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3 Gustave Flaubert ed Emma Bovary: la nozione di bovarismo in Jules de Gaultier Alice Gonzi Origini autobiografiche del bovarismo: scrupolo morale e problema comunicativo La nozione di bovarismo, cuore della filosofia di Gaultier, percorre, quale filo conduttore, tutta la sua produzione, dalle opere a carattere più specificatamente letterario, sino a quelle filosofiche e morali. Alla fonte di questa idea filosofica si riscontrano due motivi fondamentali: il primo è strettamente autobiografico e precedente qualsiasi nozione intellettuale dell’autore; l’altro, anche se cronologicamente anteriore, ha le caratteristiche di una riflessione estetica in cui l’autore prescinde dal proprio vissuto psicologico e tenta di tradurlo nei termini di una critica letterario-artistica. L’introduzione di Le génie de Flaubert (1913) 1 rende innanzitutto conto dei motivi profondi e, per così dire, personali all’origine del bovarismo. Essa si apre con la precisazione, necessaria, secondo Gaultier, per salvaguardare il carattere espressamente artistico della visione flaubertiana, che il bovarismo non gli è stato suggerito dalla lettura del romanzo di Flaubert. Infatti, il bovarismo che si esprime nei personaggi del romanziere è un caso particolare del termine generico, sebbene sia, qui, talmente tipico e manifestato con tale rilievo da assurgere, senza esitazione da parte del filosofo, a segno rivelatore, confermante, con immagini concrete, gli sviluppi speculativi che egli ritrae. Gaultier afferma che l’idea del bovarismo è apparsa come una metamorfosi interiore avvenuta durante l’infanzia; essa si presenta come assolutamente spontanea, al limite dell’irrazionale non essendo figlia di alcun travaglio dialettico, al di là di qualsiasi meditazione su nozioni filosofiche acquisite. Egli non è in grado di fissarne l’epoca precisa né può legarla ad alcun avvenimento della sua vita esteriore, nondimeno, la ritrova in una posizione preminente nei suoi ricordi più vecchi. In origine, questo profondo mutamento appare confuso con uno stato di pura e semplice sensibilità per assumere, quasi immediatamente, i tratti di un problema angosciante, la cui soluzione si dimostrava impellente per le sue implicazioni espressamente pratiche. La sensazione nasceva, infatti, da un pensiero di natura morale; aveva l’aspetto di uno scrupolo, quello di celare eventuali virtù possedute dall’autore. Il significato di questo nascondere spiega l’essenza della sensazione stessa: la virtù, una volta conosciuta, manifestatasi all’esterno, sarebbe svanita, si sarebbe sminuita e, soprattutto, non avrebbe potuto essere allo stesso tempo nello spirito degli altri e negli atti di Gaultier. Questi ha l’impressione che ogni esteriorizzazione della propria attività interiore sia colpita da una sorta di esibizionismo che tende a sottrarre energie all’attività medesima. Lo scrupolo verso la manifestazione esterna si aggrava, in breve tempo, tanto da provocare una specie di corto-circuito. Gaultier teme che il solo fatto di conoscere egli stesso la propria azione e di darle un giudizio o, anche, solo, di riflettervi, diminuisca l’azione stessa in forza e in pienezza; preoccupazione che, del resto, viene seguita da una sensazione già vicina ad una visione intellettuale, definibile come un’impotenza causata da un ostacolo insormontabile perché essenziale alla natura delle cose. L’autore cercava, allora, di sminuire, fino all’annientamento, la coscienza del suo agire in modo da dirigere verso la realizzazione di questo tutta l’energia disponibile. Il sentimento di impotenza doveva nascere, però, proprio dal rendersi conto che, allo stesso tempo, l’azione cessava di realizzarsi e, anzi, il tentativo di perfezionarla si concludeva con la sua soppressione. Gaultier paragona la sua vita, all’epoca, a quella del mistico che per raggiungere lo stato di beatitudine si applica ad annullare in sé tutte le sensazioni e tutta la coscienza. A differenza del mistico che arriva 1 J. de Gaultier, Le génie de Flaubert, Paris, Mercure de France, 1913. In questa opera viene, peraltro, riprodotta una brochure: Le bovarysme. La psychologie dans l’oeuvre de Flaubert, Paris, L. Cerf, 1892 (alle pagine 184-287). Essa era apparsa, inoltre, nella «Revue de la France moderne» (aprile-agosto 1902), e nella «Revue des Idées» (luglio-settembre 1908). Gaultier afferma, nell’Avertissement alla riproduzione della brochure in Le génie de Flaubert, che l’idea definitiva del bovarismo è già quella del 1892, mentre Le bovarysme stesso ne sarebbe una precisazione più formale che sostanziale.

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Gustave Flaubert ed Emma Bovary: la nozione di bovarismo in Jules de Gaultier

Alice Gonzi Origini autobiografiche del bovarismo: scrupolo morale e problema comunicativo La nozione di bovarismo, cuore della filosofia di Gaultier, percorre, quale filo conduttore, tutta la sua produzione, dalle opere a carattere più specificatamente letterario, sino a quelle filosofiche e morali. Alla fonte di questa idea filosofica si riscontrano due motivi fondamentali: il primo è strettamente autobiografico e precedente qualsiasi nozione intellettuale dell’autore; l’altro, anche se cronologicamente anteriore, ha le caratteristiche di una riflessione estetica in cui l’autore prescinde dal proprio vissuto psicologico e tenta di tradurlo nei termini di una critica letterario-artistica. L’introduzione di Le génie de Flaubert (1913)1 rende innanzitutto conto dei motivi profondi e, per così dire, personali all’origine del bovarismo. Essa si apre con la precisazione, necessaria, secondo Gaultier, per salvaguardare il carattere espressamente artistico della visione flaubertiana, che il bovarismo non gli è stato suggerito dalla lettura del romanzo di Flaubert. Infatti, il bovarismo che si esprime nei personaggi del romanziere è un caso particolare del termine generico, sebbene sia, qui, talmente tipico e manifestato con tale rilievo da assurgere, senza esitazione da parte del filosofo, a segno rivelatore, confermante, con immagini concrete, gli sviluppi speculativi che egli ritrae. Gaultier afferma che l’idea del bovarismo è apparsa come una metamorfosi interiore avvenuta durante l’infanzia; essa si presenta come assolutamente spontanea, al limite dell’irrazionale non essendo figlia di alcun travaglio dialettico, al di là di qualsiasi meditazione su nozioni filosofiche acquisite. Egli non è in grado di fissarne l’epoca precisa né può legarla ad alcun avvenimento della sua vita esteriore, nondimeno, la ritrova in una posizione preminente nei suoi ricordi più vecchi. In origine, questo profondo mutamento appare confuso con uno stato di pura e semplice sensibilità per assumere, quasi immediatamente, i tratti di un problema angosciante, la cui soluzione si dimostrava impellente per le sue implicazioni espressamente pratiche. La sensazione nasceva, infatti, da un pensiero di natura morale; aveva l’aspetto di uno scrupolo, quello di celare eventuali virtù possedute dall’autore. Il significato di questo nascondere spiega l’essenza della sensazione stessa: la virtù, una volta conosciuta, manifestatasi all’esterno, sarebbe svanita, si sarebbe sminuita e, soprattutto, non avrebbe potuto essere allo stesso tempo nello spirito degli altri e negli atti di Gaultier. Questi ha l’impressione che ogni esteriorizzazione della propria attività interiore sia colpita da una sorta di esibizionismo che tende a sottrarre energie all’attività medesima. Lo scrupolo verso la manifestazione esterna si aggrava, in breve tempo, tanto da provocare una specie di corto-circuito. Gaultier teme che il solo fatto di conoscere egli stesso la propria azione e di darle un giudizio o, anche, solo, di riflettervi, diminuisca l’azione stessa in forza e in pienezza; preoccupazione che, del resto, viene seguita da una sensazione già vicina ad una visione intellettuale, definibile come un’impotenza causata da un ostacolo insormontabile perché essenziale alla natura delle cose. L’autore cercava, allora, di sminuire, fino all’annientamento, la coscienza del suo agire in modo da dirigere verso la realizzazione di questo tutta l’energia disponibile. Il sentimento di impotenza doveva nascere, però, proprio dal rendersi conto che, allo stesso tempo, l’azione cessava di realizzarsi e, anzi, il tentativo di perfezionarla si concludeva con la sua soppressione. Gaultier paragona la sua vita, all’epoca, a quella del mistico che per raggiungere lo stato di beatitudine si applica ad annullare in sé tutte le sensazioni e tutta la coscienza. A differenza del mistico che arriva

1 J. de Gaultier, Le génie de Flaubert, Paris, Mercure de France, 1913. In questa opera viene, peraltro, riprodotta una brochure: Le bovarysme. La psychologie dans l’oeuvre de Flaubert, Paris, L. Cerf, 1892 (alle pagine 184-287). Essa era apparsa, inoltre, nella «Revue de la France moderne» (aprile-agosto 1902), e nella «Revue des Idées» (luglio-settembre 1908). Gaultier afferma, nell’Avertissement alla riproduzione della brochure in Le génie de Flaubert, che l’idea definitiva del bovarismo è già quella del 1892, mentre Le bovarysme stesso ne sarebbe una precisazione più formale che sostanziale.

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a trovare la propria felicità nella completa perdita di coscienza, tuttavia, il filosofo, nel corso di questa esperienza ossessiva, si persuade dell’impossibilità di realizzare l’azione indipendentemente da uno stato di conoscenza il quale, inevitabilmente, devia e sminuisce l’energia devoluta all’agire. Questa è, in sostanza, la causa dell’imperfezione, condizione e legge dell’esistenza. In altri termini, il bovarismo si presenta, originariamente, come un problema di comunicazione: un vissuto morale nell’atto stesso in cui viene partecipato agli altri (o, anche solo a se stessi) svanisce o, per lo meno, si depotenzia. Esso si trasforma repentinamente in un problema di conoscenza, la quale (intesa come comunicazione a se stessi) tende anch’essa a neutralizzare quel vissuto; nonostante ciò, l’agire mantiene uno spessore, un rilievo, solamente e proprio in ragione di quell’auto-coscienza che, pure, lo indebolisce. E’ solo quando tale originario stato di sensibilità si è, ormai, completamente trasformato in un chiaro stato di conoscenza che l’autore decide di divulgarlo pubblicamente, cercando, nel contempo, di cautelarsi da qualsiasi possibilità di fraintendimento, primo fra tutti quello lessicale. A tale scopo, egli fa proprio il termine di bovarismo non essendo questo confondibile, perché peculiare, con termini filosofici, forse, più tecnici ma, ormai, usurati dai numerosi adattamenti alle esigenze ed alle accezioni più diverse. La filosofia del bovarismo si configura, da subito, agli antipodi delle «filosofie tradizionali». Il tratto, la tendenza, che le accomuna in questa definizione è lo sforzo di raggiungere o, per lo meno, di immaginare uno stato in cui l’esistenza fenomenica, riassorbendosi nell’uno, si riappropri di se stessa in una conoscenza assoluta di sé. Gaultier, criticando questo tentativo, cerca di dimostrare che l’esistenza e la conoscenza, essendo i due termini di un’unica e medesima realtà, sono dati esclusivamente nella relazione di una parte del reale con un’altra parte del reale e che ogni sforzo tendente ad uscire da questa relazione si risolve in una soppressione delle condizioni della realtà.2 Questa concezione, riassunta nel bovarismo, descrive la necessità psicologica per cui ogni attività che prenda coscienza del proprio agire deforma l’azione stessa attraverso il gesto di conoscenza con il quale se ne impadronisce.3 Si tratta, quindi, del fondamentale dinamismo psicologico per cui la coscienza/conoscenza di un atto modifica, irreparabilmente, l’atto in questione. Gli elementi fondamentali implicati dal bovarismo sono la constatazione che, sebbene ci sia propria, la conoscenza ha un solo modo di darci la realtà, ossia in una relazione fenomenica illimitata e mai compiuta. Il fatto che l’esistenza, quale ci appare secondo le leggi del nostro spirito, è condizionata dall’assoluta impossibilità di una conoscenza adeguata e completa; il fatto che questa inattuabilità sia garante del perpetuo movimento vitale e della infinita genesi del reale. La constatazione, infine, che questa «mancanza di coincidenza tra l’essere ed il conoscere»4 sia il sottile, ma insormontabile, abisso che separa du néant. Sono queste considerazioni a spingere Gaultier a ritenere la propria filosofia peculiare rispetto a quelle tradizionali: ispirate dal culto dell’armonia assoluta, esse sarebbero, infatti, la manifestazione del pessimismo più radicale, della ricerca più chimerica: sterile gioco di sofismi. A questa «nozione morta» di armonia, e a tutto il culto della verità che vi è implicato, egli oppone la «vivente nozione» della realtà, riconoscendo nell’«inadeguatezza metafisica» (l’impossibilità costitutiva di far coincidere l’essere e la conoscenza che, pure, sono elementi essenziali dell’esistenza) la vera radice di questa. Le necessarie conseguenze di tale inadéquat sono, secondo l’autore, le uniche fessure attraverso cui filtra, sulla mobilità della realtà, un sole rischiarante ed hanno essenzialmente tre aspetti: quello, originario e basilare, del bovarismo, e quelli, più tardi e specifici di Le génie de Flaubert, dell’«errore» e dell’à peu près. Genesi intellettuale ed elementi caratteristici della teoria del bovarismo

2 Ivi, p. 10–11. 3 Ivi, p. 6. 4 Ivi, p. 12.

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Con la maturazione intellettuale dell’idea del bovarismo, Gaultier scopre nell’opera di Flaubert le stesse sue prospettive, applicate al campo della psicologia concreta. L’Avertissement, che fa da introduzione alla brochure, precisa un particolare strettamente tecnico. Le analisi sul bovarismo dei personaggi flaubertiani sono, qui, più dettagliate rispetto a quelle presenti nelle opere successive, specie in Le Bovarysme,5 perché, in lavori posteriori, Gaultier ha preferito riservare maggiore spazio ai tratti della nozione filosofica che andava delineando. L’interesse dell’Avertissement sta nella descrizione di un importante cambiamento avvenuto tra lo scritto del 1892 e Le génie de Flaubert. Entrambi derivano da un medesimo progetto: sostituire, ad analisi del mondo e del reale tradizionali, condotte secondo prospettive reputate assolute, un esame che, al contrario, fosse improntato secondo le prospettive della relatività universale. Le differenze sono riassumibili in alcune sfumature, in un qualche pessimismo presente nella prima ed in una serenità predominante nella più tarda. E, per l’autore, questo cambiamento di prospettive può contenere un insegnamento, un incoraggiamento a vedere, a sentire l’à peu près del mondo della relazione ed il movimento incessante da questo generato come qualcosa di positivo, fonte di una vitale e continua curiosità, a fronte del mortale assoluto dell’antica filosofia, capace solamente di indicare al pensiero una completa abdicazione. Lo scopo fondamentale sta, dunque, in una sorta di rivendicazione di una instancabile vivacità intellettuale mai sazia, sempre rinnovata, moto indispensabile per la vita umana. Gaultier trova, nondimeno, autorevoli conferme in studi su Flaubert quasi coevi alla brochure, come quello di Emile Montégut6 da cui prende le mosse. Secondo Montégut, l’apparizione di Mme Bovary è stata, per i falsi ideali, resi di moda dalla scuola romantica, ciò che Don Quichotte è stato per la mania cavalleresca, ormai logora, in Spagna. Montégut afferma che, allo stesso modo in cui Cervantes avrebbe dato il colpo di grazia alla mania cavalleresca con le stesse armi della cavalleria, così, Flaubert avrebbe distrutto i fittizi valori del Romanticismo attraverso i suoi stessi procedimenti; avrebbe, ancora, dimostrato i vizi e gli errori dell’immaginazione con le risorse di questa stessa. Gaultier, sebbene in accordo con questa asserzione, non si ferma a considerare in Mme Bovary solo la caricatura del Romanticismo. Egli generalizza il discorso rifacendosi a P. Bourget,7 secondo il quale, Flaubert, attraverso la propria eroina, mette a nudo un principio indistruttibile e foncier dell’animo umano, principio malsano e funesto che non è stato debellato neanche dalla signora di Yonville: le mal de la Pensée. Questa malattia, le cui cause profonde persistono ancorché siano state descritte e analizzate, si manifesta come un pensiero che precede l’esperienza invece di assoggettarvisi, come il male di aver conosciuto l’immagine della realtà prima della realtà. La grandezza di Flaubert consiste, dunque, nell’aver rivelato, attraverso i suoi personaggi, questo caso morboso, distinguendo all’origine dell’attività umana un doppio principio di determinazione. L’uno si manifesta con le tendenze, le caratteristiche reali, per così dire, fisiologiche dell’individuo, la sua intima sensibilità. L’altro si manifesta con tutte le idee suggeritegli dalla speciale educazione ricevuta, dalla facoltà di immaginare e da tutte le cause produttrici di immagini di cui ha subito l’influenza. Uno stato di perfetta salute morale si dà quando questi due principi si equilibrano, si completano a vicenda, quando la facoltà di immaginare, di approvare attraverso l’educazione, nozioni non direttamente esperite, ma legate allo sforzo di precedenti generazioni, soccorre i dati di osservazione diretta e li sviluppa. Questa facoltà rende possibile la civilizzazione che Gaultier definisce come il privilegio dell’uomo di trasmettere le conoscenze scientifiche e morali acquisite da ciascun individuo della specie ai

5 J. de Gaultier, Le bovarysme, Paris, Mercure de France, 1902, p. 14 (trad. it., Milano, S.E., 1992; nel corso di questo lavoro si farà riferimento a questa traduzione); Id., Le bovarysme. Suivi d’un étude de Per Buvik: Le Principe bovaryque, Paris, PUPS, 2006. 6 J. de Gaultier, La psychologie dans l’œuvre de Flaubert, cit., pp. 199-200. Gaultier non dà il titolo del saggio, limitandosi a precisare che è stato pubblicato dalla «Revue des deux mondes» (1876). 7 Ivi, pp. 200-201. P. Bourget, Essais de psychologie contemporaine, (1883), edizione stabilita da A. Guyaux, Paris, Gallimard, 1993, pp. 148-149.

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propri discendenti, con un indubbio giovamento da parte di questi ultimi. L’autore sintetizza, quindi, le fasi di questa civilizzazione: dalla incompletezza delle cognizioni specifiche delle epoche primitive, antiche, in cui le idee morali e le nozioni sono ancora così vicine all’istinto da rendere necessario, per ogni nuova generazione, un continuo lavoro di astrazione, fino all’ampiezza della conoscenza umana propria del XX secolo europeo. E’ in questa ampiezza (a causa di questa ampiezza) che, tuttavia, si nasconde il pericolo che errori e idee false si infiltrino, attraverso l’educazione, nell’intelligenza umana. Il singolo, infatti, non può più verificare, attraverso la propria esperienza, il gran numero di questioni poste e risolte di cui dispone. Il compito dell’intelligenza si riduce ad accettare come valide soluzioni di cui non può neanche controllare i procedimenti utilizzati per ottenerle; può, dunque, solo constatare e prendere atto dei risultati che vengono forniti. Il bovarismo si configura, così, come una malattia il cui germe è, sì, insito nel fenomeno umano generale, ma che si esplica in modo specifico nelle società fornite di più alto bagaglio culturale e civile: sembra, quasi, il tarlo nascosto delle società più avanzate o, comunque, ne è il contrassegno caratterizzante. Non è, infatti, una malattia passeggera, è, piuttosto, profondamente inerente al fatto stesso della civiltà. E’ sintomatica la precisazione che, anche nel caso di un’educazione perfetta, scevra da errori o da false idee, il solo fatto di conoscere esistenze anteriori alla propria renda problematico per l’uomo moderno vivere il presente. Queste immagini della storia, potrebbero essere modelli in grado di dirigere, in modo salutare, il soggetto agente; purtroppo, però, si trasformano, troppo sovente, in un ossessivo mirage «che deflora le realtà»8 antistanti e che è capace di depauperare il reale con cui l’uomo entra in contatto mediante l’esperienza. L’uomo si trova, così, ad avere su tutto un’idea preconcetta, sa cosa deve provare in presenza di un qualsiasi fatto e se l’emozione non arriva egli la immagina. La malattia dell’uomo moderno è causata, principalmente, da un temperamento fiacco, debole che toglie ad intelligenza e sensibilità ogni capacità di reazione personale, rendendolo incapace di resistere all’invasione di queste anime estranee che sommergono l’anima individuale invece di esserne dominate. Gaultier tende a rintracciare la responsabilità di ciò nella cultura romantica, generata a sua volta dalle guerre della Rivoluzione e dell’Impero. Riprendendo Bourget, afferma che tali guerre, il gusto per l’esotismo che hanno sviluppato negli spiriti, e l’infinito bisogno di sensazioni intense generato nei cuori hanno creato l’ideale e la letteratura romantici. L’autore ipotizza, inoltre, l’esistenza di una legge generale dello spirito umano secondo cui a periodi di guerre e di azione forsennati succedono notevoli periodi letterari. Secondo Gaultier, il problema della genesi del Romanticismo riguarda l’esaltazione, sino all’esasperazione, che la violenza degli avvenimenti storici (le guerre della Rivoluzione, prima, e dell’Impero, poi) ha causato nell’energia umana. Una volta conclusi questi, l’energia si è trovata senza nessuna possibilità di potersi consumare, di potersi riversare in una qualche forma bruta. La veemenza di cui tale energia è, così, dotata tende a trasferirsi, a tradursi in pensieri e forme artistiche, rendendo possibili «le orge dell’immaginazione romantica».9 Gaultier ravvisa in questo procedimento la patologia del secolo, il cui tratto caratterizzante è «una sproporzione tra la violenza dei desideri e la banalità delle realtà».10 La letteratura non fa altro che esaltare questa malattia, creando esseri esclusivamente passionali, superiori a tutti gli esseri comuni, per nobiltà, per forza, per orgoglio. Saranno queste creature sublimi a gettare nei cuori quei germi di passione che influenzeranno a tal punto gli individui da precipitarli fuori dal reale. La valutazione del Romanticismo di Gaultier sembra oscillare tra una visione negativa, un principio di suggestione, di fascinazione e, dunque, di imitazione fine a se stessa, ed una prospettiva che, invece, non conduce alla in blocco della produzione artistica del Romanticismo. Le critiche espresse sono di un altro tenore. Innanzitutto, c’è da notare la peculiarità degli autori di genio che rendono questa epoca «un periodo eroico dell’arte», coloro, cioè, che, agiscono sotto il giogo della particolare ispirazione che ha suscitato, in loro, quella visione originale che sono costretti ad 8 J. de Gaultier, La psychologie dans l’œuvre de Flaubert, cit., p. 205. 9 Ivi, p. 208. 10 Ivi, p. 209.

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applicare continuamente. Essi non imitano, bensì, esibiscono, nelle proprie opere, quel marcato carattere di uniformità indicato loro dalla sola idea guida che, quasi, li ossessiona. Gli uomini di second’ordine, invece, imitando numerosi modelli, perdono questo segno di uniformità:11 vale a dire, non sono in grado di seguire quell’unica, tipica, ispirazione che, al contrario, l’uomo di genio persegue di continuo e con abnegazione. Gaultier tiene, però, a sottolineare che questi tratti del Romanticismo non consentono (e non devono indurre ad) una valutazione di ordine morale. Poiché esso è un fenomeno prettamente artistico, non è incriminabile se esseri deboli vengono sedotti, senza essere, d’altra parte, dotati del necessario potere realizzativo, dalla grandezza delle sue migliori manifestazioni. L’età romantica è, semplicemente, un movimento artistico valido in quanto ha annoverato, al suo interno, numerosi, importanti intelletti. Diventa, altresì, un principio di suggestione a causa della concomitanza di due fattori: da una parte, il generale impoverimento storico delle capacità artistiche e, dall’altra, la personale debolezza di taluni individui. Flaubert, dunque, illustra, nei propri personaggi, il cedimento di forza vitale causato dagli eccessi della Rivoluzione e delle guerre dell’Impero; si tratta di uomini e donne debilitati che hanno ricevuto in eredità caratteri ormai consunti, logori. Questi esseri impoveriti e squilibrati guardano con occhi allucinati verso il crepuscolo fantastico che li sovrasta ed in cui si muovono, circonfusi da una luce aurorale, gli antichi fantasmi, veri e propri modelli da imitare, figure divinizzate della natura e della letteratura romantica. Il romanziere scompone la realtà psichica e ne mette a nudo il vizio intimo essenziale: tutta questa mensonge di un essere che non è in armonia con se stesso.12 Causata da una défaillance originaria, caratteriale o intellettuale, questa menzogna rompe, sempre, il normale rapporto che intercorre tra le facoltà umane istintive e quelle, acquisite, di educazione che predominano nei personaggi di Flaubert rendendoli esseri inconsistenti, trop légers, vittime indifese, non avendo alcun peso personale che li trattenga, del vortice di immagini che li sradica dalla vita reale. La causa essenziale, reale, di questo sdoppiamento è un atto elementare, la cui presenza è talmente frequente da giustificare l’esistenza della facoltà umana de se concevoir autrement qu’il n’est.13 E’, in ragione di questo atto, che gli uomini non sono semplici ma duplici, costretti ad aggiungere al proprio io verosimile un io immaginario, a concepirsi non così come sono ma come vorrebbero essere. Si muovono, provano emozioni, hanno gusti e opinioni solo perché vedono altri agire e suggerire loro come vivere; cercano anime da prendere in prestito, fanno ricorso a tutti gli stereotipi e i luoghi comuni sociali a loro disposizione. Les voici condamnés à l’imitation14 da questa potenza elementare, tipicamente umana, tanto da apparire sin dall’età più tenera, nei giochi infantili, quasi nascesse con l’intelligenza stessa. Tanto legata all’intelligenza da sembrare l’ironica contro-parte dell’egoismo primordiale dell’io. Il continuo lavorio per mezzo del quale l’io tende a possedersi, a soddisfarsi completamente, si risolve nello smarrimento per cui il moi spreca le proprie energie seguendo passioni e desideri che sono e non sono i suoi medesimi. Lo sono perché esso stesso ha immaginato il travestimento da cui è stato sviato; non gli sono propri in quanto deviano e sviliscono energie altrimenti indirizzabili verso progetti e vocazioni realmente propri. Questa facoltà, inoltre, si combina con gli elementi più diversi per forza e natura. Le varie proporzioni di questo rapporto creano la comicità se il personaggio è debole, se è labile il confine tra essere reale ed essere immaginario, se, infine, questo conflitto avviene in impulsi secondari; oppure, creano il dramma se l’associazione avviene tra la facoltà bovaristica e tendenze reali molto forti. In questo caso, infatti, l’abisso che separa l’io effettivo e l’io desiderato si approfondisce nella misura in cui cresce il carattere individuale; questo violento conflitto vertendo su impulsi essenziali determina conseguenze funeste fino alla tragedia. Si tratta, in ogni caso, di una menzogna che costringe l’individuo non solo a concepirsi diverso da quello che è, ma, anche, inevitabilmente, a falsificare le proprie idee, i propri moventi e, quindi, la totalità del mondo esterno creando l’atmosfera fittizia in cui solamente può ‘vivere’ la sua propria

11 J. de Gaultier, Il bovarismo, cit., p. 17. 12 Id., Brochure, cit., p. 212. 13 Ivi, p. 215. 14 Ivi, p. 218.

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menzogna. Questa menzogna va, dunque, diffondendosi, ammorbando tutto ciò che la circonda, usando gli uomini per presentarsi in tutte le sue forme possibili, rendendo vano qualsiasi sforzo genuinamente vitale. Infatti, la faccia di questo male, metafisico e primordiale, messa a nudo da Flaubert è l’impossibilità di raggiungere un qualsiasi scopo o di realizzare un qualsiasi destino cui, pure, non si può fare a meno di aspirare. E’, infine, un «maleficio gettato sulla specie intera»15 che spande ovunque e fatalmente i propri miraggi, universali conseguenze di questo principio trascendente, ammaliatori e sradicatori del sé dal sé. I contorni del bovarismo vengono ripresi nell’opera omonima, il cui pregio peculiare consiste nel renderne le caratteristiche chiare e puntuali, nello specificarne più rigorosamente portata e importanza: è un’opera che raccoglie le fila del discorso, riassumendolo con notevoli approfondimenti e ampliando ulteriormente la sfera di analisi. Il metodo investigativo di Gaultier parte dalla premessa secondo cui i procedimenti conoscitivi sono i medesimi, sia se applicati alle «cose dello spirito», sia se adottati in campo fisiologico; l’autore si rifà a questo ambito poiché qui il particolare stato, capace di rivelare il meccanismo normale delle funzioni, sarebbe la malattia, l’alterazione. Generalmente, Gaultier inizia le sue analisi sul bovarismo dai casi morbosi descritti da Flaubert, per poi scoprire, al di sotto di questi, la normale fisiologia del meccanismo bovaristico, fino a fare di questa tara una legge essenziale della specie umana, riconoscendole, addirittura, utilità e necessità, ponendola come causa e mezzo imprescindibile dell’evoluzione umana.16 Questo tipo di analisi descrive, dunque, prima di tutto, gli elementi patologici, i sintomi della malattia da cui sono affetti i personaggi flaubertiani. Al fondo di questa malattia stanno la debolezza della personalità e, per quanto diversi possano essere i caratteri descritti, un principio di suggestione che li costringe, come ipnotizzati, ad immaginarsi differenti da quello che sono. Secondo Gaultier la debolezza della personalità, fatto iniziale e determinante, è sempre unita all’impotenza. Da una parte, la faiblesse spinge questi personaggi a scegliersi, ad immaginare un carattere diverso; dall’altra, invece, l’impuissance impedisce loro anche solo di sperare di poter uguagliare il proprio modello. In questa dinamica interviene un ulteriore elemento di misconoscimento: l’amour-propre, che vela loro lo sguardo, acceca il loro giudizio circa l’impotenza e circa l’impossibilità di diventare il modello. E’ per questo che si identificano con il modello sostituto della loro persona e cercano di rendere questa identificazione il più reale possibile, dando il via ad una imitazione senza tregua, ad una parodia incessante: imitano tutto ciò che è possibile del personaggio che hanno deciso di incarnare.17 Inoltre, arrivano a misconoscere le proprie tendenze, impiegano le proprie energie non verso mete accessibili, perché appartenenti alla loro intimità, ma verso quelle del modello andando incontro all’unico risultato possibile: il fallimento. Tuttavia, l’impotenza sembrerebbe l’unico legame con la realtà, non la causa concatenata alla debolezza della personalità; in effetti, sembra l’unico stato in grado di frenare la parodia. Se ciò che spinge l’individuo a rivolgersi ad un modello è una tendenziale debolezza, d’altra parte, solo il sentimento di impotenza, di incapacità, verso una compiuta imitazione dell’ideale potrebbe, in qualche modo, risvegliare l’uomo dalla suggestione che lo tiene. L’impotenza, che potrebbe dimostrarsi positiva per riportare l’uomo alla propria personale dimensione, risulta, però, stretta nella morsa della debolezza e dell’amor-proprio. Il fallimento del progetto di imitazione avviene per un errore fondamentale sulla natura dei propri scopi e sulla orgogliosa cecità riguardo questo errore. Se quelle mete fossero quelle di cui ognuno è naturalmente fornito, le energie sarebbero sufficienti a raggiungerle, anche se in grado diverso a seconda di attitudini e capacità differenti; infine, senza l’intervento funesto dell’amor-proprio sarebbe, forse, possibile riprendersi in qualche modo il proprio «volto», smascherando quello del modello. Ma colui che è colpito da questa malattia della personalità «è in preda a desideri e repulsioni nei quali la sua sensibilità non prende alcuna parte, tutto ciò che egli era si cancella poco a poco per fare posto a non so quale caricatura grottesca che fa

15 Ivi, p. 224. 16 J. de Gaultier, Il bovarismo, cit., p. 18. 17 Ibidem.

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strane smorfie sulle linee di un volto fatto per altre espressioni».18 Per quanto concerne il principio di suggestione, questo può essere di due tipi. Uno è essenzialmente interno, come in Mme Bovary; si tratta di un entusiasmo, di un’ammirazione, di un interesse, quasi di una necessità vitale, originato dalla conoscenza, intellettuale ed emotiva, anticipata della realtà. L’altro, esterno, deriva dall’ambiente sociale, dalla professione e dà a questi personaggi un’identità, una vita, uno scopo. Simili individui sono privi di originalità, sono nulla di per se stessi; essi, in mancanza di un’autosuggestione venuta dall’intimo, diventano qualcosa solo obbedendo alla suggestione esterna:19 pensano, vestono, agiscono in conformità all’ambiente che li circonda e, prima di essere uomini, sono l’incarnazione mediocre e insulsa del lavoro che svolgono. Riassumendo schematicamente, si può immaginare, con Gaultier, una specie di diagramma bovaristico, in cui la persona umana (A) sia il punto di origine di due linee, dotate entrambe di uno specifico valore psicologico. L’una (B) rappresenterà tutto il contenuto reale e virtuale, la disposizione naturale di un essere umano e l’altra (C) raffigurerà, invece, l’immagine, data dall’esterno tramite educazione, costrizione o altro, di ciò che esso vuole divenire. In caso di normalità, quando cioè l’impulso di C agisce sulla stessa linea di forza di B, le due linee coincidono. Ma in Flaubert questa situazione di equilibrio non si verifica mai; anzi, succede sempre che C, l’impulso più forte, agisca in maniera opposta a B, di modo che le due linee si separino da A, divergendo e formando un angolo più o meno ottuso in proporzione al contrasto dell’energia con se stessa. L’indice bovaristico misura il divario che in ogni individuo separa l’immaginario dal reale, ciò che egli è da quel che crede di essere.20 Il bovarismo nei personaggi di Flaubert Emma Bovary, figura tanto tipica da suggerire a Gaultier il nome adatto a indicare la propria teoria, dotata di notevole temperamento, riesce a creare in sé un essere immaginario, in contraddizione con il suo essere reale. La costruzione di questo fantasma, fornito di desideri e sogni, al cui servizio sta tutta l’energia vitale e nervosa di cui è capace la donna, prende le mosse da un entusiasmo originato dalla conoscenza anticipata della realtà, dal conoscere l’immagine prima ancora della realtà stessa. Ai tentativi di rivolta dei suoi veri istinti, ella reagisce con un ostinato rifiuto di accettarli, anche solo di vederli, arrivando ad una lacerazione completa tra il suo io reale «misconosciuto» e quello che lo ha esautorato, trasformandosi di fatto in un essere ibrido.21 Le basilari caratteristiche di Emma sono, da una parte, il temperamento sano e robusto della contadina, dall’altra, un istintivo impulso a credersi diversa da quel che è, tendenza accentuata e alimentata anche dall’esterno, dall’educazione ricevuta in convento. L’atmosfera mistica del collegio, i sermoni che parlano dell’amante celeste, dell’eterno matrimonio, le letture, più o meno furtive, di opere romantiche suscitano, anche per l’età particolarissima, tendenze ed istinti sopiti nell’anima della giovane, ma pronti a risvegliarsi.22 In effetti, c’è in lei, come in ogni essere umano, un principio di reazione, una personalità individuale (la necessità di creare se stessa) che, ad uguali sollecitazioni esterne (l’educazione, le letture, ecc.), reagisce in modo diverso. Al primo posto nella psicologia di Emma si trova una predisposizione patologica che sceglie, tra le possibilità esterne, quelle più consone al soddisfacimento del bisogno interno.23 Emma ignora il fatto che le emozioni siano spontanee, le percepisce, invece, come effetti di uno sforzo; così, avvertendo l’intensità dei sentimenti dei personaggi, concreti o fittizi, che la circondano quale prova di perfezione morale e nobiltà d’animo, cede al fascino dell’ideale; spinta dall’ammirazione tenta di incarnare le eroine dei

18 Id., Brochure, cit., p. 206. 19 Id., Il bovarismo, cit., p. 26. 20 Ivi, p. 19. 21 J. de Gaultier, Brochure, cit., p. 226. 22 Ivi, p. 228. 23 J. de Gaultier, Il bovarismo, cit., pp. 27-28.

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romanzi. Tutto in lei viene a modellarsi secondo l’essere chimerico che la abita a tal punto che la giovane non riesce più a distinguere il suo vero io da quelli falsi che si è scelti. Il mondo reale, gli oggetti che ne fanno parte le arriveranno filtrati, deformati, da un continuo sforzo immaginativo; solo per mezzo di queste alterazioni, realtà che a Emma sembrano insignificanti possono diventare attraenti. Il suo potere di deformazione deve applicarsi ad ogni fatto, deve riuscire nell’opera di traslazione di ogni oggetto. Mme Bovary sarebbe, perciò, un’idealista: non riuscendo ad accettare la realtà come opera collettiva di tutti gli uomini è costretta, prima di entrare in contatto con qualsiasi cosa, a ricrearla per il proprio consumo, ad un punto tale che nemmeno il suo stesso io sfugge a questa operazione. Non si lascia prendere dal richiamo di un’esperienza di fede cristiana perché troppo in disaccordo con il suo temperamento; l’unico sentimento capace di accecarla completamente, perché in grado di accordarsi con i suoi istinti effettivi, è l’amore che, secondo lei, va provato in tutta la sua violenza.24 Frustrato questo ideale dalla luna di miele e dalla vita coniugale con Charles, Emma decide di non amare e l’essere immaginario che è in lei, piombato ormai nella noia, riesce ad acquistare nuova forze solo grazie al ballo al castello di Vaubeyssard. Nella fastosa atmosfera mondana l’essere chimerico di Emma si risveglia, riprende a recitare il proprio personaggio di gran dama destinato a ben altro che alla vita in provincia, volgare e asfissiante. La vita reale è, a questo punto, completamente compromessa, solo ciò che è lontano, fuori portata, riesce, perché alterabile a piacimento, a procurare emozioni. Le letture, le cartine di Parigi, l’interesse verso tutto ciò che accade nella capitale, la meticolosa preparazione del necessario per scrivere lettere d’amore o di confidenze a nessuno, semplicemente per essere pronta a farlo, tutta questa frenetica attività ha il solo scopo di soddisfare l’essere immaginario: l’organizzazione di uno scrittoio in attesa di un amante per il quale escogitare intrighi e con il quale scambiare tenerezze, fa già credere alla donna di amare. Nella vita concreta questi gesti sono incomprensibili, ma, nel suo mondo immaginario hanno un fine, un compimento, un senso.25 Per convincersi di essere ciò che crede è costretta a compiere atti veri, non solo decorativi; purtroppo, però, i mezzi con cui agisce sulla realtà valgono solo nel mondo della sua immaginazione.26 La tendenza, «isterica», che la domina la spinge a vivere in una eterna menzogna la cui legge necessaria è, appunto, la finzione, l’irreale. Lo sforzo continuo che la induce a ricreare la realtà collettiva porta con sé una prospettiva di insuccesso, non determinata dalla sproporzione tra la realtà ed il sogno individuale, ma figlia dell’odio per la realtà nutrito da Emma. Tale odio essenziale, effetto del suo idealismo, prevede la rovina e la distruzione di qualsiasi elemento che sia riuscito ad emergere da una dimensione di semplice potenzialità, la soppressione di tutto ciò che sia divenuto reale. Il principio frenetico dominante è quello dell’insaziabilità, della rottura di ogni forma di equilibrio, della fuga; l’odio si confonde con la stessa facoltà di credersi diversa, in una confusione tale da rendere impossibile stabilire quale delle due tendenze generi l’altra.27 L’amore di Emma per Léon nasce perché il giovane è in preda al suo identico male, perché le parole che le dice le ricordano la sua falsa concezione dell’amore. Entrambi amano tutto ciò che non conoscono, sospirano all’unisono per tutti i luoghi comuni del sentimento, grazie ai quali, esseri aridi dalle emozioni nulle, si convincono di aver superato le più alte cime dell’ideale, i loro reciproci sentimenti sono artificiali e si esprimono secondo le forme convenute del féuilleton. Tuttavia, questa passione nata dalla finzione, ma in qualche modo incarnata dalla figura di Léon, non può, per quel principio isterico, rimanere nella realtà; deve avere un ostacolo immaginario. Per questo Emma si convince della propria virtù; non ama suo marito, la religione o la morale non hanno presa su di lei, tuttavia decide che il sacrificio di un amore perfetto per un dovere austero sia segno di un nuovo ideale degno di essere perseguito.

24 Id., Brochure, cit., p. 232. 25 Ivi, p. 235. 26 J. de Gaultier, Il bovarismo, cit., p. 23. 27 Ivi, p. 29.

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La dualità tragica28 della donna genera una lotta costante tra l’essere fittizio ed il temperamento originale; in personaggi dal carattere meno accentuato la finzione è opposta alla finzione, oppure, ha facilmente ragione dell’essere reale. In Emma, al contrario, questi due stati sono di pari forza e, se con Léon, è stata diretta dall’essere chimerico, con Rodolphe il personaggio reale comanderà i suoi atti. Uomo esperto in fatto di donne, egli classifica Emma nelle due o tre categorie in cui ha suddiviso il sesso femminile e ne capisce il desiderio, in questo caso, fisico e la voluttà. Egli comprende, del resto, che per sedurla dovrà recitare il ruolo dell’amante ideale che la donna gli ha destinato, dovrà attenersi ad una rigorosa fraseologia romanzesca tutta tenerezza e sospiri. In questo modo, sembra che i due termini della natura di Mme Bovary riescano a conciliarsi: da una parte, ella riesce a soddisfare la passione; dall’altra, l’essere chimerico, che dissimula questa passione, può credere di aver infine trovato in Rodolphe l’eroe ideale, l’amore perfetto. Egli, del resto, profondamente conscio della propria recita, sa distinguere con precisione la realtà, ossia il possesso fisico, dalla finzione, ossia la parte del personaggio romantico che continua a recitare per abitudine. Si rende conto con esattezza che questa rappresentazione non può durare davanti al progetto di rapimento: questo atto segna il limite invalicabile, al di là del quale, c’è la realtà con le sue conseguenze. La conciliazione delle due tendenze di Emma si dimostra, così, solo apparente, perché l’accordo temporaneo si basa sulla doppia menzogna costitutiva di questo rapporto: l’una, ingenua (il sogno della donna di un amore romantico), l’altra, calcolata (la recita di Rodolphe), non possono che urtarsi. La rottura di quello che lei considerava un amore assoluto, la getta in uno stato di infelicità tale da frantumare l’essere chimerico che ella si era creata. La violenta crisi mette in moto uno spirito critico che le rivela la falsità dei suoi sogni, così come la pusillanimità delle sue passioni (impetuose solo perché esaltate da una discutibile ricezione di creazioni artistiche). Malgrado ciò, ha bisogno di provare le emozioni che la realtà non riesce ad offrirle, perciò, questa volta in modo cosciente, tenta di riannodare alla meglio la trama della sua illusione. Il riavvicinamento a Léon non è altro che questo tentativo, conscio; è lo sforzo di applicare al suo volto la maschera dell’amore ideale, sapendo, stavolta, che l’essere a cui si rivolge è un fantasma ed avendo compreso di non essere, come, invece, aveva sognato, l’ispiratrice di sconvolgenti passioni. La caratteristica di Emma è, qui, l’impotenza consapevole, una volta svanita l’illusione di un amore assoluto, di creare quella finzione necessaria a fecondare,29 ad alimentare e sviluppare l’illusione, l’impotenza di suscitare un qualunque sentimento, l’impotenza, persino, di provocare la morte. L’estremo gesto della donna, il suicidio, non fa che manifestare tale incapacità: la morte non arriva improvvisamente, ma si rivela un atto della sua volontà, una decisione ragionata, meditata, voluta. In Le bovarysme, questa morte viene vista come uno scotto della mancanza di spirito critico, come una sorta di punizione della presunzione idealistica che spinge la donna al tentativo di piegare la realtà alle capricciose leggi della fantasia.30 Inoltre, la ridestata capacità critica, nella vicenda con Léon, non sarebbe affatto un sintomo di guarigione, piuttosto il segnale che il principio vitale sta per abbandonarla, il segnale della definitiva perdita di quella capacità di usare il sogno, frapposto tra la realtà e la sua peculiare visione, come una sorta di schermo protettivo.31 Secondo Gaultier, non solo il suicidio di Emma, ma il dolore o il ridicolo di tutti i personaggi preda di questa falsa concezione di sé, sono vendette della vita nei confronti della menzogna, sono espiazioni che la realtà pretende da tutte le vittime, più o meno incoscienti, del proprio essere chimerico.32 La scelta di Education sentimentale, al posto di Fruits secs, manifesta una sorta di nemesi per cui la vita genuina33 si vendica: i vari personaggi sono frutti secchi, sentimentalmente ed intellettualmente, perché si sforzano vanamente di realizzare l’ideale romantico, perdendo di vista le

28 J. de Gaultier, Brochure, cit., p. 238. 29 Ivi, p. 242. 30 J. de Gaultier, Il bovarismo, cit., p. 24. 31 Ivi, p. 31. 32 J. de Gaultier, Brochure, cit., pp. 243-244. 33 Id., Il bovarismo, cit., pp. 22-23.

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proprie vere attitudini. Frédéric Moreau è simile a Mme Bovary perché, come lei, si attribuisce gusti e sentimenti in disaccordo con il suo carattere e fuori dalla sua portata; ne differisce, però, perché i suoi mezzi e le sue fortune gli permettono di compiere il suo sogno e, perché, la finzione bovaristica non lo rende né personaggio tragico né comico. Infatti, se Emma è forte, dotata di una personalità notevole che l’essere chimerico riesce ad asservire ma che, a volte, cerca di resistere, Moreau è debole, incapace di atti importanti pur all’interno della finzione; l’esito peggiore potrebbe essere l’insensibilità ad ogni istanza che esuli dal suo sogno. Egli vagheggia, dunque, passioni intense, ardori e tenerezze perché, nelle sue letture, non ricerca la bellezza artistica, la forma, piuttosto sentimenti e sensazioni da provare e consumare: dopo aver portato nell’arte la sua anima vuota e desiderosa di emozioni, porterà nella vita sentimenti presi in prestito dall’arte.34 La passione artistica per Mme Arnoux nasce perché Moreau, volendo amare, decide che è lei l’incarnazione del suo «sogno poetico», il personaggio principale della sua privata rappresentazione. Per amore della donna tronca le sue relazioni e diviene insensibile ad ogni altro impulso; ma questa passione soddisfa solo la sua immaginazione ed è inficiata da una impotenza realizzativa sconosciuta in caso di desideri reali, i quali sono in grado di sforzarsi in vista della propria concretizzazione. Gli effetti che Moreau prova di questa passione non sono quelli abituali: non è geloso, non sente la mancanza dell’amata, non sente il cuore in tumulto al ritorno a Parigi; deve, piuttosto, procurarsi una parvenza di emozione in modo ostinato e, se vuole possedere Mme Arnoux, si tratta più di amor proprio che di amore. Questa passione fa da sfondo a lettere bagnate di lacrime e decora passeggiate solitarie. Alla conclusione del libro, quando Moreau rivede la donna, dopo venti anni, davanti alle parole e all’emozione di lei, non osa toccarla per non “degradare il suo ideale”, per non intaccare quella concezione dell’amore che egli ha preferito all’amore.35 Altri personaggi di secondo piano, come Homais, Deslauriers, Pellerin, rivelano la disarmonia tra un essere reale ed un essere immaginario da un diverso punto di vista, quello dell’intelligenza. Lo stesso Moreau non è vittima solo di una falsa concezione della propria sensibilità, ma, anche, della propria intelligenza che egli reputa, ingannandosi, artistica: il suo caso rientra nel bovarismo intellettuale.36 Il suo amico Deslauriers, con cui ha condiviso l’educazione ai tempi del collegio, crede, sulla scia dei romanzi di Balzac, alla figura del giovane povero che, grazie alla propria audacia, conquista Parigi; crede che, per ottenere qualcosa, basti volerla intensamente, secondo un bovarismo della volontà.37 Il bovarismo del sapere che, invece, caratterizza Homais è una distinzione del bovarismo intellettuale. Il farmacista è affascinato dall’ideale del progresso ma, le sue mediocri capacità intellettuali e l’insufficienza della sua istruzione non gli permettono di possedere alcuna scienza positiva; il suo errore consiste nel concepire l’entusiasmo come un’attitudine e l’ammirazione come il possesso delle nozioni.38 In realtà, egli non conosce delle scienze che i luoghi comuni della stampa, della filosofia le idee vittime di una divulgazione troppo grossolana, il suo sapere è di seconda mano, la sua erudizione da almanacco. Tutto questo, frammisto alla sua ignoranza è causa della commedia che si sprigiona dai suoi gesti pretenziosi, dalle sue parole roboanti, dalle sue arie di superiorità. Questa mascherata non gli impedisce, tuttavia, di essere pericoloso quando entra in scena la sua vanità attiva, foriera di effetti negativi. Pellerin, colpito da un bovarismo artistico (ennesima suddivisione del bovarismo intellettuale), scambia le proprie facoltà critiche per capacità realizzative. Entusiasta delle grandi opere pittoriche, cerca di supplire alla nullità della sua capacità artistica con uno sforzo di comprensione, tenta di fortificare la propria menzogna interna attraverso l’uso di una rigorosa terminologia tecnica e di tutti gli elementi, solo formali tuttavia, dell’arte che si illude di possedere. Arnoux, con la sua pretesa di competenza in tutto, si dimostra il rappresentante di un’incompetenza universale destinata al fallimento in ogni settore poiché nessuna vera vocazione delimita il suo campo di scelta. Delmar,

34 Id., Brochure, cit., p. 249. 35 Ivi, p. 252. 36 J. de Gaultier, Il bovarismo, cit., p. 25. 37 Id., Brochure, cit., p. 255; Id., Il bovarismo, cit., p. 25. 38 Id., Brochure, cit., p. 257.

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infine, è incapace di resistere alla suggestione dei ruoli che interpreta come attore drammatico, si illude, sostenuto dalla forza di tutti, dall’amore della menzogna che accomuna la folla, di incarnare il popolo, di avere una missione sociale da compiere, di essere Cristo e Salvatore.39 Il bovarismo politico colpisce, invece, Sénécal, affascinato dalla storia, o Dussardier, ingenuo, ipnotizzato dalle idee di giustizia e fratellanza, costretto dalla propria ignoranza a scambiare le parole per le cose. Poiché la loro è un’energia attiva, la menzogna non si concretizza unicamente nella comicità, ma, anche, in atti tragici: Sénécal, avendo rinunciato agli ideali umanitari, divenuto agente di polizia, uccide Dussardier che era stato indottrinato proprio dalle sue parole. Regimbard, invece, rientra nel campo della caricatura poiché, tra il reale e l’immaginario, non c’è più antagonismo, avendo il secondo termine preso il sopravvento. I modi solenni, la scelta politica per cui egli è repubblicano e patriota, la competenza in materia di artiglieria, dimostrata solo dal fatto che i suoi abiti sono confezionati dal sarto della École polytechnique, il suo ostinato silenzio, che lo fa passare per un profondo pensatore, tutto ciò fa parte della sua buffonesca mascherata. Altri personaggi sono ipnotizzati dalla posizione sociale, dall’interesse personale, dall’ambiente sociale: Marescot, il visconte di Cisy, il visconte di Faverges, il curato Bournisier e l’abate Jeufroy trovano la totalità del loro sentire morale in quel talismano che è la veste che portano, la quale fornisce loro fede, carità, severità e, all’occorrenza, precise opinioni su ogni argomento.40 La loro fondamentale nullità li espone alla mercé di qualsiasi stimolo sociale; una volta che ne vengano affascinati, prendono in prestito un certo tipo di attività, di intelligenza, di gusto, di sensibilità. In questi casi, solo un impulso violento, un interesse immediato o la paura, può cambiare il personaggio fittizio: Dambreuse, dopo la caduta di Luigi-Filippo, si scopre repentinamente repubblicano; Faverges dichiara il proprio odio per gli Orléans, dimenticandosi di essere stato legittimista; Jeufroy benedice l’albero della libertà, accusa i re ed esalta la Repubblica. Niente di tutto ciò che questi personaggi si illudono di essere ha, alla propria base, un fatto positivo, una ragione in grado di giustificarlo; in realtà, origine comune dei loro comportamenti è un entusiasmo, un parti pris la cui apparente forza deriva dall’ignoranza e dall’evoluzione bovaristica.41 Bouvard e Pécuchet non sono più individualità isolate, ma simbolo: essi incarnano l’umanità, poiché il processo di astrazione artistica che hanno subìto lascia in loro, come residuo, l’insieme delle generali tendenze umane. La facoltà di evoluzione bovaristica, dunque, funziona in loro in modo chiaro, non mascherata neanche dalla complessità dei moventi che, invece, spinge altri personaggi. Bouvard e Pécuchet si concepiscono diversi da come sono in modo del tutto spontaneo, senza l’intervento di alcun interesse particolare. Per Gaultier, anche la vanità che, a volte, manifestano è l’effetto della formula bovaristica, e non causa dei loro atti: provano un tale sentimento perché è loro precisa intenzione saggiare tutta la gamma dei sentimenti umani; la compassionevole umanità che riproducono è caratterizzata da una comune sete di sapere, da un desiderio di certezza. Flaubert, spostando la sua attenzione al campo filosofico, chiarisce questo bovarismo profondamente umano per cui l’individuo, sotto il pungolo di un male che colpisce sia il pensiero sia l’immaginazione, misconosce i suoi istinti e cerca di superare il muro di mistero che nasconde la verità assoluta; ovvero, di immaginare un al di là. La grandezza dell’artista sta nella rappresentazione di questa sproporzione tra le sollecitazioni degli interrogativi e l’inidoneità a rispondervi dei mezzi a disposizione. Sotto tale profilo, la Tentation de Saint Antoine è la messa in scena di una sequenza di sogni del cervello umano che equivale al processo storico in cui differenti religioni emergono e reciprocamente si distruggono. Antonio è, secondo Gaultier, colpito da un bovarismo legato alla fisiologia: le sue azioni sarebbero, cioè, condizionate da uno stato patologico prettamente fisico, che produce l’allucinazione per cui l’uomo si reputa astratto, separato dalla vita. L’uomo vittima di ciò si crea una seconda natura che lo costringe a deformare l’universo; sarebbe

39 Ivi, pp. 258-259. 40 Ivi, pp. 263-264. 41 Ivi, p. 267.

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questo un primo aspetto del bovarismo della conoscenza, per il quale l’umanità intera si sforza di conoscere al di là dei propri mezzi, al di là dei propri limiti, senza alcun limite.42 Bouvard e Pécuchet, invece, mostrano l’indefinita contraddizione dei sistemi e delle nozioni scientifici e filosofici; sono incarnazioni caricaturali di idee astratte; rappresentano la mitologia della credenza umana nel progresso scientifico in generale e, in particolare, la peculiare fede dell’uomo moderno (con tutto il bagaglio culturale ricevuto in eredità dallo sforzo della civilizzazione) in una evoluzione continua. Il senso di venerazione che essi provano al cospetto di un tale monumento è il risultato del micidiale incontro tra la divulgazione delle idee attraverso la stampa, l’allargamento della possibilità di istruzione e l’ignoranza causata dall’impossibilità di controllare uno per uno i vari risultati delle diverse ricerche come, pure, dall’inanità di una verifica individuale degli specifici procedimenti strutturali e formali di tali studi. Se i primi due elementi della cultura del XX sec. producono una giusta ammirazione ed un ragionevole rispetto, i secondi, a causa dei quali le conclusioni possono solo essere accettate (non accertate), trasformano questo rispetto in pura venerazione per la scienza. Bouvard e Pécuchet scambiano il proprio entusiasmo per le conquiste scientifiche con una capacità di interpretarle, comprenderle ed applicarle, è da questa sproporzione che deriva la loro comicità.43 La loro caratteristica dominante è di non aver alcuna particolare vocazione, semplicemente, adottano, all’occasione e solo temporaneamente, le più diverse occupazioni. Non avendo nessun interesse peculiare non fanno altro che applicarsi ad ogni manifestazione dell’attività umana: tale è il senso della commedia senza posa, e degli sforzi che essa prevede, che continuamente recitano. Cercano ostinatamente una ricetta per diventare scienziati, ma i risultati dei loro tentativi sono disastrosi; ogni loro esperienza dimostrerà la sproporzione tra temperamento e ideale, tra la realtà che riprende il posto che le compete e la menzogna creata dalla loro immaginazione. Si tratta, in queste figure grottesche, di un «bovarismo metafisico», di una difformità profondissima tra gli scopi che l’intelligenza si propone ed i miseri risultati di questa tensione. Lo sforzo dell’uomo di arrivare alla gioia attraverso la conoscenza esaustiva è vano; ogni nuova acquisizione pungola il suo cuore inquieto a spostare un po’ più in là i confini del sapere verso nuovi interrogativi; ciò che viene aumentato è, però, il numero delle conoscenze, non certo quello delle gioie. Tale fine immaginario, sempre sfuggente, è solo il movente dell’evoluzione umana; quando sta per essere afferrato, esso si ritira subitaneamente, poiché la sua funzione è solo quella di un «motore che comunica alla macchina umana» la scintilla che la faccia andare un po’ più avanti.44 Nella Tentation, l’inquietudine umana in cerca di una certezza si placa con la fede religiosa: il desiderio, l’ansia riescono a concretizzare una realtà fornendola di intensità e forza, dotando la struttura religiosa di una forma oggettiva, tangibile. In Bouvard e Pécuchet, invece, e nei loro simili, in coloro che credono ad una religione scientifica, essendo svanito il potere di oggettivazione ci si affida alla osservazione, alla definizione di cause e concause, illudendosi di trovare in questo sapere convenzionale e relativo la certezza. In realtà, l’uomo scambia, erroneamente, per la causa prima quella che è solo la percezione di un processo di causalità, un procedimento, un metodo investigativo. Bouvard, Pécuchet, l’umanità che rappresentano sono accecati da questo bovarismo della causa prima, credono sia concesso all’intelletto umano un potere illimitato di comprensione. Non accettano il fatto che la scienza poggi, essenzialmente, su un partito preso, su una convinzione, essenzialmente umana, circa un qualsiasi frammento della realtà prescelto solo per una utilità speculativa, non perché dotato di una dignità superiore rispetto ad altri. Dal momento che continuano a credere che le fondamenta della scienza scaturiscano dalle profondità delle cose, dalla loro intima natura, da una presunta causa prima tali personaggi si illudono di avere un destino che non appartiene loro, si concepiscono, al livello più elevato, diversi da quello che sono.45

42 J. de Gaultier, Il bovarismo, cit., p. 34. 43 Id., Brochure, cit., p. 274. 44 Ivi, pp. 280-281. 45 J. de Gaultier, Il bovarismo, cit., pp. 38– 40.

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Oltre ai caratteri descritti da Flaubert durante l’arco della sua produzione, restano da enucleare tre tipi generali di bovarismo. Il primo è quello di un bovarismo dell’infanzia,46 la quale è, del resto, lo stato naturale in cui la facoltà bovaristica si presenta e si sviluppa. Tale forma di bovarismo, causata dal potere dello spirito del bambino di deformare la realtà (facoltà per cui lo spirito si attribuisce gusti e attitudini di un modello esterno con una semplicità impressionante), è evidente nei giochi in cui il bambino si trasforma di volta in volta in tutti i personaggi, tanto umani, quanto animali, che lo hanno affascinato. In questo stato, un’importanza fondamentale è rivestita dalla “nozione” (elemento base dell’educazione), la quale fornisce certezze che permangono tali, grazie alla fede illimitata ripostavi dal bambino, per un lungo periodo e che sono talmente inconfutabili da non poter essere contraddette neppure da un’esperienza individuale.47 Gli altri due tipi sono più particolari rispetto a questo e possono essere considerati opposti: si tratta di un bovarismo per eccesso di energia, quello dell’uomo geniale, e di un bovarismo per difetto di energia, quello dello snob. Il bovarismo dell’uomo di genio appare nell’errore di critica commesso da grandi uomini nel darsi un giudizio. Ingrés si riteneva violinista virtuoso; Chateubriand si credeva politico di prima grandezza; Goethe valutava i propri lavori scientifici ben superiori rispetto all’attività di poeta. E’ vero che il bovarismo esiste quando l’ordine gerarchico delle energie viene invertito nel giudizio dell’individuo, quando l’individuo affascinato da un ideale incanala verso scopi che non sono i propri tutte quelle inclinazioni che, invece, sono in lui minoritarie, debolissime. E’ anche, vero, del resto, che nel caso eccezionale del genio queste false vocazioni possano forse intendersi come momenti di riposo, mentre l’esagerazione della sola forza dominante potrebbe spezzarla.48 Lo snob, infine, è un debole, incapace di compiere gli atti più mediocri, che, però, conoscendo cosa sia la forza sa dell’esistenza di compiti superiori. Non potendo sopportare la propria debolezza è portato, dall’istinto di conservazione, a nascondersela; cerca di riflettere in sé un’immagine diversa dalla sua. Evita l’azione, demandando ad un giudizio eccentrico, al gusto per il prezioso, per l’insolito, per lo stravagante il compito di innalzare il suo valore al di sopra della moltitudine,49 in una solitudine che lo tenga lontano da contatti pericolosi, che potrebbero contraddirlo e smentirlo. Se, per un verso, lo snob è costretto all’isolamento per nascondere la propria impotenza, dall’altro verso, è sempre la medesima necessità che lo spinge a ricercare l’alleanza con individui soggetti allo stesso limite ed allo stesso bisogno di simulazione. Grazie al segreto accordo che nasce tra tali personaggi, gli snob sono dispensati dall’azione, si avvalgono esclusivamente della fede che si dispensano vicendevolmente attraverso una vera e propria “massoneria del segno”.50 Lo snobismo appare, dunque, sotto la forma di un “bovarismo trionfante”, nel quale l’uomo utilizza, in ambito conoscitivo, ogni mezzo per mascherare la propria personalità sotto le sembianze di una più bella ed interessante.51 Dunque, non solo i personaggi di Flaubert come incarnazione tipica di un meccanismo psicologico particolare e limitato, quanto, piuttosto una facoltà, quella di pensarsi diversi da quello che si è, di cui ogni uomo è essenzialmente (metafisicamente si potrebbe affermare, seguendo gli ulteriori sviluppi della riflessione gaulteriana) dotato. Si tratta del potere di deformazione per cui, in Gaultier, non solo i personaggi di Flaubert, ma tutti gli uomini si scelgono un modello. Essi “imitano, del personaggio che hanno deciso di essere, tutto quello che è possibile imitare, tutta l’esteriorità, tutta l’apparenza, il gesto, l’intonazione, l’abito.”52

46 Ivi, p. 55. 47 Ivi, p. 57. 48 Ivi, p. 60. 49 Ivi, p. 61. 50 Ivi, p. 64. Essa è, concretamente, “un certo modo di dar la mano allargando il gomito e alzando la spalla a scatti che per un certo tempo classificò un uomo come appartenente alla migliore società e che fu un brevetto di distinzione”. 51 Ivi, p. 65. 52 J. de Gaultier, Il bovarismo, cit., p. 18. Qui si fa solo un accenno alle ascendenze gaulteriane che sono state riscontrate in R. Girard, almeno agli esordi della sua carriera. Infatti, nella sua prima opera, Mensonge romantique et vérité romanesque (1961), Girard utilizza passi di Le bovarysme come prove della validità della sua ipotesi interpretativa del romanzo europeo, soprattutto, circa l’opera di Flaubert. Girard lega la teoria del désir selon l’Autre alla formula del bovarismo che

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La teoria di Gaultier si muove da tali premesse verso la costruzione di un ‘sistema’ filosofico che si fonda sulla nozione di bovarismo allargandosi, ampliandosi secondo altre prospettive: filosofia dello spettacolo, monismo idealista, visione intellettuale, ottica artistica sono, in Gaultier, termini in continua, vicendevole relazione tra di loro. E Gustave Flaubert è la personalità emblematica di questa filosofia. Egli, e non poteva essere altrimenti, è l’artista che, nella sua opera, ha fatto affiorare, nel modo più nitido, la filosofia intesa come arte. Nella sua produzione Flaubert ha scoperto la vera natura della bêtise essentielle che tende verso un assoluto. Egli ha compreso, cioè, che questo sforzo del desiderio verso l’assoluto va, in realtà, verso il nulla ed ha capito che i gesti, i desideri , le speranze, tutto ciò che è stato prodotto dall’umanità nel corso della propria vicenda è illusione. Nella sua attività artistica egli ha osservato e descritto la morale, l’illusione morale, come un mezzo dello spettacolo; ha spogliato questo strumento di rappresentazione delle maschere che esso aveva indossato per proteggere la propria finzione. Flaubert, invece di abbandonarsi (come in qualche modo hanno fatto Schopenhauer e Leopardi53) alla “disperazione metafisica”, ha trovato nella contemplazione delle forme morali un piacere estetico. Dal momento che il fenomeno morale è caratteristico dell’umanità, l’importanza di Flaubert è quella di aver “sostituito all’antica interpretazione dell’esistenza una nuova interpretazione. All’interpretazione morale e finalistica del mondo, egli ha sostituito un’interpretazione estetica”,54 che si rivela “redentrice”. Per questo in Flaubert, la considerazione estetica dell’etica assume valore etico: egli ha scoperto in questo piacere estetico l’adeguata realizzazione della morale. La sua opera, per altro, non si basa su ragionamenti, piuttosto, si fonda su un atto spontaneo, istintivo, su di un gesto di difesa contro uno stato di sofferenza. Il pregio di Flaubert è di non pretendere di rendere universale ciò che è, a ben vedere, una risposta individuale ad un proprio, personale stato di sofferenza. La riflessione, la coscienza della menzogna sorge dopo che, in una sensibilità personale, si è sviluppata una sensibilità spontanea capace di svelare la menzogna del senso tradizionale attribuito al mondo. Probabilmente, lo stesso Flaubert non è stato cosciente della conseguenza (la sostituzione dell’etica con l’estetica) della propria visione di artista. In questo, del resto, sta tutto il valore della sua scrittura: in “questa mancanza di premeditazione filosofica”.55 Nondimeno, egli ha avuto coscienza della menzogna che governa la maggioranza degli uomini. Per quanto concerne, invece, l’élite in grado di accettare lo smascheramento e di gioirne, Flaubert ha precisato significativamente la situazione dello spettatore, tramite “una definizione che, applicandosi all’artista, vale per ogni attitudine spettacolare ed esprime l’essenza di questa attività estetica che permette una giustificazione dell’universo in funzione della bellezza.”56

de Gaultier individua in Emma Bovary ed in ogni personaggio dei romanzi di Flaubert. La formula del bovarismo proposta da de Gaultier viene riportata da Girard nelle prime pagine dell’opera del 1961. “Una medesima ignoranza, una medesima inconsistenza, una medesima assenza di reazione individuale sembrano destinarli ad obbedire alla suggestione dell’ambiente esterno in mancanza di un’autosuggestione che nasce dall’intimo.”52 Importante è la pagina di Mensonge romantique et vérité romanesque (pag. 57) in cui Girard applica all’opera dostoevskijana affermazioni che de Gaultier compie al riguardo dei personaggi di Flaubert, definiti da “una deficienza essenziale di costanza di carattere e di originalità personale, in modo che…non essendo nulla per se stessi diventano qualcosa, una cosa o un’altra, in conseguenza del suggerimento al quale obbediscono.”(Il bovarismo, pag. 26). 53 J. de Gaultier, La sensibilité métaphysique, p. 82. 54 Id., Le génie de Flaubert, cit., pp. 160-161. 55 Ivi, p. 163. 56 Ivi, p. 166.