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itinerari enogastronomici Fuori Port a TIRRENO mare da a mare fuoriporta.igiardinidelduglia.it | Numero 1 - Luglio 2011

Fuori Porta

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magazine di enogastronomia in calabria

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itinerari enogastronomici Fuori Porta

TIRRENOmare da amare

fuoriporta.igiardinidelduglia.it | Numero 1 - Luglio 2011

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Amantea nella foto di Anna Baldini

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SOMMARIO

18 RistorEventi a Belmonte di Paola Scalis20 Tra i sentieri del gusto itinerario a cura della redazione42 Garum di Giovanni Sole44 Fresco di stagione La Mora di rovo di Francesca Cardillo 46 Antiche cucine Salfi di Michele Santagata 50 La Cucina “povera” calabrese ai tempi di San Francesco di Michele Capalbo52 Il fico dottato di Giuseppe Perri

06 Editoriale di Rosellina Arturi08 Giardini del Duglia La Tradizione10 Museo del Gusto Calabria L’avventura è ini-ziata di Luca Veltri12 Dieta mediterranea e piramidi alimentari di Francesco Cardillo14 Pomodori a Belmonte di Ottavio Cavalcanti15 Lo “Special One” del Tirreno Cosentino di Rosario De Micheli16 Le Alici di Fuscaldo di Luigi Citarelli

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54 Kalamu la musica che suona cultura di Dario Guarasci56 Bollito misto Liquore al fi nocchietto di Marina de Micheli58 La borsa del paniere I mercati innovativi di Francesca Cardillo

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Per conoscere l’aff ascinante lembo di terra aff acciato sul tirreno cosentino, idealmente racchiuso tra la città di Amantea e quella d’Acquappesa, non c’è niente di meglio che sedersi intorno a una bella tavola imbandita. Solo con la cucina si riesce a compiere un meraviglioso viaggio di conoscenza restando comodamente seduti. Dalla combinazione di sa-pori, odori e colori di questo tratto del tirreno cosentino vengono fuori ricette adatte a tutti i palati. Il pesce fresco è, ovviamente, il re della gastronomia e viene sapientemente preparato in mille modi, visto che la pesca principalmente praticata è quella con le reti da circuizione, per la cattura di alici e sardine. Il viaggio prende il via dalla nobile cittadina

di Amantea, il cui centro storico è un piccolo scrigno d’arte. Rinomata per le conserve di mare, i prodotti caseari, l’antico buc-cunotto, ha come fi ore all’occhiello la sardella neonata o rosamarina. La confi nante Belmonte vanta una rarità numismatica come lo zecchino dei Pignatelli da qui il loro nomignolo di “cacaturnisi” coniatori del “tornese”, ed è la culla del celeberrimo pomodoro declinabile nella versione a cuore di Bue e Gigante (che può arrivare a pesare fi no a 3 kg). Andando avanti nel nostro viaggio s’incontrano Longobardi e Fiumefreddo. La prima prende il nome dall’omonima popolazione scandinava la cui cucina piccante si caratterizza per l’utilizzo di carne di maiale; si erge poi la cittadina fortifi cata di Fiumefreddo scelta da Salvatore Fiume come rifugio creativo. Qui sono da provare le polpette d’alici e la fi liciata, latte cagliato disteso sulle felci a strati, (da mangiare rigorosamente con le dita) e la granita di fi chi. Fa parte di Falconara Albanese la frazione Torremezzo che fa da trait d’union con il territorio di San Lucido, conosciuta per la pasta fatta in casa. Vi consigliamo di assaggiare quella condita con lli rizzi vivi (i ricci di mare), magari seguita da cernia piccante alla sporta. Im-portante centro religioso è Paola, città natale di San Francesco, dove il pesce, comprato nel mercato rionale, è alla base di molti piatti delle feste (un esempio su tutti le crespelle di baccalà fritte). La doppia anima, marinara e “du paisi” (montana), di Fuscaldo si rispecchia nella cucina del centro tirrenico che propone un ricco menù a base di insaccati, sott’olio, pasta fatta in casa, alici e sarde ravvivate dal peperoncino. Unite dalle Terme Luigiane sono, più in là, Acquappesa e Guardia Piemontese. La cucina acquappesana an-novera piatti come i maccarruni di ziti (tipici dei banchetti nuziali), la pasta e patane (patate) o i foglie, patane e pipi (verdura selvatica, patate e peperoni) e, nonostante adoperi ingredienti simili a quella della vicina Guardia, si diff erenzia da quest’ultima. L’antica cultura occitana-valdese si rispecchia, infatti, nei piatti tipici guardaioli. Un viaggio del gusto in uno dei tratti di costa più cara ai cosen-tini doc. che vi consigliamo e… Fuori Porta se lo può permettere.

di Rosellina Arturi

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P

EDITORIALE

"una combinazione disapori, odori e colori

in questo tratto del tirrenovengono fuori ricette

adatte a tutti i palati

Da Amantea ad Acquappesa alla scopertadei sapori tanto amati dai cosentini d.o.c.

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Chissà perché leghiamo sempre la genuinità, la golosità, la bontà alla tradizione. Già, la tradizione! L’atto di consegnare qualcosa (materiale o immateriale) a chi verrà dopo di noi. Spesso il passato è usato come monito per il presente. È la reminiscenza che abbiamo degli orrori perprepati dall’uomo nel corso della storia, che ci induce a questo pensiero. Del resto, ci sarà un motivo se si usa dire “la storia insegna”. È anche questo il senso che diamo alla memoria. Ma, fateci caso, il passato non è mai monito

per il presente quando si parla di cibo. Anzi, lo rievochiamo con tenace nostalgia. Ah, u mangiari i na vota! In questa espressione c’è tutta la consapevolezza di un

bisogno innato. L’ancestrale rapporto tra l’uomo e il cibo, fonte principale di salute e benessere. La sua “selezione”, nel corso dei millenni, è connaturata

alla specie. Siamo ciò che mangiamo. Il cibo è identità, sociale e culturale.A riprova di ciò, fate attenzione alla moderna pubblicità dei prodotti alimenta-ri. Non esiste réclame del ramo che non rievochi le antiche produzioni enogas-tronomiche. La torta della nonna, il latte appena munto, il contadino che semina, spremi-ture a piedi nudi: il tutto in un contesto naturale incontaminato. Abbiamo bisogno di questo immaginario, e chi vende prodotti questo lo sa. Ci lasciamo suggestionare, consapevoli dell’inganno. Sublimiamo i nostri bisogni con mnemoniche operazioni. Surroghiamo i nostri desideri attraverso retoriche visioni. Cerchiamo il gusto in sapori artefatti, ingurgitando cibo, in un unico, gigantesco, universale palato. Ma nell’intimo i nostri sensi gridano vendetta. Il bisogno recondito deve essere nutrito. L’apparato digerente della mente non può che guardare indietro. Nel futuro c’è un serio rischio di fare indigestione. Ecco perché abbiamo bisogno della tradizione. È solo attraverso la rievocazi-one dell’antica armonia tra uomo e natura che riusciamo a riempire la pancia dei desideri. Le nostalgie bucoliche attraversano l’intestino dei pensieri digerite dai ricordi. E scopriamo la bontà della natura. La Terra. Non quella della fatica, del sudore, delle lotte, ma quella capace di accogliere ogni seme. E non importa se per piantarlo si è arato con il bue o con il trattore. La schiena della Terra è forte. Non fa caso al peso. L’importante è rispettare il ciclo naturale della vita.

È questa per noi la tradizione.

Psicologia della tavola

Endemica e dinamica l’arbusto della sua essenza

Prosillita d’utilità nel solco Graal della degustazione

sibillandone le faville Salvatore Iaccinola

poe

sia

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I GIARDINI DEL DUGLIA

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L'avventura è iniziataMUSEO DEL GUSTOIl progetto “Museo del Gusto – Calabria” la cui riflessione è avviata da alcuni mesi è oramai ai “blocchi di partenza” con tutte le sue incognite e le sue opportunità. Il Museo del Gusto rappresenta la migliore opportunità per: valorizzare l’enogastrono-mia con le sue tradizioni culinarie (anche quelle che rischiano di essere quasi sconosciute ai più); valorizzare i territori con la loro storia e le loro tradizioni (non solo enogastronomiche); accrescere e diffondere, soprattutto nella popolazione scolastica, una maggiore sensibilità a temi quali: la stagionalità, la riconoscibilità dei prodotti e il loro consumo consapevole; mettere a sistema le risorse non solo economiche al fine di creare una rete virtuosa sul territorio in grado di valorizzarlo completa-mente. Una prima azione sarà quella di definire il ”puzzle progettuale”, il giusto mix fra attività di animazione e sviluppo del territorio e il recupero architettonico degli spazi dedicati al Museo del Gusto. Sarà fondamentale individuare le leve econo-miche utili per realizzare un progetto molto complesso a partire dagli strumenti economici che la Comunità Europea mette a disposizione del territorio Calabrese per progetti di sviluppo locale.La ricerca di risorse economiche è fondamentale, non solo per definire i contenuti del ”puzzle progettuale”, ma anche per delineare un cronoprogramma che sia in grado di raccontare le tappe di sviluppo e evoluzione del progetto stesso. La prima azione strategica sarà invece quella di creare una rete che sia in grado di coinvolgere il sistema degli enti locali e i produttori del territorio in modo da dare vita a un progetto di sviluppo territoriale che sia in grado di valorizzare al tempo stesso le pro-duzioni locali e i territori di appartenenza secondo una nuova e diversa ottica turistica. Ogni territorio, come ogni prodotto ha le sue peculiarità, le sue potenzialità e necessità di una azione mirata per la sua valorizzazione.La seconda azione sarà rivolta al mondo della scuola che rappresenta, al tempo stesso, i consumatori di oggi (e di domani) ed una porzione di futuri operatori del settore. È necessario avviare una profonda riflessione sugli strumenti più innovativi e sui contenuti con i quali voler avviare una azione di diffusione di una cultura enogastronomica fra gli studenti Calabresi. Questa azione sarà pensata, elaborata e realizzata in collaborazione con il “mondo della scuola” che più di altri conosce gli strumenti indispensabili per intercettare un pubblico così eterogeneo per età, indirizzo di studio e collocazione nella società.

di Luca Veltri

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" "La dieta dal 2010 è inseritanel patrimonio culturale dell’umanità dall’UNESCO

l 17 novembre del 2010 l’UNESCO ha inserito la dieta mediterranea nel prestigioso elenco del patri-monio culturale immateriale dell’umanità, che al mo-mento constava di 166 elementi, tra i quali il tango argentino e la calligrafia cinese, ed in Italia l’Opera

dei Pupi siciliana e il Canto a tenore sardo. Ma qual è il perché di questo prestigioso riconoscimento? Forse dobbiamo partire proprio dalla parola “dieta”, derivante dal greco ed il cui significato è ”stile di vita, compor-tamento”, in senso generale, per comprendere come la dieta mediterranea non sia soltanto un modello nu-trizionale in sé, ma piuttosto il risultato dell’interazione profonda e ricca fra territorio, prodotti agroalimentari, tradizioni e mestieri, espressioni della religiosità e della convivialità che da millenni va in scena sul grande pal-coscenico del Mediterraneo, dalla Spagna alla Grecia, passando per il Sud della Francia, l’Italia , il Marocco, la Tunisia. Dunque un complesso modello culturale, dal quale gli studiosi di alimentazione hanno estrapolato es-senzialmente l’aspetto nutrizionale e gastronomico, ac-certandone l’importanza ed il valore universale. Fu un medico nutrizionista americano, Ancel Keys, sbarcato nel 1945 a Salerno con i soldati USA, a notare che nel Sud dell’Italia l’incidenza delle malattie cardiovascolari era molto inferiore a quella del suo Paese ed organizzò quindi una vasta ricerca su abitudini alimentari e pa-tologie di 12000 adulti, abitanti in USA, Italia ed altri Paesi d’Europa, Giappone. Ne risultò quanto oggi è a tutti noto, ossia che un’alimentazione che privilegia i ce-reali, i vegetali , l’olio d’oliva, il pesce e le carni bianche ed usa con parsimonia uova, formaggi, carni rosse e grassi alimentari saturi è estremamente salutare, riducendo l’incidenza di molte patologie croniche di ogni età della

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Dieta Mediterraneae piramidi alimentari

vita ed incrementando la longevità. Così,sempre negli Stati Uniti, nel 1992 si pensò di inserire visivamente questi dati in una “piramide alimentare”, ottima per divulgare le regole sca-turite dallo studio dell’alimentazione mediterranea. In questa prima piramide i nutrienti erano all’incirca distribuiti così 60% di carboidrati, 30% di grassi, 10% di proteine, e veniva indicata anche l’ottimale frequenza del loro consumo setti-manale o giornaliero.In tempi più recenti, però, la piramide è stata modifi cata, alla luce degli ultimi studi e ricerche: la grande variazione con-siste nell’aver inserito alla base della piramide l’attività fi sica, e nell’aver spostato dalla base all’apice alcuni ali-menti a base di carboidrati, che nella precedente erano invece inseriti alla base , poiché si è rilevato che pos-sono aumentare eccessivamente il tasso di gluco-sio nel sangue. Anche i grassi vegetali nel loro insieme sono stati ”riabilitati” e riportati alla base della piramide.Le forme grafi che di rappresentazione del-la piramide alimentare sono state e sono le più diverse. Molto particolare, ad esempio, quella americana del 2005, dove gli alimenti vengono indicati con strisce verticali colorate, fi no ad arrivare al ”Piatto di Michelle Obama”, recente-mente voluto dalla First Lady per un impatto vi-sivo ancora maggiore. Esso si diff erenzia dalle piramidi perché è riferi-to ai consumi

quotidiani, ed anche perchè la distribuzione dei nutrienti si discosta in parte dalle regole essenziali della dieta mediterra-nea. Del resto anche il modello alimentare italiano odierno con-serva solo pochi aspetti della vera dieta mediterranea, carat-terizzata anche dal consumo di alimenti freschi, privi quindi di additivi e conservanti chimici, pur se naturali facevano ec-cezione solo le conserve di approvvigionamento per l’inverno, in particolare quella della carne di maiale, che peraltro è una

tradizione esclusivamente italiana nell’ambito del bacino del Mediterraneo; tutto il resto veniva cucinato e consumato

nel giro di ore o al massimo di qualche giorno. Oggi l’avvento dei cibi precucinati nei modi più di-

versi e distribuiti capillarmente in tutti i tipi di riv-endite, dal negozio di quartiere all’ipermercato,

assieme alle mutate abitudini quotidiane delle persone, ma in particolare delle donne, da

sempre depositarie di tutte le attività legate alla preparazione del cibo, ha sicuramente

mortifi cato la vera sostanza della dieta mediterranea, anche nei suoi merav-

igliosi risvolti sociali ed ambientali. A noi tutti il compito di recuper-

arli, trasmettendoli amorevol-mente ai nostri fi gli, perché

la scelta dell’UNESCO venga confermata ed es-

altata anzitutto da noi abitanti di tutte le

sponde del Medi-terraneo.

di Francesca Cardillo

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A vederli rosa, rossi, gialli, viola e verdi nella parte alta, la calotta, secondo la definizione dei gastronomi, sembrano concretare un ideale estetico popolare, privo di semitoni e della dimensione pastello, squillante e provocatorio per la sua capacità di colpire lo sguardo, prima che il gusto e l'odorato. Sono i pomodori di Belmonte, ai quali sarebbe opportuno attribuire il marchio di qualità. La fanno da padrone nelle insalate; associati a cipolle, cetrioli e peperoni, basilico, origano, olio di prima spremitura; ma diventano saldi nel ricordo se, spellati a crudo, privati dei semi e spezzettati, li accoppiate in un sapido connubio, dopo una morbida, non protratta cottura in compagnia dell'olio e del basilico, alla pasta: tubetti e conchiglie e tutte le forme che concretano l'idea del nascon-dimento per il sugo che fuoriesce nel momento in cui si schiaccia l'involu-cro contro il palato o lo si spinge sotto l'insuperabile barriera dei denti. Agli inizi, vale a dire appena importato dall'America, ma anche fino a tutta la prima metà del '700, il pomodoro ebbe scarsa fortuna; fu denominato "licopersico", pesca buona per i lupi, e solo tardi fu riscattato dalla condizione di sospetto in cui versava. Il merito va a Francesco Leonardi, autore di un ricettario dal titolo: "Apicio Moderno", a Vincenzo Corrado e Ippolito Caval-canti, i padri nobili della cucina napoletana. Al secondo, in particolare, legato a filo doppio alla Cala-bria per il suo titolo di Duca di Buonvicino, una lapi-de, attribuisce il merito di avere fatto dei maccheroni col pomodoro il simbolo stesso della città vesuvia-na. Recita testualmente: "Esulta o Partenope e allegrati! / Da questa patrizia dimora / L’arte eccelsa / di / Ippolito Cavalcanti / Duca di Buonvicino / Mostrò / Spaziando oltre i limiti / Segnati da Apicio / Nulla potere esser pari / Al rubesto trionfo / Del lico-persico d'oro / Sul sapido maccherone / Ambrosia divina / Onde superba ne vai / O gloriosa città”.

Pomodoria Belmonte

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L’elenco delle perle gastronomiche del Tirreno cosentino non può non com-prendere il pomodoro di Belmonte che caratterizza l’orticoltura di quella fa-scia costiera che va dal comune di Cetraro a quello di Amantea e oltre.Questo ecotipo locale si presenta in due diverse tipologie il “Cuore di Bue”, che ha la sezione longitudinale maggiore di quella trasversale ed una pezzatura che si aggira tra i 400 e gli 800 gr., ed il “Gigante” che , di contro, ha un diame-tro trasversale maggiore o uguale a quello longitudinale, una colorazione rosa ed una pezzatura che può arrivare al 1-1,5 kg e oltre. Questo meraviglioso ortaggio, viene coltivato principalmente nell’areale del comune di Belmonte ed imitato in tutte quelle zone che presentano condi-zioni pedo-climatiche simili. Basti pensare alle produzioni, anche serricole, del territorio campano, soprattutto in provincia di Salerno, o le produzioni che provengono da appezzamenti situati sul versante ionico della provincia di Catanzaro (Davoli Marina).La sua origine geografica non è certa e rappresenta ad oggi argomento di di-scussione tra gli addetti ai lavori. La contesa, ancora in atto, tra i produttori del comprensorio comunale di Belmonte e di Longobardi, non trova soluzione perché non c’è documento storico che comprovi quello che, forse per campa-nilismo, affermano le due opposte “fazioni”. Le notizie raccolte a Belmonte indicano nell’emigrante Guglielmo Mercurio la persona che, di ritorno dall’America, ha per primo trapiantato i semi che avrebbero dato origine al pomodoro di Belmonte; le stesse indicano nel “Cuo-re di Bue” la tipologia del pomodoro che meglio esprime le peculiarità quali-tative, di tipicità e d’adattamento ambientale proprie del territorio belmontese.A Longobardi viene indicato nel “Gigante” il tipo Belmonte e, rivendicandone la paternità, si individua nella frazione “Salice” dello stesso comune, la zona dove per primo si è registrata la coltivazione di questo tipo di pomodoro. Tut-tavia a supporto di tale teoria non vi sono né documenti storici né concordan-za di opinioni all’interno dello stesso comune.Al di là del giusto campanilismo, è più logico accreditare la paternità del “Cuo-re di Bue” al territorio di Belmonte e in particolare alla frazione “S. Barbara” ma riconoscere alla frazione “Salice” del vicino comune di Longobardi lo stes-so livello qualitativo della produzione. Sano campanilismo gastronomico.

di Rosario De Micheli

Lo "Special Onedel Tirreno

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Non sono diverse dalle altre ma sono di Fuscaldo. La particolarità è intanto quella di assicurare che questa qualità di pe-sce azzurro è pescato nel tirreno, diversa e tanto dalle alici pescate nello Ionio. Allora Fuscaldo ne stabilisce la provenienza. Insieme ad Amantea, Fuscaldo era e resta la marineria più prolifera per la pesca del pesce azzurro, in particolare delle alici. Tale caratteristica ha consentito che si professionalizzasse nella gente di mare di Fuscaldo una vera cultura per la conservazione del pescato con le famose “saligioni”. Pesce assai delicato, povero di grassi, ricco di omega3, le alici oltre che consumate fresche possono essere conservate solo con metodi tradizionali come la salatura in salamoia sem-plice o salatura con pepe rosso a scaglie. Per quanto è delicato non ne è possibile la congela-zione alle basse tempera-ture in quanto sotto i + 5°, in pochi giorni, si sfalde-rebbe perdendo turgidità e qualità organolettiche. Nella città di Cosenza, ancora oggi, le pesche-rie, per attrarre l’atten-zione degli acquirenti, espongono il cartello “alici di Fuscaldo” identificando con ciò la migliore qualità proponibile e diversa dal restante pescato. Ancora oggi i metodi di pesca restano quelli tradizionali della lampara, lampada a cono capovolto montata su un gozzo, con forte concentrazione di luce, un tempo alimentata a petrolio, oggi a gas butano. Le lampare, almeno due, partono, in serate con assenza di luna, per il largo ed attendono che la forte luce attragga i banchi di alici. Accertata la presenza del pesce, rigorosamente a remi e con estremo silenzio, dirigono verso la terraferma fino ad una pro-fondità pari alla lunghezza del cianciolo (rete con la quale si pescano le alici); raggiunta la profondità prevista viene chiamata la barca con la rete (il cianciolo) la quale stende tale rete in senso circolare intorno alle lampare fino a chiudere il cerchio stesso nel quale rimane intrappolato il banco di alici. La rete viene poi issata a bordo, a braccia, dai marinai che sono a bordo della barca principale.

di Luigi Citarelli

Le Alici in cucina

Alici al finocchio - Alici a scapece - Alici in tortiera - Alici in pangrattato

Alici al pomodoro con spaghetti - Alici marinate - Alici marinate in umido

Alici impanate - Alici gratinate - Alici fritte - Alici ammollicateAlici al forno - Spaghetti con alici e mollica di pane

Le Alici di Fuscaldo

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Le Alici in cucina

Alici al finocchio - Alici a scapece - Alici in tortiera - Alici in pangrattato

Alici al pomodoro con spaghetti - Alici marinate - Alici marinate in umido

Alici impanate - Alici gratinate - Alici fritte - Alici ammollicateAlici al forno - Spaghetti con alici e mollica di pane

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Situato a Belmonte Calabro, nell’ex-Convento dei Cappuccini del 1600, I Cappuccini RistorEventi vive da sette anni nella speri-mentazione dell’incrocio arte-cibo. La suggestione dei luoghi e l’evento proposto per ogni banchetto ben si intrecciano con la ricercata genuinità dei prodotti enogastronomici utilizzati, che favoriscono l’esaltazione e la protezione di antichi sapori, unitamente alla potenzialità delle sue antiche ritualità. Nascono a I Capuccini anche eventi dedicati a particolari momenti gastronomici tipici della nostra tradizione. La “giornata del pane”, ad esempio, in cui l’evento è costruito intorno al forno a legna, dove la sig.ra Rosa, accompagnata da suonatori tradizionali che colorano l’atmosfera a ritmo di tarantella, sforna pane e pitte chine, in un’allegra e antica convivialità. Alla sig.ra Gemma che, accompagnata dalle sue caprette e fornita di calderone, mostra la procedura per fare la ricotta che, appena pronta, viene fatta degustare sul pane. I Cappuccini RistorEventi è un ristorante sui generis che, per scelta stilistica, non è sempre aperto, ma necessita di prenotazione. Sia per l’accostamento al cibo di un evento-spettacolo, sia per il reperimento dei prodotti, sempre freschi e rigorosamente locali: dai salumi alle carni, dai formaggi alle verdure, al vino….L’orto de I CAPPUCCINI fornisce già buona parte dei prodotti utiliz-zati, ma a questi si affianca la raccolta e la lavorazione di molte erbe selvatiche, un tempo molto presenti sulle tavole calabresi. Ortica, borragine, finocchietto e mentuccia selvatica, vitalbe, e i fiori (gladioli selvatici, fiori di borragine, la cappuccina, fiori di sambuco…) sono molto presenti nella cucina che prende dalla natura la sua genuina semplicità. Ovviamente le conserve non sono da meno e così si producono le passate di peperoni locali, per l’impasto di salsicce e soppres-sate, la mostarda di uva fragola per le crostate, le olive schiacciate e i sottaceti. A I Cappuccini RistorEventi siamo convinti che la forza primaria della filosofia del gusto consista nell’educazione finalizzata all’attenzione di un ascolto delle peculiarità del territorio.

Di Paola Scialis

Le cene teatraliai Cappuccini RistorEventi

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Tra i sentieriITINERARIO

AcquappesaAmanteaBelmonte

FiumefreddoFuscaldoGuardia P.

LongobardiPaola San Lucido

del gusto

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Acquappesarelax e buon gusto

Coordinate: 39°30′0″N 15°57′0″EAltitudine: 80 m s.l.m.Superfi cie: 14 km²Abitanti: 1.964 Densità: 144 ab./km²

Acquappesa è un centro balneare con una storia che parte dal 1700 circa. Oggi la visitiamo per il magazine Fuori Porta anche se, come tanti, la conosciamo perché è un importante centro termale. Come prassi, ricerchiamo le informazioni necessarie in giro tra la gente. Non a caso, le proprietà del centro termale sono argomento prediletto dagli stessi. Il più alto grado sofi dromet-rico d’Italia (173 mg/l) tra gli impianti termali ed un’altra serie di importanti proprietà, off rono un trattamento che viene utilizzato per diverse terapie. Il livello di attenzione per la struttura termale è notevole. Nelle parole dei cittadini questo si declina con es-pressioni dialettali che rendono l’idea della fortuna di vivere quì. È chiaro che è un centro turistico dove anche la buona cucina ed i servizi off erti sono fruibili facilmente per tutti. A proposito della buona cucina, Alberto ci dice che la cucina marinara è quella che oggi esprime meglio la loro gastronomia, aggiun-gendo che, tra l’altro, il vicino porto di Cetraro assicura sempre che ci siano le materie prime. In casa, sottolinea, facciamo tutto quello che la tradizione vuole. Sia di marinaro che di montano ma le strutture ricettive si basano sul pesce. Per questo incon-

triamo Ennio, chef in un ristorante sul lungomare di Intavolata, che ci parla del sungatu o sunga-tiellu, frittelle semplici di acqua e farina insaporite col mosto cotto nella versione dolce e farcite con cipolla fritta o peperoni in quella salata. Ci spos-tiamo verso il municipio, incontriamo Franca e Mirella che ci svelano le ricette per le quali siamo qui. Franca, contenta di prendere l’argomento, ci parla anche lei del sungatu, delle polpette di melanzane e delle foglie e patane e pipi. Questi sono i piatti della tradizione, dice, inserendo anche pipi jarli ed altre pietanze fatte con le

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Coordinate: 39°30′0″N 15°57′0″EAltitudine: 80 m s.l.m.Superficie: 14 km²Abitanti: 1.964 Densità: 144 ab./km²

erbe spontanee di campo. Mirella sottolinea che qui, come sul resto della costa tirrenica, le alici ed il pesce azzurro adesso sono utilizzati ampiamente e che il piatto con le alici e la mollica di pane appar-tiene si alla tradizione natalizia ma, soprattutto, a quella di questo territorio. Con piacere scopriamo che la stessa Mirella ed il marito hanno una piccola e casereccia produzione di formaggi e si occu-pano personalmente degli animali. Lei non si sbilancia sulla genu-inità e bontà del prodotto ma, qui al comune, tutti ci confermano che si tratta di formaggi eccezionali. Una volta rientrati dalla gita Fuori Porta, Antonello, maestro di cucina cosentino (già intervistato dalla redazione del giornale), ci parla bene del maestro di cucina Occhi-uzzi che abita in quel territorio. E lo fa, oltre che per sottolineare le sue capacità, anche per confermarci che in cucina gli acquappesani se la cavano niente male. Tra acque termali, spiagge, cucina cala-brese ed il patrimonio artistico che la storia della Calabria citeri-ore ci regala, vi sono tutte le premesse per trovare ad Acquappesa quello che tutti inseguiamo nei mesi estivi: il relax ed il buon Gusto.

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Panificio “Za’ Di Za’ Natalino”Cda SciabicheRistorante “Acquadimare”Villaggio IntavolataRistorante “Stella Marina”Via Cristoforo Colombo, 38Sala Ricevimenti Ristorante “Roanda” Contrada BergamottoRistorante “Le Mimose” Cda Pantana Antica Trattoria “Donato” Cda Macchia, 10 Produzione Liquori “La Rocca Degli Dei” Cda Pantana

occh

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Amanteail culto del sole

Coordinate: 39°8′0″N 16°4′0″EAltitudine: 50 m s.l.m.Superficie: 33.16 km²Abitanti: 13.919 Densità: 419,75 ab./km²

Giungendo di pomeriggio ad Amantea, lunga la famigerata statale 18, ci pervade l’idea di arrivare in una vera e propria città del sole. Più che per le letture sul culto del Dio sole, ivi anticamente prati-cato, siamo suggestionati da questo lembo di territorio che, domi-nato dalla bellezza e dalla imponenza del costone su cui sorge il centro storico ai piedi delle mura di un antico castello, sembra naturalmente predisposto per accogliere l’abbraccio ed il calore del caldo sole tardo primaverile. Per questo, evidentemente, visitiamo la città vecchia, il centro ed il lungomare suggestionati da questo chiodo fisso del calore, dell’accoglienza. Ed è per questo che de-cidiamo di puntare dritti ad arrampicarci in alto, accompagnati dalla nostra guida Vincenzo, per visitare il vecchio castello e lan-ciare lo sguardo verso il sole, verso il mar Tirreno e le isole Eolie. Dall’alto, memori di una immagine ricavata da una vecchia stampa del ‘600, ripensiamo alla città di un tempo con il mare che, probabil-mente, doveva arrivare a lambire il costone roccioso su sui nacque, in epoca remota, un castrum bizantino e la città di Nepetia che, espugnata poi dagli arabi, venne chiamata Almantiah (la rocca). Di certo Amantea ha origini molto antiche anche se incerte. Per alcuni storici sono da ricondurre verso il 1100 a.C., peri-

odo in cui nella Piana di Campora S. Giovanni (oggi popolosa frazione) trovarono dimora al-cuni nuclei di coloni greci; per altri sarebbero da collegare con Clampetia, riportata da Plinio e Tito Livio come cittadina dedita al commercio. Di mare e di sole, sostiene l’esperto cuoco An-drea, è caratterizzato il gusto mantiotu. Mare e sole che mitigano il freddo invernale e creano le condizioni microclimatiche per far nascere in queste zone, nelle adiacenze di Campora ed in quantità considerevoli, la bi-millenaria, salutare e dolce cipolla rossa di Tropea. Mare e sole che, insieme alla fatica della pesca e ad una sapi-

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AmanteaCoordinate: 39°8′0″N 16°4′0″EAltitudine: 50 m s.l.m.Superficie: 33.16 km²Abitanti: 13.919 Densità: 419,75 ab./km²

ente e secolare lavorazione artigianale, fanno produrre la gustosissima rosamarina: si lava la neonata di pesce azzurro con acqua di mare, si mette ad asciugare al sole con un po’ di sale, si impastata con il peper-oncino piccante rosso essiccato e si lascia stagionare. Ne assaggiamo il prodotto finito di due diverse aziende locali, che ci vene offerto in compagnia di un croccante pane artigianale amanteano. Le nostre papille gustative ci trasmettono delle piacevoli sensazioni che si am-plificano con la degustazione di deliziosi filetti di alici al peperoncino, conservati rigorosamente in olio extravergine di oliva, e di fragranti e calde pitticelle (fritelle) di rosamarina. Passiamo a salutare il nostro amico Alberto e discutiamo con la gentilissima mamma. La signora ci ribadisce che il piatto più preparato nella sua cucina è semplice e pratico: spaghetti con le alici, la mollica di pane ed il peperoncino. Chiediamo notizie del famoso buccunotto di Amantea. Veniamo su-bito accompagnati in una antica pasticceria-gelateria che ci soddisfa prima con il prodotto tradizionale e, poi, addirittura con il gelato al sapore di bucconotto. Andiamo via a notte fonda e, forti di dolci remi-niscenze giovanili, passiamo dal fornaio del mercato per ritrovare e riassaporare un fantastico maxi-cornetto appena sfornato.

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Ristorante “le clarisse”Via Indipendenza 27 Ristorante “hycesia”Via s. pietro Macelleria “Pati antonio”Piazza mercato nuovo Macelleria “Perri fiorina”Piazza mercato nuovo Macelleria “Magnone aldo” Via mercato 28 Ristorante “La Scogliera”C/da Coreca, 1Ristorante “La Griglia”V. Dogana, 121Ristorante “La Tonnara”V. Tonnara, 13Azienda Agricola “Punto Verde” Via Stromboli, 64Ristorante “Lanterna Rossa”Viale Margherita, 156/158Ristorante “Poseidone”C/da Malta - SS 18

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Belmonteil Pomo d'oro

Coordinate: 39°10′0″N 16°5′0″EAltitudine: 262 m s.l.m.Superficie: 23,89 km²Abitanti: 2.255 Densità: 94 ab./km²

Oggi stiamo percorrendo la ss 18 da Amantea, in direzione Salerno, per raggiungere Belmonte. Prima ancora di arrivare pensiamo di accostarci per dare un’occhiata ai campi coltivati del celeberrimo pomodoro! Effettivamente, le coltivazioni sono tantissime. Scattiamo qualche foto e scambiamo due chiacchiere con uno dei tanti venditori che affollano i lati di questa statale. Francesco compra due chili di pomodori e ci accorgiamo che sono pochissimi (numericamente!). A giudicare dalle dimen-sioni, ognuno dovrà pesare tantissimo. Chiediamo allo stesso contadino, da quanto tempo fa questo mestiere. Sono trent’anni ormai, risponde. Ci incuriosisce sapere se il lavoro che ha svolto per tanti anni è ancora piacevole. Risponde di si, anche se am-mette che è faticoso. Subito volgiamo lo sguardo e la mente verso quello che è il risultato della fatica ed alla vista di queste opere d’arte, pomodori di Belmonte del tipo Cuore di Bue e del tipo Gigante, lo ringraziamo. Ripartiamo e scambiamo qualche pa-rola sull’insalata di stasera, sorridendo. Abbiamo appuntamento al comune, sito nel bel centro storico, e parliamo con Rosina e Lucia, in attesa del sindaco. Rosina ci propone la papocchia: mel-

anzane, patate, pomodori, peperoni e cipolla fritti nell’olio. Deve essere superba questa pietanza, in altri luoghi la chiamano caponata. Vogliamo qual-cosa di esclusivo del paese, e la signora ci propone a pitta chjina, con pomodoro, cipolla, pancetta ed alici salate. Tutti avvolti nella pasta di pane ed in-fornati. Adesso si che ci siamo. Lucia invece opta per i marinielli, taralli fatti con le uova, la farina, lo zucchero e la scorza d’arancia. Glassati con il bianco d’uova prima di infornarli. Le famiglie belmontesi, quasi nella totalità producono a casa il vino, e si racconta che quello denomi-

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BelmonteCoordinate: 39°10′0″N 16°5′0″EAltitudine: 262 m s.l.m.Superficie: 23,89 km²Abitanti: 2.255 Densità: 94 ab./km²

nato ”Brunello d’Annunziata”, dell’omonima zona, sia il più buono. In paese era sempre una grande festa quando l’undici novembre, giorno di San Martino, si apriva il vino tutti insieme. Anche oggi gli orti, gli insaccati e le conserve sono diffuse e tutte prodotte per il consumo casalingo. Discutiamo con il primo cittadino, Francesco Bruno, che ci parla delle tante iniziative messe in cantiere, della sagra della pasta di Ziti (16 agosto), del belmontese Gennarino Veltri classificatosi al II posto nazionale nella gara per pizzaioli, di diversi produttori locali dei superbi pomodori di Belmonte e dei deliziosi fichi dottati - entrambi prodotti papabili come presidi Slow food – e delle specificità dei ris-toratori belmontesi. La storia di questo paese è fatta da piccoli vil-laggi che dipendevano dall’antica città di Amantea (IX secolo). Con il tempo gli abitanti, minacciati dai Saraceni, salirono sul monte così da potersi difendere. Durante l’XI secolo venne fortificato il paese ma la prima costruzione sulla collina fu il castello, distrutto in parte dal ter-remoto del 1783 e, per il resto, dall’usura del tempo e dai saccheggi. Ci rimettiamo in macchina per andar via e l’ultima riflessione la merita la bellissima oasi degli scogli dell’Isca. Un’oasi marina naturale gestita dal WWF Calabria che vale la pena di visitare.

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Produzione Latte & Formaggi “La Cava”Via C. PisacaneProduzione & Degustazione Prodotti Tipici “L’Annunziata”C/da AnnunziataFichi Secchi e Conserva “Artibel”Via Stazione F.S.Azienda Agricola “Ida Pucci” C/da Cuoco, 16Panificio “Brusco”C/da Cuoco, 7Panificio “Osso”Via RoccoliPanificio “Il San Giovanni”C/da RegastilliLavorazione Fichi Secchi “Nicola Colavolpe”Loc. Marina, 143“A Tavena Intru U Vicu” (Cucina Calabrese-Genovese)Vico Terzo Indipendenza 7Trattoria “Da Gianni”Via Croce 61

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FiumefreddoMare & Monti

Coordinate: 39°14′0″N 16°4′0″EAltitudine: 220 m s.l.m.Superficie: 30 km²Abitanti: 3.162 Densità: 105 ab./km²

Fiumefreddo Bruzio è facilmente raggiungibile da Cosenza per-correndo la ss107 e proseguendo in direzione sud sulla ss18. Per gli amanti delle strade panoramiche consigliamo la vecchia sp45, che da Cerisano si inerpica lungo le pendici del Monte Cocuzzo, offrendo panorami naturalistici da mozzare il fiato, tipici della macchia mediterranea.Arriviamo a ridosso delle mura della città vecchia ed entriamo dalla porta Merlata, un imponente arco che garantisce l’accesso alla città.Percorriamo le stupende strade che si districano tra i palazzi, sino a giungere alla “Torretta”, da dove avvistiamo, in lontananza, l’imponente profilo del vulcano Stromboli e delle altre isole Eolie. Impossibile non notare la scultura che adorna la piazza, che sco-priamo essere di Salvatore Fiume, artista siciliano che nel 1975 si offrì gratuitamente di rivitalizzare il centro storico del paese. Scor-giamo anche ciò che rimane dell’imponente castello normanno, oramai diroccato a seguito dell’assalto dei francesi nel 1807 e che il comune ha rivalorizzato, riportando alla luce i sotterranei che os-pitano, durante l’anno, diverse mostre d’arte. Non ci meravigliamo

sapendo che dal 2005 Fiumefreddo è stato inserito nell’ambito del club de “i borghi più belli d’Italia”.Riprendiamo l’auto e decidiamo di dirigerci verso la marina, percorrendo la vecchia statale, imbatten-doci in una vecchia torre d’avvistamento saracena. Decidiamo di osservarla più da vicino e scopriamo che l’antica struttura è abitata dalla signora Assun-ta che, dopo le dovute presentazioni, ci invita ad entrare. Notiamo che la struttura ha mantenuto tutte le caratteristiche originali. Ci accomodiamo nella sua cucina, dove da una piccola finestra è possibile ammirare una meravigliosa veduta sul

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Coordinate: 39°14′0″N 16°4′0″EAltitudine: 220 m s.l.m.Superficie: 30 km²Abitanti: 3.162 Densità: 105 ab./km²

mare. Ci viene offerto un buon caffè bollente e così intavoliamo bene una conversazione con la signora Assunta sulla gastronomia locale.Scopriamo tra le bontà del luogo la Filiciata, formaggio vaccino a pasta cruda che prende il nome dalle felci su cui viene riposto e che gli con-feriscono un aroma particolare. Assistiamo alla preparazione della fa-mosa frittata di patate di Fiumefreddo, una sorta di torta rustica, che nonostante sia così chiamata, non annovera tra i suoi ingredienti le uova. Viene preparata con l’utilizzo della farina, del pecorino e di aro-mi, tra cui peperoncino, aglio e origano. Ci viene mostrato l’orticello, che la signora Assunta coltiva in un fazzo-letto di terra, a ridosso della casa. Sono presenti i pomodori a cuore di bue, zucchine, melanzane e, immancabili, piante di peperoncino e ba-silico. Con queste materie prime pensiamo subito al connubio tra terra e mare. La signora ci racconta della necessità di fare la pasta in casa. Oggi divenuta una passione. E allora componiamo i piatti: tagliolini col sugo di polipo e peperoni, filetti di merluzzo scottati accompagnati da zucchine grigliate e da corpose tielle con spada e melanzane. Mentre ci avviamo verso la statale, ripensiamo alle immagini panoramiche im-presse nella mente: Fiumefreddo, un paese con vista sul mare!

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Ristorante Sala Ricevimenti “L’Ancora”S. S. 18 - Loc. VardanoAngotti Panificio Mendicino Via Destra Macelleria “Sansone Domenico” Via Nazionale, 26Agriturismo “La Fonte”C/da DonnellaAgriturismo “Aru Castagnu”Loc. CastagnoRistorante “Sottovoce”Via Roma 4Ristorante “La Torretta”Piazza della Torretta

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FuscaldoDa una vita sul mare

Coordinate: 39°14′0″N 16°4′0″EAltitudine: 220 m s.l.m.Superficie: 30 km²Abitanti: 3.162 Densità: 105 ab./km²

Fuscaldo, arroccato su un bel vedere, è un paese di pietra e dai cento portali, testimonianza del fatto che questo borgo era un’ importante scuola per gli scalpellini calabresi. Le informazioni sull’origine del centro sono poche e due sostanzialmente le scuole di pensiero: chi pensa che abbia origine Osca oppure Enotria, chi invece fa risalire i primi centri abitati ai greci venuti da Sibari. Gli innumerevoli reperti di contrada San Leonardo accertano che sia i romani che i greci abitarono queste terre. Non conoscendo bene il paese, pensiamo subito di recarci presso il centro del paese an-tico, vicino al municipio, dove troviamo tante persone molto dis-ponibili a colloquiare con noi. L’argomento principe è quello della marineria: le alici di Fuscaldo, per noi cosentini, precedono qual-siasi altro argomento. Ma ci rendiamo subito conto che la fama e la tradizione della pesca di alici e sarde a Fuscaldo va ben oltre i confini provinciali. Sebbene negli anni le flotte si siano rimpic-ciolite, questo pescato (insieme ad altre produzioni) rappresenta ancora la tradizione e il futuro del paese. Gianfranco Ramundo, consigliere provinciale nonché sindaco, è un altro dei nostri inter-locutori di una piacevole mattinata e conosce bene gli argomenti

della tradizione e dell’enogastronomia legati al turis-mo. Punta principalmente su due prodotti, le alici e il finocchietto, che tra l’altro sono ingredienti di un ottimo e semplice primo piatto. A questo proposito l’amministrazione, durante la prima settimana del mese di agosto, proporrà per la prima volta la sa-gra delle alici. Concordiamo in pieno con il primo cittadino sull’importanza che questo evento può avere per la comunità e per mantenere viva una tradizione e un’eccellenza. Come è sottolineato già nell’editoriale della rivista, Fuscaldo ha una doppia anima in cucina che può essere rappre-

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Coordinate: 39°14′0″N 16°4′0″EAltitudine: 220 m s.l.m.Superficie: 30 km²Abitanti: 3.162 Densità: 105 ab./km²

sentata, secondo il racconto della signora Nella incontrata al municip-io, da due tipi di pasta con le alici, abbinate ai broccoli o al finocchietto e da un piatto du paisi: a ‘mpignulata. Questa, ci conferma la signora Maria, è una pizza rustica con ciccioli di maiale, abbondantemente far-cita con salsiccia, uova sode, pecorino grattugiato e fresco, preparata con particolare accuratezza nella distribuzione degli ingredienti. Spo-standoci lungo i vicoli del paese e raccogliendo ulteriori notizie, ci im-battiamo in Michele che ci aiuta a completare la costruzione del menù fuscaldese. Ci dice che è importante assaggiare presso un artigiano lo-cale il “Dolce di Vienna da Fuscaldo”, sperimentato da poco ma che sta riscuotendo molto successo, che nel nome rievoca la storia e la figura di Vienna, originaria del posto e madre di San Francesco di Paola. Ci spostiamo verso la marina a prendere una bibita fresca: il mare è una tavola ed il menù è completo.

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Ristornate “La Bruschetta”Contr. Sotto Le Timpe, 74Ristorante “Ricorante”Contr. Sotto Le Timpe, 67Panetteria “Castellani Barbara”Via Mulino - Marina. 43Panetteria “D’Acunto Vincenzo”Via Mulino, 0Ristoranti “Il Vascello”Via Messinette, 13Ristorante B&B “A Casa Vecchia” Via Ferrari, 4Ristorante “L’Anfora”Ctr. Acqua Degli Orsi, 18Ristorante “Raggio Verde”Via Margellina, 49Panificio S. Anna Via Molino Agriturismo “Verdeblu” Via Valle S.ta Maria

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Guardia PiemonteseA guardia del mare

Coordinate: 39°28′0″N 16°0′0″EAltitudine: 514 m s.l.m.Superficie: 21 km²Abitanti: 1.558 Densità: 74 ab./km²

Guardia Piemontese è un comune del medio tirreno cosentino, raggiungibile in quaranta minuti circa da Cosenza. Le terme Lui-giane, condivise con Acquappesa, sono classificate al più alto liv-ello qualitativo ed offrono un trattamento completo ed idoneo alla più vasta gamma d’indicazioni terapeutiche. Quella di Guardia è una comunità occitana dove le espressioni dialettali, che spesso si sentono, dimostrano quanto sia forte il legame tra la comu-nità locale e quelle valdesi del Piemonte. Dal 1981 sono ripresi gli scambi culturali ed è stato ufficializzato il gemellaggio con il comune di Torre Pellice. Solo da pochi anni non si vedono più le donne indossare l’abito tradizionale, chiamato “Tramontana”. Non si ha la certezza di quando i valdesi raggiunsero la Calabria. Molti sostengono intorno all’XIII secolo, per sfuggire alle persecuzioni dei cristiani. Queste comunità abitavano la Francia prima e, suc-cessivamente, il nord Italia, Germania ed Austria. Siamo arrivati nello splendido borgo antico di buon mattino ed al municipio ab-biamo incontrato il consigliere Carlo Pisano che ci ha illustrato come l’amministrazione stia organizzandosi per sviluppare i temi delle specificità culturali della comunità, del termalismo di qualità

e dell’enogastronomia del territorio. Durante la mat-tinata, sempre al Comune, abbiamo avuto modo di discutere con una gentile signora di nome Anna, una operatrice culturale con cui siamo entrati su-bito in sintonia. Difatti, dopo averci dato tutte le informazioni base, ha pensato bene di farci con-oscere una simpatica e loquace nonna di nome Carmela. L’intuizione è perfetta, la signora è una memoria storica importantissima e fa proprio al caso nostro. Discutiamo a lungo dei piatti tipici di questo paese e scopriamo dell’uso che le genti di Guardia fanno della polenta. Strano nel nos-

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Coordinate: 39°28′0″N 16°0′0″EAltitudine: 514 m s.l.m.Superficie: 21 km²Abitanti: 1.558 Densità: 74 ab./km²

tro territorio, ma non a Guardia. È in questo che cogliamo il legame culinario abbastanza forte con il Piemonte. In generale, dice Carmela, la cucina di questa comunità è parecchio povera ed è legata maggior-mente al fatto che la vita si svolgeva verso la montagna con tradizioni culinarie di terra. La polenta si prepara sia con il grano giallo che con quello bianco, e risulta particolarmente buona con i finocchi selvatici. Ma si può aggiungere la salsiccia, la ‘nduglia (tipica salsiccia di maiale mista) e molti altri ingredienti. Un tempo si usava mangiarla anche il giorno dopo, fritta in padella. A chi andava a lavorare in campagna si preparavano le patane cunsé, patate bollite e poi fritte con i pep-eroni tagliati molto fini ed il peperoncino macinato. Il pane si face-va soprattutto in casa, perché si guadagnava poco, ed ancora oggi in tante abitazioni si possono trovare gli antichi forni a legna. Notevole era anche la produzione dei fagioli e l’uso di moltissime verdure. Le zuppe di legumi sono ancora oggi una specialità. Purtroppo si usano sempre meno le molte erbe spontanee che un tempo si raccoglievano e si utilizzavano in cucina con frequenza. Oggi sono state affinate anche delle tecniche di preparazione delle pietanze marinare che, aggiunte alla sapienza che si adopera nel comporre i piatti tradizionali, ci fanno affermare che questo borgo è proprio tutto da assaporare!

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Ristorante “Ragno D’oro”V. Nazionale, 59Ristorante “L’angolo Verde”Contr. Cupa, 2Ristorante “Miramare”V. Amerigo Vespucci, 6Trattoria “Carnevale Dina”Via DoriRistorante “Lo Scoiattolo”Cda PistuoloRistorante “Casa Rossa”Cda BagniRistorante “Del West”Via Kennedy, 25Panificio “Folino Silvana” Via CollettaRistorante “Le Terrazze”Via Nazionale, 8

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LongobardiDolce Violetta

Coordinate: 39°12′0″N 16°5′0″EAltitudine: 325 m s.l.m.Superficie: 19 km²Abitanti: 2.357 Densità: 120 ab./km²

Nell’area del basso Tirreno cosentino in cui sono situati i cosid-detti Borghi Antichi, ovvero la parte vecchia dei paesi doppi, è piacevole soffermarsi e visitare, a 3 km. dalla strada statale 18, il centro storico di Longobardi. Giunti in un’accogliente piazzetta, abbiamo la sensazione di ritrovare un luogo della memoria, uno di quei posti che si immaginano pensando al paese per antonomasia: farmacia, municipio, alimentari, bar e, addirittura, una degusteria, tutti concentrati in un raggio di meno di venti metri. La storia di questo paese, apprendiamo, è direttamente segnata dall’arrivo dei Longobardi, una stirpe di origine nordica composta da “guer-rieri o uomini dalle lunghe barbe o alabarde”, nelle ultime prop-aggini dell’Italia peninsulare. Questi, secondo recenti ricerche storiche sostenute dal Comune, intorno al 596 si stabilirono alle falde del monte Cocuzzo, in un pianoro ancora oggi denominato “Lipranno”, non per il re Liutprando (che regnò molto dopo, tra 712 e 744) ma, probabilmente, per il nome di un gastaldo o capo militare, vista la diffusione di questo appellativo nella gnomistica longobarda. Se si associano alle origini storiche la valenza natural-istica e l’amenità del paesaggio, le colorate e molteplici produzioni agricole, il particolare e mite microclima ed il mix marina-borgo vecchio si comprendono immediatamente le ricchezze enogastro-

nomiche e turistiche del territorio. Tra le produzioni orticole, ci informa il sindaco Giacinto Mannarino, primeggia la “melanzana violetta dolce di Longob-ardi” dal colore intenso e dal gusto delicato che ha forma ovale, leggermente allungata e un po’ ricur-va. Un prodotto che si presta bene anche ad essere invasato sott’olio con aglio, peperoncino e menta. Numerose le ricette “composte” che la vedono pro-tagonista nel centro storico, subito dopo ferragos-to, con le associazioni che organizzano la Gran festa della Melanzana (giunta alla XIV edizione): degustazioni di piatti tipici a base di un prodot-to che qui intendono preservare con la De.Co.

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LongobardiCoordinate: 39°12′0″N 16°5′0″EAltitudine: 325 m s.l.m.Superficie: 19 km²Abitanti: 2.357 Densità: 120 ab./km²

(Denominazione Comunale). Visitiamo la casa natale del beato Nicola Saggio da Longobardi e, passando per la chiesa di Santa Domenica, il teatrino Comunale e la chiesa di San Francesco di Paola arriviamo alla Casa delle Culture; poi, stuzzicati da odori invitanti, a naso, arriviamo alla degusteria Magnatum, ubicata in un locale storico, dove contat-tiamo il conduttore, Francesco Saliceti, responsabile del Club Papillon calabrese ed assessore comunale. Esperto di enogastronomia e conosci-tore delle produzioni di qualità nazionali, è fresco di partecipazione ad una trasmissione Rai sulle specificità dell’olio extravergine calabrese. Ci segnala i vitigni locali – Gaglioppo, Magliocco, Gnisi (Agnese), Greco nero e Greco bianco con ceppi antichi ante-fillossera – e le produzioni: di formaggi ovi-caprini e vaccini, freschi e stagionati, e di mozzarelle del centro alimentare il Cavalcavia; di pane; di soppressata, olio e miele direttamente dai contadini. Partendo dalla piazzetta dove E. Frangella fondò 60 anni fa il periodico Calabria Letteraria, Francesco ci fa visi-tare la parte più alta del centro storico, passando per Palazzo Miceli, prima di arrivare sulle alture circostanti ed indicarci le altre ricchezze paesaggistiche e naturalistiche: località Pagliarone e bosco Serravento, con un ricco castagneto ed esemplari di Pino loricato, caso unico di presenza di questa specie nel territorio di un paese costiero.

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Distilleria “Melissa liquori” Via MarinaCaseificio “Il Cavalcavia”Via AcquavonaPastificio biscottificio “Magnolia”Via MarinaRistorante “La Collina” Località TaurianaAgriturismo “Casa Maia”Contrada PalieriAgriturismo “La Casa di Emma” Contrada TarifeTrattoria “Retrò”Via Molinello 3Azienda agricola “Pierri Attilio”oc

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PaolaCibo benedetto

Coordinate: 39°22′0″N 16°2′0″EAltitudine: 94 m s.l.m.Superficie: 42 km²Abitanti: 16.863 Densità: 445 ab./km²

Visitare Paola implica innanzitutto, per chiunque ma in partico-lare per chi è calabrese, indipendentemente dalle proprie convin-zioni religiose e spirituali, confrontarsi con la storia di colui che ha rappresentato e rappresenta un pezzo di storia significativa della regione, sia a livello nazionale che europeo: San Francesco da Paola. Noi, della redazione di Fuori Porta, ci accingiamo a compiere un mini-reportage sulle tradizioni enogastronomiche di questo lembo di territorio, posto nel medio Tirreno cosentino ai piedi della catena costiera. E di proposito iniziamo la nostra visita, in compagnia del nostro amico Lucio, recandoci al santuario che domina la città. Rileviamo subito, colpiti dal bellissimo panorama, un atmosfera particolarmente suggestiva nonché segnali impor-tanti che ci fanno capire il legame forte che molti calabresi sparsi per il mondo intendono mantenere con il culto del Santo. Non a caso, ci narra la nostra guida, Francesco di Paola svolse già in vita un ruolo di salvaguardia dei suoi conterranei: davanti al re Fer-rante I, nella seconda metà del quattrocento, egli rifiutò il dono di molte monete d’argento e ne spezzò una gocciolante, proprio al fine di dimostrare al sovrano che esse contenevano il sangue e le sofferenze del popolo. Inoltre, si narra che nel periodo in cui

Francesco fondò giovanissimo la piccola Comunità degli “Eremiti di frate Francesco”, questi vissero ali-mentandosi con un cibo di tipo quaresimale: pane, erbe selvatiche, legumi e qualche pesce. E’ proprio la discussione sull’alimentazione povera di quel periodo, che permane nella tradizioni alimentari, ci stimola ad accelerare l’incontro con una signora del luogo per farci raccontare in dettaglio le pecu-liarità della sua cucina. Posto che la città, per una serie di condizioni economiche e di collocazione territoriale, fu luogo per molto tempo di traf-fici marittimi, la signora Giovanna ce ne parla proprio per introdurci al largo uso del baccalà

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PaolaCoordinate: 39°22′0″N 16°2′0″EAltitudine: 94 m s.l.m.Superficie: 42 km²Abitanti: 16.863 Densità: 445 ab./km²

cui si ricorre nella cucina locale. A partire dalle grispedde i baccalà che si preparano, appunto, con baccalà, farina, lievito e qualche cuc-chiaio di strutto, sale e olio d’oliva per friggere. Dopo aver preparato un impasto morbido ed averlo fatto lievitare, si formano manualmente delle piccole “palle” ripiene con del baccalà (qualcuno, in alternativa, usa le alici salate) e si fanno friggere nell’olio bollente. Ci cita poi, Gio-vanna, le altre sue preparazioni: baccalà frittu alla paulana, baccalà allu furnu, pisci stoccu e patane e, considerato il territorio, l’immancabile pasta ca’ mmuddica preparata con le alici. Usciamo per fare una piccola passeggiata ed il nostro sguardo è subito catturato dal grande arco in pietra che sovrasta la porta d’ingresso del centro storico. Incuriositi, ci addentriamo nella bella piazza del Popolo ed ammiriamo una pre-gevole e monumentale fontana scolpita interamente in pietra arenaria, chiamata fontana dei Pisciarieddi. Ci sediamo su una scalinata e concludiamo in bellezza ascoltando le pietanze locali preferite dalla nostra guida: pipi chjini al forno, pasta e fasuli con le cotiche di maiale e, come perla finale, una prelibatezza esclusivamente paolana che si prepara nel periodo pasquale: u ‘mpiu-latu, pane rustico impastato con uova e imbottito con formaggio fresco o ricotta, salsiccia e sopressata, uova e pecorino.

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Ristorante “Al Belvedere” ss 18Ristorante “Vecchia Paola” Corso Garibaldi 75 Ristorante “Focetola” Corso Garibaldi, 4/6Ristorante “U trappitu”Via San Salvatore, 99 Ristorante “Krystal”Via lungomareRistorante “Le Arcate”Via Valitutti, 7Ristorante “Alhambra”Via della Civiltà, 56Ristorante “Le Mimose”contrada Gaudimare, 12Agriturismo “La Palombara”Via Palombara, 1Agriturismo “La Fiumara”Via Deuda, 38

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San LucidoProfumo di mandorla

Coordinate: 39°19′0″N 16°3′0″EAltitudine: 56 m s.l.m.Superficie: 27 km²Abitanti: 6.008 Densità: 219 ab./km²

San Lucido si trova nel guado tra il medio ed il basso Tirreno della provincia di Cosenza. La disponibilità degli abitanti del luogo di dialogare con i visitatori è straordinaria, noi l’abbiamo constatato direttamente. Come di consueto, girovaghiamo nel paese e, tra un caffè e una battuta, ci sembra già che non sarà per nulla dif-ficile indagare sulle specialità culinarie del borgo. Intono a noi si forma un capannello in pochi minuti e allora partiamo a raffica con le domande sulla cucina e sul territorio. Enzo, un uomo molto grande, sottolinea immediatamente che qui si fa un’ottima pasta casereccia e lo fa a buon ragione, considerato che ben conosciamo anche noi questa lunga tradizione. Ma volendo entrare nello specif-ico delle preparazioni, essendo scontato l’uso della pasta caserec-cia, c’è chi la vuol condire con il ragù di totano, chi con il sugo al peperoncino. Enzo si impone con determinazione, sostenendo come la tradizione esiga che la pasta fatta in casa sia da condire assolutamente con lli rizzi vivi (i ricci di mare). Vogliamo costru-ire un pranzo completo, per questo chiediamo lumi dei secondi. Questa volta è Pina che interviene, citando le costolette d’agnello con olive verdi e cipolla tra i piatti tradizionali. A questa categoria appartengono anche molte pietanze di pesce. Francesca dice che ci

sono molte ricette per la cernia, soprattutto piccanti e con preparazioni mai troppo complesse, per trat-tenere il più possibile “i sapori del mare”. E poi, tutti d’ accordo, considerato il periodo, nell’aggiungere le chiacchiere per fine pasto. Un dolce che si prepara anche durante il carnevale estivo, che quest’anno a San Lucido arriva alla XX edizione. Più tardi, sempre nella prima parte della giornata, incontri-amo il giovane vice-sindaco del paese, Francesco. Discutiamo delle possibilità di sviluppo, il ruolo delle tradizioni e dell’enogastronomia e la loro assoluta importanza per l’amministrazione co-munale. Ci viene segnalata la manifestazione

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Coordinate: 39°19′0″N 16°3′0″EAltitudine: 56 m s.l.m.Superficie: 27 km²Abitanti: 6.008 Densità: 219 ab./km²

estiva dedicata al gelato alla mandorla che quest’anno si svolgerà il 5, 6 e 7 agosto. Decidiamo di concederci una lunga camminata nel centro avendo la possibilità di ammirare molti edifici storici e diverse Chiese: chiesa della Pietà, S.s. Annunziata(di rara architettura) risalente al XV secolo, chiesa di San Giovanni con una pregevole tela di Francesco Saverio Jorio del 1789 e quella privata (ma visitabile su richiesta) di San Lorenzo. Senza dimenticare i ruderi del Castello, sulla rocca dove nacque il cardinale Fabrizio Ruffo. San Lucido risale al V-VI secolo e probabilmente fu un posto strategico per i Greci, fino all’arrivo dei Romani. Tra le particolarità, va necessariamente segnalata quella del tufo bianco che si estrae proprio qui. Per il resto non ci rimane che ringraziare i sanlucidani per l’apporto dato ed invitarvi a visitare il paese per la famosa vista panoramica, per il mare e per le tante cose buone che si possono degustare in questo borgo marinaro. Ah, dimen-ticavamo: prima di andar via ci siamo regalati un delizioso assaggio di gelato alla mandorla e granita al fico d’india!

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Ristorante “Petralonga”Contrada Puppa, 2Ristorante “Dragut”Via Marina Taverna, 1Ristorante “Temesa”Strada N PollellaRistorante “Zia Teresa”Contrada Acquabianca, 1Ristorante “Iorio Filomena”Via Roma, 3Ristorante - Sala Ricevimenti “La Rupe” Via Roma, 3Produzione Artigianale Birra “Donna Vienna”Via Garibaldi

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Storici come Lampridio  «accusavano»  i Sibariti di avere inventato il  gáron perché la salsa veniva considerata da molti schifosa e vomitevo-le! Ateneo conferma che il liquido, fatto di pesci salati e aceto, era un alimento particolarmente putrido e puzzolente.  Per Plinio  era  pesti-lenziale e non poteva essere altrimenti, considerato che era il marcio di materie in decomposizione. Seneca ne condannava l’uso, defi nendo-lo  preziosa distillazione di pesci corrotti, «salsa melma» che bruciava i ventricoli. Marziale sosteneva che odore e  sapore erano  nauseabondi e, per  diff amare un certo Papilo, scriveva che questi, odorando un un-guento profumato contenuto in un vasetto, diventava puzzolente come  il  garum. Apicio, autore del famoso ricettario, annotava che la salsa di pesce mandava un «cattivo odore» e indicava una serie di accorgimenti  per «correggerla» (aggiungere soprattutto miele e gambi di lavanda). Il ragionamento  di  Lampridio era quindi in un certo senso  coeren-te: uomini normali non ritenevano prelibatezza un cibo dal sapore e dall’odore sgradevolissimi,  persone sane  di mente  non  ingerivano una salsa  pericolosa per  la  loro stessa vita!  I Sibariti evidentemente aveva-no raggiunto un tale livello di corruzione e degrado che anche quando mangiavano andavano contro natura. Non siamo in grado di stabilire se avevano ragione coloro che ritenevano il gáron un intingolo squisito o coloro che lo ritenevano uno schifo. Non siamo neanche in grado di stabilire se, come sostenevano alcuni, fosse un alimento particolarmen-te dannoso per la salute, mentre per altri un condimento altamente pro-teico. Ciò che a noi interessa sono le motivazioni ideologiche che stanno dietro la discussione sul gáron.  Il gusto indica l’ineguaglianza sociale sia con l’abuso che con la privazione del consumo di alcuni prodotti. Una pietanza è anche lo specchio della mentalità di un gruppo sociale. Il  gáron sulla  tavola dei  nobili  sibariti era probabilmente simbolo di potenza e ricchezza. La salsa piccante  rivelava  il  bisogno  di  riaff erma-re il  primato culturale e  politico nella società.  Essi  si consideravano ceto superiore, con qualità che meritavano rispetto e deferenza dagli al-tri ceti. Gelosi dei  loro privilegi, per riaff ermare e  rendere manifesta  la loro supremazia,  da sempre  gli  aristocratici  hanno  sentito  il  bisogno di distinguersi e rinnovarsi  e  lo hanno fatto  attraverso  mode  estrose  e  bizzarre  anche  in  campo alimentare.

di Giovanni Sole

Salsa di pescesibarita

Lucullo

Il gentilizio plebeoReso nobile

Della augusta tavolaElogia

La dinamica del suo squisito eccellenteContendendo il suo sofà

Nei Cristallini pensieri

Salvatore Iaccinola p

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Salsa di pescesibarita

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Chi di noi almeno una volta non si è sporcato mani e faccia gustando i frutti del rovo, magari rischiando la vita per sporgersi a raccogliere il frutto più grosso e naturalmente più difficile da raggiungere? Questo grazie alla diffusione vastissima di questa pianta arbustiva che, se lasciata a se’, diviene una vera e propria infestante e che diversamente dagli altri frutti di bosco ha scar-sissime esigenze climatiche e pedologiche, riuscendo così ad adattarsi a quasi tutti i nostri ambienti.Il rovo appartiene alla Famiglia delle Rosacee ed allo stato spontaneo è rappresentato da ben 40 specie; ha piccoli fiori bianchi riuniti in infio-rescenze, che daranno poi luogo a piccoli frutti globosi, riuniti nelle more che tutti conosciamo. La pianta è costituita da una robusta ceppaia di base che annual-mente produce polloni, fruttiferi nell’anno successivo.A seconda dell’esposizione e dell’altitudine la fruttificazione si protrae per periodi più o meno lunghi nel corso dei mesi esti-vi, con quantità variabili di frutti prodotti. Come per tutti gli altri frutti di bosco, in particolare lampone , mirtillo e frago-lina, anche per la mora di rovo negli ultimi anni si sono av-viati impianti razionali di coltivazione, presenti soprattutto nelle zone pedemontane del nord Italia (ma ve ne sono alcuni ettari anche in provincia di Reggio Calabria). Tuttavia le superfici investite in Italia sono ancora poco significa-tive, poiché i costi d’impianto sono piuttosto alti e le esigenze col-turali abbastanza limitanti. Nelle coltivazioni di rovo vengono sem-pre utilizzate le poche varietà senza spine, e 1000 mq possono produrre mediamente 15 quintali di frutti. La mora di rovo, oltre che per il con-sumo fresco, è ottimo ingrediente di base per marmellate, gelatine e suc-chi. Come gli altri frutti di bosco è un serbatoio di antociani e polifenoli, sostanze antiossidanti molto importanti per il nostro benessere, oltre ad essere ricca di vitamine, minerali e fibra. Cento grammi apportano in media 43 calorie, con l’88% d’acqua, l’1,39% di proteine, lo 0,49% di grassi ed il 9,61% di zuccheri, di cui 5,3 di fibra.

di Francesca Cardillo

La morafresco di stagione

di rovo

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Marmellata di MoreLe more contengono molti semi,per cui è opportuno metterle al fuoco senz’acqua,dopo averle sciacquate il più rapidamen-te possibile, e quando si saranno spappolate passarle al setaccio. A questo punto si pesa il passato e,calcolando 500-700 grammi di zucchero per chilo di passato,a seconda della dolcezza dei frutti,si rimette il tutto sul fuoco facendo cuocere fi no al raggiungimento della consistenza desiderata e togliendo man mano l’eventuale schiuma superfi ciale.E’bene trasferirla nei vasetti di vetro quando è ancora calda,lasciar raff reddare e poi chiudere ermeticamente.

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L’abitudine rende i luoghi neutri …..e con questa idea in testa che mi accingo ad iniziare la giornata. Faccio questa rifl essio-ne guardando, dal balcone di casa mia, uno scorcio di piazza Duomo. La fessura tra le mura delle case, che mi permet-te di allungare lo sguardo fi no ad un particolare della piazza, oggi non mi dice niente. Penso. Non c’è peggiore malattia per uno che vive nel centro storico di : “vivere nel centro storico senza lo spirito del centro storico”. La rifl essione mi turba.Da tempo lavoro, insieme ad altri, alla costruzione in città del Museo del Gusto Calabria. Stiamo lavorando al nuovo numero, e oggi è in programma la visita presso il ristorante“Le Cucine di Palazzo Salfi ”, quartiere Paparelle. È passato tanto tempo dall’ultima volta che sono stato in questo quartiere. Il ricordo è quello di un quartiere silenzioso. Anticipo i tempi, ne approfi tterò per farmi un giro. Mi avvio verso Colle Triglio. È l’occasione per sviluppare la mia rifl essione. Il Quartiere delle Paparelle è il più giovane dei quartieri del centro storico. Prima tappa Palazzo Arnone. L’impatto con il Palazzo rompe la monotonia visiva. Il rimando è immediato. L’Albero della Libertà. La rivolta Calabrese. Epiche gesta riecheggiano in quella piazza. La Galleria Nazionale presente all’interno di Palazzo Arnone, off re un aff ascinante viaggio nell’arte, con opere impor-tanti e signifi cative. Uno sguardo importante sull’arte pittorica della Scuola Napoleta-na. Tra tutti, le opere del Maestro Mattia Preti (Taverna, 24 febbraio 1613 – La Valletta, 3 gennaio 1699). Mi soff ermo, nel giro, sui ritratti del Maestro Enrico Salfi (Cosenza, 1857-1935). Così, per rompere il ghiaccio con il personaggio. Non c’è niente di più gradevole che passare un po’ di tempo qui, penso. La cura funziona. S i è fatta ora. Raggiungo le Paparelle dalla loro storica porta. La facciata di Palazzo Salfi mi acco-glie suadente. La sua architettura, allo sguardo, restituisce immagini di civiltà antiche. La sua costruzione risale alla fi ne dell’ottocento, ad opera dell’artista cosentino Enrico Salfi . L’interesse artistico per Pompei lo coinvolge a tal punto da riproporre, per la sua abitazione, lo stile architettonico dell’antica dimora del Poeta Tragico. Sarà ricordato come il pittore di scene di vita pompeiana. Ammiro. L’obbligo del primo sguardo. Ma la suggestione prende il sopravvento ammirando l’opera nel suo complesso arti-stico. Un ideale fi lo temporale unisce diversi stili. Entro nella piazza. Lo spazio diventa labile. Tutto mi fa pensare al tempo. A quello scorso e a quello che scorrerà. La certezza delle mie proporzioni, salta. La cristallizzazione della storia delle Dormienti, e il cam-mino onirico dei Viaggiatori, separati da una pavimentazione a disegni geometrici, dilatano il mio senso di spazio. Una delle più belle piazze contemporanee a Cosenza. Immagino questo connubio disseminato nelle piazze della Città Vecchia. Il Maestro Mimmo Paladino (le Dormienti), e il Maestro Maurizio Orrico (i Viaggiatori), autori di opere che meritano di essere viste. Varco la soglia, entro nel Palazzo. Le Cucine di Palazzo Salfi . Mi colpiscono i colori dell’Urbe. Giallo ocra e rosso pompeiano. Libere interpretazioni del Maestro Maurizio Orrico, di scene pompeiane raffi gurate su mosai-ci ed aff reschi, adornano l’ambiente (silicone e colori acrilici su tele di lino). Ho come l’impressione che abbia voluto rendere omag-gio al Maestro Salfi . Mi accoglie la Signora Giuliana. Spiego il motivo della mia visita, e gentilmente vengo invitato a pranzo. Sono subito a mio agio. L’aff abilità della Signora Giuliana rende fl uida la nostra conversazione. Visito gli ambienti. La descrizione arriva

Fuori Porta46Antiche cucine Salfi

La Cosenza che non ti aspetti

“Le cucine di Palazzo Salfi ” nelle foto di Anna Baldini

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“Le cucine di Palazzo Salfi ” nelle foto di Anna Baldini

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Fuori Porta48

puntuale. Ascolto. Nella narrazione, scopro particolari che confermano le mie impressioni. Che bella la sala intitolata al Maestro Salfi! Intravedo la cucina. È ora che le Arti Visive lascino posto alla sinestesia dell’Arte Culinaria. Mi presento al Maestro di Cucina Massimo Pisaniello. Giovane Maestro di Avellino, cresciuto coi dettami della gloriosa cucina campana. Molte delle nostre prepa-razioni derivano da questa Scuola. Cucina espressa, e spesa giornaliera, racchiudono la filosofia della sua cucina. Territorialità, stagionalità, genuinità, i suoi valori. Innovare la tradizione, il suo criterio artistico. In due parole : estetica e sostanza. Descrive con una metafora la sua cucina: “ …una buona preparazione devi saperla cucire…il piatto è come l’abito, va cucito su misura…”. Aggiunge: “…è l’armonia del luogo che determina le creazioni”. Prendo posto. La cucina di tradizione è l’argomento. Mi spiega la Signora Giuliana che a breve introdurrà due menu, uno dedicato all’innovazione e l’altro dedicato alla tradizione. Uno spartiac-que singolare, ma fortemente identitario. La conversazione sulla qualità delle materie prime, fa scattare l’idea di alcune prepara-zioni. Seguo le indicazioni. Inizia il percorso. Petelia bianco dell’azienda agricola Ceraudo. Tortino di alici: tecnica ed equilibrio. Paccheri e spada: scuola e appartenenza. Spaghettoni e fave: struttura e sostanza. Filetto di maialino e mele: ricerca e passione. Queste le mie impressioni. Le parole del Maestro Pisaniello corrispondono alla verità del boccone. La Signora Giuliana si congeda,

non prima di avermi invitato ad un assaggio della famosa carbonara di Massimo. Una delle mie passioni. Stretta di mano e saluti. La gentile discrezione della Signora Giuliana, ha reso più intimo l’incontro col boccone. Il palato ha il tempo di gustare. E come nel tango, si chiudono gli occhi e ci si lascia andare, trasportati dai passi delle mandibole. Ascoltando la melodia dei sensi. Checché se ne dica, questo rimane un momento intimo. Tutti chiudiamo gli occhi quando mastichiamo qualcosa che ci esalta. Arriva Massimo, prendiamo un caffè. Siamo fuori dai convenevoli. Ho piacere nel continuare a parlare di cucina con lui. Ci salutiamo. Mi avvio. Percorro corso Plebisci-to, fino al Ponte Alarico. Guardo le confluenze. Alzo lo sguardo. Ritorno alla mia riflessione. Lo spirito della Città Vecchia. E come Jacob Marley per Scrooge, in “Un Canto di Natale” di Charles Dickens (1812-1870), capisco di essere stato guidato. E mi viene in mente il risveglio di Scrooge : «Voglio vivere nel Passato, nel Presente e nel Futuro!», ripeté Scrooge, balzando fuori dal letto. «Gli spiriti di tutti e tre vivranno dentro di me. Oh, Jacob Marley, sia lode al Cie-lo e al Natale per tutto questo! Lo dico in ginocchio, mio vecchio Jacob, in ginocchio!». Chissà se è questa la soluzione…….

di Michele Santagata

Antiche cucine SalfiLa Cosenza che non ti aspetti

La signora Giuliana ed il maestro Pisaniello

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C.da Piano di PeroDipignano (CS)

0984.621674

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Zuppa di Ceci e Alici alla fuscaldese - Foto Eidos scarl

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La cucina popolare calabrese è da sempre caratterizzata da sapori semplici e da ingredienti poveri. Si tratta di piatti più da cucchiaio che da forchetta che spesso rappresentavano il pasto completo e che, in alcuni casi, hanno risentito dell’influenza gastronomica delle regioni limitrofe (Campania, Puglia e Si-cilia), pur non perdendo mai di originalità per l’uso esaltante che di ortaggi e legumi si è sempre fatto in Calabria. Indubbia-mente era la fame l’ingrediente base di questi piatti, fortemente legati alle stagioni e ai prodotti della terra, del bosco e del mare. “U cucinatu” di gente che per secoli, a costo di grande fatica, è riuscita a combinare il pranzo con la cena e che, per necessità, si è ritrovata a dover sfruttare con originalità ogni potenziale alimento, anche il più povero.Ci piace immaginare che alcuni di questi piatti possano essere stati assaggiati da fra’ Francesco da Paola, da molti definito “uno dei più grandi Santi rivoluzionari di ieri e di oggi” per la sua costante opera di rinnovamento della Chiesa, sempre in fedeltà alle regole del suo ordine. Quel figlio illustre della Calabria che, per indicare alla sua famiglia religiosa lo stile da seguire, ha ag-giunto alle tre regole degli ordini religiosi (digiuno, umiltà e carità), quella della vita quaresimale: “Tutti i frati di questo Or-dine si asterranno completamente dai cibi di carne e nel regime quaresimale faranno frutti degni di penitenza sì da evitare del tutto le carni e quanto da esso proviene. Pertanto a tutti e a cias-cuno di essi è assolutamente e incontestabilmente proibito di cibarsi, dentro e fuori dal convento, di carni, di grasso, di uova, di burro, di formaggio e di qualsiasi specie di latticini e di tutti i loro composti e derivati”.Come non dimenticare, poi, il rapporto del Santo taumaturgo con il mare e con i suoi prodotti “poveri”, anche’essi tradizional-mente cibo dei calabresi. San Francesco da Paola non a caso è stato proclamato da Papa Pio XII “patrono della Gente di Mare Italiana” (27 marzo 1943). Il Papa ha così recepito una lunga tradizione di affetto e di riconoscenza della gente di mare verso

il Santo che tanti prodigi operò in favore dei pes-catori. “Tanti i pescatori che si portavano da Francesco, offrendo del pesce per i suoi frati, i n i z i a n d o tradizioni, in parte ancora oggi prati-cate, come l’offerta del primo tonno a San Francesco da Paola oppure, come an-cora oggi avviene in alcune delle comunità del Sud Italia, dando gratuitamente il pesce ai figli del Santo. Permane, infatti, nel mondo dei pescatori la certezza che sia il Santo a facilitare una buona pesca, e che sia l’unico a stare loro accanto nelle lunghe ore di attesa e di difficile lavoro” (Bollettino Ufficiale dell’Ordine dei Minimi, 1993 – P. Alessandro Galuzzi).Si è così intrapreso un affascinante viaggio tra le ricette ricon-ducibili alla tradizione della cucina popolare calabrese, eviden-ziandone il forte legame con la quarta regola dei Minimi, quella della “vita quaresimale”. Perlopiù “piatti unici”, come quelli ri-portati a corredo dell’articolo: la “zuppa di ceci” e le “alici alla fuscaldese”, che vi invitiamo a ri-scoprire per una esperienza decisamente a… km zero. Buon viaggio!

di Michele Capalbo(tratto dalla sua pubblicazione edita da Eidos scarl nel 2007)

La cucina povera calabreseai tempi di San Francesco

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La provincia di Cosenza è storicamente legata alla coltivazione del Fico, la cui presenza è documentata fin dal ‘500, con riferimento al Fico Dottato (Ficus Carica sativa var.Dottato), varietà locale, conosciuta e rinomata sui mercati internazionali per la prelibatezza e la particolarità del frutto, consumato so-prattutto essiccato, dal sapore dolce, con polpa morbida e semi piccolissimi. Il fico Dottato ha trovato un habitat ideale nell’ambiente collinare della provincia Cosentina, nelle zone ricadenti nella Valle del Crati, comprese anche le fasce litoranee del basso tirreno Cosentino. La varietà Dottato, presenta, rispetto a molte altre varietà, una spiccata attitudine all’essicazione e alla lavorazione. Tipicamente infatti il prodotto viene consumato essiccato e utilizzato in nu-merose ricette e preparazioni fortemente legate al territorio e alle tradizioni.Nel Basso Tirreno Cosentino è lunga oltre 100 anni la tradizione della lavora-zione di queste prelibatezze. Da qui partirono e partono per tutto il mondo i fichi di Cosenza lavorati e preparati in modo magistrale dalle aziende che con cura, arte e tradizione lavorano questo prodotto di eccellenza. I fichi Dottati dal frutto chiaro, buccia sottile ed elastica, polpa zuccherina, povera di acheni, si essiccano più facilmente di altre varietà e possono arrivare alla quasi com-pleta essiccazione sull’albero. I fichi si lasciano sui rami fino a che raggiungono un avanzato grado di appassimento, (contenuto di umidità medio compreso tra 39% e 43%), accompagnato da variazione del colore dal verde al giallo con sfumature beige. La raccolta viene effettuata manualmente, sia direttamente dall’albero, sia dopo una semplice scrollatura delle branche, nel periodo com-preso fra 10 agosto ed il 10 ottobre. Successivamente i frutti saranno essiccati completamente o al sole diretto, secondo il metodo tradizionale, oppure in serre in vetro o altro materiale trasparente, per un periodo di tempo che va da tre a sette giorni a seconda del loro grado di maturazione. I fichi essiccati dun-que, alimento prelibato, conservabile ed energetico, sono diventati nell’area di Cosenza una importante risorsa economica e di promozione del territorio. Il Consorzio del Fico di Cosenza, nato nel 2002, ha promosso e realizzato un Piano Integrato di Filiera che ha consentito di realizzare 300 nuovi ettari di ficheti, utilizzando piante selezionate in collaborazione con l’ARSSA e con un vivaio specializzato. Contestualmente è nata un’Associazione che ha promosso a livello Comunitario il fico del Cosentino, ottenendo nel settembre del 2010, il riconoscimento della DOP sul Fico Essiccato del Cosentino.

Dott. Agr. Giuseppe Perri

storia e tradizione di una bontà d'arteIl fico dottato cosentino

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Kalamu è il nome di un gruppo composto da sei giovani calabresi, nato nel 2005. Armando (fi sarmonica e violino), Luigi (jambè, tammorre, chitarra classica e tromba), Paolo (chitarra battente, chitarra semiacustica e voce), Gianfranco (basso e voce) ed Irene (voce). Sono originari di Scalea, mentre il batterista Andrea proviene da Aprigliano. “Musica calabra” è la traduzione del nome del gruppo, che ha scelto di utilizzare la “k” per indicare le varie contaminazioni che contraddistinguono le loro scelte artistiche, tali da condurli a sperimentare un percorso etno-folk-rock. La band oggi vanta un gran numero di apparizioni sia in Italia che all’estero, e ben quattro dischi: “Calafrica” (2005), “Cultura popolare” (2006), “Bevo alla vita” (2008) e “Costruiamo palazzi” (2010), tutti prodotti dalla “Sana Records”. Autori e compositori di musiche, testi e suoni, i Kalamu trasmettono con la loro arte messaggi positivi di speranza e lotta, rivolti soprattutto ai giovani del Sud, cercando di far comprendere l’importanza di rimanere a vivere le proprie terre. Convinti della forza insita nella musica, utilizzano questo strumento per parlare di sociale ed ambiente. Corag-giosa è la canzone “Insieme ce la faremo”, presente nell’album “Cultura popolare”, chiara espressione di una forte opposizione contro la malavita organizzata. Questo tema ha rappresentato un elemento di condivisione e consenso per molti giovani, vicini alle idee che animano il percorso musicale dei Kalamu. L’altro fondamentale tema, ovvero la tutela dell’ambiente, è ben rappresentato dall’album “Costruiamo palazzi”, del quale segnaliamo la canzone “U patruni du munnu”, canzone-denuncia contro la cementifi -cazione dei nostri territori, spesso oggetto di abusivismo edilizio e quindi devastazione ambientale. A questo proposito crediamo sia importante segnalare che intervistammo la band durante una manifestazione a favore dell’acqua pubblica e contro il nucleare, a testimonianza del loro impegno a 360° rispetto all’ambiente ed all’eco-sostenibilità. Nonostante gli importanti festival e manifes-tazioni nazionali ed internazionali ai quali hanno partecipato, continuano ad esibirsi ovunque vengano chiamati, che siano questi importanti festival o più semplici feste patronali. Questo dimostra la sensibilità e la sincera voglia di esprimere concetti (anche a nostro avviso) essenziali per la crescita della nostra regione. Aspettiamo ora il prossimo lavoro che dovrà uscire nei prossimi mesi.

di Dario Guarasci

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KalamuLa musica che suona cultura

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Chi passeggiando nel verde delle zone costiere, all’incirca fi no ai 1000 m. di quota, non ha riconosciuto le verdi piantine di fi noc-chio selvatico e non ne ha spezzato un ramoscello per goderne l’odore? Abbondante nelle zone dal clima temperato, il fi nocchio selvatico, cresce spontaneo prediligendo luoghi soleggiati, incolti, secchi e ciottolosi, ma lo si trova anche in luoghi erbosi, ai piedi di muretti e sui margini delle strade di campagna. Le foglie sono simili a fronde di felci, i fi ori piccoli e gialli sono riuniti in ombrelle, al cui apice si formano i frutti, chiamati comunemente semi, dall’intenso aroma. Le foglie si raccolgono in primavera e si impiegano fresche, men-tre in estate ed in autunno, vengono raccolte le ombrelle ed i loro frutti, che legati in mazzetti, devono essere posti ad essiccare in un ambiente ventilato e caldo, per poter poi essere conservati in baratto-li ermetici di vetro o di latta. Molteplici sono gli usi in cucina, le foglie vengono usate per aromatizzare insalate, olive, piatti a base di pesce, formaggi e liquori (soprattutto grappe), i “semi” si usano per profu-mare carni, minestre ed insaccati. Le proprietà terapeutiche sono tante, dalle proprietà digestive, stimolanti e carminative a quelle antisettiche, ne è sconsigliato l’abuso. Per la preparazione del liquore, vi suggerisco di utilizzare i “semi” secchi, per evitare tempi più lunghi di maturazione del prodotto fi nale e spiacevoli problemi di residui che vi porterebbero a doverlo fi ltrare più volte, per raggiungere la limpidezza ottimale. La ricetta che vi suggerisco è la seguente: 1 l. di alcool – 60 gr. di fi nocchio selvatico – 550 gr. di zucchero – 1 l. di acqua. In un recipiente ermetico, mettete in infusione i semi di fi nocchio nell’alcool, per un periodo di 10 giorni, avendo cura di agitarlo spesso. Passati i 10 giorni preparate uno sciroppo con l’acqua e lo zucchero, riscaldan-dolo leggermente sul fuoco. Abbiate cura, nel frattempo, di fi ltrare l’infuso che avete preparato, con delle garzine o con fi ltri in uso in commercio. Unite lo sci-roppo raff reddato all’infuso e fatelo riposare per altri 10 giorni, se al termine di questo periodo il liquore vi risulterà opaco, fi ltratelo nuovamente. Otterrete così un ottimo liquore dalle proprietà digestive. Se volete invece aro-matizzare la grappa usate le foglie fresche. Qualunque sia l’utilizzo che se ne fa, il fi nocchio risulta essere sempre un ottimo alleato per insaporire e caratterizzare piatti e bevande.

di Marina De Micheli

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bollito mistoLiquore di finocchietto

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Dopo la quasi totale scomparsa dei negozi di quartiere e l’aff ermazione sempre più invasiva della grande distribuzione,

altre modalità di vendita dei prodotti agroalimentari si stanno svi-luppando ed evolvendo sempre di più.

La loro nascita è certamente legata ad una maggior consapevolezza da parte dei consumatori riguardo al valore qualitativo, oltre che mone-tario, dei prodotti richiesti, in particolare è sempre più alta la domanda di genuinità e di tracciabilità della produzione agroalimentare. La via più certa per conseguire questi obbiettivi è sicuramente l’applicazione della cosiddetta “fi liera corta”, che soddisfa nel contempo entrambe le richieste, oltre a portare un reddito aggiuntivo al produttore e un risparmio economico al consumatore. Infatti l’agricoltore, praticando la vendita diretta in azienda o presso i cosiddetti “Farmers’Markets” (rivendite al dettaglio nelle quali confl uiscono direttamente i prodotti di varie aziende agricole), ottiene sicuramente un maggior ricavo, ma senza gravare sul costo fi nale al consumatore, il quale a sua volta può acquistare e consumare prodotti di provenienza “KmZero”, dunque più freschi e dei quali si conosce con certezza l’origine geografi ca ed il produttore.Un’altra modalità innovativa di mercato è quella rappresentata dai G.A.S. (Gruppi di Acquisto Solidale), nei quali si consorziano produ-ttori e consumatori. I produttori si impegnano a fornire ai consuma-tori un insieme di prodotti con regolarità per lo più settimanale a un determinato prezzo complessivo, mentre i consumatori si impeg-nano a loro volta ad acquistare con la medesima regolarità la cassetta , che ovviamente conterrà prodotti diversi nell’arco dell’anno. I G.A.S. hanno anche agevolazioni per l’acquisto collettivo di prodotti diversi da quelli agricoli. Molte imprese artigiane del Centro-Nord hanno ormai un listino a parte riservato ai G.A.S., nel qual caso produttori e consumatori vanno a formare un unico soggetto nell’acquisto di pro-dotti non agricoli a prezzi vantaggiosi. Oppure vi sono aziende agri-cole, magari partecipanti a un GAS locale, che off rono i loro prodotti a GAS anche molto distanti, raggiungendo così molti acquirenti con un solo invio di prodotto.

Insomma, sono molte e interessanti le nuove modalità di ac-quisto e vendita che si stanno delineando proprio nel mercato dei prodotti agroalimentari, per sua natura abbastanza rigido e poco tendente alla modernizzazione, grazie alla sempre mag-gior diff usione tra i consumatori di una nuova mentalità di ac-quisto, non più passiva e qualunquista, ma attenta e critica.

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I mercati innovativi dei prodotti agroalimentari a cura della redazione

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PiazzaItaliaPraia a Mare | Cosenza

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LungomareSirimarco

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prossimo.numero

Proseguiamo il nostro itinerario viaggiando verso nord. In continuità con il percorso precedente.

Racconteremo, con la cronaca, le specialità enogastronomiche di questo tratto di costa, in un percorso che riparte da Cetraro sino ad arrivare a

Tortora. Nel prossimo numero, Fuori Porta, non mancherà di sorprendervi con uno speciale dal sapore particolare.

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itinerari enogastronomici Fuori Porta

Luglio 2011 N°1In attesa di registrazione presso il Tribunale di Cosenza

Editore Associazione di promozione sociale “I Giardini del Duglia”Sede legale e amministrativaVia Croci, 41 - 87045 Dipignano (CS)[email protected] OperativaPiazza Tommaso Campanella, 19- 87100 CosenzaTel & Fax [email protected]

Stampa Agenzia Stampa Adt Group Press Editori SrlVia Carlo Alberto e Manuela Dalla Chiesa, 687100 Cosenza

Direttore ResponsabileFrancesco Torchiaro

RedazioneMichele Santagata & Francesco Saccomanno

Segretaria di RedazioneKatia Santagata

Hanno collaborato Francesca Cardillo & Dario Guarasci & MariaGrazia Costanzo Progetto GraficoFelice Adriani & Stefano Burza Art Director e DesignSergio Tranchino - BitmindPubblicità[email protected]

FotoFoto Rubriche e paesi a cura di Anna BaldiniSi ringrazia Aneta Ozonek per la gentile collaborazioneCopertina Antonio Cima

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