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FM FORMAREA MAGAZINE G2012 00 MONETA, CREDITO E FINANZA

FM00 FormArea Magazine MONETA CREDITO E FINANZA CREDITO E... · terreno per capire se stiano cominciando a ... cui l’offerta di moneta è sistematicamente in eccesso o in difetto

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FMF O R M A R E A M A G A Z I N E

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M O N E T A , C R E D I T O E F I N A N Z A

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Moneta, Credito e finanzaNumero 00

Social designNumero 01

Ricerca e trasferimento tecnologico delle impreseNumero 02

Sviluppo organizzativo e professionale e modelli territoriali di educazione permanenteNumero 03

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di Franco Fortunati *

dinanza attiva, riconoscere al centro della scena valori come operosità e impegno spon- taneamente prodotti dall’impresa. È neces- saria un’iniziativa imprenditoriale collettiva di grande respiro e un rimodellamento pro- fondo del settore pubblico (nulla di tutto questo è oggi neppure all’orizzonte) perché il cuore economico della formazione delle ca- pacità direttive non è stato mai aggredito né dalla politica, né dalla cultura. Il mondo della società civile e quello dell’impresa hanno fatto storia e sé. Il problema, sotto traccia da sempre, viene alla luce davvero soltanto ora, con la crisi.È quindi necessaria una rinascita e una ri- fondazione dal basso, una rifondazione “partecipativa” che consenta di analizzare i problemi e di proporre soluzioni lascian-do spazio alle correnti ascendenti di capaci- tà individuali e collettive, che andrebbero sostenute mettendo fuori gioco gli imbo- nitori assai numerosi in questi periodi: FormArea & Partner è da anni impegnata in questo.

Quando una terra è desolata, c’è solo da sperare che in qualche angolo vi sia, secondo l’antica certezza biblica, la radice che porta, cioè che nel sottosuolo vada maturando un bulbo o un germoglio di vitalità. Se vogliamo sperare in un futuro meno triste, dobbiamo ancora una volta appoggiare l’orecchio al terreno per capire se stiano cominciando a germinare nuovi processi vitali.

Dentro a un simile quadro di grande tra- sformazione e destrutturazione, oltre a gran-

La crisi economico-finanziaria, iniziata nel 2008 e mai conclusa, sta inesorabilmente colpendo ognuno di noi, direttamente o indi- rettamente, nella nostra quotidianità. L’esito più importante di questa crisi è l’impossibilità per l’Occidente di mantenere il suo tenore di vita senza indebitarsi o senza mettere mano ad epocali riforme: dal si- stema del welfare all’istruzione, dal sistema monetario a quello creditizio-finanziario e all’economia produttiva. La frattura culturale e sociale ormai avve- nuta richiederebbe un metodo di approccio nuovo e diverso che fatica però ad emergere. Noi, partner FormArea, abbiamo da tem- po avviato un’adeguata riflessione (spesso inascoltati) insieme ad alcuni esperti in ambito economico e sociale. È ormai evi- dente a tutti, infatti, che la realtà economica, sociale e culturale modellata fino ad oggi non regge più alle scosse quotidiane del cambiamento e che una crisi come l’attuale apre importanti “crepe” nel sistema. Abbiamo allora bisogno di tramutare la mentalità passiva, quella propria dei lavora-tori salariati, in mentalità attiva. Promuo-vere espressioni di lavoro autonomo in senso lato, valorizzare “dal basso” e al di fuori degli spazi sino ad ora frequentati le eccellenze e le capacità individuali – che sono in grado di fare alla bisogna meglio e più di qualsiasi tutela – anche per evitare la loro emigra- zione all’estero. È necessario favorire la na- scita di una nuova tendenza direttiva dal basso, affermare il diritto-dovere della citta-

di insidie si nascondono anche “spiragli”e “possibilità” che si accompagnano a oppor-tunità di cambiamento e miglioramento; per chi non vuole fuggire dalla realtà (o dal- l’Italia) vi è la necessità di reagire e agire ed è quello che noi, nel nostro piccolo, proviamo a fare proponendo soluzioni innovative.Per questo abbiamo pensato a FormArea Magazine, un format editoriale nuovo in cui provare a dare voce a quei ricercatori e pro- fessionisti (che sono tanti) che stanno la- vorando con impegno proponendo e pro- muovendo nuove visioni del futuro, rifles- sioni innovative e proposte concrete ai pro- blemi che interessano le nostre quotidianità. Siamo convinti che in questa fase storica l’energia vitale del cambiamento, capace di costruire il futuro necessario, si stia gene- rando e coagulando spesso al di fuori delle strutture economico-finanziarie, sociali e culturali che per anni hanno definito le no- stre vite. Per questa ragione vorremmo essere tra chi cerca di raccogliere e dare spazio e voce a simili forze.

I temi di cui scriveremo nei quattro nu-meri del 2012 sono: - Moneta, Credito e finanza (numero 00)- Social design (numero 01)- Ricerca e trasferimento tecnologico nelle imprese (numero 02)- Sviluppo organizzativo e professio- nale e modelli territoriali di educazione permanente (numero 03)Buona lettura!

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P R E S E N T A Z I O N E

01

È N E C E S S A R I A U N A R I N A S C I T A E U N A R I F O N D A Z I O N E D A L B A S S O , U N A R I F O N D A - Z I O N E “ P A R T E C I P A T I V A ” C H E C O N S E N T A D I A N A L I Z Z A R E I P R O B L E M I E D I P R O P O R R E S O L U Z I O N I L A S C I A N D O S P A Z I O A L L E C O R R E N T I A S C E N D E N T I D I C A P A C I T À I N D I V I D U -A L I E C O L L E T T I V E : F O R M A R E A & P A R T N E R È D A A N N I I M P E G N A T A I N Q U E S T O .

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FMF O R M A R E A M A G A Z I N E

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M O N E T A , C R E D I T O E F I N A N Z A

* Franco Fortunati

Ideatore e Presidente di FormArea

& Partner (Responsabile e

coordinatore Equipe), è Professore

a contratto presso l’Università degli

Studi di Bologna e membro stabile

del Scientific Committee of The

International Conference

Psychological Applications and

Trends.

KUBASTA

KUBASTA | Laboratorio di

comunicazione multimediale,

sviluppa progetti di comunicazione

multimediale focalizzandosi su

editoria cartacea e digitale,

identity/branding, web design e

fotografia.

Obiettivo di KUBASTA è finalizzare

la comunicazione alla creazione di

nuove connessioni tra persone e

luoghi, generando e raccontando

esperienze tramite design, tecnica,

creatività e rigore editoriale.

Progetto grafico ed editoriale

emailwebtwitter

[email protected]@kubasta_lab

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[email protected]

FormArea & Partner

FormArea & Partner si occupa di

ideare e sviluppare modelli

innovativi rivolti alla progettazione

di interventi di design sociale, al

miglioramento dei sistemi

professionali e organizzativi, alla

realizzazione di azioni di life long

learning, allo sviluppo di innovative

strategie per l'estero e la

competizione globale.

FormArea & Partner si avvale di uno

staff di professionisti e di un'Equipe

di supervisione tecnico-scientifica,

composta da:

Franco Fortunati

Presidente FormArea & Partner,

Università di Bologna

Massimo Amato

Economista Università Bocconi di

Milano

Giuseppe Amoruso

Politecnico Milano

Danilo Barbi

Direzione Nazionale CGIL

Davide Branco

Esperto Internazionale Senior di

Politiche Industriali,

Socio-Economiche e del Lavoro

Vittorio Capecchi

Professore Emerito Scienze della

Formazione, esperto in ambito

socio-economico

Luca Fantacci

Economista Università Bocconi di

Milano e Comitato Promotore della

Fondazione per la Moneta di Dono Luigi Guerra

Preside Facoltà di Scienze della

Formazione Università di Bologna

Luigi Serio

Università Cattolica Milano

In copertina

Harry Dexter White, delegato USA,

alla Conferenza di Bretton Woods

nel 1944.

Questo primo numero di FormArea Magazine tratta dei temi della moneta, del credito e della finanza e ospita:p.03/p.12 - articoli di alcuni economisti della Università Bocconi e di membri del Comitato promotore della Fondazione per la Moneta di dono – Massimo Amato, Luca Fantacci, Luca Larcher, Lucio Gobbi e Marco Bianchini – che portano contributi di riflessione sull’attuale situazione economica e finanziaria, a partire da un’inedita rilettura del capitalismo, basata sullo studio della na- tura della moneta e delle sue vicende sto- riche. Secondo tale approccio il capitalismo non può essere identificato soltanto con un paradigma produttivo, ma anche e soprat-tutto con un peculiare assetto monetario, sorto nell’Europa post-rinascimentale e suc- cessivamente diffusosi in tutto il mondo, caratterizzato dall’aver conferito alla moneta la natura di merce, dando così luogo a un’economia di mercato comprendente un mercato di troppo, quello appunto della moneta, che ha assunto i connotati storici del credito e della finanza che oggi cono- sciamo. La trasformazione della moneta da istituzione che consente la misura del valore e gli scambi economici a merce prestabile a fronte di una remunerazione, è giunta al punto di creare l’odierno conflitto intracapi-talistico fra profitto e rendita, determinando il progressivo prevalere della seconda. L’instabilità intrinseca allo stesso mercato della moneta ha creato poi le condizioni per il succedersi di ricorrenti crisi di liquidità, in cui l’offerta di moneta è sistematicamente in eccesso o in difetto rispetto alle effettive esi- genze dell’economia reale, alterando il buon funzionamento dell’economia di mercato.Quest’ultima andrebbe ricondotta ai suoi ambiti costitutivi e alle sue funzioni originarie di produzione e scambio di beni e servizi non monetari, consentendole così di svolgere un ruolo appropriato al servizio della società;p.13/p.17 - due interviste, a Daniele Qua- drelli e a Viviano Fiori, dirigenti del Credito Cooperativo dell’Emilia-Romagna, che offrono uno sguardo sul rapporto fra credito ed economia locale in questo delicato pe- riodo di crisi;p.18/p.20 - un articolo di Francesco Zardon sulle prospettive per l’economia mondiale nel 2012, in cui si delineano una serie di pre- occupanti linee di frattura che attraversano anche le economie dei Paesi emergenti.

Crediti: Archivio immagini storiche FMI

02 FM00 MONETA, CREDITO E FINANZA

Form Area

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in campo di azioni volte a sormontarla.Questa «crisi di liquidità» è anche e soprat-tutto una crisi della liquidità: cioè l’entrata in crisi del modello della finanza come mer- cato della liquidità. Più i mercati sono li- quidi, più il credito affluisce, in massa e a buon mercato, dai creditori ai debitori, assi- curando i primi da ogni rischio e accon-tentando i secondi quasi indipendentemente dalla loro solvibilità, abolendo cioè ogni dif- ferenza fra prime e subprime borrowers, fra debitori solvibili e insolvibili. –

Rischio liquidità. Il rischio che i mercati fi- nanziari avrebbero voluto ridurre, a benefi-cio della stabilità della crescita economica, è, infatti, non il rischio di credito ma il rischio di liquidità. Non, cioè, il rischio inerente a ogni atto di credito quando quest’ultimo sia volto a rendere possibile un investimento reale. Il rischio di credito dipende in ultima istanza dal rischio reale connesso alla im- prevedibilità degli esiti di ogni investimento.

No: il rischio che si voleva ridurre era un altro, ossia il rischio per il detentore di un titolo di credito di non riuscire a liquidarlo con profitto su un mercato secondario dei titoli. In gioco sui mercati finanziari non è la pagabilità dei debiti ma la vendibilità dei titoli. In gioco non è dunque il rapporto fra un finanziatore-creditore e un investitore- debitore, ma la sicurezza del creditore di poter monetizzare in qualsiasi momento i suoi «investimenti» finanziari: una sicurez- za che, qualora fosse ben assicurata dalle a- spettative di mercato, lo potrebbe indurre anche a non monetizzare, lasciando che il suo denaro affluisca nelle tasche di «debi- tori» con i quali non ha più alcun rapporto diretto. Ma che appunto, e per lo stesso motivo, può in ogni momento trasformarsi in insicurezza e indurre, sulla base non di un

Che questa crisi potesse «servire da lezione» alle élite economiche, molti lo hanno pen- sato fin dall’inizio. Salvo esserne presto delusi. Nessuno sembra aver cambiato di una virgola le sue posizioni. Non gli econo-misti che fino al 2007 avevano generosa-mente partecipato all’elaborazione di un’i- deologia dei mercati finanziari come strumento di democratizzazione dell’ econo-mia. Non i banchieri e gli operatori finan- ziari che si erano incaricati di rendere l’ideologia una «prassi concreta». Non le au- torità di controllo che, dopo aver abdicato per anni al loro ruolo, si sono accontentate finora di ribadire la centralità di una «regolazione» di cui sembrano ignorare i reali presupposti politici.

Con l’effetto che, sul piano pratico, la ri- sposta alla crisi di liquidità scoppiata nel luglio 2007 si è risolta finora in un processo di tamponamento dei suoi effetti operato grazie a massicce iniezioni di liquidità. Si è curata la malattia aumentando la dose dell’agente patogeno. Come mi è capitato di ripetere più volte, questo è semplicemente un modo per «uscire» dalla crisi presente, posto che ci si riesca, al prezzo della pre- parazione della prossima crisi.

Del resto, qualche segnale lo possiamo già constatare. Il tentativo di tamponare i buchi degli operatori bancari si è risolto nell’assunzione di debiti privati divenuti i- nesigibili da parte delle autorità pubbliche. Il debito privato è stato trasformato in una dose crescente di debito pubblico. E in alcuni casi, superata la soglia di rischio, sono stati gli stessi mercati finanziari salvati dagli Stati a metterli in ginocchio. Quella greca è la prima crisi del debito pubblico, ma non è af- fatto detto che sia l’ultima.

Eppure, un’altra strada è aperta, sia per l’interpretazione della crisi sia per la messa

sapere concreto ma di pure e semplici aspet- tative a liquidare tutto e a scatenare la crisi. Ecco il paradosso dei mercati finanziari. La base su cui essi concedono o negano il credito per gli investimenti non ha nulla a che fare con la natura concreta di questi ultimi. In periodi di euforia, come per esem- pio dal 2002 al 2007, non c’era «debitore» potenziale che non potesse trovare «credi- to». Erano le banche a inseguire i loro poten-ziali clienti, offrendo a chiunque la possibi- lità di indebitarsi ben al di là delle sue capa- cità di restituzione grazie a un’offerta di rifi- nanziamenti apparentemente senza limite, e soprattutto senza fondo… Ora, invece, ciò che siamo costretti a osservare, come il pro- tagonista di Arancia meccanica con gli occhi forzatamente spalancati, è il puro e semplice opposto di questo assurdo atteggiamento. Il credito è rifiutato per principio. Le banche «hanno chiuso i rubinetti del credito» e non perché non abbiano soldi, ma perché nessun credito privato è sufficientemente sicuro da consentire alle banche di rinunciare ai loro attivi in moneta. Ciò che si finanzia ancora volentieri, ma operando già distinguo fra Paesi «virtuosi» e «PIIGS», è il debito pub- blico.Ma allora che pensare di tutto ciò? Ciò che potrebbe saltare agli occhi, se solo ci toglies-simo i paraocchi ideologici con cui siamo stati allenati a «guardare alla realtà» eco- nomica, è che questa crisi è la crisi di un modo di erogare il credito, che a sua volta riposa su un modo di concepire la moneta, che a sua volta genera un modo di concepire il rapporto fra credito e moneta. Si tratte- rebbe, insomma, di capire che la rinuncia a proseguire lungo la strada della liquidità non implica affatto la rinuncia al credito e ai suoi vantaggi per l’economia, ma la possibilità di ricorrere di preferenza a forme di erogazione

L A C R I S I F I N A N Z I A R I A E D E C O N O M I C A N O N S E M B R A E S S E R E A R R I V A T A A L S U O E P I -L O G O . A N Z I . E L E R I S P O S T E M E S S E I N C A M P O D A I V A R I G O V E R N I S I S O N O R I S O L T E I N M A S S I C C E I N I E Z I O N I D I L I Q U I D I T À . I N P R A T I C A V I E N E C U R A T A L A M A L A T T I A A U M E N -T A N D O L A D O S E D E L L ’ A G E N T E P A T O G E N O . C O M E U S C I R N E R E A L M E N T E ? M A S S I M O A M A T O P R O P O N E U N A M O N E T A A L T E R N A T I V A A Q U E L L A D E L C A P I T A L I S M O . I P O T E S I T U T T ’ A L T R O C H E U T O P I C A .

di Massimo Amato *

U N ’ A L T R A M O N E T A È P O S S I B I L E

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Il Mount Washington Hotel a Bretton Woods – nel 1944 vi si riunirono 730 delegati di 44 nazioni alleate per firmare gli omonimi Accordi Internazionali

strumento è quello del venture capital. Ciò che caratterizza queste due forme di credito è che esse non si caratterizzano come una compravendita di denaro, e che quindi non sono legate alla fissazione preventiva di un rendimento per il denaro prestato. Ma ciò significa che, ancora più in profondità, queste forme non presuppongono affatto che la moneta sia una merce. Il credito per compensazione abbisogna di una moneta che svolga solo la funzione di unità di conto, dunque una moneta che non abbisogna af- fatto di essere una riserva di valore. Il denaro conferito in una società non ha più la liqui- dità propria dei movimenti di capitale di portafoglio ma deve essere valutato in relazione alle potenzialità produttive effet- tive dell’ impresa. In breve: questo credito si può fondare su un’altra nozione di moneta, e che a sua volta può fondare un altro rapporto fra moneta e credito.Ma soprattutto questo credito, questa moneta, e questo rapporto fra i due non ne- cessitano affatto di essere pensati in termini globali. Nessuna centralizzazione in un mercato finanziario della liquidità è davvero necessaria quando le relazioni di credito siano pensate a partire dalla loro localizza- zione in un contesto produttivo reale. Al de- centramento delle relazioni di credito può dunque corrispondere una moneta costruita per essere locale. «Locale» non significa «autarchica»: una moneta locale non veicola necessariamente contenuti politici di chiu- sura. Implica semplicemente la necessità di

poter distinguere fra una dimensione locale dell’economia, legata a relazioni di prossi- mità fra «operatori economici», e una di- mensione internazionale.E implica soprattutto una specializzazione delle monete. La nozione di moneta invalsa, che ci appare evidente solo a causa dei nostri paraocchi, si fonda invece sulla indifferen- ziazione funzionale della moneta. La stessa moneta che uso in un contesto locale deve poter vigere come moneta internazionale. –

La moneta internazionale di Keynes. John Maynard Keynes non la pensava così. Nel 1944 a Bretton Woods egli propose l’ado- zione di una moneta internazionale nel sen- so più semplice e immediato della parola: ossia una moneta che non fosse la moneta nazionale di nessuno degli Stati chiamati a commerciare fra loro. Si scelse invece di a- dottare come moneta internazionale una moneta nazionale, il dollaro. E la crisi a cui stiamo assistendo è, fra l’altro, anche l’epilogo di questa decisione, mal fondata in logica e mal praticata in politica. Dalla crisi non si esce affiancando al dollaro altre monete nazionali, ma provando a ri- pensare distinzioni che abbiamo perso l’abitudine di fare. Se davvero si iniziasse a ripensare tali distinzioni, allora tutto ciò che già ora, in forma talvolta ingenua ed «em- pirica» è in procinto di attuarsi, potrebbe essere realizzato nell’alveo di una consape- volezza politica capace di guidare la fonda- zione di un’economia non semplicemente

di credito non fondate sulla liquidità. E, se la liquidità si fonda sulla rescissione del rap- porto fra creditore e debitore in vista dell’investimento reale, ciò che dobbiamo ammettere almeno in via ipotetica è che l’alternativa debba fondarsi sulla ricostitu- zione di tale rapporto.È importante sottolineare che tale alterna-tiva è già in procinto di realizzarsi. In attesa che i guru si pronuncino, le imprese hanno cominciato a ovviare alla stretta creditizia facendosi credito fra loro. Lo strumento è antico e ben rodato: si chiama compensa- zione multilaterale dei crediti e dei debiti, in inglese clearing. Se A deve qualcosa e B che deve qualcosa a C, e così via, la scelta più ragionevole non è quella di costringere tutti a pagare, chiedendo i soldi che non hanno a banche che non li vogliono dare, ma di com- pensare il più possibile i debiti e i crediti fra di loro, riducendo il bisogno complessivo di liquidità.Se ho un’idea produttiva e non ho i soldi per realizzarla in un contesto produttivo dato, la cosa più ragionevole non è quella di ri- volgermi al «mercato globale dei capitali», sempre altrettanto pronti ad affluire come a defluire, indipendentemente dalla solidità del mio investimento; devo semplicemente trovarmi un socio di capitale, disposto non solo a partecipare ai profitti, quando questi si generino, ma anche a sopportare i rischi e le perdite che possono sempre ingenerarsi in un’attività realmente economica. Anche in questo caso non c’è nulla da inventare: lo

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E tuttavia Malatesta sa che c’è qualcosa di ben più eversivo della «rivoluzione» come rovesciamento violento dei rapporti di forza: è il «passo di lato» che si smarca dall’ap- parenza di unicità con cui si contrabbandano concetti pensati a metà. La moneta del capitalismo non è affatto l’unica pensabile. Si tratta dunque di pen- sare la moneta e infatti Malatesta aggiunge: «Per ora, forse più che preoccuparsi del- l’abolizione del denaro, bisognerebbe cer- care un modo perché il denaro rappresenti davvero lo sforzo utile fatto da chi lo pos- siede».Un denaro che rappresenti davvero il lavoro, anche il lavoro di chi si assume il rischio dell’investimento reale e non finanziario, non ha bisogno di essere pensato come una merce, non ha bisogno di un mercato mo- netario, non deve necessariamente generare una rendita: può invece rendere possibili relazioni di scambio e di credito che non si fondino sul presupposto che l’atto econo- mico più «intelligente» sia quello di liberarsi da ogni rischio addossandolo ad altri.L’assunzione del rischio che è in gioco con una moneta alternativa a quella del capita- lismo non è un dato morale, frutto di «buona volontà» che francamente non è il caso di dare per scontata in nessuno di noi né peral- tro negare per principio a nessuno degli altri: è semplicemente il fondamento di ogni sana economia di mercato. La «rivoluzione della mentalità» dovrebbe passare innanzitutto da qui.

anticapitalistica, ma realmente alternativa, cioè costitutivamente altra dal capitalismo. E senza che questa decisione implichi una ri- nuncia ideologica all’economia di mercato. –

Malatesta e il denaro. A proposito della «questione del denaro, questione grave quanto altre mai», Errico Malatesta so- steneva, con grande acume e senso pratico, il che non significa affatto senza solidità teorica (cito da La rivoluzione in pratica, in Umanità Nova, 7 ottobre 1922): «D’abitu- dine nel campo nostro si risolve semplici- sticamente la questione dicendo che il denaro si deve abolire. E sta bene, se si tratta di una società anarchica o di un’ipotetica ri- voluzione da fare da qui a cento anni, sempre nell’ipotesi che le masse possano diventare anarchiche e comuniste prima che una ri- voluzione abbia cambiato radicalmente le condizioni in cui vivono. Ma oggi la que- stione è ben altrimenti complicata».La questione è oggi ben altrimenti compli-cata perché, oggi ancora meno che al tempo in cui Malatesta scriveva, il rapporto fra ri- voluzione e cambiamento del modo di pen- sare non può affatto essere pensato mecca- nicamente, in nessuno dei due sensi del rap- porto d’influenza. Questa impasse del pen- siero rivoluzionario ha alimentato negli ultimi decenni l’idea che «il capitalismo» non avesse più alternative, e che dunque la sua moneta fosse l’unica concepibile. Prendere o lasciare: o questo denaro o l’abo- lizione del denaro e il «ritorno al baratto».

Vista aerea del Mount Washington Hotel – costruito agli inizi del ‘900 su progetto dell’architetto G. A. Gifford, è stato dichiarato luogo di interesse storico nel 1986

FM00 MONETA, CREDITO E FINANZA

Aut

ore * Massimo Amato

Economista e storico, è professore

associato all’Università Bocconi.

Ha scritto diverse monografie sul

tema della moneta e della riforma

monetaria, fra cui, recentemente: Le

radici di una fede. Per una storia del

rapporto fra moneta e credito in

Occidente (Bruno Mondadori 2008)

e L’enigma della moneta (et al.

edizioni 2011). Ha scritto, insieme a

Luca Fantacci, Fine della finanza. Da

dove viene la crisi e come si può

pensare di uscirne (Donzelli 2009).

Si dedica da diversi anni allo studio e

alla realizzazione di sistemi di

moneta complementare e di credito

locale.

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1834 - 1861

Gold standard di fatto nell'ambito di

un sistema monetario internazionale

bimetallico.

1862 - 1878

Inconvertibilità del dollaro: Abraham

Lincoln finanzia la guerra dell’unione

stampando i cosiddetti green backs,

dollari senza copertura.

1879 - 1914

Sistema aureo senza banca centrale

e sistema bancario a riserva

frazionata.

1913

Fondazione della Federal Reserve.

1914 - 1933

Sistema monetario aureo pilotato: la

Fed è obbligata a detenere per legge

un minimo di riserve auree.

1933 - 1934

Sospensione della convertibilità per

far fronte alla Grande Depressione.

1934-1948

Ritorno al sistema aureo pilotato.

1948 - 1968

Sistema monetario dollaro/oro a

seguito degli Accordi Internazionali

di Bretton Woods.

1968 - 1973

Crollo del sistema di Bretton Woods.

Dal 1973

Sistema attuale con moneta fiat.

Fonti: Dipartimento di Scienze Economiche UNIPI

Dintorni del Mount Washington Hotel

Cro

nolo

gia

della

mon

eta

FM00 MONETA, CREDITO E FINANZA

Crediti: Archivio immagini storiche FMI; David Pierce Studio, Hanover, New Hampshire

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C R I S I D E L L ’ E U R OL A S O L U Z I O N E C ’ È E N O N R I C H I E D E L A C R I M E E S A N G U E

FM00 MONETA, CREDITO E FINANZA

N O N S O N O I D E B I T I P U B B L I C I I L P R O B L E M A P E R L A T E N U T A D E L L ’ E U R O . L ’ E U R O P A , A D I F F E R E N Z A D E G L I U S A , N O N H A A F F A T T O U N D E F I C I T D E I C O N T I C O N L ’ E S T E R O E D U N Q U E N O N H A A L C U N B I S O G N O D E I S O L D I D E G L I A L T R I . S I A M O I N V E C E V I T T I M E D E L L A N O S T R A I N C A P A C I T À D I D A R C I C R E D I T O A V I C E N D A . P E R U S C I R E D A L C I R C O - L O , S I P U Ò F A R E C O M E N E L 1 9 5 0 , L ’ U N I O N E E U R O P E A D E I P A G A M E N T I . N E I S U O I O T T O A N N I D I V I T A , F E C E U N M I R A C O L O E C O N O M I C O : I N I T A L I A E I N G E R M A N I A .

permessa di evidenziare le responsabilità del proprio governo nella crisi dell’euro e l’interesse del proprio Paese a evitarla, ha ricevuto da un suo compatriota una lettera minatoria apertamente antisemita. Il mini- stro delle finanze olandesi ha proposto di concedere crediti alla Grecia solo in cambio di adeguate garanzie ipotecarie sui beni de- maniali (come dire, il Partenone), secondo una logica punitiva che ricorda quella della Commissione per le riparazioni che tolse ogni speranza di riscatto alla Repubblica di Weimar, consegnandola al revanscismo populista e infine al nazismo.

L’atmosfera è sempre più simile a quella funesta del primo Novecento. Dopo che si è cercato di costruire l’unione politica dell’Europa sull’integrazione economica, e quest’ultima sull’unione monetaria, la di- sgregazione dell’euro potrebbe davvero minare alla base l’intero progetto europeo, lasciando nuovamente campo a possibili conflitti. Potremmo assistere, dopo cento anni, a un nuovo «suicidio dell’Europa».Questa volta, peraltro, non ci saranno gli Stati Uniti a salvarci. Semmai, la Cina. E fa una bella differenza. Si vocifera che nelle ultime settimane il nostro ministero del Tesoro abbia negoziato la vendita di parte del debito sovrano italiano a un fondo sovrano cinese. Se il beneficio economico è chiaro, il costo politico è enorme. In gioco, per l’appunto, è una cessione – tanto più in- sidiosa quanto più graduale e impercettibile – di sovranità. E lo sa bene Tremonti, che qualche anno fa metteva in guardia contro un possibile «colonialismo di ritorno». Com- plice il ministro, la nemesi è arrivata.Lo scorso fine settimana, a un convegno sulla riforma della governance globale, un diplomatico di Pechino, commentando un mio grafico che raffigurava i crediti concessi

C’è una buona notizia per l’Europa, ma ci o- stiniamo a vedere solo macerie. L’euro, in ef- fetti, è di nuovo sull’orlo del baratro, con il rischio concreto di cadere e sfracellarsi. I piani di risanamento della Grecia e dell’Italia potrebbero non dare i risultati sperati. Il conseguente deprezzamento dei titoli di Stato greci e italiani si traduce in ingenti per- dite per le banche tedesche e francesi che li detengono. Inesorabile, arriva il declassa-mento di queste ultime da parte di Moody’s. Nel frattempo, l’aumento dei tassi d’interes- se, le difficoltà delle banche e le politiche di rigore dei governi concorrono a deprimere la domanda aggregata e a compromettere la già debole ripresa in tutto il continente, Germa-nia compresa.

La depressione economica, a sua volta, alimenta le tensioni sociali e politiche. I la- voratori dei Paesi debitori, oppressi dagli i- nasprimenti fiscali e dai tagli alla spesa so- ciale, s’indignano e scioperano contro l’oltraggio di politiche imposte dai creditori internazionali. I lavoratori dei Paesi credi- tori, che sono più produttivi, ricevono sti- pendi più bassi in rapporto alla loro produt-tività e vanno in pensione più tardi, s’indignano e protestano contro il ripiana-mento degli sprechi altrui. I governanti degli uni e degli altri sono incapaci di formulare e perseguire in maniera autorevole una solu- zione concertata, coerente e praticabile. Non sono leaders ma followers, come qualcuno giustamente ha osservato: cedono sempre di più al populismo e al nazionalismo, nel ten- tativo di blandire il proprio elettorato.

Del resto, sono chiari i segnali di un sen- timento nazionalistico sempre più diffuso. In recenti votazioni, i partiti della destra xenofoba hanno guadagnato consensi, so- prattutto nell’Europa del nord. Una collega tedesca che, in un convegno accademico, si è

dalla Cina all’Occidente, ha ammonito i pre- senti, in un americano impeccabile: ‘there’s no such thing as a free lunch’ (‘nessun pasto è gratis’). È il titolo di un libro di Milton Friedman del 1975, nonché il motto che ha accompagnato l’estensione del mercato su scala globale negli ultimi quarant’anni sotto l’egida della dottrina neoliberista. Parados-salmente, su quel mercato, gli americani hanno sempre potuto mangiare gratis, pa- gando con pezzi di carta. Oggi, l’apprendista egemone ha imparato la lezione e presenta il conto. La Cina non ha più intenzione di con- tinuare ad accumulare dollari e titoli di Stato, e ha cominciato a dismetterli per com- prare beni reali, materie prime, infrastrut-ture: porti, dalla Grecia all’Estonia, auto- strade, dalla Germania alla Turchia. Si può anche parlare di investimenti industriali e di alleanze strategiche. Ma, come giustamente mi ricorda Massimo Amato: lo abbiamo fatto anche noi un paio di secoli: si chiama colo- nizzazione imperialista, e «loro» non erano contenti…

Il quadro è fosco. E il modo in cui lo dipingono coloro che sarebbero tenuti a in- dicare una via d’uscita non contribuisce certo a schiarirlo. Al contrario. Le raccoman-dazioni delle autorità, politiche e scienti-fiche, suonano sempre più come prediche millenaristiche. Sul Financial Times del 14 settembre 2011 il ministro delle Finanze te- desco Wolfgang Schäuble ha formulato il suo penitenziagite: disponetevi all’astinenza e al sacrificio, o debitori, e riceverete, in cambio di una pena temporanea, l’indulgenza per- petua. Sulle stesse pagine, l’economista americano Barry Eichengreen invitava l’Europa a riconoscere la propria insuffi-cienza e a invocare l’intervento celeste del Celeste Impero. Il breviario finanziario ce lo ripete ormai ogni ora: pentitevi, vestite di

di Luca Fantacci *

07

Page 9: FM00 FormArea Magazine MONETA CREDITO E FINANZA CREDITO E... · terreno per capire se stiano cominciando a ... cui l’offerta di moneta è sistematicamente in eccesso o in difetto

PIIGS a causa degli ingenti debiti esteri del suo sistema bancario privato, nonostante avesse un rapporto debito/PIL fra i più bassi d’Europa (circa 25% nel 2007). È stato il sovraindebitamento verso il capitale stra- niero, attratto da sgravi fiscali più che da im- pieghi produttivi, la causa della crisi irlan- dese: l’aumento del debito pubblico (fino a quasi il 100% del PIL) è soltanto la conse- guenza dei salvataggi, resi a loro volta neces- sari dal fallimento di un modello di sviluppo basato sulla crescita delle attività finan- ziarie. L’Irlanda è un caso, ma un caso emblematico, di un sistema in cui gli stati si sono indebitati per salvare quei mercati che adesso ne deprecano l’ipertrofia – come i viandanti di Esopo che accusano di sterili-tà i platani, alla cui ombra hanno trovato ristoro.

Bisogna togliere, dunque, al debito pub- blico il ruolo di arbitro delle sorti dell’Eu- ropa. E per almeno tre motivi.1. Innanzi tutto, non è affatto quella misura obiettiva di buona condotta che si pretende: come è stato rilevato, i criteri di misurazione variano da un Paese all’altro e, se si in- cludessero come altrove le passività della cassa depositi e prestiti tedesca (KfW), in- teramente garantiti dallo Stato, il debito pubblico della Germania (che è già, in ter- mini assoluti, il secondo del mondo dopo gli Usa) schizzerebbe dall’80 al 100% del PIL.2. In secondo luogo, le misure restrittive volte a ridurre il debito non possono che ag- gravare la crisi, la disoccupazione e il disagio

sacco, cospargetevi il capo di cenere, e spe- rate nella magnanimità del Sommo Giu- dice…

Ma la buona notizia qual è? È che non c’è alcun bisogno di vedere la cosa in questi ter- mini! Anzi, simili raccomandazioni pog- giano su una visione tanto scorretta e fuor- viante quanto diffusa e radicata. Se soltanto ci liberiamo dagli abiti mentali che impedi- scono di apprezzare i giusti termini del pro- blema, possiamo cominciare a vedere che una soluzione è a portata di mano. Due sono gli errori di prospettiva che rischiano di portare alla dissoluzione dell’euro e che sono ben esemplificati dalle posizioni di Schäuble e di Eichengreen. Bisogna che ci disfiamo di questi, prima di passare alla pars costruens.Innanzi tutto, a dispetto dell’attenzione os- sessiva che hanno ricevuto fin dall’inizio del processo diconvergenza, non sono i debiti pubblici in quanto tali a costituire un pro- blema per la tenuta dell’unione monetaria. Nella misura in cui i titoli del debito pub- blico sono detenuti dai cittadini dello Stato che li emette, non c’è alcun motivo perché se ne preoccupino gli stranieri. In altri termini, un debito pubblico nazionale diventa un problema internazionale soltanto nella mi- sura in cui è detenuto all’estero. Una prova? Il debito pubblico giapponese ha potuto superare il 220% (duecentoventi percento!) del Pil senza provocare allarme, perché è in larga parte finanziato dai ri- sparmi dei giapponesi stessi.Una controprova? L’Irlanda è finita tra i

FM00 MONETA, CREDITO E FINANZA

Quote di debito pubblico italiano detenute da paesi esteri Fonti: Bank for International Settlements - dati al giugno 2011. Per la Cina: fonti finanziarie citate dal FT

Stati Uniti

SpagnaGran Bretagna

FranciaBelgio

Germania

CinaGiappone

10 mld €

mld €mld €

mld €mld €mld €mld €mld €

914

8413

28

7424

US

JE

GUK

CN

BF

08

Indicatori economici

Fonti: Eurostat, Banca d’Italia - dati al 2011

221,1

118,4

200

0

200

2

200

3

200

4

200

5

200

6

200

7

200

8

200

9

20

01

20

10

108,5 105,4118,4

60

I

Debito nazionale lordo / PIL

Settore privato 3.442 mld €

Famiglie

Imprese non finanziarie

Imprese finanziarie

42

83

96

Settore pubblico 1.843 mld €

Conto corrente 2011MerciServiziRedditiTraferimenti

Conto corrente 2010

Saldo

-56.973 mln € -23.686 mln €

-7.821 mln €-10.498 mln €-14.968 mln €

-46.447 mln €

339,5Componenti

Variazione del debito pubblico / PIL

Bilancia commerciale netta / PIL

-3,5

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09

Tuttavia, con buona pace di Eichengreen, l’area dell’euro nel suo insieme, a differenza degli Usa, non ha affatto un deficit dei conti con l’estero e, dunque, non ha alcun bisogno dei soldi degli altri. Sta qui tutto il dramma-tico paradosso della crisi europea, ed è bene imparare a vederlo: siamo vittime unica- mente della nostra incapacità di darci credito a vicenda. Si è passati, con alter- nanza ciclotimica, da una concessione indi- scriminata di credito a tassi pressoché nulli, a una restrizione altrettanto indiscriminata a tassi da usura. Se oggi si bastonano i PIIGS è perché ieri si è prestato a cani e porci. Possibile che l’Europa non riesca a darsi una regola e una misura, senza dover ricorrere a un intervento esterno?

Ecco, allora, la proposta: istituire una camera di compensazione europea, sul modello della Clearing Union proposta da Keynes a Bretton Woods. La si può imma- ginare come un adattamento della nuova i- stituzione che è stata creata per far fronte alla crisi, la European Financial Stability Facility (EFSF), con due importanti accorgi-menti che la renderebbero al tempo stesso più snella e più efficace. Innanzi tutto, a dif- ferenza della EFSF, una camera di compen-sazione non richiederebbe un accantona-mento preventivo di fondi né la concessione di ingenti garanzie da parte dei Paesi membri (con il rischio di vedersele rifiutare dai parlamenti, dopo la recente sentenza di Karlsruhe). Possiamo immaginarla come una banca, ma senza capitale, né depositi, né

sociale, in un momento in cui tassi d’interesse ai minimi storici dovrebbero, al contrario, favorire gli investimenti: possibile che in Europa non ci sia nessun migliora-mento infrastrutturale che prometta un ri- torno anche solo del 2%? Il giusto proposito di ridurre spreco, corruzione ed evasione non dovrebbe impedire a nessuno Stato di astenersi da investimenti produttivi.3. Da ultimo, lasciando a ogni Stato membro l’autonomia di decidere quanto indebitarsi con i propri cittadini, l’Europa dovrebbe pre- occuparsi esclusivamente di quella parte dei debiti, pubblici e privati, che non sono finan- ziati dal risparmio interno. La proposta di Tremonti, di affiancare il risparmio privato al debito pubblico come criterio di stabilità, va nella giusta direzione, ma si ferma a metà strada. Perché guardare separatamente a due variabili, quando ciò che davvero conta è la loro differenza? È una questione di alge- bra: tutto quello che serve, per la riforma del patto di stabilità, è di considerare il debito pubblico al netto del risparmio privato, ossia il debito estero.

A questo punto, viene buona la seconda precisazione: i debiti esteri che oggi si fati- cano a finanziare sono fra i Paesi europei, e non dei Paesi europei con il resto del mondo. Sembra ovvio, ma evidentemente non lo è, se continuamente s’invocano finanziatori e- sterni, come il Fondo monetario o la Cina, e se si pensa addirittura di emettere degli eu- robond, per consentire all’Europa di finan- ziarsi sui mercati internazionali.

riserve. Semplicemente, ogni Paese ha un conto presso la camera di compensazione e ogni conto ha un saldo iniziale pari a zero. Ad ogni Paese è accordata la possibilità di «andare in rosso», entro determinati limiti, finanziando in tal modo un deficit tempora-neo dei conti con l’estero. I Paesi in surplus registrano, viceversa, un saldo positivo. I saldi complessivi della camera sono sempre pari a zero; per questo non ha bisogno di ri- serve. La seconda peculiarità di questa banca è che debitori e creditori sono trattati in maniera simmetrica: se i primi pagano un interesse sui propri saldi negativi, anche i secondi non li guadagnano, ma anzi pagano una commis-sione sui propri saldi positivi. Questa disposizione, appa-rentemente vessatoria, è in realtà perfettamente giustificata dal fatto che i creditori non hanno depositato niente nella banca, ma anzi beneficiano dei suoi servizi, alla stessa stregua dei debitori: in- fatti, se la camera di compensazione con- sente a questi di acquistare ciò che altri- menti non avrebbero potuto permettersi, allo stesso modo, in maniera del tutto specu-lare, consente a quelli di vendere ciò che al- trimenti non avrebbe trovato mercato. Inol- tre, gli oneri simmetrici costituiscono un incentivo per creditori e debitori a ristabilire l’equilibrio dei propri conti con l’estero. Una camera di compensazione così congegnata consentirebbe di finanziare gli squilibri interni all’Europa, senza dover ricorrere ai mercati finanziari internazionali, e, al tempo

Indicatori economici Fonti: Eurostat, Banca d’Italia - dati al 2011

Debito nazionale lordo (% del PIL)

Settore privato 298 mld €

Famiglie

Imprese non finanziarie

Imprese finanziarie

52

70

9

Settore pubblico 329 mld €

275,8Componenti

130,9

144,9

G

200

0

200

2

200

3

200

4

200

5

200

6

200

7

200

8

200

9

20

01

20

10

103,4100

144,9

60

Variazione del debito pubblico (% del PIL)

Bilancia commerciale netta (% del PIL)

-10,1

Bilancia commerciale netta (% del PIL)

0,5

888,1

92,5

IRL

Debito nazionale lordo (% del PIL)

Settore privato 1.385 mld €

Famiglie

Imprese non finanziarie

Imprese finanziarie

118

199

571

Settore pubblico 144 mld €

980,6Componenti

200

0

200

2

200

3

200

4

200

5

200

6

200

7

200

8

200

9

20

01

20

10

37,527,2

92,5

60

Variazione del debito pubblico (% del PIL)

P

Debito nazionale lordo (% del PIL)

Settore privato 645 mld €373,3

93,3

Famiglie

Imprese non finanziarie

Imprese finanziarie

99

168

106

Settore pubblico 161 mld €

466,6Componenti

200

0

200

2

200

3

200

4

200

5

200

6

200

7

200

8

200

9

20

01

20

10

48,5

62,8

93,3

60

Variazione del debito pubblico (% del PIL)

Bilancia commerciale netta (% del PIL)

-10

FM00 MONETA, CREDITO E FINANZA

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Indicatori economici Fonti: Eurostat, Banca d’Italia - dati al 2011

EBilancia commerciale netta (% del PIL)

-4,6

Debito nazionale lordo (% del PIL)

Settore privato 3.346 mld €

Famiglie

Imprese non finanziarie

Imprese finanziarie

84

136

98

Settore pubblico 642 mld €

379Componenti

61

318

200

0

200

2

200

3

200

4

200

5

200

6

200

7

200

8

200

9

20

01

20

10

59,4

43,1

6160

Variazione del debito pubblico (% del PIL)

FBilancia commerciale netta (% del PIL)

-1,7

Debito nazionale lordo (% del PIL)

Settore privato 5.299 mld €

Famiglie

Imprese non finanziarie

Imprese finanziarie

51

105

119

Settore pubblico 1.591 mld €

356,4Componenti

274,1

82,3

200

0

200

2

200

3

200

4

200

5

200

6

200

7

200

8

200

9

20

01

20

10

57,366,4

82,3

60

Variazione del debito pubblico (% del PIL)

DBilancia commerciale netta (% del PIL)

5,7

Debito nazionale lordo (% del PIL)

Settore privato 5.378 mld €

Famiglie

Imprese non finanziarie

Imprese finanziarie

63

71

83

Settore pubblico 2.062 mld €

300,2Componenti

217

83,2

200

0

200

2

200

3

200

4

200

5

200

6

200

7

200

8

200

9

20

01

20

10

60,268,6

83,2

60

Variazione del debito pubblico (% del PIL)

FM00 MONETA, CREDITO E FINANZA

Aut

ore

* Luca Fantacci

Docente di Scenari economici

internazionali e di Storia delle crisi

finanziarie all’Università Bocconi.

È autore di una monografia sulla

storia della moneta e del pensiero

del denaro: La moneta. Storia di

un’istituzione mancata (Marsilio

2005). Studioso del pensiero di

Keynes, ne ha curato recentemente

due raccolte di scritti: Risparmio e

investimento (Donzelli 2010) e

Eutopia. Proposte per una moneta

internazionale (et al. edizioni 2011).

Ha scritto, insieme a Massimo

Amato, un saggio sulla crisi in corso:

Fine della finanza (Donzelli 2009).

Con Amato collabora poi alla

promozione di sistemi di finanza

alternativa, anche attraverso il blog

www.linkiesta.it/blogs/altra-finanza.

1948

Nasce l’Organizzazione Europea di

Cooperazione Economica (OECE)

finalizzata al coordinamento

dell’attuazione del Piano Marshall

approvato dal Congresso

americano con l’obiettivo di

favorire il processo di ripresa

economica nei paesi colpiti dalla

guerra

1950

Nasce per iniziativa dell’OECE

l’Unione Europea dei Pagamenti

(UEP), fondata su un meccanismo

di compensazione multilaterale nei

pagamenti internazionali, con

l’obiettivo di aiutare i paesi membri

a rendersi indipendenti da aiuti

esterni di carattere eccezionale e

di incoraggiare gli scambi

commerciali in condizioni di

stabilità monetaria e finanziaria

1958

Alla UEP viene sostituito l’Accordo

Monetario Europeo (AME) che

abolisce la compensazione

automatica dei crediti reciproci.

L’Accordo istituisce un Fondo

monetario europeo atto a

finanziare gli Stati membri allo

scopo di riequilibrare le loro bilance

dei pagamenti

Cro

nolo

gia

Fonti: Banca d’Italia

stesso, di assicurare che quegli squilibri siano limitati e temporanei.Bello, si dirà, ma si può fare? Ebbene, sì. Anzi, lo si è già fatto. E proprio in Europa. Poco più di cinquant’anni fa. In una situa- zione simile. Con esiti straordinari. L’Europa usciva stremata dalla seconda guerra mon- diale, aveva già divorato decine di miliardi di dollari di aiuti dagli Usa sotto il Piano Mar- shall, e ciononostante la ripresa stentava. Servivano ancora soldi? No, serviva soltanto uno strumento per consentire ai Paesi europei di farsi credito a vicenda, in modo da consentire loro di ricominciare a investire, produrre, scambiare e consumare. Lo stru- mento fu trovato, nel 1950, nella forma di una camera di compensazione: l’Unione Eu- ropea dei Pagamenti. In otto anni fece let- teralmente miracoli: il miracolo economico italiano e quello tedesco, il raddoppio del commercio in Europa, la triplicazione di quello con gli Stati Uniti, la liberalizzazione degli scambi, l’inizio di uno spazio economi- co comune, integrato e bilanciato.Allora come oggi, si veniva dal paradosso di non riuscire a far incontrare bisogni insod- disfatti con risorse inutilizzate, il paradosso di ogni crisi. Oggi come allora, l’incontro può essere favorito dall’istituzione di una camera di compensazione: una nuova Unione Euro- pea dei Pagamenti potrebbe davvero con- tribuire a ridare credibilità e tempra a quel coraggioso progetto, politico ed economico, di prosperità e di pace, che muoveva allora i primi passi e che chiamiamo Europa.

10

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D A L L A C R I S I D E L C R E D I T O A L L A C O M P E N S A Z I O N E M U L T I L A T E R A L E

FM00 MONETA, CREDITO E FINANZA

Accesso al credito delle PMI italiane

Fonti: Istat - dati al 20111 Analisi mensile del Centro Studi Confindustria, Novembre 2011

20102007

PMI che hanno cercato finanziamenti esterni

52,2%36,5%

20102007

PMI che hanno ottenuto finanziamenti esterni

79,8%87,5%

Soggetti finanziatori

20102007

Banche

>90%>90%

20102007

Altri soggetti (proprietà, soci di cooperative, etc.)

35,4%17,1%

Canali di finanziamento

20102007

Credito

>90%>90%

20102007

Altri canali (credito commerciale, sussidi, leasing, etc.)

35,4%17,1%

Motivi di insuccesso nella richiesta di credito

20102007

Quantità di credito accordata

52%49%

20102007

Tassi d’interesse troppo elevati

22%32%

20102007

Condizioni contrattuali non accettabili

26%19%

C O N C E P I R E I L C R E D I T O C O M E R A P P O R T O B I L A T E R A L E N O N È L ’ U N I C O M O D O O G G I P O S S I B I L E : I L P A S S A G G I O A D U N S I S T E M A D I C L E A R I N G S A R E B B E M O L T O P I Ù V A N -T A G G I O S O P E R I C O N T R A E N T I E , I N G E N E R A L E , P E R I L S I S T E M A P R O D U T T I V O . I L T E S T O S E G U E N T E H A L ’ O B I E T T I V O D I A R G O M E N T A R E E S P I E G A R E Q U A N T O A P P E N A A F F E R M A T O , P A R T E N D O D A U N A B R E V E P R E C I S A Z I O N E R I G U A R D O A L L E F U N Z I O N I C H E L A M O N E T A S V O L G E N E L N O S T R O S I S T E M A E C O N O M I C O E F I N A N Z I A R I O .

menti potranno essere effettuati; viceversa se il tasso è basso.

Con lo sviluppo dei mercati finanziari la pressione che il tasso di interesse ha svolto sull’economia reale si è fatta più pressante, la possibilità di ottenere alti rendimenti im- mediatamente disponibili ha alzato ulterior-mente il costo opportunità degli investi-menti reali. Se in tempi di boom (dove il costo del denaro è basso) questo non ha compromesso eccessivamente il funziona-mento del ciclo produttivo, nei periodi di crisi il finanziamento dell’attività produttiva è divenuto più oneroso e, talvolta, non è nemmeno disponibile. Se per esempio foca- lizziamo la nostra attenzione sullo scenario in cui le PMI italiane si trovano oggi, pos- siamo identificare alcune criticità: con nuove emissioni di debito pubblico finanziate a tas- si superiori al 6% lo Stato diventa un sostan-ziale concorrente per le imprese che si trova- no, dovendo naturalmente pagare un premio di rischio superiore, a fronteggiare tassi al- tissimi, per di più in un periodo di crisi e di generale scarsità di risorse. Con simili tassi sul debito pubblico anche la raccolta ban- caria diventa più onerosa (obbligazioni che erano al 2.5% nel 2010 saliranno al 5.9% nel 2012 e al 6.5 nel 2011, stime CsC1) e la stretta va a scaricarsi a valle sulle imprese. Una così forte difficoltà di finanziamento per le PMI ha portato nell'ultimo trimestre il 34.4% delle imprese (dal 26.4% del trimestre pre- cedente) a ottenere credito inferiore rispetto a quello domandato, mentre le aziende che rie- scono ad accedere al credito sono scese dal 55.8% al 49.8% (dati Confcommercio). Inol- tre il problema si rileva non solo in conto capitale ma anche per quanto riguarda la gestione del circo-lante, con l'aumento delle richieste di finanziamento sul breve al 50% totale rispetto ad un dato storico del 20%.

La moneta è «unità di conto», ovvero ciò che denomina debiti e crediti, una funzione che le attribuisce la caratteristica di essere unità di misura. In quanto «mezzo di pagamento», la moneta è libera dai debiti ed è quella cosa contro cui si scambia una merce o un servizio. La moneta è però anche «riserva di valore»: può infatti essere messa da parte per essere utilizzata in futuro mantenendo intatto il proprio valore.

Nel sistema economico in cui ci troviamo le tre funzioni sono racchiuse in un unica banconota (o unità di moneta scritturale). Tale scelta non è però un fatto, bensì una de- cisione istituzionale: John Maynard Keynes ha mostrato chiaramente nel Treatise on money come il tratto di riserva di valore della moneta sia possibile solo a seguito dell’identificazione della unità di conto con il mezzo di scambio. Incorporare mezzo di pa- gamento e unità di conto una volta per tutte fornisce al possessore del mezzo di paga- mento la sicurezza del suo potere liberatorio, facendo così diventare la moneta che circola una merce che possiede la peculiarità di mantenere intatto il proprio valore. A questo punto il risparmio può assumere la forma monetaria e ciò, come Keynes ci mostra nella General Theory, comporta notevoli implica-zioni dal punto di vista economico. La possi- bilità istituzionale della tesaurizzazione per- mette la nascita del tasso di interesse in senso moderno, ossia di quel rendimento che si può ottenere in cambio della cessione di moneta per un periodo di tempo limitato. In tale sistema ogni attività produttiva dovrà confrontare il rendimento dei propri piani di investimento con il tasso di interesse vigente sul mercato. Si può ora comprendere come il tasso di interesse diventi la variabile chiave per un imprenditore e per gli attori eco- nomici: più alto sarà il tasso, meno investi-

di Lucio Gobbi, Luca Larcher, Marco Bianchini *

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tempo stimolando l'attività economica grazie alla maggiore velocità di circolazione delle unità di conto interne. Poiché le unità di conto interne sono una monete scritturale, esse possono circolare solo tra soggetti che hanno un conto presso la clearing house. Questa caratteristica rende un circuito di clearing un sistema chiuso, ma bisogna dare un'accezione molto particolare al termine «chiuso». Il sistema, infatti, non è in nessun modo esclusivo: chi- unque può entrarci, come ogni partecipante può uscire in ogni momento. «Chiuso» si- gnifica in questo caso che l'ambito di cir- colazione dei saldi in unità di conto interne è limitato dai confini stessi del circuito di clearing e che in ogni momento è possibile distinguere con precisione tra chi è all'in- terno del sistema e chi non vi partecipa. I partecipanti del sistema godono di notevoli vantaggi: in primo luogo possono rispar- miare sui costi di finanziamento dell'im- presa ricorrendo a scoperti sul conto presso la clearing house. Questa infatti applica dei tassi d'interessi molto bassi sui saldi negativi in unità di conto interna, perché questi proventi servono solo a coprire i costi di ge- stione operativa della clearing house stessa e non anche a remunerare il capitale prestato. La clearing house infatti non ha bisogno di finanziarsi sul mercato, quindi oltre a poter concedere credito a tassi molto vantaggiosi la sua capacità di erogare crediti alla pro- duzione è completamente slegata dall'an- damento dei tassi di interesse di mercato e dalle condizioni dei mercati monetari. In secondo luogo, una volta che il sistema di clearing ha raggiunto una massa critica di funzionamento, i partecipanti godranno i benefici della maggior velocità di circola- zione delle unità di conto interne, che stimo- lerà l'attività economica e le vendite. I costi del circuito si limitano alla gestione operativa della clearing house e vengono co- perti applicando un tasso d'interesse ai saldi passivi e delle commissioni sui pagamenti in unità di conto interne. Poiché il sistema è fortemente centralizzato e informatizzato, i costi di gestione delle clearing house sono molto modesti. Questo paradigma è applicato con successo da una banca svizzera di nome WIR Bank, che da più di settant’anni gestisce un circuito di clearing finanziando le decine di migliaia di imprese iscritte, a tassi molto competitivi. Il successo di tale istituzione e la sua capacità di stimolare la crescita e la produzione delle piccole e medie imprese svizzere meritano at- tenzione, come anche la possibilità di repli- care il suo sistema, ponendo così le basi per una finanza che non sia autoreferenziale ma risponda alle esigenze del sistema produttivo.

In un simile contesto il problema risulta essere quello di permettere alle imprese sane di finanziarsi a tassi gestibili e di poter rivi- talizzare gli scambi di merci e servizi ri- portando la velocità della circolazione di moneta a livelli accettabili. Un possibilità sarebbe quella di «multilateralizzare» il rap- porto di credito attraverso l’istituzione di un sistema di clearing. Un sistema di clearing, infatti, istituisce uno spazio di credito effetti-vamente multilaterale, dove le imprese pos- sono farsi credito vicendevolmente senza subire le ripercussioni causate dall'instabi- lità dei mercati monetari globali.Concretamente, il funzionamento di un si- stema di clearing è piuttosto semplice. Si tratta di una comunità di scambio ben definita, che può essere composta da una pluralità di soggetti, tra cui imprese, enti pubblici o individui, incentrata intorno ad una clearing house. La clearing house è il perno del sistema: ogni partecipante al cir- cuito di clearing ha un conto presso la clea- ring house, dove vengono registrati i suoi affari con gli altri membri della comunità di scambio. Per ogni pagamento ricevuto il suo conto registrerà un saldo positivo, per ogni pagamento effettuato uno negativo. Questi saldi si sommano e si compensano nel conto di ogni partecipante, che mostra quindi la sua posizione netta cumulativa verso il resto del circuito nel suo complesso. Il saldo del conto presso la clearing house può essere quindi interpretato come un riassunto dell'attività economica di ciascun parteci-pante all'interno del circuito di clearing ed è denominato nell'unità di conto interna della clearing house. Per funzionare, infatti, un sistema simile necessita di una sua unità di conto, di uno strumento in grado di misu- rare l'attività economica di ciascun parteci-pante e di quantificare il valore dei suoi scambi. I circuiti di clearing si basano su un'unità conto interna, una moneta scrittu- rale che svolge la funzione di unità conto, ma non quella di riserva di valore. Infatti, i saldi attivi in unità di conto interne, cioè le po- sizioni presso la clearing house dei parteci-panti che hanno maturato un credito nei confronti del sistema nel suo complesso, non pagano alcun tasso d'interesse, anzi talvolta sono sottoposti al pagamento di interessi passivi al pari dei saldi debitori. Questi oneri sui saldi attivi servono a velocizzare la cir- colazione delle unità di conto interne, impe- dendo che quest'ultime vengano accumulate come riserva di potere d'acquisto. In questo modo si evitano i conflitti che possono sorgere quando la stessa moneta svolge con- temporaneamente tutte e tre le funzioni menzionate sopra, garantendo un finanzia-mento stabile per la produzione e al con-

* Lucio Gobbi

Laureato in Economia e finanza

all'Università Bocconi, sta

concludendo il Master of science in

Economics presso la stessa

Università.

* Luca Larcher

Laureato in Economia e finanza

all'Università Bocconi, Master of

science in Economics presso la

stessa Università.

* Marco Bianchini

Laureato in Economia e Commercio

presso l'Università degli studi di

Firenze, sta concludendo il Master

of science in Economics presso

l'università Bocconi.

Aut

ori

FM00 MONETA, CREDITO E FINANZA

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FM00 MONETA, CREDITO E FINANZA 13

pria attività, sarebbero obbligatoriamente destinate ai fondi mutualistici per la pro- mozione e lo sviluppo della cooperazione;b) locali, in quanto possono diventare soci le persone, le imprese e le associazioni che svolgono la loro attività nella zona di compe-tenza territoriale della banca, che com- prende i Comuni nei quali la banca ha la sede legale, le succursali e le zone limitrofe; c) solidali, in quanto società di persone e non di capitali che promuovono l'aiuto re- ciproco dei soci e facilitano l'accesso al credito delle fasce più deboli. Per vocazione e tradizione sono banche vicine a chi è pros- simo alla soglia della povertà e dei bisogni elementari, a chi vive in aree di emargina- zione. Nella concessione del credito, tengono conto più delle capacità personali che del patrimonio.d) appartenenti ad un sistema, le BCC-CR sono inserite nel più ampio contesto di un sistema associativo ed imprenditoriale, de- nominato “Credito Cooperativo” che con- sente ad ognuna di esse di ottenere servizi e prodotti in una logica di economie di scala e di una qualificata offerta alla clientela.D. Quali sono le funzioni svolte dalla Feder-azione delle Banche di Credito Cooperativo?R. La Federazione delle Banche di Credito Cooperativo dell’Emilia-Romagna è una So- cietà Cooperativa con funzioni consortili, che ispira la propria attività ai principi della mutualità e della solidarietà e non ha fini di lucro. Si propone di promuovere la costitu- zione di Banche di Credito Cooperativo, di rafforzare il rapporto con le comunità localidi cui tali banche sono espressione e di age- volare il loro sviluppo, mediante l'esercizio di attività nell'interesse comune e nel ri- spetto dell'autonomia propria di ciascuna banca, cui fornisce rappresentanza, assisten- za, consulenza, e formazione ed eroga servi- zi. La Federazione delle BCC dell’ Emilia- Romagna costituisce l’organismo associativo di secondo grado delle Banche di Credito Co- operativo della regione e aderisce a sua volta alla Federazione Nazionale (Federcasse).D. Può darci una panoramica sulla diffu- sione del credito cooperativo in Emilia Ro- magna? R. Il credito cooperativo in Emilia-Romagna è un sistema composto da 22 BCC e dalla Federazione delle BCC dell’Emilia-Romagna come loro espressione associativa. Gli oltre 98.000 soci sono il primo patrimonio delle Banche di Credito Cooperativo dell’ Emilia-

Romagna. Essi sono i proprietari delle a- ziende (e come tali ne stabiliscono gli indi- rizzi strategici), eleggono gli amministratori e i sindaci (e come tali sono responsabili della gestione), sono i clienti di riferimento nella raccolta e nell’erogazione del credito. Le BCC emiliano romagnole danno occu- pazione diretta a oltre 3.000 persone e di- spongono di una rete distributiva di oltre 375 sportelli, grazie alla quale sono in grado di servire circa 680.000 clienti in 265 co- muni (il 77,7% dei comuni della Regione). La loro operatività creditizia ammonta ad oltre 8.200 milioni di euro di impieghi e oltre 9.000 milioni di euro di raccolta diretta. Le BCC dell’Emilia-Romagna hanno un ruolo importante nel promuovere lo sviluppo del territorio avendo saputo realizzare negli ultimi anni una crescita dei propri impieghi nettamente superiore alle dinamiche del si- stema creditizio regionale.D. Una caratteristica delle banche di cre- dito cooperativo è di essere mutualistiche. Che tipologie di soci sono presenti entro il credito cooperativo? R. C’è stata una profonda trasformazione in questi anni che è derivata dalla Legge Ban- caria, quando è venuto meno il vincolo per cui i quattro quinti dei soci dovevano essere agricoltori e artigiani, per cui attualmente tra i soci c’è una presenza assai variegata di tutte le categorie economiche. Prevalente-mente sono ancora agricoltori e artigiani, piccoli imprenditori, perché storicamente è stato così, ma ci sono anche commercialisti, liberi professionisti, impiegati e operai. Noi comunque dobbiamo operare prevalente-mente, almeno al 51%, con i soci, soprattutto negli impieghi, e quindi siamo molto attenti a che tra i nostri soci vi siano prevalente-mente imprenditori. D. Per una banca con simili caratteristiche le reti di imprese che si stanno costituendo sui territori sono interlocutori interessanti?R. Sì, sono soggetti interessanti, non a caso abbiamo messo allo studio i nostri colleghi dell’Ufficio Studi sul diritto delle reti di imprese, per cercare di comprendere meglio queste nuove realtà. Si discute molto del futu- ro degli ex distretti industriali e per andare in questa direzione le imprese devono pun- tare sull’innovazione e sull’utilizzo di nuove forme aggregative come le reti. Questa è una delle scommesse più importanti, dagli esiti non scontati, perché a volte scattano mec- canismi di auto-difesa dell’innovazione, come

D. Dott. Quadrelli, può illustrarci le pecu- liarità che caratterizzano il credito coope-rativo? R. Le Banche di Credito Cooperativo-Casse Rurali (BCC-CR) sono società cooperative senza finalità di lucro, il cui obiettivo è fa- vorire la partecipazione alla vita economica e sociale, di porre ciascun socio nelle con- dizioni di essere, almeno in parte, autore del proprio sviluppo come persona. Originaria- mente, le BCC vedono la luce come Casse Rurali ed Artigiane nel periodo a cavallo tra la fine dell'800 e il nuovo secolo ad opera di cooperatori ispirati dal Magistero sociale della Chiesa Cattolica, e nascono da una necessità e da un'utopia. La necessità di la- sciare che il maggior numero possibile di persone ottenesse prestiti a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle praticate dalle banche tradizionali. L'utopia di riuscire a far procedere insieme intrapresa e solidarietà, attenzione alle persone e capacità di autofi-nanziamento. Da allora, le Casse Rurali ed Artigiane hanno mantenuto uno strettissimo rapporto con il territorio di riferimento, in- trecciando la propria storia con quella delle comunità locali. Mutualità, localismo, soli- darietà, appartenenza ad un «sistema» sono i caratteri che hanno distinto le Banche di Credito Cooperativo nell'ambito del pano- rama bancario italiano. Le Banche di Credito Cooperativo sono banche:a) mutualistiche, in quanto società coopera-tive che erogano il credito principalmente a soci. Ciascun socio ha diritto a un solo voto a prescindere dall’entità della partecipazione posseduta, che non può essere superiore a 50.000 euro. Non perseguono scopi di pro- fitto bensì obiettivi di utilità sociale. Per quanto concerne la destinazione degli utili:- le Banche di Credito Cooperativo devono destinare almeno il 70% degli utili netti an- nuali a riserva legale;- una quota degli utili netti annuali deve essere corrisposta ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione; - la quota di utili rimanenti, che non è utiliz- zata per la rivalutazione delle azioni o asse- gnata ad altre riserve o distribuita ai soci, deve essere destinata a fini di beneficenza o mutualità.Le riserve patrimoniali della BCC-CR, rispet- to al principio mutualistico, sono inoltre indivisibili ed indisponibili. Questo significa che non verranno mai ripartite tra i soci e che, nel caso in cui la banca cessasse la pro-

di Francesco Zardon e Franco Fortunati

I N T E R V I S T A A L D O T T . D A N I E L E Q U A D R E L L ID I R E T T O R E G E N E R A L E D E L L A F E D E R A Z I O N E D E L L E B A N C H E D I C R E D I T O C O O P E R A T I V O D E L L ’ E M I L I A - R O M A G N A

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di credito nei territori. Noi abbiamo conti- nuato a erogare credito ai nostri clienti tradizionali, storici, ma anche ad altri sog- getti. E questo in un contesto di evoluzione della crisi in senso negativo, sebbene tutti fossimo convinti che nella primavera del 2011 si sarebbe cominciato a intravvedere la fine del tunnel e si stesse tornando a parlare di post crisi, mentre è sopraggiunta una gelata terrificante, non è ancora terminata, e il 2012 non si presenta certamente con un profilo migliore del 2011. Questa per noi è una delle stagioni più difficili, perché dopo anni in cui abbiamo avuto una crescita con- tinua e un aumento delle quote di mercato, ora dobbiamo rallentare l’erogazione del credito: abbiamo inviti precisi in merito dalla Banca d’Italia. Noi andiamo anche oltre il 100% nel rapporto fra impieghi e depositi, e questo già con l’entrata in vigore di Basilea 3 non sarà più consentito. Soprat-tutto, abbiamo un aumento delle sofferenze molto forte, perché la crisi è una crisi vera, che non tocca solo l’imprenditore improvvi-sato, ma anche imprenditori di lungo peri- odo, e in certi casi in modo drammatico, molti dei quali evolvono verso una situa- zione di fallimento. E dunque proprio per questo è essenziale impiegare il denaro che abbiamo a disposizione nei settori dove è più facile la ripresa e dove è più rapido un ri- torno dei fondi erogati, quindi si impone un approccio di selezione molto rigoroso, che non è semplice da attuare. D’altra parte noi siamo presenti nei territori e nei rapporti con Banca d’Italia chiediamo cosa dobbiamo fare di fronte ad imprese che hanno magari rate non pagate, poiché se irrigidiamo i nostri criteri accentuiamo le loro difficoltà, e quando un’impresa muore non rinasce più, quindi bisogna difenderla fino a quando è possibile farlo. Io però non appartengo alla scuola dei pessimisti a tutti i costi, anche perché non serve, e credo che si debba su- perare questa fase resistendo alle difficoltà, che dureranno a mio parere altri tre o quat- tro anni. Noi siamo soggetti dei territori che con i territori vivono in simbiosi, e sono arri- vato a ipotizzare forme di remunerazione legate ai territori, anche per i nostri dirigen- ti: se il tuo territorio avanza, avanzi anche tu, se il territorio rimane bloccato, rimani bloc- cato anche tu. Nelle politiche retributive si potrebbero inserire meccanismi di questo tipo, che siano premianti gli sforzi che rendono nuovamente propositivo, proattivo il territorio.D. Siamo in una situazione in cui occorre avere il coraggio culturale di inquadrare il lavoro (e il «non lavoro») in una cornice territoriale e non più legandolo soltanto alle singole aziende, per poter affrontare ade-

FM00 MONETA, CREDITO E FINANZA

guatamente la riqualificazione e la ricollo-cazione delle persone. FormArea & Partner lavora su questo con l’Università di Bolo- gna, credendo nel territorio come soggetto attivo per affrontare la crisi e il cambia-mento. Lei cosa ne pensa?R. Mi trovo d’accordo con questo approccio.D. Quali conseguenze ha comportato per il credito cooperativo la concomitanza dell’at- tivazione dei criteri di Basilea 2 con la pri- ma fase della crisi internazionale?R. Anche in questo caso non bisogna fare i catastrofisti. Diciamo che Basilea 1, 2 e 3 hanno riconfigurato la modalità di affron-tare i rischi, certamente causando un mag- giore irrigidimento nell’erogazione del cre- dito, però introducendo il principio basilare di una trasparenza maggiore tra banca e im- presa, che nel nostro mondo non è semplice da ottenere, basti pensare alla questione dell’evasione fiscale. Per fare una battuta, se per erogare il credito dovessimo considerare i bilanci presentati allo Stato da molte aziende alberghiere della Riviera Adriatica, non potremmo finanziare nessuno. In quel caso vi è stato un compromesso sistematico che ha governato quelle realtà per mol- tissimo tempo, con l’adesione di tutti, delle forze sindacali e sociali. Perché nel periodo dello sviluppo, dagli anni ’50 fino a una buona parte degli anni ’70, questo compro-messo sistematico consentiva che tutto il nero derivante dall’evasione fiscale e anche da quella contributiva in qualche modo rien- trasse nel circuito economico per il migliora-mento di quel contesto. Siamo però arrivati a un punto in cui tale circuito non è più vir- tuoso ed oggi addirittura c’è il rischio di una implosione del modello, perché siamo ormai alla quarta o quinta generazione, i pro- prietari non fanno più gli albergatori, i figli fanno i medici o gli ingegneri o altre attività, e si affittano gli alberghi a 2.500 euro a came- ra, per cui un albergo di cento camere costa 250.000 euro di affitto, e un imprenditore disposto a spendere 250.000 euro anticipati è chiaro che non fa investimenti nell’albergo. Quindi quel compromesso sistematico non regge più e questo ha un grande peso, come un grande peso è prodotto sulla nostra Re- gione, in particolare sulla Riviera Adriatica, e su parte delle nostre banche, dalle diffi- coltà del settore delle costruzioni, poiché ad esso va il 25 % del credito – in certi casi anche il 30-35 % - e se una quantità così cospicua di risorse risultano inchiodate non le si può utiliz- zare da altre parti. D. Alcuni sostengono che la crisi dell’ edi- lizia e del modello sociale mettano in discus-sione il modello emiliano, che si basava in buona parte su questi due pilastri. Una tale analisi della situazione regionale si raccorda

fattore di competitività. D. Quindi la sfida consiste nel mettere in- sieme il poco credito disponibile con la poca innovazione che c’è, tenendo conto dell’enor- me conservatorismo dei territori?R. Esattamente, e tenendo conto di alcuni altri fattori come la formazione. La nostra Federazione ha fatto molta formazione al suo interno, molta in rapporto ai criteri ita- liani, perché se si va all’estero si vede che c’è, per esempio, una legge francese che impone di dedicare il 3% del fatturato in formazione, mentre noi non abbiamo queste opportu-nità. Istituti bancari di tipo cooperativo, come il Crédit Mutuelle di Lione, dedicano ormai il 3,5-4% di investimento alla forma- zione e non mettono in linea i loro operatori se non dopo un anno di formazione. D. Quali sono i clienti a cui il credito coope- rativo si rivolge in modo preferenziale? R. Per sua stessa natura, la Banca di Credito Cooperativo è una «banca vicina», una «banca che ascolta», pronta ad accogliere, a rispondere, a risolvere problemi in maniera non burocratica e all'insegna della qualità. La famiglia non poteva quindi non essere il soggetto privilegiato dell'azione delle Ban- che di Credito Cooperativo. Le famiglie pos- sono trovare servizi mirati per le esigenze quotidiane e per i progetti più importanti, tra l’altro, le Banche di Credito Cooperativo aiutano in vari modi i giovani a dedicare tempo libero ad attività sociali, culturali e sportive. Ma le Banche di Credito Coopera-tivo sono in maniera altrettanto naturale partner privilegiati delle piccole e medie im- prese. Molte analisi economiche hanno cer- tificato il fortissimo legame che unisce le im- prese medio-piccole alle banche locali e, tra queste, specificatamente, le Banche di Credi- to Cooperativo, con le quali i rapporti di lavoro risultano più solidi, più stabili e più longevi. Non sono rari i casi di primarie in- dustrie italiane di medie e piccole dimen-sioni che hanno raggiunto livelli produttivi e di penetrazione sui mercati esteri di assoluto rilievo grazie a rapporti di collaborazione con Banche di Credito Cooperativo consoli-datisi nel tempo.D. Come ha visto l’evolvere della situazione per il credito cooperativo negli anni che vanno dall’inizio della crisi (2007/2008) fino a oggi? R. L’ho vista come una situazione di diffi- coltà, problematica. Noi, come soggetti del territorio, abbiamo continuato a erogare cre- dito fino quasi allo sfinimento. Nel 2008-09 il credit crunch è stato fortissimo, le dire- zioni centrali dei gruppi hanno accentrato a sé l’erogazione del credito, togliendo in larga misura la potestà alle varie filiali di erogare fondi, e questo ha comportato una mancanza

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banche, che potrà essere uno strumento molto utile. Senza arrivare ad essere total- mente schumpeteriano, per cui si dovrebbe distruggere per creare, sono convinto che la crisi sarà un motore di idee, di opportunità. Mi fanno paura i «terribilisti», secondo i quali siamo arrivati alla fine del mondo, mentre in realtà dentro di noi c’è qualcosa di nuovo, dentro i territori abbiamo delle idee, anche se poi occorre vedere se sono presenti anche le risorse per aiutarle; le idee co- munque nascono piccole e bisogna farle crescere.D. Non arriveremo comunque più ai volumi economici precedenti alla crisi?R. Assolutamente no. D’altra parte non sononemmeno dell’idea che possiamo governare tutto. C’è un «inaspettato» dentro l’economia, sempre. Se non fosse così non si capirebbe nemmeno come mai adesso ci sia la crisi: nessuno o ben pochi l’avevano prevista. Quindi dobbiamo lavorare su quell’ inaspet-tato, finanziando le buone pratiche e quelle iniziative che garantiscono anche il ritorno degli investimenti. Non sono nemmeno con- vinto che la banca debba diventare il luogo dove si effettuano le scelte per gli altri; la banca deve svolgere il suo ruolo e deve farlo

bene, ma non deve fare l’imprenditore non bancario, perché produrrebbe disastri. D. Un economista, Marco Vitale, fa spesso riferimento all’impresa italiana del ‘400: è questa la nostra realtà, gli imprenditori che facevano gli artigiani e giravano tutto il mondo per esportare i loro prodotti e che insieme ai Comuni hanno creato il primo modello di welfare. Secondo lei il modello da seguire può essere il modello economico italiano, che ha le sue radici in secoli lon- tani?R. In effetti non si fa qualcosa contro la propria natura profonda. Ho ragionato con il prof. Vella, che recentemente ha scritto un testo sulla crisi sostenendo la tesi che il problema sono le dimensioni ridotte delle nostre aziende. Io non so se questo sia vero – per esempio nel sistema bancario non è vero che le banche più grandi abbiano retto meglio la crisi. Addirittura un importante economista, e attuale ministro del tesoro in Gran Bretagna, dice che vorrebbe delle banche più piccole per il suo Paese.D. Probabilmente si tratta di organizzarsi per mettere a sistema quello che può essere messo a sistema.R. Esattamente, si tratta di fare questo.

di Francesco Zardon

I N T E R V I S T A A L D O T T . V I V I A N O F I O R II M P R E N D I T O R E E P R E S I D E N T E D E L L A B A N C A D I C R E D I T O C O O P E R A T I V O D I V E R G A T O , B O L O G N A

con il concetto che lei ha appena espresso?R. Relativamente alla realtà da cui proven- go, una città di mare in cui conosco bene le associazioni di albergatori e di categoria, direi che il modello va in crisi nel momento in cui il corto circuito avviene sul versante delle costruzioni, che trascina con sé tutti i settori collegati rischiando di provocare l’abbattimento del costo delle case, che per le banche è stato un volano. Un istituto ban- cario quando valutava una data situazione si basava anche sulle garanzie immobiliari, pensate se si dovesse riconsiderare tutto, anche se ora si effettueranno le rivalutazioni delle rendite catastali. Si tratta comunque di un perdita secca, che potrebbe creare diffi- coltà nel momento in cui la Banca d’Italia ef- fettuasse un’analisi del credito e delle garan- zie nel sistema bancario. In questo momento ci si deve muovere con grande attenzione e grande equilibrio, perché da una situazione critica come l’attuale non si uscirà a breve, nonostante l’ultima stagione turistica sia stata magnifica con un mese in più di lavoro, la cui liquidità per altro non è confluita in banca. Attualmente c’è un’importante inizia- tiva del governo, per cui si arriverà alla ga- ranzia dell’emissione obbligazionaria delle

ristrutturata, con un investimento globale di circa 8 milioni di euro. Anche questa attività fatica però a decollare per le tantissime autoriz-zazioni di cui necessita, dovute ai troppi enti operanti, che spesso non colloquiano neppure tra loro: i tempi per la concessione delle auto- rizzazioni sono sempre molto lunghi, tuttavia contiamo a breve di avere tutte le carte in regola per iniziare a gennaio/febbraio 2012 la produzione completa. D. E da quanto tempo vanno avanti queste richieste di autorizzazione ?R. La maggiore difficoltà consiste nel fatto che l’ottenimento di un’autorizzazione spesso passa attraverso innumerevoli adempimenti burocratici: serve un’autorizzazione per fare le vasche di prima pioggia dove vengono raccolte tutte le acque meteoriche, ottenuta la quale ne serve un’altra per cominciare a trattare i rifiuti, quindi siamo soggetti a audit continui sui vari processi di produ-zione da parte degli enti pre- posti al rilascio di tali documentazioni. In un incontro a Vergato con imprenditori e sin- dacato, a cui era presente Bruno Papignani della CGIL, mi sono sentito di affermare che oggi il lavoratore dipendente e l’imprenditore

non devono più farsi la guerra, ma devono unirsi per lottare contro la burocrazia e i mer- cati esteri. È una guerra fra poveri, anche se l’ im- prenditore è più «ricco» del proprio dipen- dente: credo che sia giusto collaborare per sconfiggere altri avversari come India, Cina, la globalizzazione, la burocrazia che affossa le pic- cole aziende. D. Quindi la DISMECO deve ancora inco- minciare a effettuare la produzione vera a propria?R. Nel settore lavatrici e piccoli elettrodome- stici stiamo già lavorando da circa un anno, mentre siamo in attesa delle autorizzazioni per trattare i monitor dei PC e dei televisori, e i tubi fluorescenti delle luci al neon, etc. Nei Paesi nordici viene recuperato il 90% dei tubi al neon, tubi fluorescenti e lampadine, che hanno all’interno una parte di mercurio e quindi peri- colosa. Francia e Germania recuperano il 45% mentre in Italia sol-tanto il 5%: speriamo in un aiuto delle isti-tuzioni per migliorare i risultati attuali.D. Il riciclo RAEE ha un ampio mercato in Italia in cui si può espandere?R. Credo che la concorrenza sia già agguerrita e

D. Intervistiamo il Dott. Viviano Fiori, im- prenditore e Presidente della Banca Coope- rativa di Vergato. Dott. Fiori, può presen-tarci le attività imprenditoriali in cui è im- pegnato ?R. Svolgo attività immobiliari, ho quattro so- cietà immobiliari, due di famiglia e due con soggetti terzi – un importante gruppo bo- lognese, il Gruppo Macaferri, e la seconda con tecnici. È chiaro che in un momento come questo le società immobiliari soffrono non poco: recentemente ho avviato due attività nel comune di Vergato ritenendo di poter andare sul mercato con prezzi inferiori al mercato stesso, anche perché in un periodo come l’attuale, se non ci si propone con ottimi prezzi chiaramente non si vende. Ho cioè tentato paio di interventi, per esempio con un oggetto da 240.000 euro che andrà sul mercato a 190.000, grazie a un acquisto iniziale molto basso; ritengo sia questa l’unica maniera per poter vendere qualcosa oggi. Sono poi socio della DISMECO Srl, un’azienda che si occupa del recupero dei RAEE, cioè dei rifiuti di ap- parecchiature to una parte dell’ex stabilimento Burgo a Lama di Reno (Marzabotto), l’abbiamo

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credibile, quest’anno di fallimenti ne abbiamo avuti cinque: un fallimento in vent’anni e cinque in uno! Da questo si può capire quanto sia cambiato lo scenario, con varie situazioni a rischio. Noi cerchiamo di aiutare il più possi- bile, anche se poi soffriamo noi come azienda perché fatichiamo a fare bilancio, con tanti cli- enti in crisi. Nella misura del possibile cer- chiamo di allungare i mutui e di dare un aiuto alle microaziende, anche se non si può con- tinuare all’infinito e molte pratiche devono essere messe in sofferenza. Per quanto riguar- da il settore manifatturiero, in particolare la metalmeccanica, che in questa valle è ab- bastanza presente, in primavera 2011 aveva avuto un forte impulso, poi in agosto con la crisi finanziaria è crollato tutto in un mese. Quello che fa paura e a cui non eravamo abi- tuati è che la globalizzazione incide anche nel- le piccole aziende: il mercato cambia di setti- mana in settimana, una volta cambiava ogni dieci anni. Non si sa mai come muoversi! Altra cosa che sta venendo meno è il finanziamento alle famiglie per il mutuo. Magari fino al 2008 tutti finanziavano il 100% e anche il 120%, poiché finanziavano la casa ma anche l’arredamento, le tasse e il notaio – e questo era sbagliato, noi non siamo mai andati oltre l’80% di finanziamento alle famiglie. Oggi, vista la situazione, occorre avere garanzie, altrimenti non si può finanziare. Questo chia- ramente è negativo, bisognerebbe trovare il sistema per poter finanziare la piccola im- presa e la famiglia. Siamo noi stessi che creiamo recessione se non finanziamo. D. Può dirci qualcosa anche su altri settori, come l’agroalimentare oppure l’elettronica?R. L’agroalimentare sta crescendo in questi territori, come anche l’agriturismo. Sono nati diversi agriturismi di qualità, ma sono più che altro scelte di vita da parte di chi intraprende simili attività: certamente non si diventa mi- lionari ad aprire un agriturismo. Di queste aziendine ne sono nate tante, ma soffrono la crisi: si riempie il sabato, ma durante la setti- mana si hanno soltanto costi e stanze vuote. Da fine novembre a capodanno le imprese a- grituristiche si sostengono per esempio con cene aziendali e recuperano su questo lato, ma da gennaio/febbraio in poi si ritrovano di nuovo in profondo rosso.D. Nel settore del credito che impressioni ha tratto dall’evolvere della situazione a livello locale negli anni che vanno dall’inizio della crisi – 2007/2008 – fino a oggi ? R. A livello locale tutte le aziende di credito stanno adottando criteri più restrittivi: per e- sempio nel settore immobiliare stanno cercando di fare rientrare tutti dalle loro esposizioni, e questo come dicevo genera crisi su crisi. Sarebbe invece questo il momento di dare anziché di chiedere indietro. A Vergato

oggi non c’è una gru in piedi, quando forse cinque anni fa ce n’erano troppe.D. Per quanto concerne le sue imprese immo- biliari l’andamento è stato similare ?R. Dal 2008 abbiamo chiuso completamente i cantieri con il Gruppo Maccaferri, con cui era- vamo abituati a operare costruendo una palazzina da venticinque alloggi alla volta, non cento alloggi. Oggi abbiamo un cantiere con quattro alloggi ancora da vendere e in qualche modo riusciamo a reggere, poi ne abbiamo un altro con tre, e adesso siamo partiti con alcuni lavori nuovi pronti fra un anno. La situazione dal 2008 ad oggi si è bloccata completamente: Vergato prima del boom era un comune in cui si vendevano circa 25 alloggi all’anno. Nel pe- riodo del boom, dal 2002 fino alla fine del 2007, facemmo un lotto di 52 appartamenti e li vendemmo tutti: avere tanti acquirenti era una situazione anomala per Vergato. Questa bolla immobiliare è arrivata anche nei piccoli comuni, ma dal 2008 il crollo è stato imme- diato, con un calo edilizio del 98%. Per un certo periodo non si è venduto un solo appar- tamento! Adesso c’è un timido risveglio, ma con il problema del credito, per cui se la banca non torna a fare credito la famiglia non com- pera. Poi c’è il caso delle famiglie che vorreb-bero vendere l’appartamento vecchio: dal 2002 al 2007 un notevole volano è stato rap- presentato dagli stranieri immigrati che ac- quistavano l’appartamento vecchio, magari grande, avendo famiglie numerose, mentre gli italiani acquistavano gli appartamento nuovi più eleganti, magari in posizione più costosa, piccoli, con una o due camere. Questo feno- meno oggi si è del tutto fermato perché lo straniero non ha denaro, se lo chiede non gli viene dato e così tutto il mercato si ferma. D. Quindi la bolla che c’era stata negli anni precedenti era dovuta anche allo stanzia-mento di popolazione straniera sul territo-rio?R. Sì, e Vergato oggi ha oltre ottomila abi- tanti. Sono venute tantissime persone anche da Bologna e anziani dai crinali dell’ Appen-nino, perché purtroppo sui crinali cominciano a mancare i servizi – e mancheranno sempre più – quindi molti anziani scendono a valle dai paesi più ad alta quota, perché a Vergato trovano i servizi, la farmacia, l’ospedale, mentre nei piccoli paesi di montagna sta spa- rendo tutto. D. Secondo lei oggi le imprese del territorio di cosa potrebbero avere bisogno, non solo sotto il profilo del credito ma anche dell’ ac- quisizione di elementi che ne possano fa- vorire l’innovazione? Di facilitazioni da parte dei comuni, di possibili opportunità che fa- voriscano la creazione di reti? Cosa ci può dire al riguardo dal punto di vista del credito?

spesso, temo, non molto rispettosa delle delle regole. Noi (DISMECO) recuperiamo il 98%, venerdì scorso la Regione Lombardia ci ha conferito il premio di Legambiente a livello nazionale, siamo stati considerati fra i miglio- ri. Essere i migliori significa però essere pe- nalizzati dal punto di vista economico e finan- ziario, perché per recuperare bene ci sono degli alti costi, molta manodopera eccetera. C’è chi invece purtroppo non fa la stessa cosa e guadagna più di noi. Dovremmo sensibiliz-zare gli enti pubblici e soprattutto i consorzi, che hanno materiali da riciclare, a darli a chi li lavora in modo giusto: lo ritengo etico. D. Potrebbe descrivere un po’ meglio la fi- liera del riciclo RAEE ?R. In Italia esistono consorzi di produttori e distributori di elettrodomestici, lavatrici, stufe, piccoli elettrodomestici, che ritirano solitamente l’usato al momento della vendita di nuovi prodotti; l’usato deve essere conferito a chi è autorizzato a lavorare i RAEE, come la nostra ditta. Però molte piccole aziende auto- rizzate a lavorare i RAEE in realtà lavorano due lavatrici su dieci, mentre rigirano le restanti sul mercato, lavorando con una manodopera minima. Questo non è recu- perare, è piuttosto l’arte di arrangiarsi, anche se guadagnano più di noi. L’ imprenditore deve essere etico, morale e sociale nel modo giusto. D. I lavoratori che avete assunto alla DI- SMECO sono persone del territorio che in precedenza svolgevano altre attività e che magari erano state espulse dal circuito produttivo ?R. La DISMECO è un’azienda che viene da lontano, dagli anni ’70, la maggior parte dei dipendenti attuali erano dipendenti della DI- SMECO Sas, trasformatasi poi in Srl perché aveva allargato la compagine sociale. Ab- biamo in produzione 18 lavoratori di origine pakistana, tutti molto bravi e volenterosi; in ufficio abbiamo invece solo italiani: una ex dipendente Burgo, altri che vengono da altre aziende che erano in cassa integrazione e stiamo tentando di rimettere al lavoro alcuni ex dipendenti Burgo. D. Dal suo punto di osservazione privilegiato come presidente della BCC di Vergato, ci potrebbe dire quale reputa sia la condizione delle PMI e anche delle imprese più grandi del territorio della media e alta Valle del Reno?R. Le grandi imprese le conosciamo meno e cerchiamo di investire sulla piccola e media impresa e sulle famiglie. La situazione del set- tore immobiliare la definirei drammatica: sono amministratore di questa azienda di credito da 32 anni, prima come consigliere e poi come presidente della BCC. Ricordo che venti anni fa ci fu un fallimento in questa valle, nel settore edilizio, che creò un clamore in-

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Terme, ma il tragitto fra Vergato e Sasso Mar- coni è tuttora sotto dotato da questo punto di vista. Non avere una superstrada che colleghi queste due località è penalizzante per la val- lata. Abbiamo invece un buon servizio ferro- viario, a Marzabotto c’è un treno ogni mezz’ora, da Vergato in 40 minuti sei in centro a Bologna; è quasi una metropolitana di superficie. D. Sulla banda larga si sa qualche cosa di nuovo ?R. Da quanto ne so ci stanno lavorando, spe- riamo che sia così.D. Come vede la collaborazione fra imprese ed enti locali ?R. Dal lato delle imprese, a parte pochi, ab- biamo una imprenditoria sbagliata, nel senso che ciascuno guarda solo al proprio «giardi-netto», nessuno crea società o reti di impresa, ognuno pensa a sé e questo è sbagliato. Sono l’unico a Vergato ad avere sempre avuto quat- tro o cinque società e sono stato considerato dagli amici e dagli altri imprenditori un folle: ho costituito società con imprenditori molto più piccoli di me, ne ho fatte altre con colossi e non ho mai avuto nessun tipo di problema. È soltanto insieme e collaborando che si fanno le cose, da soli non si va più da nessuna parte. Questo modo di ragionare deve essere cambiato. E quando sei in una società, affin- ché stia in piedi, devi dare di più di quello che chiedi. Esempi positivi ce ne sono, imprendi-tori capaci e importanti, specialmente nella zona di Porretta, al confine della provincia con la Toscana.D. In questo scenario critico a suo parere le imprese in che modo si stanno attrezzando per affrontare la situazione? Vede qualche segno di proposte, di intrapresa di cose nuove ?R. Le imprese medio-grandi per lo standard del territorio, posizionate nella zona di Por- retta e di Gaggio Montano, si muovono bene, sono aziende strutturate. A Vergato abbiamo la Kemet, che stando ai giornali tra due o tre anni chiuderà lo stabilimento locale e si sposterà nel nuovo stabilimento di Borgo Nuovo di Sasso Marconi. Non dobbiamo più fare campanilismo sui posti di lavoro a Ver- gato: certamente è un danno, ma i lavoratori andranno a lavorare a Borgo Nuovo, l’ impor-tante è che rimangano posti di lavoro almeno in valle. Sempre a Vergato c’è la GP, che un anno fa ha subito una grande disgrazia con la morte del titolare, che conoscevo benissimo e che era un’ottima persona, e francamente temevo che chiudesse. Invece sono rimasto molto piacevolmente sorpreso perché la nuova situazione ha dato un grande impulso alla moglie e alla figlia del titolare per portare avanti l’azienda. La GP si sta muovendo molto bene, dà lavoro a 95 persone, soprat-

tutto manodopera femminile, che porta così a casa il secondo stipendio familiare che per- mette di vivere una vita abbastanza serena. Però al di sotto di queste imprese non vedo una situazione positiva, al contrario molte imprese più piccole si stanno chiudendo in sé e non cercano di migliorarsi. D. Come vede le prospettive in termini re- alistici nel breve e medio periodo ?R. Sarebbe bello saper rispondere! Ci sono troppi fattori in gioco. Io sto ricevendo com- plimenti in questo momento da degli amici – e questo mi fa piacere – che mi dicono «tu sei l’unico che ora sta investendo». Forse sono l’unico pazzo, però ci provo. E se l’ impren-ditore anche medio-piccolo in questo momento non fa il proprio dovere, al di là del margine di profitto che deve comunque essere presente, la situazione diventa critica. Secondo me l’imprenditore in questa società svolge una funzione di fondamentale impor-tanza, dobbiamo essere noi i primi ad inve- stire e a crederci, perché se ci fermiamo noi si ferma tutto.D. Secondo lei in quest’ottica è possibile per l’impresa locale creare una sorta di collabo-razione innovativa con il credito coopera-tivo ? Ci sono proposte che lei ritiene che si potrebbero attuare in questa direzione?R. Secondo me sì, lei sa che stiamo lavoran- do nella direzione di una rete di imprese. Di certo questo è un momento in cui tutti gli istituti di credito si stanno chiudendo in se stessi e quindi è il momento peggiore. Però il mio parere personale è che un’azienda di credito dovrebbe agevolare un’iniziativa di questo tipo: tre/quatto imprese che si met- tono insieme con un progetto credibile e sostenibile dal punto di vista economico e finanziario e ambientale potrebbero trovare sostegno in un istituto o in un pool di istituti di credito, uniti per ridurre il rischio finanzi-ando un progetto di questo genere. Rilevo però purtroppo che anche nell’ambito delle aziende di credito ognuno pensa per sé, con danno per i territori stessi. D. Come vede le prospettive in termini rea- listici nel breve e medio periodo?R. Non che io sappia, magari arrivano dei fondi dall’estero che si muovono però sul territorio di Porretta, su aziende già grandi e già strutturate, ma non su aziende di piccole dimensioni.D. Ritiene che sarebbe utile per le imprese creare interfacce unificate per i rapporti con l’esterno, al di là di eventuali collabo-razioni per nuovi progetti di produzione?R. Ci vorrebbe un ente o un gruppo di persone a coordinamento di varie imprese, potrebbe essere interessante anche per aziende che producono cose diverse ma che si uniscono insieme per andare all’estero.

R. È chiaro che l’impresa si deve innovare per rimanere sul mercato di oggi, però l’impresa deve avere anche garanzia di lavoro per pen- sare a investire, perché fare un leasing a quin- dici anni per comperare attrezzature costose richiede la ragionevole certezza di una pro- spettiva di lavoro. Non so se la politica riuscirà a fare qualcosa per questo, non credo. Io vengo da un viaggio che ho fatto questa estate in Vietnam: lungo la strada che da Hanoi con- duce all’ aeroporto, circa un’ora di pullman, sul lato sinistro c’erano stabilimenti di tutte le multinazionali in fila. Lì gli operai lavorano a 88 dollari al mese. A noi il dipendente costa 88 dollari ogni due ore, non riusciremo mai a fare concorrenza sui costi. Come si fa a restare concorrenziali in una valle come quella del Reno? Sono finite tutte le certezze in questa vallata, non dico per colpa dell’imprenditore o del dipendente, ma perché è cambiato il mondo. Per me questa è una crisi completa-mente diversa dal solito. Bisognerebbe innanzi tutto lavorare insieme, fare reti di imprese, trovare rapporti diversi con i dipen- denti e anche con la politica. Probabilmente dobbiamo cambiare anche si- stema di produzione. E forse è inutile conti- nuare a produrre automobili. Abbiamo il più bel Paese del mondo, il 65% del patrimonio ar- cheologico e artistico del mondo: costruiamo alberghi, portiamo qui i cinesi e gli indiani ricchi, gli americani, investiamo in quel set- tore, cosa che si sta facendo poco. Ho avuto la fortuna di viaggiare moltissimo, a volte capita di fare escursioni di mezza giornata per vedere cose che, quando le hai viste, rimpiangi di non essere rimasto in albergo! Pensiamo solo alla Valle del Reno: partiamo da Sasso Marconi con il mausoleo e la villa di Marconi (dove è stata inventata la radio, NdI), a Marzabotto c’è la città etrusca e il sa- crario, salendo c’è Riola con la chiesa di Alvar Aalto, abbiamo La Scola, paese medie- vale, il Santuario di Mon- tovolo… bellissime località! Quanto ci vor- rebbe per costruire un itinerario attraverso la Valle del Reno che porti poi i turisti fino a Fi- renze? È questo ciò che manca: l’Italia è un paese piccolo, si può rilanciare il turismo, l’agricoltura, con tutti i prodotti di origine con- trollata, e poi occorre lavorare sulle firme di alta gamma, dalla Ferrari ad Armani, che vendono in tutto il mondo.D. A suo parere, il vostro territorio è suffi- cientemente dotato di infrastrutture che aiu- tino la tenuta dell’impresa e dell’ economia locale?R. Abbiamo bisogno di una nuova strada. Ricordo che mio padre, classe 1914, diceva: «sono anni che si sente parlare della nuova Porrettana». È morto a 87 anni, io ne ho 63 e la nuova Porrettana è sempre lì. E’ stato fatto a monte un ottimo intervento verso Porretta

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rapidamente in forme di oligopolio o di mo- nopolio, creando instabilità e spreco di risorse, per evitare i quali si rende necessario l’intervento dell’autorità pubblica per rego- lare i mercati e la domanda aggregata. È proprio da questi studiosi che sono giunti negli anni scorsi segnali d’allarme circa l’in- sorgere della grande crisi iniziata nel 2007 e sugli effetti recessivi delle politiche di au- sterità che l’Unione Europea a guida tedesca sta cercando di imporre agli Stati dell’Euro- zona, in questo affiancati da illustri espo- nenti neo keynesiani, come Paul Krugman, Joseph Stiglitz (entrambi premi Nobel) e Nouriel Roubini.Secondo Roubini1 le prospettive per l’eco- nomia mondiale nel 2012 sono chiare ma non positive, essendo prevedibile una reces- sione in Europa, una crescita anemica negli Stati Uniti, un deciso rallentamento del- l’economia cinese e nella maggioranza dei Paesi emergenti, in un quadro in cui le economie asiatiche sono esposte agli influssi di quella cinese, l’America Latina è esposta alla diminuzione dei prezzi delle materie prime e l’Europa Orientale è esposta all’an- damento dell’Eurozona. Parallelamente i tu- multi in Medio Oriente stanno causando ri- levanti rischi economici e geopolitici che manterranno alti i costi del petrolio, ponen- do in tal modo ulteriori vincoli alla crescita economica globale. Gli Stati Uniti, caratter-izzati sin dal 2010 da una lenta crescita, dovranno misurarsi con considerevoli rischi derivanti dalla crisi dell’Eurozona oltre che con un significativo drenaggio fiscale, una perdurante riduzione dei debiti nel settore domestico – preso fra una creazione di posti di lavoro che procede a rilento, redditi sta- gnanti e una persistente pressione sulle pro- prietà immobiliari e sulle ricchezze finan- ziarie – crescenti diseguaglianze e un’impas- se politica. Tra le altre economie sviluppate, il Regno Unito sta fronteggiando una doppia recessione, in un momento in cui il consoli-damento fiscale e l’esposizione alle vicende dell’Eurozona ne indeboliscono la crescita, mentre in Giappone la ripresa del dopo ter- remoto potrebbe essere vanificata se governi deboli dovessero fallire nella realizzazione di riforme strutturali.

Il 2012 in Italia inizia sotto il segno del nuovo governo Monti, nato per realizzare un’agenda dettata dall’Unione Europea e guardato come un provvidenziale salvatore della Patria da molti mentre è già consi- derato da altri artefice di decisioni inade- guate alle necessità del Paese e potenzial-mente pericolose per la tenuta dell’economia e della società nel suo complesso.

Rimanendo nell’ambito delle «opinioni informate», tale diversità di valutazioni dipende dagli assunti teorici (ed empirici) di riferimento. Infatti, lo studio dell’economia ha sviluppato una molteplicità di orienta-menti malgrado il progressivo affermarsi di una sua apparente monoliticità, prodotta dal ricorso a formalizzazioni matematiche nello studio della disciplina da parte di una delle scuole di pensiero prevalenti, capace di creare l’illusione ottica di un’economia come scienza esatta che studia dati di natura per estrapolarne leggi oggettive.Ovviamente le differenti impostazioni diver- gono per quanto riguarda le conclusioni relative al funzionamento dei sistemi eco- nomici e quindi anche circa le indicazioni sulle politiche economiche da adottare.Le scuole attualmente dominanti – il cosid- detto mainstream economics, rappresentato dalle due varianti principali dell’approccio neoclassico, i «conservatori» e i «neo keyne- siani» – condividono la convinzione che l’efficienza nell’uso delle risorse e il pieno impiego siano assicurate dal libero funziona-mento del mercato, a condizione che sia ga- rantita anche la flessibilità del mercato del lavoro. I neo keynesiani ritengono co- munque che l’intervento pubblico in econo-mia possa rendersi utile nel breve periodo, soprattutto per contrastare situazioni reces- sive.Un terzo raggruppamento piuttosto varie- gato di economisti, i cosiddetti «eterodossi», comprende studiosi di orientamento post- keynesiano, sraffiano, regolazionista, mar xista, etc., secondo cui un’economia di mer- cato caratterizzata da flessibilità dei prezzi e del mercato del lavoro non è in grado di autoregolarsi e di assicurare il pieno impiego nemmeno nel lungo periodo. Secondo questi economisti la libera concorrenza degenera

Nel frattempo, i difetti del modello di cresci- ta cinese stanno divenendo evidenti. La Cina può crescere rapidamente solo se i Paesi ricchi continuano ad assorbirne la produ- zione accumulando deficit. Ora che Usa e il resto dell’Occidente spendono meno e cer- cano di ridurre i debiti, la Cina, invece di so- stenere i consumi interni, sta effettuando ul- teriori investimenti infrastrutturali e indu- striali, aumentando in tal modo la propria capacità produttiva che rischia di non trovare sbocco, data la diminuzione della domanda da parte dei Paesi Occidentali. Parallelamente sono stati favoriti gli investi-menti immobiliari, a fronte dei quali si sta già registrando una diminuzione dei prezzi delle proprietà, che sta innescando una reazione a catena con conseguenti effetti negativi sui promotori, sugli investimenti e sulle entrate governative. Il boom delle co- struzioni incomincia a fermarsi proprio nel momento in cui le esportazioni stanno ral- lentando la crescita a causa dell’indebolirsi della domanda statunitense e dell’Eurozona. Nelle economie avanzate, la riduzione dei debiti nei settori privato e pubblico è appena cominciata, mentre i bilanci delle famiglie, delle banche, delle istituzioni finanziarie e dei governi locali e centrali sono ancora in difficoltà. Soltanto le aziende di alto livello sono migliorate, tuttavia le possibilità di spesa e di accesso ai capitali di queste aziende rimangono limitate, data la persi- stenza di incertezze globali sulla domanda finale e del permanere di sovracapacità produttiva. La crescita delle ineguaglianze, dovuta in parte alla riduzione dei posti di lavoro conseguenti a ristrutturazioni delle imprese, sta riducendo ulteriormente la domanda aggregata. Al contempo, riman-gono ampi gli squilibri nei conti delle partite correnti più importanti, come quelle tra USA e Cina e altri Paesi emergenti, e all’interno dell’Eurozona. Un aggiustamento ordinato su questo fronte richiederebbe una minore domanda interna nei Paesi con eccesso di spesa e ampi deficit di partite correnti, e la diminuzione dei surplus commerciali da parte dei Paesi con eccesso di risparmio me- diante un apprezzamento delle loro valute. Per mantenere la crescita, i Paesi con ec-

di Francesco Zardon *

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Crediti: Emiliano Negrini

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Pista di Kjölur, Islanda – «Quando una terra è desolata, c’è solo da sperare [..] che nel sottosuolo vada maturando un bulbo o un germoglio di vitalità»

è necessario per introdurre e mantenere in vita una valuta comune. L’opinione preva- lente quando l’euro è stato istituito era che fosse necessaria unicamente una disciplina fiscale volta ad assicurare che il deficit e il debito pubblico degli Stati non fossero troppo elevati in rapporto al PIL. Tuttavia, prima della crisi Irlanda e Spagna avevano bilanci pubblici in surplus e bassi debiti, che si sono però trasformati rapidamente in ampi deficit e alti debiti. Sicuramente, la presenza dell’euro ha reso molto più difficile per i governi europei far fronte alle difficoltà. E il problema non consiste solo nel fatto che la moneta comune ha reso inutilizzabili due leve fondamentali per procedere ad even- tuali aggiustamenti – il tasso di interesse e il tasso di cambio – senza sostituirli con nes- sun altro strumento, o che il mandato della BCE sia di mantenere stabile il potere di acquisto dell’euro focalizzandosi quindi sul- l’inflazione, quando invece i problemi da risolvere oggi sono relativi alla disoccupa- zione, alla crescita e alla stabilità finanziaria. In assenza di una autorità fiscale comune, il mercato unico europeo ha aperto la strada a una competizione fiscale al ribasso, per at- trarre investimenti e alimentare la produ- zione di beni e servizi che vengono poi li- beramente commerciati all’interno dell’U- nione. I tagli nei bilanci pubblici che si ri- chiedono oggi agli Stati membri dell’Eu- rozona non risolvono i problemi causati dalla sregolatezza di ieri e hanno semplice-mente l’effetto di spingere le loro economie

in una recessione sempre più profonda, cosa che certamente non contribuirà alla salvezza dell’euro. Stiglitz3 ritiene anzi che se la di- rigenza europea non farà i passi necessari per portare a pieno compimento il funziona-mento della moneta unica, il 2012 potrebbe essere l’anno che porrà termine all’esperi- mento dell’euro e darà inizio a una nuova fase ancor più drammatica di recessione dell’economia mondiale. Le previsioni di P. Krugman4 sono dello stesso tenore. Negli anni precedenti il 2008 in Europa gran parte dei prestiti erano trans- frontalieri e l'operazione veniva considerata a basso rischio in quanto i destinatari facevano tutti parte dell'area euro. Con l’esplodere della crisi la spesa privata nei Paesi debitori crollò, e la dirigenza europea, invece di arginare la recessione, rispose all'inevitabile conseguente crescita dei defi- cit pubblici imponendo a tutti i governi di tagliare la spesa pubblica e di aumentare l'imposizione fiscale. Purtroppo, la fiducia che le misure di austerità avrebbero dovuto innescare nell’economia non si è manife- stata, a differenza di quanto affermato da Trichet, all'epoca presidente della Bce: «La tesi secondo cui le misure di austerità potrebbero innescare un processo di stagna-zione non è corretta, perché da politiche che stimolano la fiducia verrà un impulso, non un ostacolo alla ripresa economica». Al contrario, i mercati hanno perso la fiducia nell'euro, portando i tassi di interesse a sa- lire anche in Paesi come l'Austria e la Finlan-

cesso di spesa dovrebbero deprezzare le loro valute per migliorare la bilancia commer-ciale, mentre i Paesi in surplus dovrebbero aumentare la propria domanda interna. Tut- tavia, questi aggiustamenti dei prezzi relativi mediante interventi sulle valute registrano uno stallo, poiché i Paesi con surplus si oppongono all’apprezzamento dei tassi di cambio mentre si mostrano favorevoli a una deflazione recessiva nei Paesi in deficit. Ne potranno conseguire conflitti valutari che saranno combattuti su diversi fronti: con in- terventi sui cambi, con operazioni di quanti-tative easing e con controlli dei capitali sugli afflussi. E dato l’ulteriore indebolirsi della crescita globale nel 2012, questa conflittua- lità potrebbe trasformarsi in vere e proprie guerre commerciali. In questo scenario, se- condo Roubini, la recessione dell’Eurozona è cosa certa, e se la sua intensità e durata non sono prevedibili, il prolungato credit crunch, i problemi collegati con i debiti sovrani, la scarsa competitività dei Paesi periferici, gli squilibri delle partite correnti e l’austerità fiscale comporteranno una seria flessione nell’economia, che potrebbe richiedere ag- giustamenti valutari tali da indurre alcuni Stati membri ad abbandonare l’Eurozona.Secondo J. Stiglitz2 questa eventualità è ormai così concreta che gli economisti su en- trambe le sponde dell’Atlantico non si chie- dono più se l’euro sopravviverà ma come far sì che il suo crollo produca il minor danno possibile. A suo parere, la dirigenza politica europea non ha realmente compreso ciò che è

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dia. Mentre l’imposizione di misure di au- sterità unitamente alla politica antinflazio- nistica della BCE e alla sua indisponibilità a fungere da prestatore di ultima istanza, ren- dono impossibile ai Paesi indebitati sfuggire alla trappola del debito. Queste premesse sarebbero dunque, a parere di Krugman, garanzia di default sul debito, di una corsa al ritiro dei depositi bancari e di un crollo fi- nanziario generale. Per evitare questo esito catastrofico sarebbero invece necessarie politiche fiscali e monetarie espansive a sostegno dell'economia, per dare l’opportu- nità ai Paesi debitori di rimettersi finanzia- riamente in salute. Sostanzialmente in linea con le indicazioni di Krugman, il 15 novembre 2011 circa tre- cento economisti italiani e stranieri5 hanno sottoscritto un documento rivolto al Parla- mento della Repubblica Italiana e alle forze politiche del nostro Paese per sollecitare un cambiamento della politica economica in Italia ed Europa nella direzione di un rilan- cio della domanda, dello sviluppo e dell’oc- cupazione. Secondo questi economisti, se il nuovo governo, nel frattempo entrato in carica, si configurasse come mero esecutore delle politiche di restrizione dei bilanci pub- blici richieste dalla UE, si determinerebbe un aggravamento della crisi economica e finanziaria in Italia e in Europa, con deva- stanti conseguenze sociali e l’insostenibilità degli attuali accordi monetari e commerciali europei.Sarebbero quindi in gioco, oltre alla soprav-vivenza dell’unione monetaria e del mercato unico, la stessa stabilità economica europea e globale. Il documento afferma che la sta- gnazione dell’economia italiana nell’ultima decade trova la sua principale spiegazione nell’ambito del contesto macroeconomico europeo, e in particolare nell’assenza di un quadro di politiche fiscali e monetarie europee coordinate e volte alla crescita, alla piena occupazione, all’equilibrio commer-ciale fra gli stati membri. Inoltre, la mancata attribuzione alla Banca Centrale Europea del tradizionale ruolo di prestatore di ultima istanza nei confronti dei debiti sovrani, ha contribuito ad esporre all’attacco i titoli del debito italiano e di altri Paesi europei, risultando insufficienti le misure intraprese dai Paesi dell’Eurozona per sostenere i debiti sovrani, come il Fondo Salva-Stati, in un contesto in cui le misure di restrizione dei bi- lanci pubblici che vengono richieste in cambio di tali aiuti hanno aggravato la reces- sione e la stessa crisi finanziaria nei Paesi beneficiari. Nel documento si afferma che la grave situa- zione attuale non può essere affrontata se non nel quadro di un mutamento dell’in-

Metodi di captazione delle acque per il desert farming – la sapienza dei popoli antichi ha generato processi vitali in terre aride

Fonte: immagini satellitari da Google Earth. Bur a El Oued, Algeria. Foggara a Timimoun, Algeria. Qanat a Persepoli, Iran.

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Oasi di Tamerza, Tunisia – «Oasi è un insediamento umano che in condizioni geografiche aride usa le risorse disponibili localmente per creare una amplificazione di effetti positivi e (continua a p.22)

di istruzione, ricerca e cultura, all’aumento degli investimenti per l’industria e le infra- strutture, alla difesa dell’ambiente, all’effi- cienza della giustizia e della pubblica am- ministrazione.

La situazione economica complessiva può essere comunque osservata anche da angolazioni differenti, dalle quali è possibile cogliere interessanti aspetti che sugge- riscono un approccio innovativo alla solu- zione dei problemi da affrontare, special-mente in Europa. Come viene rilevato da un economista della Bocconi, Luca Fantacci6, ciò che sta acca- dendo con i titoli del debito pubblico italiano è un buon esempio del carattere autorefe- renziale dei mercati. I buoni del tesoro pos- sono essere visti come un investimento nell’azienda-Italia, ma gli Stati nazionali, a differenza delle aziende, non sono fatti per fare profitti e per remunerare i detentori dei titoli, non presentano un bilancio consun-tivo, e non esiste alcun criterio certo sulla base del quale possano essere giudicati red- ditizi o anche semplicemente solvibili. Nel caso di un’impresa cosa significhi essere «in default», o «insolvente», è chiaro: significa non essere in grado di pagare i propri debiti, non avendo attività sufficienti per far fronte alle proprie passività. Ma, sulla base di questa definizione, tutti gli Stati sono insol- venti, nessuno Stato è in grado di ripagare i propri debiti. I debiti degli Stati, da poco più di trecento anni, ovvero da quando hanno preso la forma di titoli negoziabili sul mer-

cato, non sono più fatti per essere ripagati, bensì per essere continuamente rinnovati e per circolare indefinitamente, venendo rim- borsati con i proventi dell’emissione di nuovi titoli nel momento in cui giungono a sca- denza. Più propriamente si dovrebbe parlare non di «solvibilità», ma di «sostenibilità» del debito, evidenziando in tal modo un lato problematico del modo tradizionale di guardare al problema. Non soltanto perché si tratta di un concetto più vago, privo di una definizione univoca, ma soprattutto perché il fenomeno che esso descrive è fortemente au- toreferenziale. Infatti, quanto meno un debito pubblico appare sostenibile, tanto più costa allo Stato indebitarsi; ma quanto più aumenta il costo del debito, tanto meno ri- sulta sostenibile. E in che senso si può ancora parlare di un in- vestimento economico quando la capacità di un debitore di ripagare i propri debiti dipen- de più dal grado di fiducia dei mercati che dalle proprie prestazioni, quando il tasso di rendimento non ha alcun rapporto con alcu- na misura di produttività, ma dipende unica- mente dal grado di sfiducia dei creditori? L’Europa si trova oggi ad affrontare tali questioni avendo optato per un processo di unione economica il cui strumento mone- tario, l’euro, ha accordato un po’ di stabilità e un po’ di crescita, ma a costo di una cre- scente divergenza fra i Paesi membri che oggi rischia di compromettere sia la crescita sia la stabilità. Secondo Fantacci, per gestire nell’immediato l’emergenza rappresentata

sieme delle politiche economiche europee e nazionali. A livello europeo sarebbe necessa-rio un maggiore coordinamento delle poli- tiche fiscali, monetarie e salariali, che abbia fra gli obiettivi primari la piena occupazione. I firmatari dell’appello ritengono che le politiche di riduzione dei debiti pubblici siano in questa fase controproducenti, e per tale motivo sono contrari all’iscrizione nelle costituzioni nazionali della clausola del pa- reggio del bilancio pubblico, indicando come necessità primaria l’impegno non già all’ab- battimento bensì alla stabilizzazione del rapporto debito pubblico/Pil. A livello italiano, il governo nazionale dovrebbe richiedere una garanzia illimitata della BCE sul debito sovrano, volta a ricon- durre i tassi di interesse ai livelli pre-crisi. Dovrebbe inoltre farsi promotore di poli- tiche fiscali, monetarie e salariali concertate a livello europeo e di G20, finalizzate al rilancio della domanda aggregata. La ridu- zione dei tassi, accompagnata dall’impegno alla stabilizzazione del rapporto debito/Pil, nel quadro di politiche internazionali espan-sive, libererebbe risorse per la crescita, sul lato sia del sostegno della domanda interna sia del rilancio della competitività. Tali risorse, accompagnate da quelle che andreb-bero ricavate da una seria lotta all’evasione fiscale, da un'imposta patrimoniale fissa e dalla razionalizzazione della spesa pubblica, dovrebbero essere destinate prioritariamen- te alla riduzione del carico fiscale sul lavoro, con un aumento dei salari netti, al sostegno

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Oasi di Tamerza, Tunisia – (segue da p.21) determinare una nicchia vitale autostenibile e un ambiente fertile in contrasto con l'intorno sfavorevole» - Pietro Laureano, Sahara, giardino sconosciuto

A differenza di quanto avviene oggi, l’onere del debito non verrebbe sopportato unica- mente dai Paesi debitori. Mentre le nuove istituzioni create per gestire la crisi debitoria europea, come l’Efsf (Euro- pean Financial Stability Facility) continuano a far gravare l’onere degli squilibri sui Paesi debitori, l’istituzione di una camera di com- pensazione europea consentirebbe di ripar- tire l’onere dell’aggiustamento fra creditori e debitori. L’euro potrebbe essere impiegato nell’Unione dei Pagamenti come mezzo di scambio privo della funzione di riserva di valore, affiancandolo con le monete nazio- nali e magari anche con monete regionali e locali, per agevolare il commercio europeo.In tal modo le economie locali potrebbero tornare ad avere una moneta adeguata e una reale autonomia politica, senza rinunciare alla reciproca integrazione e all’apertura verso l’esterno. Dopo la crisi del 2007-08, con i suoi stra- scichi di fallimenti che hanno costretto a rendere pubblici enormi debiti privati, non è più possibile contare sull’intervento degli Stati per risolvere i problemi. E l’alternativa a una riforma radicale, anche in ambito monetario, non sarebbe l’intervento dello Stato in economia, ma l’interferenza sempre più pervasiva del mercato finanziario nella vita politica. Che il 2012 possa rivelarsi l’anno in cui si incomincerà a riflettere seriamente sulla possibilità di far sì che la moneta ritorni a fare la moneta?

* Francesco Zardon

Dottore di ricerca in Psicologia

sperimentale presso l’Università di

Bologna, collabora con FormArea &

Partner.

1 Nouriel Roubini: Fragile and Unbalanced in 2012 15.12.2011 - Copyright: Project Syndicate, 2011 www.project-syndicate.org/commentary/roubini45/English2 Joseph E. Stiglitz: What Can Save the Euro?05.11.2011 - Copyright: Project Syndicate, 2011http://www.project-syndicate.org/commentary/stiglitz146/English3 Joseph E. Stiglitz: Politica debole, nuovi rischi. La Repubblica 29.12.20114 Paul Krugman: L’austerità è un errore. La Repubblica, 4.12.20115 Per un cambiamento della politica economica in Italia ed Europa che rilanci domanda, sviluppo e occupazione15.11.2011 http://documentoeconomisti.blogspot.com/2011/11/per-un-cambiamento-della-politica.html6 Luca Fantacci: E se all’euro affiancassimo le monete locali? Linkiesta, 22.08.2011http://www.linkiesta.it/crisi-manovra-borsa-mercati-europa#ixzz1VnHfnb4N

Aut

ore

dalla crisi dei debiti pregressi, è necessario consentire alla Bce di agire da prestatore di ultima istanza, acquistando titoli del debito pubblico dei Paesi membri, accompagnando tali prestiti con raccomandazioni ai governi che ne beneficiano, affinché adottino poli- tiche di rigore. Ma per affrontare in prospettiva la più ampia crisi della costruzione europea sa- rebbe opportuna una riforma radicale della go- vernance dell’Unione, con una revisione del patto di stabilità, un emendamento dello statuto della Bce, e la ricostituzione dell’Unione Europea dei Pagamenti, che già negli anni ’50 del XX secolo ha assicurato ai Paesi europei crescita, stabilità e integra- zione economica. Si potrebbero così liberare gli Stati europei dalla necessità di continuare a contrarre nuovi debiti emettendo titoli sui mercati internazionali. L’Unione Europea dei Pagamenti fungerebbe da camera di compensazione multilaterale per i debiti e i crediti contratti tra Paesi dell’Eurozona. Questo avrebbe un duplice vantaggio.Primo, consentirebbe di distinguere il debito pubblico, affare interno fra i cittadini e lo stato, e il debito estero, che è un rapporto fra Paese creditore e Paese debitore. Secondo, consentirebbe di apprezzare il fat- to che il debito estero beneficia entrambi i Paesi, poiché permette al debitore di acqui- stare ciò che altrimenti non potrebbe acqui- stare, ma permette anche al creditore di ven- dere ciò che altrimenti non potrebbe ven- dere.

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