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GENERAZIONE DEL FRONTE e altri saggi sociologici sull’Iran DOPO LA RIVOLUZIONE: IL CAMPO RELIGIOSO SCIITA FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE Apparentemente arroccata dietro le sue istituzioni, in realtà animata da fermenti che attraversano tutti gli strati sociali, la società iraniana appare tutt’altro che monolitica dopo che, con gli strumenti dell’analisi sociologica, Guolo ci permette di leggerne la dinamica conflittuale. In questo libro (Generazione del fronte, Renzo Guolo aiuta il lettore ad entrare nei complessi meccanismi religioso-istituzionali dell’Iran. Punto di partenza è ovviamente la rivoluzione del 1979, vero spartiacque non solo della politica iraniana ma anche di quella mediorientale. Un primo dato da tenere in considerazione è che la Rivoluzione khomeinista non rappresenta un caso di rivincita della tradizione, bensì un caso di assoluta innovazione religiosa. Per capirlo bisogna andare alle origini della fede sciita. Come noto i musulmani si dividono in due grandi famiglie: sunniti e sciiti. Questi ultimi sono presenti come minoranze in molti paesi arabi, tranne che in Iran e Iraq dove costituiscono la maggioranza della popolazione. Ciò che distingue i due gruppi è che gli Sciiti riconoscono come legittimi successori di Maometto i suoi discendenti di sangue (Imam). Questa linea di successione si interrompe nell’874, quando il Dodicesimo Imam, un tal Muhamad al Mahdi, scompare misteriosamente. Per gli Sciiti si tratta di una vera e propria catastrofe religiosa, perché, al contrario dei Sunniti, nessuno che non sia della linea di sangue di Maometto è legittimato a guidare la comunità islamica. L’imam per gli Sciiti è infatti l’unico rappresentante di Dio in terra, che esercita la funzione di suprema guida politica e religiosa della comunità. Ricevendo la sua autorità dall’alto, l’imam lega il mondo visibile a quello invisibile. All’indomani della scomparsa del Dodicesimo Imam gli Sciiti hanno iniziato a raccontare che in realtà il Mahdi è solo nascosto: tuttora ne attendono la rivelazione, come una specie di messia islamico che deve manifestarsi nel tempo. Se il Dodicesimo Imam è occultato, ma comunque presente, è evidente che per gli Sciiti qualsiasi altro potere è illegittimo, in quanto usurpa la sola autentica autorità che per diritto divino può governare. L’illegittimità del potere mondano, fosse quello dei califfi sunniti o della monarchia persiana, non induceva comunque il mondo sciita alla rivolta. 1

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Riassunto completo paragrafo per paragrafo saggio Iran. Per esame Sociologia, Sistemi sociali comparati.

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GENERAZIONE DEL FRONTE e altri saggi sociologici sull’Iran

DOPO LA RIVOLUZIONE: IL CAMPO RELIGIOSO SCIITA FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE

Apparentemente arroccata dietro le sue istituzioni, in realtà animata da fermenti che attraversano tutti gli strati sociali, la società iraniana appare tutt’altro che monolitica dopo che, con gli strumenti dell’analisi sociologica, Guolo ci permette di leggerne la dinamica conflittuale.In questo libro (Generazione del fronte, Renzo Guolo aiuta il lettore ad entrare nei complessi meccanismi religioso-istituzionali dell’Iran.

Punto di partenza è ovviamente la rivoluzione del 1979, vero spartiacque non solo della politica iraniana ma anche di quella mediorientale.

Un primo dato da tenere in considerazione è che la Rivoluzione khomeinista non rappresenta un caso di rivincita della tradizione, bensì un caso di assoluta innovazione religiosa.

Per capirlo bisogna andare alle origini della fede sciita.

Come noto i musulmani si dividono in due grandi famiglie: sunniti e sciiti.

Questi ultimi sono presenti come minoranze in molti paesi arabi, tranne che in Iran e Iraq dove costituiscono la maggioranza della popolazione.

Ciò che distingue i due gruppi è che gli Sciiti riconoscono come legittimi successori di Maometto i suoi discendenti di sangue (Imam). Questa linea di successione si interrompe nell’874, quando il Dodicesimo Imam, un tal Muhamad al Mahdi, scompare misteriosamente. Per gli Sciiti si tratta di una vera e propria catastrofe religiosa, perché, al contrario dei Sunniti, nessuno che non sia della linea di sangue di Maometto è legittimato a guidare la comunità islamica. L’imam per gli Sciiti è infatti l’unico rappresentante di Dio in terra, che esercita la funzione di suprema guida politica e religiosa della comunità. Ricevendo la sua autorità dall’alto, l’imam lega il mondo visibile a quello invisibile. All’indomani della scomparsa del Dodicesimo Imam gli Sciiti hanno iniziato a raccontare che in realtà il Mahdi  è solo nascosto: tuttora ne attendono la rivelazione, come una specie di messia islamico che deve manifestarsi nel tempo. Se il Dodicesimo Imam è occultato, ma comunque presente, è evidente che per gli Sciiti qualsiasi altro potere è illegittimo, in quanto usurpa la sola autentica autorità che per diritto divino può governare. L’illegittimità  del potere mondano, fosse quello dei califfi sunniti o della monarchia persiana, non induceva comunque il mondo sciita alla rivolta.

Contrariarmente al mondo sunnita dove non esiste clero in senso stretto ma solo esperti religiosi (ulema o faqih) per gli sciiti esiste un ceto di amministratori e specialisti del sacro. Piramide gerarchica basata sul sapere. A livello più basso i mullah (studi limitati) sopra gli hojjatolleslam (ciclo completo di studi religiosi e sono autorizzati a interpretare la legge islamica). A livello più alto ayattolah (miracolati di D-o). Ai massimi livelli gerarchia ristretta e orizzontale. I fedeli scelgono il loro ayattolah e fanno offerte che li rendono autonomi (x finanziare scuole )

A partire dagli anni 60 il ruolo tradizionale del clero viene messo in discussione (Khomeini e Shariati)

Prima di Khomeini, infatti, la teologia sciita imponeva – in assenza del vero Imam – l’obbedienza al potere costituito.

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Con l’avvento di Khomeini, invece, vince una nuova corrente teologica interna al mondo sciita, che si basa sugli scritti del sociologo e filosofo Alì Shariati.

Che cosa diceva questo filosofo laico? Negli anni ’60 Shariati è un severo critico del clero iraniano, che viene accusato di essere “quietista” rispetto al potere costituito. In particolare Shariati auspica che il clero sciita diventi politicamente attivo, movimentista, occupandosi dei poveri e degli oppressi che vanno riscattati per mezzo della lotta politica. In ciò Shariati usa la metodologia di analisi sociale propria del marxismo: non a caso siamo negli anni ’60 e la sociologia marxista fa sentire i suoi effetti anche all’interno del mondo islamico. Per Shariati l’attesa dell’imam nascosto non implica affatto una accettazione passiva della politica altrui, specie se ingiusta. Shariati ritiene che la shi’a si è trasformata da religione della giustizia a religione del pianto e da religione del rifiuto a religione del lamento.

La critica di Shariati investe un certo tipo di clero, rifiuta il clero per sola appartenza e differenzia il clero al di là delle gerarchie in “tradizionale” e “combattente”.

Quello tradizionale è compromesso con il potere e permette che l’ingiustizia si affermi sul piano mondano. Il secondo invece ha coscienza della propria missione e si batte contro corruzione e dispotismo.

Alla tradizionale pietas sciita la generazione rivoluzionaria sostituisce l’idea della morte in combattimento per l’affermazione della giustizia. Il quietismo alide viene delegittimato.

Tale per esempio veniva considerata la sottomissione allo Scià e alla famiglia reale dei Pahlavi. Khomeini alla fine degli anni ’70 riprende questi temi e dice che il clero sciita deve diventare protagonista dell’instaurazione di uno Stato completamente islamizzato in tutti i suoi aspetti.

E’ questo in particolare il compito del basso clero sciita (mullah), un clero che Khomeini vuole combattente e movimentista in contrapposizione al clero di corte, accusato negli anni ’70 di subalternità e di collaborazionismo con il regime filo-occidentale di Reza Palhavi.

Come già il fondamentalismo di matrice sunnita – tipo quello praticato da Osama Bin Laden – dunque anche il fondamentalismo sciita contesta i religiosi moderati, ritenuti traditori in quanto collusi con la modernità e con i regimi arabi filo-occidentali.

Durante l’assenza del Dodicesimo Imam per Khomeini il potere deve essere assunto da una Guida Suprema o Rahbar. Khomeini si attribuisce questo titolo e in previsione della sua morte designa quale successore l’attuale Guida Suprema, Alì Khamenei. Con questa scelta apre la strada per salire al vertice della gerarchia sciita al clero militante che prima si vedeva sbarrato l’accesso alla massima istituzione religiosa dalla mancanza di sapere teologico riconosciuto.

I mutamenti introdotti dal khomeinismo sono stati analizzati dal sociologo francese Bourdieu secondo il quale la religione è un insieme di beni simbolici che riguardano la sfera del sacro e quello socio-religioso un conflitto che ha per oggetto la definizione di simboli, di sistemi di significato che coinvolge attori confliggenti su posizioni diverse nella sfera del potere –sapere. Nel caso iraniano la parte di clero combattente ha scardinato la legittimità degli attori socio-religiosi tradizionali imponendo attraverso lo stretto rapporto con la politica, un nuovo potere di definizione, produzione e riproduzione di quei beni.Si attua un cesura rispetto alla tradizione che produce il conflitto tra una tradizione consolidata e l’emergere di una figura straordinaria come quella del leader carismatico incarnata dallo stesso Khomeini. Viene spazzato il principio sciita secondo cui al vertice c’è una gerarchia orizzontale fondata sulla conoscenza.

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Dal punto di vista sociologico quest’innovazione incide sulla credenza e genera una differenziazione che fa emergere una nuova identità quella del clero rivoluzionario o combattente.Innovazione religiosa che incide sulla dinamica sociale e politica e genera un mutamento (può essere letto con la teorie di conflitto di matrice weberiana.Affrontando sociologicamente la questione innovazione/conservazione il pendolo oscilla su uno dei due poli a seconda della posizione che i diversi attori occupano in un determinato momento storico.Una volta trionfato il clero rivoluzionario non agisce più come elemento di innovazione ma guarda alla religione in una prospettiva di conservazione e di controllo sistemico con un ottica di tipo funzionalista. A conferma che la religione non rinuncia a presentarsi come principio ordinatore della società.

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CORPO SOCIALE, CORPO FEMMINILE

Islam e CorpiLe società dei paesi islamici sono caratterizzate da una diseguaglianza di genere basata sull’interpretazione dei testi: Corano e Sunna. Secondo la tradizione la donna è uguale nella fede e diseguale nell’ordine mondano. Non si può modificare la parola rivelata e quindi si giustifica la superiorità maschile sulla donna. Superiorità codificata dalla shari’a comporta asimettrici diritti per eredità, matrimonio, ripudio, testimonianza e anche una prevalenza del ruolo maschile nelle sfera pubblica.Le donne sono uguali agli uomini davanti a D-o ma non sono uguali all’uomo nell’ordine mondano.Diseguaglianza giuridica: Poligamia; divieto di sposare uomini di altra fede; divieto di ripudio, prerogativa dei maschi; diversa possibilità di accedere al divorzio; affidamento dei figli che restano con il padre in caso di divorzio; discriminazione nell’asse ereditario che assegna alle donne metà della quota dell’uomo; diverso peso nella testimonianza in tribunale; legittimazione dell’autorità maschile sulle donne inferiorità delle donne nel campo dei diritti. Si aggiunge una visione della donna garante della purezza e nello stesso tempo simbolo del desiderio e di un potenziale disordine sessuale che va regolato per evitare effetti negativi nella società.Visione ambivalente della sessualità nell’Islam: il fine è la procreazione ma la dimensione erotica è parte integrante (pratiche anticoncezionali tollerate).La separazione tra i sessi mira a prevenire la sessualità fuori dal matrimonio che romperebbe l’equilibrio fondato sulla dialettica puro/impuro ritenuta condizione indispensabile per garantire la coesione sociale.I rapporti extraconiugali sono severamente proibiti e considerata una rottura che riguarda la comunità più che la coppia.L’islam stabilisce uno stretto legame fra coesione sociale e controllo del corpo femminile la legislazione dei paesi islamici regola rigidamente la sfera privata e le relazioni interpersonali. (situazioni diverse da paese a paese per matrimonio, ripudio, poligamia, età matrimoniale adozione della shari’a )

La condizione femminile tra modernizzazione autoritaria e religione

Nell’Iran dello shah Reza Pahlavi fautore della modernizzazione del paese che enfatizza identità persiana anziché musulmana introduce riforme che mutano molto il ruolo delle donne nella società. Rivoluzione bianca avviata negli sessanta: concessione dell’elettorato attivo e passivo; legge sulla protezione della famiglia che limita divorzio unilaterale maschile; innalzamento da 15 a 18 anni dell’età matrimoniale; legalizzazione dell’aborto (alcune delle misure adottate). Il clero si oppone a questa emancipazione guidato da Khomeini con una forte mobilitazione ma innesca nelle classi medie urbane processi di emancipazione femminile (accesso agli studi prima interdetti, ingresso nel mercato del lavoro, nuovi diritti nella famiglia).Stupisce quindi la grande partecipazione delle donne alle manifestazioni di protesta che provocheranno al caduta del regime. Un fatto sociale si spiega con un altro fatto sociale perché le riforme hanno avvantaggiato prevalentemente le donne istruite delle classi medie urbane incidendo in misura minore di quante vivono in ambiente rurale. Inoltre il monopolio del discorso femminile è assunto dallo stato e impedisce un movimento autonomo delle donne per cui è debole l’uguaglianza di genere. Ciò che spinge quindi le donne è il rifiuto di un regime dispotico e la richiesta di maggiore libertà, rifiutano la modernizzazione senza democrazia e richiedono una maggiore partecipazione della società al processo di formazione delle decisioni politiche.Le religiose giudicano le riforme dello shah un attacco ai principi tradizionali come l’obbligata scelta tra il velo e l’accesso a determinate professioni o università.

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Nella protesta trovano spazio anche donne dei ceti popolari urbani divise tra il richiamo del clero e l’attrazione per gli stili di vita che osservano. Sono donne portatrici di una religiosità pragmatica e tollerante prodotto dalla continua mediazione tra principi e compromessi della vita quotidiana, come il lavoro esterno biasimato dai chierici ma necessità vitale per avere altri redditi.La modernizzazione degli stili di vita non attecchisce nelle campagne (metà della popolazione vive ancora in ambiente rurale) . Le donne urbane sia quelle delle classi medie che i ceti popolari, sia istruite che non, sia a capo scoperto che velate partecipano insieme alla mobilitazione rivoluzionaria.

Fatima e le altreShariati (il sociologo) ha contribuito anche in questo senso secondo il quale la divisione tra opressi e oppressori passa anche attraverso la famiglia e il rapporto tra i sessi.Shariati analizza i tipi femminili presenti nella società iraniana. La donna dell’ambiente patriarcale tradizionale è considerata pura “merce sessuale” chiusa in casa nell’attesa di essere “liberata” dal nuovo padrone-marito di cui diventerà merce senza salario.La liberazione femminile secondo Shariati non avviene attraverso l’imitazione dei modelli occidentali ma si tratta di ricostruire un’identità propria, di ricostruire l’essenza delle proprie radici. E’ necessario cercare dei modelli nella storia autentica delle shi’a. Fatima, la figlia del profeta è celebrata come donna che partecipa attivamente alla vita politica ed esercita molti ruoli familiari e sociali, è una donna del suo tempo in grado di discutere di diritto e di giustizia. Non è la figlia del profeta è una combattente dell’Islam.Secondo Shariati le donne devono diventare attive protagoniste di un movimento capace di ridiscutere il ruolo femminile nell’islam senza rifiutare l’islam.L’influenza di Shariati è evidente nella massiccia partecipazione delle donne velate alle manifestazioni contro lo shah tra il 1978 e il 1979.

Tra sfera privata e sfera politicaKhomeini rivedrà la sua posizione sulle donne consapevole del ruolo che esercitano nel movimento rivoluzionario. Affermerà che sono uguali agli uomini e che è loro dovere partecipare alla affari politici, che non devono rinunciare al lavoro e che sono libere di viaggiare. I suoi sostenitori mettono però l’accento sull’incompatibilità tra partecipazione delle donne alla vita pubblica e principi islamici. Fattori causati dalla maggiore urbanizzazione (crisi alloggi e coabitazione forzata di nuclei familiari con orientamenti e valori diversi) da qui la richiesta maschile, appoggiata da islamisti e chierici tradizionalisti, di ripristinare l’onore comunitario e familiare e di ricondurre le donne al focolare domestico.L’8 marzo 1979 un mese dopo il trionfo della rivoluzione, un corteo di centomila donne laiche che protestano contro l’islamizzazione forzata della società viene disperso dalle forze khomeiniste, una prova di forza che allontana le donne moderniste dal nuovo regime.Khomeini medierà tra quanti chiedono l’esclusione nel privato delle donne e quanti reclamano il rispetto della libertà femminile, propone quindi un modello di donna musulmana diverso da quelli esistenti che non prevede contraddizione tra la posizione della donna nell’islam e la sua partecipazione alla sfera pubblica. Nel marzo 1979 davanti a donne della scuola religiosa di Qom, egli ribadirà che le donne hanno uguali diritti nello studio, nel lavoro ma che devono essere velate.

Velate e mal velate

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L’islamizzazione forzata della società inizia con una campagna di epurazione delle donne laiche considerate “equivoche”. Quelle che non sopporteranno emigreranno in occidente e le altre dovranno velarsi.Il velo ristabilisce simbolicamente la separazione tra i sessi, traccia il limite del lecito: una donna non velata può essere vista solo da uomini appartenenti alla famiglia o da bambini e anziani.Secondo le indicazioni di Khomeini dovranno portare il velo le donne in età fertile. Per le islamiste il velo è un obbligo religioso per la costruzione di una società fondata sulla purezza ed esprime il rifiuto dell’occidente.Per le donne dei ceti popolari di origine rurale o di recente urbanizzazione il velo indossato sin dalla pubertà assume la funzione di un “passaporto”, prima della rivoluzione uscivano raramente di casa ora escono spesso il nuovo regime consente loro un’insolita libertà di movimento.La politicizzazione delle relazioni sociali legittima le relazioni con i non intimi concedendo l’accesso a spazi, quelli della sfera pubblica, al quale non avevamo mai avuto accesso.Per le donne laiche e moderniste l’imposizione del velo segna invece l’espulsione dallo spazio pubblico, si copriranno di malavoglia cercando di sabotare il significato religioso. Vengono definite mal velate lasciando intravedere i capelli o indossando hejab di colori proibiti e diventano oggetto di una dura repressione.Per gli islamisti la provocazione delle mal velate si trasforma in fitna, seduzione e diventano un capro espiatorio per placare la tensione che si è creata tra l’avanguardia rivoluzionaria islamista e la grande massa dei maschi tradizionalisti.Le donne vengono aggredite e frustrate dal miliziani, Khomeini dichiara illecito ciò ma prende misure repressive nei confronti delle donne mal velate che possono essere arrestate .L’abito islamico viene quindi codificato (quale tipo di velo, colore etc) si impone un uniforme che prevede l’uso del maqna’eh un ampio foulard che lascia scoperto solo il volto e copre spalle e seno.Il chador nero copre l’intero corpo lasciando visibile solo il volto non è obbligatorio ma viene incoraggiato.Nonostante l’obbligo del velo il nuovo ordine islamista sulla donna genera un conflitto nell’universo maschile. Se la donna senza velo minacciava l’onore familiare e comunitario, quella velata ma liberata dalla tutela familiare in nome dell’adesione all’etica dello Stato totale, minaccia il primato maschile nello spazio pubblico.La guerra con l’Iraq all’inizio degli anni 80 segna un periodo in cui sarà difficile per le donne mantenere e rivendicare diritti mentre procde un percorso di “ritradizionalizzazione” del ruolo femminile. L’immagine della donna è quella di madre e sposa, la Fatima di Shariati sembra svanire.

Norme e corpoLa repubblica islamica istituzionalizza la sottomissione femminile in diversi ambiti. Sebbene la Costituzione riconosca l’uguaglianza di genere nei diritti li condiziona al rispetto dei principi religiosi.Varo di una legislazione che riafferma la supremazia maschile nella sfera pubblica e privata. Viene abolita la legge sulla protezione della famiglia compresa la poligamia. Limitazione del diritto di divorzio per le donne ripristino del divorzio unilaterale. Età minima del matrimonio ridotta prima a 13 e poi a 9 anni. Interdizione della donna a uscire di casa e a viaggiare senza l’autorizzazione del marito. La donna non ha l’obbligo del lavoro domestico ma deve essere sottomessa sessualmente.Se non si sottomette incorre nelle sanzioni previste dalla giurisprudenza islamica rifiuto di passarle il denaro sino al divorzio. Non sono ammesse le percosse ma sono assai diffuse. La testimonianza della donna pesa la metà di quella dell’uomo. Nella successione ereditaria alla donna spetta la metà della quota dell’uomo. L’istruzione superiore è interdetta in molte facoltà universitarie come economia, diritto,

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ingegneria, medicina ad eccezione di ginecologia e ostetricia. Obbliga quindi le donne a avere professioni legate alla cura degli altri.Le donne non possono dirigere preghire (impurità) .Divisione tra sessi in tutti i luoghi pubblici bus, cinema e anche nello sport. Ammesse solo dove possono essere coperte (scacchi, equitazione, sci, tiro) Conseguenza devastanti per le più giovani (abbassamento dell’età matrimoniale e conseguente abbandono scolastico).Anche le vacanze simbolo di agio e privilegio si trasformano in sofferenza (mare velato fanno il bagno avvolte in veli che vivono come sudari).Segregazione che genera una diffusa infelicità senza desideri e aumenta casi di depressione lievitano suicidi femminili.

Un movimento femministaLe fratture interne fra le donne e la guerra con l’Iraq obbligano le donne al silenzio.L’unica voce nel decennio rivoluzionario 1979 – 1989 è quella minoritaria islamista radicale.Si tratta di donne interessate più alla militanza nelle organizzazioni rivoluzionarie anziché a forme di “sorellanza” con altre donne di diverso orientamento politico e culturale.Con la fine della guerra e la morte di Khomeini si apre il decennio della ricostruzione 1989-1997 caratterizzato dall’emergere di un movimento per i movimenti delle donne che il regime fatica a comprimere . Le donne hanno perso gran parte dei diritti civili ma non politici, nei parlamenti eletti dal 1980 al 1988 sono presenti solo quattro donne militanti islamiste che condividono l’ideologia di regime ma ritengono percorribile una via femminile ai diritti islamici diventano quindi portavoce di una diffusa richiesta di cambiamento.Questo movimento è considerato di sistema e consente un’agibilità politica altrimenti preclusa, può rivendicare pubblicamente il suo dissenso trasformandosi nell’unico canale di opposizione politica legittimata. E’ difficile ignorarle poiché significherebbe negare il contributo che le donne hanno dato prima della rivoluzione e poi durante la guerra. A causa della guerra e di esigenze economiche il regime non ha ostacolato il lavoro femminile.Il movimento delle donne è diviso il tre correnti.La prima quelle delle islamiste tradizionalista è formata da donne della borghesia dei bazar o da famiglie clericalei che ritengono la shari’a la principale fonte della legge. La famiglia è il principale luogo sociale e d’azione femminile ma la considerano compatibile con un ruolo attivo della donna in campo sociale, culturale e politico.La seconda quella delle islamiste moderniste (di radice urbana e un alto livello di istruzione) invoca una lettura più aperta della shari’a fondata su una diversa interpretazione coranica. Lotta per riformare le leggi che hanno istituzionalizzato la sottomissione femminile nella sfera pubblica e privata.La terza è quella delle moderniste laiche anche esse urbane e istruite spesso con un ottima professione formatesi durante il periodo dello shah rivendicano il principio della laicità dello stato intesa come separazione tra politica e religione ma non rifiutano la religione. Sono decisamente contrarie alla shari’a come fonte di legislazione e aderiscono alla Carta dei diritti dell’uomo e alle convenzioni internazionali firmate dallo stato iraniano, Le due correnti islamiste condividono l’idea che le donne debbano portare il velo ma si differenziano sull’interpretazione del modello femminile dei testi. Per le islamiste tradizionaliste la personalità islamica si fonda sul rispetto integrale della shari’a, pongono l’accento sulla diversità dell’uomo e della donna e vanno rispettate senza supremazia di un sesso sull’altro.Per le islamiste moderniste va messa in discussione la posizione della donna come emerge dalla shari’a rigettano la lettura dei testi sacri fatta dal clero sciita sulla questione femminile e invocano un interpretazione fondata sulla storicizzazione dei

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testi. Fanno appello allo spirito egualitario originario del Corano che non legittima alcuna forma di discriminazione nemmeno sessuale. Nella loro visione la ribadita posizione dell’ala religiosa del regime sulla “complementarietà” tra maschile e femminile non significa differenza di diritti ma affermazione di uguaglianza tra i sessi. Ritengono che l’uguaglianza di genere passi anche attraverso una rivoluzione nei rapporti tra uomo-donna, si battono per il diritto allo studio, per l’eguaglianza salariale. Sono da sconfiggere sia l’occidentalizzazione che il tradizionalismo acritico.Si crea alleanza tra chierici critici all’interno di una rivista femminile l’hojjatolleslam Moshen Saidzan collaborerà con pseudonimo femminile e affermerà che la condizione femminile nel mondo islamico non discende dalla rivelazione ma da convenzioni sociali. La shari’a si è cristallizzata nel tempo a vantaggio della tradizione patriarcale a causa di una lettura volutamente parziale dei mojtadeh. Per questi suoi interventi sarà condannato e obbilgato a abbandonare l’abito clericale.

Codice di famiglia: matrimonio provvisorio, poligamia e divorzioIl codice civile permette all’uomo di contrarre matrimonio temporaneo , una forma di prostituzione sacra nata per rispondere alle esigenze sessuali dei maschi lontani da casa per motivi religiosi, militari o economici. Pratica tendente alla poliadria prima legittimata e poi vietata dal profeta. I sunniti hanno osservato il divieto gli sciiti no.Questa forma di matrimonio sigheh può avere la durata di pochi minuti o di 99 anni e può essere stipulato numerose volte.A favorire il matrimonio temporaneo è tutto il clero, il fine è duplice: evitare l’adulterio e consentire al maschio la soddisfazione sessuale, permettere ai giovani di avere rapporti sessuali leciti senza incorrere nell’accusa di fornicazione.Non ci sono obblighi per gli uomini. Contrariamente all’uomo la donna può contrarre un solo matrimonio provvisorio. Questa pratica non avuto grande diffusione durante la repubblica islamica. Di fatto è praticata più che altro da uomini sposati (una sorta di poligamia senza accollarsi gli oneri economici della poligamia). Le donne che la praticano appartengono a classi e ceti inferiori molte sono vedove o divorziate di modesta classe sociale.Dopo la fine del conflitto con l’Iraq molte donne vedove o orfane di guerra con problemi economici si offrivano per la sigheh. In tempi recenti viene invece vissuta come forma di autonomia per poter vivere da single. Le islamiste moderniste ritengono accettabile solo per motivata esigenza reciproca di conoscenza del partner. Divergenza tra femminista islamica e clero che diventa ancora più marcato a proposito della poligamia pratica che era in vigore anche ai tempi dello shah ma era regolamentata da leggi sulla protezione della famiglia. La repubblica islamica incoraggia la poligamia che permette secondo loro di far fronte a problemi di sterilità e consente soddisfazione all’uomo durante i periodi di impurità di una delle mogli. Il rilancio di questa pratica da parte del regime crea malcontento femminile. In una comunità che aspira alla giustizia come quella sciita questa pratica è ritenuta un fattore di diseguaglianza dalle femministe con il velo e la battaglia esplode quando il regime invita gli uomini a sposare le numerose vedove e orfani dei caduti con l’Iraq. Per risolvere il problema di sussistenza delle vedove le femministe islamiche ritengono che sia lo Stato a doversene fare carico.Contestato anche come è concepito il divorzio che penalizza fortemente le donne. L’applicazione della shari’a rilegittima il divorzio unilaterale maschile, le donne possono chiederlo solo con il consenso del marito.Divorzio khol: la rottura è reclamata dalla donna per motivi di avversione nei confronti del marito e prevede un indennizzo senza limiti lo rende possibile quindi solo a donne molto agiate.Divorzio mobarat: prevede un avversione reciproca e il valore di indennizzo non deve superare quello della dote.Le donne in grado di riscattarsi riescono ad ottenere anche la custodia dei figli. La patria potestà restai al padre.

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L’antidoto al divorzio unilaterale è la richiesta della restituzione della dote.Anche se a volte pur di mettere fine a sofferenze le donne rinunciano alla restituzione della dote e versano ingenti somme di denaro.Nel 1992 le moderniste islamiche riescono a far approvare emendamenti alla legge del divorzio diventa più difficile per l’uomo ricorrere al divorzio unilaterale senza l’intervento del tribunale, viene introdotto salario in natura, un compenso per il lavoro domestico svolto durante il matrimonio, si lascia più spazio alla donna per la custodia dei figli, rivalutazione della dote. Il numero dei divorzi resta stabile e tra il 1976 e il 1996 oscilla tra il 7 e 11%.Le donne sono più protette rispetto al passato, le femministe islamiche e laiche sono riuscite ad ottenere che alcune leggi sulla protezione familiare vigenti sotto lo shah vengono ripristinate.

Religiose e laiche: una solidarietà di genereDopo la scomparsa di Khomeini si crea un clima di relativo pluralismo culturale, nascono giornali e riviste femminili. Nel giugno 1997 sotto la supervisione del Consiglio della Rivoluzione culturale nasce il Consiglio Culturale delle Donne che ottiene la modifica di alcune norme del codice civile riguardanti lo statuto della donna e la legge sul divorzio tutte norme compatibili con i dettami religiosi.Le femministe con il velo sfruttano l’ambiguità della Repubblica Islamica che da un lato valorizza le donne come donne e madri e dall’altro le esalta come spose e madri e dall’altro le esalta come attrici nella scena pubblica. Comune azione delle due ali del femminismo che inizia con collaborazioni sulla carta stampata.Assegnazione del premio Nobel nel 2003 a Sharin Ebadi un tempo giudice e poi paladina dei diritti civili dei prigionieri politici sarà di grande aiuto alla loro causa.La solidarietà di genere si manifesta anche nell’interesse per temi come la depressione femminile (molti suicidi) che ha tra le cause il dominio della tradizione maschile che implica la segregazione e la reclusione sessuale, l’abbandono degli studi in età giovanissima e l’abbassamento dell’età matrimoniale. Cause che portano a fuga di casa e incremento della prostituzione e elevata diffusione dell’Aids.Puerocentrismo: concessioni ai figli per senso di colpa.

La cura di séSaldatura tra le donne di diverso orientamento attraverso lo sport non agonistico, migliaia di donne si allenano nei parchi nelle zone libere. Presenza delle donne nello stadio per la prima e unica volta nel 1979. Vengono ammessi nuovi modelli di velo ispirati al folklore regionale reintroduzione del colore.

Azione collettiva e mutamento politicoDurante il periodo del pluralismo coincidente con l’era Khatami (1997 – 2005) è decisamente più favorevole al movimento delle donne.Due donne faranno parte del governo. Dal giugno 2002 l’età minima matrimoniale passa a 13 anni per le ragazze e 15 anni per i ragazzi e viene approvata una nuova legge sul divorzio che prevede la possibilità per le madri di mantenere la custodia dei figli maschi fino a 7 anni contro i 2 della legger precedente. Dal 2001 ogni donna di 18 anni può andare all’estero a meno che non sia sposata nel qual caso deve ottenere il consenso del marito.

La repressioneContro Khatami nel 2001 i conservatori religiosi avviano una campagna contro la rilassatezza nei costumi. La lotta contro il Male avviene attraverso una repressione e reintroduce anche le esecuzioni pubbliche. La polizia religiosa perseguita le mal velate.

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Talebanizzazione del sistema nuove restrizioni nell’abbigliamento , perseguitati i negozi di abiti femminili. Nel 2005 con l’elezione di Ahmadinejad viene meno l’appoggio al movimento per i diritti delle donne. Ulteriore stretta nei confronti delle mal velate accusate anche di istigazione alla prostituzione.Anche se Ahmadinejad cerca di ricondurre il movimento del femminismo islamista modernista anche se non la linea adottata.

Nuove e vecchie militantiNonostante la repressione il movimento per i diritti delle donne non si lascerà ridurre al silenzio. Campagna un milione di firme per chiedere la parità giuridica e l’abolizione delle norme discriminatorie e l’eguaglianza di diritti per matrimonio, divorzio, eredità e custodia dei figli. Iniziativa nata dopo la repressione con molte ferite e arresti durante una manifestazione femminista a Teheran nel giugno 2006. Nuove modalità di organizzazione in cui si cerca di coinvolgere, informare donne di diversa estrazione sociale e anche nelle aree rurali. Raccolta firme porta a porta, carovane itineranti anche nei villaggi più lontani dalla capitale. Anche internet usato per diffondere l’iniziativa in varie lingue guioca un ruolo importante per adesioni e simpatizzanti. Le rivendicazioni del movimento sono presentate con principi non contrastanti con l’islam. Tutte le leader del movimento subiscono una dura repressione.Reazione che conferma che il movimento svolger oggettivamente e soggettivamente un ruolo di attore del pluralismo politico e religioso.

La rivoluzione silenziosaLo stato islamico ha funzionato paradossalmente come macchina di secolarizzazione anche in relazione alla condizione femminile. Il numero medio dei figli è passato da 7 nel 1976 a 6,4 nel 1986 e a 2,8 nel 1996 e a 2 nel 2006 una diminuzione di oltre il 70% in trentanni. Dati a seguito di aumento dell’istruzione, aumento età matrimoniale mobilitazione delle donne durante la guerra che le ha coinvolte in ruoli pubblici.Sorpasso delle donne laureate nel 2002 che conferma come le donne iraniane abbiano rotto con l’idea religiosa e patriarcale che il loro ruolo sia esclusivamente in famiglia.Spinta alla mobilità sociale ascendente e all’ingresso nel mercato del lavoro favorita anche dalle stesse famiglie per necessità economiche. Alla rivoluzione islamica corrisponde una rivoluzione personale che ha profondamente trasformato la loro vita e la società, nonostante l’influenza dello Stato e della religione.

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GENERAZIONE DEL FRONTE

La scena politica è caratterizzata dalla presenza di una generazione nata tra la metà degli anni 50 e metà anni 70 che ha vissuto la rivoluzione islamica e la guerra con l’Iraq , la morte di Khomeini e la fine fine della fase rivoluzionaria negli anni tra il 1979 e il 1989.

Le organizzazioni della mobilitazione rivoluzionaria: Pasdaran e BasijGenerazione matura le convinzioni ideologiche negli anni della rivoluzione (dalla caduta dello shah alla guerra con l’Iraq che inizia con l’invasione irachena del 1980 e termina nel 1988). Guerra che inizialmente sembrava perduta per gli iraniani a causa di esercito e armi deboli ma il carisma di Khomeini riesce a far leva sul sentimento nazionale e mobilita il paese. Centinaia di migliaia di volontari inquadrati nelle milizie dei Pasdaran e Basij affluiscono al fronte.Pasdaran sono giovani militanti islamisti anagraficamente maggiorenni, provengono dalle file dei komiteh organismi rivoluzionari nati in ogni sfera della vita politica sociale. Protagonisti a fianco della polizia dell’epurazione che investe strutture politiche e amministrative del vecchio regime. Nascono nella primavera del 1979 voluti da Khomeini e seguaci per contrastare una possibile restaurazione del regime dello shah. Difendono la rivoluzione e affermano la giustizia sociale invocata dalle parole d’ordine dell’islam rosso. Venerano Khomeini.

I Basij Protettori dei diseredati → nasce Organizzazione della Mobilitazione dei Diseredati ne fanno parte giovanissimi e adulti provenienti dagli strati più popolari della società e ha il compito di mettere i giovani al servizio della rivoluzione. Affluiscono anche adolescenti e diventano adulti per politica e non per età anagrafica. La leggimmità tà religiosa di khomeini spezza la classica distinzione tra sfera pubblica e privata cara all’islam.L’ideologia della rivoluzione enfatizza la purezza dei giovani non corrotti perché non sono stati esposti all’influenza filoccidentale dello shah. Retorica che rovescia un altro dei cardini della cultura musulmana che privilegia il ruolo dei più anziani. La gioventù iraniana non più subordinata alla struttura familiare patriarcale diviene un attore sociale a pieno titolo emancipato dalla politica. Anche i Basij sono inizialmente utilizzati per repressione interna contro gli oppositori ma per molti la vera esperienza di formazione sarà la guerra e pagheranno un altissimo tributo di sangue 375.000 morti su 500.000 iraniani.

Esperienza bellica e identitàPersonalità offensiva ispirata da motivazioni politiche e religiose, l’esperienza della guerra sarà per questi giovani una transizione assimilabile a una sorta di rito di passaggio. Cameratismo della guerra che svolge una funzione di coesione sociale. La società dei combattenti tende a sfociare nel caldo della comunità. L’antitesi tra mondo esterno percepito come estraneo e quello interno avvertito come solidale struttura profondamente la relazione tra combattente e Frontgemeinschaft (comunità del fronte) che appare un luogo sociale autonomo in contrasto con il mondo domestico che dalla prima linea appare privo di significato. L’appartenenza alla comunità del fronte, alimentata da condivisione di condizioni di vita assume i tratti di un progetto morale antitetico all’immoralità della vita quotidiana che si svolge lontana dal conflitto.Il tipo di guerra (poco moderna) tra Iran e Iraq incide sull’esperienza, è una guerra di trincea con continui rovesciamenti. Assalti all’arma bianca, per anni i due eserciti si logorano sul campo (guerra che ricorda la prima guerra mondiale più che la seconda)

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Trai ranghi dei volontari si distinguono per numero e tipo di azione i giovani basij, assenza di paura della morte, devozione totale a Khomeini e la militanza offre loro un’identità forte in contrapposizione a quella debole acquisita passivamente in una società i cui legami sociali tradizionali sono stati spazzati da una modernizzazione che non consente ai mustazafin di accedere ai suoi sportelli. La marginalità sociale di questi giovani viene surrogata dall’intensa adesione alla rivoluzione dello stato islamico. Militare nell’Organizzazione per questi giovani significa rovesciare gerarchie sociali consolidate. Atmosfera egalitaria e poco formale si sentono fratelli. Arruolando in massa questi giovani lo stato raggiunge un duplice obiettivo:

1. ingenti forze da mandare al fronte 2. accresce la sua legittimazione politica.

I basij rapresentano la famiglia elettiva e khomeini il nuovo padre.I basij acquisiscono un prestigio sociale inimmaginabile al di fuori del contesto bellico. Audacia e sprezzo x la morte dimostrata al fronte che li fa assurgre a elite morale.Rifiutano anche le licenze perché dediti completamente alla casua, provano un senso di estraneità e di rifiuto della vita quotidiana, le giovani milizie dei basij vivono la comunità del fronte un esaltante comunione, dove le gerarchi si rovesciano e non ci sono separazioni tra ufficiali e soldati al contrario delle unità regolari.Al grido di Allah Akbar moriranno migliaia di giovani incuranti della morte si scagliano contro le linee nemiche con indosso la fascia rossa sulla fronte in cui sono incisi i versi del corano che legittimano il martirio sulla “via di D-o”. Al collo portano simbolicamente le chiavi che permetteranno di aprire le porte del paradiso. Si avvolgono in una coperta per evitare lo smembramento del loro corpo quando si lanciano sui campi minati, per poter essere seppelliti.Fanno testamento da martiri manifestando il loro amore per Allah per la sua famiglia per Khomeini, martirio come atto di purezza.

Sacrificio di sé, sacro e rivoluzione

Emergono tre tipi di personalità tra i giovani basij:1) Martiropatici: profondamente attratti dall’idea della morte in combattimento

attraverso la quale danno un senso alla propria esistenza. Raggiungere D-o attraverso la morte è l’obiettivo a cui aspirare. Si offrono per lanciarsi sui campi minati o si lancia imbottito di esplosivo tra i carri armati nemici. Status di martire che li colloca idealmente a fianco dell’Imam Husayn. Il regime li indica come esempi da imitare.

2) Ludici:li spinge l’attrazione verso il sacro e il rifiuto dell’ordinarietà del quotidiano. Si realizzano nella vita e non nella morte che è messa in conto ma non cercata e può giungere per desiderio di estasi e sconvolgimento. Da qui una creatività militare che rasenta l’indisciplina, romanticismo, gusto per il gesto eroico, corse in moto all’assalto della linea nemica. Irrinunciabile l’assunzione del rischio perchè ha a che fare con dimensione del sacro con la trasgressione, eroismo combattente. Il regime enfatizza questo individualismo eroico strumentalmente ma nello stesso tempo guarda con sospetto a quell’autosufficienza individualistica.

3) Opportunisti: li spinge oltre alle comuni motivazioni con gli altri due la possibilità di avere benefici di status economici e sociali. Chi fa parte di organizzazioni accede facilmente ai posti nel settore pubblico così come maggiore quote per ingresso all’università per sé o per i familiari. Clientelismo rivoluzionario, i reduci godono di uno status che soprattutto in campagna conferisce un potere di intercessione presso le organizzazioni legate alle milizie che aumenta il loro prestigio personale.

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I basij hanno uno stipendio in guerra equivalente a un funzionario di medio livello. I feriti sopravvissuti godono di privilegi come l’acquisto di merci in cooperative dei martiri a prezzi fissati e per queste ragioni i genitori più poveri .spingono i figli ad arruolarsi.

Duplice tramonto: la fine della guerra e la morte di KhomeiniLa guerra termina senza vinti ne vincitori nell’agosto del 1988, la pressione della comunità internazionale Stati Uniti fermati per primi che vedono nella precarietà dei due regimi (Iraq e Iran) una forma di contenimento ritenuti una minaccia per Israele.Conseguenze politiche economiche e militari rilevanti per Iran. Popolazione stremata e si prospetta il problema del mantenimento delle famiglie dei caduti. Infalzione molto alta. L’amarezza della generazione al fronte aumenta con la morte di Khomeini nel giugno 1989. Al vertice salgono Khamenei e Rafsanjani che diventano rispettivamente Guida e Presidente. Clima cambiato nuova parola d’ordine: ricostruzione e non più rivoluzione.Nel dopoguerra Rafsanjani coglie l’occasione per mettere ai margini i radicali.Fenomeni di diffusa corruzione.Il paese deve affrontare fenomeni come l’aumento considerevole dalla popolazione, rapida urbanizzazione da cui conseguente crisi di alloggi che provocano alti tassi di disoccupazione. Emerge un malcontento che la fase rivoluzionaria e al guerra avevano compresso in nome dell’unità nazionale.Avvio di una nuova fase politica e economica.Le nuove parole d’ordine sono crescita economica e prosperità, apertura internazionale e stabilità, efficienza dello Stato. Rafsanjani cercherà anche di smantellare e assorbire quelle strutture parallele allo Stato che sfuggono al controllo dello stato e che erano nate sotto la spinta rivoluzionaria (tribunali speciali, fondazioni diventate soggetti di politica economica e di erogazione di servizi).Il presidente vuole un apparato che valorizzi gli specialisti e non i quadri politicamente impegnati entrati nelle strutture amministrative per meriti di guerra grazie alla militanza nei pasdaran e basij.Si incrementa però il potere corruttivo di quanti intendono procacciarsi le commesse pubbliche e crea malcontento. La percezione è che si favorisca chi è prossimo alle cerchie di potere che restano comunque precluse ai più deboli.Inflazione che sale e aumento dei prezzi provocano proteste popolari a Teheran, Mashad etc e sono guidate da i reduci di guerra che avevamo miltitato nei pasdaran e basij. Proteste che vengono represse ma che non si possono ignorare e provocano un arresto alle riforme.Rafsanjani deve garantire ai conservatori religiosi che la sua politica non causerà cambiamenti che mettano in discussione i valori islamici della rivoluzione.La modernizzazione implica maggiori libertà individuali e investe nell’istruzione, aumentano di dieci volte gli studenti universitari rispetto all’inizio della rivoluzione e questo contribuisce a fare riacquistare alle classi medie quella posizione centrale nella scena politica e sociale che occupavano ai tempi dello shah.Crea delusione fra i reduci.

La delusione dei reduciPer i martiropatici la fine della guerra è anche la fine della possibilità di realizzarsi nella morte per la casua.I ludici vedono ripristinarsi le gerarchie sociali più tradizionali.Gli opportunisti riusciranno a soddisfare le loro aspettative di mobilità sociale.

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Gran parte della generazione della guerra è messa ai margini, i veterani saranno abbandonati al loro destino.Radicolarizzeranno il loro astio per la rivoluzione tradita. Anche se il regime coltiva il mito dei martiri con monumenti e cimiteri dedicati a loro essi ritengono che questi simboli e rituali sono privi del pathos che meriterebbero.Sotto la spinta di nuovi protagonisti, donne, intellettuali, studenti i temi della politica si spostano su società civile, popolo, libertà, diritti delle donne.Rimuovono non solo il mito di Khomeini ma anche la visione tragica ed eroica della vita e della morte della generazione del fronte.Nel 1999 ventiquattro generali pasdaran scrivono una lettera al presidente Khatami in cui minacciano un golpe se il governo non prenderà le distanze dagli studenti universitari che protestano e manifestano contro il regime.I veterani non si reinseriranno facilmente nella vita quotidiana. Nella dimensione domestica i valori della comunità del fronte sembrano fuori luogo, le differenze sociali che erano annullate in trincea, riemergono.Senso di essere vittime di un’ingiustizia e la marginalizzazione è vissuta come un declassamento da eroi a individui superflui. Associazioni di veterani che perpetuano la memoria come condizione essenziale dell’identità.

Ricostruire la comunità del fronte: la nuova alleanza tra partito dei militari e diseredatiGli anni che vanno dalla fine di presidenza di Rafsanjani (1989-1997) al duplice mandato del riformista Khatami (1997 – 2005) vedono la generazione del fronte davanti a mutamenti sociali e politici che investono il paese. Alcuni più inclini al compromesso con la realtà circostante. Altri ritengono che i loro valori debbano essere affermati nel tempo. Questi reduci si uniscono a movimenti come il partito dei militari che evoca la vita avventurosa e i valori del fronte. Raggruppa esponenti dei Pasdaran e Basij è un gruppo informale ma rilevante.Appoggia importanti fondazioni religiose bonjad che controllano imprese che producono buona parte del prodotto lordo del paese. Militari e miliziani, reduci e diseredati sono l’asse del nuovo blocco politico e sociale radicale e nel 2003 si è mobilitato riuscendo a far eleggere sindaco di Teheran Ahmadinejad.La generazione del fronte appoggia Ahmadinejad perché lo percepisce come espressione della propria cultura e diventerà a sorpresa nel 2005 presidente della repubblica.(storia personale leggi nel libro pag. 123)La generazione del fronte è attratta dai suoi discorsi che apprezzano la cultura basij e avversano la politica di Rafsanjani.Come ogni vero islamista radicale mantiene una certa autonomia dal clero anche da quello rivoluzionario, egli ritiene che sia il partito e non il clero a dover comandare sulla rivoluzione. E’ la comunità del fronte il suo punto di riferimento.Si presenta come un bonificatore che intende ripulire la stagnante palude che ha sommerso l’originale spirito della rivoluzione. Simboleggiato anche con abbigliamento che portavano i giovani volontari che partivano al fronte (shaf –fazzoletto e stivaletti)Non è allineato con il clero khomeinista. Afferma che è suo compito preparare l’arrivo del Dodicesimo Imam con il quale fa capire di essere in contatto.Con la sua enfasi messianica mette in discussione le legittimazione del clero khomeinista.

Antichi nemici: il ritorno dell’Opressione

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La generazione del fronte è caratterizzata da una forte avversione nei confronti dell’America e dei suoi alleati come Israele (Oppressione).Ahmadinejad rilancia con durezza la polemica nei confronti di Israele del quale auspica la cancellazione dalle carte geografiche del M.O.Egli legherà la sua campagna contro il sionismo alla necessità del mondo islamico di combattere insieme Grande e Piccolo Satana ovvero Stati Uniti e Israele.Liberare la Palestina “dall’arroganza” è una guerra decisiva “all’Oppressione” perché Israele rappresenta il bastone usato dall’occidente per espandere la sua influenza nel mondo della Mezzaluna.Metterà in dubbio anche l’Olocausto sposando le teorie negazioniste.Vuole riproporre l’Iran come avanguardia del mondo musulmano e diventare una potenza che mira a definire un nuovo assetto nel M.O. di cui fa parte anche il progetto nucleare.Egli ritiene che i crescenti consumi energetici interni debbano essere sostenuti dal nucleare e non dall’export del petrolio e gas.Questo gli serve anche come politica interna per investimenti finanziati con l’export del petrolio.

Un’altra generazione si opponeTra i più critici verso il partito militare e la generazione del fronte vi è la generazione dei nati negli anni 80 cresciuti a Nike e Internet che non ha memoria della rivoluzione e della guerra con l’iraq. Protagonista delle rivolte studentesche del 1999 e del 2003. Rivolte entrambe represse da hezbollah e basij. Nel 2003 i basij ebbero atteggiamento molto duro nei confronti degli studenti.Rivolta appoggiata dagli Stati Uniti e rappresentano una rottura aperta con la rivoluzione.Nel 2006 riemerge uno scontro tra generazioni con una contestazione pubblica nei confronti di Ahmadinejad al Politecnico di Teheran. Viene contestato da un gruppo di studenti che bruciano le sue foto e gridano a morte il dittatore. Messaggio chiaro che fa capire che le università sono da tempo represse dove gli studenti e i docenti contrari al regime vengono espulsi.Tensione a cui Ahmadinejad reagisce affermando di essere disposto a farsi bruciare piuttosto che rinunciare alla vera giustizia e alla lotta alla corruzione.Egli subisce continue un colpo nella tornata elettorale del 2006 perde il controllo di alcuni seggi. Nel 2005 alle elezioni daranno un responso sgradito ai radicali. Il progetto di khomeinismo senza clero subisce una pesante battuta d’arresto. Leader degli esperti diventa Rafsanjani .In questo indebolimento giocano un ruolo anche i pasdaran vicini alla Guida che giudicano Ahmadinejad incapace di perseguire i veri interessi della Repubblica Islamica e delusi dalle modalità dilettantesche con cui ha interpretato la sua linea politica.La generazione del fronte non sembra riuscire a diventare egemone nonostante sia forte del riferimento al progetto politico come il khomeinismo senza clero.Non riesce a farsi accettare dalle altre fazioni del regime come quella dei conservatori religiosi o come le donne, gli intellettuali, i ceti modernizzanti. La società degli anni 80 è cambiata i giovani (oltre due terzi della popolazione) sembrano più inclini alla libertà individuale e ai consumi più che alla ricerca del sacro rivoluzionario. I giovani preferiscono uniformarsi agli stili di vita dei loro coetanei occidentali attraverso l’acquisizione di beni materiali piuttosto che conformarsi all’ascetismo dei monaci-guerrieri che combattevano nelle trincee.Il consumo a lungo represso da forma a un nuovo processo e accentua la crisi di legittimazione di un potere incapace di legare le nuove generazioni ai valori

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istituzionalizzati in precedenza. Valori dove la capacità di orientare l’agire sociale è sempre più debole.

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