molecole di glucosio si legano al trasportatore va riducendosi a misura in cui aumenta il numero delle molecole che si sono legate al trasportatore, quindi l'affinità non è infinita ma finita. Un numero elevato di molecole di glucosio causa che si saturi il numero di posti liberi con cui il carrier si lega al glucosio: alcune molecole quindi non riuscendosi a legare non vengono riassorbite e vengono escrete nelle urine (glicosuria). Si tratta di un processo statistico-probabilistico. La presenza di glucosio nelle urine contribuisce al trascinamento di una certa quantità di acqua costituendo esso stesso una osmole. Aumenta quindi l'ammontare del volume urine escrete dal soggetto. L'aumentato volume urinario comporta disidratazione da parte del soggetto e, conseguentemente, aumentata sete.

Il riassorbimento del glucosio prosegue anche nella seconda parte del tubulo prossimale. A livello dell'interstizio baso-laterale la presenza di glucosio e sodio carbonato nonché amminoacidi comporta il fatto che l'acqua viene drenata, assorbita, lungo la via trans-cellulare e para-cellulare. Poiché però in questa prima metà del tubulo vi è stato riassorbimento di Na+ accompagnato o da HCO3- o da soluti organici ma non dal Cl- ne risulta che il Cl- restando all'interno del lume del tubulo prossimale viene a trovarsi in un volume di solvente minore e come tale si concentra. Ecco dunque che la composizione del liquido che sta abbandonando il tubulo prossimale sia povera di HCO3

-, Glucosio, Amminoacidi, Lattati e molto concentrata di Cl-.

Almeno nella seconda metà del tubulo prossimale la mutata composizione del liquido tubulare e la corrispondente modificazione della popolazione dei trasportatori determinano: i) il riassorbimento del Na+ in associazione al Cl- (quindi complessivamente NaCl), ii) in misura molto minore 2Na+ e Glucosio. Questo riassorbimento del glucosio avviene grazie a un trasporto attivo secondario, molto più affine ma di più ridotta capacità (lega più facilmente il glucosio ma in quantità minore nell'unità di tempo). - La modalità trans-cellulare è caratterizzata da 2 meccanismi di trasporto attivo secondario operanti in parallelo. a) Uno è rappresentanto dall'antiporto Na+/H+,

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b) l'altro dall'antiporto Cl-/anione. Questi anioni derivano dalla dissociazione di sostanze come gli acidi organici (formico citrico ecc.). Ad es. l'acido formico (HCOOH) al PH endocellulare di 7.2, nella cellula del tubulo prossimale, si dissocia in H+ e HCOO- (formiato). Questa dissociazione all'interno della cellula è spostata verso destra ovvero verso i prodotti di dissociazione dell'acido in questione. Lo ione idrogeno è a sua volta estruso nel lume a mezzo di un antiporto Na+/H+ (trasporto attivo secondario), mentre l'anione HCOO- è trasferito nel lume attraverso un antiporto nel quale l'energia è fornita da Cl- che dal lume è particolarmente concentrato e passa secondo gradiente all'interno della cellula. Aumentando la concentrazione dell'acido formico nel lume tende successivamente ad attraversare la membrana luminale passando all'interno della cellula. Ne consegue che la concentrazione dell'acido formico dentro il lume si mantiene indissociato. Una sufficiente quantità di acido formico o di altri acidi organici consente il riassorbimento di una notevole quantità di NaCl. Na+ all'interno della cellula è estruso nell'interstizio mediante la Na+/K+ ATPasi, mentre Cl- esce dalla cellula fino all'interstizio mediante il simporto K+/Cl- (trasporto attivo secondario). Pertanto nell'interstizio basolaterale si accumulerà NaCl.

- L'altra modalità con cui il NaCl viene riassorbito è quella para-cellulare. L'alta concentrazione del Cl- nel lume conseguente al riassorbimento di acqua e l'accumulo nell'interstizio baso-laterale di Na+, di HCO3- ma NON di Cl- (nella prima parte del tubulo prossimale che è impermeabile al Cloro) fa si che il Cl- diffonda ora attraverso le giunzioni serrate inter-cellulari fino all'interstizio. Il lume pertanto diventa meno negativo e si instaura un gradiente elettrico tra il lume e l'interstizio per cui l'interstizio è più carico negativamente rispetto al lume, più carico positivamente. Il riassorbimento del Cl-, del Na+ e degli amminoacidi può in particolari condizioni patologiche essere alterato. Si tratta di una patologia che può essere dovuta a fattori genetici ereditari o anche acquisiti (Sindrome di De Toni-Fanconi-Debré ). In conseguenza che non viene riassorbito HCO3- i soggetti possono incorrere in acidosi metabolica.

[Cl-] - La concentrazione del Cl- dentro il lume è maggiore della stessa dentro il plasma; per il Na+ non sorprende che il suo valore rimanga costante. Ci stiamo riferendo non ad una quantità ma ad una concentrazione ovvero una quantità per unità di volume. [Na+] - La concentrazione del Na+ rimane invariata perché esso si riduce man mano che si procede nel lume ma man mano che si trascina la sua concentrazione permane eguale a quella che esso ha nel sangue (in ordinata abbiamo il rapporto tra la concentrazione nel liquido endotubulare e nel plasma). [Amminoacidi ] - Il riassorbimento degli amminoacidi avviene attraverso un legame con i recettori della membrana luminale in cui sono presenti aminopeptidasi che scindono i peptidi in amminoacidi i quali poi a mezzo del meccanismo di trasporto vengono riassorbiti nella cellula e trasportati nell'interstizio basolaterale. Se questi peptidi si rivelano resistenti alle peptidasi vengono trasferiti all'interno della cellula a mezzo di particolari co-trasportatori i quali trasferiscono questi peptidi all'interno della cellula laddove essi verranno attaccati da enzimi lisosomiali e ridotti ad amminoacidi semplici.

i) Per quanto attiene la degradazione di proteine come ADH o insulina/glucagone legano recettori specifici (sul versante basolaterale), chiamati recettori endocitici multi-ligando. Sono proteine che legano queste catene proteiche e a mezzo di un meccanismo endocitotico mediato da recettore innescano una internalizzazione della membrana laddove il peptide si lega e la creazione di una vescicola endocitotica. Queste vescicole endocitotiche vengono poi a fondersi con lisosomi e

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il loro contenuto viene degradato. ii) Queste proteine analogamente ad altre proteine (ormoni di natura peptidica, come insulina, paratormone, insulina) agiscono sulle cellule del tubulo prossimale legandosi a recettori sul versante baso-laterale. Questi ormoni possono quindi subire un duplice destino: i-a) o vengono attaccati da recettori presenti sulla membrana basolaterale e quindi essere sottoposti all'azione di peptidasi sul versante basolaterale che provvedono ad una preliminare scissione di queste proteine (ADH e paratormone, insulina) i cui prodotti vengono re-immessi in circolo e attraverso la circolazione sistemica vengono nuovamente ultra-filtrati e riportati a ridosso della membrana luminale dove vengono sottoposti all'azione di enzimi presenti sulla superficie di questi. I prodotti peptidici vengono internalizzati mediante trasportatori per peptidi 1 (elevata capacità e bassa affinità) e 2 (bassa capacità e elevata affinità). ii-a)Questi ormoni quando sono riassorbiti in circolo vengono anche attaccati, mediante un processo di endocitosi, dai recettori delle cellule endoteliali dei capillari peritubolari. Ove la pressione tubulare renale venisse meno ecco allora che questi peptidi finirebbero nelle urine. Il riassorbimento in normali condizione comporta che a livello delle urine non vi sia più che un semplice sedimento proteico la cui quantità non va oltre il 30mg. A ciò si aggiunge la proteina di Tamm-Horsfall, la quale è normalmente secreta a livello delle cellule del segmento spesso della branca ascendente dell'ansa di Henle e finisce nel sedimento. Il significato fisiologico di questa proteina non è chiaro, anzi sembra che abbia un ruolo immunologico. Facente parte di questo segmento proteico è la presenze di quelli che vengono indicati come cylindruria (cellule a forma cilindrica). Compresi in questo segmento vi sono cellule dei tratti tubulari - cilindriche - che hanno concluso il loro ciclo biologico e quindi, sfaldate, vengono eliminate con le urine.

Riassorbimento di acqua - I soluti che si accumulano a livello dell'interstizio baso-laterale esercitano una pressione osmotica e dunque ciò è causa del riassorbimento di acqua (iniziata parzialmente nella prima metà e culminante nella seconda metà del tubulo prossimale) che si sposta dal lume all'interstizio. Questo movimento d'acqua ammonta al 67% del volume ultra-filtrato e avviene sia mediante la via trans-cellulare che para-cellulare. - Attraverso la via trans-cellulare avviene mediante canali quali le acquaporine 1 (ce ne sono 11 tipi) presenti sia sul versante luminale che sul versante baso-laterale. L'importanza di queste acquaporine è stata confermata sperimentalmente in topi in cui erano assenti questi canali (gene Knockout). In questi topi si ha riduzione di LEC, riduzione del riassorbimento del 50% (urine iposmotiche). - Attraverso la via para-cellulare l'acqua passa mediante le giunzioni serrate. Tale riassorbimento è detto iso-osmotico perché avviene con un equilibrio della pressione osmotica (= osmolarità) tra il lume e l'interstizio.

Questo riassorbimento avviene quindi nel tubulo prossimale ed è noto anche come riassorbimento obbligatorio (pari al 67%) legato dalla pressione osmotica determinata dai soluti che si sono accumulati nell'interstizio basolaterale. Esso è sempre costante e corrisponde al 67% del volume ultrafiltrato. E' da distinguersi dal riassorbimento facoltativo, che è sotto il controllo dell'ADH, il quale suscettibile di oscillazioni anche ampie in relazione all'entità di soluti osmoticamente attivi che noi assumiamo con la dieta come NaCl. Per considerare compiuto il processo di riassorbimento deve avvenire il passaggio di acqua e soluti a livello dell'interstizio baso-laterale nel capillare peri-tubolare. Questo passaggio avviene sulla base delle forze di Starling che operano tra l'interstizio e il capillare peritubolare. Il volume riassorbito di acqua e soluti risulterà anche qui dalla interazione delle forze che tendono a favorire l'ingresso di acqua e soluti dall'interstizio ai capillari peri-tubolari. Il volume che viene riassorbito è

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dato dal prodotto della costante di filtrazione della parete del capillare peritubolare (Kf) e delle forze che tendono a favorire l'ingresso di soluti attraverso questa parete (la pressione colloido osmotica del capillare peritubolare e la pressione idrostatica presente nell'interstizio basolaterale che per l'accumulo di soluti prima e di acqua poi determina un incremento pressorio) meno le forze ostacolano l'ingresso di acqua e soluti (pressione idrostatica e pressione c ):VR = Kf[ΠCT + PT] – [PCT + ΠT ] → sostiuendo ai simboli algebrici i valori avremo:VR = Kf[ΠCT + PT] – [PCT + ΠT ] → [35mmHg + 3mmHg] – [20 mmHg + 6mmHg] = 12 mmHgche costituisce la forza netta con cui acqua e soluti sono fatti entrare nei capillari peritubulari fino alla circolazione sistemica.

***

Secrezione – il processo di secrezione è consistente col passaggio di soluti dai capillari peritubulari da dove vengono trasferiti nell'interstizio basolaterale e da qui a mezzo di opportuni meccanismi nel lume da dove poi vengono escreti con le urine nell'ambiente. I meccanismi che sono alla base del processo di secrezione non differiscono per i meccanismi connessi al processo di riassorbimento. Ciò che differisce per essi è il senso in cui operano, che è opposto, ovvero dall'interstizio baso-laterale al lume della cellula, e la dislocazione ovvero la posizione in cui tali meccanismi sono presenti. Anche per processi di secrezione vi sono meccanismi passivi che operano sulla base di gradienti elettrochimici (via transcellulare e paracellulare). Anche per la secrezione sono attivi meccanismi di trasporto attivo, sia primario che secondario, a livello della membrana basolaterale che trasferiscono soluti dall'interstizio alla cellula e da qui nel lume. I trasporti attivi sono dislocati piuttosto che sul versante baso-laterale sul versante luminale.Per molti dei soluti che vengono secreti, essendo essi legati nel plasma alle proteine, si può ben comprendere come solo una piccola parte di questi possa essere ultrafiltrata mentre la gran parte, legata alle proteine, sottostà ad un processo di secrezione. Si potrebbe in prima istanza pensare che per tali sostanze non vi sia la possibilità data dalle proteine di essere secrete e invece ciò accade in virtù del fatto che nel plasma il rapporto tra la sostanza X legata alle proteine T è data dall'equilibrio P + X ←→ [PX]. La sostanza X si trova parzialmente in forma libera ed è proprio questa quota che può passare attraverso l'endotelio del capillare peritubulare e di qui attraverso meccanismi presenti sul versante basolaterale può essere prelevata e portata nella cellula onde poi essere secreta nel lume con le urine (via transcellulare). Il rapporto tra la forma legata e quella libera viene progressivamente spostato verso la forma libera (Kd = PX/[[P][X], se P diminuisce a causa della secrezione, per mantenere costante l'equilibrio PX tende a dissociarsi) e quindi verso la dissociazione della molecola legata.

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Le sostanze secrete nel lume del tubulo prossimale riguardano i) la secrezione dei protoni necessari per il riassorbimento di HCO3-, ii) ma riguardano anche sostanze organiche che derivano dal metabolismo cellulare-tissutale e

che non devono superare un determinato livello di concentrazione oltre il quale

presenterebbero tossicità; iii) oppure perché tali sostanze sono del tutto estranee all'organismo (xenobiotici). Le sostanze organiche possono essere o di origine endogena o esogena (farmaci, additivi presenti nei costituenti della dieta o inquinanti assunti dall'ambiente). Queste sostanze esogene vengono secrete attivamente. Questo tipo di sostanze organiche si distinguono in cationi organici oppure anioni organici. Si prenderà in considerazione la secrezione di anioni organici: essi possono essere o endogeni o esogeni. Quelli di origine endogena, derivanti dal metabolismo tissutale, sono: i nucleosidi ciclici, gli ippurati, gli ossalati, i citrati, i folati, vitamine e prostaglandine. Gli anioni di origine esogena sono: acetazolamide, diuretici, i saliciliati, FANS. Prenderemo in considerazione il para-amino-ippurato. L'analisi di questo composto organico si presta per la valutazione del flusso plasmatico renale. Un'altra ragione è di carattere farmaco-cinetico. Il meccanismo di secrezione del para-amino-ippurato è un meccanismo di secrezione attivo secondario limitato da un trasporto tubolare massimo che va da 60-80mg/min. Il trasportatore trasferisce questa sostanza dall'interstizio alla cellula e di qui al lume. La sostanza in questione è in circolo legata in parte anche alle proteine plasmatiche pertanto la sua quantità in cui viene allontanata nell'ambiente esterno con le urine è per il 15-20% avviene per ultrafiltrazione, mentre per l'80% attraverso la secrezione attiva. Per capire il processo in questione muoviamo dal metabolismo attraverso cui un amminoacido è sottoposto: la glutammina. La glutammina a livello delle cellule del tubulo prossimale è processata da una prima reazione grazie alla glutaminasi che porta alla formazione di acido glutammico e di una molecola ione ammonio (NH4

+). La seconda reazione è catalizzata dalla glutammico deidrogenasi che porta alla formazione di un'altra molecola di ione ammonio (NH4

+) e acido alfa-cheto-glutarico. A seguito di tale metabolismo risulta pertanto un aumento di alfa-chetoglutarato. In virtù della sua elevata concentrazione nella cellula del tubulo prossimale rispetto all'interstizio baso-laterale e in virtù della sua carica negativa, l'alpha-cheto-glutarato diffonde dalla cellula all'interstizio. - Sul versante baso-laterale vi è un simporto (trasporto attivo secondario, NaDC) nel quale il Na+, che diffondendo dall'interstizio si porta a livello intracellulare seguendo il suo gradiente, fornenisce l'energia per trasferire nello stesso senso ma contro gradiente l'alpha-cheto-glutarato che era uscito, nuovamente all'interno della cellula. E' proprio questo metabolita che nel diffondere dalla cellula all'interstizio baso-laterale fornisce l'energia per trasferire in senso opposto (anti-porto) l'acido para-amino-ippurico, ma anche tutti gli altri anioni organici AO-. Il para-amino-ippurato accumulato dentro la cellula viene in seguito secreto nel lume*. - Si pensa che sul versante luminale vi è un antiporto* (OAT4) che scambia AO- (fuori dalla cellula) con l'alpha-cheto-glutarato (dentro la cellula). Questo trasporto attivo secondario è limitato dal trasporto tubulare massimo. - Un'altra modalità che si ipotizza per favorire la secrezione è quella legata ad un certo tipo di sostanze contrassegnate dall'acronimo MRP-2 (multi drug resistance associated protein): si tratta di trasportatori associati ad attività ATPasica. Si tratta di proteine estrudono molecole nel lume che potrebbero avere effetti tossici di cui la cellula può quindi essere liberata.

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Principio di conservazione della massa. La quantità di una sostanza plasmatica che nell'unità di tempo attraversa il flusso plasmatico renale è PX

A*FPR = PXV FPR + Ux*V → FPR = Ux*V/( PX

A – PXV )

PXA e PX

V possono essere misurate mediante il prelievo da qualunque arteria e dalla vena renale. Tuttavia l'accesso alla vena renale può essere fatta cateterizzano il soggetto, cosa che però può comportare un pericolo di lesione della parete dei vasi. Se si somministrasse una sostanza x che una volta nel plasma in un solo passaggio potesse essere sottratta e secreta con le urine si potrebbe annullare PX

V poiché per definizione sarebbe uguale a 0.FPR = Ux*V/PX

A. Affinché risulti che PXV= 0 la concentrazione di para-ammino-ippurato deve

avere una concentrazione plasmatica minore rispetto a quella che saturerebbe il trasporto tubulare massimo (70mg/min).

E' sufficiente una concentrazione PPAIA di 0,02mg/ml di PAI corrispondenti a una concentrazione

urinaria UPAI di 14mg/ml. Il flusso urinario V = 0,9mg/ml. FRP = 14 mg/ml*0,9mg/ml/0,02mg/ml. = 630ml/min. Questo è il valore del flusso esprime la clereance del PAI, cioé il volume di plasma che in un minuto viene completamente depurato dal PAI. Il volume di plasma che in un minuto viene depurato è un volume reale cioé tutto il plasma che nell'unità di tempo di 1 minuto ha perfuso il rene è stato depurato dal PAI. La concentrazione del PAI nel sangue in seguito dovrebbe dunque essere uguale a 0.Da delle misure è emerso che nel sangue venoso la concentrazione del sangue non è del tutto uguale a 0. L'estrazione del PAI era infatti di 90% mentre il restante 10% restava nel sangue e dunque continuava a essere rilevabile nel sangue venoso refluo del rene. Ciò perché il sangue che arriva con l'arteria renale non è solamente mandato al nefrone nel tubulo prossimale dove è presente il meccanismo di secrezione ma parte irrora il parenchima dove non sono presenti i nefroni, ma strutture renali e extrarenali, con funzione nutritizia, che non posseggono strutture di filtrazione. Questo, mescolandosi col sangue che proviene dal nefrone spiega la presenza della modesta presenza del PAI nel sangue refluo venoso. Pertanto il flusso plasmatico renale FPR pari a 630ml/min è chiamato flusso plasmatico renale effettivo, cioé il flusso di sangue che è passato esclusivamente dai nefroni. Se vogliamo conoscere il flusso plasmatico renale totale, dovremo considerare 630 il 90% del flusso plasmatico renale totale che sarà circa pari a 700 ml/min. Dal flusso plasmatico renale totale possiamo risalire al flusso ematico reale, giacché lo scopo di questa procedura è la valutazione del flusso di sangue complessivo, ove si conosca l'indice ematocrito ovvero il rapporto della parte corpuscolata di sangue (45% è la componente

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corpuscolata, mentre il 55% è il plasma). Quest'indice comporta una variazione della viscosità e quindi della resistenza e del flusso.

Se FPRtot = 700ml/min allora 700ml/min :55 = x:100 → x = 700*100/55 = 1272 ml/minEcco dunque il flusso ematico totale che rappresenta ¼ della gittata cardiaca (25%), un valore particolarmente elevato ove lo si compari alla % che i 2 reni hanno in relazione al volume e peso corporeo. I meccanismi di secrezione attiva sono caratterizzati da una saturabilità legata al trasporto tubolare massimo, proprio perché essi possono legarsi a più anioni organici (bassa specificità). Questo aspetto va tenuto presente anche dal medico di base. Al meccanismo in questione possono legarsi sostanze nell'ambito degli anioni organici come le penicilline. Il fatto che sullo stesso trasportatore convergono sia le penicilline che altre sostanze in grado di legarsi riduce la quantità di antibiotico che il trasportatore lega e secerne poi. In questo modo viene allungata la emivita del farmaco, ovvero la permanenza del farmaco in circolo e quindi gli effetti terapeutici di questa sostanza. Se si legasse solamente l'antibiotico ne risulterebbe che una più immediata eliminazione del farmaco comporterebbe una somministrazione maggiore per ottenere gli stessi effetti terapeutici. Così competendo su questi trasportatori sia il farmaco specifico che un'altro anione aspecifico ha il vantaggio di allungare l'emivita e aumentare gli effetti terapeutici nonché ridurre la dose di somministrazione con la riduzione degli effetti collaterali che ogni farmaco comporta.

***

- L'ansa di Henle riassorbe circa il 25% del carico filtrato di NaCl e il 15% dell'acqua filtrata. Il riassorbimento di NaCl avviene nei tratti ascendenti sottile e spesso (per meccanismo passivo), mentre nel tratto discendente sottile non riassorbe NaCl. Il riassorbimento dell'acqua ha luogo quasi esclusivamente nel tratto discendente sottile mediante il canale idrico AQP1 mentre il tratto ascendente dell'ansa è impermeabile all'acqua. Il riassorbimento di acqua ma non di NaCl nel tratto discendente sottile aumenta la concentrazione di NaCl nel liquido tubulare che entra nel tratto ascendente sottile. Qui pertanto NaCl diffonde fuori attraverso il tubulo ed entra nell'interstizio secondo gradiente. - Anche Ca2+ e HCO3- vengono riassorbiti dall'ansa di Henle. L'elemento chiave per il riassorbimento di soluti da parte del tratto ascendente è la Na+/K+ATPasi.Il riassorbimento di qualsiasi sostanza è dovuto a questa pompa ionica la cui attività serve a

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mantenere bassa la concentrazione intracellulare di Na+ e fornire il gradiente chimico necessario a trasferire Na+ dal liquido tubulare alla cellula.

- L'assunzione cellulare di Na+ attraverso la membrana cellulare apicale del tratto ascendente spesso è mediato da un simporto 1Na+/1K+/2Cl- che accoppia il trasporto di 1Na+ con il trasporto di 2Cl- e 1K+ all'interno della cellula. (utilizzando l'energia potenziale liberata dal movimento di Na+ e Cl- lungo il loro gradiente per alimentare il trasporto di K+ all'interno della cellula).

Il canale K+ della membrana plasmatica apicale ha un ruolo chiave nel riassorbimento di NaCl da parte del tratto ascendente spesso dell'ansa di Henle. Questo canale consente al K+ di essere trasferito nella cellula mediante il simporto 1Na+/1K+/2Cl- e di ritornare indietro nel liquido tubulare. Nel liquido tubulare la [K+] è relativamente bassa e questo K+ è necessario per continuare le azioni del simporto 1Na+/1K+/2Cl-. - Un antiporto Na+/H+, presente nella membrana cellulare apicale del tratto ascendente spesso media il riassorbimento di Na+ e la secrezione di H+ nel tratto ascendente spesso. Il Na+ pergiunto all'interno della cellula la lascia poi attraverso la membrana basolaterale mediante la Na+/ K+ ATPasi. Il K+ il Cl- e l'HCO3- lasciano la cellula attraverso la membrana basolaterale. - Nel tratto ascendente spesso il liquido tubulare è positivo rispetto al sangue: (i) l'aumentato trasporto di NaCl da parte del tratto ascendente spesso aumenta l'entità del voltaggio positivo nel lume; (ii) questo voltaggio provoca il riassorbimento attraverso la via paracellulare di diversi cationi, inclusi Na+, K+, Ca2+. Per riassumere il riassorbimento di sali attraverso il tratto ascendente spesso avviene attraveso 2 vie: la via transcellulare e la via para-cellulare. Il 50% del trasporto è transcellulare e il 50% è paracellulare. Poiché il tratto ascendente spesso è impermeabile all'acqua il riassorbimento di NaCl e di altri soluti riduce l'osmolarità del liquido tubulare a meno di 150 mOsm/KgH2O, più diluito quindi rispetto al plasma (il tratto viene chiamato pertanto “segmento diluente”).

***

Il liquido endotubulare lascia il segmento spesso della branca ascendente e imbocca il tubulo distale e il dotto collettore. Gli eventi che hanno luogo nel tubulo distale sono caratterizzati dal riassorbimento del NaCl in ragione dell'8% circa. (ci si rende conto che il carico NaCl è pressoché già tutto riassorbito). In questo tratto ha luogo il riassorbimento dall'8% al 17% di acqua. Questo è un rango caratterizzato da una certa variabilità che costituisce il così detto riassorbimento facoltativo dell'acqua, in relazione alle condizioni dietetiche che dalla dispersione idrica connessa all'attività fisica e climatica. Nel tubulo distale hanno luogo riassorbimento e secrezione di H+ e K+.

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Nei primi 2/3 del tubulo contorto distale il riassorbimento che ha luogo è quello del NaCl. Questo riassorbimento avviene ad opera di un sinporto in cui un carrier attivo secondario trasferisce Na+ e Cl- dal lume alla cellula. Na+ viene estruso dall'interstizio ad opera della pompa Na+/K+ATPasi mentre il Cl- passa nell'interstizio attraverso specifici canali, mosso dalla negatività interna alla membrana. Questo riassorbimento di NaCl avviene senza che esso sia seguito dal drenamento di acqua in quanto la prima parte del tubulo distale è impermeabile all'acqua. Da ciò deriva il fatto che la osmolarità del liquido endotubolare nel segmento del tubulo contorto distale risulti ulteriormente ridotta cioé a valori si 100mOSM/KgH2O . Cellule intercalate e principali - Da qui il liquido endotubolare passa nell'ultimo tratto del tubulo contorto distale e nel dotto collettore: qui vi sono 2 popolazioni di cellule, le cellule intercalari e le cellule principali. Le cellule principali sono deputate al riassorbimento di NaCl e acqua e alla secrezione di K+. Le cellule intercalate sono cellule che intervengono nel controllo dell'equilibrio acido base, ovvero alla regolazione del Ph extracellulare.

Cellule principali - (Na+) - Il Na+ diffonde secondo il gradiente dal lume alla cellula principale senza essere seguito dal Cl e si muove a mezzo di specifici canali dati da 3 subunità: da qui mediante la pompa Na+/K+ATPasi viene estruso nell'interstizio. Ne risulta che la membrana luminale è divenuta ora più negativa. Ciò è fondamentale perché questa negatività della membrana luminale interna alla cellula spiega il susseguente movimento del Cl- per via para-cellulare, attraverso le giunzioni. B

(K+) - Inoltre il K+ diffonde nel lume proprio in virtù del fatto che non solo sussiste un gradiente tra la cellula ove la concentrazione endocellulare è 150 meq/L e il lume ma anche perché oltre al gradiente chimico esiste un gradiente elettrico dovuto al fatto che la superficie luminale è più carica negativamente (per riassorbimento di Na+). La d.d.p. lume-ambiente endocellulare si è ridotta e viene meno quella forza che tenderebbe a mantenere il K+ all'interno della cellula. Questa forza è più ridotta sul versante luminale di quanto non lo sia quella baso-laterale dove invece la superficie è più carica positivamente: questa è la ragione che spiega la diffusione del K+ sul versante luminale. La permeabilità stessa della membrana luminale è maggiore di quanto non lo sia quella baso-laterale. Ciò è anche alla base della sindrome di Barret. (H2O) - Il riassorbimento da parte delle cellule principali sia del tubulo distale che del dotto collettore oltre che comportare il riassorbimento del Na+ e la secrezione di K+ sono preposte

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anche al riassorbimento di acqua. Il riassorbimento dell'acqua è determinato esclusivamente in questo segmento alla presenza dell'ormone antidiuretina che agisce sui recettori presenti sulla membrana baso-laterale e a mezzo di questi induce sul versante luminale – attraverso un processo che prevede l'attivazione dell'adenilato ciclasi e la formazione di cAMP cui segue l'attivazione del PKA che attivano canali preesistenti all'interno del citoplasma determinandone l'inserimento sulla membrana luminale, le acquaporine 2, attraverso cui acqua può diffondere nella cellula. Le acquaporine 3 e 4 dislocate sul versante baso-laterale consentono poi all'acqua che entra nella cellula di diffondere al di fuori ed essere riassorbita dal sistema capillare dei vasa recta.

Cellule intercalate - Per quanto attiene le cellule intercalate, che sono anch'esse presenti in quest'ultimo tratto del tubulo, esse sono importanti perché a mezzo di esse il rene contribuisce all'omeostasi acido base dell'organismo. Nell'ambito di queste cellule si distinguono 2 popolazioni:

- una popolazione alpha deputata alla secrezione di H+ nel lume e riassorbimento di HCO3- (di esso avevamo già detto che il riassorbimento per l'80% avveniva nel tubulo prossimale e il restante 10% nel segmento spesso della branca ascendente dell'ansa di Henle) suddiviso per il 6% del totale al livello del tubulo contorto distale e il restante 4% a livello del dotto collettore. Questo ultimo 10% complessivamente è quindi riassorbito dalle cellule intercalate della popolazione alpha.

Il riassorbimento in questione muove sempre dalla reazione endocellulare di idratazione delle cellule mediata dall'anidrasi con la formazione di H+ e HCO3-. Gli ioni H+ sono secreti nel lume mediante H+ATPasi e l'antiporto H+/K+ ATPasi. Pertanto l'H+ secreto attivamente nel lume reagisce con il HCO3- che ricostituisce acido carbonico che poi a mezzo di un'altra isoforma di anidrasi carbonica dislocata sull'orlo a spazzola del lume dissocia il composto in questione in CO2 e H2O. CO2 ritorna pertanto nella cellula (è molto permeabile). Dal versante baso-laterale un antiporto Cl-/HCO3- trasferisce, mediante l'energia che fornisce il Cl- nel portarsi nella cellula (si ricordi che NaCl nei tratti precedenti viene trasferito nell'interstizio), il HCO3- nell'interstizio. Il Cl- in seguito viene espulso dalla cellula nell'interstizio. Questo contenuto di HCO3- che viene restituito al LEC non ripristina l'intera quantità che in normali condizioni è presente. Perché? Come vedremo a livello di questo tratto tubulare ha luogo una neo-sintesi di HCO3-. Si parla di “neo-” perché essendo totalmente riassorbito è necessaria nuova sintesi. Questi HCO3- nell'arco delle 24 ore furono utilizzati come tampone per tamponare una pari quantità di H+ derivanti dal metabolismo cellulare dell'organismo. Questo quantitativo di H+ derivanti da questi acidi fissi nell'arco di 24 ore ammonta a 1mEq/Kg di peso corporeo. Ne risulterebbe che per un soggetto di 70Kg corrisponderebbero 70mEq che nell'arco di 24 ore vengono riversati nel LEC dal metabolismo tissutale. Questi protoni devono essere tamponati perché se così non fosse determinerebbero un abbassamento del PH tale da compromettere le funzioni cellulari. Allora il tamponamento di questi protoni H+ è assolto dalla base HCO3- fornita dal sistema acido carbonico/bicabonato. Ne risulta H2CO3 che ad opera dell'anidrasi si trasforma in CO2 e H2O. la CO2 viene allontanata nell'ambiente esterno mediante l'espirazione. In sostanza 70 mEq di HCO3- devono quindi essere restituiti all'organismo per tamponare gli acidi fissi. A livello delle cellule intercalate del tubulo distale collettore deve esser formato una certa quota di HCO3- utile a tamponare gli acidi fissi. La neosintesi dei HCO3- comportando una secrezione di H+ pone il problema di dove tali H+ nel lume vengono tamponati. (si veda in seguito la trattazione dell'equilibrio acido-base).

- Le cellule intercalate di tipo Beta hanno il compito di secernere ioni HCO3- nel lume e H+ nell'interstizio (è il contrario di quanto fanno le cellule intercalate alpha). Queste cellule sono sempre preposte all'idratazione della CO2 e mediante un trasporto attivo primario H+ATPasi estrudono il protone H+ derivato dalla dissociazione dell'acido carbonico dal lume all'interstizio mentre HCO3- viene estruso nel lume a mezzo dell'antiporto Cl-/HCO3- dislocato questa volta sul versante luminale. Questo tipo di cellule intervengono nelle alterazioni caratterizzate da alcalosi o respiratorie o metaboliche, circostanze in cui il rene interviene con una risposta compensatoria

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attraverso una aumentata escrezione di HCO3-, in modo da riportare il PH ai valori normali. *** Regolazione umorale del riassorbimento - I processi di riassorbimento e secrezione sono sotto il controllo di alcuni fattori e di natura umorale e di natura “fisico- meccanica”. Nell'ambito dei fattori di natura umorale vi è in primo luogo: i) angiotensina 1. E' molto importante perché deriva innanzitutto dall'attivazione del sistema angiotensina aldosterone. E' un fattore che consegue ad una riduzione del liquido extracellulare o da un incremento della concentrazione extracellulare di K+ (iperkalemia). Agisce sia a livello del tubulo prossimale attivando l'antiporto Na+/H+ quindi incrementando il riassorbimento di NaCl e acqua, ma anche a livello del segmento spesso dell'ansa di Henle e del distale collettore. Questo fattore determina un incremento del volume del LEC ma anche un incremento delle resistenze periferiche per via del suo marcato effetto vasocostrittore. E' su questa base che si spiega l'azione di quei farmaci ACE inibitori, ovvero di quell'enzima che converte angiotensina i in angiotensina ii. L'effetto di questi farmaci è triplice: inibendo la conversione di angiotensina 1 in 2 inibiscono: a) in primo luogo la liberazione di aldosterone; b) in secondo luogo viene meno il riassorbimento di NaCl nel tubulo distale e collettore e con esso il volume di acqua, c) in terzo luogo vengono ridotti gli notevolmente gli effetti vasocostrittori e quindi riducendosi le

resistenze si riduce la pressione; d) infine la ridotta presenza di angiotensina 2 consente la presenza in circolo di bradichinina che è

normalmente degradata dall'angiotensina 2. In assenza di angiotensina 2 ad effetto degradante la bradicinina può svolgere il suo potente effetto vasodilatatorio.

ii) Aldosterone. L'aldosterone è liberato dalla glomerulare del surrene (tra la capsula e la zona fascicolata). I 2 fattori che inducono la liberazione di questo ormone sono la riduzione del LEC attraverso l'attivazione del sistema renina-angiotensina e la iperkalemia. L'iperkalemia è un valore dato da concentrazioni maggiori di 5 mEq/L essendo il valore normale della concentrazione extracellulare di K+ di 4 mEq/L, potendo oscillare tra un minimo di 3,5 un massimo di 5. (Diremo allora di ipokalemia quano il valori sono <3,5 e d iperkalemia quanto la concentrazione di K+ supera i 5 mEq/L). L'aldosterone influisce sul tubulo distale e collettore e in misura minore sul segmento spesso della branca ascendente dell'ansa di Henle: - in primo luogo opera sulla pompa Na+/K+ ATPasi, quindi sulla espressione dei canali specifici del Na+ presenti sul versante luminale; - in secondo luogo induce l'espressione di una proteine con acronimo SGK (serum glucocorticoid stimulated kinase). Si tratta di una kinasi che è stimolata dai glucocorticoidi e che è dipendente dalla presenza di aldosterone. Il ruolo di questa kinasi è attivare una proteasi, detta prostatina, che a sua volta aumenta la cinetica dei canali specifici per il Na+ e del loro numero e un aumento del numero delle molecole Na/K ATPasi presenti nella membrana baso-laterale. Ciò non sorprende giacché in questo modo l'attivazione della pompa Na+/K+ ATPasi contribuisce estrudendo Na+ endocellulare e mantenendo alto il gradiente tra il lume e l'interno della cellula affinché vi sia un aumentato ingresso dei Na+ (e acqua trascinata per osmosi) e una estrusione di K+ nel lume (contrasta quindi l'iperkalemia); Questa kinasi SGK inoltre inibisce la ubiquitina ligasi, una proteine che tende a favorire la internalizzazione dei segmenti di membrana dove sono presenti i canali per il Na+ esponendoli poi agli enzimi lisosomiali. La kinasi fosforilata inibendo la ubiquitina ligasi consente che un maggior numero di canali specifici per il Na+ permanga sulla membrana luminale e non venga endocitato all'interno della cellula ( → risultato aumenta il riassorbimento di Na+).

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La sindrome di Liddle (o pseudoaldosteronismo) è una rara malattia genetica caratterizzata da un aumento del volume del liquido extracellulare LEC che provoca un aumento della pressione sanguigna. La sindrome di Liddle è dovuta a mutazioni attivanti geni che codificano per la sub-unità beta o gamma del canale epiteliale del Na+, il quale canale viene degradato dall'ubiquitina ligasi in modo più lento, incrementano il numero dei canali del Na+ nella membrana cellulare apicale e aumentano la quantità di Na+ riassorbito da ciascun canale. Si verifica quindi un riassorbimento renale di Na+ a velocità troppo elevata che comporta un incremento del volume del liquido extracellulare e quindi ipertensione. Esistono poi 2 forme di pseudo-ipoaldosteronismo (il rene riassorbe NaCl come quando i livelli di aldosterone sono bassi; tuttavia in questa sindrome i livelli di aldosterone sono elevati. La forma autosomica recessiva è provocata da mutazioni attivanti nelle subunità Alpha Beta e Gamma del canale epiteliale del Na+ (maggiore). La forma autosomica dominante è la mutazione inattivante del recettore mineralcorticoide. Gli effetti in questo caso sono simili all'ipoaldosteronismo in quanto venendo meno il numero e la cinetica dei canali per il Na+ vie è un incremento di secrezione di Aldosterone senza che ciò si associ ad un aumento del riassorbimento per il Na+. Lo pseudoaldosteronismo è caratterizzato da un aumento dell'escrezione di Na+, da riduzione del volume del LEC, iperkalemia e ipotensione. L'aldosterone è normalmente secreto in condizioni normali. La sua maggiore o minore secrezione è legata a variazioni del LEC e della kalemia, ma in normali condizioni l'aldosterone sia normalmente secreto nel determinare l'omeostasi. Laddove vi sia un ridotto LEC oppure un notevole incremento della kalemia aumenta la secrezione di aldosterone, viceversa un incremento del LEC o una ipokalemia comportano una minore secrezione.

iii) Abbiamo a influire sul tubulo distale collettore il peptide natriuretico atriale. Esso è secreto dalle miociti delle pareti degli atri cardiaci, insieme al peptide natriuretico cerebrale secreto dalle cavità ventricolari. Entrambi sono secreti laddove vi è un aumento sensibile del LEC che risulta in una distensione e delle pareti atriali e di quelle ventricolari. Le azioni dei peptidi natriuretici sono le seguenti: a) dilatano le arteriole afferenti e costringono quelle efferenti del glomerulo. Questo incrementa la VFG e anche il carico filtrato di NaCl.

b) Inibiscono il riassorbimento di NaCl da parte del dotto collettore. Questa inibizione è dovuto in parte ai ridotti livelli di aldosterone, ma anche ad una azione diretta dei peptidi natriuretici sulle cellule del dotto collettore. (Questi peptidi inibiscono il riassorbimnto di NaCl agendo attraverso il secondo messaggero GMPc che inibisce i canali cationici della membrana apicale delle cellule.

c) inibiscono la secrezione di renina (secreta a livello renale ad opera delle cellule granulari

dell'apparato iuxtaglomerulare). d) inibiscono la secrezione di aldosterone da parte delle cellule della glomerulare del surrene. Questo si verifica attraverso 2 meccanismi (a) inibendo la liberazione di renina e , quindi, inibendo la produzione da parte dell'aldosterone dell'angiotensina II; (b) inibendo direttamente le cellule della glomerulare della surrenale che producono aldosterone. e) inibiscono la secrezione di ADH da parte dell'ipofisi posteriore e inibiscono anche l'azione

dell'ADH sul dotto collettore, riducendo quindi il riassorbimento di acqua da parte del dotto;

pertanto l'escrezione urinaria di acqua aumenta.

iv) L'altro peptide natriuretico è l'urodilatina, prodotto dal rene spesso. La secrezione di questo peptide è anch'essa stimolata dall'aumento di perfusione renale e quindi è prodotto a livello delle cellule del tubulo distale e collettore. E' un peptide che ha un'azione più intensa

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del peptide natriuretico atriale. Mentre infatti il peptide natriuretico atriale è stato in parte sottoposto all'azione delle endopeptidasi nel circolo sistemico, la urodilatina non è stata sottoposta al circolo sistemico e conserva una azione più potente.

v) uro-guanidina e guanidina. Si tratta di fattori che agiscono sul rene con effetti natriuretici la cui liberazione coincide con l'assunzione con la dieta da parte del soggetto di NaCl. Il NaCl assunto con la dieta induce su cellule a livello intestinale la secrezione di questi 2 fattori che messi in circolo agiscono a livello del rene inducendo attraverso la formazione di GMPc la inibizione del riassorbimento del NaCl. vi) Il tubulo renale è a sua volta sottoposto all'azione delle catecolammine, derivate dalle terminazioni post-gangliari ortosimpatiche che innervano il tubulo nonché dalla midollare del surrene. In condizioni normali il tono che la innervazione esercita sia a livello dei vasi che dell'epitelio dei tubuli è assai scarsa. Diventano invece importanti le influenze sia delle terminazioni post-gangliari e del mediatore liberato da queste - ovvero la noradrenalina - sia dalle catecolammine liberate dalla midollare del surrene (adrenalina) quando vi è una caduta pressoria del volume circolante efficace conseguente ad es. da emorragia. In questi la caduta pressoria attiva il sistema ortosimpatico attraverso i barocettori. La noradrenalina induce un'intensa risposta vasocostrittoria dell'arteriola afferente ed efferente, che provoca una riduzione di FER e VFG. L'aumento dell'attività simpatica incrementa anche la produzione di angiotensina II, provocando ulteriore vasocostrizione e caduta del FER e VFG. L'aumento della resistenza vascolare del rene e degli altri letti vascolari provoca aumento della resistenza periferica totale; questa resistenza, incrementando la pressione sanguigna, tende ad annullare la riduzione della pressione arteriosa media provocata dall'emoraggia. Questo sistema lavora quindi per preservare la pressione arteriosa sacrificando il livelli normali di FER e VFG.

vii) Un altro fattore umorale che agisce sul rene è l'adrenomedullina, un fattore umorale costituito da 52 amminoacidi secreto in diversi organi tra cui il rene, in caso di insufficienza cardiaca congestizia. Questo determina un aumento del volume ultrafiltrato e al tempo stesso un ridotto riassorbimento di NaCl.

viii) L'antidiuretina o vasopressina o ADH interviene anch'essa direttamente sul tubulo renale.La sintesi di questa è incrementata ogniqulavolta aumenta l'osmolarità extracellulare dell'1-2% o un decremento del 5-10% o della pressione arteriosa sistemica (ipotensione) o del volume circolante efficace (che sono strettamente legati). Riduzione dell'osmolarità o incrementi pressori inibiscono la liberazione della vasopressina.

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L'ormone agisce a livello del dotto collettore (zona iperosmotica dove promuove l'inserimento, a livello della membrana apicale delle cellule epiteliali tubulari, di proteine chiamate acquaporine, che aumentano il riassorbimento dell'acqua. Vengono così escrete urine ridotte in volume e concentrate (ipertoniche) fino a 1200 mMol/l(antidiuresi). Viceversa per una diminuzione di osmolarità del plasma si avranno urine diluite (300 mMol/l). - La vasopressina lega recettori specifici denominati V2 (accoppiati a proteine G stimolatorie) situati sulla membrana basolaterale delle cellule del tubulo contorto distale. Le proteine G stimolatorie attivano l'enzima adenilato ciclasi con formazione di cAMP e Pi a partire da ATP. Il cAMP attiva una cascata di segnali (PKA dipendenti) che termina con l'inserzione nella membrana plasmatica apicale delle acquaporine tramite un processo di esocitosi delle vescicole. In caso di diminuzione della vasopressina le acquaporine saranno nuovamente internalizzate nella cellula tramite endocitosi. Il processo tramite cui porzioni di membrana vengono inserite o tolte dalla membrana plasmatica è noto come riciclaggio di membrana. - La vasopressina inoltre aumenta la permeabilità all'urea a livello della porzione midollare dei dotti collettori, determinando un aumentato riassorbimento di urea nell'interstizio della midollare renale, in seguito al gradiente di concentrazione creato dalla rimozione di acqua nella porzione corticale dei dotti collettori. L'urea, a livello degli osmocettori ipotalamici, diffondendo liberamente attraverso le membrane, non costituisce uno stimolo per l'inibizione del rilascio di vasopressina. - Un'altra funzione della vasopressina nel rene è quella di stimolare il riassorbimento di Na a livello della porzione ascendente dell'ansa di Henle.

Fattori fisici che influenzano il riassorbimento - Nell'ambito dei fattori fisico-meccanici che influenzano il riassorbimento vi sono i parametri che rientrano nelle forze di Starling operanti a livello del tubulo prossimale(dove avviene gran parte del riassorbimento). A livello del tubulo distale la permeabilità dei capillari peritubolari è più elevata di quella che si riscontra nel restante tratto del tubulo, a livello della parete capillare peritubolare. A livello dell'interstizio baso-laterale e della parete capillare peritubolare la capacità di riassorbimento è funzione di un coefficiente di filtrazione Kf della parete del capillare peritubolare per le forze che vengono a muovere il liquido dall'interstizio all'interno del lume e che sono date da un lato dalle forze che tendono a mantenere il liquido all'interno del capillare (la Pi + πc) meno le forze che tendono a far uscire il liquido dal capillare ( Pc + πi ). Queste forze influiscono sull'entità del riassorbimento e quindi sull'entità di acqua e di NaCl che viene eliminato col volume urinario. Aumento Pc - Una variazione della pressione della arteriola afferente comporterà uno aumento della pressione idrostatica della rete capillare peritubolare che a sua volta rappresenterà una forza che si oppone all'ingresso di acqua e soluti e quindi osserveremo pertanto un minore riassorbimento ed una maggiore retro-diffusione dall'interstizio al lume giacché riducendosi il riassorbimento per il passaggio di acqua e soluti dall'interstizio all'interno del capillare ciò comporta una retro-diffusione attraverso la bassa resistenza delle giunzioni serrate e ciò favorirà un minor riassorbimento sia di acqua che di soluti. Diminuzione Pc - Viceversa una riduzione del diametro dell'arteriola afferente si tradurrà in una minore pressione idrostatica della rete capillare peritubolare e quindi ciò favorirà il maggior riassorbimento perché minore è la forza che si oppone all'ingresso di acqua e soluti. Per ciò stesso si riduce la retrodiffusione. Ciò per quanto attiene il ruolo della pressione idrostatica peri-tubolare nel favorire o meno il riassorbimento.

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Aumento e diminuzione πc- L'altro fattore è dato dalla pressione colloido-osmotica la quale è la pressione esercitata dalle proteine plasmatiche. Assumendo il flusso plasmatico costante nell'arteriola afferente quando si forma una quantità minore di filtrato (quando cioé VFG si riduce) le proteine plasmatiche che si immettono nell'arteriola efferente e, successivamente, nei capillari peritubolari diventano meno concentrate (se una quantità maggiore di ultrafiltrato il sangue sulla arteriola efferente è più concentrato quindi la pressione colloido-osmotica è maggiore). Quindi la pressione oncotica peritubolare si riduce. La pressione oncotica peritubolare dipende direttamente dalla frazione di filtrazione o FF = VFG/FPR (si ricordi che le due grandezze sono disaccoppiate!). Quando FF si riduce per una riduzione di VFG con il flusso plasmatico renale costante ( FPR =k) si riduce anche la pressione oncotica dei capillari peritubolari. Questa riduzione a sua volta incrementa la retrodiffusione di NaCl e acqua dallo spazio intercellulare laterale al liquido tubulare e, quindi, si riduce il riassorbimento netto di acqua e soluti attraverso il tubulo prossimale. Un incremento della FF ha un effetto opposto. All'aumento della VFG non solo aumenta la πc ma si riduce anche la Pc, perché essendo maggiore il volume di ultrafiltrato è minore per ciò stesso il volume di sangue che imbocca i capillari peritubolari e la stessa pressione idrostatica ne risulterà più ridotta. Da un lato l'aumento della pressione colloido osmotica dall'altro la riduzione della pressione idrostatica sono entrambi eventi favorevoli al riassorbimento. Questo va da sé assumendo il FRP costante.

- L'equilibrio glomerulo tubulare (da non confondere con il feedback glomerulo tubulare) è un meccanismo di carattere omeostatico volto ad attenuare l'incidenza che le variazioni della VFG, conseguenti a modificazione posturale e quindi fisiologiche dell'organismo, possono avere sulla escrezione di Na+ che a sua volta si trascinerebbe acqua per ragioni osmotiche, incidendo sul volume circolante efficace e quindi sulla pressione sanguigna.

a) Il primo meccanismo in questione consiste nel fatto che il riassorbimento da parte del tubulo prossimale di Na+ e acqua procede in maniera strettamente proporzionale o parallela all'entità del carico ultrafiltrato di Na+ (quantità di Na+ ultrafiltrata nell'unità di tempo) e al volume ultrafiltrato complessivo. In che modo si realizza questo bilancio? Attraverso i meccanismi precedentemente presi in considerazione ovvero le forze di Starling. Se vi è una variazione della frazione di filtrazione (FF= VFG/FPR ), ad es. un incremento di questa, noi avremo un aumento della pressione colloido-osmotica (!). Un aumento della pressione colloido-osmotica del sangue che lascia il glomerulo con le arteriole efferenti e in seguito entra nella rete capillare peritubulare favorirà un maggiore riassorbimento di acqua e Na+. Pertanto se vi è stato un aumento della FF significa che vi è stato un aumento del carico ultrafiltrato di Na+ e della VFG. Quindi questo aumentato carico ultrafiltrato di Na+ e l'aumentata VFG saranno accompagnati da un aumentato riassorbimento e di acqua e di Na+. Ecco quindi il carattere di proporzionalità o costanza del rapporto tra Carico Filtrato/Na+ e VFG e Carico Riassorbito di Na+ e acqua. Nel tubulo prossimale infatti in normali condizioni viene riassorbito circa il 67% di acqua Na+, Cl-, K+. L'opposto consegue laddove vi sia una riduzione della frazione di filtrazione, situazione in cui osserviamo una minore VFG e un minore carico ultrafiltrato di Na+, che si associa ad un minore incremento della πc a livello dei capillari peritubolari, che si associa ad una quantità minore riassorbimento di Na+ e acqua. b) Il secondo meccanismo col quale si realizza il bilancio glomerulo tubulare è legato invece al carico o alla quantità di soluti che vengono ultra-filtrati. Si ricordi che nello spazio capsulare di Bowman (SCB) vengono ultrafiltrati Na+, K+, Cl-, amminoacidi, glucosio e altre piccole molecole organiche. Che cosa comporta l'ultrafiltrazione di tali composti organici? A misura che aumenta il carico ultrafiltrato di questi soluti organici, vi è un aumentato riassorbimento di Na+ poiché questi ultimi entrano a far parte del meccanismo di trasporto per il riassorbimento dei soluti organici stessi: minore è il riassorbimento dei soluti organici minore sarà il riassorbimento del Na+. Così ogniqualvolta varia il carico filtrato di Na+ questo ovviamente non deve essere a sua volta, se il bilancio del Na+ è normale, dipendente ad una variazione dell'inclinazione o postura del soggetto

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nell'ambiente esterno perché ciò comporterebbe una eliminazione di per ragioni osmotiche di acqua che influenzerebbe il volume circolante efficace e la pressione arteriosa di conseguenza. Il meccanismo di feedback tubulo glomerulare agisce a monte sul carico dell'arteriola afferente, il meccanismo del bilancio glomerulo-tubulare opera più propriamente a valle sul versante del riassorbimento peritubolare.

***

Controllo dell'osmolarità e del volume dei liquidi corpori L'insieme della perdita idrica insensibile più la perdita idrica legata alla sudorazione e alle feci costituiscono nel loro insieme un volume non regolato di acqua. L'unico volume strettamente regolato è rappresentato dal volume urinario (tale regolazione è mediata dal rene), cioé dal volume delle urine che in normali condizioni è pari a 2,5 L. Quando il soggetto viene a trovarsi in un ambiente a temperatura elevata incrementa immediatamente la perdita idrica legata alla sudorazione passando dai 100ml persi in condizione normale a valori di 1,5 L. Il volume urinario parimenti in condizioni di accentuata sudorazione passa da 2,5 L a 1,2 L: il soggetto complessivamente perde un volume di 3,4 in condizioni di riscaldamento ambientale contro 2,5 in condizioni normali.

In condizioni di maggiore sudorazione l'ammontare della perdita idrica mediante il sudore può ammontare a 5 L, nell'arco delle 24 ore. Concomitantemente la perdita urinaria in queste condizioni estreme si può ridurre a un volume di 500ml (tot. 5,5L). Complessivamente in queste condizioni il volume idrico totale che viene perso è di 6,7 L? e tale volume deve essere recuperato con una adeguato apporto idrico. Quando vi è un bilancio positivo dell'acqua il volume urinario sarà caratterizzato da urine ipo-osmotiche rispetto al plasma e ad una osmolarità più ridotta rispetto a quella plasmatica. Il volume massimo che il rene può allontanare nell'ambiente esterno sono 18-19 litri nell'arco di 24 ore. Laddove il bilancio è negativo le assunzioni di acqua sono minori delle perdite e il rene tende ad eliminare urine iper-osmotiche rispetto al plasma e più concentrate e il volume è più ridotto del valore normale. Il minimo valore di urina che il soggetto è in grado di eliminare in bilancio idrico negativo è 500ml e la sua osmolarità massima è di 1200mOMS/Kg acqua (= valore presente nella profondità dell'interstizio midollare del rene). Come avviene questa regolazione? Quando c'é una modificazione della variazione dei compartimenti idrici dell'organismo, essendovi una eliminazione maggiore o minore di volumi d'acqua, ciò si ripercuote con una variazione dell'osmolarità. Poiché il parametro dell'osmolarità attraverso la concentrazione del soluto maggiormente presente, NaCl, variazioni consistenti di questo soluto lascerebbero pensare ad una ad una variazione del bilancio del Na+, ma ciò non è vero perché quando vi è una variazione del bilancio del Na+ ciò si associa non a variazioni della osmolarità ma a variazioni di volume idrico.

→ Vasopressina - La regolazione alla base della costanza del volume extracellulare e della osmolarità poggia sul meccanismo della secrezione di un importante ormone, l'ADH. La vasopressina è prevalentemente secreta a livello della componente magni-cellulare del nucleo sopra-ottico. La vasopressina è sintetizzata come pre-ormone a livello del reticolo endoplasmatico ed è costituita da 4 unità: - una catena che funge da segnale, - una catena che funge da ormone in senso stretto, - una componente data neurofisina - un'ultima componente le cui funzioni non si conoscono.Già nel RE viene operata la scissione del peptide segnale rispetto al pro-ormone, una scissione che prosegue quando questo pro-ormone è poi trasferito dal reticolo alle vescicole in cui viene ultimata la separazione tra le varie componenti del pro-ormone. Queste vescicole mediante il trasporto assonale vengono trasferite dal pirenoforo lungo l'assone che con le sue terminazioni giunge alla neuro-ipofisi dove l'ormone viene accumulato per essere poi liberato in concomitanza di 2 eventi:

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- in primo luogo a seguito del potenziale d'azione che logicamente sotto al livello del segmento iniziale delle cellule del nucleo sopra-ottico paraventricolare si propaga fino alle terminazioni nella neuro-ipofisi - e l'afflusso di Ca+ che consegue alla modificazione della d.d.p della membrana e che mobilizza le vescicole innescando l'esocitosi. L'esocitosi libera la vasopressina a livello dell'interstizio e di qui ai capillari che irrorano la neuro-ipofisi.

La regolazione della liberazione della vasopressina - sottostà a 2 meccanismi. i) un incremento del valore di riferimento dell'osmolarità dell'ambiente extracellulare: tale valore di riferimento è con la variabilità associata da soggetto a soggetto da 285-290 mOMS/Kg acqua. Incrementi rispetto a tale valore inducono un incremento della liberazione di vasopressina. In che modo l'incremento dell'osmolarità induce la liberazione della vasopressina? Si tratta di un incremento indotto da sostanze osmoticamente efficaci, ovvero quelle osmoli che non attraversano la membrana delle cellula e restano nello spazio extracellulare conservando la loro capacità osmotica di richiamare acqua. (Un soluto osmoticamente efficace è il saccarosio. Se noi poniamo le cellule (ad es. eritrociti) in una soluzione di saccarosio, poiché questa molecola non passa attraverso le membrane biologiche richiamerà acqua dal citoplasma. Il coefficiente di riflessione per una sostanza come il saccarosio è massimo cioé 1. Se gli stessi eritrociti li ponessimo all'interno di una soluzione contenente urea essa non costituisce una osmole efficace perché è una sostanza che riesce a diffondere e il suo coefficiente di riflessione è 0). Posto ciò la modificazione a seguito dell'aumento di osmolarità conseguente all'aumento di osmoli efficaci nel LEC agisce a livello cerebrale su determinati osmocettori di neuroni preposti al rilievo della variazione della concentrazione delle osmoli efficaci. Questi neuroni sono stati individuati in almeno 2 popolazioni, l'una al di sotto del fornice (a costituire l'organo sub-fornicale), l'altra in corrispondenza della parete anteriore del 3° ventricolo, il così detto organo vascoloso della lamina terminale. Anche in questo caso si tratta di neuroni sensibili all'incremento di osmoli efficaci extracellulari. Un incremento di queste osmoli determina un richiamo di acqua, dunque una riduzione del volume di queste cellule osmocettive. Questi osmocettori inviano quindi impulsi in corrispondenza dei due nuclei – sopraottico e paraventricolare - dove è sintetizzata vasopressina. ii) L'altro meccanismo che induce la liberazione della vasopressina è emodinamico, legato alle variazione del volume extracellulare – il volume circolante efficace - e la variabile che da esso dipende: la pressione arteriosa. In questo caso la soglia di stimolazione che il meccanismo in questione determina sulla liberazione della vasopressina è più ampia e maggiore dello stimolo osmotico. Variazioni del 5-10% del volume circolante efficace o della pressione normale induce la liberazione di vasopressina. Il meccanismo viene attivato a seguito della rilevazione della modificazione della pressione, come del volume circolante efficace, da parte dei recettori posti sia in distretti ad alta (seni aortici e carotidei ) che a bassa pressione (vasi polmonari). Da questi recettori hanno origine fibre afferenti, portate dal vago e dal glossofaringeo, che giungono a livello del tronco dell'encefalo, nel nucleo del tratto solitario (NTS). Dal nucleo del tratto solitario originano delle fibre che giungono in corrispondenza del nucleo sopra-ottico e para-ventricolare. Il tono che queste fibre è di carattere inibitorio per cui quando vi è una riduzione del LEC (5-10%) o della pressione questo tono inibitorio si riduce favorendo la liberazione di vasopressina.Il valore della osmolarità in condizioni normali 285-290mOSM/Kg acqua è suscettibile di essere modificato allorquando si verifichino variazione della pressione o del LEC. Laddove vi sia una riduzione del volume circolante effiacce e della pressione del 5-10% il valore della osmolarità si riduce. Il valore di riferimento di 285-290mOSM/KgH2O si porta al valore di 270 mOSM/KgH2O e la liberazione di vasopressina avviene in maniera più veloce che non nel caso in cui fosse la sola osmolarità ad aumentare. Ove concorra una riduzione della pressione il valore della osmolarità regredisce: la soglia a cui le

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strutture osmocettive rispondono si è quindi ridotta. In questo modo ne risulta che viene maggiormente favorita la secrezione di vasopressina a cui il meccanismo risponde a vantaggio dell'aumento del volume circolante efficace e quindi della pressione. In una tal condizione il decremento del valore di osmolarità di riferimento a valori più bassi sta a indicare una liberazione più precoce di vasopressina e un più immediato recupero di liquidi. Se vi è un incremento di Na+, o della volemia a seguito di una aumentata assunzione di liquidi, il valore di riferimento dell'osmolarità incrementa, cioé il valore non è più 285 ma si sposta a valori > 290 mOSM/KgH2O e inoltre la velocità di secrezione della vasopressina è minore. Si cerca quindi di favorire una maggiore liberazione di acqua per ripristinare una normale volemia e pressione. Ciò è favorito quanto più lontano è il valore della osmolarità di riferimento. In questo secondo caso noi osserveremo una più ritardata stimolazione da parte degli osmocettori alla liberazione della vasopressina, il che equivale a favorirne l'eliminazione di acqua. Variazioni fisiologiche dell'osmolarità e condizioni patologiche - Abbiamo detto che la vasopressina viene secreta a seguito dei meccanismi osmotico ed emodinamico. Mentre i recettori V1 per la vasopressina sono presenti a livello delle membrane della muscolatura liscia, delle arteriole e dei capillari e mediano un effetto vasocotrittore, a livello renale la vasopressina si lega al recettore V2 presente sulla membrana basolaterale nelle cellule del tubulo distale, nel collettore e nelle cellule del segmento spesso della branca ascendente dell'ansa di Henle. Il legame col recettore V2 induce l'attivazione dell'adenilato ciclasi che induce la formazione del cAMP e induce l'attivazione di PKA cui seguono 2 effetti: i) il primo generalmente viene indotto per una azione a breve termine, e cioè quando la variazione o l'incremento dello stimolo osmotico è a breve durata. La PKA induce la fosforilazione di alcune strutture presenti già nel citoplasma, cioè le acquaporine 2 (ACQ2), le quali vengono mobilizzate a ridosso della membrana luminale, legandosi alla parte interna della membrana mediante recettori. Le aquaporine vengono quindi inserite a livello della membrana luminale e l'acqua può essere riassorbita e passare mediante la via transcellulare dal lume alla cellula e di qui mediante la membrana basolaterale è portata a livello dell'interstizio e di qui in circolo mediante un altro tipo di acquaporine, le ACQ3-4. ii) se lo stimolo osmotico è di maggiore durata (a lungo termine) abbiamo che la PKA induce la fosforilazione di una proteina sensibile al cAMP dando luogo al CREB-P. Solo dopo essere stato fosforilato dalla PKA CREB è in grado a attivare la trascrizione dei geni necessari per avviare la neosintesi di proteine canali che in questo modo incrementano di numero sommandosi a quelli preesistenti. La vasopressina in genere si stacca dai recettori e ha anche una emivita piuttosto breve. In questo modo ecco che ciò induce una internalizzazione dei canali delle acquaporine che in questo modo tornano a far parte di vescicole che vengono poi riutilizzate un secondo momento.

iii) L'azione della vasopressina può essere stimolata anche in altre circostanze come quando il soggetto abbia a) una riduzione della pressione c) in situazioni patologiche (insufficienza cardiaca congestizia e cirrosi): in queste situazioni pur incrementando il LEC il volume di sangue che il ventricolo espelle nell'aorta è ridotto. Viene stimolato il fattore emodinamico: si riduce cioè la pressione conseguentemente alla riduzione del volume circolante efficace e ciò scatena la liberazione di vasopressina che a sua volta determinerà una aumentata espressione delle acquaporine 2. Viceversa un aumento del volume espulso favorirà l'effetto opposto.

Meccanismi di azione della vasopressina i) La vasopressina i) si lega ai recettori V2 della membrana basolaterale delle cellule del tubulo collettore distale, ii) ma stimola anche l'ultimo tratto del dotto collettore midollare: tratto che ha la caratteristica di essere permeabile all'urea, consentendo il passaggio di urea dal lume all'interstizio. In presenza di vasopressina questa permeabilità all'urea è incrementata e tale incremento è reso possibile attraverso una stimolazione mediata da cAMP che attivando PKA che

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fosforila e attiva dei trasportatori per l'urea (UTA1 e UTA3), favorendo la fosforilazione il passaggio di urea dal lume del tubulo all'interstizio. I trasportatori in questione vengono attivati anche da un altro meccanismo e precisamente dalla osmolarità interstiziale della midollare del rene. Questa osmolarità raggiunge il suo massimo pari a 1200 mOSM/KgH2O. Tale osmolarità incrementa la capacità di trasferire da parte dei trasportatori urea dal lume all'interstizio attraverso l'attivazione della fosfolipasi C che a sua volta attiva la PKC la quale fosforilando i traportatori ne aumenta la capacità di trasferire urea?***. Anche in questo caso quando la stimolazione è protratta, e dalla vasopressina e dalla fosfolipasi C, vi è un incremento non solo della capacità dei trasportatori ma anche nel loro numero, stimolando in quest'ultimo caso una neosintesi. ii) La vasopressina agisce non solo sulle cellule del tubulo distale collettore ma anche sul segmento spesso della branca ascendente dell'ansa di Henle, promuovendo qui un aumento del riassorbimento del Na+. Fino a non molto tempo fa si riteneva che la vasopressina fosse deputata solo al riassorbimento dell'acqua ma recentemente si è visto che favorisce anche il riassorbimento del Na+ sia a livello delle cellule del tubulo distale collettore che nel segmento spesso della branca ascendente dell'ansa di Henle. Su quest'ultimo segmento l'azione della vasopressina fa sì che l'interstizio dove il Na+ dal lume viene trasferito possa essere mantenuto ad elevata concentrazione nonostante il riassorbimento dell'acqua favorito dalla vasopressina tenda a ridurre l'omsolarità interstiziale. Il significato che la vasopressina riveste a livello del segmento spesso nell'indurre il riassorbimento di Na+ è di far sì che venga preservata l'aumentata osmolarità interstiziale del parenchima renale immediatamente al di fuori del segmento in modo tale che questo poi consenta il riassorbimento dell'acqua.

Vasopressina e patofisiologia - Vi sono sindromi ereditarie o acquisite in cui (a) vi è una alterazione della sintesi dell'ormone vasopressina, in seguito della difettosa sintesi del pre-ormone nel RER con accumulo dello stesso e conseguente morte cellulare, che comporta una notevole eliminazione di urina (diuresi idrica). (b) Al contrario, se vi è una aumentata secrezione di vasopressina, sempre a seguito difetti genetici, acquisiti di neoplasie a livello diencefalico o a seguito dell'assunzione di farmaci antitumorali o ancora nei soggetti portatori di tumori polmonari secernenti ADH, osserveremo una notevole contrazione del volume urinario (riduzione della diuresi) e una ipo-osmolarità poiché maggiore è il volume di acqua che viene trattenuto nell'ambiente extracellulare. (c) Vi è una particolare circostanza di carattere genetico legata ad una mutazione genica nella quale si osserva una aumentato riassorbimento di acqua, non legato ad una aumentata liberazione di ADH ma ad una alterazione genica che ha comportato una maggiore attività del recettore a cui l'ADH si lega sulle cellule del tubulo distale collettore. In tale tipo di patologie pur non essendovi un incremento dell'ADH si osserva un aumentato riassorbimento idrico. In questo caso si suol parlare di una sindrome da aumentato riassorbimento idrico che a differenza di quanto si osservava nell'altra condizione -aumentata secrezione di vasopressina - presenta valori normali o ridotti di vasopressina circolante ma riduzione del volume urinaria.)

Per quanto attiene gli effetti che possono verificarsi in concomitanza della mancata azione della vasopressina a livello renale ecco che questi possono essere di diverso tipo: - dovuti ad assenza del recettore V2. - dovuti ad una mancata inserzione delle acquaporine 2 sulla membrana luminale; - alterata struttura delle acquaporine;Indipendentemente dal tipo di causa che può verificarsi il quadro patologico che si instaura è quello di un diabete insipido/nefrogeno causato da una notevole poliuria. Il diabete insipido può essere acquisito o ereditario. - La gran parte è acquisita, dovuta a fattori il cui meccanismo eziologico non è del tutto noto. Sono condizioni che si verificano a seguito di una ipocalcemia, ipocalemia, assunzioni di sali di litio. Il litio agisce favorendo l'insorgenza di questo tipo di diabete insipido, forse interferendo con la PKA.

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- L'eziologia di carattere ereditario è legato a mutazioni di carattere genico che interessa nel 90% dei casi il recettore V2. In genere si osserva che il recettore in questione resta intrappolato nel RER (c'é un difetto nella sua elaborazione) per cui la membrana basolaterale risulta priva di questo tipo di recettori per cui la vasopressina non può esercitare i suoi effetti. - L'altro tipo di effetto è l'alterazione delle acquaporine 2, che può darsi in forma recessiva o dominante. Nella forma recessiva generalmente le acquaporine sintetizzate sono presenti nella cellula come monomeri difettosi che restano nel RER senza creare problemi. Nel caso della forma autosomica dominante i monomeri difettosi si legano ai monomeri normali determinato un difetto dell'acquaporina 2.

→ Sete - Un altro meccanismo fisiologico importante coinvolto nella regolazione della volemia è la sete. Lo stimolo della sete in genere richiede una soglia di attivazione per quanto riguarda e l'osmolarità e lo stimolo emodinamico ben più elevati di quanto non avvenga normalmente. Sensazione di sete si avverte quando l'incremento dell'osmolarità si porta a valori di 296-297 mOSM/KgH2O, valori in cui è già operante l'azione della vasopressina. Perché vi sia la sensazione di sete il decremento della variazione del LEC e della pressione deve andare oltre il 5-10% ( cioè tra il 15-20% ). Il soggetto dunque assume acqua ma l'assunzione di acqua cessa anche se ciò non si è accompagnato ad un riassorbimento di acqua e ad un ripristino della osmolarità: ciò sembrerebbe dipendere dalla stimolazione che muove da recettori gastrointestinali od orofaringei dai quali originerebbero impulsi che tenderebbero ad inibire i centri della sete. I centri della sete non sono ancora ben determinati anatomicamente. S ritiene che essi siano individuabili nell'ipotalamo nell'organo sub-fornicale. Non è noto se vi sia una via che porta a partire dai recettori a bassa e ad alta pressione all'attivazione dei centri della sete.

L'assunzione di acqua cessa quando la osmolarità del soggetto sia stata ripristinata a valori normali. L'assunzione di acqua non sempre deriva dalla sete, si beve anche quando non si ha sete poiché l'assunzione di liquidi è legata anche ad aspetti sociali di vario genere. E' certo che l'aumento dei liquidi assunti dal soggetto vengono poi ad opera del rene eliminati mantenendo costanti i normali volumi dei compartimenti idrici: un'assunzione eccessiva di liquidi non solo attenua la osmolarità ma aumenta anche il volume circolante efficace e questi due effetti che al tempo stesso riducono la liberazione di vasopressina. La riduzione della vasopressina comporta un allontanamento di un maggior volume di acqua attraverso le urine. A questo proposito vale la pena un particolare aspetto, ovvero l'assunzione di acqua durante attività fisiche. Se la velocità di assunzione di acqua dall'ambiente esterno eccede la velocità con cui il rene è in grado di allontanare acqua ciò può esporre il soggetto non solo a condizione di iposmolarità ma anche ad iponatremia (si assume in questo caso il valore di 135mOMS/KgH2O), una condizione quest'ultima pericolosa per il sistema nervoso che scatena delle complicanze neurologiche piuttosto serie. Durante attività come la maratona si tende a mantenere l'organismo idratato, ma nel corso di questo tipo di attività fisica spesso l'assunzione di liquidi non è commisurata alla velocità con cui il rene riesce a liberarsi degli stessi. Sono state rilevate situazioni di sportivi che si sono ritrovati in situazione di iposmolarità e iponatriemia a seguito di eccessiva assunzione di liquidi. Il controllo del volume dei liquidi e della loro osmolarità richiede come condizione necessaria (ma non sufficiente) l'attivazione del meccanismo che poggia sulla liberazione di vasopressina. Fino ad ora è emerso che il rene è in grado di regolare il solvente (acqua) indipendentemente dai soluti. Questo tipo di regolazione spiega il fatto che il rene permetta la liberazione di urine iperosmotiche rispetto al plasma oppure iposomotiche. La liberazione di urine iposmotiche presuppone che il rene ad un certo punto del tratto nel tubulo renale dissoci il soluto dal solvente. Ora questa separazione non avviene a livello del tubulo prossimale dove il riassorbimento del soluto per ragioni osmotiche si trascina il solvente. Il tratto dove ciò avviene è il segmento spesso della branca ascendente dell'ansa di Henle, a mezzo di un riassorbimento operato

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da un meccanismo di trasporto attivo secondario di tipo sinporto, per cui il soluto all'interno del tubulo diminuisce (mentre le pareti sono impermeabili all'acqua) e l'osmolarità si porta da 300 mOSM a 150mOSM mentre l'interstizio incrementa di osmolarità.

Quello che risulterebbe meno agevole da afferrare è che la produzione di urine concentrate o iperosmotiche presupporrebbe la separazione del solvente dal soluto, procedimento particolarmente dispendioso dal punto di vista energetico: ciò è realizzato nel rene attraverso la creazione di un gradiente osmotico della midollare del parenchima renale, per mezzo del quale l'acqua, che sta fluendo nei tubuli resi più permeabili dalla vasopressina, viene richiamata dal lume all'interstizio. L'acqua è separata dai soluti consentendo di dar luogo a urine concentrate o iper-osmotiche (600-700mOSM/Kg H2O). L'aumento di osmolarità rappresenta la condizione sufficiente per permettere la formazione di urine più o meno concentrate. Ora la genesi di questo gradiente osmolare nella midollare è operato mediante un meccanismo noto come moltiplicazione della concentrazione osmotica contro-corrente. (per Perez sul libro non è molto chiaro).

L'ambiente endotubolare viene messo in relazione con quello interstiziale determinando il passaggio di acqua dal lume all'interstizio e dall'interstizio ai vasa recta riportando il volume riassorbito in circolo, equilibrando in maniera fine il volume circolante efficace. Come si genera il gradiente osmolare e come esso viene mantenuto? La genesi di questo gradiente si deve ad un meccanismo noto come “moltiplicazione della concentrazione osmotica contro corrente”. Esso è legato agli eventi a cui sottostà il liquido tubolare che scorre a livello della struttura che è fondamentale per la genesi di questo meccanismo che è l'ansa di Henle, data da 2 branche disposte a forcina: una discedente e una ascendente. Per tale ragione la direzione del flusso del liquido assume andamenti opposti e dunque contro-corrente, uno in discesa nella branca discendente e uno in ascesa nella branca ascendente . Ciò è fondamentale per la moltiplicazione della concentrazione osmotica. Le due branche hanno proprietà istologiche diverse, precisamente la branca discedente è permeabile all'acqua e non ai soluti, la branca ascendente è impermeabile all'acqua e permeabile invece ai soluti. Tale permeabilità è passiva per il segmento sottile e attiva per quanto riguarda il segmento spesso della branca ascendente. Questo trasporto attivo è di tipo secondario, un sinporto che trasferisce Cl-/Na+/K+ dal lume alla cellula e da qui all'interstizio, trasferendo qui NaCl finché qui non si raggiunge un valore di osmolarità 200 mOSM/KgH2O

superiore all'osmolarità del lume. Questo come sappiamo rappresenta il limite che caratterizza tale trasporto oltre il quale il trasportatore cessa di funzionare (ovvero cessa di trasferire soluti). Il raggiungimento di tale valore è dipendente dalla velocità del flusso del liquido endotubolare.

Muovendo da una iniziale condizione primordiale che poteva essere presente nell'ambiente marino l'osmolarità nell'ansa di Henle è originariamente ovunque 300 mOSM/Kg, compreso l'interstizio, il valore come normale della osmolarità (A). Sappiamo più precisamente che esso va da 285 a 295. Dopo la nascita si innescano meccanismi che determinano questa moltiplicazione della concentrazione osmotica fino a un valore di 1200 mOSM, volto a mantenere il volume e l'osmolarità dell'ambiente extracellulare LEC al valore di 300 mOSM/Kg.

ia) Non appena il liquido imbocca il segmento spesso della branca ascendente il meccanismo attivo opera trasferendo soluto dal lume all'interstizio. Non appena il trasportatore trasferisce 100 mOSM dal lume all'interstizio il liquido tubulare passa da 300 a 200 e l'interstizio da 300 a 400 (B). Si è già realizzato a questo livello la differenza di osmolarità a cui il trasportatore cessa di funzionare (400 vs 200).(B)

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ib) Successivamente il liquido tubolare a concentrazione di 200 ascende nella branca ascedente e si trova al livello di un parenchima interstiziale a 300 mOSM: qui subisce un trasporto attivo di sole 50 mOSM nell'interstizio che diventa concentrato a 350mOSM: il liquido tubolare lascia quindi il segmento spesso della branca ascendente con una osmolarità più ridotta di 200mOSM/KgH2O pari a 150 mOSM/KgH2O. (anche in questo caso tra interstizio e lume è raggiunta una differenza di 200 mOSM) Questo primo meccanismo di trasferimento attivo è il primo evento da cui scaturirà l'incremento dell'osmolarità dell'interstizio (B).

iia) Seguiamo ora quel che accade nella branca discendente in relazione all'interstizio.Il liquido che invece sta discendendo nella branca discendente a 300 mOSM, poiché l'ansa discendente è permeabile all'acqua ma non ai soluti, risulta in equilibrio con l'interstizio a 325-325 mOSM/KgH2O. Infatti avevamo lasciato l'interstizio in ib) ad una concentrazione di 350 mOSM/KgH2O: pertanto 300 OSM del liquido tubulare che imbocca la branca discendente e 350 mOSM dell'interstizio della midollare si riequilibrano a 325 mORM/Kg. iib) Per quanto riguarda il livello di osmolarità sottostante un liquido tubulare a 300mOSM e un parenchima interstiziale a 400 mOSM (ia). Poiché l'acqua si muove verso il compartimento a maggiore osmolarità ne risulterà che il lume della branca discendente si concentra di più e si porta a 350 mOSM mentre l'interstizio riceve acqua e diminuisce la sua osmolarità a 350 mOSM (C). iiia) Il liquido dalla branca discendente (350 mOSM/Kg) passa attraverso l'ansa e imbocca la branca ascendente con una osmolarità > 300 ovvero di 350. Cosa ne risulta? Nella branca ascendente avevamo lasciato il volume di 200 mOSM/Kg mentre ora più caudalmente stanno arrivando i volumi della branca discendente che sono concentrati a 350 mOSM/Kg e che hanno come controparte interstiziale una osmolarità di 350 mOSM/Kg. Qui il trasportatore attivo promuove il trasferimento di 100mOSM dal tubulo all'interstizio (350 +100 = 450 mOSM/Kg):dopodiché il trasportatore raggiunta una differenza di 200mOSM tra liquido tubulare (250 mOSM) e interstizio (450 mOS) cessa di funzionare. iiib) Nella colonna di liquido che si trovava nella branca ascendente a 200mOSM vi è un passaggio di soluto fino al parenchima della midollare ,a 325 mOSM, 37 mOSM/Kg nel tratto spesso ascendente per cui la concentrazione osmolare del parenchima della midollare passa a 362 mOSM (325+37 = 362 mOSM/Kg) mentre la concentrazione tubulare diventa 163mOSM (D). Nuovamente si raggiunge una differenza di osmolarità massima alla quale il trasportatore si blocca.

iva) L'interstizio dal livello corticale al livello midollare passa da 362 a 450 mOSM. A livello della branca discendente abbiamo trasferimento di acqua dal lume all'interstizio. 300 mOSM è sempre la osmolarità che caratterizza il liquido che fluisce dalla branca discendente all'interstizio. Nell'interstizio abbiamo, si ricordi, 362 mOSM (risultato di 325 +37) nel segmento sottile discendente e 450 nella branca discendente dell'ansa.

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Il liquido man mano che fluisce nella branca discendente mediante cessione di acqua nell'interstizio (reso iper-osmotico rispetto al lume) si concentra. In seguito imbocca quindi la branca ascendente con una osmolarità sempre maggiore e di qui si ha un carattere moltiplicativo. Il processo può incrementare l'osmolarità dell'interstizio fino a 1200 mOSM, in profondità della midollare fino a 300 mOSM in prossimità della corticale.

Riassunto - il meccanismo moltiplicativo Comincia col trasferimento di soluto attraverso la branca spessa ascendente, fin quando la differenza tra il tubulo e l'interstizio raggiunge i 200 mOSM/Kg, ma così facendo incrementa la osmolarità dell'interstizio. Il liquido che intanto sta scendendo nella branca discendente grazie alla proprietà dell'epitelio (permeabile all'acqua impermeabile ai soluti come NaCl) cederà acqua ponendosi in equilibrio con l'omolarità dell'interstizio. L'osmolarità nella branca discendente assume un valore uguale a quello dell'interstizio. Il liquido che sta accumulando la branca discendente si è pertanto concentrato (per cessione di acqua) e come tale, con una osmolarità ben maggiore di 300 mOSM, si presenta ogni volta al segmento spesso ascendente dove mediante un meccanismo di trasporto attivo si ha il trasferimento di soluto nell'interstizio. Ecco il carattere moltiplicativo di questo meccanismo. L'aumento della osmolarità dell'interstizio fino a 1200 mOSM nella profondità della midollare del parenchima è dato principalmente dal NaCl, ma anche da altre osmoli efficaci come ammonio, K+, creatinina e urea. L'urea è un soluto che giunge al rene dal fegato dove esso è derivato dal metabolismo azotato. Una parte di urea viene riassorbita nel tubulo prossimale, un'altra quota resta in equilibrio. L'urea insieme col NaCl concorre a determinare la osmolarità nella midollare renale.

L'urea, in misura modesta, viene assunta in parte nella branca discendente ma anche nella branca ascendente. Ora cosa accade propriamente al liquido che imbocca la branca ascendente dell'ansa di Henle? A questo livello il liquido endotubolare si è concentrato e i soluti che ne determinano l'osmolarità sono dati dal NaCl e dall'urea. L'urea passa attraverso l'epitelio del segmento sottile ascendente però questa urea proviene dall'interstizio e si immette nel segmento ascendente perché la sua concentrazione nell'interstizio è maggiore rispetto a quella presente nel lume del segmento ascendente. Viceversa il NaCl, che è più concentrato nel liquido che sta imboccando la branca rispetto all'interstizio, lascia il lume del segmento sottile e diffonde nell'interstizio. Per riassumere a livello del segmento sottile ascendente abbiamo una diffusione passiva determinata solamente dai gradienti. Il liquido imbocca la branca ascendente e qui l'urea essendo l'epitelio impermeabile ad essa non diffonde. L'urea si comporta in questo caso come una osmole efficace. Acqua diffonde dal tubulo collettore corticale e midollare dal lume all'interstizio ma l'urea non diffonde. Quando il liquido giunge all'ultimo tratto del dotto collettore ecco che questo tratto del tubulo collettore è permeabile all'urea e pertanto l'urea che a seguito del precedente riassorbimento dell'acqua dal lume tubulare all'interstizio si è concentrata nell'ultimo tratto del dotto collettore diffonde nell'interstizio.

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Nell'interstizio la concentrazione dell'urea è particolarmente elevata ed è per questa ragione che a questo livello osserviamo il passaggio dell'urea dall'interstizio all'interno del lume del segmento sottile ascendente. Viceversa NaCl è più concentrato nel lume del segmento sottile e diffonde dal lume all'interstizio. Sulla base di ciò l'osmolarità della midollare nella parte più profonda, pari a 1200 mOSM/Kg di acqua, è ripartita per il 50% ad osmoli dovute al NaCl e per il restante 50% all'urea. L'urea che diffonde a livello dell'ultimo tratto del dotto collettore nell'interstizio si comporta da osmole inefficace in quanto può fuoriuscire dall'interstizio, entrare nel tubulo sottile nella branca ascendente e restare all'interno del tubulo per tutto il percorso fino all'ultimo tratto dotto collettore midollare. E' importante il ruolo dell'urea perché questa sostanza permette la liberazione di urine più concentrate/iperosmotiche rispetto al plasma. Se l'omsolarità delle urine dipendesse solo dal NaCl, essendo questa una osmole efficace trascinerebbe con sé un elevato volume di acqua, determinando variazione drastiche dei compartimenti idrici extracellulari nonché del valore pressorio. Ecco il significato che questo soluto, comportandosi da osmole inefficace, consente di produrre urine iperosmotiche senza richiamare eccessivi volumi di acqua.

A questo punto vi sono 2 condizioni agli estremi: antidiuresi e diuresi idrica. i) La diuresi idrica è dovuta a una difettosa o assente secrezione di vasopressina. Quello che accade a livello del segmento della branca discendente (permeabile all'acqua) è un riassorbimento di acqua dal lume della branca all'interstizio e il liquido endotubulare si fa più concentrato. Quando il liquido imbocca la branca ascendente avviene che nel segmento sottile l'urea diffonde dall'interstizio all'interno del segmento sottile ascendente mentre NaCl diffonde attraverso il segmento sottile (permeabile ai soluti) dal lume all'interstizio (secondo i rispettivi gradienti). Il liquido imbocca il segmento spesso della branca ascendente e qui avviene il trasporto attivo secondario, dopodiché il liquido prosegue nel dotto collettore corticale dove prosegue il riassorbimento di NaCl, attraverso un simporto, mediato dall'aldosterone, a mezzo di canali specifici. Il liquido imbocca poi il dotto collettore midollare e a questo livello, non essendovi la vasopressina, il liquido continua a restare diluito: ne risulta che quando il liquido arriva nell'ultimo tratto del dotto collettore midollare, essendo particolarmente diluito, l'urea, che non aveva potuto attraversare la membrana dell'epitelio tubulare, è molto concentrata. Pertanto l'urea diffonde dall'interstizio all'interno del tubulo midollare. L'urina che viene liberata è un'urina ipo-osmotica, pari a 50mOSM/Kg e il suo volume nell'ambito delle 24 ore è massimo (17-18 L). Tale iposmolarità e tale poliuria determina una condizione detta diabete insipido.

ii) La condizione di antidiuresi si caratterizza per avere una elevata secrezione di vasopressina. Accade che a livello del tubulo distale e collettore, per azione della vasopressina, il liquido tubulare assume una osmolarità di circa 100-170 mOSM/Kg di acqua. Siamo nella corticale e qui normalmente la osmolarità è pari a 300 mOSM. Pertanto il liquido endotubulare diffonde dal lume all'interstizio corticale da cui poi passerà all'interno dei capillari peritubulari (vasa recta).La composizione del liquido è data sì dal NaCl ma anche da urea, creatinina, NH4+ e K+. Non appena il liquido endotubolare abbandona il tubulo collettore corticale con una osmolarità che è eguale all'interstizio corticale (300 mOSM/Kg) imbocca il dotto collettore midollare, e sempre per l'azione dell'ADH, il liquido che ora attraversa il tubulo, è immerso in un interstizio la cui osmolarità va assumendo, per il meccanismo della moltiplicazione controcorrente valori via via crescenti da 300 fino a 1200. Pertanto grazie all'azione della vasopressina acqua passerà dal lume del tubulo all'interstizio e questa acqua entrerà nei vasa recta peritubulari (si tratta del così detto riassorbimento facoltativo). In occasione del riassorbimento di acqua il liquido tubulare si concentra e i soluti che lo caratterizzano sono in particolare la creatinina, il K+, NH4+ e urea. Nell'ultimo tratto del dotto collettore midollare la concentrazione di questo soluto è maggiore di quello interstiziale e l'urea diffonderà dal lume all'interstizio, guidata solo dal gradiente, un movimento reso possibile dalla permeabilità.

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Ancora su regolazione della osmolarità e del volume dei liquidi corporei.

Vie afferenti - In particolari distretti a bassa pressione e ad elevata pressione sono dislocati di barocettori in grado di rilevare la variazione di pressione.

i) I distretti a bassa pressione sono : a) le cavità atriali, b) il ventricolo di destra, c)le vene e dalle arterie polmonari. Questi distretti sono dotati di recettori di volume che rilevano il grado di pienezza ovvero l'entità del volume di sangue che distende le pareti vascolari. Da questi recettori si partono fibre afferenti (che decorrono nel vago e nel glossofaringeo) che portano impulsi derivati dalla stimolazione di tali recettori fino al tronco dell'encefalo, precisamente nel nucleo del tratto solitario (NTS). Dal tratto solitario si ha una riduzione degli impulsi a livello dell'area depressoria bulbare. L'area depressoria quindi inibisce di meno l'area o nucleo vasopressorio (presente a livello della formazione reticolare), che risulta maggiormente stimolato e recherà i propri impulsi a livello delle fibre del sistema ortosimpatico a livello del midollo spinale (tratto toraco-lombare).

ii) I livelli ad alta pressione sono in primo luogo i recettori presenti nell'arco aortico, nel seno aortico e nel seno carotideo. Sono sufficienti decrementi del 5%-10% della pressione per stimolare questi recettori. Questi recettori recano impulsi mediante fibre afferenti che decorrono nel nervo vago e nel nervo glossofaringeo a livello del nucleo del tratto solitario, in pratica convogliando lungo le stesse vie dei recettori a bassa pressione. Un'altra dislocazione dei recettori lungo aree ad alta pressione è a livello dell'apparato iuxtaglomerulare del rene e a livello dell'arteriola afferente. La parete di questa arteriola

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è sensibile alle variazioni pressorie sistemiche e vedremo come in relazione alla pressione trasmurale determinino modificazioni o attivazioni del sistema renina-angiotensina-aldosterone. (>pressione di perfusione → < renina). Anche in questo caso gli impulsi trasdotti dai recettori sono trasmessi al nucleo del tratto solitario attraverso fibre afferenti che decorrono nei nervi splacnici (vagali). Tale rilevazione porta ad una modificazione nella secrezione di angiotensina II e di peptidi natriuretici. Una riduzione della pressione trasmurale porta all'attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone. I recettori del SNC non sono così importanti come quelli vascolari per il rilevamento del volume del LEC e per il controllo dell'escrezione renale di NaCl. Vi sono altri 2 distretti: iii) A livello delle vene epatiche vi sono recettori che rilevano la concentrazione di [Na+] del sangue della vena porta. Essi sono in grado di influenzare l'escrezione renale di NaCl. iv) Nel sistema nervoso centrale (SNC) si trovano a livello dell'ipotalamo specifici recettori dove vengono rilevati sia i livelli della concentrazione del Na+ presente sangue portato dalle carotidi che [Na+] presente nel liquido cerebro-spinale. Nell'ipotalamo sono presenti cellule in grado rispondere a queste variazioni secernendo angiotensina II e peptidi natriuretici.

Vie efferenti - Le fibre simpatiche innervano sia le arteriole efferenti che afferenti del glomerulo sia le cellule del nefrone. Quando LEC si riduce (diminuzione della pressione) i barocettori dei distretti vascolari a bassa e alta pressione stimolano l'attività dei nervi simpatici (vasocostrizione ---> aumento della pressione!), incluse le fibre che innervano i reni, con i seguenti effetti:

i) Costrizione delle arteriole afferenti ed efferenti (per attivazione di recettori alfa-adrenergici). La vasocostrizione riduce la pressione idrostatica dei capillari glomerulari con conseguente riduzione del VFG, riducendo indirettamente il carico filtrato di Na+.(riduzione della VFG riduce anche il filtrato/min e quindi il volume delle urine )

ii) Stimolazione diretta lungo il nefrone (attraverso recettori alpha adrenergici) del riassorbimento di NaCl. La zona più influenzata dal simpatico è il tubulo prossimale.

iii) Stimolazione della secrezione di renina da parte delle cellule specializzate della arteriole afferenti (a mezzo di recettori Beta-adrenergici). La renina incrementa i livelli di aldosterone che promuove il riassorbimento di Na+ da parte del nefrone. (la ritenzione del sodio riduce la diuresi)

Come risultati finale combinato si ha la riduzione dell'escrezione di NaCl e questa riduzione rappresenta la risposta compensatoria del rene per ristabilire il normale volume del LEC (aumentando l'osmolarità del LEC). Viceversa una espansione di volume del LEC comporta una riduzione dell'attività nervosa ortosimpatica destinata al rene che inverte l'effetto.

Regolazione della secrezione di renina. E' secreta soprattutto dalle cellule della arteriole afferenti:

i) le arteriole afferenti si comportano come barocettori ad alta pressione. Quando la pressione di perfusione si riduce viene stimolata la secrezione di renina. Viceversa quando la pressione di perfusione aumenta la secrezione di renina è inibita. ii) Attività delle fibre nervose ortosimpatiche. L'attivazione delle fibre nervose ortosimpatiche che innervano le arteriole afferenti stimola il rilascio di renina (recettori beta-adrenergici)

iii) La macula densa (chemocettore) è sede della secrezione di renina. Quando la

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concentrazione di NaCl aumenta la secrezione di renina si riduce e viceversa. Un ridotto LEC riduce la perfusione dei tessuti del corpo e comporta una riduzione di VFG e del carico filtrato di NaCl. Ne risulta una minore sintesi di ATP e di Adenosina e una minor quantità di queste sostanze è liberata nell'interstizio basolaterale. Questi 2 mediatori agiscono a livello delle cellule del mesangio extraglomerulare e siccome queste cellule sono collegate mediante della gap junction alle cellule iuxtaglomerulari, deputate alla secrezione di renina. Il minor legame di questi 2 mediatori sulle cellule del mesangio comporta un minor ingresso di ioni Ca2+ e poiché queste sono connesse con le Gap-junction alle cellule iuxtaglomerulari ne risulta che minor Ca2+ passa dalle prime alle seconde. Una riduzione della concentrazione di calcio dentro le cellule iuxtaglomerulari determina la liberazione di renina. Questo è un caso eccezionale poiché in genere la secrezione aumenta a seguito dell'aumento di calcio intracellulare. Una riduzione di NaCl stimola pertanto la secrezione di renina la quale, in circolo, agisce sull'angiotensinogeno dal quale stacca un peptide producendo l'angiotensina I. L'angiotensina I a livello dell'endotelio del vasi renali e dei vasi polmonari viene trasformata dall'enzima ACE in angiotensina II, il quale è un potentissimo vasocostrittore, sia sistemico, sia attivo a livello renale, che si aggiunge all'effetto della noradrenalina. L'Angiotensina II agisce sul tubulo prossimale e favorisce il riassorbimento di Na+ e acqua.

L'angiotensina II a sua volta agisce nel contempo: i) incrementando il riassorbimento di NaCl nel principalmente nel tubulo contorto prossimale, ma anche nel tratto ascendente spesso e nell'ansa, nel tubulo contorto distale e nel dotto collettore; il meccanismo è genomico, attiva cioè i geni che codificano canali per Na+ e la pompa Na+/K+. ii) Stimola la secrezione di ADH (vasopressina) da parte dell'ipotalamo e la sete (l'assunzione di acqua incrementa il compartimento del LEC); iii) provoca la vasocostrizione delle arteriole incrementando la pressione arteriosa;iv) stimola la secrezione di aldosterone da parte della corteccia surrenale.

v) poiché l'angiotensina II causa una potentissima vasocostrizione delle arteriole, quindi una notevole riduzione del flusso ematico renale FER e una conseguente riduzione della VFG. Ove perdurasse questo stato di protratta vasocostrizione comporterebbe una situazione ischemiche che porterebbe a ipossia e necrosi del parenchima renale. In questo caso il fine del mantenimento della pressione sistemica va scapito dell'efficienza dell'emodinamica renale. Così facendo si è cercato di mantenere costante il volume circolante efficace ovvero il volume di sangue che perfonde i tessuti e li rifornisce di ossigeno. Tuttavia vengono attivati in seguito mediatori quali prostaglandine vasodilatatorie che contrastano questo iniziale stato di notevole costrizione che riduce la perfusione renale. Le prostaglandine vengono attivate dalla liberazione dell'angiotensina II e dalla stimolazione delle vie simpatiche e, più in generale, da condizioni di stress (emorragie). Le prostaglandine vengono prodotte localmente nel rene e sono in grado di incrementare FER senza modificare VFG. Queste sostanze incrementano il FER annullando gli effetti vasocostrittori dei nervi simpatici e dell'angiotensina II. I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), come l'aspirina e l'ibuprofene, inibiscono la sintesi di prostaglandine e la somministrazione risulta controindicata in caso di shock emorragico.

Ossido nitrico e Bradichinina - Oltre all'alterazione delle prostaglandine interviene un altro fattore importante il quale viene liberato proprio dall'aumentata costrizione glomerulare che aumenta il flusso e quindi la forza di taglio a livello dei vasi: quest'aumento della forza di taglio aumenta la liberazione del monossido di azoto da parte delle cellule endoteliali. In queste circostanze viene liberata anche la bradichinina a mezzo dell'azione della callicreina ( un enzima proteolitico prodotto dal rene che scinde il chininogeno in bradichinina).

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Dopamina, itamina, glucocorticoidi. Durante uno stress come l'emorragia vengono liberati glucocorticoidi che aumentano FER e VFG, avendo un effetto vasodilatatorio. Nei processi infiammatori l'istamina riduce la resistenza della arteriole aff. e eff., aumenta FER senza modificare VFG. La dopamina può essere prodotta dal tubulo prossimale ed esercita diversi effetti sul rene, come l'incremento della FER e l'inibizione del rilascio di renina.

Regolazione dei compartimenti idrici – espansione del LEC – peptidi natriuretici. Cosa accade quando vi è una espansione del LEC e la pressione incrementa? In questo caso avviene la stimolazione delle cellule che sintetizzano il peptide natriuretico atriale, ma anche il peptide natriuretico renale (o urodilatina) che possiede rispetto al primo 4 amminoacidi in più. Quest'ultimo resta confinato nel rene e a differenza del peptide atriale i) sortisce la sua azione solo localmente ii) promuovendo la vasodilatazione dell'arteriola afferente e la vasocostrizione dell'arteriola efferente*: iii) incrementando la pressione idrostatica capillare* e conseguentemente aumenta la VFG. iv) inibisce la sintesi di renina, riducendo la sintesi di angiotensina II. v) inibisce il riassorbimento di Na+ che a livello del tubulo distale e collettore viene riassorbito grazie all'aldosterone (- aldosterone – riassorbimento Na+) ma anche per azione diretta del peptide sulla membrana basolaterale delle cellule del tubulo distale collettore, in grado di aumentare l'espressione dei canali del sodio. vi) inibisce la vasopressina a livello ipotalamico (il peptide natriuretico atriale, poiché quello renale è confinato al rene) e a livello del tubulo distale collettore. Ciò riduce l'espansione del liquido extracellulare.

***

3-5-2012?Difetti genetici sia del sinporto Na/2Cl/K che del canale per il potassio e per il cloro sono alla base della sindrome di Barret. Vedi testo.

4-5-2012? -

kalemia, acidosi alcalosi - - Durante un'acidosi metabolica contemporaneamente al passaggio di H+ dentro le cellule (seguendo il gradiente) si ha un movimento inverso di K+ che esce dalle cellule al LEC per mantenere l'elettroneutralità. L'acidosi inibisce infatti i trasportatori che accumulano il K+ dentro le cellule, compresa a) la pompa Na+/K+ ATPasi, b) il simporto Na+/K+/2Cl- e c) il simporto Na+/Cl-. Quando gli H+ si muovono attraverso le membrane cellulari i K+ si muovono in direzione opposta in modo che non avvengano perdite o guadagni di cationi all'interno delle cellule. - Durante una alcalosi accade l'esatto opposto: K+ entra nella cellula e H+ ne esce (seguendo il gradiente), con conseguente riduzione della K+ plasmatica.

Osmolarità e kalemia - Un aumento di osmolarità del LEC incrementa il rilascio di K+ da parte delle cellule e la K+ del LEC incrementa. Nei diabetici l'aumento del glucosio nel plasma incrementa l'osmolarità plasmatica. L'iposmolarità ha effetti opposti. Le modificazioni della kalemia plasmatica sono associate a variazioni del volume cellulare. Quando l'osmolarità del LEC aumenta l'acqua lascia la cellula e il flusso continua fino a che l'osmolarità intracellulare non diventa uguale alla osmolarità del LEC. Questo raggrinzimento provoca un incremento della concentrazione di K+ all'interno della cellula che a sua volta provoca fuoriuscita di K+ (secondo

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gradiente) con incremento della K+ plasmatica.

Cause ed effetti dell'iperkalemia - Durante l'esercizio fisico si libera dalle cellule del muscolo scheletrico più K+ rispetto alle condizioni di riposo. Le variazioni della K+ plasmatica provocata dall'esercizio fisico non provocano in genere sintomi evidenti e scompaiono dopo pochi minuti di riposo. Tuttavia l'esercizio può produrre una iperkalemia a rischio di vita negli individui che abbiano alterazioni di natura endocrina che modificano la liberazione di insulina, adrenalina, o aldosterone, oppure negli individui che abbiano una ridotta capacità di escrezione urinaria di K- Un incremento di 2-3 mEq porta la concentrazione del potassio a 6-7 mEq, particolarmente rischiosa.

- La lisi cellulare provoca iperkalemia che risulta dall'aggiunta al LEC di K+ che si trova all'interno delle cellule. Un trauma grave (ustioni) o in situazioni di lisi cellulare indotta da chemioterapici o rabdomiolisi (distruzione del tessuto muscolare scheletrico) vi è la liberazione di K+ e di altri soluti cellulari nel LEC. - Prenderemo la regolazione a lungo termine che presiede al mantenimento od omeostasi della quantità totale di K+ presente nell'organismo. Questo tipo di regolazione è appunto affidata completamente al tubulo renale e difatti la regolazione in questione trova nel rene l'unica via attraverso la quale il K+ viene secreto e poi escreto. Il ruolo che il rene svolge consiste nel commisurare la escrezione del K+ alle assunzioni da parte de soggetto con la dieta in modo tale che la kalemia totale sia extracellulare che endocellulare permanga costante.

Riassorbimento del K+ - Ora per quanto attiene il ruolo del rene va detto che del K+, che noi assumiamo con la dieta ,il 5-10% viene liberato nell'ambiente attraverso la sudorazione. Il restante 90-95% viene regolato dal tubulo renale. Le modalità attraverso cui il rene elimina tale elettrolita dipende dalla quantità che il soggetto assume con la dieta. In una normale alimentazione il soggetto assume in media corrispondente a 100mEq di K+ vediamo come questo elettrolita, assorbito dalla mucosa intestinale perviene al 90% mediante la circolazione ai reni, legato a proteine. - Di esso sappiamo anche che a livello del tubulo contorto prossimale viene riassorbito per valori del 67%, prevalentemente secondo la via para-cellulare, legato al drenaggio del solvente, ovvero al riassorbimento che coinvolge l'acqua. Mentre per il restante 20% K+ viene riassorbito a livello del segmento spesso della branca ascendente dell'ansa di Henle (di questo riassorbimento il 50% è paracellulare mentre il restante è transcellulare). Queste percentuali di riassorbimento sono fisse mentre nel tubulo distale e nel dotto collettore la quota riassorbita dipende invece dall'ammontare di K+ assunto con la dieta (facoltativo). Siamo supponendo nelle condizioni in cui un soggetto ha assunto una normale quantità i 100mEq di potassio. - A livello delle cellule principali del tubulo contorto distale ha luogo la secrezione del 10% del K+ mentre e a livello delle cellule principali del restante dotto collettore avverrebbe la restante secrezione per un 5%. A livello urinario viene allontanato un quantitativo pari al 15% del carico ultrafiltrato di K+. - Se la quantità di K+ nei tessuti incrementa la secrezione incrementa a livello del tubulo contorto distale fino al 50% del volume ultrafiltrato e del 30% nel dotto collettore. Può quindi essere secreto fino l'80% del K+ presente nell'ultrafiltrato. In restrizioni di assunzione del K+ dopo il riassorbimento del 67% nel tubulo prossimale e del 20% nel segmento spesso si ha un ulteriore riassorbimento di K+ a livello delle cellule del tubulo contorto distale e collettore. Tale riassorbimento è di circa un 3% a livello delle cellule principali del tubulo contorto distale e di circa il 9% a livello del dotto collettore. Pertanto l'entità di K+ che resta è circa l '1% e viene eliminato nell'ambiente con le urine. In condizione di restrizione non abbiamo alcuna secrezione di K+ (solo riassorbimento). L'escrezione dell'1% è una quantità modesta e tuttavia il rene non è in grado di ridurre ulteriormente questa quantità. Per il fatto che il rene non è in grado di ridurre ulteriormente tale percentuale una assunzione con livelli subottimali di K+ può esporre il soggetto a condizioni di ipokalemia, critiche per il miocardio specifico.

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Attraverso quali meccanismi il rene regola e svolge la sua funzione omeostatica nei riguardi del K+.

I meccanismi di regolazione sono costituiti dalla possibilità a livello delle cellule principali del tubulo contorto distale e collettore di secernere o riassorbire K+ e sono i seguenti:

i) a livello delle cellule principali del tubulo contorto distale e del dotto collettore sono operanti sulla membrana basolaterale la pompa Na/K che internalizza il K+ che perviene nell'interstizio e con il plasma capillare peritubulare. ii) all'interno del versante basolaterale della cellula principale viene assunto Na+ attraverso i canali specifici. L'ingresso di Na+ all'interno della cellula (dal versante luminale) determina una riduzione della negatività del versante interno della membrana che contribuisce a ridurre la d.d.p. della membrana luminale o la forza che tende a trattenere K+ all'interno della cellula (si ricordi che il gradiente chimico tende a far uscire K+ dalla cellula, ma il gradiente elettrico agisce in senso opposto). Pertanto in conseguenza dell'aumento della concentrazione di K+ all'interno della cellula e del gradiente elettrico che si è ulteriormente ridotto a livello del versante luminale ne risulta che il K+ tende a diffondere dalla cellula al lume o all'interstizio. iii) la sua diffusione attraverso la membrana luminale è prevalente (rispetto alla diffusione dal versante baso-laterale) in considerazione sia della ridotta d.d.p a livello di tale membrana ma anche per la maggiore permeabilità della membrana luminale rispetto a quella baso-laterale in ragione del fatto che sono peraltro presenti i canali specifici per il K+.

iv) Un assorbimento del K+ avviene attraverso l'antiporto H+/K+ ATPasi attraverso cui H+ è estruso mentre K+ è assunto dalla cellula. Il K+ esce dalla cellula attraverso la membrana baso-laterale per poi entrare in circolo.

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Questi fattori sono alla base della regolazione del K+. Una variazione di questi fattori saranno alla base della variazione della secrezione, maggiore o minore, di K+ da parte del tubulo renale.

I fattori che regolano la omeostasi del K+ sono 3:

i) la concentrazione plasmatica di K+. Vi è una aumento della concentrazione a seguito di una aumentata assunzione con la dieta o ad es. a seguito rabdomiolisi. Quest'aumento induce a livello delle cellule principali del dotto collettore un aumento dell'attività della pompa Na/KATPasi. E pertanto una aumentata captazione di K+ all'interno

della cellula. L'aumentata concentrazione di K+ aumenta la permeabilità della membrana luminale aumentando al tempo stesso l'attività dei canali-K+ presenti su questa parte luminale. L'aumentata concentrazione del K+ a livello plasmatico induce un aumento della secrezione di aldosterone e un aumentato afflusso di liquido tubulare giacché l'aumento della kalemia induce una riduzione del riassorbimento del liquido a livello del tubulo prossimale da cui discende che un maggiore afflusso di liquido perviene a livello del lume del distale e del collettore. In questo modo l'aumento della concentrazione del K+ endocellulare comporta una aumentata secrezione di esso. Viceversa una riduzione della kalemia sortirà effetti opposti, cioè minore attività della pompa, minore permeabilità della membrana al K+ e attivazione dell'adenosina kinasi che determina una internalizzazione dei canali K+ a livello della membrana luminale.

ii) la concentrazione di aldosterone sierico. Può essere liberata o a seguito di un riduzione del LEC o a seguito dell'iperkalemia. L'aldosterone agisce secondo una modalità a breve (qualche ora) termine e una modalità a lungo termine (giorni). La modalità a breve termine consiste a) nell' aumento della funzione della pompa Na/K ATPasi*, b) dell'attività dei canali specifici per il Na+ presenti sulla membrana luminale, c) nonché all'attività dei canali specifici per il K+*, d) l'attivazione della kinasi attivata dai glucocorticoidi che dopo essere stata fosforilata attiva sia il numero delle molecole della pompa Na+/K+ATPasi* sia i canali per il K+*. e) L'aldosterone attiva anche la prostatina, una proteina attivante i canali per il

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Na+, aumentando inoltre la permeabilità della membrana luminale. La sua azione cronica di lungo periodo si esplica quando l'incremento di questo ormone permane per giorni, mediante l'azione genica. Il complesso ormone recettore trasloca nel nucleo dove aumenta la trascrizione genica codificante: a) le proteine Na/KATPasi, b) le proteine per i canali specifici per Na+ e K+. Dopo un breve periodo l'aldosterone nonostante induca una aumenta attività della pompa Na+/K+, si osserva come ciò non si associ ad un aumento della secrezione del K+. Ciò perché l'aldosterone favorisce il riassorbimento di Na+ che determina anche il riassorbimento di acqua e ne risulta che il flusso del liquido all'interno del tubulo si riduce e la riduzione del flusso causa una riduzione della secrezione di K+. Il perdurare della concentrazione plasmatica elevata dell'aldosterone risulta che a misura che il Na+ viene riassorbito ciò comporterà una espansione del LEC a cui seguirà un aumento del volume di liquido ultrafiltrato e quindi del liquido endotubulare che fluisce fino al tubulo distale e collettore. Quando abbiamo una ridotta secrezione dell'aldosterone in relazione ad una espansione del LEC o a seguito di una ipokalemia questi effetti si riducono fortemente.

iii) la concentrazione della renina-angiotenstina. La liberazione di vasopressina esercita i suoi effetti attraverso 2 modalità antitetiche per cui ne risulta che i due effetti si compensano annullando reciprocamente i propri effetti sulla secrezione del K+). La vasopressina è quell'ormone deputato al riassorbimento facoltativo dell'acqua. Più recentemente quest'ormone si è visto che è in grado di favorire il riassorbimento di Na+ seppure in misura modesta. A livello del tubulo distale il riassorbimento di Na+ comporta una riduzione della negatività della membrana luminale e ciò favorisce la tendenza del K+ ad essere secreto giacché è meno negativo il versante interno della membrana. Ora ciò comporterebbe una aumentata secrezione del K+ ma in effetti la vasopressina per via del riassorbimento di acqua che promuove riduce il volume del liquido a livello del tubulo distale e collettore e quindi ne risulta un ridotto afflusso del liquido endotubulare che comporta una ridotta secrezione del K+. In questo modo la secrezione del K+ viene disaccoppiata dall'equilibrio idrico determinato/regolato dalla vasopressina. Altrimenti risulterebbe che il K+ si troverebbe ad essere secreto ogni qual colta vi fossero delle variazioni del contenuto idrico extracellulare.

Fattori che influiscono nel variare la concentrazione del K+: i) Il flusso del liquido all'interno del tubulo. Il flusso può variare in relazioni a svariate circostanze, sia fisiologiche sia più propriamente patologiche relative ad una emorragia o una diarrea oppure a seguito dell'assunzione di diuretici. L'incremento del flusso agisce su una struttura che è presente sulla membrana luminale di quasi tutte le cellule intercalate, ovvero il ciglio primario. Nella fattispecie esso assolve ad un ruolo prettamente meccanico nel senso che il flusso di liquido flette il ciglio e alla base di questo ciglio a seguito della pressione a cui è sottoposto vengono attivati dei canali per il Ca2+ menzionati come policistina1 e 2 (la cui alterazione porta alla patologia del rene policistico) per cui il Ca2+ diffonde all'interno della cellula attivando a sua volta i canali per il K+ stimolando la secrezione del K+ stesso. Questa secrezione è attivata anche in conseguenza del fatto che all'aumentare del flusso giunge a ridosso della superficie luminale delle cellule principali del distale e collettore un maggior quantitativo di soluto dato dal Na+. Aumentando il flusso aumenta il carico di Na+ flusso-dipendente per cui ne risulta che a un aumento della quantità di Na che giunge alla superficie delle cellule, questi diffonde nelle cellule riducendo la negatività favorendo attraverso una riduzione del gradiente elettrochimico una secrezione di K+. Non solo. All'aumentare della concentrazione del Na+ all'interno della cellula costituisce uno stimolo per la pompa Na/K il che comporta una ulteriore captazione di K e aumento del K+ endocellulare, aumento del gradiente elettrochimico e maggiore secrezione di Na+. La riduzione del flusso conseguente ad una emorragie induce una diminuzione della secrezione del K+ perché si riduce il flusso del liquido endotubulare

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ii) l'equilibrio acido base. La modificazione dell'equilibrio acido-base può portare a valori di PH < 7,35 (acidosi) o > 7,45 (alcalosi): a) L'acidosi costituisce uno stimolo che tende ad inibire in prima istanza la secrezione del K+, b) viceversa l'alcalosi tende ad incrementare la secrezione del K+. L'aumento di H+ induce una inibizione della pompa Na/KATPasi che porta ad una minore captazione del K+ e minore captazione di questo a livello endocellulare, in secondo luogo l'aumento di H+ determina una ridotta permeabilità degli ioni K presenti sul versante luminale. Quando tale condizione di acidosi permane e si cronicizza si ha una modificazione della risposta: un aumento della concentrazione di Na+ nella cellula causata dalla inibizione della pompa Na+/K+ (il Na+ diffonde secondo gradiente dallo spazio extracellulare allo spazio endocellulare) che a sua volta comporta nel tubulo prossimale una riduzione del gradiente del Na+ tra il lume e la cellula e quindi l'antiporto Na/H è meno attivo (trasporto attivo secondario, dipende dalla pompa Na+/K+!). Ne risulta un minore riassorbimento di Na+ che comporta un minor riassorbimento di acqua (qui viene riassorbito il 67% di acqua). Il LEC quindi si riduce (e con esso la pressione). La riduzione del LEC scatena la liberazione del sistema renina angiotensina aldosterone. L'acidosi attraverso induce la liberazione della cellula di K+ aumentando la kalemia. Tutto ciò sovrasta l'iniziale inibizione della pompa Na+/K+ATPasi e indurre una secrezione da parte delle cellule del tubulo distale e del dotto collettore.

iii) Effetto indotto dalla secrezione dei glucocorticoidi . I glucocorticoidi inducono un aumento di secrezione di K+ attraverso 2 modalità. a) La prima deriva dal fatto che gli ormoni glucocorticoidi portano ad una aumentata diuresi idrica, comportando un aumento della VFG, che determina un aumentato flusso del liquido endotubolare che determina un aumentato flusso di potassio ioni K+. b) In secondo luogo i glucocorticoidi aumentano la secrezione di K+ mediante la stimolazione kinasi che agisce nella sua forma fosforilata aumentando il numero delle Na+/K+ ATPasi e di canali per il Na+. La secrezione di K+ può essere modificata ad opera delle cellule principali del dotto distale e collettore, potendo cioè essere aumentata o diminuita.

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Condizioni di ipokalemia (K+ < 3.5 mOSM/Kg ) cronica possono ad esempio verificarsi nel caso di assunzione di diuretici a scopo ipotensivo o a seguito di una aumentata escrezione di liquido a seguito di vomito reiterato. In tali circostanze si instaura una riduzione del volume del liquido extracellulare e quindi l'attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone. In caso di iperkalemia (K+ > 5 mEq/L) si può verificare a seguito di una riduzione della VFG o ancora a seguito di una insufficienza renale ( che si associa ad una riduzione della VFG). Vi è inoltre iperkalemia dovuta a insufficienza di quegli ormoni respinsabili della regolazione extracellulare a breve termine del K+ come l'insulina, l'aldosterone e l'adenosina (?). In questi casi la escrezione di K+ viene ridotta e il K+ resta in circolo costituendo una iperkalemia. Il rene rappresenta l'unica via attraverso cui è operata la regolazione di questo elettrolita.Attraverso i processi di secrezione e assorbimento il rene regola il volume extracellulare, influendo quindi anche su quello intracellulare. Il rene però regola anche il volume e l'osmolarità dei liquidi dei fluidi corporei.

Regolazione del volume e dei liquidi corporei. Dal punto di vista quantitativo i liquidi dell'organismo in un soggetto di 70Kg, in condizione di riposo e in condizioni ambientali di 24-25C° il volume idrico complessivo è pari al 60% del suo peso corporeo ove si assuma come eguale 1l di H2O a 1 Kg di massa. Questo 60% corrisponde a 42l di acqua, un contenuto che è di 10% in più nell'maschio che nella femmina per via del contenuto maggiore, in quest'ultima di massa adiposa. Questa percentuale nell'uomo è presente dal 1° anno fino al 40° anno di età dopo di che anche nel maschio aumenta la massa grassa. Alla nascita il soggetto presente un contenuto idrico che oscilla intorno al 80% che nel primo anno si porta al 60%. Già nel corso del primo anno la componente endocellulare vada incontro ad una prolifierazione più veloce di quando non avvenga nel LEC e poiché nel compartimento intracellulare ha una concentrazione solida maggiore (20%) rispetto a quello extracellulare ne risulta a seguito di ciò che la componente idrica già nel corso del primo anno passa dal 75-80% a 60%. Il contenuto idrico totale è suddiviso in un compartimento intracellulare e un compartimento o liquido extracellulare: il primo rappresenta il 40% del peso corporeo corrispondente a 28 litri mentre il compartimento extracellulare (LEC) rappresenta il 20% del peso corporeo pari a 14 litri.Il compartimento extracellulare è costituito dal liquido interstiziale (LIC) per ¾ del LEC, per il ¼

restante è rappresentato dal plasma. Del LEC fanno parte anche l'acqua presente nel tessuto osseo e nel connettivo denso. Vi sono insieme di frazione dei liquidi (vie biliare, tubo gastroenterico, polmonari, liquido cefalorachidiamo, sierose ecc..) del LEC chiamati liquido transcellulare: essi sono separati dal resto del LEC da più piani di cellule.Questi liquidi normalmente incidono scarsamente sul contenuto liquido totale, e tuttavia in condizioni patologiche queste frazioni assumono importanti in quanto possono diventare abnorbi, si pensi al liquido che si riversa nelle sierose peritoneali dando luogo a condizioni patologiche come l'ascite. In tali circostante vi è una notevole differenza tra il volume circolante efficace e la totalità del liquido extracellulare giacché in questo caso mentre il liquido extracellulare incrementa poiché gran parte di acqua e soluti dall'ambiente extracellulare travasa in questi spazi come le sierose pleurica, peritoneali, pericardica, o addirittura negli interstizi, causando edema.La composizione nei vari compartimenti:

ioni LEC LIC

Na+ mEq/L 145 12

K+ mEq/L 4 150

Ca++ mEq/L 5 0

Cl- mEq/L 105 5

HCO3- mEq/L 25 12

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Pi mEq/L 2 100*

PH 7,4 7,1

LIC e plasma sono tra loro in stretta relazione a mezzo della parete capillare attraverso la quale è possibile il passaggio di queste specie ioniche e dell'instaurarsi dell'equilibrio per l'esclusione di un costituente plasmatico che resta all'interno dei capillari: le proteine. Le proteine restando all'interno dei capillari determinano una influenza sulla distribuzione delle specie ioniche diffusibili dando luogo all'effetto Gibbs-Donnan. La presenza delle proteine nei capillari determina una maggiore concentrazione di specie ioniche diffusibili positive date dal Na+ e dal K+ per cui queste si disporranno in una concentrazione lievemente maggiore all'interno del plasma. Le specie ioniche diffusibili negative come Cl- si disporranno maggiormente concentrate all'esterno dei vasi, nell'ambiente interstiziale. Si tratta i differenze di concentrazione che non influiscono significativamente sulla distribuzione nei compartimenti. - Lo scambio che avviene tra i compartimenti idrici, ovvero compsrtimento Intracellulare e LEC (plasma e spazio interstiziale) sono determiante da 2 forze: la forza idrostatica data dall'attività della pompa cardiaca e dalla forza di gravità determinano lo scambio di soluti a livello dei capi arteriosi dei capillari ematici. Oltre alla pressione idrostatica vi è la pressione colloido-osmotica esercitata dalle proteine plasmatiche. Sono queste le forze che determinano il movimento di specie ioniche tra l'ambiente plasmatico e quello interstiziale. - Mentre tra LEC (plasmatico e interstiziale) e ambiente intracellulare le forze che determinano lo scambio di soluti e solvente sono determinate da gradienti osmotici, ovvero tra la differenza di pressione osmotica tra i due compartimenti. In condizioni normali tale parametro è in equilibrio es è dato da un eguale valore di osmolarità tra il compartimento intracellulare e l'interstizio. Ove questo venisse turbato possono esservi movimenti di acqua (solvente) attraverso le acquaporine presenti sulla membrana delle cellule tissutali. Per quanto attiene lo scambio di soluti tra il compartimento intracellulare ed extracellulare è controllato in maniera fine da opportuni trasportatori/carrier che differiscono da specie ionica a specie ionica. - La concentrazione dei soluti nei vari compartimenti idrici (intracellulari ed extracellulari) dell'organismo è importante parametro perché essi determinano l'osmolarità di tali spazi. In normali condizioni questo parametro è eguale tra ambiente intracellulare ed extracellulare. Questo parametro è determinato e valutato sulla base della concentrazione non sulla base dei soluti ma fondamentalmente sulla base di 3 soluti maggiormente rappresentati: Na+ e degli anioni che lo accompagnano, va a dire HCO3

-, Cl-. L'osmolarità è una proprietà dei compartimenti idrici in virtù della quale essi sono dotati di una forza osmotica in grado di trattenere acqua all'interno di un determinato compartimento, data dal numero di particelle osmoticamente attive presenti in un quel determinato compartimento. L'unità di misura dell'osmolarità corrisponde al numero di Avogadro che costituisce una mole 6,023x10^23 particelle che sono quelle liberate da una mole (1 mol) di soluzione. Se è presente 1 mole di particelle per litro di soluzione diremo che la soluzione è 1 osmolare. Non è detto che se una soluzione contiene 1 mole di soluto si può dire 1 osmolare. 1 mole di NaCl può essere contenuta sempre in un litro di soluzione, ma l'osmolarità sarà 2 invece che 1, giacché il NaCl si dissocia in una mole di Na+ e in una mole di Cl-.La determinazione dell'osmolarità dei compartimenti idrici nella maniera più semplificata è misurata sulla base della concentrazione del Na+ e degli altri principali 2 anioni che lo accompagnano. La concentrazione di Na+ = 145 mEq/L.Si assume come valore dell'omsolarità dei compartimenti idrici come data da 2 volte tale concentrazione, volendo intendere la concentrazione del Na+ e degli anioni che lo accompagnano che sono elettrostaticamente legati al Na+, pari a circa 145x2 = 290 mEq/L. Questo è il parametro usato come riferimento della osmolarità in condizioni normali.In genere si utilizza la osmolalità perché la massa in un sistema chiuso non varia al variare della temperatura mentre il volume sì. La espressione degli elettroliti è bene riportarla da litri di acqua a kg di acqua specie quando il litro di acqua non è propriamente tale laddove la concentrazione di

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soluti occupa un notevole volume. Le proteine ad esempio costituiscono (nel plasma?) il 7% e quindi su 100ml di acqua 7 ml non sono occupati dall'acqua e quindi commetteremmo un errore se considerassimo nella concentrazione anche lo spazio in litri occupato dal soluto. Quindi la osmolalità sarà 290 mOsmoli/KgH2O. In talune condizioni anche sostanze come il glucosio e l'urea possono acquisire delle concentrazioni osmolarmente rilevanti, specie in condizioni di diabete o di insufficienza renale. Il calcolo della osmolarità viene valutato considerando oltre alla concentrazione del Na+ anche quella del glucosio e dell'urea. Glucosio e urea sono i due soluti che hanno maggior valore dopo Cl - e HCO3

-. In soluzione non tutto il sodio e il cloro si dissociano per cui il coefficiente di Van't Hoff non è 2 ma 1,88. Le concentrazione in mOSM/Kg del glucosio si calcola come [glucosio]/18 = (100mg/ml)/18. Al denominatore è presente 18 perché si considera la concentrazione su 100mL e non 1L di plasma quindi il peso molecolare del glucosio (180) si divide per 10. Lo stesso si fa per l'urea. Il peso molecolare dell'urea è 60 ma qui si considera solo il peso degli atomi di azoto presente nell'urea che qui è 28. Poiché anche qui si considera una soluzione di 100mL si deve anche qui dividere il peso dell'azoto dell'urea per 10, ottenendo un valore di 2.8 mOSM/Kg. Poiché la concentrazione dell'urea è 16 mOSM/Kg, otterremo il quantitativo di (16mg/100ml)/2.8.L'osmolarità del plasma quindi si calcola come:1,88[Na+ plasmatica] + [glucosio]/18 + [urea]/2,8 = 273mOSM/kg + (100mg/100ml)/18 + (16/100)/2.8 = 273 + 5.6 + 5,6 = 284 mOSM/Kg.La somma totale in osmoli di questi soluti è 284 mOSM/Kg di acqua.

11-5-2012

Il rene elimina urine iper-osmotiche e concentrate a mezzo della utilizzazione di un soluto quale è l'urea. L'urea si comporta da soluto non efficace in quanto è in grado di attraversare la membrana del dotto collettore, assumendo la concentrazione uguale a quella delle urine estremamente concentrate. Questa è una modalità attraverso la quale il rene è in grado di dover eliminare urine concentrate senza essere obbligato a utilizzare il cloruro di sodio, il che trascinerebbe un ampio volume di acqua e diminuendo il LEC.L'urea in parte viene allontanata dall'organismo evitando condizioni dannose di iperuremia, ma nella quota che resta nel tubulo renale l'urea viene utilizzata per preservare l'omsolarità dell'ambiente midollare. L'urea diffonde a livello del tubulo midollare, che nella zona midollare (cioé quella più interna) è permeabile, fino all'interstizio del parenchima della midollare renale, in virtù del fatto che nel lume essa è più concentrata in quanto vi è stato precedentemente il riassorbimento di acqua ma non di urea. L'urea diffusa nell'interstizio penetra poi nel segmento della branca ascendente e permane successivamente sempre all'interno del tubulo senza poter diffondere giacché sia il segmento ascendente che il tubulo distale e il dotto collettore sono impermeabili all'urea (durante questo tragitto l'urea si comporta come soluto efficace in quanto non diffonde). In virtù di questo ricircolo dell'urea l'osmolarità della midollare viene mantenuta a livelli di 1200 mOSM/Kg acqua. Il NaCl presente nell'interstizio della midollare determina il restante 50% della osmolarità ma contribuisce con la sua presenza a favorire il riassorbimento dell'acqua attraverso i 2/3 superiori del dotto collettore midollare, prevenendo l'eccessiva eliminazione di acqua.

Il ruolo dell'urea quindi è consentire al rene di produrre urine iperosmotiche (rispetto al plasma) senza ricorrere al NaCl che per la sua notevole proprietà di soluto osmolarmente efficace promuoverebbe una grande eliminazione di acqua, diminuendo il LEC. L'urea come soluto in parte viene eliminata con le urine, l'altra parte contribuisce a mantenere l'osmolarità interstiziale. Quando le urine devono essere particolarmente concentrate, la iperosmolarità (= la notevole concentrazione dell'urina) è realizzata attraverso l'escrezione di urea. In condizioni normali la composizione delle urine contiene esattamente le quantità di ioni assunti con la dieta poiché questi ioni rimangono a concentrazioni costanti. Il PH può aggirarsi da valori di 5-7 (in media 5.5-6). Esso non può portarsi al di sotto di 4.5

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giacché un PH più acido sarebbe lesivo per il parenchima renale. L'osmolarità delle urine in normali condizioni è di 600-800 mOSM/Kg acqua, una osmolarità maggiore di quella del plasma. Nella maggior parte delle situazioni i soggetti eliminano un quantità di urine iper-osmotiche rispetto al plasma. La massima osmolarità delle urine massimamente concentrate è però di 1200 mOSM/Kg di acqua. Responsabile di tale osmolarità è il meccanismo della moltiplicazione della concentrazione osmotica controcorrente che determina il gradiente osmolare che nella midollare va da 300 a 1200 mOSM/Kg. Questo gradiente deve al tempo stesso essere mantenuto costante nella midollare. Vasa recta - Quali sono i meccanismi che presiedono al mantenimento di tale costanza del gradiente perché esso non debba essere continuamente rigenerato? Protagonisti del mantenimento di tale gradiente sono i vasa recta, annessi alle anse di Henle dei nefroni iuxta-midollari che originano dall'arteriola afferente e si portano seguendo l'andamento dell'ansa fino ad approfondarsi nella midollare seguendo la branca discendente e la branca ascendente la quale sbocca nella componente venosa (vene acriformi o interlobulari). Il ruolo dei vasa recta è i) portare ossigeno e sostanze nutritizie all'epitelio e all'ansa di Henle nonché ii) fattori umorali che influiscono sulle funzioni delle cellule dell'ansa; iii) Inoltre questi vasa recta drenano acqua e soluti che sono stati riassorbiti a livello del tubulo distale del nefrone iuxtamidollare. iv) Questi vasa recta mantengono costante il gradiente operando come scambiatori. Mentre l'ansa da segmento spesso della branca si comportava come un moltiplicatore per controcorrente nel generare il gradiente, i vasa recta nel mantenerlo costante operano come scambiatori.

A misura che il sangue percorre la branca discendente si inoltra nell'interstizio midollare a valori di osmolarità vieppiù crescenti, maggiori di 300 mOSM, ed essendo i vasa recta permeabili all'acqua o ai soluti, ne risulta che a livello della branca discendente dei vasa recta vi è uscita di acqua e soluti come NaCl e urea. In tal modo l'osmolarità della branca discendente va incrementando. A qualunque livello della branca discendente troviamo che l'osmolarità del plasma ha un valore lievemente minore rispetto al valore dell'osmolarità del corrispondente interstizio midollare. Questo divario o differenza è dovuta al fatto che la velocità con cui il sangue fluisce nella branca discendente supera la velocità con la quale si stabilirebbe una eguale osmolarità tra plasma ed interstizio. Il plasma giunge a fondo dell'ansa, ovvero dell'interstizio della midollare, e qui si realizza un equilibrio osmotico (= 1200mOSM/Kg sia nell'interstizio che nel lume dell'ansa). Vale la pena tenere presente che le cellule sia della parte dell'endotelio dei vasa recta sia dell'ansa vengono a trovarsi in un ambiente ad elevata osmolarità (=1200) e queste cellule, per poter mantenere invariato il proprio volume rispetto all'osmolarità esterna che finirebbe per causarne una deplezione fatale di acqua, sintetizzano soluti osmolarmente efficaci che restano all'interno alle cellule stesse che esercitano una pressione osmotica eguale e contraria alla osmolarità presente nell'interstizio. Ad es. questi soluti sono il sorbitolo, la betaina, inositolo , glicerofosfatidilcolina ecc...

Il plasma nella branca discendente dei vasa recta cedeva acqua e assumeva soluti. Ora invece assume, nella branca ascedente, assume acqua dall'interstizio e al tempo stesso cede soluti. Qui osserviamo tra il plasma e l'interstizio, dal un punto di vista dell'equilibrio osmolare, che avviene un meccanismo opposto. Che cosa accade nella branca ascendente? La osmolarità ad un determinato livello del plasma che sta ascendendo si presenta più elevata (675) di quello che si trova nel corrispondente interstizio (750). Ciò è dovuto al fatto che il plasma procede ad una velocità ben più elevata di quanto non sia il tempo che si richiederebbe per poter realizzare un equilibrio di osmolarità tra lume e interstizio. Il plasma emerge all'inizio della branca ascendente con una osmolarità maggiore di quella con cui era entrato. Questa differenza è importante per almeno 2 ragioni:

i) l'aumento di osmolarità con cui il plasma emerge dalla branca ascendente comporta una

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forza che trattiene un volume maggiore di acqua. I vasa recta stanno drenando, quindi portando nella circolazione sistemica proprio quel volume di acqua che era stato riassorbito a livello del tubulo distale collettore a seguito della influenza della vasopressina e che rappresenta il così detto riassorbimento facoltativo. Questo volume è importante perché riportato nella circolazione sistemica regola finemente il livello del LEC e cioé il volume circolante efficace. ii) il riassorbimento di soluti al opera dei vasa recta previene che si accumulino soluti all'interno della midollare prevenendo un abnorme riassorbimento dell'acqua e nello stesso tempo tali soluti, riportati nella circolazione generale contribuiscono alla regolazione fine della osmolarità.

Ecco l'importanza che rivestono i vasa recta nonostante la perfusione ematica attraversi di essi sia modesta (0,7%) rispetto all'intero flusso ematico renale. Essi mantengono il gradiente osmolare agendo da scambiatori controcorrente e drenando nella circolazione sistemica sia il volume di riassorbimento facoltativo sia la quantità di soluti riassorbiti contribuendo alla regolazione fine del LEC. Il flusso nei vasa recta deve essere mantenuto costante poiché un incremento del flusso comporterebbe una rimozione di soluti dalla midollare attenuando il valore della osmolarià e riducendo i volume di liquido che può essere riassorbito. D'altro canto il flusso non deve essere ridotto giacché questo comporterebbe una ridotta ossigenazione delle anse.

Qual è il parametro a mezzo del quale è possibile valutare e descrivere quantitativamente la capacità del rene di produrre urine più o meno concentrate? Questa capacità è espresso mediante la “clereance dell'acqua libera”, generalmente indicata con CH2O . La clereance dell'acqua libera esprime un volume di plasma depurato nell'unità di tempo di acqua libera e priva di soluti. Quest'acqua può dunque essere sottratta al rene e al plasma e in questo senso il plasma è stato depurato di un certo volume di acqua libera che è stata eliminata nell'ambiente esterno con le urine.Laddove il rene escresce urine più concentrate la clereance dell'acqua libera esprime il volume di acqua libera da soluti che viene riportato all'interno della circolazione.Per esprimere la clereance dell'acqua libera occorre però esplicitare un altro parametro che serve come riferimento cioé la clereance osmolare o COSM. Per clereance osmolare intendiamo un volume di acqua che nell'unità di tempo (1 min) è completamente depurata dei suoi osmoli, sia efficaci che inefficaci, le quali vengono escreti nell'ambiente esterno con le urine. → COSM = UOSM*V/POSM (“concentrazione urinaria delle osmoli” x “flusso urinario”/ “concentrazione osmolare del plasma”).

CH2O = V – COSM . Cioé la differenza fra il “flusso urinario” meno la “clereane osmolare”.

Questa relazione può essere: i) CH2O> 0. il flusso urinario è superiore al volume di plasma da cui derivano le osmoli che stiamo eliminando con le urine. Stiamo eliminando un volume di urina che comprende non solo il volume di plasma e i suoi soluti ma c'é un eccesso ulteriore di volume che è acqua priva di soluti ovvero libera. (urine ipo-osmotiche rispetto al plasma, diuresi idrica); ii) CH2O = 0 le urine sono iso-osmotiche col plasma. (non è condizione normale. Stiamo comunque eliminando nell'ambiente un volume idrico eccessivo) si pensi ad esempio alla clereance dell'urea è 50 ml/min. Che cosa risulterebbe se noi elimineremmo urine isoosmotiche arriveremmo a eliminare 7-8L di urine /24 ore; iii) CH2O < 0 abbiamo un volume di urine < del volume del plasma dal quale provengono i soluti che stiamo eliminando nell'ambiente esterno: le urine sono iper-osmotiche rispetto al plasma, il che rappresenta la condizione normale. (questo consegue all'azione normale sia del gradiente osmolare della midollare che dell'azione della vasopressina.)

Pertanto affinché il rene produca urine che siano diluite si devono dare i seguenti casi: i) non vi deve essere la secrezione di vasopressina, ii) deve essere operante il segmento spesso della branca ascendente dell'ansa di Henle, nel quale ha luogo la maggiore diluizione,

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iii) deve essere operante il segmento sottile ascendente perché qui vi è sì un passaggio di soluti ma poiché il NaCl diffonde in misura maggiore di quanto non sia quello che entra perché è maggiore il gradiente tra il lume e l'interstizio e il segmento sottile è impermeabile all'acqua, ne risulta che il volume di liquido tubulare non si modifica mentre la NaCl si riduce. Come il liquido ascende lungo il tratto ascendente sottile esso diventa meno concentrato rispetto al circostante liquido interstiziale (il liquido tubulare quindi si diluisce)

iv) deve essere anche elevato il volume che perviene ai segmenti dove avviene il riassorbimento del soluto, vale a dire il volume derivante dal tubulo prossimale che raggiunge la branca ascendente e il segmento spesso ascendente?), e ridotto il volume riassorbito.

Per avere urine concentrate vi deve essere: i) la massima secrezione di vasopressina ii) devono essere operanti i segmenti spessi e il segmento sottile ascendente e il segmento a livello del tubulo distale collettore giacché l'entità del riassorbimento dipende dalla elevata osmolarità dell'interstizio per mezzo della quale (grazie alla vasopressina ad elevata concentrazione) può essere riassorbito il massimo volume di acqua.

Regolazione del liquido extracellulare o LEC - La regolazione del LEC è estremamente influenzata dalla concentrazione di NaCl giacché permanendo la costanza della osmolarità allorché vi è una variazione del contenuto in NaCl vi è una variazione del volume del liquido extra-cellualare (ad es. incremento NaCl → incemento LEC e viceversa). In condizioni di normale volemia o euvolemia la quantità di NaCl escreto è uguale alla quantità di NaCl assunto con la dieta. Normalmente l'assunzione per un soggetto di 70Kg si aggira intorno agli 8g che corrispondono a circa 540 mEq. Il soggetto nel caso in cui assuma quantità maggiori di NaCl (in questo caso ciò comporta un aumento del LEC) o in caso elimini un maggior contenuto di NaCl (e in questo caso ciò si associa ad una diminuzione del LEC). Questo intervallo in cui il rene tende a ripristinare la normale volemia può avere una durata variabile a seconda della entità dei quantitativi di NaCl che sono assunti in misura maggiore o escreti in misura maggiore. Ripristinando la normale volemia e osmolarità si ripristina nuovamente la corrispodenza tra la quantità escreta pari alla quantità di NaCl assunta. Perché la regolazione del LEC possa avere luogo deve esservi la stimolazione di determinate strutture recettoriali sensibili non già al LEC ma piuttosto al volume circolante efficace cioè quel volume di plasma che non è individuabile come l'intero volume di liquido extracellulare, trattandosi del volume che circola nei vasi e che si considera efficace in quanto perfondendo i tessuti fornisce a questi l'ossigeno e i nutrienti. E' il volume circolante efficace che si modifica in determinate condizioni alle variazioni del LEC. In circostanze patologiche si può osservare che il LEC può incrementare mentre il Volume circolante efficace va diminuendo. Questa è una condizione propria di patologie come ad es. l'insufficienza cardiaca congestizia dove si osserva che in conseguenza della ridotta capacità meccanica cardiaca il plasma estravasa, abbandonando i capillari e andando negli interstizi. Ne risulta che il volume del LEC è incrementato, tuttavia una gran parte di questo non è più nei vasi a costituire il volume circolante efficace. Pertanto riducendosi l'entità del volume circolante efficace unitamente alla ridotta forza di contrazione del ventricolo dovuta all'insufficienza cardiaca causa l'ulteriore riduzione del volume di sangue espulso dal ventricolo all'aorta. Ciò a livello dei recettori viene interpretato come una riduzione del LEC e si associa ad una aumentata ritenzione di acqua e NaCl che vanno a incrementare sì il LEC ma soprattutto alla parte di essa presente nell'interstizio extracellulare e non il volume circolante efficace. In normali condizioni le variazioni del LEC si associano a parallele variazioni del volume circolante efficace. E' attraverso il volume circolante efficace che viene regolato il volume del liquido extracellulare insieme alla regolazione del NaCl giacché il NaCl rappresenta un soluto le cui variazioni determinano variazioni del volume circolante efficace stesso. Il volume circolante efficace a sua volta determina variazioni del LEC. Recettori a bassa pressione - Quali sono i distretti al cui livello è rilevata la variazione del

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LEC? Da questi infatti vengono messi in atto meccanismi mediante i quali vengono corrette le modificazioni del LEC. Nei distretti in questione sono presenti dei recettori in grado di rilevare le modificazioni del volume circolante efficace. Sono distretti ad alta e a bassa pressione. I distretti a bassa pressione sono rappresentati dalle cavità atriali, destra e sinistra, quella ventricolare di destra, i vasi polmonari. Ciò che accomuna questi distretti è il fatto di essere caratterizzati da una notevole distensibilità/compliance. I recettori che sono presenti in questi distretti rilevano il grado di pienezza del sistema essendo meccanocettori (recettori da stiramento). Attraverso questi distretti impulsi vengono portati al tronco dell'encefalo in corrispondenza del nucleo del tratto solitario (NTS) e da qui, attraverso vie bulbari, gli impulsi si portano all'area ipotalamica depressoria che a sua volta esercita un controllo sull'area pressoria bulbare da cui originano impulsi che vengono portate (controllare sul Berne e Levy) da fibre efferenti ortosimpatiche fino alle arteriole sia sistemiche che renali. Pertanto una riduzione del 5-10% del volume circolante efficace indurrà una scarica efferente tendente a portare al riassorbimento di NaCl e liberazione di vasopressina. Recettori epatici - Vi sono anche altri recettori che operano nel regolare il volume del liquido extracellulare, presenti ad esempio a livello delle vene intra-epatiche, in grado di rilevare la maggiore o minore perfusione epatica e la maggiore o minore concentrazione di NaCl presente nel sangue. Recettori ad alta pressione: recettori seni aortici e carotidei - Un distretto ad alta pressione da cui è rilevato il tenore del volume circolante efficace è costituito i seni aortico e carotideo. Qui vi sono recettori i quali rilevano, date le caratteristiche di questi vasi, elastici, la tensione a cui essi sono sottoposti. Una variazione della loro pressione e quindi della tensione elastica è proporzionale al volume circolante efficace. Questi recettori inviano impulsi al nucleo del tratto solitario a seguito di aumenti del 5-10% del volume circolante efficace e della pressione da questo esercitata: si avrà una aumentata attività dei nervi ortosimpatici efferenti ed una liberazione di vasopressina. Una riduzione del volume circolante efficace sortisce effetti opposti come una inibizione dell'attività dei nervi ortosimpatici e della secrezione di vasopressina. Recettori renali - L'altro distretto ad elevata pressione che comporta una regolazione del LEC è quello rappresentato delle arteriole afferenti del rene. A livello della parete di queste arteriole sono presenti recettori i quali sono stimolati dallo stiramento a cui la parete è sottoposta, il qual stiramento è in relazione alla minore o maggiore perfusione. Maggiore o minore perfusione sono funzione della maggiore o minore pressione del volume circolante efficace, a sua volta conseguente a variazioni del LEC. A livello dell'arteriola afferente una riduzione della pressione transmurale induce la liberazione di renina, viceversa una maggiore pressione transmurale inibisce la liberazione di renina. Recettori ipotalamici - Altri recettori coinvolti nella escrezione del NaCl, parametro correlato con la pressione del liquido extracellulare, sono collocati a livello ipotalamico e sono in grado di rilevare le concentrazioni del NaCl presente a livello del circolo sanguigno cerebrale e del liquido cefalorachidiano, in grado di suscitare sia la sintesi peptidi natriuretici sia di angiotensina II. Riduzione del LEC - Nel caso in cui vi sia una riduzione del LEC e quindi del volume circolante efficace ciò viene rilevato dai recettori e si traduce innanzitutto in un aumentata scarica di impulsi che dall'area pressoria si portano attraverso il le fibre post-gangliari ortosimpaticche alle arteriole sistemiche, cutanee e splancniche (il che causa vasocostrizione), inoltre vi è liberazione i vasopressina. I seguenti effetti determinati dall'innervazione autonomica ortosimpatica tendono a riportare la variazione di pressione connessa alla riduzione del LEC verso valori normali: i) la vasocostrizione arteriolare (che costituisce la porzione dove vi è la maggior parte delle resistenze sistemiche). A livello arteriolare l'attività delle fibre post-gangliari ortosimpatiche determinano una vasocostrizione arteriolare ma preminente su quelle delle arteriole afferenti rispetto a quelle efferenti

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ii) la liberazione di vasopressina determinano un incremento della pressione. iii) oltre a ciò queste fibre determinano una liberazione sulle cellule iuxta-glomerulari di renina. iv) l'azione di queste fibre post-gangliari influisce sul riassorbimento di NaCl e di Acqua a livello del tubulo contorto prossimale, ma anche a livello del segmento spesso della branca ascendente di Henle del tubulo distale del dotto collettore. Incremento del LEC - L'incremento del LEC dà luogo a effetti opposti: ridotta attività delle fibre post-gangliari ortostimpatiche, ridotta liberazione di renina, ridotto riassorbimento a livello urinario.

Per quanto attiene la liberazione di renina ciò è conseguito attraverso 3 processi: a) la renina è liberata in condizioni di riduzione di LEC e specialmente del volume circolante efficace, la variabile che stimola i recettori e mediante riflesssi viscerali incoscienti stimola l'azione delle fibre ortosimpatiche efferenti sulle cellule iuxta-glomerulari; b) la renina è liberata dalla riduzione della pressione transmurale attraverso la parete dell'arteriola afferente (quando cioé vi è una de-tensione della parete stessa); c) la renina è liberata attraverso il coinvolgimento della macula densa. La riduzione di LEC ha comportato una diminuzione della VFG e quindi una diminuzione del carico ultra-filtrato del NaCl, pertanto e a livello della macula densa permarrà un carico flusso dipendente più ridotto perché si è ridotto il volume ultra-filtrato. Quindi la ridotta quantità di NaCl che giunge a questo livello determina una minore sintesi da parte di queste cellule di ATP e adenosina. Questi due ormoni/neurotrasmettitori si legano anche alla membrana delle cellule del mesangio extraglomerulare quindi ecco che la minore concentrazione di ATPe adenosina comporterà un minore ingresso di Ca2+ in queste cellule e poiché queste cellule sono connesse alle cellule iuxtaglomerulari mediante gap junction, ne risulta che un minore flusso di Ca2+ dalle cellule del mesangio alle cellule iuxtaglomerulari comporta una ridotta concentrazione di Ca2+ in queste ultime da luogo alla liberazione di renina (è una eccezione nel sistema di traduzione del segnale). L'angiotensinogeno per azione della renina viene clivata in angiotensina I. Quest'ultima viene per azione dell'enzima ACE, non solo a livello dell'endotelio dei vasi renali ma anche a livello dei vasi del circolo polmonare, viene convertita in angiotensina II.

i) L'angiotensina II è un potentissimo vasocostrittore che agisce non solo su distretti arteriolari sistemici ma anche a livello renale dove induce un effetto vasocostrittore che va a sommarsi a quello precedentemente determinato alle efferenze post-gangliari del sistema ortosimpatico, dando luogo ad una ulteriore riduzione del volume e della VFG. ii) Ma l'angiotensina II determina anche la liberazione di aldosterone dalla midollare? del surrene, il quale agirà sulle cellule del tubulo distale collettore incrementando il riassorbimento di NaCl, incrementando l'attivazione dei genica e la neosintesi proteica della pompa Na+/K+, dei canali specifici per il K+ e per il Na+. L'azione dell'aldosterone non è immediata ma viene attivata lungo ore, ovvero dopo il permanere di un stato di deficit del LEC. iii) L'angiotensina II agisce anche sul tubulo renale favorendo il riassorbimento di Na+ attraverso l'attivazione dell'antiporto Na+/H+. iv) L'angiotensina II agisce anche a livello dell'ipotalamo dove induce la liberazione di ADH e sembra anche che stimoli la sete. La maggiore assunzione di liquidi aumenta il LEC.

Peptidi natriuretici - Quando ha luogo un aumento del LEC e del regime pressorio esercitato dal volume circolante efficace ne risulta la liberazione di sostanze (di queste i peptidi natriuretici prodotti dal cuore e dai reni sono le più conosciute) che agiscono sul rene per incrementare l'escrezione di Na+ e al tempo stesso una maggiore diuresi e ad una diminuzione della sintesi e secrezione di vasopressina.Al peptide natriuretico atriale si associano anche altri peptidi natriuretici come la uroguanilina e l'adrenomedullina.

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- L'effetto è quello di determinare un aumento di contrazione delle arteriole afferenti e una riduzione del tono vasale delle arteriole efferenti del glomerulo con conseguente aumento della VFG. - Il peptide natriuretico atriale inibisce la liberazione di renina e aldosterone con la conseguenza sia della mancata presenza di angiotensina ma anche della diretta inibizione del peptide natriuretico sulla midollare del surrene. - I peptidi natriuretici quindi inibiscono il riassorbimento di NaCl non solo per una riduzione della concentrazione di aldosterone ma anche per un'azione diretta sulle cellule del dotto collettore inibente i canali del Na+, inibendo quindi il riassorbimento di sodio. - il peptide in questione inibisce anche la liberazione di ADH da parte dell'ipofisi posteriore e inibiscono l'azione dell'ADH sul dotto collettore, riducendo quindi il riassorbimento di acqua da parte del dotto; pertanto l'escrezione urinaria di acqua aumenta.

Regolazione del bilancio del sodio - Condizione euvolemica - Normalmente la quantità di Na+ che viene escreta è pari alla quantità che viene assunta. Ciò è finalizzato a mantenere un normale bilancio del Na+ e quindi l'euvolemia. Questo risulta dalla sequenza di meccanismi per cui almeno per il volume dell'ultrafiltrato il carico di questo elettrolita è facilmente valutabile: 145mEq/L x 180L di ultrafiltrato giornaliero di Na+ che vengono ultrafiltrati. A livello del tubulo prossimale di questo carico viene riassorbito il 67%. Anche se la VFG si modifica, ad esempio se si riduce, viene sempre riassorbito il 67% di Na+.Il volume di liquido endotubolare che lascia il tubulo contorto prossimale giunge al segmento spesso della branca ascendente dell'ansa di Henle dove il Na+ viene nuovamente sottoposto ad un riassorbimento pari al 25% (altra percentuale costante rispetto alla VFG). Ciò che resta, cioè il 7-8% del Na+, viene riassorbito nel tubulo contorto distale per il 5% e il restante 3% a livello del dotto collettore. Mentre le prime 2 quote rappresentano delle percentuali di riassorbimento costante del sodio la prima regolazione dell'escrezione di Na+ avviene a livello del tubulo contorto distale e collettore, ad opera dell'azione dell'aldosterone. Ciò che rende possibile la costanza del riassorbimento a livello del tubulo prossimale è dato da due meccanismi omeostatici i quali: i) il feedback tubulo-glomerulare e ii) il meccanismo di equilibrio del bilancio-glomerulo-tubulare.

Nel segmento spesso della branca ascendente è reso costante il riassorbimento del 25% sulla base del fatto che a quel livello il riassorbimento è carico-dipendente ovvero maggiore è la quantità di NaCl maggiore è il riassorbimento di esso e viceversa. Nei soggetti euvolemici nel tubulo distale e nel dotto collettore vi sono i principali segmenti del nefrone dove il riassorbimento di Na+ viene aggiustato al fine di mantenere l'escrezione commisurata all'assunzione dietetica. Con una dieta normale, pari ad un apporto giornaliero di NaCl di 8g (=140mEq), meno dell'1% del carico filtrato totale di NaCl viene escreto con le urine, ovvero circa 140mEq/L. (ovvero il carico filtrato in soggetti euvolemici è pari all'assunzion dietetic). 140 mEq di NaCl si trascinano per ragioni osmotica una quantità di acqua pari ad 1L. Poiché il carico filtrato di Na+ è così elevato piccole variazioni del riassorbimento di Na+ da parte del nefrone provocheranno ampie variazioni del volume di LEC. Per esempio, un aumento dell'escrezione di Na+ dall'1% al 3% (pari a 500 mEQ di NaCl) del carico filtrato ridurrebbe di oltre 3L il volume di LEC che in un soggetto di 70Kg, e ciò corrisponderebbe alla perdita al 26% del volume del LEC (1). Ecco perché è molto importante la regolazione a livello del tubulo distale e del dotto collettore.

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Omeostasi del volume extracellulare quando il LEC subisce una espansione o una riduzione. In caso di espansione del LEC, a seguito di una aumentata assunzione di liquidi ne risulta che a partire dai recettori dislocati sia ad alta che a bassa pressione, viene innescata una scarica di impulsi che attraverso le fibre afferenti vagali e del glossofaringeo perviene al tronco dell'encefalo, specificatamente nel nucleo del tratto solitario a livello bulbare (area depressoria) e di qui attraverso la via efferente originante dall'area pressoria dell'ipotalamo (connessa col nucleo del tratto solitario) gli impulsi giungono attraverso le fibre post-gangliari ortosimpatiche a livello del rene.

i) Osserviamo in primo luogo una modificazione della scarica da parte di queste fibre post- gangliari ortosimpatiche; ii) Vengono quindi liberati peptidi natriuretici atriali, cerebrali nonché renali.

iii) riduzione della liberazione di reninaiv) riduzione dell'azione dell'ormone aldosterone in conseguenza e alla riduzione dell'angiotensina II e per diretta azione de v) riduzione della liberazione dell'ormone ADH.

Vediamo i meccanismi che operano a livello del nefrone a livello della parte glomerulare a seguito dell'espansione del LEC.

i)A seguito di una riduzione dell'attività delle fibre post-gangliari ortosimpatiche ne risulta una riduzione del tono della parete delle arteriole e affarenti e efferenti con una maggiore riduzione del tono a livello delle arteriole afferenti. Ne risulta un aumento del afflusso ematico. ii) La liberazione conseguente di peptidi natriuretici (che vengono liberati a seguito dell'aumento del LEC ) si esplica a livello delle arteriole afferenti aumentando il diametro mentre sulle arteriole efferenti con una costrizione (riducendo il diametro) e ne risulta un aumentato afflusso a livello all'apparato glomerulare e conseguentemente un aumento della VFG. L'incremento del flusso ematico attraverso le arteriole è in questo caso di gran lunga superiore alla velocità di ultrafiltrazione glomerulare.Se facciamo il rapporto tra VFG/FER abbiamo che FER >VFG. Quindi se aumenta FER la frazione di ultrafiltrazione si riduce. Un aumento del volume dell'ultra-filtrato comporta un aumento del carico filtrato. Il volume di ultrafiltrato passa a livello del tubulo prossimale dove ha luogo il riassorbimento che in queste condizioni è fortemente ridotto per il concorso dei seguenti fattori: a) è ridotta l'attività delle fibre post-gangliari ortosimpatiche ( che influenzano il riassorbimento e ne risulta minore il riassorbimento di NaCl) b) a livello del tubulo prossimale vi è una riduzione del ruolo svolto da parte delle forze di Starling : in conseguenza della riduzione della frazione di ultrafiltrazione (FER>VFG) ne risulta che la pressione idrostatica a livello della rete capillare peritubolare è incrementata perché incrementa il flusso plasmatico. Inoltre per la riduzione della frazione di ultrafiltrazione la pressione colloido osmotica è inoltre meno incrementata. Quindi abbiamo 2 forze, l'azione idrostatica capillare (che aumenta) e quella colloido-osmotica (che diminuisce) che sfavoriscono il riassorbimento di acqua e Na+. c) A questi fattori va aggiunta l'azione di un altro peptide che agisce a livello del tubulo prossimale, la guanilina, un peptide che viene liberato già a livello del digiuno e inoltre a livello del colon. Ma questo peptide è anche secreto e agente in modo paracrino a livello del tubulo prossimale. Qui la guanilina determina una riduzione del riassorbimento di Na+ attraverso l'azione di una ridotta espressione della pompa Na+/K+ATPasi e attraverso una ridotta attività dell'antiporto Na+/H+ (una ridotta espressione della pompa comporta il fatto che l'apporto di H+ si riduce giacché si riduce il gradiente di Na+ tra l'esterno e l'interno della cellula). In questo modo ne risulta che il volume riassorbito del Na+ è ridotto e pertanto un maggior carico di Na+ perviene al segmento spesso della branca ascendente dell'ansa di Henle.

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d) A livello del tubulo prossimale la riduzione del riassorbimento è dovuto alla ridotta presenza di Angiotensina 2 (dovuto alla ridotta liberazione di renina connessa con l'epansione del LEC).

e) Il liquido così giunto al segmento spesso della branca ascendente subisce una ulteriore riduzione di riassorbimento. Nel segmento spesso della branca ascendente operano sia l'aldosterone sia l'angiotensina II che le fibre post-gangliari ortosimpatiche. Ma in questa regione del nefrone una ridotta attività nervosa e i bassi livelli di aldosterone che si verificano in caso di una espansione del LEC servono a ridurre il riassorbimento di Na+. La quantità di NaCl e acqua che perviene al tubulo distale e dotto collettore risultano notevolemente aumentati.

f) Nel tubulo distale e nel dotto collettore ad inibire il riassorbimento di acqua e NaCl opera anche un altro peptide: il peptide natriuretico atriale attraverso l'azione del secondo messaggero cGMP che inibisce il canale per il sodio. A questo livello inoltre opera anche il peptide natriuretico renale o urodilatina. Questo ha proprietà ancora più accentuate rispetto al peptide natriuretico atriale. Questo peptide infatti non ha subito l'azione delle peptidasi che sono presenti in circolo e che attenuano l'azione del peptide natriuretico atriale. g) La conseguenza di questi fattori risulta un ridotto riassorbimento del NaCl e quindi una maggiore escrezione di NaCl. Una maggiore escrezione di tale sale comporta una minore osmolarità del LEC (stiamo assumendo l'ipotesi di una espansione del LEC in condizioni di iso-osmolarità) che rappresenta già un fattore che opera a livello della neuroipofisi a livello degli osmocettori contribuendo a ridurre la liberazione di ADH. h) La liberazione di ADH è altresì ridotta in conseguenza ( per un aumento del LEC ) della inibizione che esercitano fibre nervose - che originano dal nucleo del tratto solitario – su il nucleo sopra-ottico e para-ventricolare. Questo comporta una ulteriore riduzione della liberazione di vasopressina, il che comporta a livello del tubulo distale e del dotto collettore un ridotto riassorbimento di acqua, favorito fra l'altro dall'azione dei peptidi natriuretici. L'aumentata escrezione di acqua e NaCl contribuisce a ripristinare il normale volemia del LEC in condizioni di normale osmolarità. Quando l'espansione del LEC è dell'ordine del 5-10% il ripristino della normale osmolarità ed euvolemia si ha nell'arco delle 24 ore, mentre se l'incremento è maggiore il riassesto delle condizioni richiede qualche giorno.

La riduzione del LEC comporta le seguenti conseguenze e risposte integrate:

a) La riduzione del LEC rappresenta uno stimolo che viene recepito dai recettori ad alta e a bassa pressione. Ne risulta una maggiore attività delle fibre post-gangliari del'ortosimpatico destinate al rene. b) Inibizione della liberazione dei peptidi natriuretici atriale, un'aumenta liberazione di renina e agiotensina II, quindi una aumentata secrezione di aldosterone e una maggiore secrezione di ADH.

c) L'arrivo delle fibre post-gangliari ortosimpatiche sui recettori alpha delle fibrocellule lisce della arteriole afferenti ed efferenti determina una vasocostrizione - preminente sulle arteriole afferenti e minore su quelle efferenti: ne risulta una riduzione del flusso ematico renale (FER). Ma la vasocostrizione delle arteriole (afferente ed efferente) viene vieppiù accentuata dalla angiotensina 2 la cui liberazione è favorita dalla secrezione di renina. Ciò contribuisce ulteriormente a ridurre il FER. Quindi la vasocostrizione fa si che la pressione idrostatica nei capillari glomerulari si riduce assieme alla VFG (il flusso si riduce). La frazione di filtrazione è aumentata perché nonostante vi sia una riduzione della VFG si riduce più il flusso plasmatico FER di quanto non si riduca la velocità di ultrafiltrazione (VFG/FER).La riduzione del VFG comporta una riduzione del carico ultrafiltrato e una riduzione del carico filtrato di NaCl.

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d) A livello del tubulo prossimale il riassorbimento di Na+ è fortemente favorito, questo per - l'azione delle fibre post-gangliari ortosimpatiche, adrenergiche, molto attive, che attivano gli alfa recettori delle cellule del tubulo prossimale e attivazione del'antiporto Na+/H+. - l'aumentato riassorbimento di NaCl è determinato anche dalla liberazione dell'angiotensina 2 che in questo caso è incrementata perché è aumentata la secrezione di renina da parte delle cellule iuxtaglomerulari, in conseguenza dell'attivazione delle fibre ortosimpatiche. - forze di Starling che operano a livello del tubulo prossimale e non già a livello dei segmenti successivi. Le forze di Starling a livello del tubulo prossimale (idrostatica e colloido/osmotica) operano entrambe favorendo il riassorbimento. La pressione idrostatica all'interno del tubulo è ridotta conseguentemente alla riduzione connessa alla vasocostrizione delle arteriole glomerulari (minor VFG minore pressione idrostatica all'interno del tubulo contorno prossimale!!) ma vi è una aumentata pressione colloido-osmotica perché abbiamo detto che l'entità del volume ultrafiltrato è maggiore del FER e quindi se (a monte) vi è un volume ultrafiltrato maggiore vi sarà una maggiore concentrazione delle proteine nel plasma, un aumento della pressione colloido osmotica ed un conseguente aumento del richiamo di acqua. Ne risulta un aumento di riassorbimento di acqua e NaCl. Questo volume giunge poi al segmento spesso della branca ascendente dove agiscono l'aldosterone, le fibre post-gangliari e l'angiotesina II a favorire il riassorbimento di Na+.

tubulo distale e collettore cosa accade?

a) azione dell'aldosterone che favorisce un riassorbimento pressoché completo del Na+ b) azione della vasopressina che opera anche nel favorire il riassorbimento di NaCl. Ciò che è maggiormente importante è che a livello del tubulo distale collettore la vasopressina è incrementata in quanto essa è stata stimolata prima di tutto dalla caduta pressoria e dalla riduzione del LEC e in secondo luogo la vasopressina è secreta a livello del nucleo sopraottico e para-ventricolare perché in questa condizione è aumentata l'angiotensina II, liberata a seguito della liberazione di renina.La vasopressina favorisce un aumentato riassorbimento di acqua e del NaCl, riassorbimento tendente a ripristinare il volume idrico extracellulare (volemia) e il normale equilibrio osmotico.

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17-5-2012 parte2 - Regolazione dell'equilibrio di acido-base – Lo studio dell'organismo ha luogo sempre in modo integrato. Non si parla di una funzione della cellula, o del singolo tessuto od organo ma di funzioni che si svolgono grazie al concorso di più tessuti, in modo integrato fra apparati. Nella regolazione dell'equilibrio acido-base vi concorre sia l'apparato vascolare, respiratorio, renale ed il tessuto osseo ed epatico. L'obiettivo di questa regolazione è la concentrazione idrogenionica dell'ambiente extracellulare, una variabile che deve essere mantenuta in un range di valori ben preciso allo scopo di favorire il normale svolgimento delle funzioni vitali.

L'ambito del PH in condizioni normali va in termini logaritmici da 7,35 +/- 0,02 in corrispondenza del plasma al polo venoso – 7,45+/-0,02 in corrispondenza al plasma del sangue arterioso.Vi possono essere valori minori di 7,35 fino ad un valore minimo di 6,8 oltre il quale si ha morte per coma acidosico (6,8). Il rango di valori compreso tra 7.35 – 6,8, caratterizzato da un aumento di concentrazione idrogenionico, è detto acidemia, riservando il termine acidosi alla patologia che determina tale incremento di concentrazione. Ma vi possono essere anche valori maggiori di 7,45 fino ad un massimo di 7,8 e anche oltre il quale le funzioni cellulari cessano, essendo incompatibili con la vita . Il rango di valori tra 7,45 e 7,8 si caratterizza per una riduzione della concentrazione idrogenionica, quindi per una alcalemia, essendo invece chiamata alcalosi la patologia che

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determina una tale variazione del PH.L'importanza del mantenimento di un rango ben preciso di valori del Ph (7,35-7,45) è fondamentale giacché tale parametro sottostà ad una serie di funzioni cellulari: mitosi, accrescimento, catalisi enzimatiche, attività de meccanismi di trasporto presenti sulle membrane. A valori di PH corrispondono specifici una precisa concentrazione idrogenionica. 7,35 di PH corrisponde a 45nmol/L mentre per valori di 7,45 abbiamo una concentrazione di 35 nmol/L. Spingendoci a valori come 6,8 abbiamo 160 nmol/L mentre abbiamo 16 nmol/L al pH di 7,8. Assunto un valore medio di 7,4 del PH 40nmol/L osserviamo come nello spostarci verso il valore minimo di 6,8 al valore massimo di 7,8 ci muoviamo lungo una variazione percentuale che va dal 40% al 400% rispetto al valore medio (40nmol/L). Ciò sta ad indicare un grado di variabilità della concentrazione idrogenionica piuttosto ampio, ben di più rispetto agli intervalli di variazione del potassio. Questa notevole variabilità della concentrazione idrogenionica è tollerata dai vari tessuti attraverso opportuni meccanismi. Quando i valori del PH sono maggiori o minori rispetto alle soglie del rango di normalità intervengono meccanismi regolatori volti a riportare il valore del PH alla normalità. Tuttavia già i valori di normalità sono essi stessi il risultato di meccanismi di controllo. Questi meccanismi di controllo operano continuamente in quanto continuamente il PH già in condizioni basali tende ad essere modificato.

In condizioni normali il mantenimento del rango del PH è il risultato di un continuo operare dei meccanismi regolatori. I fattori regolatori sono diversi. In normali condizioni, ovvero in un soggetto di 70Kg con una normale secrezione di insulina e in condizioni di normossia osserviamo come nel corso delle 24 ore in conseguenza della normale ossidazione dei substrati energetici, si produce una quantità di acido volatile da CO2 corrispondente ad un quantitativo di 15,000 alle 20,000 mMOL. Questa CO2 prodotta dalle cellule tissutali e liberata nel LEC è suscettibile di reagire con l'acqua per dare luogo ad un acido carbonico: CO2 +H2O ←→ H2CO3 ←→ H+ + HCO3- . Si formerebbe pertanto una quantità di prodotti nel LEC corrispodnenti a 15,000 20,000 mMOL di H+. Se questa quantità la consideriamo disciolta nel LEC rendendola in termini di nanomoli ci accorgeremmo che in conseguenza della produzione di CO2 la concentrazione di idrogenioni nel LEC incrementerebbe di 8 milioni di volte, un incremento incompatibile con la vita dell'organismo. Ecco perché questo volume di CO2 si considera acido volatile. L'organismo è preservato da questa acidità potenzialmente letale. Oltre all'acido volatile nell'organismo si trovano anche acidi così detti fissi. Un acido fisso è ad esempio l'acido solforico H2SO4-, che deriva dal metabolismo di amminoacidi solforati come la metionina e la cisteina. L'acido solforico è un acido forte che liberato dalle cellule nel LEC rilascia altri protoni. Altro acido fisso che si libera è HCl, questo deriva dal catabolismo di amminoacidi (lisina arginina) che al PH del plasma sono presenti come cationi e pertanto sono legati elettrostaticamente all'anione diffusibile più rappresentato nel plasma che è il Cl-. Pertanto quando vengono metabolizzati portano alla formazione di HCl che poi si dissocia. Un altro acido forte che si forma nell'ambiente extracellulare è l'acido fosforico derivano dal catabolismo degli acidi nucleici o H2PO4- o dei fosfolipidi di membrana. La produzione di questi acidi fissi ammonta a circa 235mEq/L ma il metabolismo oltre agli acidi fissi produce basi fisse come HCO3

- (bicarbonato). Questi bicarbonati derivano dal catabolismo di amminoacidi come l'acido glutammico e aspartico o ancora dal catabolismo di particolari acidi organici che sono l'acido ossalico, l'acido citrico, l'acido tartarico ecc. Questi acidi quando vengono catabolizzati liberano HCO3

-. Quindi nel LEC (plasma e liquido interstiziale) la quasi totalità delle basi viene neutralizzata da una eguale quantità di H+ liberati dagli acidi fissi, risolvendosi in acqua e anidride carbonica. Il contenuto di idrogenioni che resta dopo la reazione delle basi fisse rappresenta il carico netto di acidi prodotta in un organismo, pari a 75 mEQ di H+ /

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24 ore, corrispondente a circa 1 mEq /Kg peso corporeo nell'arco delle 24 ore in un soggetto di circa 75 Kg. Rapportando questi Eq di H+ diluiti nel contenuto idrico totale (42 L) si troverebbe che la concentrazione media di idrogenioni e convertita tale concentrazione in nanomoli (10^-9) corrisponderebbe ad un incremento di 40,000 volte circa, una concentrazione incompatibile con la vita. Quali sono i meccanismi di cui l'organismo dispone per salvare la costanza del PH? Innazitutto vi sono meccanismi chimico fisici rappresentati dai sistemi tampone, e inoltre meccanismi fisiologici costituiti dalla i) ventilazione polmonare, ii) dalla funzione tubulare renale, iii) dal contributo del tessuto inorganico osseo e iv) dal tessuto epatico. I primi che intervengono sono i meccanismi chimico fisici.

Meccanismi chimico-fisici costituiti dai sistemi tampone . Operano a livello extracellulare e sono costituiti principalmente da:

i) sistema acido carbonico-carbonato, ii) proteine-proteinati, iii) ad sistema fosfato monosodico/bisodico (quest'ultimo ha un ruolo minore nel LEC rispetto all'ambiente del lume del tubulo renale dove è molto più concentrato). iv) sistema tampone legato alla componente inorganica dell'osso.

Il sistema tampone è un sistema chimico fisico dato da un acido debole e la sua base ovvero il sale dell'acido debole che ha in comune con l'acido debole la base coniugata. Il ruolo del sistema tampone non è di neutralizzare ma di minimizzare le variazione di PH che conseguono dall'ingresso di un acido o una base nell'ambiente extracellulare. Allo scopo di arrivare a quella relazione che stabilisce da che cosa dipende la concentrazione H+ in un ambiente tamponato (LEC) procederemo nel seguente modo:Abbiamo detto che il sistema è dato da un acido debole AH e dal suo sale BA. [HA] ← → [H+] + [A-]; [BA] → [B+] + [A-] Molte vole il tampone sui testi si finisce per esaurire l'acido debole ma in realtà è dato da tutte e due le componenti e bisogna esplicitare il sale. Nel mezzo quindi è presente anche il sale che va incontro a completa dissociazione. Ciò comporta la liberazione di una base che è in comune con l'acido debole. Nel mezzo è quindi incrementata la concentrazione della base coniugata e pertanto per il principio di Le Chatelier l'equilibrio risulterà spostato da destra verso sinistra. Applicando la legge di massa scriveremo che è costante il rapporto tra il prodotto dei prodotti fratto la concentrazione dei reagenti Ka = [H+][A-]/[HA] esplicitando [H+] avremo che la concentrazione idrogenionica è uguale alla costante di dissociazione dell'acido [H+] = Ka – [AH]/[A-]

Poiché l'acido è poco dissociato in quanto acido debole e poiché l'accumulo di A- (base coniugata) sposta ulteriormente l'equilibrio a sinistra, si può, in pratica, considerare la concentrazione dell'acido debole AH pressoché eguale a quella dell'acido dissociato. Quindi al numeratore dovremo considerare AH uguale alla concentrazione dell'acido debole come se esso non si fosse dissociato, mentre al denominatore [A-] dovremo considerare una la concentrazione del sale che si dissocia completamente. Il rapporto sarà quindi il rapporto tra l'acido AH e il sale (equivalente alla base coniugata all'acido debole). Già agli inizi del '900 era nota la notazione della concentrazione idrogenionica come logaritmica rispetto alla base 10 allora Hasselbalch la riscrisse in termini logaritmici. PH = -Log [H+]

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PH = Pka + Log [A-]/[HA] → Questa equazione e quella a cui sono riconducibili i tamponi chimici. Quando nel mezzo viene introdotto un protone (a seguito della dissociazione ad es. di acidi organici) la base coniugata A-, derivata dal sale, si incarica di neutralizzarlo, minimizzando l'effetto sul PH di questo protone. Ecco la necessità di esplicitare nelle equazioni chimiche del tampone anche il sale. Pertanto A- si lega ad H+ formando AH. Aumentando la concentrazione dell'acido debole ciò provocherà la dissociazione, debolmente verso destra, ma liberando una quota di protoni minore. (ecco cosa significa minimizzare gli effetti degli acidi fissi, non neutralizzarli). Viceversa quando viene introdotta una base questa libererà ioni OH- che reagiranno con H+ che deriva dalla dissociazione dell'acido debole HA portando alla formazione di H2O. Così facendo noi spostiamo verso destra la dissociazione dell'acido debole determinando una liberazione di basi coniugare derivate da quest'ultimo, ma in misura minore rispetto a quella che si otterrebbe attraverso l'introduzione della base.

Un tampone è caratterizzato da un parametro che si chiama capacità tampone. La capacità tampone si indica con “B” ed è espressa come (moli H+ / moli OH-) / (ΔpH). Quando la capacità tampone è massima? L'acido e la base si ritrovano in pari concentrazioni e quindi l'argomento del logaritmo nell'eq. di Anderson-Hasselbalch diventa PH = Pka (cioé quando il Pk dell'acido debole è eguale al PH) il tampone avrà la massima efficienza tamponante. Quanto più il valore Pka dell'acido debole è vicino al valore del PH da mantenere costante quel tampone si dimostrerà tanto più efficace. Ma un tampone è ancora efficace quando il rapporto tra numeratore e denominatore è 1/10, cioè quando PH = Pka +/-1.

i) Il sistema tampone maggiormente presente nel LEC è dato da un acido debole H2CO3 e dal suo sale NaHCO3 che si dissocia completamente in Na + HCO3

-. L'acido carbonico è in equilibrio con i suoi prodotti di dissociazione, H2CO3 ←→ HCO3

- + H+. La base in comune tra il bicarbonato di sodio l'acido carbonico è lo ione bicarbonato. NaHCO3 → Na+ + HCO3

-

H2CO3 ← → H++ HCO3-

Per la legge di massa avremo: Ka = [H+][HCO3-]/[H2CO3].

Nel plasma questa reazione avviene in assenza di anidrasi carbonica. Infatti la costante di dissociazione dell'acido carbonico o PKa = 3,8 un valore che attesta non certo un acido debole ma piuttosto un acido forte. Quanto più è bassa la Pka tanto più l'acido è dissociato in quanto la base per quell'acido ha poca affinità per il protone e dunque l'acido è forte. Se la PKa è alta la base coniugata è molto affine per il protone e ciò significa che l'acido si dissocia. Nella precedente reazione non abbiamo tuttavia considerato che H2CO3 è a sua volta in equilibrio con l'anidride disciolta nel LEC la quale reagisce con l'acqua per dare luogo all'acido carbonico. Questa è una reazione di idratazione della CO2, che noi abbiamo precedentemente considerato un acido volatile. CO2 + H2O ←→ [H2CO3] ← → H++ [HCO3

-]

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in questo caso la costante di idratazione Kid sarà:Kid = [H2CO3]/[CO2]dis [H2O] H2O si può considerare una costante inclusa nella KidIl Pk di questa costante di idratazione è pari a Pkid = 2,3La stechiometria è che occorrono dalle 300-600 mMOL di CO2 per avere 1 mMOL di H2CO3, quindi occorrono molte molecole di CO2 per avere una molecole di H2CO3. Dobbiamo correggere la Ka, ovvero la costante di dissociazione dell'acido carbonico, per tenere conto della Kid. Una correzione che non si po' capire se sia assume che una mole di CO2 reagisce con una mole di acqua per dar luogo ad acido carbonico. Poiché ci vogliono molte molecole di CO2 per avere una molecola di H2CO3 il rapporto è abbondantemente <1, quindi è come se nel mezzo non avessimo acido carbonico rispetto alle molecole di CO2 disciolte. Inoltre avremo pochi protoni liberati da questa quantità di acido carbonico relativamente modesta.Formalmente ciò è esprimibile nei seguenti termini:

i) Kid = [H2CO3]/[CO2]dis

ii) Ka = [H+]*[HCO3-]/[H2CO3] ( [H2CO3] → [H+] + [HCO3

-])

iii) ma dalla i [H2CO3] = Kid*[CO2]dis

iv) sostituendo la ii alla iii avremo: Ka = [H+]*[HCO3-]/Kid*[CO2]dis

v) accorpiamo le due costanti: Ka*Kid = [H+]*[HCO3-]/[CO2]dis

vi) esprimendo l'equazione in termini logaritmici avremo che [H+] = Ka x Kid x [CO2]dis /[HCO3

-] si ricordi che pH = -Log10[H+] = Log10 (1/ [H+]) vii) - [H+] = - Ka x Kid x [CO2]dis /[HCO3

-]viii) PH = Pka + Pkid + Log [HCO3

-]/[CO2]dis ix) PH = 3,8 + 2,3 + Log[HCO3

-]/[CO2]dis

Così esprimiamo quindi la concentrazione di acido carbonico in funzione della anidride carbonica disciolta, il che è abbastanza vantaggioso in quanto esprimere l'acido carbonico quantitativamente è piuttosto difficile. Se noi dovessimo valutare l'acido carbonico di questo sistema aperto dovremmo mettere in atto un processo di titolazione. Ma usando una base titolante sposto progressivamente l'equilibrio della reazione. Ad ogni modo il rapporto tra bicarbonato e anidride carbonica è sbilanciato essendo l'anidride carbonica molto più numerosa, come abbiamo rimarcato, del bicarbonato.

= 6,1 + Log (24 mmol/L)/(0,03 mmol/L*PCO2

) =

= 6,1 + Log (24 moli/L)/(1,2 moli/L) = 6,1+1,3 = 7,4

Il numeratore e il denominatore nell'argomento del logaritmo (CO2 e HCO3-) sono regolati l'uno

indipendentemente dall'altro: L'intervento del rene nella regolazione dell'equilibrio acido-base si limita al controllo del contenuto di bicarbonato nel plasma, di cui - tende a mantenere la concentrazione nell'ambito normale (26-28mEq/L) oppure - ad adeguarla a quella del CO2, a sua volta controllata da quella dei centri respiratori tramite la ventilazione polmonare, in modo che il rapporto resti 1/20.

HCO3- è la base ed è chiamata in causa nel tamponare i protoni, mentre il denominatore che è

l'acido voltatile (CO2,) è quello che viene chiamato in causa nel tamponamento di basi. Tale rapporto è particolarmente sbilanciato. La Pka inoltre è abbastanza distante dal PH del sangue.

Nonostante contenga aspetti negativi questo sistema è particolarmente adatto al tamponamento. i) questo sistema è aperto, ovvero i componenti di esso sono in relazione con l'ambiente esterno in quanto

Page 126: Fisiologia Degli Apparati (Cuore

- HCO3- attraverso la funzione tubulare renale, poiché il tubulo renale interviene nel ripristino

della riserva alcalina regolando la secrezione ed il riassorbimento di HCO3- ;

- la CO2 è anch'essa in relazione con l'ambiente esterno mediante la funzione respiratoria.

Evolutivamente questo sistema è potuto restare nell'ambiente LEC dove addirittura è presente l'anidrasi carbonica. Questo sistema interviene per tamponare quei protoni che rappresentano il carico netto i acidi fissi in conseguenza del metabolismo giornaliero 1mEq/Kg di H+. Gli H+ degli acidi solforico e fosforico, vengono tamponati dalla base (HCO3

- ) che deriva dal sale (si ricordi che HCO3

- derivato dall'acido carbonico è irrilevante). Ecco perché molte volte sui libri quando il sistema tampone è ridotto all'equazione di dissociazione dell'acido debole può provocare incomprensione: occorre esplicitare il sale. Se un paziente è in coma per acidosi lattica non gli si somministra dell'acido carbonico ma del bicarbonato di sodio in vena, per minimizzare l'alta concentrazione di protoni.

<< equilibrio >> La concentrazione della pCO2, proporzionale alla CO2 è regolata dal polmone.

Reazione idrolitica in cui l'acido carbonico. Più idrogenioni reagiscono con bicarbonato producendo acido carbonico più la reazione si sposta a sinistra

Si rigenera a seguito della reazione a sinistra degli acidi fissi con il bicarbonato

70mEqAcidi fissi al giono

Regolato alla concentrazione di 26-28mEq/L dal rene.La concentrazione di bicarbonato tende a diminuire poiché reagisce con gli idrogenioni e deve essere restituita dal rene a mezzo del processo di secrezione.

CO2 + H2O ←→

[H2CO3] ←→

H+ + [HCO3-]

L'H+ che deriva da quei 70mEq/Kg degli acidi fissi reagisce con HCO3- e sposta l'equilibrio verso

sinistra a costituire H2CO3 il quale si dissocia in H2O e CO2. In un giorno quindi vengono consumati 70mEq di HCO3- per tamponare altrettanti idrogenioni, determinando quindi una diminuzione della concentrazione di HCO3

- nel LEC. Ciò implica che questa quantità dovrà essere restituita al LEC. Se in un giorno un soggetto perde 70 mEq di HCO3

- in 5 giorni tale soggetto può andare incontro ad un depauperamento completo della sua riserva di base tamponante. Ecco allora la premessa del ripristino di questo HCO3

-, operazione che deve essere compiuta dal tubulo renale.

Formalmente avremo come equazione complessiva del tamponamento di un acido fisso come l'acido solforico: 2NaHCO3 + H2SO4 → Na2SO4 + 2H2CO3 → 2H2O + 2CO2

La CO2 viene eliminata attraverso l'espirazione mentre il NaSO4 verrà poi allontanato con le urine nell'ambiente esterno.

iii) Le proteine plasmatiche sono dei tamponi perché sono dissociate come acidi deboli, liberando protoni. [HPr] ←→ [H+][Pr-] quando però la proteina si dissocia essa nel mezzo si lega elettrostaticamente al catione più rappresentato nel mezzo, cioé il Na+: si forma pertanto un proteinato di sodio.

[NaPr] → Na+ + Pr -

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PH = Pkr + Log [Pr-]/[HPr]

La forma salina può eventualmente essere data da un sale di calcio al posto del sodio. Quando un soggetto si iper-ventila notevolmente può instaurarsi una condizione per cui eliminiamo un numero maggiore di molecole di anidride carbonica e poiché il CO2 è acidificante alcalinizziamo l'ambiente, ma alcalinizzare l'ambiente ovvero condurre il PH a livelli maggiori di 7,45 induce una maggiore dissociazione delle proteine che essendo, una volta dissociate, cariche negativamente si legano al calcio. Ma questo Ca2+ è sottratto alla superficie delle membrane fra cui quelle eccitabili, causando la depolarizzazione delle membrane dei neuroni perché si riduce la quota di cariche positive dell'ambiente extracellulare, causando l'insorgenza di effetti collaterali. Un caso del tutto particolare di proteina tamponante è dato dall'emoglobina. L'emoglobina non è certo un tampone extracellulare. Ma questa proteina è importante in quanto se prima abbiamo visto come l'ammontare del carico netto degli acidi fissi è tamponato dal sistema acido-carbonico-bicarbonato, ora vediamo che la quantità di quell'acido volatile prodotto nell'arco delle 24 ore è tamponanto dall'emoglobina.Il sistema acido-carbonico-bicarbonato è in grado di tamponare acidi fissi (HCl) o base fisse (NaOH) ma non acidi volatili come la CO2. Il sistema tampone acido carbonico-bicarbonato riesce a tamponare circa il 50% degli acidi fissi. Il restante 50% degli acidi fissi è tamponato all'interno delle cellule in quanto gli idrogenioni dall'ambiente extracellulare sono in grado di diffondere all'interno delle cellule. Le basi fisse per il 70% è tamponato dal sistema tampone acido-carbonico/bicarbonato mentre il restante 30% è tamponato all'interno delle cellule. Il tamponamento endocellulare delle basi fisse all'interno delle cellule è operato da una migrazione di idrogenioni dall'interno delle cellule all'ambiente extracellulare.

I sistemi tampone costituiti da proteine/proteinati come l'emoglobina son deputati al tamponamento degli acidi volatili come la CO2 che per il 10% si svolge al di fuori delle cellule ad opera delle proteine plasmatiche (formando i carbaminocomposti), mentre per il restante 90% la CO2 è tamponata all'interno delle cellule, specialmente negli eritrociti. Le proteine possono anche tamponare acidi o basi fisse, ma in misura modestissima. Anche allora come caso particolare con le proteine tampone, quando si prende in considerazione l'emoglobina si può indicare come HHb ←→ H+ + Hb- .Il suo sale è rappresentato dall'emoglobinato di potassio in quanto il potassio è il catione più rappresentativo nell'ambiente intracellulare ( KHb). Quindi KHb → K+ + Hb-

Nell'eritrocita il PH è un po' più acido rispetto al LEC quindi esprimendo l'equazione del tampone mediante la relazione di Anderson-Hasselbalch avremoPH= 7.2 = PkHb(=7.7) + Log [HB-]/[HHb]

18-5-2012 – Negli eritrociti l'anidride carbonica reagisce con l'acqua formando acido-carbonico: si tratta di una reazione catalizzata dall'anidrasi carbonica. Questa reazione è particolarmente accelerata. Ciò comporta non uno spostamento dell'equilibrio ma un aumento della velocità di reazione, vale a dire una aumentata formazione di acido carbonico (H2CO3) nell'unià di tempo che a sua volta si dissocia in HCO3- e H+. L'HCO3- verrà estruso nel plasma mentre l'H+ verrà tamponato dall'emoglobina stessa (Hb- + H+ ← → HHb).

CO2 + H2O ← → H2CO3 ← → H+ + HCO3-

i) Allorché la pCO2 incrementa nel plasma (dove non vi è la anidrasi carbonica) questa reazione viene spostata verso destra (per la legge d'azione di massa). E ciò comporterà una maggiore acidificazione delle urine (maggior produzione di acido carbonico e dunque di protoni). Si tratta in questo caso di una condizione nota come acidosi respiratoria. ii) Se invece pCO2 si riduce tutta questa reazione, non essendo catalizzata dall'anidrasi carbonica,

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sia a livello extracellulare che a livello endo-cellulare procede molto più lentamente, con minore formazione di protoni. Tutto ciò sottostà ad una condizione nota come alcalosi respiratoria.

iii) L'altro tampone chimico-fisico è il tampone fosfato-monosodico/disodico NaHPO4. Questo tampone è derivato dalla dissociazione di un acido forte, l'acido orto-fosforico H3PO4. Questo acido deriva dal metabolismo sia degli acidi nucleici che dei fosfolipidi membranari. H3PO4 → H+ + H2PO4

- la costante di dissociazione di questa reazione Pka = 1,96. attesta un valore tipico di un acido ad elevata forza (ovvero scarsa affinità tra H2PO4

- e il protone)

il fosfato monosodico NaH2PO4- (nel plasma H2PO4

- si associa al catione più rappresentativo ovvero Na+) si comporta come un acido debole ed è suscettibile di una ulteriore dissociazione.

NaH2PO4 ← → Na+ + H+ + HPO42-

Na2HPO4 ← → 2Na+ + HPO42-

Poiché abbiamo precisato che un tampone è dato da un acido debole (in questo caso fosfato monosodido NaH2PO4

) e dal suo sale, in questo caso il sale è dato dal fosfato bi-sodico, cioè Na2HPO4

2- che ha in comune con NaH2PO42- la base coniugata HPO4

2-. Il Pka = 6,8. Poiché il Ph del sangue (7,4) è più simile al valore della Pka di questo sistema tampone, ciò lascerebbe pensare che si tratti di un tampone particolarmente efficace. Esso tuttavia presenta dei limiti rispetto al tampone costituito da sodio bicarbonato.Riscrivendo la formula del tampone con la formula di Anderson-Hasslbalch avremo:PH = 7,4 = 6,8 + Log HPO4

2- /H2PO4-

Il limite infatti consiste nel fatto che innanzitutto questo tampone: i) non è aperto perché non contiene una base gassosa che possa essere scambiata con la ventilazione nell'ambiente esterno; ii) inoltre questo sistema presenta due componenti che non sono regolate l'una indipendentemente dall'altra così come avevamo osservato nel sistema acido carbonico/bicarbonato dove la CO2 è regolata dalla ventilazione polmonare mente HCO3- è regolata dalla funzione renale. Qui troviamo che (nell'argomento del logaritmo Log HPO4

2- /H2PO4- ) il variare del

numeratore che funge da base (accettore di protoni) comporta direttamente il variare del denominatore (l'acido debole): al variare dell'uno varia in senso inverso il variare dell'altro e viceversa. iii) Inoltre la concentrazione del fosfato monosodico/bisodico è molto più bassa rispetto al bicarbonato di sodio. (Esso diventa relativamente concentrato nel lume del tubulo distale collettore, infatti a seguito del precedente riassorbimento di acqua la concentrazione di questo tampone aumenta).

iv) L'ultimo meccanismo tampone è rappresentato dal tessuto osseo.Il tessuto osseo nella sua componente inorganica è data da microcristalli che presentano un notevole rapporto superficie/volume. Ciò rende i microcristalli della componente inorganica particolarmente atti a tamponare gli acidi. Ioni idrogeno in caso di acidosi vengono assunti dal tessuto osseo il quale cede in scambio all'ambiente extracellulare Na+, Ca2+ o anche K+: la cronica acidosi si associa quindi a una rarefazione della componente minerale (decalcificazione).

Page 129: Fisiologia Degli Apparati (Cuore

Meccanismi fisiologici:

i) ventilazione polmonare, ii) filtrazione, iii) componente inorganica del tessuto osseo e iv) regolazione epatica.

i) ventilazione polmonare - Gli acidi volatili attraverso la circolazione venosa vengono portati a livello della barriera alveolo capillare ed è qui che inizia la funzione della componete fisiologica dei meccanismo che regolano l'equilibrio acido base. Tra il valore della PCO2 al polo venoso è (46mmHg) e la PCO2 alveolare (40mmHg) vi è una differenza o gradiente che favorisce la diffusione della CO2 che verrà allontanata poi nell'ambiente esterno con l'atto meccanico dell'espirazione. La ventilazione della CO2 è funzione degli atti respiratori nell'unità di tempo (12-14/min). Pertanto a misura che la potenza ventilatoria aumenta si avrà una diminuzione della pressione parziale dell'anidride carbonica (pCO2). Minore è la frequenza respiratoria maggiore è la pCO2. Formalmente si può scrivere che pCO2 = 1/ ventilazione* * numero di atti respiratori nell'unità di tempo. Deficit della funzione respiratoria sono la causa primaria delle così dette alcalosi o acidosi respiratorie. Un deficit respiratorio porta ad un aumento della pressione parziale della CO2, un acido volatile, e quindi ad acidosi respiratoria; viceversa un eccesso di ventilazione porta ad una diminuzione della pressione parziale della CO2 e quindi ad alcalosi. La ventilazione è intrinsecamente regolata dall'attività delle strutture chiamate centri respiratori, costituiti da una rete di neuroni presenti nel tratto bulbo-pontino da cui generano delle fibre che portano impulsi, precisamente ai livello dei neuroni delle corna anteriori, nei segmenti spinali C4-C5 da dove originano le fibre (tra cui motoneuroni) che costituiscono il nervo frenico, che innerva il diaframma, e altri nervi da dove originano fibre (neuriti di motoneuroni il cui pirenoforo è locato nelle corna anteriori) che servono i muscoli intercostali. L'inspirazione è un atto attivo. Il numero degli atti respiratori nell'unità di tempo è anche modulato dalle influenze dei livelli del PH, della pCO2 e dalla concentrazione della pO2. I valori di questi parametri sono rilevati da strutture recettoriali presenti sia a livello dell'aorta (glomi aortici) che a livello dei seni carotidei. Si ricordi che i glomi sono chemocettori che rilevano le variazioni del PH, della PCO2 e della PO2, nei seni carotidei ,ma anche a livello dell'arco dell'aorta, vi sono barocettori che invece rilevano la distensione delle pareti vascolari conseguenti alle modificazioni della pressione arteriosa . Una riduzione del PH e un incremento della pCO2 o un decremento di PO2 determinano un incremento della frequenza respiratoria, viceversa una riduzione della pCO2 o un incremento del PH hanno una azione depressiva sulla respirazione.

- In condizioni fisiologiche la ventilazione assolve al ruolo di allontanare definitivamente nell'ambiente esterno la CO2. - L'altro ruolo che la ventilazione riveste è connesso alla regolazione dell'equilibrio acido-base potendo determinare attraverso una aumento o una diminuzione della propria attività una risposta compensatoria nel caso in cui vi sia uno squilibrio acido-base di origine metabolica.

ii) funzione tubulare renale - La funzione tubulare presiede nella regolazione dell'equilibrio acido-base. Ha 2 compiti: a) riassorbire l'intero carico di HCO3

- che viene ultrafiltrato; b) neo-sintesi di HCO3

- impiegato per tamponare il carico netto degli idrogenioni prodotti per Kg corporeo nel corso delle 24 ore. In 24 vengono prodotti complessivamente circa 70 mEq netti di

Page 130: Fisiologia Degli Apparati (Cuore

peso corporeo, che comportano una spesa di una eguale quantità di HCO3- ovvero 70mEq. Nello

stesso arco della 24 si produce una quantità di HCO3- per tamponare gli idrogenioni e a ciò

provvede il rene. Il rene provvede anche una risposta compensatoria in disturbi di natura acido base di origine o respiratoria o metabolica, ammesso che la funzione renale sia conservata. - Precisamente in questo ruolo di compenso che il rene svolge osserveremo che laddove vi sia un aumento della pCO2 in risposta ad abbassamento del PH (acidosi respiratoria o metabolica) il rene interviene con una aumentata secrezione di H+ e con il riassorbimento totale di HCO3

-. Inoltre vi sarà una secrezione netta di protoni sia come NH4

+ che composti con acidità titolabile. - Laddove vi sia un disturbo acido base di natura alcalosica (respiratoria per diminuzione della pCO2 o metabolica per via di un aumento del HCO3-) il carico di HCO3- è aumentato e la secrezione di H+ è inibita. Come risultato l'escrezione di HCO3- è aumentata (quindi avremo un minor riassorbimento di HCO3

- ), una aumentata escrezione urinaria di questi e al contempo una minore secrezione di protoni sotto forma di acidità titolabile e di NH4+. - Il primo compito da parte del rene è il riassorbimento di HCO3

- presenti alla concentrazione plasmatica di 24 mEq/L e vengono ultrafiltrati un totale di 180L di sangue, pertanto viene complessivamente filtrato in un giorno un carico di HCO3

- pari a 24x180 = 4320 mEq. Si tratta di una quantità rilevante che deve essere riassorbita re-immessa in circolo e laddove ciò non avvenisse vi sarebbe il rischio di una acidificazione metabolica poiché i protoni prodotti da metabolismo cellulare complessivo non verrebbero più tamponati. i) Nella prima parte del tubulo prossimale ha luogo il riassorbimento della quasi totalità di HCO3-, ovvero circa l'80%. Esso è riassorbito a mezzo del Na+ grazie all'antiporto H+/Na+, il quale è la via predominante per l'escrezione di H+. Il protone H+ può tuttavia essere anche secreto attraverso il trasporto attivo primario H+ /ATPasi. - Tale protone deriva all'interno della cellula dalla dissociazione dell'acido carbonico H2CO3

che a sua volta si è formato dalla idratazione della CO2 catalizzata dalla anidrasi carbonica. L'H+ così secreto dalla cellula tubulare nel lume reagisce con il bicarbonato ione HCO3

- che era appunto stato ultrafiltrato. Si riforma quindi acido carbonico che ad opera della anidrasi IV si dissocia in H2O e CO2 che poi possono eventualmente diffondere nella cellula chiudendo il ciclo. - Il bicarbonato ione che nella cellula si era formato per la dissociazione dell'acido carbonico viene estruso mediante il sinporto Na+/HCO3

- oppure attraverso l'antiporto Cl-/HCO3-. La diffusione del Cl- dal compartimento extracellulare all'interno della cellula fornisce l'energia per estrudere HCO3

- dall'interno della cellula all'esterno. Il Na+ invece è estruso nell'interstizio mediante la pompa Na+/K+ ATPasi, costituendo il bicarbonato di sodio NaHCO3, quel sale che rientrato in circolo costituisce il maggiore sistema tampone chimico fisico del sangue.

Page 131: Fisiologia Degli Apparati (Cuore

ii) Un altro 10% del bicarbonato occorre nel segmento spesso della branca ascendente dell'ansa di Henle. Il restante 10% del riassorbimento avviene invece a livello delle cellule “intercalari del gruppo A” presenti a livello del tubulo distale (6%) e collettore (4%). a) A livello delle “cellule intercalate del gruppa A” la reazione intracellulare porta sempre alla formazione di CO2 H2O e quindi H+ HCO3

-: H+ è secreto nell'interstizio attraverso la membrana baso-laterale grazie ai trasportatori primari H+ ATPasi oppure mediante l'antiporto H+/K+ nel lume (trasporto attivo secondario, sfrutta il gradiente del K+ creato dalla pompa Na+/K+), mentre HCO3- è estruso nell'interstizio mediante l'antiporto Cl-/HCO3

- (quindi Cl- entrerà nella cellula).

b) In caso di alcalosi invece vengono chiamate in causa le “cellule intercalate del gruppo B” che secernono nel lume HCO3

-. In questo caso il bicarbonato viene estruso nel lume a mezzo dell'antiporto Cl-/HCO3

- collocato nella membrana luminale della cellula intercalare B del tubulo distale collettore. Mentre nella membrana basolaterale è presente il trasporto attivo primario in grado di secernere H+ mediante la pompa H+A/TPasi.

Page 132: Fisiologia Degli Apparati (Cuore

Con il riassorbimento del HCO3- non abbiamo certamente ripristinato la concentrazione

normale del NaHCO3 : ciò che manca è la quota di bicarbonato ione che viene utilizzato per tamponare il carico degli acidi fissi (70mEq/24 ore). A livello del tubulo renale (distale collettore) non vi è più bicarbonato e d'altra parte occorre restituire 70 mEq di bicarbonato impiegati per il tamponamento degli acidi fissi. Questo bicarbonato non viene più dal lume perché nel lume non vi è più bicarbonato, il bicarbonato è quindi formato a livello delle cellule del tubo distale collettore e ciò presuppone un meccanismo che prevede la idratazione della CO2 con H2O. Ma nel lume la secrezione di protoni (che derivano dalla neformazione di H2CO3) potrebbe avere una azione lesiva (poiché dovrebbero essere secreti 70mEq al giorno) se essi restassero liberi: ecco quindi che interviene un ulteriore tampone, il tampone fosfato mono-sodico/ bi-sodico che tampona questi protoni prodotti alla neo-sintesi di H2CO3. L'H+ secreto nel lume viene tamponato dalla base 2Na+ HPO4

2- che si trasforma in NaH2PO4- e

quindi in questo caso il numeratore dell'argomento del logaritmo nella eq. di Handerson Hasslebalch si sta trasformando nel denominatore (che è ciò che avviene nel lume del tubulo). Il fosfato disodico 2Na+ HPO4

2- cede 1 Na+ mentre l'H+ secreto nel lume viene tamponato dal NaH2PO4

- . Ciò è proprio ciò che rende conto dell'acidità titolabile delle urine, ovvero quella quota di protoni che vengono tamponati dal sistema tampone fosfato monosodico e bisodico. Questa quantità di protoni è valutabile quantitativamente a mezzo di un normale processo di titolazione: in un campione di urina titoliamo H+ con una base forte (come NaOH), facendo in modo che gli OH- reagiscano con H+ , sottraendoli al tampone H2PO4

-. Nella titolazione operata in laboratorio tipicamente a un campione di urina vengono aggiunti alcali (OH-) per titolare il suo PH. La quantità aggiunta è uguale all'H+ titolato da questi tamponi urinari e viene chiamata acido titolabile. Ma l'escrezione di H+ come acido titolabile è insufficiente (basta per solo 1/3) a bilanciare il carico netto giornaliero di acido non volatile. Pertanto un meccanismo aggiuntivo e importante con cui i reni contribuiscono al mantenimento dell'equilibrio acido-base avviene attraverso la sintesi e l'escrezione di ioni ammonio NH4

+.

21-5-2012 - Quel è il tenore di H+ che il sistema mono-sodico/bi-sodico può assumere considerando che il pH minimo urinario è di 4,5 (valori minori sarebbero lesivi)? per calcolarlo basta impiegare l'equazione di Anderson Hasslebalch e calcolare:

PH = 4,5PH = 6,8 + Log [HPO4

2-]/[H2PO4-]

per avere un PH pari a 4,5 occorre che il rapporto [HPO4--]/[H2PO4

-] sia pari a 1/200. = 6,8 -2,3 = 4,5

Nel campione urinario vi sono altri costituenti acidi che possono fungere da tampone, come l'acido urico, la creatinina, ecc... In condizioni normali tali acidi sono irrilevanti mentre il sistema titolabile maggiormente rappresentativo è dato dal tampone fosfato mono-sodico/bi-sodico.

La restante quantità di HCO3- che in normali condizioni vengono sintetizzati sono ottenuti e

restituiti all'organismo mediante il meccanismo di ammoniogenesi, ovvero la formazione di ione ammonio. Dal fegato attraverso la circolazione ematica la glutammina perviene al rene, precisamente a livello delle cellule del tubulo prossimale. i) A livello di queste cellule la glutammina sottostà ad una prima reazione catalizzata dalla glutamminasi che porta alla formazione di acido glutammico e 2 molecole di ione ammonio NH4

+. ii) L'acido glutammico che ne risulta sottostà ad una seconda reazione, catalizzata dall'enzima glutammato-deidrogenasi che porta alla formazione di acido alfa-chetoglutarico e una seconda

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molecola di ione ammonio. iii) L'acido alfa-chetoglutarico viene sottoposto ad una serie di altre reazioni dove diviene ossalacetato prima, fosfoenolpiruvato poi e in seguito si ha conclusivamente da un lato la formazione di glucosio (gluconeogenesi renale) e dall'altro lato alla idratazione della CO2 mediata dalla isoforma II dell'anidrasi carbonica, con la produzione di acido carbonico e quindi dissociazione in H+ e HCO3

-. Lo ione bicarbonato viene estruso a livello della membrana baso-laterale con un sinporto o attraverso l'antiporto Cl-/HCO3- e portato nella circolazione sistemica . Lo ione ammonio viene estruso nel lume attraverso una differente modalità. NH4

+ ha carattere di acido debole. [NH4+] ← → [NH3] + [H+]; Pk = 9,3. La secrezione dello ione NH4

+ può avvenire secondo 2 modalità: i) lo ione ammonio viene secreto nel lume del tubulo prossimale. Si tratta di una equivalente secrezione di H+ contenuto nello ione ammonio ed infatti NH4+ viene estruso dallo stesso antiporto che estrude H+ ovvero H+/Na+, ma al posto dello ione idrogeno si lega lo ione ammonio. ii) La seconda modalità consiste nel fatto che all'interno della cellula lo ione ammonio è parzialmente dissociato in NH3 e H+. L'ammoniaca è una base che facilmente attraversa la membrana della cellula del tubulo prossimale. Il gradiente di concentrazione favorisce la diffusione dalla cellula al lume. Il protone derivato dalla dissociazione dello ione ammonio è invece estruso nel lume mediante l'antiporto Na+/H+. All'interno del lume abbiamo quindi idrogenioni e ammoniaca e l'ammoniaca reagisce con lo ione H+ poiché è una base rigenerando NH4

+. Lo ione NH4+ da lume viene portato attraverso il

tubulo prossimale a livello del segmento spesso della branca ascendente dell'ansa di Henle dove viene riassorbito: tale riassorbimento avviene attraverso 2 vie, paracellulare e transcellulare. - La via trans-cellulare è quella in cui lo ione ammonio a livello dell'epitelio del segmento spesso della branca ascendente opera il trasporto attivo secondario che trasferisce 1Na+/1K+/1Cl- dal lume nell'interstizio. Al posto dello ione K+ viene legato in questo trasportatore lo ione NH4

+. - L'altra modalità attraverso cui lo ione ammonio diffonde all'interno dell'interstizio è quella para-cellulare grazie al gradiente elettrochimico che si genera tra il lume e l'interstizio. Il lume in questo tratto è più positivo rispetto all'interstizio e ciò genera una d.d.p. che favorisce il passaggio attraverso le giunzioni serrate dell'epitelio di svariati ioni tra cui NH4

+.

L'NH4+ riassorbito dal tratto ascendente spesso dell'ansa di Henle si accumula nell'interstizio della

midollare. Gli ioni NH4+ vengono proprio a trovarsi a ridosso dell'epitelio del dotto collettore

midollare: è qui che praticamente sono messi in atto meccanismi che mediano il trasferimento di NH4

+dall'interstizio all'interno del lume del dotto collettore da dove poi viene escreto nell'ambiente esterno con le urine. Qui sono state proposte 2 modalità deputate al trasferimento dello ione ammonio dall'interstizio al lume del dotto collettore: i) In primo luogo gli ioni ammonio possono benissimo essere assunti al posto del K+ ad opera della pompa Na+/K+ATPasi presente sul versante basolaterale, all'interno della cellula. Qui lo ione ammonio è esposto a un più basso Ph e si dissocia in H+ e NH3. NH3 diffonde nel lume seguendo il gradiente di concentrazione, mentre lo ione H+ è secreto all'interno del lume o mediante H+ATPasi oppure attraverso un antiporto H+/K+ ATPasi. Nel lume quindi si ritrovano NH3 e H+ che si ricompongono in NH4+ (NH3 si comporta come base di Lewis). Quando l'ammoniaca reagendo con H+, essendo H+ carico non è più in grado di portarsi all'interno della cellula e quindi rimane “intrappolata” all'interno del lume. ii) la seconda modalità di diffusione nel lume dell'ammoniaca è molto più controversa. E' mediata da 2 tipi di antiporto: a) l'antiporto H+/NH4

+ . Si tratta di antiporti denominati Resus (Rh) per l'omologia con quelli che sono stati riscontrati negli eritrociti. Tuttavia essi operano con il trasferimento nella

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membrana baso-laterale dove gli ioni NH4+ diffondono all'interno della cellule epiteliali del dotto collettore con trasferimento di protoni nell'interstizio. In seguito gli ioni NH4+ all'interno della cellula attraverso antiporti H+/NH4+ vengono estrusi nel lume e a loro volta i protoni dal lume si portano all'interno della cellula. Non è ancora del tutto chiaro come operino questi antiporti NH4+/H+. C'è un aspetto che non va assolutamente trascurato nel meccanismo di trasferimento degli ioni ammonio: quello cioè per cui la secrezione di H+ sia a livello delle cellule del tubulo prossimale (dove H+ è derivato dalla dissociazione di NH4+ in NH3 e H+) sia a livello delle cellule del dotto collettore (sempre derivante dalla dissociazione di NH4+) deve avvenire in quanto se non avviene ne risulta che gli ioni NH4+ non vengono secreti. Ed essi dall'interstizio passano in circolo e a livello del fegato vengono trasformati in urea (ciclo dell'urea) , reazione che però porta alla formazioni di H+ che vengono tamponati da HCO3-, processo che acidifica quindi il LEC, il che risulterebbe nell'esatto contrario della funzione di NH4+, se H+ non fosse secreto a livello tubulare. Ecco perché è importante che la secrezione di H+ e NH4+ abbia luogo, altrimenti in caso contrario vi sarebbe l'acidificazione del LEC.

Il meccanismo di formazione dello ione NH4+ consente la neoformaizone dei restanti 2/3 di HCO3- che per un soggetto di 70 Kg corrisponde a 40-45 mEq di HCO3- che vengono formati e restituiti all'ambiente extracellulare. Si tratta di un meccanismo particolarmente versatile. Il meccanismo della secrezione di NH4+ e della neoformazione di HCO3- può intervenire e giungere, in caso di acidosi cronica, a livelli di 300 mMOL di bicarbonato neo-formati nell'arco delle 24 ore. Questo sistema è influenzato da alcuni fattori come, in primo luogo, l'alterazione dell'equilibrio acido-base. In condizioni di acidosi ne risulta una riduzione del valore del PH endocellulare, il che stimola la glutaminasi, ne aumenta sia l'attività catalitica sia l'espressione genica. Essa contribuisce

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alla formazione di ione ammonio e bicarbonato ione. Un altro meccanismo che stimola la formazione di NH4+/HCO3- è la secrezione di paratormone e angiotensina II. Una ipokalemia determina una riduzione della secrezione dello ione ammonio. Riducendosi la concentrazione di K+ nel LEC aumenta il gradiente dall'interno elettrochimico dall'interno all'esterno della cellula e il K+ endocellulare diffonde. Ecco che ciò è compensato dall'ingresso di H+ all'interno della cellula che stimola la glutamminasi e la formazione di ioni ammonio. E' possibile anche valutare la capacità acidificante del tubulo renale e precisamente la sua capacità di secrezione di ione ammonio giacché l'entità di questi ci da un'idea di quanto [H+] escreto sotto forma di ione ammonio. Questa determinazione quantitativa non è possibile effettuarla allo stesso modo del sistema della titolazione per il valore elevato della Pka dello ione ammonio pari a 9.4 (come nel caso del sistema del fosfato monosodico-bisodico).

Si utilizza allora il parametro dato dal gap o divario anionico urinario: [(Na+ ) + (K+)] - [Cl-]. Questo divario assume che in corso di acidosi metabolica i principali cationi urinari siano Na+, K+ e NH4

+ e il principale anione Cl- .

- Questo valore dovrebbe aggirarsi tra i 35 e i 45 mEq, (valori >0) corrispondenti alla quota di protoni corrispondenti agli equivalenti di HCO3

- che normalmente vengono restituite mediante l'ammoniogenesi all'organismo (si ricordi il metabolismo della glutammina), pari ad 2/3 dell'ammontare complessivo di 70-75 mEq.

- Quando questo divario quando assume valori < 0 cioè [(Na+ ) + (K+)] < [Cl-] manifesta una buona condizione acidificante del tubulo urinario, ovvero vengono escrete quantità adeguate di NH4+. - Quando invece [(Na+ ) + (K+)] = [Cl-] oppure ciò attesta una scarsa se non nulla formazione di NH4+. In questo caso ci troviamo di fronte ad una insufficiente capacità acidificante del tubulo, ovvero ad una quota di bicarbonato ioni HCO3- che non vengono restituiti all'organismo, il ché risulta in acidosi metabolica. (il che significa lasciare 45mEq di idrogenioni nel LEC).

Le acidosi del tubulo renale vengono distinte in quelle che riguardano il tubulo prossimale e quelle che riguardano il tubulo distale. i) Nelle acidosi del tubulo prossimale rileviamo quelle acquisite (la maggioranza) da quelle ereditarie (minoranza). a) Le forme acquisite sono dovute o al rene cistico oppure alla sindrome di Franconi (incapacità a secernere protoni e riassorbire bicarbonato ioni) oppure a seguito dell'assunzione di farmaci come a inibitori dell'anidrasi carbonica come l'acetazolamide. b) Le forme ereditarie delle acidosi sono caratterizzate o da una mutazione genica che interessa il sinporto situato sulla membrana basolaterale (non è funzionale il sinporto Na+/HCO3-, per cui non viene restituito bicarbonato ne LEC) oppure la mancata sintesi della isoforma II dell'anidrasi carbonica (questa riguarda l'intero tubulo renale).

ii) Anche per l'acidosi del tubulo distale si distingue anche qui in forme acquisite ed ereditarie. a) Quelle acquisite sono riconducibili o a un rene policistico oppure all'azione di farmaci (come alcuni antimicotici) che aumentano la permeabilità del tubulo del dotto distale o del dotto collettore. Noi sappiamo che in tale tratto le giunzioni siano particolarmente resistenti perché il valore del PH può scendere anche a 4,5 quindi la concentrazione deve essere preservata e non serve esservi retro diffusione di protoni dal lume nell'interstizio.

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- Se viene incrementata la permeabilità dell'epitelio del dotto collettore risulta che H+ sotto forma di ioni NH4+ diffonde dal lume all'interstizio e di qui nella circolazione sistemica, determinando una condizione di acidosi, non essendo tamponati da una corrispondente produzione di HCO3-. - A livello del tubulo distale e collettore lo stato di acidosi può essere indotto da una mancata secrezione di H+ , K+ e ione NH4+. Le ragioni possono essere di carattere sia acquisito che ereditario. - Le forma ereditaria è legata ad una alterazione a livello dei canali del Na+ e che comporta un minore riassorbimento di Na+.

- Una forma acquisita si rinviene a seguito dell'assunzione di diuretici come l'amiloride che inibiscono i canali Na+, impedendo quindi il riassorbimento del sodio, o anche altri farmaci che inibiscono l'aldosterone (ormone che favorisce il riassorbimento del Na+) come lo spironolattone. - Ancora a seguito di una insufficienza renale precedentemente acquisita il soggetto secerne una minore quantità di renina. Minore renina significa minore angiotensina II che porta ad un minor riassorbimento di Na+ nel dotto distale collettore ma anche meno aldosterone (la cui sintesi è stimolata dalla angiotesina II) e quindi minor riassorbimento di Na+.

Cosa implica dunque la riduzione del riassorbimento di Na+. In primo luogo la d.d.p. tra lume e interstizio, se si riduce il riassorbimento del Na+, la membrana basolaterale resta carica positivamente poiché meno K+ viene secreto. Allo stesso tempo meno ioni H+ vengono secreti. Venendo secreto meno K+ più K+ resta in circolo comportando iperkalemia che comporta il fatto che se il K+ extracellulare è più elevato meno K+ diffonde dall'interno all'esterno della cellula. Ecco quindi che una maggior quantità di cariche positive permane nella cellula e affinché l'equilibrio venga mantenuto ecco che protoni H+ dalla cellula migrano all'esterno, ingenerando una alcalosi endocellulare. Un aumento del PH endocellulare (riduzione degli idrogenioni) costituisce uno stimolo inibitorio per a formazione degli ioni NH4+ (si ricordi che l'abbassamento del PH) endocellulare stimola la glutaminasi e la formazione di NH4+).

- Ancora, nell'ambito dei fattori che determinano le acidosi acquisite vi è una patologia di tipo immunitario dove vengono prodotti degli auto-anticorpi contro il carrier H+ATPasi, (presente nelle cellule intercalate del dotto distale e collettore sia nella membrana luminale delle cellule del tubulo prossimale) che viene inattivato. b) Se invece questo carrier è mutato la patologia ricade nell'ambito delle acidosi ereditarie. Il soggetto con queste patologie dove ricevere un adeguata apporto di basi o sotto forma di carbonato di sodio o di citrato di sodio allo scopo di compensare la concentrazione idrogenionica conseguente alla mancata escrezione di H+ a livello del tubulo renale.

La escrezione netta di acido (ENA) risulta allora data in termini generali dalla somma della quantità di acidità titolabile “UTIT” per il flusso urinario “U” più la quantità di acido eliminata nell'ambiente esterno sotto forma di ione ammonio “UNH4+” sempre moltiplicato per il flusso

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urinario “U” a cui va sottratta la quantità eliminata di bicarbonato ione “UHCO3-” per il flusso urinario “U”.

ENA = [(Utit*U) + (UNH4+

*U )] - (UHCO3- *U)

in condizioni normali il quantitativo di HCO3- ultrafiltrato viene completamente riassorbito e quindi il terzo termine della relazione di cui sopra è pari a 0. In una condizioni patologiche tale parametro può anche non essere uguale a 0. Quando il soggetto elimina i bicarbonato ione è come se acidificasse per lo stesso tenore di Eq l'ambiente extracellulare.

Con ciò si conclude la trattazione attraverso cui il rene regola l'omeostasi acido-base.Avendo analizzato i meccanismi ci si chiede quali sono i fattori che regolano la secrezione di protoni. I fattori in questione sono di diversa natura e vanno differenziati in relazione al fatto se essi interessano l'intero tubulo renale o lo spazio tra di esso, oppure se la regolazione è diretta o indiretta. Sia che siano agenti direttamente che indirettamente le modalità attraverso cui tali fattori agiscono sono i) attraverso l'attività dei meccanismi di trasporto ii) attraverso l'aumentata o diminuita inserzione di tali meccanismi mediante esocitosi e poi endocitosi sulle membrane luminali o basolaterali, iii) attraverso una neosintesi di fattori di trasporto.

Acidosi - Le alterazioni dell'equilibrio acido base costituiscono delle condizioni patologiche chiamate acidosi o alcalosi. In acidosi, ovvero quando il PH de LEC si riduce e assume valori <7.35 osserviamo che la riduzione di tale Ph può a sua volta discendere: i) da una riduzione della concentrazione di HCO3- oppure ii) da un incremento della pCO2 del LEC.

In entrambi i casi ciò si traduce in una riduzione del PH nel LEC. Questo si riflette immediatamente in una diminuzione del PH all'interno delle cellule, segnatamente delle cellule del tubulo renale.

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La riduzione del PH endo-cellulare comporta un aumento della concentrazione di idrogenioni all'interno delle cellule come all'esterno di esse, nell'interstizio come nelle cellule che si affacciano al lume tubulare:

i) questo aumentato gradiente è di per sé una prima causa che porta la diffusione di ioni idrogeno dall'interno delle cellule al lume. Quindi la secrezione di H+ è guidata in primo luogo da un gradiente di concentrazione.

ii) (a) Tale secrezione è inoltre regolata attraverso una aumentata cinetica dell'antiporto Na+/H+ del tubulo prossimale, del trasporto attivo primario H+ ATPAasi sia del tubulo prossimale che distale e del dotto collettore. Oltre all'attività di questi trasporti è aumentata la cinetica del simporto Na(HCO3-) per cui ad una aumentata. (b) Oltre l'aumento dell'attività per ragioni allosteriche l'aumento della concentrazione endocellulare comporta anche una aumentata sensibilità all' inserzione di questi meccanismi di trasporto già presenti nelle vescicole sia sul versante luminale che baso-laterale.

iii) Quando il basso PH si protrae innesca un terzo meccanismo rappresentato dalla aumentata trascrizione genica la quale comporta un aumento della trascrizione e sintesi di nuove proteine di antiporti o simporti (antiporti Na+/H+ e simporto Na+/HCO3-) a livello del tubulo prossimale e dei trasporti primari H+ ATPasi a livello del tubulo prossimale e distale/collettore. A questo livello è anche neosintetizzati una maggiore quantità di Cl-/HCO3- che opera sulla membrana basolaterale.

Oltre alla riduzione del PH endocellulare in tutte le cellule del tubulo l'abbassamento del PH influenza il rilascio di fattori umorali come l'endotelina-1 e dal cortisolo. - L'aumento della concentrazione idrogenionica induce a livello sia del tubulo prossimale la secrezione del peptide endotelina 1 che esercita effetti in modo autocrino-paracrino. L'effetto autocrino si esplica sulle cellule del tubulo prossimale attivando una protein-kinasi che fosforila le proteine i trasporto ( Na+/H+ Na+/HCO3-) favorendo sia la secrezione di H+ sia il riassorbimento di HCO3-. Non si esclude un effetto paracrino consistente in un'influenza su segmenti successivi al tubulo prossimale (tubulo distale). - Per quanto attiene al cortisolo esso è incrementato in acidosi, poiché l'abbassamento del PH incrementa la secrezione nella zona fascicolata della corticale surrenale. Quest'ormone agisce sulle cellule del tubulo prossimale attraverso l'azione diretta sul nucleo, attivando la trascrizione genica dei carrier Na+/H+ che Na/HCO3-.

Alcalosi - Condizioni relative ad un aumento del PH, ovvero di alcalosi, conseguenti per i) incremento della concentrazione extracellulare di HCO3- o per una ii) riduzione della pCO2. In tale condizioni una ridotta concentrazione idrogenionica all'interno delle cellule tubulari sortisce effetti opposti quindi in ultima analisi: a) una ridotta secrezione di H+ e b) un ridotto riassorbimento di HCO3-.

Vi sono altri fattori che influenzano la secrezione di H+ in maniera indiretta:

i) La secrezione di protoni a livello delle cellule del tubulo prossimale discende dall'attività dell'antiporto Na+/H+ per cui tutti i fattori che influiscono sul riassorbimento di Na+ si ripercuotono sulla secrezione di H+. Maggiore è il riassorbimento del Na+ maggiore sarà l'entità della secrezione di H+ e riassorbimento di HCO3- e viceversa.

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ii) Nell'ambito dei fattori che influenzano la secrezione indiretta dei protoni vi è il meccanismo dell'equilibrio glomerulo tubulare. Tale meccanismo prevede che ove il carico filtrato di Na+ incrementi ciò si accompagna ad un aumentato riassorbimento di esso e quindi anche ad un aumentata secrezione di H+. Viceversa, se il carico si riduce ciò si associa ad un ridotto assorbimento di Na+ e ad una minore secrezione di H+ e riassorbimento di HCO3-.

iii) Nel caso vi sia una riduzione del LEC, come in caso di emorragia o diarrea grave, viene attivato il sistema renina-angiotensina oltre che l'attivazione delle fibre post-gangliari ortosimpatiche. L'azione dell'angiotensina II ha come effetto - specificatamente sulle cellule del tubulo prossimale e sul segmento spesso ascendente della branca di Henle – quello di aumentare la cinetica dell'antiporto Na+/H+ come del simporto Na/HCO3- , nonché di aumentare l'inserzione di ulteriori trasportatori mediante l'esocitosi sul versante luminale che su quello basolaterale.Un incremento del LEC sortisce effetti opposti, cioè una riduzione della secrezione di idrogenioni e per conseguenza una riduzione del riassorbimento di HCO3-.

iv) L'azione dell'aldosterone si esplica sia indirettamente sia direttamente. L'azione indiretta consiste nel fatto che l'aldosterone agisce sulle cellule principali del tubulo distale collettore oltre che sul segmento spesso favorendo il riassorbimento di Na+ attraverso i canali specifici. Nel riassorbire il Na+ ciò comporta che a livello della membrana luminale si riduce la densità delle cariche positive che erano rappresentate dal Na+. La membrana luminale quindi diventa più negativa della membrana baso-laterale determinando quindi una sorta di d.d.p. transtubulare. La riduzione della positività luminale - e quindi aumentando la carica negativa - favorisce l'escrezione di idrogenioni: tale processo influenza le cellule principali ed intercalari. Mentre l'azione lenta dell'aldosterone is esplica attraverso la maggiore attività catalitica dei trasporto primario H+ ATPasi ma anche nella sua maggiore neosintesi a livello luminale (azione genomica).

v) Nell'ambito dei fattori che operano in via indiretta si considerano anche le forze di Starling - operanti a livello del tubulo prossimale - che derivano da variazioni del LEC. Pertanto una riduzione del LEC si traduce in una diminuzione del flusso attraverso la rete capillare glomerulare. Questo si associa a una contrazione sia del diametro dell'arteriola afferente che dell'arteriola efferente. Ne risulta che la pressione idrostatica a livello della rete capillare glomerulare si riduce e concomitantemente incrementa il rapporto tra il volume ultrafiltrato (VFG) e il flusso plasmatico renale (FER). Infatti una riduzione del FER attraverso la rete capillare glomerulae è maggiore di quanto non sia la velocità di ultrafiltrazione VFG. Ne consegue allora che la frazione di filtrazione (VFG/FER) incrementa (il sangue a monte del glomerulo è più denso perché ha perso proporzionalmente alla VFG plasma e le proteine si sono concentrate, costituendo una osmole efficace). Quindi la pressione colloido-osmotica aumenta. Nella rete capillare peritubolare concorrono 2 forze, riduzione della pressione idrostatica e l'aumento della pressione colloido-osmotica, volti a favorire un aumentato riassorbimento di Na+ e HCO3

- , con concomitante secrezione di H+ nel lume.

vi) Altro fattore che agisce sulla secrezione di H+ è il paratormone. Esso è un ormone che agisce sul tubulo renale a seconda del tratto considerato in modo diverso:- Nel tubulo prossimale inibisce per endocitosi (internalizzazione dei tratti di membrana dove sono presenti i carrier) l'antiporto Na+/H+. - A livello del segmento spesso e del dotto collettore il paratormone favorisce la secrezione di H+. Qui il paratormone a livello del tubulo prossimale aveva peraltro inibito il riassorbimento del HPO4

2- che giunge quindi con maggior carico al distale collettore dove tampona gli idrogenioni che vengono secreti (si comportà cioè da base). Si tratta della formazione di quella che è la acidità titolabile. In questo caso HPO4

2- non viene riassorbito

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per essere poi usato da tampone nel tubulo distale e collettore.

vii)La kalemia è un altro fattore che regola al secrezione di H+. - Quando vi è un incremento della kalemia extracellulare di K+ , cioé nell'interstizio, la differenza di concentrazione tra K+ all'interno della cellula tubulare e l'esterno si riduce. La riduzione del gradiente tra l'interno e l'esterno determina un accumulo di cariche positive (K+) all'interno della cellula: per il principio di elettroneutralità ciò viene risolto da una diffusione degli ioni H+ dall'interno della cellula all'esterno. Ne risulta una diminuzione degli ioni idrogeno all'interno della cellula e quindi un aumento del Ph endocellulare che riduce la secrezione di H+ delle cellule nel lume del tubulo. - Viceversa una ipokalemia comporterà maggiore diffusione di K+ dalla cellula all'esterno. Il K+ diffonde e la maggiore diffusione squilibra le cariche elettriche all'interno della cellula a vantaggio di una riduzione delle cariche positive. Il riequilibrio viene ripristinato dal passaggio di ioni H+ dal LEC all'interno della cellula, causando una diminuzione del PH endocellulare. A livello delle cellule del tubulo renale tale riduzione del PH si associa ad una aumentata secrezione di H+ nel lume e riassorbimento di HCO3- nell'interstizio.

Alterazioni dell'equilibrio acido-base – Sono comprese in quest'ambito patologie che rappresentano l'esito di pregresse situazioni patologiche, oppure possono essere accompagnate da patologie come aspetti collaterali. Per quanto attiene la comprensione di tali alterazioni va prima di tutto distinta il tipo di modificazione del PH che ad esse si accompagnano. La valutazione di queste alterazioni è condotta su campioni ematici di sangue arterioso, il cui PH si colloca tra 7.4+/- 0.02. Valori <7.4 si associano quindi ad una condizioni di acidosi. Una condizione di alcalosi è caratterizzata da un incremento del PH dovuto alla riduzione della concentrazione di idrogenioni, cioè quando il PH presenta valori >7.4 +/- 0.02. ai) Le acidosi possono essere, a seconda della causa primaria che ne è all'origine, o di natura metabolica, quando associa oltre che ad una riduzione del PH anche ad una riduzione della concentrazione etracellulare di HCO3- rispetto al valore di 24mEq/L. aii) L'acidosi può anche essere respiratoria/ventilatoria. In questo caso il parametro in questione (PH < 7.4) si accompagna è un aumento della pCO2 vale a dire quanto il valore di questa nel plasma arterioso assume valori > 40mmHg.

bi) Anche per le alcalosi riconosciamo una alcalosi metabolica. Essa è tale quanto oltre a valori di PH > 7.4 rinveniamo una concentrazione di HCO3- > 24 mEq/L. bii) L'alcalosi ventilatoria invece si caratterizza oltre che per valori > 7.4 di PH per valori di PCO2 < 40 mmHg.

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I disturbi di natura metabolica vanno ricondotti a una variazione extracellulare di HCO3- mentre i disturbi ventilatori sono dovuti alle variazioni della pCO2. Per disturbi acido-base quando esse hanno all'origine una sola causa o di natura metabolica o di natura respiratoria si considerano disturbi acido base di tipo semplice. Mentre alterazioni acido-base dove vi sono disturbi sia metabolici che ventilatori si parla di disturbi acido base di tipo misto (talora molto più frequenti delle forme semplici).

Prendendo in esame le forme semplici ci serviremo delle equazioni di Anderson-Hasselbalch. PH = 7,4 = 6,1 + Log [HCO3-]/[α pCO2]Questa relazione risulta dall'analisi sul sistema acido carbonico/bicarbonato e ci informa dell'intervento dei primi meccanismi di difesa costituita dai sistemi tampone. In questa relazione il numeratore è la variabile specificatamente controllata dal meccanismo omeostatico rappresentato dal rene mentre il denominatore è regolato da un altro meccanismo fisiologico che è la funzione respiratoria. Ecco perché questa equazione consente di rappresentare le alterazioni dell'equilibrio acido base. Questo tipo di analisi si riferisce a condizioni di temperatura interna corporea di 37 C°. Quando la temperatura interna corporea si riduce e ci sono circostanze in cui particolari tipi di interventi chirurgici sono condotti in condizioni di ipotermia. In tali condizioni l' ipotermia induce uno stato di alcalosi.

- L'acidosi metabolica è un disturbo associato ad un decremento del PH. Questo decremento è conseguente ad una variazione del HCO3-, tipicamente < 24mEq/L e causa a sua volta un decremento del PH. Il decremento della [HCO3-] è causato, nell'acidosi metabolica, da diverse cause: i) immissioni di acidi fissi nel LEC come nella ketoacidosi diabetica o per la produzione di acido lattico conseguente ad una ipossia tissutale da insufficiente perfusione dovuta a una insufficienza cardiaca (lo scarso ossigeno sposta il metabolismo da aerobio ad anaerobio con ossidazione del piruvato in lattato); ii) L'acido fisso consegue all'assunzione da parte del soggetto di farmaci come sali d'ammonio che da luogo nella metabolizzazione ad HCl. iii) l'acidosi può anche essere provocata dalla perdita di HCO3- a seguito di una diarrea protratta.

L'ingresso di acidi fissi innesca subito l'attivazione di meccanismi tampone che tendono a minimizzare le variazioni incrementando l'acido fisso. I meccanismi che subito intervengono sono rappresentati dall'acido carbonico/bicarbonato che attraverso il sale NaHCO3- produce la base HCO3- atta a tamponare gli idrogenioni H+ prodotti dagli acidi fissi. Il 50% del carico degli acidi fissi viene tamponato nel LEC ad opera di HCO3-. Il restante 50% del tamponamento del carico degli acidi fissi avviene nel compartimento intracellulare dove gli acidi idrogenioni liberati da questi diffondono. Qui gli H+ vengono tamponati all'interno delle cellula o da acido carbonico/ bicarbonato di potassio, oppure dai proteinati o da fosfati. Si tratta di minimizzare gli effetti di questi protoni derivati dagli acidi fissi. A questa prima azione del tampone segue la risposta compensatoria data dall'azione della ventilazione. In che modo il meccanismo ventilatorio viene attivato? Ad opera della variazione del PH del LEC la quale agisce a livello di determinati chemocettori periferici rappresentati da glomi aortici e carotidei a livello del quale vi sono cellule che rilevano le variazione della concentrazione di idrogenioni. Essi stabiliscono sinapsi con fibre afferenti vagali (arco dell'aorta) o fibre afferente che decorrono nel glossofaringeo (glomo carotideo) le quali fibre portano gli impulsi nei centri respiratori i quali determinano una scarica efferente che si porta a livello delle corna anteriori del midollo spinale a livello di segmenti cervicali C3-C4-C5 per attivare i motoneuroni che costituiscono il nervo frenico che innerva il diaframma, e a livello delle corna anteriori dei segmenti toracici per attivare i motoneuroni che innervano i muscoli intercostali che innervano i muscoli omonimi esterni ed interni.

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L'aumento della concentrazione idrogenionica nel LEC determina una diminuzione del gradiente tra i protoni presenti nella cellula e fuori di essa. Ne risulta una ridotta diffusione degli idrogenioni dall'interno della cellula nel LEC. La ridotta diffusione di H+ all'esterno attiva un antiporto Na+/H+ - che utilizza l'energia del Na+ per estrudere gli H+ all'esterno: gli H+ infatti rischiavano di aumentare all'interno della cellula a causa del gradiente causato dall'aumentata concentrazione presente all'esterno. L'aumento quindi della concentrazione del Na+ all'interno della cellula del glomo attiva a sua volta un antiporto Na+/Ca2+ il quale trasferisce Ca2+ dall'esterno all'interno (dove è meno concentrato) mentre Na+ diffonde dall'interno all'esterno (dove è meno concentrato) della cellula. L'attivazione di questo antiporto è mediata dall'aumento del Na +

all'interno della cellula: ne risulta in ultima analisi un aumento del Ca2+ nella cellula. L'aumento del Ca2+ favorisce la fusione delle vescicole dove si trova il mediatore sinaptico (a livello dei glomi). Una volta che questo è liberato nell'interstizio da luogo ad un potenziale post-sinaptico eccitatorio (EPSP) che da luogo ad un potenziale d'azione che viene trasmesso attraverso le fibre afferenti fino ai centri respiratori. Ne risulta un aumento degli atti respiratori, cui segue una aumentata eliminazione di CO2 e quindi in ultima analisi in una diminuzione della pCO2 nel LEC.PH = 7,4 = 6,1 + Log [HCO3 ]/[α*pCO2]Questa diminuzione della pCO2 è stata quantitativamente valutata ed è tipica dell'acidosi metabolica: Ad ogni 1 mEq di HCO3

- che si riduce nell'ambiente extracellulare si osserva che la pCO2 si riduce di un 1,2 mmHg. Ora l'acidosi metabolica - ad es. un soggetto aggetto da ketoacidosi – comporta un aumento della respirazione/ventilazione, che peraltro è anche abbastanza tipico perché è caratterizzato da atti ventilatori profondi e frequenti: il così detto respiro di Kussmau. L'aumento della ventilazione nella frequenza e nella profondità nel soggetto con ketoacidosi comporta un affaticamento della muscolatura respiratoria che si ripercuote alla lunga in una minore attività meccanica. Quando ciò si verifica a compensazione respiratoria si altera e l'acidosi può diventare più grave. Per quanto attiene alla acidosi metabolica vi è un parametro che viene utilizzato - oltre al valore del PH, della concentrazione del HCO3- e della pCO2 – che consente di valutare il tipo di acidosi. Si tratta del gap anionico plasmatico (si ricordi il già citato gap-anionico plasmatico).Il gap anionico è dato da: {[Na+]+[K+]}-{[Cl-] + [HCO3

-]} = 16-20 mEq/LDato che la concentrazione plasmatica di [K+] è bassa il parametro K+ viene trascurato e l'equazione viene semplificata. Questa espressione è la differenza tra i cationi e gli anioni, perché dunque viene chiamata “gap anionico”? La ragione è in ciò: per il principio di neutralità la somma delle cariche positive è uguale alla somma delle cariche negative; noi tuttavia con questo parametro prendiamo in considerazione solamente le classi ioniche più rappresentative giacché non possiamo considerarle tutte e misuriamo quindi quelle che si prestano ad una misura abbastanza immediata. Pertanto nel mezzo sono presenti anioni e cationi che non sono stati misurati! Noi possiamo allora riscrivere il gap anionico esplicitando questi anioni e cationi non misurati come segue:

[Na+]+[CN+] = [Cl-] + [HCO3-] + [AN-]

→ [Na+] - ([Cl-] + [HCO3-]) = [AN-] - [CN-]

Ecco dunque perché questa espressione si chiama gap anionico: nel mezzo ho una maggiore quantità di anioni non misurati rispetto ai cationi non misurati [AN -] > [CN-]. Questa differenza è una differenza di anioni che però deve essere uguale alla differenza di anioni e cationi che noi misuriamo. Questo gap può restare invariato o può modificarsi. Resta invariato anche se in acidosi quando l'acido in eccesso ha come anione il Cl-, come ad esempio HCl. In conseguenza del tamponamento dell'H+ liberato dall'acido avrò una riduzione della HCO3- facente parte del sistema tampone acido carbonico/sodio bicarbonato. Ma HCl ha liberato l'anione Cl- per cui di tanto quanto si è ridotto NaHCO3- di altrettanto è incrementata la concentrazione [Cl-]

- Questo gap anionico incrementa nelle circostanze laddove il soggetto soffre di una ketoacidosi dovuta all'ingresso di notevoli quantità di acido acetil-salicilico o da lattati. In questo caso gli acidi assunti liberano H+ ma l'anione corrispondente non è il Cl- ma il salicilato, il lattato oppure il beta-

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idrossi-butirrato ecc.. Sono anioni che si liberano ma che noi non misuriamo per cui vi sarà una diminuzione di HCO3

- (che tampona gli H+) e quando facciamo la differenza tra le specie cationiche e anioniche che andiamo a misurare (= alla differenza tra le specie cationiche e anioniche che non misuriamo) { [Na+] - ( [Cl-]+[HCO3

-] ) } abbiamo che [HCO3-] si è ridotto mentre Cl- è rimasto

invariato: quindi il gap incrementa.

Alcalosi metabolica – PH = 7,4 = 6,1 + Log [HCO3 ]/[α*pCO2] L'alcalosi metabolica presenta Ph > 7,4 dovuto all'aumento del numeratore sul denominatore nel rapporto espresso dall'argomento del logaritmo. Questo incremento può essere dato o dall'assunzione di antiacidi (sali di bicarbonato in caso di ulcera ) oppure ad un vomito prolungato con perdita di HCl. i) Osserviamo anche qui l'intervento di meccanismi tampone. In caso di alcalosi abbiamo la presenza di basi fisse che vengono tamponate dal sistema acido carbonico/bicarbonato. Il 70% del tamponamento avviene nel LEC. Lo ione H+ dall'interno delle cellule si porta all'esterno mentre il 30% è tamponato all'interno delle cellule. ii) Al meccanismo di tamponamento segue la risposta compensatoria, data in primo luogo dalla ventilazione. Questa consiste nel fatto che l'incremento del PH riduce l'attività respiratoria, determinando un aumento di pCO2 e un incremento della [HCO3-]. L'incremento di pCO2 non va pensato come pari alla variazione del numeratore.

iii) Se nell'acidosi metabolica vi era l'intervento del rene consistente in una aumentata secrezione di H+ nel tubulo, sotto forma di acidità titolabile e di ioni NH4+, e un aumentato riassorbimento di HCO3-, nell'alcalosi metabolica il rene interviene ma con effetti opposti. il PH extracellulare in questo caso si è innalzato in quanto diminuisce la concentrazione di idrogenioni e questo si riflette a livello del PH endocellulare con la conseguenza di ridurre la secrezione di H+ per via della ridotta attività degli antiporti Na+/H+ e conseguentemente di Na+/HCO3-, il che indirettamente causa anche una riduzione del riassorbimento di HCO3-. Pertanto in tale condizione avremo una ridotta escrezione di H+ (sotto forma di acidità titolabile e di ioni NH4+ ) e una aumentata escrezione di HCO3- (= ridotto riassorbimento).Una escrezione di HCO3- che, specie quanto il disturbo è protratto, è favorita dall'attività secretoria di HCO3- della popolazione delle cellule Beta intercalate. In tal caso esse secernono HCO3- nel lume del tubulo e trasportano H+ nell'interstizio. Nell'alcalosi metabolica l'intervento del rene non è sempre immediato. Il rene non interviene direttamente nell'alcalosi metabolica nel favorire l'escrezione di HCO3-. Infatti laddove l'alcalosi è legata ad una condizione in cui il plasma si concentra più del liquido interstiziale (in questo caso si concentra l'HCO3-) si ha una riduzione del volume del LEC. Ma in questo caso la riduzione del LEC pone l'organismo di fronte alla contrapposizione di 2 condizioni contrastanti: da un lato il ripristino del volume extracellulare e dall'altro lato la compensazione dell'alcalosi metabolica. Tra i 2 è il ripristino del LEC che viene favorito piuttosto che lo stato di alcalosi. In tale circostanza il rene non elimina HCO3- ma al contrario persiste lo stato di alcalosi fin quando non viene ripristinata la normale volemia che dipende dall'attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone che determina la secrezione di H+ nelle urine e riassorbimento HCO3- nell'interstizio nonostante lo stato di alcalosi.Il riassorbimento di HCO3- determinato dal sistema renina-angiotensina si associa al riassorbimento di Na+ e quindi di acqua: si va quindi a ricostituire la normale volemia (euvolemia). E' paradossale pertanto che in stato di alcalosi in questo caso le urine permangano acide. Tuttavia il ripristino la normale volemia inibirà in seguito il riassorbimento di HCO3- favorendone l'escrezione, inibendo parimenti la secrezione di H+. In breve quando lo stato volemico è normale il rene interviene subito favorendo l'escrezione del HCO3-, quando invece la volemia è ridotta il rene a) in primo luogo favorisce e accentua il riassorbimento di HCO3- e di Na+ attraverso il sistema renina-angiotensina-aldosterone, in modo che si ricostituisca l'euvolemia, b) in seguito risolve lo stato di alcalosi aumentando l'escrezione de

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di carbonato ed inibendo la secrezione di H+.

- Nell'acidosi ventilatoria osserviamo una alterazione associata ad una riduzione del PH dovuta al fatto che la pCO2 tende ad aumentare >40mHg. Quindi il rapporto HCO3- /pCO2 si riduce. Ravvisiamo come cause: i) fattori di origine centrale come depressione dei centri respiratori a seguito dell'assunzione di farmaci o traumi cranici ii) o di compressione da parte di neoplasia a livello del tronco encefalico. iii) Ma il la causa può risiedere nella meccanica difettosa della gabbia toracica o ancora iv) essere legata ad una riduzione della superficie di scambio gassoso a livello capillare (enfisema polmonare.); v) infine a seguito di una condizione edematosa a livello dell'interstizio alveolo – capillare. Riducendosi la frequenza della respirazione si ha come effetto la riduzione del volume di CO2 allontanato con la respirazione. In tali condizioni alla risposta dell'organismo concorrono in primo luogo a) i sistemi tampone - Il tamponamento della CO2 avviene nel 10% a livello extracellulare con la formazione dei carbaminocomposti tra la CO2 (acido volatile) e le proteine plasmatiche, mentre il restante 90% del tamponamento ha luogo all'interno delle cellule dei tessuti dove la CO2 si idrata con H2O grazie all'anidrasi carbonica. L'acido carbonico H2CO3 si dissocia cosicché l'H+ è tamponato dalle proteine endocellulari e in parte dal fosfato HPO4

3- mentre HCO3- dagli eritrociti è trasferito al LEC. Ad ogni

incremento di 10 mmHg di pCO2 corrisponde un incremento di 1,5 di mEq/L di HCO3-.

b) in secondo luogo l'intervento del rene. - Nell'acidosi respiratoria vi sarà quindi un aumentato riassorbimento di HCO3

- e una incrementata formazione e secrezione di H+ (sotto forma di acidità titolata e ioni ammonio).

- Nell'alcalosi ventilatoria si ha un aumento del valore del PH dovuto all'elevato rapporto [HCO3

-]/pCO2 giacché la pressione parziale pCO2 si abbassa per via dell'incremento della frequenza respiratoria (che ne aumenta l'allontanamento) e al ridursi della pCO2 si riduce quindi anche il numeratore della frazione [HCO3

-]/[PCO2] pertanto il rapporto aumenta. Tale incremento della frequenza respiratoria può essere il risultato anche qui: i) dell'azione di farmaci che attivano i centri respiratori ii) per condizioni legati a stati d'ansia che si ripercuotono sul soggetto suscitando un aumento di respirazione ad opera delle strutture del sistema limbico. La riduzione della pCO2 comporta: a) un intervento immediato da parte dei sistemi tampone - L'intervento dei sistemi tampone anche in questo caso avviene per il 10% nel LEC e per il 90% nell'ambiente endocellulare (LIC). Qui la reazioneCO2 + H2O ←→ H2CO3 ←→ H+ + HCO3

- si viene a spostare verso sinistra quindi verso una minor produzione di bicarbonato ione (nell'acidosi respiratoria invece la reazione era spostata verso destra con abbassamento del PH). Qui per ogni riduzione di 10 mmHg della pCO2 (dovuta come abbiamo detto all'incremento della frequenza respiratoria) si verifica una riduzione di 2 mEq/L della [HCO3

-] del LEC. b) In seguito, al tamponamento chimico fisico segue il tamponamento del rene. - Il rene in questo caso compensa favorendo un minore riassorbimento di HCO3

- (al numeratore HCO3- scende ulteriormente rispetto PCO2) e riducendo allo stesso tempo la produzione e l'escrezione di NH4+ e aumentata formazione di HCO3- , se il processo si cronicizza. Con la compensazione renale completa per ogni riduzione di 10mmHg della pCO2 si verifica un calo di 5mEq/L della HCO3

- del LEC.

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Quali sono i criteri da tener presente nella individuazione dei disturbi acido-base, in modo da intervenire efficacemente contro di essi?Se il PH = 7,35 abbiamo poi una concentrazione di HCO3

- a 16mEq/L e una pCO2 = 30mmHg.

Per analizzare uno squilibrio acido base rappresentato dai valori sopra riportati su può procedere in 3 fasi successive:

i) analisi del PH. Esaminando il PH l'alterazione può essere classificata come acidosi oppure come alcalosi. Si noti che le difese dell'organismo non possono da sole correggere l'alterazione acido-basica. Pertanto anche se queste difese sono in atto il valore del PH indica ancora la natura dell'alterazione iniziale che nel nostro caso, con un PH di 7,35 è un'acidosi, mentre con un PH di 7,45 vi è una alcalosi.

ii) Determinazione della natura dell'alterazione: metabolica o respiratoria. Le alterazioni semplici dell'equilibrio acido base possono essere metaboliche o respiratorie. Per determinare di quale natura sia l'alterazione presa come esempio occorre esaminare la [HCO3

-] e la pCO2. Nei casi di alterazioni metaboliche ad essere alterato è la concentrazione di HCO3

-, nel caso delle alterazioni respiratorie ad essere alterata è la pCO2. Nel caso è una acidosi metabolica.

Alcalosi respiratoria

Alcalosi metabolica

Acidosi respiratoria

Acidosi metabolica

PH >=7,45 >=7,45 <=7,35 <=7,35

pCO2 diminuzione incremento

HCO3- incremento

>24mEq/Ldiminuzione<24mEq/L

iii) Analisi della risposta compensatoria.

compensazione Alcalosi respiratoria

Alcalosi metabolica

Acidosi respiratoria

Acidosi metabolica

HCO3-

H+ (rene)

Aumento escrezioneHCO3

-

x Aumento riassorbimento HCO3

-

x

PCO2

(polmone)x Depressione

ventilatoria → incremento della pCO2

(>40mmHg)

x Incremento ventilazione, → diminuzione pCO2

(<40mmHg)

Una riduzione di 8 mEq/L di HCO3- comporta una diminuzione di 10 mmHg di pCO2.

Questo tipo di analisi sussiste per le alterazioni di natura semplice in cui il tipo di disturbo è o esclusivamente respiratorio o esclusivamente metabolica. Vi sono tuttavia dei disturbi acido-base misti in cui sussiste sia una componente metabolica sia una componente ventilatoria. Vi possono essere ad esempio pazienti che presentano PH =7, [HCO3-] = 12mEq/L (valore che può ad esempio essere causato da una grave diarrea, attraverso cui si eliminano una considerevole quantità di HCO3

-) e una pCO2 dell'ordine di 55 mmHg (questo valore così alterato invece è compatibile con un enfisema). E' inoltre possibile che un paziente mostri PH normale e tuttavia osservare che HCO3- è fortemente ridotto ma anche la pCO2, cosìcché il rapporto [HCO3-]/[pCO2] resta costante e dunque il PH calcolato con l'equazione di Anderson Hasselbalch resta inalterato. Tale evenienza è compatibile ad

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esempio a seguito di una intossicazione da salicilati o anche con altre sostanze acide. I salicilati vengono tamponati dal sistema acido carbonico-bicarbonato ma il salicilato stimola i centri respiratori provocando una iperventilazione e un allontanamento di CO2 equivalente al tenore del tamponamento di HCO3

-.