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1 L’ECONOMIA raccontata ai bambini 4 Gellindo Ghiandedoro e la quercia generosa

Gellindo Ghiandedoro e la quercia generosa

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L’economia raccontata ai bambini 4

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L’ECONOMIA raccontata ai bambini 4

Gellindo Ghiandedoroe la quercia generosa

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Notte magicaEra da qualche settimana, ormai, che Gellindo Ghiandedoro aspettava con ansia che arrivasse la notte “magica” dell’anno. Sapeva che l’epoca giusta era il cuore dell’estate, quando il caldo diventava insopportabile anche di notte e nell’aria il profumo dei fiori di campo si mescolava con quello dei primi funghetti del sottobosco.

Ma era difficile stabilire quando esattamente si sarebbe verificato l’evento e, dopo quattro notti intere trascorse con gli occhi sbarrati nel buio ad ascoltare fino all’alba i rumori del Bosco delle Venti Querce, Gellindo, la quinta notte, cadde in un sonno ristoratore e profondo. Talmente profondo, che lo scoiattolo all’inizio non sentì nemmeno quel leggero tremore, quasi fosse un piccolo terremoto, che cominciò a salire dalle radici ben piantate a terra.

Vrrrrrrrrrr… poi silenzio. Ancora Vrrrrrrrrrr… e poi di nuovo silenzio…

Quando però quella dolce vibrazione si fece più forte e il tronco della vecchia quercia si mise a ondeggiare in circolo scricchiolando pericolo-samente, solo allora lo scoiattolo aprì gli occhi, balzò dal letto e corse a guardar fuori dalla finestra.

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Avreste dovuto vedere lo spettacolo che seguì: alla luce chiara di una luna piena, un dolce venticello estivo cominciò a soffiare fra i grossi rami e le fronde sottili della quercia, trasformando il sibilo sottile del soffio in una voce trasparente e argentina che cantò una stupenda canzone…

E se la ghianda d’orofra le mani ti cadrà,

il tuo sogno più importanterealtà diventerà!

Se la ghianda preziosasul lettino troverai,

tienila stretta e luminosae più ricco tu sarai!

– Sta arrivando! – mormorò Gellindo chiudendo il battente della finestra e un sorriso gli aprì gli occhi e il cuore. – La mia ghianda d’oro sta arrivando anche quest’anno!

Succede, infatti, che fra le migliaia e migliaia di ghiande che ogni anno nascono da quell’antica quercia, una, ma una soltanto, è fatta d’oro prezioso e finissimo! È un regalo dell’al-bero al suo inquilino preferito, a quel Gellindo Ghiandedoro che, dalla tana scavata nel cuore del tronco, fa compagnia notte e giorno alla quercia più vecchia del bosco.

Quando il canto si spense piano piano tra le foglie e il venticello si posò leggero sul prato lì davanti, la luce della luna andò a frugare nella chioma verde scuro della quercia, finché si posò su una pallina color dell’oro, facendola brillare in mezzo a tutte.

– Eccola, è lassù! – urlò di gioia Gellindo, che agile e veloce s’ar-rampicò su per il tronco e raggiunse l’ultimo ramoscello sottile sulla destra. Quando strinse in mano la ghianda d’oro, il cuore gli batteva come la grancassa della banda cittadina: anche quell’anno la quercia s’era ricordata di lui e in cuor suo la ringraziò con le più belle parole che riuscì a trovare. Poi…

– Adesso ti porto giù al magazzino “Quattro” della mia tana, – disse

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lo scoiattolo parlando alla ghianda, – dove potrò custodirti assieme alle tue “sorelle”!

Nel piccolo magazzino “Quattro” c’erano, infatti, otto ghiande d’oro: erano il tesoretto di Gellindo, pronto a diventar denaro sonante in caso di bisogno o di emergenza. Quando però Gellindo mise l’ultima ghian-da assieme alle altre e ammirò soddisfatto quel luccichio luminoso e invitante, il fiato gli si smorzò in gola e una folle, inspiegabile paura gli attanagliò lo stomaco.

– E sE mE lE rubano?

Folle pauraFu così che Gellindo perse l’appetito e il sonno!La paura di essere derubato lo spinse a prendere le nove ghiande d’oro, a portarsele in tana e a nasconderle sotto al letto. Ma da quel giorno, non lasciò più la stanza in cui dormiva!

– Come faccio ad andarmene in giro, se poi qualcuno entra di soppiatto in casa, vede il mio tesoro e se lo porta

via? Non sono mica sciocco! Qui, rimango, e da qui non mi muovo!Quando però trascorsero tre giorni senza che nessuno vedesse

in giro il simpatico Gellindo Ghiandedoro, Bellondina e Candeloro salirono al Bosco delle Venti Querce e andarono a bussare alla porta della tana.

Tock! Tock! Tock…Nessuno rispose!– Gellindo, sono io… sono Bellondina! – urlò la spaventapasseri

vestita da fatina e dai neri capelli a boccoli.– E ci sono anch’io, Candeloro!– Via, andate via! – gridò Gellindo. – Non voglio parlare con nessuno,

non voglio vedere nessuno!– Ma perché? È successo qualcosa? Qualcuno ti ha offeso? – chiese

Bellondina.– No, non è successo nulla e nessuno mi ha offeso. State buoni e la-

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sciatemi in pace e tranquillo!A quel punto i due spaventapasseri fecero spallucce e tornarono al

Villaggio.Gellindo, rimasto solo, cominciò a passeggiare avanti e indietro, ri-

muginando mille brutti pensieri. «Di Bellondina e di Candeloro mi fido, figuriamoci! E nemmeno de-

gli altri spaventapasseri ho paura, oppure degli abitanti del Bosco delle Venti Querce. Sono tutti amici e tutti sanno che ogni anno la quercia mi regala una ghianda d’oro: se volevano rubare il mio tesoro, avrebbero potuto farlo già da tempo. Però, se passa di qui un forestiero? Ad esempio uno scoiattolo vagabondo che s’impadronisce della mia tana perché io sono in giro e non me la vuole più restituire? Cos’è: si tiene anche quello che c’è dentro?…».

No no: bisognava prendere le nove ghiande d’oro e por-tarle fuori, nasconderle da qualche altra parte dove nessuno poteva trovarle! E il piano scattò quella notte stessa.

Era una notte buia, questa volta: proprio quel che ci voleva per l’idea che aveva in mente Gellindo. Con un badile in mano, lo scoiattolo scivolò fuori della tana e corse in mezzo al prato che si stendeva davanti alla vecchia quercia: fare un bel buco profondo mezzo metro fu un gioco da scoiattolino. Più faticoso fu andare avanti e indietro nove volte, per andare a prendere le ghiande preziose da sotto il letto e portarle nella buca, dove alla fine le ricoprì con un bel po’ di terra.

– Oh, così va bene – sospirò il nostro amico, orgoglioso del nuovo nascondiglio.

La mattina dopo Brigida la civetta andò a becchettare impertinente sull’imposta della finestra alla quale, dopo un po’, s’affacciò un Gellin-do ancora addormentato. La voglia di poltrire però gli passò d’incanto, quando la civetta gli disse:

– Tu lo sai chi ha fatto un buco al centro del grande prato? C’è ancora tutta la terra smossa, laggiù! Ah, queste talpe! Se un giorno o l’altro ne vedo una, vedrai quante gliene dico…

Gellindo tacque e tenne per sé la delusione cocente: quella notte riprese

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il badile, scavò di nuovo al centro del grande prato, tolse le nove ghiande d’oro e andò a nasconderle in un nuova buca, scavata questa volta sulla riva del ruscelletto lì vicino.

Quella notte, però, quando finalmente riuscì a chiuder occhio, fece un sogno terribile.

Sognò di essere seduto sulla sponda di quel rivo perso nei propri pen-sieri e con un fiorellino in bocca, quand’ecco una bella trota luccicante uscir con la testa dall’acqua.

“Ciao, io sono Rosaria la Trota” disse il pesce, “e tu sei Gellindo? Lo scoiattolo più ricco del mondo?”.

“Coosa? E chi te lo ha detto?!”. “Non me l’ha detto nessuno, però questa notte ti ho visto,

mentre scavavi una buca per terra sulla riva del torrente e ci nascondevi nove ghiande tutte d’oro! Se non è essere ricchi, questo”.

“No, non è vero: io non ho scavato nessuna buca, non ho nascosto le ghiande… Le ghiande sono ancora sotto il letto

nella mia tana… Nooooo!”

– noooooo! – e PaTaPumfff, Gellindo rotolò a terra, tirandosi dietro le coperte e le lenzuola.

La notte dopo trasferì il suo tesoro dalla riva del ruscello al folto del bosco, scavando una nuova buca al Prato dei Mirtilli. Ma lì ci capi-tavano troppi cercatori di funghi e di bacche, perciò la notte seguente le nove ghiande furono nascoste in fondo a una tana di volpe che era abbandonata da anni…

«Che sciocco sono – si disse però Gellindo mentre tornava a casa. – E se per caso succede che qualche volpe torna da queste parti, cosa fa? Vede una tana vuota, se ne impossessa senza pensarci sopra e io ci rimetto le mie nove ghiande!».

Se vi dicessi tutte le buche che Gellindo scavò di notte qui e là per il Bosco delle Venti Querce e tutti i nascondigli che usò per nascondervi le ghiande d’oro, non mi credereste!

Avreste dovuto vederlo nuotare sott’acqua nel Laghetto delle Acque

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Calme, mentre legava le nove ghiande ad altrettante radici di ninfea che penzolavano dall’alto!

Oppure appeso alla cima del larice più alto della Valle di Risparmio-landia, mentre cerca di raggiungere il grosso nido di un falchetto per depositarvi il suo tesoro.

Che dire, poi, dell’idea di chieder aiuto a talpa Mele senda… “Me le terresti nascoste tu, le ghiande d’oro? Magari in un cunicolo senza uscita, oppure in un buco che nessuno conosce?”.

Alla fine di tutto questo andirivieni, Gellindo si ritrovò stanco morto per la fatica e per il sonno nella sua tana e con il suo tesoro nascosto

chissà dove nelle viscere della terra.«E se adesso viene un terremoto che fa crollare i cunicoli?

Oppure un’alluvione e l’acqua straripa e inghiotte tutte le gallerie? Proprio sotto terra dovevo nascondere quel che mi è più caro? Ma si può essere così sciocchi?!».

E corse alla tana di Melesenda spingendo una carriola: svegliò la talpa, e già quella fu un’impresa; si fece poi con-durre nel luogo in cui la poveretta aveva messo le ghiande

d’oro e recuperò il tesoretto. Grazie alla carriola, con un unico viaggio riportò le nove ghiande al magazzino “Quattro” della

sua tana, proprio là da dov’erano partite molti giorni prima. Poi – e questa fu l’ultima pensata – si trasferì anche lui a vivere nella

sua “cassaforte”, portandosi dietro il lettino, la foto di Bellondina e le sette sveglie.

AbbecedarioCandeloro e Bellondina avevano seguito da lontano le peripezie

dell’amico scoiattolo e, giorno dopo giorno, la loro preoccupazione era aumentata.

– Ma che cosa si sarà messo in testa, il nostro Gellindo? – esclamò Candeloro, osservando da dietro a un cespuglio l’amico che s’infilava con le ghiande d’oro nella tana abbandonata della volpe.

– Non lo so – rispose triste Bellondina, che avrebbe dato i suoi bei boccoli neri, pur di rivedere Gellindo allegro e spensierato com’era sempre stato. – Dico solo che dobbiamo chiedere consiglio a qualcuno

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che è più saggio di noi. Che ne dici se ne parlassimo con Abbecedario, lo spaventapasseri-maestro che insegna alla scuola del Villaggio?

Abbecedario è orgoglioso della sua divisa da maestro: giacca scura a righine bianche verticali, bombetta nera e tutta scalcagnata in testa, guanti bianchi alle mani e garofano rosso all’occhiello. Secondo lui, tutti i maestri del mondo sono vestiti in questo modo!

Vive piantato a terra nel giardinetto della scuola del Villaggio: tiene il registro sempre sottobraccio e una matita infilata all’orecchio destro… Un tipo simpatico e bizzarro, che però conosceva alla perfezione l’animo degli spaventapasseri, per aver insegnato a leggere, a scrivere e a far di conto a generazioni intere di spaventapulcini scavezzacolli e testardi.

Quel mattino se ne stava a crogiolarsi al sole, leggendo “la gazzETTa dEl Villaggio”, quando...

– Salve, piccoli miei – esclamò Abbecedario, mettendo via il giornale e salutando Bellondina e Candeloro, che fecero il loro ingresso nel giardino della scuola. Per lui tutti gli spaventapulcini che aveva incontrato nella lun-ga carriera di maestro, restavano i “piccoli suoi” anche quand’erano ormai grandi! – Qual buon vento vi porta dal vostro vecchio maestro?

– È il vento delle disgrazie, caro Abbecedario – piagnucolò Bel lon dina.

– Oh, che tristezze sentono le mie orecchie e vedono i miei occhi! “Vento delle disgrazie”, addirittura? Bene: se ci sono disgrazie, vuol dire che aguzzeremo l’ingegno tutti quanti per tornare a sorridere… Eh! Eh! Eh!

– Non sarà facile, questa volta, ritornare a ridere – obiettò Candeloro, che raccontò ad Abbecedario quel che stava accadendo al loro amico scoiattolo.

Il maestro ascoltò con attenzione la storia delle ghiande d’oro, di Gellindo che correva a nasconderle qui e là senza trovar pace, delle notti passate a sognare incubi terribili e, infine, di quella strana scelta di andare a vivere in una “cassaforte”! Nel magazzino più profondo della sua tana!

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– Piccoli miei, mi sa che questa volta c’è ben poco da fare! – mormorò Abbecedario, dopo un lungo istante di silenzio. – Perché, vedete: la paura che qualcuno ti rubi quel che è tuo, ce l’abbiamo un po’ tutti. È una cosa normale. Anzi: è una cosa salutare, perché ti obbliga a fare attenzione a quello che possiedi, a essere ordinato oppure a non buttar dalla finestra quel che guadagni lavorando. Ma quando la paura diventa ossessione e mania, beh, allora è difficile intervenire. A meno che…

– A meno che cosa? – urlarono in coro Bellondina e Candeloro.– A meno che non troviamo un rimedio forte. Potente. dE-fi-ni-Ti-

Vo! – E l’abbiamo, questo rimedio?– Voi non lo so – rispose Abbecedario con un sorriso, – ma

io assolutamente… sì!– E che rimedio sarebbe?– Avete mai sentito parlare della medicina “chiodo-

scaccia-chiodo”? No? Lo immaginavo. Allora: per prima cosa avrò bisogno del vostro aiuto, piccolini, ma anche dell’aiuto speciale degli Spaventapasseri del nostro Villag-gio. Correte a chiamarli tutti e che non manchi nessuno! Ci vediamo qui, nel mio giardino, diciamo fra due ore esatte! Su forza. Cosa aspettate?

Chiodo scaccia chiodoQuando suonò la prima sveglia, Gellindo balzò in piedi con gli occhietti fuori dalle orbite: non aveva dormito per tutta la notte, poverino, e solo all’alba era scivolato in un sonno agitato e leggero.

Il magazzino “Quattro” era ermeticamente isolato dall’esterno: non vi penetrava nemmeno il più sottile raggio di luce. Lo scoiattolo allora accese una candela e guardò i sette orologi disposti a semicerchio per terra ai piedi del letto: segnavano tutti le otto spaccate. Probabilmente del mattino.

Gellindo gettò uno sguardo alle nove ghiande d’oro ammassate in un angolo, ma non provò nessun piacere, nessuna gioia. La paura che qualcuno potesse rubarle gli aveva tolto non solo la voglia di dormire e

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di mangiare, ma anche quella di emozionarsi al pensiero della vecchia quercia che ogni anno, puntuale come uno di quei sette orologi, gli re-galava una ghianda d’oro. «Che se la tenga, la sua ghianda – si disse lo scoiattolo alzandosi dal letto e sorseggiando un bicchiere d’acqua. – Io non so che farmene di tutti questi pensieri, di tutte queste paure… Sono stufo di star chiuso qui dentro per paura che qualcuno si porti via il mio tesoro…”.

– gEllindooooooo! gEllindooo, sono bEllondina, ViEni fuori, Ti PrEgo! abbiamo bisogno di TEEEE…

La voce della spaventapasseri riusciva a fatica ad attraversare il tronco della quercia e quindi la si sentiva lontana lontana… Ma

era ugualmente una voce dolce e amica: il cuore di Gellindo si sciolse all’improvviso e lo scoiattolo scoppiò a piangere.

Sempre singhiozzando, aprì la porta del magazzino “Quat-tro” e uscì alla luce del sole caldo e abbagliante!

– GELLINDO… ESCI, tI PREGO, SONO BELLOND… Oh eccoti, finalmente. Ce n’è voluto, per svegliarti, eh?

– Ciao, Bellondina – sussurrò lo scoiattolo tirando su col naso e parlando senza intonazioni e senza nessuna emozio-

ne. – Mi ero appena svegliato, anche se questa notte non ho dormito molto… Sai, le mie ghiande d’oro…– Lascia perdere le ghiande – lo interruppe quell’altra, prendendo

l’amico per una zampa e trascinandolo via dalla quercia.– No, aspetta: là dentro c’è un tesoro, c’è il mio tesoro. Non posso

andarmene, qualcuno potrebbe…– Ma al Villaggio hanno bisogno di te!– Hanno bisogno… di me? – esclamò Gellindo seguendo l’amica giù

per il sentiero.– Certo: qualcuno ha rubato tutto il latte di Casoletta!– Cooosa? Hanno rubato il latte? Ecco vedi: avevo ragione, io! Girano

dei figuri, da queste parti, che bisogna chiudere sempre la porta di casa. E anche le finestre!

– Sì: hanno rubato il latte e il formaggio di Casoletta – proseguì Bellon-dina sempre saltellando, – ma anche il fi schietto di Rosso-Giallo-Verde, il nostro vigile urbano; i libri e i quaderni di Abbecedario; le campane di

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Din Dòndolo; i vasetti di creme alle erbe di Tisana la Dolce; i biscotti e i canòli alla crema di Mangia-torte…

– Ma allora hanno derubato tutti gli Spaventapasseri del Villaggio!– Sì! Hanno portato via la pipa a Pagliafresca, il berretto messo di

traverso a Candeloro, il bilancino al farmacista Quantobasta…– E a te hanno preso qualcosa? – chiese Gellindo. Ma nel girarsi a

guardare Bellondina, se ne accorse lui da solo: – ti hanno rubato la rosa rossa dai capelli, vero?

La spaventapasseri rallentò la corsa, abbassò gli occhi e…– Fa nulla, Gellindo: di rose ce ne sono ancora e prima o poi ne riceverò una nuova. Sono gli altri spaventapasseri ad essere pre-

occupati: devi aiutarci a trovare quel ladro!Quando lo scoiattolo prese saldamente in mano la situa-

zione, tutti gli spaventapasseri si diedero di gomito e si fecero l’occhiolino. Il piano stava procedendo secondo le previsioni!

– Innanzitutto bisogna fare un inventario delle cose rubate. Ci pensate voi, Abbecedario e Quantobasta, che

con carta e penna ci sapete fare? Bene. Quanto agli altri – continuò rivolto agli spaventapasseri radunati nel giardinetto

della scuola, – state calmi e non agitatevi: faremo di tutto per trovare il ladro, ma se così non fosse, pazienza. Quel che avete

perso, in un modo o nell’altro lo rimetteremo assieme, d’accordo? Avete visto impronte di scarpe, in giro?

Gli Spaventapasseri si guardarono stupiti e un po’ agitati: nessuno aveva messo in conto che Gellindo si sarebbe trasformato in un investi-gatore privato! Li salvò Passion di Fiaba che, fra tutti, aveva la fantasia più allenata.

– Ehm, ecco: a dire il vero sì, ci sono delle impronte, giù in piazza, ma sono lì da almeno due settimane. Non penso che potranno esserci utili!

– Allora vado subito a esaminare i luoghi dei furti – esclamò Gellindo, che si fece prestare da Abbecedario una lente d’ingrandimento. – La lente mi serve per scoprire quei piccoli particolari che non devono sfuggire a un investigatore… Eh! Eh! Eh!

Il nostro amico scoiattolo lavorò al caso dei furti misteriosi per sei

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giorni interi: vi si dedicò anima e corpo, setacciando le trenta case del Villaggio; interrogando gli spaventapasseri uno ad uno; spulciando e rispulciando più e più volte l’elenco delle cose rubate.

E quando, arrivato a Chiomadoro, lesse “una spilla a forma di ghian-da”, per un istante gli tornò in mente il tesoretto rimasto incustodito al magazzino “Quattro” su, al Bosco delle Venti Querce. Ma fu un pensiero che scacciò con un altro pensiero: «Adesso sono troppo impegnato ad aiutare i miei amici spaventapasseri, per preoccuparmi delle mie ghiande d’oro!».

La vera cassaforte– Non voglio cantar vittoria troppo presto – disse Bellon-

dina a Candeloro, – ma secondo me Gellindo è guarito e forse è arrivato il momento di passare alla fase due del nostro piano!

– D’accordo – convenne Candeloro, – allora vorrà dire che da questa sera Gellindo comincerà a ritrovare le cose che ci sono state… ehm… “rubate”!

E infatti… – Ecco qui il fischietto di Rosso-Giallo-Verde! – urlò fe-

lice lo scoiattolo, che recuperò la refurtiva appesa al lampione della piazzetta centrale del Villaggio.

– fiuuuu… fiuuuuu… Grazie, Gellindo… fiuuuu… fiuuuuu… – cominciò a fischiettare il vigile urbano saltellando di gioia. Anche se era stata tutta una recita a fin di bene, gli era mancato molto, il suo adorato fischietto!

Al mattino seguente:– Ma ditemi voi se la pipa di Pagliafresca doveva finire incastrata

sotto l’asse da lavare! – esclamò lo scoiattolo, dopo aver esaminato in lungo e in largo e con la lente di ingrandimento la fontana alla quale gli spaventapasseri andavano a lavare i panni.

– Oh che bello, hai recuperato la mia pipa! – si mise a urlare Paglia-fresca. – Non so se ce l’avrei fatta ad aspettare il prossimo compleanno, per vedere se qualcuno me ne regalava una nuova altrettanto bella…

– Toh, ma guarda dove i ladri hanno nascosto il latte e il formaggio

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di Casoletta! Li hanno messi sotto la paglia del suo fienile! – Ci avrei scommesso che alla fine avresti risolto il mistero, Gellindo!

– si complimentò Casoletta, offrendogli come ringraziamento un buon bicchiere di latte fresco.

Uno dopo l’altro, Gellindo ritrovò le campane di Din Dòndolo…– donnnn… dinnnn… dannnn… – riprese l’allegro scampanìo dal

campanile del Villaggio.…i libri e i quaderni di Abbecedario…– Sei un genio, Gellindo: dovresti aprire un’agenzia investigativa! – si congratulò lo spaventapasseri-maestro…

…i dolcetti di Mangiatorte…– Venite, venite tutti quanti a festeggiare la bravura dell’in-

vestigatore più bravo della valle! – strillò la spaventapasseri che amava cucinare pasticcini e biscotti.

…il bilancino di Quantobasta…– Non puoi immaginare quanto sia contento di riavere

tra le mani la mia vecchia bilancia! Per un farmacista è lo strumento più importante di tutti, sai Gellindo?

Alla fine, l’unica a non riavere indietro il “maltolto” fu proprio Bellondina.– Mi sai dire perché fra tutti i regali che vi sono stati rubati,

solo il tuo fiore non è saltato fuori? – chiese Gellindo, che aveva cominciato a sospettare qualcosa, vedendo quei sorrisi strani, quelle

paroline sussurrate nelle orecchie, quei colpetti di gomito ai fianchi…– Fa niente, mio caro – rispose la spaventapasseri arrossendo. – Vedrai

che prima o poi troverai anche il mio fiore…– Ascolta bene, Bellondina: io sento puzza di bruciato, sotto a tutta

questa storia di ladri invisibili e di refurtive che riappaiono come per magia. Me la vuoi spiegare tu?

Bellondina abbassò gli occhi a terra e cominciò a stringersi le mani di legno.

– Ecco, a dire il vero… – cominciò a dire.– A dire il vero – intervenne Abbecedario, – è stata un’idea mia.– Quale idea?– Quella di raccontarti che eravamo stati derubati tutti, ognuno della

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cosa più preziosa che possedeva.– E perché, poi?– Ti vedevamo troppo preoccupato dietro al tuo tesoretto, a quelle

ghiande d’oro che ti stavano rovinando la vita. Ti ricordi quanti buchi per terra hai scavato? E quanti nascondigli hai cercato a destra e a sinistra nel Bosco delle Venti Querce? Per poi rintanarti solo e triste nel magazzino “Quattro” senz’aria e senza luce… Non sarà mica vita, quella! Allora è semplice… “chiodo-schiaccia-chiodo”: ti abbiamo di-stratto dalla tua ossessione, chiedendoti di aiutare gli amici a ritrovare

la serenità. E infatti...– Infatti mi sono dimenticato delle mie nove ghiande d’oro! – mormorò Gellindo, guardando gli amici spaventapasseri uno

a uno negli occhi. – Siete stati grandi, tutti quanti! Mi avete fatto capire qual è la cosa più importante nella vita: aiutare gli altri quando sono in difficoltà! Io l’ho fatto: vi ho aiutati, ma in realtà mi sono aiutato da solo a ritrovare il valore dell’amicizia e la voglia di vivere! Adesso però vi chiedo di risolvere il mio problema…

– Quale problema?– Ma come, quale problema: chE cosa nE faccio, dEllE

miE ghiandE d’oro?Gli Spaventapasseri si guardarono l’un l’altro, cercando in tutti

i modi di trattenere una risata di sberleffo. Solo Abbecedario rimase serio e…

– Per questo problema rivolgiti a Cóntolo, lo spaventapasseri-direttore della nostra Cassa Rurale!

Venne allora avanti Cóntolo, uno spaventapasseri con un paio di grossi occhiali sul naso, i capelli bianchi a corona del cranio pelato e le mezzemaniche per tener pulita la camicia bianca.

– Se vuoi mettere al sicuro il tuo tesoretto, – cominciò a dire il direttore della Cassa Rurale del Villaggio degli Spaventapasseri, – trasforma le ghiande d’oro in danaro contante e poi porta il gruzzoletto da me. Po-trai diventare socio della nostra banca e apriremo un conto a tuo nome.

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Pensa un po’: “Conto Risparmiolandia”, si chiama, proprio come la nostra valle! La Cassa Rurale terrà i tuoi soldini assieme a quelli di tutti gli altri spaventapasseri e li userà prestandoli ad esempio a chi ne avrà bisogno. Tu, invece, potrai prelevarli quando vorrai, un po’ alla volta, secondo le tue necessità…

– E digli anche dell’interesse! – suggerì Lingualunga.– Già, è vero: ogni anno la Cassa Rurale aggiungerà ai soldini del tuo

conto un altro po’ di soldini guadagnati utilizzando il tuo denaro…– E la ghianda d’oro della prossima estate?– Anche quella, trasformata in denaro, andrà a finire sul tuo conto,

e così ogni anno da oggi in poi. In questo modo tu potrai dormire sonni tranquilli e occuparti delle cose che ti piacciono di più!

– Cóntolo, sei un genio! – esclamò lo scoiattolo. – Corro subito a casa e poi scendo giù, alla grande città in valle. Ci vediamo domattina in banca, d’accordo? Chi mi accompa-gna?

Secondo voi, quali spaventapasseri si fecero avanti per primi? Ma certo, proprio loro due: Bellondina e Candeloro, gli amici per la pelle di Gellindo Ghiandedoro!

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fine della quarta puntata(nella prossima puntata

“Gellindo Ghiandedoro in cerca di lavoro”)

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Templi come bancheRisalgono all’epoca dei Sumeri, in Mesopotamia, alcune tavolette che testimoniano l’esistenza già allora di un’attività bancaria. Uruk – città nei pressi del fiume Eufrate, famosa per la mitica storia del re Gilgamesh – grazie agli archeologi ha restituito i primi edifici bancari della storia (III millennio prima di Cristo): i templi erano infatti custodi dei beni dei cittadini, ma anche dispensatori di ricchezze. Chi riceveva in prestito del denaro, inteso non nel senso delle monete, che compariranno più di duemila anni dopo, s’impegnava a restituirlo anche un po’ maggiorato, per ringraziare così la divinità alla quale era stato dedicato il tempio.

Nasce la banca

Pensando a una banca, forse è venuto in mente anche a te che quel nome potrebbe derivare da “banco”: infat-ti, durante il Medioevo il tavolo del cambiavalute era proprio il banco sul quale il banchiere riceveva le monete del mercante e in cambio consegnava una ricevuta corrispondente al denaro incassato. A Parigi, in quell’epoca, per ordine del re tutti i cambia va lute avevano il loro “banco” al Ponte del Cambio sulla Senna.Ma oggi non basta portare i soldi in banca, bisogna che questi “girino”,

vengano riutilizzati per produrne altri. La banca è diventata così un’azienda che fa da intermediario tra chi ha soldi da risparmiare e chi ha bisogno di soldi in prestito: il suo obiettivo, alla fine di ogni anno, è quello di avere un guadagno. Per funzionare, una banca deve dunque prima “fare provvista”, raccogliere i risparmi dei clienti – singoli cittadini, ma anche enti pubblici e privati che chiedono di aprire un conto corrente, di versare cioè i propri risparmi e i propri guada-gni in un unico elenco contraddistinto da un numero – e poi distribuire i fondi che ha raccolto, investendoli in prestiti nuovamente a cittadini, a enti pubblici e privati, a industrie e negozi… Fondamentale, per tutte queste operazioni, è che una banca abbia sempre denaro in cassa, in modo che possa restituire i risparmi ai suoi clienti in qualsiasi momento questi lo richiedano. A controllo e garanzia di tutte le ban-che italiane opera la Banca d’Italia, che dal 1998 fa parte del Sistema Europeo delle Banche Centrali.

4. Banca e banca di credito cooperativo

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I tuoi risparmi...e un po’ di più

La banca lavora con i soldi degli altri e li moltiplica, ma non è un “mago”: per far questo si serve degli interessi. Quando infatti depositi sul tuo con-to corrente in banca una somma di denaro, questa, col tempo, produce interessi, ovvero “matura”, il che si-gnifica, che quando li vai a ritirare, i tuoi soldi saranno aumentati un poco. Si chiama, per te, interesse attivo. Ciò è possibile perché quando la tua stes-sa banca presta a sua volta dei soldi a qualcuno, gli chiede un interesse superiore a quello che stai maturando tu. Per questo qualcuno, l’interesse si chiama passivo. E così, di prestito in prestito, la banca accumula denaro che serve per il suo funzionamento (pagare lo stipendio agli impiegati, spese di pubblicità…).

Se sei bravo in matematica capirai che il guadagno della banca è la differenza tra l’interesse che riceve e quello che paga.Il tasso d’interesse, la proporzione con cui la banca premia il tuo rispar-mio, cambia a seconda del tipo di deposito che scegli. È più basso per il deposito “in conto corrente”, perché puoi disporre dei tuoi soldi quando vuoi, in qualsiasi momento; è un po’ più alto nel caso opti per un “deposito a risparmio”, per il quale non hai biso-gno di impossessarti subito della tua liquidità e, per riaverla, devi andare di persona in banca, avvisando magari qualche giorno prima della richiesta di riscossione. Col tempo imparerai i vari sistemi per vincolare i risparmi per più anni, sottraendoti così alla tentazione di spenderli e aumentando in tal modo il tuo capitale.

La cassetta di sicurezza

Il mitico Fort Knox, nel Kentucky, è un edificio a prova di bombarda-menti nei cui sotterranei di cemento armato e acciaio è custodita, dal 1938, la riserva aurea degli Stati Uniti.Restando in Italia, nei depositi sot-terranei delle banche, proprio come si vede nei film, trovi le cassette di sicurezza, contenitori di metallo di diverse misure dove, a pagamento, puoi custodire gioielli, documenti segreti e preziosi. Per aprire però

la tua cassetta hai bisogno di due chiavi: una ce l’hai tu e l’altra il funzionario della banca che ti ac-compagna e poi ti lascia solo.

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Anche la Cassa Ruralegioca al... calcio!

Non tutte le banche sono però uguali, anche se apparentemente offrono gli stessi servizi. La Banca di Credito Cooperativo, che conosci con il più semplice nome di Cassa Rurale, è una banca che si distingue. Ma per ché? Da che cosa?Innanzitutto è una cooperativa. È fatta da Soci che, come avrai già letto nella precedente storia di Gellindo, hanno tutti i medesimi diritti e doveri; Soci dunque che si assumono i rischi e godono dei vantaggi per costruire un bene comune. La Banca di Credito Cooperativo è perciò un’azienda fatta di persone che lavorano per le perso-ne: il suo investimento è soprattutto sul “capitale umano”. A differenziarla da altre banche sono poi l’aspetto della mutualità – i pre-stiti li fa innanzitutto ai Soci, oppure alle aziende poste nel territorio di sua pertinenza – e quello della solidarietà: la Cassa Rurale promuove cioè l’aiuto reciproco tra i Soci per il benessere della comunità in cui opera. Gli utili, il guadagno che ricava dai diversi

risparmi dei suoi Soci, sono in parte destinati a un “fondo riserva” e in parte vanno ad aiutare iniziative eco-nomiche, sociali, sportive ma anche culturali soprattutto locali. Le nume-rose Casse Rurali, assieme alle pro-prie filiali distribuite in trentino, sono diventate infatti i punti di riferimento per lo sviluppo dei rispettivi Comuni, anche attraverso il supporto all’attivi-tà delle diverse associazioni. Se provi anche tu a fare una piccola ricerca, ti accorgerai che la maglietta della tua squadra di calcio o di palla-volo mostra come sponsor la scritta di una Cassa Rurale; o che il bel libro fotografico che il papà ha portato a casa è stato stampato con il contributo di una Cassa Rurale; oppure che lo spettacolo dei cori di montagna, che tanto ti era piaciuto, era stato realiz-zato con la collaborazione ancora di una Cassa Rurale... La Cassa Rurale, quindi, non ti dà un prestito per ricavarne un qualsiasi guadagno e basta, ma solo se puoi assicurare che i soldi che chiedi an-dranno in parte a creare benessere nella comunità in cui vivi e dove è attiva la stessa Cassa Rurale.

(Soluzione: La cooperazione migliora la vita.)Rebus

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4. Banca e banca di credito cooperativo

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All’originedella Cassa Rurale

Se ti è capitato di andare nella vicina provincia dell’Alto Adige o in Ger-mania con i tuoi genitori, forse avrai notato sugli edifici di alcune banche la parola Raif feisenkasse: corrisponde alla nostra Banca di Credito Coope-rativo, la Cassa Rurale che nei paesi di lingua tedesca prende direttamente il nome dal suo fondatore, Federico Guglielmo Raiffeisen (1818-1888), pastore protestante della Germania occidentale. Egli, per cercare di combattere la grave crisi agricola provocata dai cambiamenti causati dalla rivoluzione industriale verso la metà dell’Ottocento, aiutò i conta-dini a unirsi, a non pensare più con una mentalità individuale per poter sopravvivere. Propose loro, infatti, di mettere insieme i risparmi in casse comuni, per prestarsi poi i soldi reci-procamente e a interessi molto bassi, evitando così l’usura delle banche che li rendeva ancora più miseri. Nascono in tal modo le Casse Rurali i cui gua-dagni, alla fine dell’anno, venivano messi da parte in un’unica riserva,

una Cassa Centrale, con il compito di sostenere le singole banche di credito. I Soci, contadini per lo più poveri, come garanzia per la restituzione di prestiti potevano offrire solo l’onestà della propria persona e la serietà del loro lavoro. Dare fiducia alla persona per quello che è e che fa e non per quello che possiede, è ancora oggi alla base del Cassa Rurale. Con un’unica diffe-renza: inizialmente il Socio suppliva all’eventuale penuria del “fondo di riserva” (il “tesoretto” della banca) con una responsabilità “illimitata”, ovvero con tutti i suoi averi; oggi, invece, mutata notevolmente l’entità degli affari, questa responsabilità è “limitata”.

Re MidaStoria e leggenda raccontano che il re greco Mida, famoso per la sua avidità, chiese un giorno agli dei di poter trasformare in oro qualsiasi cosa toccasse. Ben presto la sua gioia, malgrado lo splendido palazzo dorato in cui viveva, mutò in un pianto tragico nel vedere che anche il cibo e le vivande, non appena sfiorate, divenivano di quel lucente metallo. Il dolore più grande però, sopravvenne quando anche la figlia prediletta, dopo una sua carezza, si trasformò in una statua d’oro!

Federico Guglielmo Raiffeisen

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Il credito cooperativosul territorio

Dalla Germania al Tirolo il percorso è breve e così il modello delle Co-operative di credito entra anche in Trentino: nel 1892 il sacerdote don Lorenzo Guetti fonda a Quadra, nel Bleggio (Valli Giu di carie), la prima Cassa Rurale ispirandosi ai principi promossi da Raiffeisen – anche lui, come hai appena letto, era uomo di chiesa – che vedono l’unione e la conseguente moltiplicazione delle singole forze economiche dei conta-dini, grazie anche al rispetto di valori cristiani e di principi morali. Con l’istituzione di queste Cooperative di credito, all’inizio magari ospitate in una semplice stanza presso l’edifi-cio del Municipio o della Canonica, le categorie degli agricoltori, degli artigiani, e poi dei piccoli impresari iniziano a lavorare a stretto contatto, aiutando il Trentino a riprendersi dalla crisi economica di fine Ottocento.Nel 1895, anche in questo caso per dare più forza alle frazionate piccole banche cooperative, viene istituita una Cassa Centrale, la Federazione delle Casse Rurali e dei Sodalizi Cooperati-vi della parte italiana della Provincia, poi sostituita dal Banco di San Vigilio (1898), dalla Banca Cattolica Italiana (1899), infine dalla Cassa Centrale delle Casse Rurali trentine (1970), un consorzio di secondo grado la cui denominazione oggi riporta l’aggiun-ta di -BCC Nordest s.p.a.- in quanto l’attività si è allargata alle Banche di

Credito Cooperativo del Veneto e del Friuli.Il Credito Cooperativo è dunque una banca fatta dall’unione di tante pic-cole banche locali: ognuna conosce la propria realtà, ma tutte appartengono a un unico sistema, stringono una rete di collaborazioni. E oggi, come puoi immaginare, per tessere e mantenere viva questa maglia di rapporti è ne-cessario il computer; così, a sostegno dello sviluppo informatico del Cre-dito Cooperativo trentino ma anche nazionale, è stato creato il Fondo Comune delle Casse Rurali trentine, che oggi lavora attraverso la Phoenix Informatica Bancaria.

Se scrivi accanto ad ogni parola il suo contrario e leggi solo le lettere iniziali, aiuterai Gellindo a trovare la risposta alla domanda: “Chi fu l’inven-tore tedesco delle Casse rurali?”

POSITIVOINESPERTO

UNIREUTILE

USCIRECOMINCIATO

TRISTESOCIEVOLE

VENIRESILENZIOSO

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4. Banca e banca di credito cooperativo

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Banche di credito cooperativoin Europa e nel mondo

Le Banche di Credito Cooperativo – Casse Rurali in Italia oggi sono più di 450 e sono raggruppate nella Federazione italiana, o Feder casse, che le rappresenta. Ma, come avrai già capito, queste banche esistono anche in altri Stati dell’Europa, con nomi diversi ma con i medesimi principi: i Soci europei sono in totale più di 25 milioni! Allargandoti geografi-camente, puoi trovare che il Credito Cooperativo è presente anche in altri continenti, come negli Stati Uniti, in

Giappone, nell’America Latina (ad esempio in Brasile) e si sta sviluppan-do pure nei Paesi del Terzo Mondo dove, date le condizioni di povertà della popolazione, si ripete un po’ la nostra storia di fine Ottocento.

Vocaboli

ABI: Associazione bancaria Italia-na che controlla e cura gli interessi degli istituti di credito in Italia.Bancarotta: si ha quando una persona o un’azienda vanno in fallimento dopo aver imbrogliato, ad esempio falsificando i conti.Cambio: prezzo, in moneta locale, di una moneta estera.Investimento: risparmio a lunga scadenza affidato a una banca, o allo Stato, che può fruttare anche alti interessi.Segreto bancario: è la riserva-tezza che contraddistingue ogni operazione bancaria eseguita da un cliente.Valuta estera: moneta di un Paese straniero.

(Soluzione: Raiffeisen)

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