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L’Energia Elettrica 9 maggio-giugno 2015 fonte eolica R ecentemente ho avuto l’onore di assu- mere un incarico di responsabilità in E2i. Qui ho trovato competenze di ele- vato valore professionale e collaboratori di al- to profilo: e la fortuna di incontrare Enzo Dalpane che è stato protagonista dello svilup- po dell’eolico nel nostro Paese. A chi come lui ha vissuto fin dall’inizio questa emozionante esperienza vanno i nostri ringraziamenti per aver fatto grande l’Italia anche in questo set- tore (Giuseppe Noviello). Per risalire alle origini di E2i occorre parti- re dalla storia dell’eolico in Italia. In Italia, la fonte eolica come possibile risorsa per la produzione di energia elettrica è diventata oggetto di interesse all’inizio degli anni ‘80, come conseguenza delle due crisi energetiche interna- zionali verificatesi nel decennio precedente. In effetti, nei primi anni ‘80 all’estero c’era già stata ben più di una semplice avvisaglia del po- tenziale di crescita di questo settore. In particola- re fu in Danimarca, dove lo Stato danese aveva sostenuto un primo sviluppo industriale a partire dal 1976, che negli anni 1984-85 alcune industrie ebbero l’opportunità di costruire ed esportare ne- gli Stati Uniti diverse migliaia di aerogeneratori. Infatti in quegli anni gli Stati Uniti avevano vara- to una politica di agevolazioni fiscali volta a far crescere la produzione di energia eolica. Fu il pri- mo boom dell’eolico industriale. Le aziende che all’epoca costruivano (o ten- tavano di costruire) aerogeneratori appartene- vano generalmente a due possibili categorie: da un lato c’erano aziende di piccola/media taglia, di estrazione tipicamente meccanica e con una mentalità quasi artigianale, come per esempio molte aziende in Danimarca sviluppatesi sulla scia delle esportazioni negli USA; mentre dal- l’altro lato c’erano grandi aziende aereonauti- che come la statunitense Boeing e la tedesca Messerschmitt-Boelkow-Blöhm (MBB). Le prime avevano un approccio pragmatico: i loro progetti erano scarsamente innovativi e i miglioramenti derivavano dall’esperienza prati- ca e dai difetti riscontrati sugli aerogeneratori venduti ai clienti. Le macchine esportate negli USA dalla Danimarca avevano una taglia com- presa fra i 20 ed i 100 kW ed erano tutte con- cettualmente simili tra loro: la torre era rigida, il rotore era dotato di tre pale, avevano un mol- tiplicatore di giri, un generatore asincrono col- legato direttamente alla rete elettrica ed erano regolate per “stallo”. La sicurezza era affidata allo stallo aerodinamico, che funzionava grazie al fatto che le macchine operavano a velocità costante, a meccanismi di rotazione a scatto del tip della pala, e ad un freno meccanico. Alcune grandi aziende aereonautiche e i cen- tri di ricerca di diverse nazioni come la Svezia e la Germania, vedevano invece nell’eolico un potenziale futuro tale da giustificare sforzi si- gnificativi nella Ricerca e Sviluppo. Intuivano che in futuro ci sarebbe stata la necessità di pro- durre energia con il vento a bassi costi e rite- nevano che il modo migliore per farlo sarebbe stato quello di realizzare macchine di grandi di- mensioni, da 2 a 4 MW, cioè macchine enormi Le origini di E2i risalgono a quelle dell’eolico in Italia ed in particolare alla Riva Calzoni, storica Azienda manifatturiera di Bologna. Enzo Dalpane Direttore Tecnico - E2i L’eolico in Italia dagli anni ‘80 ad oggi

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L’Energia Elettrica 9 maggio-giugno 2015

fonte eolica

R ecentemente ho avuto l’onore di assu-mere un incarico di responsabilità inE2i. Qui ho trovato competenze di ele-

vato valore professionale e collaboratori di al-to profilo: e la fortuna di incontrare EnzoDalpane che è stato protagonista dello svilup-po dell’eolico nel nostro Paese. A chi come luiha vissuto fin dall’inizio questa emozionanteesperienza vanno i nostri ringraziamenti peraver fatto grande l’Italia anche in questo set-tore (Giuseppe Noviello).

Per risalire alle origini di E2i occorre parti-re dalla storia dell’eolico in Italia.In Italia, la fonte eolica come possibile risorsa

per la produzione di energia elettrica è diventataoggetto di interesse all’inizio degli anni ‘80, comeconseguenza delle due crisi energetiche interna-zionali verificatesi nel decennio precedente.In effetti, nei primi anni ‘80 all’estero c’era già

stata ben più di una semplice avvisaglia del po-tenziale di crescita di questo settore. In particola-re fu in Danimarca, dove lo Stato danese avevasostenuto un primo sviluppo industriale a partiredal 1976, che negli anni 1984-85 alcune industrieebbero l’opportunità di costruire ed esportare ne-gli Stati Uniti diverse migliaia di aerogeneratori.Infatti in quegli anni gli Stati Uniti avevano vara-to una politica di agevolazioni fiscali volta a farcrescere la produzione di energia eolica. Fu il pri-mo boom dell’eolico industriale.Le aziende che all’epoca costruivano (o ten-

tavano di costruire) aerogeneratori appartene-vano generalmente a due possibili categorie: da

un lato c’erano aziende di piccola/media taglia,di estrazione tipicamente meccanica e con unamentalità quasi artigianale, come per esempiomolte aziende in Danimarca sviluppatesi sullascia delle esportazioni negli USA; mentre dal-l’altro lato c’erano grandi aziende aereonauti-che come la statunitense Boeing e la tedescaMesserschmitt-Boelkow-Blöhm (MBB).Le prime avevano un approccio pragmatico:

i loro progetti erano scarsamente innovativi e imiglioramenti derivavano dall’esperienza prati-ca e dai difetti riscontrati sugli aerogeneratorivenduti ai clienti. Le macchine esportate negliUSA dalla Danimarca avevano una taglia com-presa fra i 20 ed i 100 kW ed erano tutte con-cettualmente simili tra loro: la torre era rigida,il rotore era dotato di tre pale, avevano un mol-tiplicatore di giri, un generatore asincrono col-legato direttamente alla rete elettrica ed eranoregolate per “stallo”. La sicurezza era affidataallo stallo aerodinamico, che funzionava grazieal fatto che le macchine operavano a velocitàcostante, a meccanismi di rotazione a scatto deltip della pala, e ad un freno meccanico.Alcune grandi aziende aereonautiche e i cen-

tri di ricerca di diverse nazioni come la Sveziae la Germania, vedevano invece nell’eolico unpotenziale futuro tale da giustificare sforzi si-gnificativi nella Ricerca e Sviluppo. Intuivanoche in futuro ci sarebbe stata la necessità di pro-durre energia con il vento a bassi costi e rite-nevano che il modo migliore per farlo sarebbestato quello di realizzare macchine di grandi di-mensioni, da 2 a 4 MW, cioè macchine enormi

Le origini di E2i risalgono a quelle dell’eolicoin Italia ed in particolare alla Riva Calzoni, storica Azienda

manifatturiera di Bologna.

Enzo Dalpane Direttore Tecnico - E2i

L’eolico in Italiadagli anni ‘80 ad oggi

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rispetto a quelle che si stavano diffondendo al-l’epoca. Il modo di sviluppare i progetti di que-ste aziende era molto diverso da quello delle pic-cole imprese artigianali. Non solo i progetti era-no basati su calcoli aeroelastici1, all’epoca mol-to sofisticati, derivati dal know how sviluppatoin campo elicotteristico, ma addirittura le carat-teristiche di base stesse delle macchine conven-zionali erano messe in discussione, come peresempio la scelta del rotore tripala. Le macchi-ne prototipo erano dotate di sofisticati sistemi dimisura e di una molteplicità di allarmi ridondantie di sistemi di sicurezza.Aziende come la Boeing con i prototipi MOD-

2, organizzazioni come la NASA e nazioni co-me la Germania con il progetto Growian o la Sve-zia con il prototipo sull’isola di Gotland, confi-davano che la scelta ottimale fosse quella del ro-tore bipala. Queste aziende e organizzazioni neiprimi anni ‘80 costruirono grandi prototipi da 2o 3 MW di potenza a scopo di studio.La MBB all’inizio degli anni ‘80 aveva addirit-

tura ipotizzato di realizzare macchine con unasola pala e credeva che la taglia ottimale perqueste macchine fosse di oltre di 5 MW di po-tenza. Seguendo quindi un approccio tipico nelsettore aeronautico, decise di realizzare un pro-totipo in scala ridotta 1:3 di una macchina pro-gettata per 5,4 MW: il Monopteros. Pur essendo

un modello in scala ridotta aveva un diametrodi 50 m ed era quasi 10 volte più grande dellemacchine vendute all’epoca.In Italia in quegli anni l’immissione in rete di

energia elettrica da parte di privati non era am-messa. L’unico ente che pertanto poteva avereinteresse a questo tipo di macchine era l’ENEL,che aveva infatti costruito un campo prove aFiume Santo in Sardegna e aveva iniziato a spe-rimentare dieci prototipi di macchine bipala da50 kW cadauna, progettate da FIAT Aviazione.La FIAT nel giro di pochi anni decise di ab-

bandonare il settore e le due imprese nazionaliche si affacciarono furono l’Aeritalia, diventatapoi Alenia da cui fu generata la West (Ansaldo)di Taranto, e la Riva Calzoni, da cui fu genera-ta la società che oggi si chiama E2i.Mentre la prima era una azienda aereonauti-

ca, la seconda invece non apparteneva a nes-suna delle due categorie sopra descritte. La RivaCalzoni infatti era un’azienda manifatturiera didimensioni medio/grandi che operava in diver-si campi fra cui il settore idroelettrico, dove eraspecialista nella progettazione delle pale delleturbine idroelettriche (figura 1) e dei relativi si-stemi elettronici di controllo e regolazione. Èstata quindi l’analogia fra una turbina idraulicae una eolica, che spinse la Riva Calzoni ad in-teressarsi a questo settore.La Riva Calzoni cominciò quasi per gioco a

costruire piccoli aerogeneratori nel suo stabili-mento di Bologna, a pochi passi da una dellesedi odierne di E2i.Il primo, l’Aliseo, era un piccolo aerogenera-

tore bipala da 1,8 kW, costruito in un unico esem-plare e installato sull’appennino Tosco Emilia-no. Poi, intorno al 1982, la Riva Calzoni ispiratada un progetto innovativo, creato nel 1940 dalprof. Hutter dell’università di Stoccarda, poi ri-preso dal prof. Wortmann (noto per aver svi-luppato diversi profili alari), decise di realizzareprima due, poi una ventina di prototipi di un ae-rogeneratore da 3,6 kW: l’MP5, dotato di una tor-re alta dieci metri e di un rotore da 5 m di dia-metro dotato di… una sola pala!La Riva Calzoni tuttavia non partiva né dal

know how elicotteristico che caratterizzava le gran-di aziende aereonautiche, né aveva il supportoda parte dello Stato che aveva già consentito aicostruttori danesi di far partire “dal basso” unosviluppo industriale vero e proprio.I prototipi della Riva Calzoni furono finanzia-

ti quasi interamente dall’azienda che quindi, so-lo grazie a questi, alla convinzione visionariadel management e all’entusiasmo dei suoi tec-nici, si costruì in casa, praticamente da zero, un

L’Energia Elettrica 10 maggio-giugno 2015

fonte eolica

1 I calcoli aeroelastici richiedono o un approccio matematico molto raffinato, oppure la forza bruta di cal-colatori potentissimi, che all’epoca non esistevano ancora. D’altra parte la progettazione delle macchineeoliche non poteva prescindere dalla necessità di fare questo tipo di analisi, perché le forze aerodinami-che agiscono direttamente sulle pale che sono componenti molto snelli e flessibili: una piccola deforma-zione della pala sotto le spinte aerodinamiche e d’inerzia genera una variazione non trascurabile dellespinte stesse, creando così dei problemi di calcolo decisamente importanti.

Figura 1 Disegno di una turbina idraulica della Riva Calzoni dei primi dell’800.

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agiva su un delicato gruppo molla-ammortizza-tore (figura 2).In sostanza l’MP52, nel suo piccolo, era una

fucina di idee e di concetti innovativi, alcuni deiquali si sono poi dimostrati premonitori di solu-zioni tecniche che i grandi aerogeneratori han-no adottato solo molti anni dopo. Dopo l’MP5la Riva Calzoni avrebbe poi proseguito con lasua evoluzione, l’M7, costruito anch’esso in di-versi esemplari prototipali, prima che i diritti e ibrevetti di questa piccola macchina fossero ce-duti ad una società giapponese.Nel 1984 l’MP5 fu testato sia dall’ENEA alla

Casaccia, vicino a Roma, sia dall’ENEL nel pic-colo campo prove di S. Caterina, nei pressi di S.Antioco in Sardegna, insieme ad un altro picco-lo aerogeneratore bipala dell’Aeritalia, l’AIT 03da 10 kW di potenza.Il mercato per questo tipo di aerogeneratori

stand alone era però difficile. Innanzitutto le bat-terie avevano costi e rendimenti che le rende-vano proibitive, inoltre tante scelte innovativeconcentrate in una macchina relativamente pic-cola conducevano ad un costo di produzionepiuttosto alto, soprattutto dovendo affrontare unafase di industrializzazione praticamente da zero.La taglia quindi era la chiave di volta. Un ae-

rogeneratore di taglia più grande avrebbe potu-to assorbire meglio i costi fissi legati alla com-

know how completo sia sul piano ingegneristi-co che su quello pratico sperimentale.L’MP5 era un aerogeneratore pensato per fun-

zionare senza la rete elettrica. La taglia di circa 3kW era quella tipica delle utenze domestiche edera progettato per caricare un parco batterie op-pure alimentare una elettropompa. A dispetto del-le piccole dimensioni, si trattava di un progettomolto ambizioso, perché oltre alla complessitàderivante dal rotore monopala con contrappe-so, a mozzo oscillante, la macchina aveva ancheun particolare sistema di generazione elettrica, ba-sato su un generatore sincrono a 16 poli, che fun-zionava a giri variabili, collegato direttamente alrotore senza riduttore, come oggi avviene solo inalcune delle macchine più moderne. Trattando-si poi di una macchina molto piccola non era do-tato di computer di controllo: il motoriduttore perl’orientamento della navicella e per la messa inparcheggio era comandato da un sistema brevet-tato basato su un sensore del vento meccanicoche agiva su dei relè. Infine l’MP5 aveva un si-stema di limitazione della potenza basato sulla va-riazione del passo della pala, come oggi hannotutte le macchine moderne. Questo sistema eraulteriormente complicato dal fatto che, senza com-puter di controllo, l’azionamento del passo dellapala veniva comandato da una sorta di regolato-re di Watt integrato direttamente sul rotore, che

L’Energia Elettrica 11 maggio-giugno 2015

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2 Un esemplare dell’MP5 è conservato al museo della scienza e della tecnica di Milano.

Figura 2 L’aerogeneratore monopala MP5 installato a Gaggio Montano in provincia di Bologna.

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plessità tecnologica, ma poi inevitabilmente avreb-be dovuto immettere l’energia in rete. Questospostava il target di mercato, in Italia, su un uni-co potenziale cliente: l’ENEL. Perché fino al 1991non sarebbe stato permesso ad un privato im-mettere energia in rete.Per aumentare la taglia di un aerogeneratore

non basta però cambiare il fattore di scala ai di-segni. Fu quindi così che le due aziende italia-ne che allora si cimentavano nella sfida decise-ro di avviare delle joint venture con aziendestraniere, per condividere gli sforzi necessari asviluppare il know how.Una collaborazione con le piccole aziende da-

nesi sarebbe stata molto difficile da instaurare.Esse facevano parte praticamente di un unico vet-tore di sviluppo, che all’epoca era poco per-meabile da parte di aziende straniere. L’Aerita-lia consolidò quindi la propria collaborazionecon la Boeing, mentre la Riva Calzoni si rivolsealla MBB per una evidente comunità di opinio-ni: entrambe credevano nei monopala.Nella seconda metà degli anni Ottanta in

Italia iniziò quindi una sorta di sfida fra due al-ternative tecnologiche: i bipala e i monopala,mentre in Danimarca dilagavano gli aerogene-ratori tripala.L’altra sostanziale particolarità delle macchine

italiane consisteva nella taglia: entrambe le azien-de Italiane si concentrarono su una taglia relati-vamente grande per l’epoca, dell’ordine cioè di200 kW (30 m di diametro circa). Nel frattempole aziende danesi sviluppavano di anno in an-

no macchine di taglia sempre maggiore, sostan-zialmente analoghe alle sorelle minori, senza peròancora arrivare a superare i 100-150 kW se nonin rari casi. Contemporaneamente invece laBoeing e la MBB consideravano le macchine ita-liane come se fossero modelli in scala ridotta.Inoltre i numeri erano diversissimi: l’industria inDanimarca sfornava già centinaia o addiritturamigliaia di macchine all’anno, mentre in Italia sifacevano studi e prove su prototipi.Tuttavia nel 1986, l’EWEC, cioè la conferenza

che la European Wind Energy Association (EWEA)organizza ogni anno, fu tenuta a Roma e in quel-la occasione il governo italiano annunciò che ilnuovo Piano Energetico Nazionale, che avreb-be visto la luce solo due anni dopo, avrebbe pre-visto la realizzazione, entro il 2000, di una po-tenza eolica compresa fra i 300 e i 600 MW.In quell’anno i progetti delle macchine italia-

ne da 200 kW erano ancora solo sulla carta, maquello del governo fu un segnale di fiducia dicui gli operatori italiani del settore avevano ungrande bisogno.Fu solo alcuni anni dopo, verso la fine degli

anni Ottanta, che i primi prototipi dell’M30 del-la Riva Calzoni e del Medit della WEST del grup-po Finmeccanica (nata nel 1989 da Alenia ex Ae-ritalia) furono installati nel campo prove dell’E-NEL di Fiume Santo in Sardegna. Una macchinaquasi gemella all’M30 in Sardegna veniva in-tanto sperimentata dalla MBB a Marienhafe, neipressi di Brema in Germania (figura 3).Iniziò così un’intensa fase sperimentale, du-

rante la quale le due aziende italiane, con lacollaborazione dei partner stranieri e dei tecni-ci dell’ENEL e dell’ENEA, poterono toccare conmano i problemi reali che la tecnologia eolicapresentava e che per alcuni aspetti presenta an-cora oggi.Nel frattempo, in campo internazionale, una

crisi stava interessando il settore eolico. La po-litica delle agevolazioni fiscali negli USA era sta-ta abbandonata alla fine del 1986 e molte pic-cole aziende danesi avevano dovuto chiudere,oppure fondersi fra loro per far fronte alla man-canza di nuovi ordinativi. Altre aziende d’altraparte si stavano avvicinando a questo settoreprovenendo da altri campi di attività.A questo proposito, il ruolo giocato dalla

ENERCON nella storia dell’eolico è emblemati-co per rendere l’idea della vitalità di questo set-tore. L’ENERCON, all’epoca, era un azienda te-desca di livello tecnologico molto elevato, cheoperava principalmente nel campo dell’elettro-nica di potenza. I tecnici della ENERCON nonriuscivano a capacitarsi del fatto che i costrut-

L’Energia Elettrica 12 maggio-giugno 2015

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Figura 3 I primi due prototipi di M30 installati in Alta Nurra (a sinistra) ed inGermania (a destra).

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bero diventate presto obsolete; le macchine agiri variabili avrebbero soppiantato quelle a girifissi (l’impiego dell’elettronica di potenza era unelemento essenziale in questo processo)3; l’inci-denza del costo di un sistema di controllo piùcomplesso sarebbe diventata trascurabile.Le macchine della Riva Calzoni, inizialmente

molto innovative, all’inizio degli anni ‘90 eranoancora tecnologicamente al passo con i tempi,ma quanto sarebbe durato?Tornando al 1988, in Italia, nel frattempo, ve-

niva finalmente pubblicato il Piano EnergeticoNazionale (PEN), reso urgente dalla necessità difronteggiare le conseguenze della rinuncia all’e-nergia nucleare espressa a seguito del referen-dum del 1987.Fu però solo con la legge n. 9 del 9 gennaio

1991, emessa per rendere applicative le dispo-sizioni del PEN, ed in particolare con l’art. 22 diquesta legge, che si creò la svolta necessaria peravviare la vera crescita dell’energia eolica inItalia. L’art. 22 infatti conteneva in sé il primogerme della liberalizzazione del mercato elettri-co che si sarebbe poi concretizzata solo otto an-ni dopo, nel 1999 con il Decreto Bersani.La rivoluzione contenuta nell’art.22 della leg-

ge 9/91, consisteva nel fatto che la produzioneelettrica da fonti di energia considerate rinnova-bili o assimilate era liberalizzata. Questo di persé non sarebbe ancora stato sufficiente, se nonfosse stato anche aggiunto anche che le “ecce-denze” (cioè l’energia prodotta oltre gli auto-consumi) sarebbero state ritirate dall’ENEL e chele modalità di cessione sarebbero state definitedal CIP al fine di assicurare “prezzi e parametriincentivanti”.L’ENEL non era quindi più l’unico possibile

cliente per le macchine eoliche connesse allarete in Italia.Il famoso provvedimento CIP6 del 1992 sta-

bilì le nuove regole del gioco: gli impianti eoli-ci potevano beneficiare di una tariffa incenti-vante, da aggiornare periodicamente, fissata ini-zialmente in 150 lire/kWh (corrispondenti a cir-ca 135 €/MWh di oggi, considerando il tasso diinflazione ISTAT) Di questi, 72 lire/kWh a titolodi “costo evitato” (dall’ENEL), erano riconosciu-ti teoricamente per tutta la vita dell’impianto (inpratica per 15 anni) e 78 lire/kWh, a titolo di so-vra-costi correlati alla specifica tipologia di im-pianto (l’eolico), erano riconosciuti solo per iprimi otto anni. Inoltre gli impianti eolici pote-

tori di macchine eoliche della vicina Danimarcanon cogliessero i vantaggi che sarebbero deri-vati dall’uso degli inverter per l’accoppiamentoalla rete degli aerogeneratori. La ENERCON co-struì quindi le sue prime macchine eoliche qua-si a scopo dimostrativo: erano macchine che ve-nivano da un altro pianeta.L’innovazione delle macchine della ENER-

CON non era nelle scelte di base sul rotore, per-ché da questo punto di vista erano macchinetripala tradizionali; le macchine ENERCON ave-vano una differenza: nei limiti del possibile lameccanica era sostituita dall’elettronica!Dopo il boom avvenuto a metà degli anni Ot-

tanta, molti problemi stavano venendo al petti-ne. Molte macchine progettate e costruite in granfretta per far fronte alla richiesta degli USA si ri-velarono poco affidabili e talvolta poco sicure.Fu principalmente a causa di questo fatto che

nel 1988 la International Electrotecnical Com-mission (IEC), in uno storico incontro a Du-brovnik, decise di costituire un nuovo comita-to tecnico (il TC88), il cui primo obiettivo sa-rebbe stato quello di predisporre una norma in-ternazionale per la sicurezza nella progettazio-ne delle macchine eoliche. Il comitato avviò quin-di diversi gruppi di lavoro internazionali, ai qua-li le due aziende Italiane parteciparono mediantei propri esperti. Si cominciò così a lavorare allaprima edizione della Norma IEC 61400-1, cheavrebbe visto la luce solo nel 1994 e che fece daprecursore alle altre numerose edizioni e normea corollario, tuttora in fase di continuo aggior-namento.La filosofia della sicurezza nella progettazione

degli aerogeneratori stava cambiando: da unalogica “passiva”, basata su un doppio freno unoaerodinamico + uno meccanico (la forza bruta),si stava passando ad una logica “attiva” dove lasicurezza veniva garantita da sistemi di regola-zione di emergenza opportunamente ridondan-ti eventualmente anche solo aerodinamici (l’in-telligenza). Solo così infatti si sarebbe potuto farfronte al fatto evidente che le macchine eolichesarebbero diventate sempre più grandi con ilpassare degli anni.La grandezza sempre crescente degli aeroge-

neratori commerciali, ancora una volta, si sa-rebbe dimostrata il driver principale dell’evolu-zione tecnologica in questo settore. Le soluzio-ni progettuali soft avrebbero prevalso su quellerigide; le macchine a controllo per stallo sareb-

L’Energia Elettrica 13 maggio-giugno 2015

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3 Un freno era anche costituito da problemi di proprietà intellettuale sul’uso dei rotori a giri variabili, detenuto da GE in USA, che ha rallentatoalcune aziende in quel percorso, come VESTAS, e portato altre, come ENERCON, ad escludersi dal mercato USA.

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vano essere connessi alla rete elettricadall’ENEL pagando solo il 33% degli “oneri diconnessione”, se ciò avveniva in una regioneenergeticamente deficitaria.La Riva Calzoni si trovò quindi di fronte a di-

verse nuove opportunità. Da un lato poteva tro-vare nuovi clienti, oltre all’ENEL, per le propriemacchine eoliche, eventualmente sviluppandoprogetti completi per impianti “chiavi in mano”,cioè facendosi anche carico di tutte le pratichenecessarie affinché i clienti potessero beneficia-re della tariffa incentivante. D’altra parte potevaanche cambiare pelle e diventare direttamenteun produttore di energia.Fece tutte queste cose, o almeno ci provò.La collaborazione con la MBB terminò, in

quanto quest’ultima era uscita dal settore eolico.La Riva Calzoni proseguì in modo autonomo,

abbandonando la fase di R&D e potenziandocontemporaneamente l’ufficio commerciale inmodo da rendere possibili offerte per impiantichiavi in mano. Poi decise di strutturarsi con duedivisioni separate: una per la costruzione in se-rie di macchine eoliche (sempre monopala, maconcentrandosi solo sull’M30 – figura 4) e l’al-tra per la commercializzazione di queste mac-chine, ovvero per la realizzazione di impiantieolici in veste di produttore.Questa seconda nuova divisione della Riva

Calzoni sarebbe diventata l’odierna E2i.Grazie agli sforzi della nuova area commer-

ciale, nel periodo compreso fra il 1992 ed il

1997 la Riva Calzoni avrebbe costruito e vendu-to a clienti diversi un totale di 57 aerogenera-tori M30, progressivamente sempre leggermen-te modificati rispetto agli esemplari precedenti,che si aggiungevano ai due primissimi prototipisperimentali i cui costi erano stati sostenuti dal-la joint venture con la MBB, con un piccolocontributo della Comunità Europea:� N. 2 a Tocco da Casauria (PE) avviati a luglio‘92 – fornitura e chiavi in mano per il Comu-ne – primo impianto eolico in Italia non di pro-prietà ENEL;

� N. 1 a San Simone (NU) avviato a maggio ‘93 –fornitura chiavi in mano per il Consorzio di Bo-nifica della Sardegna Centrale;

� N. 1 + 6 a Collarmele (AQ), di cui il primo av-viato a luglio ‘93 – fornitura, trasporto, mon-taggio e O&M per la ditta Marsica Gas;

� N. 1 modello dimostrativo sull’isola di Hokkai-do in Giappone avviato a settembre ‘93 – im-pianto dimostrativo per la ditta HokokuKogyo Co;

� N. 2 modelli dimostrativi avviati nel ‘94 neicampi dimostrativi dell’ENEL a Fiumesanto(SS) e a Frosolone (IS);

� N. 8 a Campanedda e a Ottava (SS) avviati anovembre ‘94 – fornitura chiavi in mano peril Consorzio di Bonifica della Nurra;

� N. 36 a Collarmele (AQ) avviati nel febbraio‘97 - fornitura chiavi in mano per ENEL – pri-ma grande wind farm italiana.Mentre quindi una parte della Riva Calzoni

L’Energia Elettrica 14 maggio-giugno 2015

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Figura 4 Il piazzale della Riva Calzoni, dove erano stoccate le navicelle delle macchine M30 costruite interamentenello stabilimento di Bologna.

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L’obiettivo del PEN poteva dirsi praticamenteraggiunto, ma solo una parte dei 700 MW di im-pianti eolici CIP6 venne realizzata in tempi bre-vi, perché a quel punto divenne chiaro a tuttiche, oltre al problema del finanziamento, esi-stevano in Italia ben altre barriere che avrebbe-ro, negli anni successivi e fino ad oggi, caratte-rizzato lo sviluppo del settore: le autorizzazionida parte di Comuni e Regioni4 e le connessio-ni a rete.Nel frattempo in campo internazionale, ma

soprattutto nel nord Europa, le aziende che pro-ducevano aerogeneratori stavano trasformando-si: stavano diventando rapidamente “adulte”. Lemacchine che venivano prodotte ogni annoerano più numerose, ma soprattutto la loro ta-glia aumentava progressivamente.Verso la metà degli anni ‘90, le macchine del-

la Riva Calzoni di 30 m di diametro circa, chequando erano state concepite erano decisa-mente grandi rispetto a quelle in commercio,appartenevano ormai ad una categoria pocodiffusa: le macchine più vendute erano quellecosì dette di media taglia, cioè da 40-45 m didiametro. Si chiamavano di “media–taglia” per-ché comunque, indipendentemente dai primigrandi prototipi del 1980, nella seconda metàdegli anni ‘90 cominciavano già ad apparire invendita anche aerogeneratori da 60-70 m di dia-metro con potenza intorno ad 1 MW.Le possibilità per la Riva Calzoni di compete-

re sul mercato dei costruttori di aerogeneratoristavano diminuendo sempre più.Il cliente migliore per le macchine della Riva

Calzoni era ormai la Riva Calzoni stessa. Lo sco-glio più grosso che la Riva Calzoni trovò in ve-ste di produttore di energia fu però la connes-sione alla rete: aveva convenzioni CIP6 per nu-merosi progetti, purtroppo però, ad eccezionedi uno in Emilia, erano quasi tutti impianti con-centrati sulle colline dell’Appennino Dauno do-ve complessivamente si concentravano i famosi500 MW.L’ENEL nel 1995 aveva avviato un progetto uni-

co per raccogliere tutta questa potenza, preve-dendo la realizzazione di tre dorsali a 150 kV, duein partenza dalla Stazione AAT di Benevento euna da quella di Foggia (figura 5). L’ENEL (e poiin seguito Terna) avrebbe però impiegato diver-si anni prima di arrivare a costruire le nuove li-

continuava il proprio programma di crescita co-me costruttore di macchine eoliche, la secondaanima nata di recente, quella più commerciale,si stava trasformando in un developer perché,mentre ricercava nuovi clienti, iniziò anche a fa-re scouting di possibili siti eolici. A partire dal1992 furono quindi state installate le prime sta-zioni di misura anemometrica di lungo periodo,alcune delle quali, tuttora operative, consento-no ad E2i di disporre di una base dati anemo-metrica storica di riferimento praticamente uni-ca nel contesto dell’eolico italiano.Imparato il mestiere del developer, la divisio-

ne della Riva Calzoni che stava trasformandosiin un produttore di energia, tra il 1994 ed il1995, presentò numerose domande ai sensi del-l’art. 22 della Legge 9/91, per la realizzazione diimpianti a proprio nome o a nome di “societàveicolo” appositamente costituite. Quest’animadi developer nel 1997 sarebbe confluita in unasocietà autonoma, dedicata alla produzione dienergia con il vento che, pur attraverso varie vi-cende e trasformazioni, è rimasta ancora la stes-sa che oggi prende il nome di E2i.Il provvedimento CIP6/92 stava rivelandosi

efficace, perché risolveva un problema che ne-gli altri Paesi costitutiva spesso un grave impe-dimento: quello del Power Purchase Agreement(PPA). Un PPA solido e affidabile era infatti lacondizione essenziale per poter accedere a fi-nanziamenti bancari con il metodo del ProjectFinancing. Il CIP6 consentiva di stipulare delleconvenzioni con un ente particolarmente soli-do, l’ENEL, a tariffe prefissate per diversi anni,quindi le convenzioni CIP6 erano sostanzial-mente “bancabili”.Nel gennaio del 1997, risultavano stipulate

convenzioni preliminari CIP6 con l’ENEL, perun totale di 691,7 MW (fonte ENEL). Tra que-sti, gli impianti riconducibili alla Riva Calzonierano quasi ¼ del totale. Circa 500 MW era lapotenza complessiva degli impianti concen-trati nell’Appennino Dauno, nelle provincie diFoggia, Benevento e Avellino.Il Governo, a questo punto, interruppe la

possibilità di accedere al CIP6. Nell’elenco de-gli eletti, oltre ad una minoranza di piccoli fu-turi produttori, si riconoscevano tre nomi prin-cipali: alla Riva Calzoni e alla WEST Ansaldo,che nel frattempo stava subendo una trasfor-mazione analoga a quella della Riva Calzoni,si era aggiunto un nuovo importante player.Un developer americano aveva presentato unaserie di domande a nome di una società ap-positamente costituita: la Italian Vento PowerCorporation (IVPC).

L’Energia Elettrica 15 maggio-giugno 2015

fonte eolica

4 In Italia, la presenza di soggetti titolati ad esprimere nulla-osta edautorizzazioni, alcuni a livello centrale, altri regionale, zonale, co-munale, oltre alla difficoltà di inserire gli impianti in aree scarsa-mente servite dalla rete elettrica, hanno creato ostacoli molto mag-giori che non in altri Paesi.

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nee elettriche e comunque il progetto fu com-pletato solo in parte.Nel frattempo l’unica opportunità che la Riva

Calzoni ebbe fu quella di collegare i propri im-pianti alla rete di Media Tensione pre-esistente,talvolta riducendo la potenza originariamenteprevista per rientrare nei limiti delle possibilitàofferte dalle deboli reti rurali dell’ENEL.I primi impianti di proprietà della Riva Calzo-

ni, o ad essa riconducibili, furono quindi connessialla rete MT e furono costruiti ancora con i solitimonopala M30:� Castelnuovo della Daunia – n. 10 macchineavviate a dicembre 1994 ed inaugurate a mag-gio 1995 – primo impianto industriale di pro-prietà della Riva Calzoni e tutt’oggi in eserci-zio e incluso fra gli asset di E2i;

� S. Benedetto Val di Sambro (in Emilia Roma-gna) - 10 aerogeneratori – oggi sostituiti con 4tripala;

� Foiano - 8 macchine – prima esperienza diProject Financing della Riva Calzoni – oggisostituite;

� Celle S. Vito – 9 macchine oggi in esercizio;� Rocchetta S. Antonio - 15 macchine oggi in

esercizio.Questi 52 M30 furono gli ultimi: in totale la

Riva Calzoni ne aveva costruiti 111.Nel 1997, la metamorfosi del settore eolico

della Riva Calzoni si era ormai completata. Perscissione erano nate formalmente due nuove

società: la Riva Wind Turbine (RWT), destinataa portare avanti l’eredità industriale della RivaCalzoni come produttore di aerogeneratori e laRiva Wind Power (RWP), cioè l’attuale E2i, cheaveva la missione di produrre energia, svilup-pando impianti e acquisendo le macchine. Itempi erano maturi per realizzare il primo im-pianto eolico con macchine “commerciali”.L’opportunità venne con il progetto di San

Giorgio La Molara, dove l’iniziativa CIP6 dellaRWP avrebbe potuto essere connessa, sia purin via provvisoria e comunque solo fino ad unmassimo di 10 MW, alla rete AT pre-esistente del-l’ENEL. Era un progetto relativamente grande,che giustificava l’ipotesi di realizzarlo con mac-chine non prodotte dal gruppo Riva Calzoni.Fu così che la RWP avviò i primi rapporti con

la società tedesca ENERCON, instaurando unasorta di collaborazione che si sarebbe poi pro-tratta per diversi anni a venire.L’ENERCON voleva penetrare nel mercato

Italiano del CIP6, che fino ad allora era stato,di fatto, monopolizzato dalla Vestas. All’epocal’ENERCON disponeva di una macchina, la E40da 500 kW, che era in competizione con la V44della Vestas da 600 kW pur essendo più co-stosa, perché era tecnologicamente molto piùavanzata. I tecnici della RWP, dopo accurate ve-rifiche, decisero di optare per la ENERCON equindi il progetto fu realizzato impiegando 20E40. Per la prima volta le macchine erano sta-te costruite, trasportate e montate da un terzo:la RWP stava quindi giocando pienamente ilruolo del committente.L’avventura nell’eolico del gruppo Riva Cal-

zoni era però giunta al capolinea. La RWT nonriusciva ad essere competitiva, mentre la RWPaveva bisogno di una forza finanziaria maggio-re per portare avanti gli investimenti. Fu così chela EDISON, alla fine del 1998, perfezionò l’ac-quisizione del 100% delle quote della RWP, cam-biandole nome in Edison Energie Speciali(EDENS): la società era la stessa, ma era entrataa far parte di un grande gruppo italiano che ave-va una esperienza storica come produttore dienergia.Nel frattempo un importante cambiamento,

in parte anticipato dalla legge 9/91, stava av-venendo in Italia: la liberalizzazione del mer-cato elettrico. Dal punto di vista del settore eo-lico, dopo che il Governo aveva sospeso l’am-missione delle domande di accesso al mecca-nismo CIP6, si era in attesa di qualche altroprovvedimento che potesse mantenere viva lacrescita del settore: il dopo CIP6 in gergo sichiamava “CIP7”.

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Figura 5 Il progetto ENEL del 1995 con le tre nuove dorsali AT (in rosso).

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iter autorizzativi già avviati ovvero di rilocalizza-re i progetti in aree dove la pubblica amministra-zione si dimostrava più disponibile.I 700 MW CIP6 furono “salvati” quasi tutti, ma

la scadenza del marzo 2000 creò un picco vi-stoso nel grafico della potenza installata in Italiain corrispondenza dell’anno 2001. Questo piccosegnava la fine della crescita legata al CIP6.Il rush di quegli anni portò EDENS a svilup-

pare nuove aree, senza però rinunciare a quelledove il diritto CIP6 era venuto meno, ma il sitorimaneva promettente. EDENS si trovò quindi inuna posizione favorevole rispetto agli altri pro-duttori dell’epoca e fu una delle prime a realiz-zare impianti incentivati con i Certificati Verdi.Nello slancio, EDENS realizzò tra l’altro l’im-

pianto italiano con il numero maggiore di mac-chine, tutte interconnesse fra di loro: ben 188aerogeneratori furono installati tra il 2001 ed il2005 sui crinali di sette Comuni abruzzesi. Unaparte di questi erano impianti incentivati con ilCIP6, opportunamente rilocalizzati, mentre altriinvece erano già incentivati con i certificati ver-di. La maggior parte delle macchine comprateda EDENS erano della ENERCON.Entro la metà del 2006 EDENS avrebbe instal-

lato ben 324 macchine ENERCON da 600 kWcadauna in aggiunta alle prime 20 di San Giorgiola Molara.Per descrivere meglio l’evoluzione dell’eolico

in Italia negli ultimi anni, il grafico di figura 6è una guida utile.

Il “CIP7” arrivò con il decreto Bersani delmarzo 1999. Ovviamente non si chiamò “CIP7”,ma: Certificati Verdi.Il decreto Bersani, fra gli altri obiettivi, aveva

anche quello di blindare definitivamente la que-stione CIP6, soprattutto perché l’aver “assimila-to” alle fonti rinnovabili così dette “pure” anchela cogenerazione stava comportando per la col-lettività oneri molto importanti. Nell’ultimo arti-colo del Decreto pertanto c’era una sorta di ul-timatum: gli impianti CIP6 che non avessero ot-tenuto la concessione edilizia entro il 30 marzo2000 avrebbero perso il diritto all’incentivo.L’EDENS, il cui valore derivava in gran parte

dai diritti CIP6 di cui era in possesso quandoera stata comprata, doveva quindi sbrigarsi,perché il problema di ottenere le concessioniedilizie, pur essendo stato fino ad allora sover-chiato dal maggior problema delle connessionia rete, rimaneva pur sempre uno scoglio tutt’al-tro che facile da circumnavigare, soprattutto difronte ad una scadenza così perentoria e così…pubblica.Per molti progetti, nati già da diversi anni e

tenuti artificialmente in vita in attesa di trovare ildifficile equilibrio tra il finanziamento del progettoe la connessione a rete, fu impossibile rispettarela scadenza. Tuttavia le regole del gioco consen-tivano, entro certi limiti e condizioni, di “riloca-lizzare” i progetti. Alcuni produttori quindi, edEDENS in particolare, si trovarono nella difficilesituazione di scegliere se tentare di completare gli

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1.400

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400

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Potenza (MW)

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Pre...

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Figura 6 Potenza eolica installata in Italia e numero di turbine.

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Il periodo fino al 2001 compreso rappresen-ta il periodo dei CIP6.I primi due anni successivi, oltre ad una pic-

cola coda di impianti CIP6, mostrano i primi ti-midi effetti del nuovo sistema di incentivazione:quello dei Certificati Verdi (CV).Questo nuovo sistema, dal punto dei produt-

tori eolici, presentava rischi e opportunità di-verse dal precedente. Innanzitutto il nuovo si-stema non prevedeva più nessuna forma di in-centivo per la connessione, anche se all’epocaquesto fatto appariva marginale. Il sistema CIP6,che operava in un contesto energetico di tipomonopolistico, attribuiva all’ENEL gran parte de-gli oneri per la connessione, oneri che sarebbe-ro poi stati rimborsati all’ENEL dalla Cassa De-positi e Prestiti. Per quanto criticato all’epoca,quel sistema aveva consentito ad esempio di pia-nificare la realizzazione dei rinforzi di rete ne-cessari ad interconnettere diverse nuove stazio-ni AT alla rete AAT pre-esistente. I produttori pa-garono significativi contributi all’ENEL per la rea-lizzazione di questi rinforzi di rete, ma dal mo-mento in cui il progetto fu concepito, nel 1995,la fase di progettazione e realizzazione avven-ne in un arco temporale che in effetti durò soloalcuni anni.Infatti nel 2001 entrò in esercizio la prima del-

le tre dorsali AT previste e nel 2005 la seconda.Anche se la terza dorsale AT, quella verso Fog-gia, non fu mai realizzata, già con la prima del-le tre fu comunque possibile far fronte al piccodi installazioni eoliche del 2001 e con la secon-da si creò la base su cui progettare e realizzarei successivi rinforzi in quest’area, che storicamenteè sempre rimasta una delle più critiche.Il problema delle connessioni eoliche dopo la

fine del CIP6 diventò via via sempre più critico.L’Autorità per l’energia elettrica e il gas iniziò ademettere una serie di delibere a partire dalla n.50 del 2002 per regolare la materia, che nel nuo-vo quadro regolatorio appariva complessa. Daun lato la direttiva europea del 2001, oltre a sta-bilire obiettivi vincolanti per lo sviluppo dellerinnovabili in ciascun paese, sanciva anche ilprincipio della priorità di connessione di questotipo di impianti. Dall’altro, il successo che avevaavuto il provvedimento CIP6 aveva spinto di-versi imprenditori ad avventurarsi nell’eolico equindi il gestore della rete fu inondato da ri-chieste di connessione di futuri impianti eolici.La materia appariva ardua da regolare, perchémancava del tutto uno strumento di pianifica-zione e quindi diventava molto difficile per tuttigli operatori pubblici e privati operare in modocorretto.

Nel 2002-2003, come dicevamo, il nuovo mec-canismo di incentivazione dava segnali con-traddittori. Da un lato era dichiaratamente unostrumento di mercato: le certezze che dava ilCIP6, che avevano costituito la base per far en-trare il settore bancario nello sviluppo dell’eoli-co italiano, venivano cancellate. D’altra parte illivello di incentivazione “attesa” sembrava com-pensare la rischiosità del mercato dei CV. Ri-schiosità che in effetti era solo teorica e riguar-dava gli anni futuri, perché nel breve termine,almeno fino alla saturazione della domanda deiCV, che all’epoca appariva ancora lontana, il lo-ro prezzo di mercato risultava praticamente coin-cidente con il cap.Contemporaneamente, le regioni italiane più

ventose stavano imparando a conoscere l’eoli-co, ad apprezzarlo per le opportunità di svilup-po locale che assicurava, ma contemporanea-mente a temerlo per gli impatti ambientali e perle conseguenze politiche che questi impatti po-tevano avere. Fino ad allora il provvedimentoautorizzativo di riferimento per costruire un im-pianto eolico era stata la concessione edilizia(oggi Permesso a Costruire), che era, nel mi-gliore dei casi, un provvedimento finale, che ar-rivava al termine di una fase di istruttoria gesti-ta dal comune, che vedeva il coinvolgimento ditutte le autorità preposte alla tutela di diversi in-teressi pubblici che sono tipicamente coinvoltinella realizzazione degli impianti eolici.Era ormai impossibile lasciare che la realizza-

zione dell’eolico fosse priva di un coordina-mento, almeno a livello regionale e fu così chenel 2003 entrò in vigore il famoso D.Lgs. n. 387che regolava un procedimento autorizzativo de-dicato, specificatamente definito per gli impian-ti da fonti rinnovabili con un particolare pen-siero rivolto all’eolico. L’applicazione del D.Lgs.n. 387 non fu però immediata, perché in molticasi i procedimenti autorizzativi avviati primafurono comunque conclusi con il semplicePermesso a Costruire. Ancor prima, comunque,altre norme avevano cominciato a spostare ilbaricentro delle decisioni (ovvero delle barriere,a seconda dei punti di vista) a livello regionale,piuttosto che a livello comunale. Infatti risale al-la fine del 1999 l’obbligo di sottoporre gli im-pianti eolici alla verifica ambientale (screeningVIA). Obbligo che le regioni regolarono in mo-do diverso l’una dalle altre.Sotto queste diverse spinte, alcune delle qua-

li evidentemente opposte, dopo il periodo distasi del 2002-2003, si arrivò ad una fase diequilibrio dinamico, che durò circa quattro an-ni dal 2004 al 2007, durante i quali si installaro-

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I “pacchetti” comprendevano qualche auto-rizzazione e, nel migliore dei casi, anche l’Au-torizzazione Unica ex D.Lgs.387. Spesso si trat-tava di autorizzazioni rilasciate a fronte di pro-getti tecnicamente non ottimali, ma anche “pac-chetti” incompleti avevano un mercato in quan-to costituivano comunque una base di parten-za su cui lavorare per ottimizzare i progetti pri-ma del completamento degli iter autorizzativi.Il prezzo di 1 MW autorizzato è quindi diven-

tato un parametro di mercato ed è cominciato asalire vertiginosamente, fino a diventare enormerispetto al costo effettivo di confezionamento del“pacchetto”. Il fatto più paradossale era che mol-ti dei nuovi player che si affacciavano su questomercato attribuivano valori crescenti a questipacchetti, perdendo di vista talvolta l’enorme dif-ferenza che poteva esserci fra due pacchetti lo-calizzati in zone ventose oppure no.Una delle particolarità che infatti caratterizza

da sempre il settore eolico rispetto ad altri set-tori apparentemente simili come per esempioquello fotovoltaico sta nella difficoltà di preve-dere in anticipo la potenzialità produttiva deiprogetti.Negli anni 2004-2007 la percezione comune

era che i siti eolici italiani avessero una capacitàproduttiva media superiore alle 2000 h equiva-lenti. In fase di studio, tuttavia, praticamentenessuno dei nuovi progetti aveva sulla carta unacapacità produttiva attesa inferiore a 2.500 hequivalenti: questo perché ogni produttore cre-deva di avere in mano un’opportunità eccezio-nale. Se poi si leggevano i consuntivi degli im-pianti realizzati fino ad allora, si scopriva che lamedia annuale Italiana era dell’ordine di 1.700 hequivalenti. La frenesia di entrare in fretta in unsettore ritenuto privilegiato stava provocandodelle distorsioni talvolta anche significative.La reazione dei gestori di rete di fronte alla

polverizzazione dei produttori era inizialmentescettica: la quantità enorme di richieste per nuo-ve connessioni eoliche, peraltro quasi tutte con-centrate al sud o nelle isole, totalmente prive diimpegni reali da parte dei richiedenti, era undato inaffidabile per pianificare nuovi sviluppidi rete. Nel 2002 erano pervenute al GRTN ri-chieste di connessione a rete di 15.000 MW! Insostanza i gestori non credevano che il settoreeolico avrebbe avuto uno sviluppo importante.Lo scetticismo si sarebbe poi trasformato ingrande attenzione quando, a partire dal 2007, iltrend di crescita avrebbe cambiato velocità.La reazione delle regioni, chiamate a gestire i

procedimenti autorizzativi ex D.Lgs. 387/03 è sta-ta invece alterna. Alcune regioni, come la Puglia

no in Italia circa 400 turbine all’anno. Man ma-no che gli anni passavano la taglia delle turbineaumentava e quindi la potenza eolica installataogni anno appariva progressivamente in au-mento. In effetti il volume d’affari aumentava inproporzione alla potenza e così anche le pro-blematiche di connessione, tuttavia, dal puntodi vista della resistenza opposta dalle barriereterritoriali, la misura che meglio consente di ca-pire l’evoluzione dell’eolico in Italia è il nume-ro di turbine installate ogni anno.Appariva sempre più evidente infatti qual era

il vero vantaggio delle turbine di grande taglia,che in quegli anni erano già diffusissime all’e-stero, ma che in Italia erano ancora rare, inquanto i procedimenti autorizzativi erano statiavviati molti anni prima e una volta conclusi siriferivano a modelli di aerogeneratori che spes-so erano già obsoleti. Il vero vantaggio stavanella minor occupazione di territorio a parità dipotenza. Se quindi in quegli anni non si instal-lavano più di 400 turbine all’anno il motivo eralegato alle barriere autorizzative.Nel caso dell’eolico, dal 2004 al 2007 la co-

stanza nella crescita nascondeva in realtà al-cune variazioni significative che si stavano ve-rificando.La principale di queste variazioni era costitui-

ta dalla polverizzazione del mercato. Mentre ilperiodo del CIP6 era stato dominato da solo treproduttori principali, che si spartivano il 90%del totale, i primi quattro leader del settore,IVPC, Erg, EGP ed EDENS5, intorno alla metàdel 2008, hanno visto la loro quota complessi-va di mercato scendere al 50%. Questo trend, inquegli anni rapidissimo, non si è però ancorafermato ed oggi questi quattro produttori assie-me detengono solo poco più del 30% della po-tenza complessiva installata in Italia.L’enorme volume di richieste di connessione

che Terna ha cominciato a ricevere in queglianni è stato uno degli effetti di questa polveriz-zazione: chiedere la connessione non costavanulla, non poteva essere rifiutata e, una volta ot-tenuta, diventava parte di un “pacchetto” chemolti piccoli developer confezionavano per of-frirlo ad un mercato crescente di nuovi investi-tori che nel frattempo stavano scoprendo que-sto business.

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5 Dopo che la IVPC alla fine degli anni 2000 aveva acquisito gli im-pianti della WEST, si può dire che la Erg, alcuni anni dopo, abbia so-stanzialmente preso il suo posto, avendo acquisito proprio da IVPCun grosso numero di impianti. A Erg, IVPC ed EDENS va poi dovero-samente aggiunta anche ENEL Green Power fra le società leader delsettore in Italia.

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e la Sicilia, hanno inizialmente cavalcato le op-portunità di sviluppo locale che derivavano dalboom dell’eolico, altre invece, come la Basilica-ta e le Marche, hanno affrontato la nuova realtàcon i freni tirati.In tutte le regioni tuttavia sono arrivate onda-

te di progetti da autorizzare.Dal punto di vista della normativa sugli in-

centivi, negli anni 2003-2004 si percepiva la ne-cessità di aumentare la crescita delle rinnovabiliper raggiungere gli obiettivi vincolanti previstidalla direttiva 2001/77/CE. Questa direttiva infattiprevedeva l’incremento dell’incidenza della pro-duzione di energia elettrica da FER rispetto alconsumo interno lordo dal 16% del 1997 al 25%per il 2010. Questo corrispondeva ad una pro-duzione attesa di 76 TWh. Il crollo della cresci-ta che si era visto nel 2002 e 2003 suggeriva didare una decisa spinta alle nuove rinnovabili cheallora erano limitate alle sole biomasse ed al-l’eolico: complessivamente le rinnovabili in que-gli anni producevano meno di 50 TWh/anno, perla maggior parte con l’idroelettrico storico.La quota d’obbligo dei certificati verdi, che fi-

no al 2003 era rimasta fissa sul 2% (della pro-duzione da fonte convenzionale), fu incremen-tata di uno 0,35% all’anno, per tre anni, a parti-re dal 2004.Questo segnale di fiducia giocò un ruolo

determinante per mantenere costante il nu-mero annuo di turbine installate tra il 2004 edil 2007.Il sistema dei CV tuttavia cominciava a mo-

strare le prime debolezze. L’aumento della quo-ta d’obbligo, che serviva teoricamente a mante-nere adeguato il prezzo di mercato dei CV, sta-va diventando troppo onerosa per il sistema.Alcuni ritenevano infatti che il mercato dell’e-nergia nel suo complesso, dal momento che ilprezzo si forma sul costo marginale dell’ultimoentrante, subisse un aumento pari al valore del-la quota d’obbligo, anche se l’obbligo riguarda-va solo un numero limitato di impianti.Era quindi onerosissimo continuare ad au-

mentare la quota d’obbligo in modo da elevarela domanda di CV sopra il livello dell’offerta, sesi voleva crescere fino al raggiungimento degliobiettivi previsti dalla direttiva 2001/77/CE.I segnali normativi che però il governo die-

de in quegli anni furono tali da aumentare an-cor di più la fiducia e lo slancio degli operato-ri del settore.Nel 2006 la durata dell’incentivazione fu por-

tata da 8 a 12 anni e l’anno successivo la duratafu portata a 15 anni con una regolamentazioneche rendeva più certo il valore effettivo dei CV

prodotti in esubero rispetto alla domanda.Ormai il sistema dei certificati verdi non mostra-va più le incertezze tipiche di un mercato libe-ro, ma stava diventando molto simile, concet-tualmente, al vecchio sistema del CIP6, era pra-ticamente una Feed In Tariff (FIT). Questo die-de al sistema bancario la fiducia necessaria.L’offerta dei CV superò la domanda nel 2006

e da quel momento, pur con un aumento dellaquota d’obbligo di ben 0,75% all’anno, non cisarebbe più stato equilibrio. La quota d’obbligosarebbe aumentata fino al livello quasi impen-sabile del 7,55% nel 2012, mentre contempora-neamente i ritiri di CV da parte del GSE sareb-bero cresciuti fino addirittura a superare il valo-re della domanda nel 2009.Dai 100 MW all’anno del 2002-2003, dopo

il 2008 la potenza eolica installata annua sta-va aumentando in ragione di oltre 1.000 MWall’anno. L’eolico era in pieno boom. Un MWautorizzato veniva venduto a prezzi semprepiù elevati fino a toccare valori dell’ordine di600.000 €/MW. Il costo di investimento ini-ziale aumentò in quegli anni fino a stabiliz-zarsi su valori dell’ordine di 2 M€/MW, a cau-sa sia del costo elevatissimo di acquisizionedei progetti cantierabili, sia del costo delleturbine che in quegli anni stava aumentandoanche per motivi esogeni all’Italia.Sulla carta i progetti tipicamente costavano

1 M€ per ogni GWh di capacità produttiva an-nua attesa, ma la produzione effettiva era inlinea con quella attesa? I dati riportati dal GSEfino al 2008 mostravano risultati inquietanti.Era pur vero che alcuni impianti producevanopiù delle fatidiche 2.000 h equivalenti, ma lapercentuale degli impianti che produceva dimeno era dell’ordine del 70% (figura 7).La fretta di sviluppare nuovi progetti spinge-

va verso valutazioni preliminari sempre più ap-prossimative, inoltre si andava verso siti sempremeno produttivi: la producibilità effettiva appa-riva in diminuzione costante ed il gap fra i con-suntivi e le attese aumentava.La risorsa eolica, in una nazione relativamen-

te piccola come l’Italia è simile ad una serie digiacimenti: man mano che si sfruttano i miglio-ri le risorse disponibili diminuiscono ed i costiper sfruttarli aumentano.Nel resoconto statistico del 2008, il GSE tentò

di analizzare il problema evitando di usare datiinquinati dagli impianti che in ogni anno ave-vano prodotto di meno essendo entrati in eser-cizio nel corso dell’anno stesso. Il grafico se-guente, che il GSE presentò nel 2009, rappre-senta le ore equivalenti effettive nel corso del

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Il sistema Italia reagì in tre modi a questaemergenza:� le nuove connessioni alla rete, approssimati-vamente a partire dal 2006-2007, furono con-cesse solo a condizione che prima fossero

2008 dei diversi gruppi di impianti installati an-no per anno, dal 2000 al 2007. Il risultato è mol-to indicativo. Lo sfruttamento del giacimentoeolico italiano, soprattutto dopo il 2004, appareevidente: gli impianti più recenti mostravanouna produzione del 15%-20% inferiore a quellirealizzati fino al 2004 (figura 8).A partire dal 2008-2009 la situazione inoltre

stava peggiorando anche per altri motivi. Lacongestione elettrica nelle zone dove si con-centrava la maggior parte delle installazionieoliche stava causando la necessità di limitarela produzione degli impianti nelle ore più ven-tose. Le limitazioni non erano dovute a in-compatibilità fra consumi e produzione: era unproblema di congestione della rete. La mag-gior parte delle perdite di produzione si veri-ficò infatti proprio nell’area dove a fine anni‘90 erano state realizzate le dorsali per la rac-colta delle produzione eolica. Il problema erache, mentre il progetto dell’ENEL era stato di-mensionato per “evacuare” 500 MW di poten-za, la potenza installata nell’area a fine 2008era ormai raddoppiata e stava aumentando dianno in anno.

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0%

% Impianti

0 200 400 600 800 1.000 1.200 1.400 1.600 1.800 2.000 2.200 2.400 2.600 2.800 3.000 3.200 3.400

2004 2005 2006 2007 2008

Ore equivalenti di utilizzazione

Figura 7 Distribuzione % delle ore equivalenti di produzione degli impianti eolici in Italia (dal report GSE – Statistiche sulle fonti rinnovabili in Italia– Anno 2008).

Ore

Anno di installazione

2008

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

2.500

2.000

1.500

1.000

500

Figura 8 Confronto delle ore equivalenti di produzione dell’anno 2008, per anno diinstallazione degli impianti (dal report GSE – Statistiche sulle fonti rinnovabili in Italia –Anno 2008).

Page 14: fonte eolica L’eolicoinItalia daglianni‘80adoggi · logica“passiva”,basatasuundoppiofrenouno aerodinamico+unomeccanico(laforzabruta), sistavapassandoadunalogica“attiva”dovela

completati i rinforzi di rete. La maggior par-te di questi rinforzi di rete furono fatti rien-trare all’interno dei progetti degli impianti diproduzione, quindi lo sviluppo autorizzativodi rilevanti porzioni di nuove reti elettriche,con tutti i rischi connessi, fu delegato ai pro-duttori;

� Terna accelerò la realizzazione di nuovi “col-lettori” in AAT dove venivano indirizzate leconnessioni dei nuovi impianti;

� infine venne perfezionato il riconoscimentodi un indennizzo per la Mancata ProduzioneEolica (MPE), con la delibera AEEG 5/10.Nonostante tutto, però, l’eolico continuava

a crescere. Ormai il meccanismo era a regi-me, iter autorizzativi avviati da anni progres-sivamente arrivavano a conclusione, il siste-ma bancario dava fiducia e ogni anno veni-vano installati circa 600 nuovi aerogenerato-ri. I costi per il sistema Italia apparivano sem-pre più rilevanti e stava generalizzandosi lasensazione che l’eolico fosse stato sovra-in-centivato.La svolta avvenne con il D.Lgs. n. 28/11,

che sancì la fine del sistema di incentivazionebasato sui CV, portando la quota d’obbligo aritornare progressivamente fino a 0 in quattroanni e trasformando quindi i CV in una sortadi feed in a “complemento” del prezzo dimercato dell’energia. Il complemento era de-terminato in modo tale da garantire una re-munerazione complessiva del MWh prodottofortemente ridotta rispetto al valore attesoprecedente (–20% circa), ma sicuramente piùstabile e più affidabile. Lo stesso decreto sta-biliva anche un termine, inizialmente fissatoal 31/12/2012 e poi prorogato di pochi mesi,per la realizzazione degli ultimi impianti inItalia che avrebbero beneficiato di questa for-ma di incentivo. Il 2012 fu quindi l’ultimo an-no di crescita stabile dell’eolico in Italia. Il2013, grazie alla proroga di cui sopra, fu l’an-no di transizione e il 2014 è stato il primo an-no in cui le installazioni eoliche in Italia sonostate interamente incentivate con il nuovo si-stema, introdotto nel 2012, delle aste per l’ag-giudicazione dell’incentivo.Dal punto di vista del sistema Italia, teorica-

mente, il nuovo sistema di aggiudicazione del-l’incentivo appare come il modo migliore pertenere sotto controllo la velocità di crescita mi-nimizzando la spesa. In linea teorica, le instal-lazioni annue di nuovi impianti avrebbero do-vuto essere di 500 MW all’anno ed il livello diincentivo doveva risultare quello minimo perpoter rendere possibile la realizzazione di que-

sta potenza. Selezionando quindi ogni annocirca la metà migliore dei progetti rispetto ai1.000 MW all’anno degli anni del boom, ci siaspetta che siano scelti solo i progetti più pro-duttivi, invertendo quindi il trend di riduzionedella producibilità che si era visto durante glianni di forte crescita.Purtroppo però le regole con cui sono state

svolte le aste hanno fallito, nel senso che mol-ti produttori, pur di aggiudicarsi l’incentivo,hanno fatto offerte troppo aggressive e non so-no riusciti né a realizzare i progetti, né a ven-derli. Il controllo della spesa è stato efficace,ma al prezzo di bloccare quasi completamen-te un meccanismo che per molti aspetti era so-stanzialmente virtuoso.Inoltre, tutto ciò è avvenuto in corrispon-

denza di altri fattori esogeni all’eolico: il calodei consumi elettrici e l’avvento del fotovol-taico.Si ritiene quindi che oggi la fase di polveriz-

zazione dei produttori stia per concludersi eche sia invece giunto il momento opportunoper una fase di crescita basata sull’aggregazio-ne. Solo con la concentrazione di molti impian-ti in capo a pochi soggetti si può infatti pensa-re di poter far fronte alla necessità di compri-mere i costi sempre di più, come risulta evi-dente dalla storia degli ultimissimi anni.È questo quindi il ruolo in cui E2i intende

trovare uno spazio significativo nel mercatoitaliano, focalizzando la sua crescita nel setto-re eolico e ponendosi come soggetto in gradodi crescere sia aggregando iniziative di terzigià realizzate sia sviluppando nuove iniziative.E2i, che eredita dalla storica Riva Calzoni unsolido background industriale, che si è trasfor-mata da costruttore di macchine a developerdi impianti, che si è inserita, come EDENS, nelgrande gruppo italiano della EDISON, leadernella produzione di energia elettrica mante-nendo però una forte autonomia nello svilup-po e nell’esercizio degli impianti eolici, ambi-sce oggi a diventare il principale player italia-no del settore.Dopo l’operazione Eureka, che ha visto la

ristrutturazione della compagine sociale conl’entrata del fondo infrastrutturale italiano F2i,come socio di maggioranza e dopo il conte-stuale riordino organizzativo, E2i dispone oggidi circa 600 MW di asset eolici e delle compe-tenze per consentire nel prossimo decenniouna crescita sia per acquisizioni di impianti giàin produzione, sia per la realizzazione di nuo-vi impianti, avendo per questi ultimi avviato losviluppo già da diversi anni.

L’Energia Elettrica 22 maggio-giugno 2015

fonte eolica