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1 L’ECONOMIA raccontata ai bambini 6 Gellindo Ghiandedoro e il cugino Bollicino

Gellindo Ghiandedoro e il cugino Bollicino

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L’economia raccontata ai bambini 6

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L’ECONOMIA raccontata ai bambini 6

Gellindo Ghiandedoroe il cugino Bollicino

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La letteraAl cugino

Gellindo Ghiandedoro

Bosco delle Venti Quer-

ce

Valle di Risparmiolandia

Caro Gellindo,

scusa se mi faccio vivo dopo un lungo silenzio e solo perché ho biso-

gno del tuo aiuto, ma veramente non saprei a chi altro rivolgermi, per

risolvere il problema che mi assilla. Io sto bene e qui al Campo delle

Mille Mele tutto andrebbe per il meglio, se non fosse per un misterioso

ladro che s’aggira, di notte, a rubar mele dagli alberi! Pensa che al mio

risveglio, questa mattina, l’albero di mele di fronte alla mia tana era

completamente… hai proprio letto bene, com-ple-ta-men-te senza frutta!

Almeno trecento grosse mele gialle sono sparite in una notte soltanto!

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Gellindo, so che tu sei uno scoiattolo intelligente: lo sono anch’io, per

carità, ma questo caso è troppo difficile per me. Vieni in mio aiuto, te

ne prego.

Il tuo affezionato cugino

Bollicino Ghiandedoro

Post scriptum:

Parti subito, mi raccomando!

Certo che Gellindo si ricordava di suo cugino Bollicino: erano praticamente nati e cresciuti assieme, in due tane scavate nello stesso albero, e s’erano voluti bene come due fratelli. Poi Bollicino s’era trasferito in una valle lontana, giù in mezzo alla pianura, ed era andato ad abitare al Campo delle Mille Mele, nella Piana dei Frutti d’Oro. Lui, invece, era rimasto nella Valle di Risparmiolandia, nella sua cara vecchia quer-cia, e da lì non s’era più mosso.

«Saranno almeno due anni che non ci scriviamo e da sette che non ci vediamo» rimuginò lo scoiattolo, rigirando in mano la lettera che gli era stata portata da Posticcio, lo spaventapasseri portalettere.

Era successo che, qualche ora prima…– C’è posta per Gellindo Ghiandedoro! – aveva urlato Posticcio

saltellando fino al Bosco delle Venti Querce, trascinandosi dietro un borsone di cuoio in cui navigava una sola lettera. – Vieni fuori, amico: ti ha scritto tuo cugino… aspetta che leggo: Bollicino Ghianded…

– Ma la vuoi smettere di urlare come un matto? – esclamò Gellindo aprendo finalmente la porta. – Vuoi che lo sappia tutto il Bosco, che oggi ho ricevuto posta? Ci manca solo che ti metta a leggere a voce alta anche quello che c’è scritto dentro …

– Se non vuoi altro: adesso la apro…– nooo! Lascia stare e dammi quella busta!– È così bello quando al mattino scopro che ho qualcosa da conse-

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gnare a qualcuno! – sospirò con aria sognante Posticcio, appoggiandosi al tronco della quercia. – Qui, in questa valle, a pochi viene in mente di scriversi e noi portalettere siamo sempre disoccupati… Sarebbe bello avere tutti i giorni un bel sacco di posta da distribuire, poter riempire questo borsone di lettere e giornali, pacchi e pacchetti, telegrammi e car-toline e consegnarli uno dopo l’altro, chiacchierando di questo e di quello con gli amici… Comunque oggi è una giornata speciale, una giornata da segnarsi sul calendario: è finalmente arrivata una lettera! Eccola qui – concluse, facendo finta di cercare a lungo nel borsone e tirandone fuori, finalmente, una lettera tutta stropicciata. – E secondo me ti conviene

leggerla subito: se vuoi aspetto la risposta…Gellindo lanciò un’occhiata di traverso allo spaventapasseri

curioso e chiacchierone.– Va bene: aspetta qui, che poi ti dico – e rientrò in

casa…

Dopo aver letto l’accorato appello del cugino Bollicino, il nostro amico scoiattolo si sedette al tavolo di cucina, prese

un foglio di carta, la penna e… Ci pensò sopra a lungo, molto a lungo: che dovesse correre

in aiuto di un parente, su quello non c’erano dubbi. Avrebbe consegnato la sua tana a Candeloro, perché la tenesse d’occhio in

sua assenza; si sarebbe fatto dare una settimana di permesso da Cóntolo, giù alla Cassa Rurale del Villaggio, e sarebbe partito subito…

«Potrei chiedere un passaggio all’aquila Cassandra, oppure all’oca Bernardina… Sì, questa volta chiedo aiuto all’oca, così l’aquila non avrà da lamentarsi che disturbo sempre lei… Allora: cosa rispondo, a Bollicino?».

Stese con le mani il foglio, afferrò la penna e scrisse:

Arrivo. Aspettami. Tuo cugino Gellindo

La “noce era tratta” e non si poteva più tornare indietro. Chiuse la lettera in una busta bianca e ci scrisse sopra l’indirizzo:

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Al caro

Bollicino GhiandedoroCampo delle Mille Mele

Valle dei Frutti d’Oro

Consegnò la busta a Posticcio, che felice come una pasqua saltellò in direzione del Villaggio degli Spaventapasseri per far partir subito il piccione viaggiatore con la posta di quella giornata, che era stata faticosa e piena di lavoro.

Gellindo invece riempì di poche cose il suo zainetto – senza di-menticarsi quattro tubetti di gel ultra-forte, – chiuse la porta della tana e corse a salutare i suoi amici. Una misteriosa avventura l’attendeva e chissà come sarebbe andata a finire!

Partenza e viaggioSalutare gli amici prima di una partenza non è mai facile: l’abbraccio a Candeloro fu lungo e stretto, quello a Bellondi-na fu tenero e imbarazzato. La stretta di mano a Pagliafresca e a Tisana la Dolce lasciava capire quanto affetto ci fosse, fra quello scoiattolino niente in tutto e quella grossa famiglia di spaventapasseri fatti di paglia e vestiti in qualche modo.

– Tieni, ti ho preparato due brioches alla ricotta per il viaggio – sussurrò Casoletta, mettendo in mano a Gellindo un cartoccio tiepido e profumato.

– E questo è un quadernetto di fiabe che ho scritto apposta per te: lo potrai leggere la sera, quando vorrai addormentarti ricordandoti di noi – disse Passion di Fiaba, infilandogli nello zaino un libricino dalla copertina rossa e arancione.

– E questi siamo tutti noi – esclamò alla fine Grandangolo, lo spaven-tapasseri fotografo, mettendogli in mano una foto di gruppo con tutti gli amici del Villaggio in posa davanti alla chiesetta di Din Dòndolo. – Così anche noi faremo il viaggio con te…

– CIAOOO... CIAOOO GELLINDOOOO… torna prestoooo…. Ciaaaoooooooooooooooooo…

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Le voci degli amici si spensero lontane, mentre Bernardina volava con-trovento, alzandosi nel cielo terso e azzurro di quell’autunno. Gellindo, aggrappato al collo candido e flessuoso dell’oca, ogni tanto gettava uno sguardo di sotto, per controllare dove fossero: vide la Valle di Rispar-miolandia lasciare il posto a montagne altissime con le cime già coperte della prima neve; poi giunsero sopra un’immensa pianura e, laggiù in basso, vide la grande città in cui ogni anno andava a vendere la ghianda d’oro, per ingrossare il gruz zo letto custodito alla Cassa Rurale del Vil-laggio. Quando giunsero all’altezza di un fiume enorme che procedeva lento verso il mare, con curve e controcurve, anse e meandri infiniti, Bernardina piegò decisamente a destra e cominciò piano piano ad abbassarsi di quota.

– Siamo già arrivati? – chiese Gellindo.– No, ma devo scendere a riposare. Lo vedi quel laghetto

laggiù? Io mi fermo sempre lì, quando attraverso questa pianura per migrare verso i Paesi caldi del Sud. Copriti bene, ché l’atterraggio sarà un po’ umido…

Meno male che Bernardina l’aveva avvertito, perché la lunga scivolata sull’acqua del minuscolo lago sollevò tanti di quegli spruzzi, che lo scoiattolo si ritrovò inzuppato dal ciuffo sulla testa alla punta della coda. Ma il sole tiepido del pomeriggio asciugò Gellindo in un baleno e consentì a Bernardina di recuperare le forze.

– Si può sapere cosa vuole, da te, questo Bollicino? – chiese l’oca, lasciandosi cullare dalle onde del lago.

Gellindo le raccontò del mistero delle mele rubate, dell’albero lette-ralmente spogliato la notte prima, della disperazione del cuginetto che non vedeva da sette anni…

– E tu pensi di farcela, a risolvere il mistero?– Questo non lo so, ma ce la metterò tutta…– Tieni a mente però questo proverbio del Popolo delle Oche – lo

ammonì Bernardina, uscendo dall’acqua e apprestandosi a riprendere il volo: – Quando i problemi sono piccoli, due zampe sono anche troppe, ma quando i problemi son grossi, allora mille zampe possono esser troppo poche! Hai capito?

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– Mi pare di… no – ammise con sincerità Gellindo, – ma mi ricorderò del tuo consiglio, non ti preoccupare!

E il viaggio riprese.

Bollicino Ghiandedoro«Com’è ingrassato!» fu il primo pensiero che venne in mente a Gellindo, ancor prima di correre ad abbracciare il cugino che lo aspettava ai piedi dell’albero di mele nel quale aveva la sua tana.

«Com’è rimasto piccino!» fu il primo pensiero che venne in mente a Bollicino, abbracciando stretto, coda compresa, il cugino appena

giunto in suo aiuto.– Allora non perdiamo tempo – esclamò Gellindo dopo le

effusioni e gli abbracci. – Spiegami cos’è successo…– È successo che da una settimana, praticamente da quando

le mele hanno cominciato a essere belle mature e quasi pronte per essere raccolte, qualcuno si diverte a depredare ogni notte un albero diverso, lasciandolo senza mele!

– Hai pensato a fare dei turni di guardia?– Certo, ma io sono solo e il campo è molto grande! Dovrem-

mo essere almeno in trenta a darci il cambio, per resistere con gli occhi aperti fino all’alba, e invece riesco a malapena ad arrivare

a mezzanotte e poi m’addormento!– Come sarebbe a dire che sei solo! Da queste parti non c’è un Vil-

laggio di Spaventapasseri come da me, a Risparmiolandia?– Gli unici spaventapasseri che conosco sono quelli piantati in mezzo

ai campi qui attorno, ma con loro non ho mai fatto amicizia. Laggiù, lungo le rive del fiume, ogni tanto spunta qualche trota e una vecchia carpa con cui scambio due parole, mentre qua sotto terra si nasconde una famiglia di talpe, ma loro non si fanno mai vedere e, poi, guarda te: ho il sospetto che a rubare le mele sia proprio una talpa affamata!

– E mi vuoi dire che in sette anni che vivi in questo campo, non ti sei fatto un amico? Non hai un passerotto con cui parlare?

– Ehm… no! A dire il vero non mi è mai venuto in mente.– Va bene – concluse Gellindo scaricando lo zainetto nella tana del

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cugino. – Adesso mi cambio, mangio qualcosa e poi andiamo a fare un giretto: voglio rendermi conto di dove sono capitato!

Il Campo delle Mille Mele era veramente enorme: centinaia e centi-naia di filari d’alberi da frutto riempivano ogni angolo di quella parte di pianura, ed erano alberi belli grossi, robusti e carichi di mele gialle, succose e dolci. Qui e là, però, si notavano alcuni alberi miseramente senza frutta…

– Ecco, quelli sono i meli colpiti dal ladro misterioso – commentò Bollicino, che faceva fatica a star dietro al cuginetto più agile e magro.

– Cosa hai in mente di fare?– Questa notte ci daremo il cambio, nel fare la guardia: comin-

cerai tu, a mezzanotte ti darò il cambio fino all’alba e speriamo che qualcuno si faccia vedere…

Fu una notte calma e silenziosa, che Gellindo trascorse a camminare tra i filari di meli, acquattandosi nell’erba alta a ogni rumore sospetto.

Eppure, anche se nessuno entrò di nascosto nel Campo,nessuno si fece vedere vicino agli alberi,

nessuno se ne andò con un sacco sulla schiena pieno di mele rubate…

al mattino trovarono un melo del tutto senza mele!

– Ecco, hai visto? – strillò Bollicino, pestando le zampette a terra. – Ti rendi conto di quel che è successo? Ti rendi conto che quel ladro ce l’ha fatta sotto agli occhi?

– Io mi rendo conto che due scoiattoli, da soli, non riusciranno mai a risolvere il problema delle tue mele rubate! – esclamò Gellindo prima di andare a riposare. – Sai cosa mi ha detto l’oca Bernardina, mentre mi portava da te? “Quando i problemi sono piccoli, due zampe sono anche troppe, ma quando i problemi sono grossi, allora mille zampe possono essere troppo poche!” Lasciami dormire un paio d’ore e poi vedrai che cosa ti combino!

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In cerca di aiuto– Andiamo a presentarci agli spaventapasseri di cui mi parlavi! – esclamò il nostro amico, dopo un’ottima colazione a base di nocciole, castagne fresche e succo di mela.

– Guarda, Gellindo, che qui in pianura non è come da te in montagna. – disse Bollicino torcendosi le mani per l’agitazione. – Qui è difficile fare amicizia, è difficile andare d’accordo con quei tipi strani che si fanno chiamare “spaventapasseri”. Qui i passeri si spaventano sul serio, quando vedono uno di quegli spauracchi in mezzo a un campo o vicino a un orto!

– Tu pensa quel che vuoi, – rispose Gellindo, – ma se quel che dici è vero, voglio sentirmelo dire sul muso da uno di loro. Vieni!

Il primo spaventapasseri che incontrarono sembrava un vecchio mendicante vestito con una giacca rattoppata e sporca, con i capelli lunghi e unti, una pipa rotta in bocca, senza naso e con gli occhi di traverso…

– Ehm, buongiorno, signor… signor? Come ti chiami, tu? – chiese Gellindo, balzando sul muretto del campo di mais.

– Il mio nome è Polento – biascicò quell’altro, come se avesse perso la dentiera. – E voi chi siete? Tu – esclamò rivolto a Bollicino, – non sei quel buffo scoiattolo che vive nel campo di mele laggiù? Da qui ti vedo ogni giorno, sai? Potrei raccontarti tutto quello che fai, dalla mattina alla sera, ma non sono un tipo curioso e chiacchierone, io.

– Senti, Polento – continuò Gellindo, – abbiamo un problema. Potresti darci una mano a risolverlo? – E in breve gli scoiattoli raccontarono allo spaventapasseri quel che capitava nel Campo delle Mille Mele.

– Un ladro? – esclamò Polento facendosi subito attento. – Se c’è un ladro nel campo di mele, chi mi assicura che, dopo, non passi anche in questo di mais? Certo che vi aiuto, ma come?

– È sufficiente far circolare la voce fra tutti gli altri spaventapasseri della zona e convincerli che questa sera, appena fa notte, ci ritroviamo tutti al Campo delle Mille Mele. D’accordo?

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Sistemati gli spaventapasseri, Gellindo e suo cugino andarono in cerca della famigliola di talpe. Ne trovarono una che stava rientrando nella sua tana sotto terra…

– Ehi tu, dove scappi? – strillò Gellindo correndole dietro. – Aspetta, fermati! Voglio solo parlarti… Oh, così: brava! Lo sai che su, al mio Bosco, conosco una talpa come te che si chiama Melesenda?

– Parli di Melesenda, la talpa delle Venti Querce? – rispose quell’altra sbarrando gli occhietti mezzi ciechi. – E tu… tu saresti quello scoiattolo che vive proprio sopra di lei, nella quercia più antica del bosco… Com’è che ti chiami? No, non dirlo, voglio arrivarci da sola: Gerrendo? No no… Gellundo… GELLINDO! Tu sei Gellindo Ghiandedoro!! Io so tutto di te, sai? Melesenda mi parla spesso delle tue avven-ture, perché vedete: noi due, Melesenda e io, ci incontriamo sottoterra una volta al mese! Siamo amiche per la pelle fin da quando un mio lunghissimo cunicolo s’è incrociato con un suo cunicolo altrettanto lungo… E ogni mese, nella notte di luna piena, ci troviamo a metà strada e ci raccontiamo tutte le novità!

– E qual è il tuo nome? – chiese Bollicino facendosi co-raggio.

– Mi hanno messo il nome di Orbetta, ma per gli amici sono Quat trocchi:

Quattrocchi, la talpa che non vede l’ora…la talpa che ti fa vedere lei…

la talpa che è sempre bene in vista…la talpa che non vede più in là del proprio naso…

la talpa che ci vede doppio…che non ci vede più dalla fame…che si vede sempre in pericolo…

la talpa che sta a vedere…

– Ascolta, Quattrocchi – la interruppe Gellindo, fermando quel fiume di parole in piena, – abbiamo bisogno del tuo aiuto e dell’aiuto di tutte le tue sorelle, perché devi sapere che…

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Quando gli scoiattoli ebbero spiegato il motivo della loro richiesta, Quattrocchi divenne incredibilmente seria, lasciò perdere le battute spiritose e…

– Questa sera da voi, al Campo delle Mille Mele? Con tutte le talpe dei dintorni? Sarà fatto, amici! Contate su di me e… eh! eh! eh!… arrivederCi!

Dopo di che Gellindo e Bollicino andarono a supplicare le rondini… – State tranquilli: questa sera ci saremo anche noi, a darvi man forte!

– assicurò Rondìno a nome di tutto lo stormo.…i passeri…

– Se pensate che possiamo esservi di aiuto, non mancheremo senz’altro!

…le trote e le carpe del fiume…– Preparate una vasca d’acqua pulita e venite a prenderci

prima di notte: vogliamo dare una mano, anzi, una pinna anche noi!

I due cuginetti, poi, fecero un salto al paese più vicino e lì chiamarono a raccolta le quattro mucche rinchiuse nella stalla,

un paio di asinelli che brucavano in un prato, una cavalla senza cavezza, trenta pipistrelli neri come la notte, un gatto assonnato

e il suo amico cane, un mastino grosso come una montagna che di nome faceva… sCrìCCiolo!

– Io, in vita mia, non ho mai parlato a così tanta gente come ho fatto oggi! – esclamò allegro Bollicino sulla strada di casa. – Ma sei sicuro, Gellindo, che ci saranno tutti di aiuto?

– Vedi, mio caro cugino, tu puoi anche essere lo scoiattolo più ricco della valle, più sazio e più al sicuro del Campo, ma se sei solo, hai sol-tanto le tue zampe e la tua testolina ad aiutarti, non andrai lontano e alla prima difficoltà dovrai scrivere a Gellindo perché corra in tuo aiuto. Se invece hai molti amici, e soprattutto se sono amici tutti diversi, grandi e piccoli, grassi e magri, alti e bassi, forti e deboli, allora avrai una varietà infinita di aiuti e di possibilità, che ti serviranno per tutte le occasioni… Vedrai stasera, se non ho ragione io!

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ImboscataQuando calò la notte, al centro del Campo delle Mille Mele si diede appuntamento la moltitudine dei nuovi amici di Bollicino.

Polento arrivò accompagnato da una combriccola di spaventapasseri uno più strano e originale degli altri.

– Salve – esclamò uno spauracchio vestito di rosso, – io sono Torero Ma tadòr… e se per caso il ladro è un toro affamato, allora ci penso io a portarlo via lontano!

– Io mi chiamo Tutto-in-ghìngheri – disse un altro, che si presentò vestito elegante, con tanto di cravatta e di monocolo all’occhio

sinistro.– E poi questi sono Tempodoro – continuò Polento, presen-

tando tutti gli altri, – Tiramisù, Mestolo e Olimpio… A quel punto giunse Bollicino, di ritorno dal fiume dove era

andato a prendere tutti i pesci disponibili… e ne gettò una ventina nella grande vasca piena d’acqua, pensando: «Chissà in che modo potranno aiutarci, questi pescioni!”.

Vennero anche Quattrocchi e le talpe, Rondìno e le rondini, tutti i passerotti dei dintorni e gli animali del paesino, guidati

da quel “mostro” di Scrìcciolo.– Bene – esordì Gellindo quando furono tutti in cerchio ai piedi

dell’albero in cui Bollicino aveva la tana, – sta per cominciare la notte più lunga della nostra vita! Fate bene attenzione a quel che vi dico, perché è importante che tutti sappiano bene quel che devono fare. D’accordo?

Nessuno fiatò, solo Bollicino era agitato e pensieroso. Chissà se, quella notte, sarebbero riusciti a far luce sul mistero!

– Allora: gli spaventapasseri, agli ordini di Polento, andranno a pian-tarsi in mezzo ai filari delle mele. Le talpe, che non ci vedono molto, soprattutto di notte, si apposteranno lungo il perimetro del Campo e annuseranno l’aria per sentire tutti gli odori strani e sospetti. Le rondini e i passerotti voleranno di continuo da un albero all’altro, contando e ricontando le mele appese. Le mucche, gli asinelli, la cavalla, il gatto e il cane Scrìcciolo si apposteranno al buio lungo le strade che passano di qua e ci avviseranno se vedranno movimenti sospetti…

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– E noi dove andiamo? – chiesero parlando in coro Pippo e Strellina, due piccoli e simpatici pipistrelli con le ali sottili e scure.

– Voi andrete ad appendervi ai tronchi più bassi e grossi dei meli e da lì controllerete se qualcuno s’avvicina di nascosto… Voi avete antenne molto sensibili: ci sarete utili per scoprire se qualcuno cammina nella notte non visto… Le trote e le carpe, infine, aspetteranno nella vasca sott’acqua e quando sentiranno questo fischio… Fiuuuuuu!… allora salteranno fuori facendo gran baccano. Avete capito tutti?

Certo che avevano capito. Ognuno andò al posto che gli era stato assegnato e cominciò quella che sarebbe stata una notte lunga e mi-

steriosa!– Bollicino, – disse Gellindo rivolto al cugino grassottello,

– tu va’ pure a dormire. È stata una giornata pesante, per tutti ma soprattutto per te, che non ci sei abituato. Su, vai a nanna e ti sveglieremo quando sarà il momento…

Le ore cominciarono a trascorrere lente, una dopo l’al-tra.

Alle undici si alzò un venticello sottile e fresco.A mezzanotte i cuculi intonarono un canto notturno che

fece rizzare le penne agli uccellini e la paglia agli spaventa-passeri.All’una in punto dalla strada giunse lo scricchiolio d’un ramo

spezzato, ma poi il silenzio tornò ad avvolgere ogni cosa.Alle due Gellindo vide uno spicchio di luna alzarsi in cielo, ma era

ancora troppo sottile per far giungere fin sul Campo la sua luce d’ar-gento.

Alle tre un tonfo fece balzare in piedi tutti gli amici appostati in ogni dove…

– No, non è nulla – sussurrò Polento. – Scusate, è stato Tutto-in-ghìngheri… s’è addormentato di colpo ed è caduto a terra…

Alle quattro, finalmente, una piccola ombra furtiva e veloce, con due sacchi vuoti sulle spalle, scivolò silenziosa da un melo all’altro, cercan-do di non far rumore mentre camminava nell’erba. Pippo, Strellina e gli altri pipistrelli la sentirono subito e squittirono sottovoce, richiamando l’attenzione di Gellindo, degli Spaventapasseri e di tutti gli altri. Gli

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animali appostati sulle stradine e le talpe nascoste lungo i confini del Campo accorsero accanto a Gellindo, mentre l’ombra misteriosa si bloccò dietro al tronco del melo più grosso. Non poteva più fuggire, adesso: era finalmente in trappola, quel ladro!

Accadde tutto in pochi, pochissimi istanti. Gellindo e tutti gli altri balzarono addosso al figuro nascosto nella notte, che però si divincolò e riuscì a fuggire. Si mise allora a correre lungo un filare di meli ma, quando giunse in mezzo al prato dove c’era la vasca colma d’acqua, Fiuuuuu!… fischiò Gellindo, e trote e carpe balzarono fuori all’improvviso, con gran fracasso di risucchi e spruzzi.

Lo sconosciuto si bloccò per lo spavento: bastò quell’istante, perché tutti gli altri gli fossero sopra, rovesciandolo e bloccan-dolo a terra.

– Ce l’ho! – L’abbiamo preso! – Ecco: adesso è fermo, non può muoversi…– Tienilo per i piedi, tu!– Attento che scalcia… ehi, ma com’è piccolo – esclamò

il cane Scrìcciolo.– Nel buio della notte pareva un gigante – disse Quat troc chi,

che bloccava il ladro abbracciandogli la testa.– Spòstati, Quattrocchi – strillò Gellindo, – lascialo andare, ché

voglio vedere chi è…La talpa allargò le braccia e alla luce di un mozzicone di una candela

acceso dallo spaventapasseri Tiramisù, tutti videro chi era il misterioso ladro di mele.

– Ma cosa ci fai, qui, BolliCino! – strillarono tutti quanti in coro, e fu un coro sbalordito e stupefatto.

– Come sarebbe a dire cosa ci faccio io?! Che ci fate voi, invece, e tutti sopra di me! Vi pare questo, il modo… Ehi, ma io ero andato a dormire! Io stavo dormendo nel mio lettino e invece adesso sono qui, steso sul prato… e voi… e io…

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Nuovi amiciProprio così, cari miei: quei furti misteriosi dipendevano da uno scoiat-tolino che soffriva di sonnambulismo! Uno scoiattolo troppo solitario, che di notte s’alzava senza svegliarsi, riempiva due grossi sacchi di mele gialle e li trascinava in un boschetto lì vicino, nascondendo la refurtiva nell’erba alta. Poi tornava a letto e continuava a dormire fino all’alba, quando si svegliava per accorgersi del furto notturno!

– Adesso va tutto bene, Bollicino – lo rincuorò Gellindo, al termine del racconto di quel che era successo quella notte. – Abbiamo ritrovato tutte le mele rubate e quindi non hai nulla da temere…

– Ma perché proprio a me, doveva capitare una cosa del gene-re? – si lamentò lo scoiattolo sonnambulo. – Che cosa diranno, adesso, i miei nuovi amici?

– Ecco, vedi? Cominci già a guarire, anzi: posso dire che sei guarito del tutto, caro mio! Se consideri amici tutti quelli che questa notte ti hanno aiutato a risolvere il mistero, allora vuol dire che posso tornarmene al mio Bosco delle Venti Querce tranquillo e sereno. Mio cugino ha passato un brutto momento, è vero, ma adesso non sarà più solo, nella vita. Posso salutarti e imboccare il cunicolo lunghissimo scavato dalle talpe Quattrocchi e Melesenda, per andare finalmente a riab brac ciare i miei, di amici.

– Come posso ringraziarti, cugino? – mormorò Bollicino.– Scrivendomi più spesso e, magari venendo a farmi visita la prossima

estate, d’accordo? Vi saluto tutti – urlò alla fine Gellindo Ghiandedoro infilandosi lo zaino e salutando con la zampetta i pipistrelli e le rondini, i passeri e le mucche, i pesci e le talpe che gremivano il Campo delle Mille Mele, – e ricordatevi che quando si è in tanti a lavorare per raggiungere lo stesso obiettivo, non c’è più nulla che ci possa far paura. Ciaooooo!

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I valoridel credito cooperativo

Se è vero che la quantità di denaro che le banche riescono ad accumulare e poi a dare in prestito aiuta lo sviluppo economico di una città, di uno Stato, è anche vero che non basta spostare montagne di soldi (Titoli, A zio ni) per creare benessere: altrettanto determi-nante è infatti la ricchezza costituita dalle energie umane. È un concetto, questo, che fin dalle origini sta alla base delle Banche di Credito Coo-perativo, dove vengono valorizzate le competenze dei singoli Soci come quelle dei dipendenti, le capacità di collaborare in progetti comuni, le di-verse sensibilità commerciali, il senso della responsabilità.Ti ricordi di quando Gellindo ti ha parlato di don Lorenzo Guetti e di Federico Guglielmo Raiffeisen, fon-datori rispettivamente del movimento cooperativo trentino e delle Casse Rurali altoatesine? Bene, anche se allora eravamo sul finire dell’Otto-cento, quei princìpi sono oggi ancora più che mai validi. Anzi, per sottolineare lo stretto rapporto che c’è tra le Banche di Credito Cooperativo e le comunità locali è stata redatta una Carta dei Valori del Credito Cooperativo nella quale si sottolinea, innanzitutto, che il Credito Cooperativo è un insieme di banche dove le persone lavorano per le persone, perché il primo in-vestimento è sul “capitale umano”. È l’unione delle forze, dunque, che

finalizza la cooperazione in parte al benessere dei soci e in parte al terri-torio di riferimento, nei suoi aspetti sociali, culturali, ambientali oltreché economici: è il “capitale umano” il vero motore delle Banche di Credito Cooperativo - Casse Rurali.Tutti i Soci, insieme, formano “l’ani-ma” della Banca di Credito, il suo modo di presentarsi al cittadino; con responsabilità, correttezza e profes-sionalità devono contribuire al suo sviluppo perché solo così, ogni qual volta entri in una Cassa Rurale, puoi essere certo di sentirti tra amici.

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6. Lavoro e capitale umano

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Un “capitale”fatto di persone

Ancora nel Settecento il filosofo in-glese Adam Smith scriveva che «la ricchezza delle Nazioni è fondata sulla capacità degli uomini di creare, di lavorare, di produrre, di progettare. Non è pertanto fondata sui mezzi ma-teriali, bensì sulle capacità umane». Ma un secolo dopo la rivoluzione industriale spinge a una ricchezza a tutti i costi, crea disumanizzazione e l’uomo, in quanto tale, viene ad essere considerato meno delle macchine. Oggi, grazie anche alla “globaliz-zazione” della comunicazione e

alla presa di coscienza degli effetti negativi del consumismo, finalmente si comincia a ri-comprendere l’im-portanza del “capitale umano”: solo attraverso la valorizzazione della “ricchezza uomo” – fatta da perso-ne ognuna con la propria storia e le proprie capacità – si può sviluppare un’autentica ricchezza che aiuta gli Stati. E l’investimento deve comin-ciare proprio dai voi giovani: prima in famiglia, attraverso l’educazione ai valori dell’altruismo, al rispetto degli anziani quali custodi della tradizione e dell’esperienza; poi nella scuola, at-traverso forme di collaborazione che proseguono infine anche nel lavoro.

Aiuta Gellindo a rispondere a queste domande – un aiutino, come vedi, te lo ha già dato Pagliafresca – e unendo le lettere cher rimangono nei cerchietti scoprirai qualcosa di davvero molto, molto prezioso.

L’acqua non è un bene…

Lavorare insieme significa…

Un foglietto di carta prezioso come il denaro…

La valle dove vive Gellindo…

Quando in banca si entra attraverso Internet…

L’antico banco del cambiavalute…

La tessera Bancomat delle Casse Rurali si chiama…

Una risorsa che è giusto risparmiare…

Ha vinto il Premio Nobel prestando i soldi ai poveri …

Un modo sicuro per depositare i risparmi…

Uno sportello automatizzato…

Sono il vero motore della cooperazione…

L I A TRRO

G NSLS R I

KBN

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BOGTTT RE

Y N S

IARDTEL

ACB

(Soluzione: Il capitale umano)

IS

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Il banchieredei poveri

A riprova che i valori ottocenteschi di don Guetti e di Raiffeisen sono uni-versali e sempre attuali, a cent’anni di distanza, nello Stato del Bangla-desh, vicino all’India, un banchiere e professore di economia, di nome Muhammad Yunus, ha fondato un si-stema di microcredito con i medesimi principi: un sistema di piccoli prestiti destinati a imprenditori troppo poveri per ottenere credito dalle banche tra-dizionali che chiedono interessi alti, ma non per questo meno meritevoli. Anche Yunus fonda una banca rurale, la Grameen Bank (gra meen, in ben-galese, significa contadino), nel 1976, con lo scopo di aiutare le persone per “ciò che sono” e non “per ciò che han-no” e di finanziare idee che possano

aiutare la comunità a stare meglio, superando le continue carestie. Col tempo questi poveri, che grazie alla fiducia ricevuta hanno sempre restituito i loro prestiti, oggi sono pure diventati azionisti della Grameen Bank: tutti ne possiedono quindi un pezzettino e tutti s’impegnano affin-ché prosperi. Oggi il modello di microcredito della Grameen viene applicato con succes-so in molti Paesi poveri del Mondo, per promuoverne uno sviluppo eco-nomico e sociale; moltissimi, più del 90%, sono i prestiti indirizzati a imprese femminili, perché è più facile che i guadagni realizzati dalle donne vadano ad aiutare le famiglie.Proprio per questo suo impegno ver-so la solidarietà umana Muhammad Yu nus ha vinto, nel 2006, il Premio Nobel per la Pace.

Colora di nero gli spazi segnati dai puntini e scoprirai la sagoma di una delle Nazioni più povere del Mondo.

(Soluzione: Lo Stato del Bangladesh)

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6. Lavoro e capitale umano

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Il creditoè un diritto umano

Come hai imparato che è bene non comperare prodotti realizzati con lo sfruttamento dei bambini o che cre-ano inquinamenti all’ambiente, nello stesso modo si possono comportare le banche. Possono, infatti, selezionare i clienti e le imprese da finanziare non sulla base della loro ricchezza, bensì sulla loro base etica, escludendo dunque, ad esempio, chi produce armi da guerra, chi calpesta i diritti dei lavoratori, chi aiuta i governi dittatoriali a cancellare la libertà delle persone. Proprio perché l’economia ha sempre più bisogno di giustizia sociale, è stata fondata la Banca Etica, nel 1998 dive-nuta Banca Popolare Etica, istituto di credito italiano che ha come obiettivo lo “sviluppo umano”, e cioè la lotta alla fame e alla miseria, il riconosci-mento dei diritti politici e sociali degli uomini, la parità tra uomini e donne, la salvaguardia dell’ambiente compresa la diffusione dei sistemi di agricoltura biologica e altro ancora. Il cliente che affida i suoi risparmi a questa banca sa che riceverà un tasso d’interesse leggermente più basso rispetto agli altri istituti di credito, ma in compenso i suoi risparmi serviran-no a migliorare realmente la società. Non è però solo la banca che deve va-lutare le caratteristiche etiche dei suoi clienti, può essere anche il contrario: il cliente, infatti, dovrebbe scegliere una banca capace di garantirgli che i suoi

risparmi verranno utilizzati per un bene collettivo, così come fa la Banca di Credito Cooperativo che destina una parte dei suoi utili al commercio equo e solidale, all’assistenza agli anziani, ai malati psichici e ai bambini poveri o agli orfani di guerra.La finanza etica, infatti, ha trovato in Trentino un terreno fertile proprio per la forza cooperativistica che ha sempre animato la storia di questa provincia. La SEFEA (Società Euro-pea della Finanza Etica e Alternativa), strutturata come una cooperativa, ha gli uffici legali proprio a Trento, mentre quelli operativi sono a Padova, presso una delle sedi italiane della Banca Popolare Etica.In conclusione, tutti vogliono ricevere dalla banca più guadagni, ma è giusto sapere a quale prezzo: sfruttando il prossimo oppure aiutandolo.

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Dice un proverbio africano: «Se tante piccole persone, in tanti piccoli luoghi, fanno tante piccole cose… questo è l’inizio di un grande cambiamento».

«La vera felicità costa poco: se è cara, non è di buona qualità».

Francois-René de Chateu-briand (1768-1848), scrit-tore francese che ha vis-suto molto tempo con gli indiani pellerossa.

«Un uomo è più ricco in proporzione al numero di cose di cui può permettersi di fare senza».Henry David Thoreau (1817-1862), scrittore e filosofo americano, autore di numerosi proverbi.

«Non serve tanto lottare contro la povertà: occorre lottare contro

Padre Alex Zanotelli (1938), mis-sionario trentino impegnato per anni nell’insegnamento della pace in Africa, ha detto:

Prova anche tu a seguire l’esempio di Yunus: se un amico ti chiede di prestargli qualcosa di tuo, che gli serve davvero per fare qualcosa di bello per sé ma anche per gli altri, e ti promette che appena può te lo restituirà, non dirgli di no. Vedrai che non te ne pentirai!

Come Yunus...

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6. Lavoro e capitale umano

Riflessioni che fanno pensare

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VocaboliEtica: un indirizzo della filosofia che studia i comportamenti dell’uomo e che ha per oggetto i valori morali.Globalizzazione: diffusione contemporanea di informazioni e scambi cultu-rali o economici in tutto il mondo, attraverso le telecomunicazioni e Internet, iniziata verso la fine del Novecento.Ipoteca: è una garanzia; nel caso in cui un debitore non paghi il suo debito, il creditore può vendere un bene ipotecato del debitore (casa, automobile…) e tenersi il ricavato quale pagamento.Mutuo: prestito fatto dalla banca a un cliente – e poi restituito in piccole rate – per l’acquisto di un bene (casa, mobili d’arredamento, automobile…).Lucrare: guadagnare; è usato però spesso anche nel senso negativo di specu-lare, ovvero di trarre un ingiusto profitto economico da qualcuno.

In questo spazio bianco che ti ha preparato Gellindo, scrivi le regole che secondo te sono importanti affinché una banca promuova il benessere della comunità.

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