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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’O S S E RVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Anno CLIII n. 61 (46.305) Città del Vaticano giovedì 14 marzo 2013 . Annuntio vobis gaudium magnum HABEMUS PAPAM Georgium Marium Bergoglio qui sibi nomen imposuit Franciscum Fregio di Isabella Ducrot per L’Osservatore Romano Le prime parole del successore di Pietro, il primo degli apostoli, sono state una risposta, necessaria per ac- cettare l’elezione in conclave come Romano Pontefice. In quel momen- to si è conclusa la sede vacante, pe- riodo che nel cuore del medioevo viene descritto da Pier Damiani ad- dirittura come momento di terrore: tempo comunque opportuno (kairòs, nel greco neotestamentario) durante il quale da sempre la Chiesa ha il coraggio di rimettersi ogni volta in gioco. Ora, con l’aiuto anche della preghiera nascosta di Benedetto XVI. Ecco dunque spiegato l’annuncio della “grande gioia” (gaudium ma- gnum), in uso almeno dalla fine del Quattrocento e che ripete quello dell’angelo ai pastori intorno a Be- tlemme, illuminando con parole ra- dicate nella speranza evangelica il susseguirsi storico delle successioni papali. Nei più antichi testi cristiani la vicenda di Pietro si apre sul pri- mo incontro con Gesù all’inizio del vangelo di Giovanni, mentre è la conclusione dello stesso vangelo ad accennare alla testimonianza estrema del primo degli apostoli. Il pescatore di Betsaida non dice nulla a Gesù che sembra riconoscer- lo («tu sei Simone, il figlio di Gio- vanni; ti chiamerai Cefa, che vuol dire Pietro»), ma gli risponde per ben tre volte nell’ultimo toccante dialogo, riequilibrando così il tripli- ce rinnegamento: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo». Nella risposta di Pietro è racchiu- so il destino dei suoi successori, uo- mini scelti da uomini, ma sorretti dalla misericordia descritta proprio dall’apostolo nel cosiddetto concilio di Gerusalemme: «Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati». E la risposta di Pietro è la stessa che oggi, accettando l’elezio- ne, ha ripetuto il nuovo Papa. g.m.v. Edizione straordinaria di mercoledì 13 marzo 2013 - ore 20.30 La risposta di Pietro y(7HA3J1*QSSKOK( +%!"!@!#![

Georgium Marium Bergoglio - vatican.va · dell’Osservatore Romano, grazie a una committenza finora riservata unicamente ad artisti di sesso maschile. Giacomo Manzù, per esempio,

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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00

L’O S S E RVATOR E ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSONon praevalebunt

Anno CLIII n. 61 (46.305) Città del Vaticano giovedì 14 marzo 2013.

Annuntio vobis gaudium magnum

HABEMUS PAPAM

Georgium Marium Bergoglioqui sibi nomen imposuit

Fr a n c i s c u m

Fregio di Isabella Ducrot per L’Osservatore Romano

Le prime parole del successore diPietro, il primo degli apostoli, sonostate una risposta, necessaria per ac-cettare l’elezione in conclave comeRomano Pontefice. In quel momen-to si è conclusa la sede vacante, pe-riodo che nel cuore del medioevoviene descritto da Pier Damiani ad-dirittura come momento di terrore:tempo comunque opportuno (kairòs,nel greco neotestamentario) duranteil quale da sempre la Chiesa ha ilcoraggio di rimettersi ogni volta ingioco. Ora, con l’aiuto anche dellapreghiera nascosta di Benedetto XVI.

Ecco dunque spiegato l’annunciodella “grande gioia” (gaudium ma-gnum), in uso almeno dalla fine delQuattrocento e che ripete quellodell’angelo ai pastori intorno a Be-tlemme, illuminando con parole ra-dicate nella speranza evangelica ilsusseguirsi storico delle successionipapali. Nei più antichi testi cristianila vicenda di Pietro si apre sul pri-mo incontro con Gesù all’inizio delvangelo di Giovanni, mentre è laconclusione dello stesso vangelo adaccennare alla testimonianza estremadel primo degli apostoli.

Il pescatore di Betsaida non dicenulla a Gesù che sembra riconoscer-lo («tu sei Simone, il figlio di Gio-vanni; ti chiamerai Cefa, che vuoldire Pietro»), ma gli risponde perben tre volte nell’ultimo toccantedialogo, riequilibrando così il tripli-ce rinnegamento: «Signore, tu saitutto; tu sai che ti amo».

Nella risposta di Pietro è racchiu-so il destino dei suoi successori, uo-mini scelti da uomini, ma sorrettidalla misericordia descritta propriodall’apostolo nel cosiddetto conciliodi Gerusalemme: «Noi crediamo cheper la grazia del Signore Gesù siamosalvati». E la risposta di Pietro è lastessa che oggi, accettando l’elezio-ne, ha ripetuto il nuovo Papa.

g. m .v.

Edizione straordinaria di mercoledì 13 marzo 2013 - ore 20.30

La rispostadi Pietro

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L’OSSERVATORE ROMANOpagina 2 giovedì 14 marzo 2013

L’OSSERVATORE ROMANOGIORNALE QUOTIDIANO

Unicuique suum

POLITICO RELIGIOSONon praevalebunt

00120 Città del Vaticano

o r n e t @ o s s ro m .v ah t t p : / / w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a

GI O VA N N I MARIA VIANdirettore responsabile

Carlo Di Ciccov i c e d i re t t o re

Piero Di Domenicantoniocap oredattore

Gaetano Vallinisegretario di redazione

TIPO GRAFIA VAT I C A N AEDITRICE L’OS S E R VAT O R E ROMANO

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Banca CarigeSocietà Cattolica di Assicurazione

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«Mi ami?». Gesùglielo chiede utiliz-zando il verbo aga-pào, che significaamare senza riserve, conuna donazione comple-ta, acerrima, talvolta so-vraumana. E Pietro glirisponde affermativa-mente, ma con il verbofilèo, che esprime l’a m o retenero e devoto, fragile edentusiasta, proprio degliuomini deboli.

Gesù interpella tre volte Pietro, co-me tre erano state le volte che il suo ami-

Ciò che è giàsplendidodi ISABELLA DUCROT

Nel giorno dell’elezione del nuovo Pontefice«L’Osservatore Romano» escecon il gioioso annunzio alla gentedi tutta la terra: habemus papam.In pochi minuti la notizia sisparge per il mondo e questaedizione del quotidiano dellaSanta Sede dall’attualità entraanch’essa a far parte della storia.Ho ricevuto la propostadi decorare questa edizione,straordinaria per la convergenzadegli avvenimenti che si sonosucceduti recentemente,e nella quale il nome del nuovoeletto viene reso pubblico.Per la prima volta a una donnaè stato offerto di entrare con lapropria immaginazionenel territorio cartaceodell’Osservatore Romano, graziea una committenza finorariservata unicamente ad artisti disesso maschile. Giacomo Manzù,per esempio, decorò la paginache annunziava l’avvento di PapaGiovanni Paolo I. Ma non solo:già dal maggio dell’anno scorsosi è verificato un inedito,se non addirittura rivoluzionario,avvenimento nell’ambitogiornalistico vaticano. È infattisenza precedenti che si sia volutoarricchire il quotidianodella Santa Sedecon la pubblicazione mensiledi un inserto al femminile al qualecollaborano giornaliste, storiche,teologhe, scrittrici e, come nel miocaso, artiste. La richiestaè di per sé già interessantein quanto rovescia o per lo menoscardina ciò che si richiededi solito a un artista: il suooperato non è destinato a esserel’oggetto centrale ma il contornodi un fatto, in questo casoil festoso annuncio del nuovoPontefice. Si tratta di festeggiare,dunque, ma senza pretenderedi imitare le meraviglioseantiporte di antiche edizioni le cuiallegorie alludevano a quanto eracontenuto nei testi. La cornice haqui semplicemente la funzionedi ciò che le è più proprio:far risplendere sommessamenteciò che è già splendido.

Damaso e il primato della Chiesa di Roma

Una Petri sedes

Pietro e il papato secondo Chesterton

L’abbraccio di Cristodi JUA N MANUEL DE PRADA

Scriveva Chesterton che Cristo«non scelse come pietra fonda-mentale il mistico Giovanni, mauna persona inaffidabile, fuori po-sto, priva di coraggio, in sintesi,

un uomo. Su quella pietra costruì la suaChiesa; e le porte degli inferi non hannoprevalso contro di essa. Tutti gli imperi e iregni sono finiti a causa della loro debolezzaintrinseca e costante, pur essendo stati fon-dati su uomini forti e su spalle forti. Solo laChiesa cristiana storica fu fondata su un uo-mo debole, e proprio per questo è indistrut-tibile».

Gli appellativi che Chesterton utilizza inriferimento a Pietro, il primo vicario di Cri-sto in terra, possono apparirci irriverenti opoco concilianti, soprattutto se li paragonia-mo all’appellativo elogiativo che dedica aGiovanni. Ma in realtà persino il «misticoGiovanni» aveva i suoi peccatucci: sappiamoche era iracondo (come dimostra il suo so-prannome «figlio del tuono») e anche unp o’ vanitoso, come dimostra il fatto chechiedesse senza vergogna — utilizzando, co-me se non bastasse, sua madre quale inter-mediaria! — di sedersi accanto a Cristo incielo. Ma Chesterton calca i toni nel descri-vere Pietro per far sì che ci soffermiamo suuna realtà che agli occhi di un incredulo o,in generale, di qualcuno che aspira a capirela Chiesa con categorie meramente umane,risulta in realtà scandalosa, ossia che laChiesa è stata fondata su uomini deboli; o,detto più esattamente, che la Chiesa è statafondata tenendo conto della debolezza degliuomini. In ciò si differenzia da tutte le isti-tuzioni umane che ci sono state nel mondo,

fondate senza tener conto di questa debolez-za; e che, non tenendone conto, sono ineso-rabilmente condannate all’estinzione.

Cristo volle che la sua Chiesa fosse fonda-ta sulla debolezza della natura umana; e vol-le che a presiederla fosse un uomo deboleproprio come uno qualunque di noi. L’esp e-rienza storica ci dimostra che per alcuni Pa-pi è possibile utilizzare gli appellativi che-stertoniani, ma ci dimostra soprattutto chemolti di quegli uomini deboli posti da Cri-sto a capo della Chiesa sono stati, al contra-rio, uomini santi, esempio di virtù e faro diluce per i fedeli, ai quali hanno trasmesso lafede che hanno ricevuto. E lo sono stati nonperché uomini senza macchia, liberi dal pec-cato originale, ma perché la grazia divina haagito sul fango con cui erano fatti; perchéhanno dato tutto ciò che avevano, come uo-mini fragili quali erano, e Cristo ha premiatoquella dedizione incondizionata, adornando-la con i segni della santità.

C’è un passo bellissimo nel Vangelo diGiovanni, commentato da Benedetto XVI,nel quale Gesù risorto appare a Pietro, sullerive del lago di Tiberiade. Possiamo imma-ginare questo episodio come l’incontro tradue amici consapevoli della ferita che si èaperta nel loro rapporto, dopo le negazionidi Pietro la notte della passione, ma dispostia stagnarla sinceramente, disposti a riceveree a dare il perdono, affinché quella ferita —causata dalla debolezza di Pietro — si tra-sformi, una volta risanata, in fermento diun’amicizia ancora più grande. Pietro sa che,quando il suo amico aveva più bisogno dilui, lo ha tradito per viltà o per mero affan-no di sopravvivenza, rinnegandolo ben trevolte dopo che gli aveva promesso fedeltàincondizionata. E Gesù, da parte sua, sa chequel tradimento è stato conseguenza delladebolezza del suo amico, conseguenza in de-finitiva della stessa natura umana, ferita dalpeccato originale; e sa anche che il suo ami-co è mortificato e abbattuto per la propriamancanza di coraggio e desidera che questadebolezza non si ripeta mai.

Allora Gesù, pronto a dimenticare le man-canze passate, gli domanda a bruciapelo:

co lo aveva rinnegato in precedenza, manella terza utilizza il verbo filèo. È un mo-mento di grande forza emotiva, perché Ge-sù si rende conto di non poter esigere dalsuo amico qualcosa che non è parte dellafragile natura umana; e, dimenticandosi del-le esigenze sovraumane, si abbassa, si adatta,si conforma, abbraccia la debolezza di Pie-tro, perché capisce che nel suo amore uma-no, che inciampa e cade, e tuttavia torna adalzarsi disposto a proseguire senza vacillare,c’è un impeto superiore persino a quello diun amore insuperbito che si crede vaccinatocontro ogni difficoltà. E accetta questo amo-re filiale che gli offre Pietro, sapendo che la

braccia il suo gesto con l’azione di una gra-zia specialissima.

Questo abbraccio amoroso sul quale pog-gia il ministero petrino risulta, in realtà,scandaloso. Alla nostra epoca piacerebbe

fragile natura. E questa carnalità della fedetrova la propria espressione più sovversiva escandalosa nella successione apostolica enell’istituzione del papato, che è la conse-guenza più estrema del mistero dell’incarna-zione e la confutazione più sconcertante del-lo “spiritualismo”.

Noi cattolici riconosciamo in un uomo de-bole il vicario di Cristo in terra; riconoscia-mo in un uomo fragile proprio come unoqualunque di noi, peccatore proprio comeuno qualunque di noi, ma pieno di amore fi-liale, la realtà attraverso la quale l’amore diDio si riversa, in modo gratuito e paterno,su ognuno di noi. Questa è la nostra fede: lafede che tiene conto della nostra debolezza,la fede che agisce, mediante la grazia, utiliz-zando come mediazione la nostra natura de-bole. È questo abbraccio amoroso a rendereindistruttibile la Chiesa, e ciò spiega perchéle porte degli inferi non hanno prevalso con-tro di essa.

di CARLO CARLETTI

Il 27 febbraio dell’anno 380, nelcorso dell’episcopato di Damaso(366–384), la sede romana vedeformalmente riconosciuto da partedell’autorità imperiale il suo ruolopreminente di depositaria e garantedell’unica fede ortodossa, quellanicena. È il celebre editto promul-gato da Teodosio a Tessalonica, nel

di Alessandria»; quelli che profes-sano tale fede — aggiunge la costi-tuzione imperiale — devono defi-nirsi Christiani catholici, tutti gli al-tri sono eretici e come tali dovran-no temere non soltanto il castigodivino ma anche quello imperiale(Codex Theodosianus, 16.1.2).

Un evento epocale che acceleròl’azione di Damaso — e n e rg i c a m e n -te sostenuto da Ambrogio presule

li del 381, nel quale si deliberavauna preminenza di onore — dop oRoma — della Chiesa di Costanti-nopoli e del suo titolare, perché lanuova capitale fondata da Costan-tino sul Bosforo era ormai la “nuo-va Roma” (Veruntamen Costantino-politanus episcopus habeat honorisprimatum praeter Romanum episco-pum, propterea quod urbs ipsa sit iu-nior Roma).

In seguito a questa delibera, Da-maso — tra la primavera e l’estatedel 382 — convocò a Roma un’altraassemblea conciliare, alla qualeparteciparono i maggiori metropo-liti di Occidente — tra cui Ambro-gio — ma nessuno dei vescovi diOriente, che opposero un netto ri-fiuto, formalizzato nell’Epistola Co-stantinopolitani concilii ad papamDamasum (Teodoreto, Historia ec-clesiastica 2, 27).

L’esito fondamentale di questaassise conciliare è nella determinatae inappellabile risposta al canoneterzo del concilio costantinopolita-no, manifestamente ostile alla sededi Roma. Per la prima volta inun’assise conciliare — come tra-mandato nel terzo capitolo del co-siddetto Decretum Gelasianum — ilfondamento teologico del primatodel vescovo di Roma come legitti-mo e diretto successore di Pietroviene formalmente giustificato conl’interpretazione in senso giurisdi-zionale e disciplinare del passo diMa t t e o , 16, 17 (tu es Petrus et superhanc petram aedificabo ecclesiammeam), e non più soltanto — comepreteso da Costantinopoli — conun primato di dignità e onore.

In questa direzione il concilioromano del 382 si esprimeva in ter-mini che non ammettevano discus-sione: «La santa chiesa di Romanon è stata elevata al di sopra ditutte le altre chiese da alcuna costi-tuzione sinodale, ma è dalla voceevangelica del Signore Nostro Sal-vatore che ha ottenuto il primato:tu sei — disse — Pietro» (sancta ta-men Romana ecclesia nullis synodicisconstitutis ceteris ecclesiis praelata estsed evangelica voce Domini et salva-toris nostri primatum obtinuit: tu es,

inquit, Petrus). Damaso — osservavaCharles Pietri — «alla crescita diuna capitale politica (Costantino-poli) oppone tenacemente l’autori-tà della tradizione apostolica».

Negli anni precedenti il triennioepocale 380–382, Damaso a Romaaveva già iniziato a tessere una retedi consenso e di diffusione delconcetto del primato romano, ser-vendosi dello strumento di comu-nicazione scritta a lui più conge-niale: l’iscrizione monumentale diapparato. E infatti, con accorta

stra un’ulteriore espansione forma-le nell’epitaffio in versi dedicatoproprio al successore di Damaso,Siricio (384–399), come eloquentef i g u ra della sedes apostolica. La me-moria scritta del defunto ponteficesi apre con l’esposizione del suoc u rs u s ecclesiastico e nel contempocon l’esplicita affermazione dellalegittimità della successione apo-stolica, che attraverso i predecesso-ri immediati — Liberio e Damaso —giunge alla fonte, a Pietro. «Subitoseguì Liberio come lettore e come

In un uomo fragile come noima pieno di amore filialericonosciamo la realtà attraverso la qualel’amore di Dio si riversain modo gratuito e paterno su ognuno di noi

grazia divina lo perfezionerà, trasformandoloin amore pieno, in donazione completa.

Questo passaggio mi sembra fondamenta-le per capire appieno il ministero di Pietro,l’uomo scelto come pietra della Chiesa con-segna a Cristo la sua intera umanità, con lesue debolezze e i suoi difetti; e Cristo ab-

storia si è compiuto attraverso la presenza diun corpo tangibile e vulnerabile come quellodi qualsiasi altro uomo; la presenza di Cristotra i suoi seguaci si perpetua mediante i sa-cramenti, che esigono la vicinanza e persinoil contatto; il dono supremo della grazia ri-chiede, per agire, la mediazione della nostra

che la fede cattolica fosse un pu-ro “spiritualismo” di uomini sen-za macchia, un’ideologia di su-peruomini che possa essere refu-tata o combattuta medianteun’altra ideologia o corpus dot-trinale opposto, elaborato a suavolta da superuomini. Ma la fe-de cattolica è esattamente il con-trario: l’intervento di Dio nella

quale l’imperatore, prescrivendoper tutti i popoli (cunctos populos)sottoposti alla sua autorità la pro-fessione della fede cattolica, indicacome referente assoluto la fede che«il divino apostolo Pietro ha tra-smesso ai Romani e che seguono ilpontefice Damaso e Pietro vescovo

di Milano — verso il consolidamen-to, soprattutto giurisdizionale, delprimato della Chiesa di Roma. Inquesto percorso si era nel frattem-po inserito un imprevisto e preoc-cupante ostacolo certo non favore-vole alla causa romana: il terzo ca-none del concilio di Costantinopo-

strategia, proprio sul colle Vaticanoin prossimità della basilica dedicataall’Apostolo, fece esporre — nelbattistero da lui voluto — una iscri-zione in esametri, nei cui versi fi-nali (gli unici pervenutici) elabora,come sua sintesi teologica, l’inscin-dibile convergenza di due unicità:l’iniziazione battesimale e il prima-to petrino della sede romana. Leforme espressive e i sottesi conte-nuti di questa composizione — diceDamaso con malcelato sussiego ti-pico della sua personalità — sonosostenuti e quasi solo a lui suggeri-ti dallo stesso Pietro. Ed è quantosolennemente dichiarato da quantoresta dell’epigramma: «In virtùdella garanzia di Pietro cui è stataaffidata la porta del cielo, io Da-maso vescovo di Cristo (scil. que-sto) ho composto. Una sola è lasede di Pietro e uno solo il verobattesimo» (sed praestante Petro cuitradita ianua caeli est, antistes Chri-sti conposuit Damasus una Petri se-des, unum verum(que) lavacrum inEpigrammata damasiana, rec. etadn. A. Ferrua, Città del Vaticano1942, n. 4).

Il concetto che interconnetteval’unicità del battesimo e della pri-mazia della chiesa di Roma regi-

Christianae Urbis Romae, IX,24832). L’autore di questa compo-sizione rielabora il concetto dama-siano lavacrum/sedes Petri, ricavan-done l’immagine di fons sacer, chequi senza dubbio assume funzionedi titulus speciale della sede roma-na. Ma questa assimilazione, ger-mogliata nella elaborazione teolo-gico-simbolica nel corso dei ponti-ficati di Damaso e Siricio, non tro-vò seguito alcuno nella successivaepigrafia pontificale di Roma. Etuttavia una sua eco, nel corso del-la seconda metà del IV secolo, siandò affermando nella produzionefigurativa.

Sulla base dell’assimilazionesimbolica Mosè-Pietro, nella pittu-ra cimiteriale, nei sarcofagi e, nona caso, in oggetti di larga circola-zione come i vetri dorati, si forma-lizzò una nuova iconografia, che —ispirata da un’antica leggenda —presentava Pietro nell’atto di farsgorgare miracolosamente l’acquadalla rupe, alla quale si accostanoper abbeverarsi, e dunque conver-tirsi, i due soldati Processo e Mar-tiniano, carcerieri dell’Apostolo du-rante la detenzione nel carcere Ma-mertino.

Damaso fece esporre una iscrizionenella quale definiscel’inscindibile convergenzatra l’iniziazione battesimalee il primato della sede romana

diacono. Dopo Damaso,famoso per tutti gli anniin cui visse, meritò di se-dere nella sacra fonte co-me pontefice»: Liberiumlector mox et levita secutuspost Damasum clarus totosquos vixit in annos, fontesacro magnus meruit sederes a c e rd o s (Inscriptiones

«Pietro percuote la rupe» (IV secolo, Musei Vaticani)

Il particolare della testa dell’apostolo nella «Crocifissione di Pietro»dipinta da Michelangelo nella Cappella Paolina (1545-1550)

L’OSSERVATORE ROMANOgiovedì 14 marzo 2013 pagina 3

Secondo la tradizione artistica

Pietro in Vaticano

di TIMOTHY VERD ON

A ogni uomo eletto a succedere alpescatore Cefa, e che insieme alnuovo nome assume ancheun’identità ampliata, l’arte offreun aiuto, suggerendo come i cri-

stiani hanno immaginato la persona e la vitadel Principe degli apostoli.

Già nel luogo dell’elezione, la CappellaSistina, un affresco illustra l’origine del po-tere pontificio e ne spiega il segno, mostran-do Cristo nell’atto di consegnare le chiavidel regno celeste a san Pietro. Anche se, inquesta maggiore delle cappelle palatine deiPapi, è evidente che l’immagine reca unmessaggio istituzionale, è altrettanto chiaroche l’artista, Pietro Vannucci detto Perugino,ha voluto dire di più, ricordando al commit-tente, Sisto I V, il senso umano e, anzi, inter-personale dell’evento raffigurato.

L’affresco illustra lo scambio tra Gesù ePietro riportato nel vangelo di Matteo, incui l’identità profonda dell’uno e dell’a l t rofu rivelata. Nello specifico traduce in imma-gine le parole del Salvatore all’apostolo, «ate darò le chiavi del regno» (Ma t t e o , 16, 19a),ma ricorda anche l’episodio precedente in-trodotto dalla domanda che Gesù fece aisuoi discepoli: «La gente chi dice che sia ilFiglio dell’uomo?» (Ma t t e o , 16, 13). Questirisposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altriElia, altri Geremia o qualcuno dei profeti»,e Gesù chiese allora: «Voi chi dite che iosia?» (16, 14-15). Gli rispose infine Pietro af-fermando: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Diovivente», cioè il messia atteso dal popoloebraico, e Cristo a sua volta diede un nomenuovo al discepolo, spiegandone il sensocon un gioco di parole significativo: «Tu seiPietro e su questa pietra edificherò la miachiesa e le porte degli inferi non prevarran-no contro di essa» (16, 16-18). Seguono leparole: «A te darò le chiavi del regno deicieli», a cui Cristo aggiunge: «Tutto ciòche legherai sulla terra sarà legato neicieli, e tutto ciò che scioglierai sullaterra sarà sciolto nei cieli» (16, 19).

Vale a dire che la potestas cla-vium, il “potere delle chiavi”,del perdono cioè, scaturisceda un rapporto unico di re-ciproca conoscenza — «tusei il Cristo», «tu seiPietro» — in cui lanuova identità del di-

da me perché sono un peccatore». È questoinfatti il momento dell’episodio immaginatoda Raffaello: il rude pescatore con le manigiunte in ginocchio davanti al Salvatore nelprimo scambio di un rapporto privilegiato eintimo. Nell’arazzo anche Andrea esprimestupore, ma rimane in piedi; Pietro invececade in ginocchio.

Raffaello non dimentica che, prima di or-dinare a Pietro di riprendere a pescare,

Gesù aveva insegnato alle folle dalla bar-ca: la posa che l’artista dà al Salvatore

è quella di chi insegna, questa infattiè la posa della statua bronzea me-

dievale dello stesso san Pietro.Qui l’idea è che Pietro, che per

volontà di Cristo diventeràmagister della Chiesa, impa-

ra direttamente dal Reden-tore come insegnare alle

folle.Il secondo arazzo di

erano state le volte in cui Pietro aveva rinne-gato Cristo durante la Passione, rinnegamen-ti per cui l’apostolo aveva pianto «amara-mente» (Luca, 22, 62), ma che Cristo perdo-na, invitando il discepolo infedele a superarecon l’amore i fallimenti causati dalla paura.Il conferimento del potere segue cioè il pen-timento per il peccato e diventa segno asso-luto del perdono, e questo nel caso di Pie-tro, a cui erano state affidate le chiavi delperdono. Così l’autorità petrina viene pre-sentata come il potere dato a un peccatoreperdonato di perdonare altri peccatori. Lachiave fondamentale è l’amore, che apre ilcuore alla sequela.

La domanda rivolta a Pietro, se egli amiveramente Cristo, e il successivo invito a se-guire il Salvatore implicano un’analoga di-sponibilità a morire, come Gesù rammentaall’apostolo aggiungendo al comando di pa-scere le pecore un annuncio del martirio diPietro: «In verità io ti dico: quando eri piùgiovane ti vestivi da solo e andavi dove vole-vi; ma quando sarai vecchio tenderai le tuemani, e un altro ti vestirà e ti porterà dovetu non vuoi». L’ardore con cui Pietro guar-da verso Cristo, nell’arazzo, è perciò quellodel futuro martire, che, una volta perdonato,potrà dirgli con piena sincerità: «Darò lamia vita per te!».

Proprio il martirio dell’apostolo è il sog-getto di un’altra immagine messa davanti aPapi nel palazzo del Vaticano, non nella Si-stina ma, a pochi metri di distanza, su unadelle pareti della Cappella Paolina, la C ro c i -fissione di Pietro dipinta da MichelangeloBuonarroti per Paolo III Farnese intorno al1540. Questa scena di martirio non è sola: difronte a essa il Buonarroti raffigurò la Con-versione di Paolo in scala uguale; si tratta diun programma, cioè, altamente originale dalmomento che l’arte cristiana non giustappo-neva normalmente questi soggetti, preferen-do abbinare in modo più simmetrico il mar-tirio di san Pietro con quello di san Paolo.La innovativa asimmetria introdotta da Mi-chelangelo nel programma della Paolina ser-virà poi da modello a Caravaggio che,all’inizio del Seicento, abbinerà la C ro c i f i s s i o -ne di Pietro con la Conversione di Paolo nellecelebri tele da lui dipinte in Santa Maria delPop olo.

Le ragioni dell’innovazione iconograficanella Paolina sono facilmente intuibili. Que-sta cappella voluta da Papa Farnese avevaun carattere personale e addirittura confes-sionale, e la decisione di abbinare alla C ro c i -fissione di Pietro il momento intimo e affasci-nante della Conversione di Paolo doveva spet-tare al committente, che del resto aveva scel-to il nome Paolo. Il fatto poi che Michelan-gelo raffiguri un san Paolo vecchio, mentrestoricamente la conversione dell’ap ostolodelle genti era avvenuta in relativa gioventù,conforta l’ipotesi che nella figura fulminatada Cristo abbiamo un ritratto ideale dellostesso Paolo III, allora settantenne. In effetti,nonostante i vizi di nepotismo e ambizionefamiliare, Papa Farnese era un “fulminato daCristo” e già nel 1513 — cardinale ma non an-cora sacerdote — s’era convertito dalla vitamondana per vivere integralmente i doveridella condizione clericale.

Nel nuovo schema iconografico della Pao-lina non è sbagliato vedere un riflesso dellospirito di riforma personale ed ecclesiale cheallora si diffondeva in Vaticano.

Anche nell’insolita raffigurazione miche-langiolesca di san Pietro crocifisso intuiamoun riflesso della difficile riforma che nelquinto decennio del XVI secolo prendeva ilvia. Michelangelo non si accontenta di repli-care l’invertita icona cruciforme che la tradi-zione esigeva, ma nel suo Pietro esplora ildramma di un uomo che, mentre si offre almartirio, reagisce, si contorce e — visto inscorcio — si sforza di alzare la testa comeper protestare, con uno sguardo quasi di

rabbia. Dipinto poco prima dell’apertura delconcilio di Trento, questo straordinario Pie-tro di Michelangelo verrà riutilizzato da Ca-ravaggio quasi sessant’anni più tardi comefigura di protesta cattolica contro le ingiurierecate al Principe degli apostoli dai nemicidella Chiesa.

Una seconda fase di sviluppo iconograficopetrino scattò dopo la rinuncia di CelestinoV e l’ascesa al soglio pontificio di BonifacioVIII. Tra le opere di questo periodo vi è lastatua bronzea raffigurante San Pietro in tro-no, un capolavoro di Arnolfo di Cambio tra-sferito nella nuova basilica dov’è addossatoal grande pilastro della navata centrale sulversante settentrionale.

Arnolfo, conoscitore della scultura anticae classicista avant la lettre, dà al Principe de-

Il programma iconografico immaginatodal cardinale Stefaneschi era imponente, conla pala d’altare concepita come l’immagineculminante. La tavola centrale della pala ri-propone il Cristo in trono dell’allora sovra-stante mosaico absidale, un’opera del primoDuecento, ma Giotto colloca al piede deltrono del Salvatore il committente. Nelle ta-vole a destra e a sinistra sono raffigurati i ri-spettivi martirii dei santi Pietro e Paolo, enella predella vi è Maria, figura della MadreChiesa, fiancheggiata da angeli e dagli apo-stoli, con san Pietro nella posizione d’o n o realla destra della Vergine.

Il messaggio di questo programma era co-raggioso: realizzato nei primi anni della“cattività babilonese” del papato ad Avigno-ne, insisteva sull’autorità cristica di Pietro esul fatto, ricordato nel mosaico di Giotto nel

nenti a un ciclo commissionato a Raffaelloda Leone X nel 1514, i cui componenti rive-stivano la parte bassa delle pareti intornoall’altare della cappella, servendo da sfondoideale per la liturgia papale.

Il primo illustra la pesca miracolosa narra-ta da Luca (5, 1-11) che conclude con le pa-role di Gesù a Pietro: «D’ora in poi saraipescatore di uomini». Destinata alla paretedietro l’altare, questa scena aveva il compitodi comunicare qualcosa dell’identità petrina.Raffaello illustra tutti i particolari riferiti nel

apparentemente era di suggerire una conti-nuità ininterrotta, anche se il quadro tempo-rale è totalmente diverso: non più l’iniziodel rapporto, come nella Pesca miracolosa,ma la fine, l’ultima apparizione del Salvatoreai suoi discepoli dopo la Risurrezione.

Leggendo da sinistra verso destra, il pun-to culminante della composizione è ancorala coppia Cristo-Pietro. Raffaello illustra ilmomento in cui il Risorto comanda di pa-scere il gregge: la figura biancovestita di Cri-sto infatti indica con la mano destra l’Ap o-

gli apostoli la posa e la dignità che troviamoin statue greco-romane di filosofi.

Fu Bonifacio VIII a indire il primo giubi-leo nel 1300, e l’esperienza della massa deipellegrini lasciò una traccia profonda nelclero della basilica, tra cui il nipote di Boni-facio, il cardinale Jacopo Stefaneschi, cano-nico di San Pietro, che nei decenni che se-guono l’Anno Santo commissionò una seriedi opere “a completamento” del lavoro ini-ziato da Niccolò III sessant’anni prima. Isuoi interventi — ubicati in maniera strategi-ca per garantire la loro visibilità — include-vano affreschi nell’abside dietro l’altare pa-pale, un grande trittico bifronte per l’a l t a repapale stesso, e un mosaico nel cortile da-vanti alla basilica. Di queste opere rimango-no solo il trittico, un capolavoro di Giotto edella sua bottega oggi alla Pinacoteca Vati-cana, e qualche frammento del distrutto mo-saico, anch’esso di Giotto ma terribilmentemanomesso in successivi restauri.

come la Navicella, illustrava l’evento raccon-tato in Ma t t e o , 14, 22-31, quando, dalla barcain difficoltà sul mare mosso, gli apostoli ve-dono Cristo che cammina sulle acque. SanPietro lo vuol raggiungere, cammina anchelui sulle acque ma perde il coraggio e inco-mincia ad affondare. Grida «Signore, salva-mi!». E subito Gesù stende la mano, lo af-ferra e gli dice: «Uomo di poca fede, perchéhai dubitato?».

Nel Cinquecento la persona dell’ap ostoloverrà sempre più assimilata all’immaginedell’istituzione ecclesiale, almeno in Vatica-no, e — a parte i già accennati arazzi di Raf-faello per la Sistina, e l’affresco di Michelan-gelo per la Paolina — i secoli XVI-XVII tende-ranno a sostituire il racconto narrativo conl’allusività delle spettacolari nuove costruzio-ni: la titanica basilica avviata da Giulio IIper evocare un’autorità analoga a quella de-gli antichi Cesari; la collocazione dell’ob eli-sco egizio nell’informe spazio antistante SanPietro, con, sulla punta, reliquie del santo; einfine, alla metà del Seicento, il monumenta-le colonnato esterno a definizione della piaz-za a opera di Gianlorenzo Bernini, evocantel’antico circo neroniano in cui l’Apostolo fucro cifisso.

Il più maestoso di questi monumenti allu-sivi, punto culminante dell’intero nuovo per-corso che prese forma tra il Cinquecento e ilSeicento, è il titanico reliquario che riempiel’abside della basilica, dietro l’altare papale.Chiamata cathedra Petri, questo trono dibronzo contiene una sedia lignea che la tra-dizione vuole usata da san Pietro per inse-gnare la fede ai romani del primo secolo.Bernini disegnò la simbolica cattedra poi amo’ di sedia gestatoria fiancheggiata daquattro dottori della Chiesa, che così fannola parte di “p ortatori” del magistero papale,in una linea ininterrotta da san Pietro fino alpresente. Se poi guardiamo da vicino, vedia-mo che i dottori non toccano la cattedra,che invece aleggia, sostenuta dalla sola vo-lontà divina. Sopra la c a t h e d ra , infine, dalmezzo di una turba angelica in stucco dora-to, una gloria di luce irrompe nella basilica,con raggi in legno sovrapposti all’a rc h i t e t t u -ra dell’abside.

Bernini studiò la collocazione e le dimen-sioni della cathedra in modo che essa fosseperfettamente inquadrata dalle colonne edalla tettoia del suo baldacchino, costruitotrenta anni prima. Così, quando il Papa staall’altare posto sotto il baldacchino, dallanavata centrale i fedeli vedono — oltre ilPontefice, sopra di lui — lo Spirito, la catte-dra, i Dottori della Chiesa.

cortile della basilica, che, an-che quando la barca del pe-scatore si trova in mari diffi-cili, e perfino quando Pietroperde momentaneamente ilcoraggio, Cristo allungheràsempre la mano, non per-mettendo che la navicelladella Chiesa affondi.

Il mosaico, noto appunto

Già nel luogo dell’elezione papalel’affresco del Peruginoillustra l’origine del potere pontificioE ne spiega il segnomostrando Cristo nell’atto di consegnare le chiavi

scepolo è definita daDio stesso: Cristo pre-cisa infatti che «né lacarne né il sangue»hanno rivelato la suaidentità a Pietro «ma ilPadre mio che sta neicieli». Ciò significache le chiavi dateall’apostolo hanno ache fare con l’identitàeterna di Gesù comeFiglio di Dio e Messia,e con l’esercizio uma-no della prerogativadivina del perdono deipeccati. Nel rapportotra Cristo e Pietro, ilbinomio perdono-pote-re è strutturale, comesuggeriscono due altreopere realizzate per laSistina: arazzi apparte-

Raffaello focalizzatosul perdono e poterenel rapporto tra Cristoe Pietro raffigura il co-mando del Salvatoreall’apostolo: Pasce ovesmeas (“pasci le mie pe-c o re l l e ”). Destinato aseguire immediatamen-te la Pesca miracolosa,nel previsto ordine diallestimento degli araz-zi, di nuovo presentaPietro in ginocchio da-vanti a Cristo inun’ambientazione lacu-stre; nell’arazzo vi èaddirittura la prua diuna barca a sinistra,che riprende il motivodelle barche nella zonadestra dell’arazzo pre-cedente. L’intenzione

Perugino, «La consegna delle chiavi a Pietro»(1481-1482, Cappella Sistina)

Il «Martirio di Pietro» nel particolaredel Polittico Stefaneschi di Giotto (1320)

Arnolfo di Cambio, «San Pietro in trono» (XIII secolo)

ca), perché l’assai più breve racconto dellachiamata dei primi discepoli nei vangeli diMatteo e di Marco sottolinea che Andrea la-vorava con Pietro (Ma t t e o , 4, 18-22; Ma rc o , 1,16-20). Qui però viene preferita la più ampiaversione lucana perché, mentre in Matteo eMarco la promessa di Gesù è rivolta a Pietroe ad Andrea insieme — «venite dietro a me evi farò pescatori di uomini» — Luca la fa ar-rivare solo a Pietro: «Non temere; d’ora inpoi sarai pescatore di uomini». L’arazzovuole parlare, cioè, direttamente al successo-re di Pietro.

Solo la versione lucana dell’evento narrapoi del comando di Gesù di prendere il lar-go e rimettersi a pescare dopo una notte in-fruttuosa, e solo Luca sottolinea il conse-guente stupore di Pietro al risultato, cheporta il pescatore a una prima “confessione”,non ancora della divinità di Cristo ma dellapropria inadeguatezza: «Signore, allontanati

stolo e con la sinistra le pecore. È ancora unmomento di esplicita trasmissione di potere;l’altro era quello in cui Cristo diede a Pietrole chiavi in segno della trasmissione del po-tere divino del perdono, e questo viene in-fatti ricordato qui, perché Pietro ha tra lemani due grosse chiavi. Queste non sonoperò il soggetto principale: la loro consegna,già avvenuta, era il tema del già discusso af-fresco del Perugino. Le chiavi vengono ricor-date qui perché il senso del soggetto vero eproprio, l’ordine di pascere il gregge, impli-ca quel precedente conferimento di autorità.

La figura di Pietro inginocchiato davantia Cristo al punto culminante di questo araz-zo ripropone l’analogo raggruppamento nel-la scena precedente, dove Pietro s’era ingi-nocchiato perché consapevole dei propripeccati. Qui invece l’apostolo s’ingino cchiamentre Gesù gli chiede se lo ama veramente.La domanda viene posta tre volte perché tre

testo lucano: il lago, le duebarche, la distanza dalla riva, lasovrabbondanza di pesci e lereti strapiene, Giacomo e Gio-vanni nella seconda barca conil loro padre Zebedeo. Nellaprima barca insieme a Pietromette anche suo fratello An-drea (non menzionato da Lu-

L’arazzo che raffigura la «Pesca miracolosa»commissionato da Leone X a Raffaelloè come se parlasse«D’ora in poi sarai pescatore di uomini»

pagina 4 giovedì 14 marzo 2013 L’OSSERVATORE ROMANO giovedì 14 marzo 2013 pagina 5

sconosciuto in greco e il calco del testo diMatteo rende benissimo in greco (così comein latino e in italiano) un gioco di parole ara-maico, che si conclude con un termine (qahalo edah o sod, cioè “assemblea”) già veterote-stamentario applicato a se stessa dalla comu-nità giudaica di Qumran per indicare ungruppo di eletti destinato a vivere negli ulti-mi decisivi tempi del mondo e ricorrente inaltri passi neotestamentari: «Tu sei kefa e suquesta kefa edificherò la mia assemblea». Néavrebbe senso il gioco di parole se il terminepietra fosse riferito a Cristo stesso, come sivorrebbe sulla base di due testi paolini (Ro-mani, 9, 33 e 1 Corinzi, 10, 4), il cui contestoè però completamente diverso.

Nessun anacronismo quindi si riscontra inun’affermazione che con ogni probabilità ri-

sale nella sostanza a Gesù stessoe indica un ruolo particolarissi-mo riconosciuto a Pietro, an-

che se le interpretazioni suc-cessive appartengono ap-punto a epoche successive eriflettono l’evoluzione stori-ca e dottrinale delle diverseChiese cristiane. Al pesca-tore divenuto primo degliapostoli sono comunqueconferite le chiavi, un segno

di potere misterioso che ap-pare già in un testo profetico

(Isaia, 22, 22): questo potereconsente di decidere “sulla terra” e

“nei cieli”, cioè di perdonare i peccati edi consentire l’accesso al regno di Dio, e

viene affidato al solo Pietro, anche se è con-diviso, come mostrano altri testi evangeliciparalleli (Ma t t e o , 18, 18 e Giovanni, 20, 23),dagli altri discepoli. Il ruolo preminente diPietro e la credibilità dei racconti evangelicinel presentare la sua fisionomia senza alcunaidealizzazione appaiono evidenti anche nella

narrazione della passione di Gesù. Cosìal Getsemani, secondo la narrazione diMarco, Gesù prende con sé gli stessi

discepoli che erano stati testimonidella trasfigurazione, Pietro

Giacomo e Giovanni, esortan-doli a vegliare e ritirandosipoi a pregare da solo nell’an-goscia più profonda: «Torna-to indietro, li trovò addor-mentati e disse a Pietro: “Si-mone, dormi? Non sei riusci-to a vegliare un’ora sola? Ve-gliate e pregate per non en-

trare in tentazione; lo spirito èpronto ma la carne è debole”. Al-

lontanatosi di nuovo, pregava dicendole medesime parole. Ritornato li trovòaddormentati, perché i loro occhi si

erano appesantiti, e non sapevanoche cosa rispondergli»

(Ma rc o , 14, 37-40).Non è senza signifi-cato che proprio

Marco, che se-condo la tradi-zione avrebbescritto il suovangelo sullabase della testi-monianza e del-la predicazionedi Pietro, sial’unico tra glievangelisti(Ma t t e o , 26, 40-43; Luca, 22, 45-46) a concentra-re su Pietro ladomanda e ildoloroso rim-provero di Ge-sù, così com’èsolo il quarto

Le fonti storiche principali relative aPietro sono costituite da un grup-po di testi cristiani poi ritenuti sa-cri proprio come le scritture consi-derate ispirate da Dio all’interno

del giudaismo sulle quali si basano largamen-te e delle quali anzi intendono presentarsicome il necessario disvelamento e completa-mento: composti in greco nel giro di pochidecenni tra la metà del I secolo dell’era cri-stiana e gli inizi del II secolo, questi scrittidiventeranno in breve tempo il “nuovo testa-mento” della Bibbia cristiana, che nella suaprima parte (chiamata specularmente dai cri-stiani dei primi secoli “vecchio testamento”)corrisponde con qualche differenza alle scrit-ture giudaiche.

Gli scritti neotestamentari non solo men-zionano oltre duecento volte Pietro ma inparte risalgono a lui stesso: la tradizione ec-clesiastica, oltre a due lettere (la cui paternitàletteraria è tuttavia molto discussa), attribui-sce fin dai tempi più antichi alla predicazio-ne di Pietro uno dei quattro vangeli conside-rati ispirati, quello di Marco, che da moltistudiosi è ritenuto anche il più antico, men-tre la prima metà degli Atti degli apostoli se-gue di fatto le sue vicende. Da questo com-plesso di testi emerge con nettezza la figuradi Pietro come il più importante e autorevoletra i primi seguaci di Gesù. Questi scritti so-no pienamente storici, anche se è indubbioche si tratta non di aride cronache ma piutto-sto di riletture ideologiche di vicende rico-struite per evidenziare il loro senso profondo,e da questi è possibile ricostruire la sostanzadella fisionomia storica di quello che secondotutti e quattro gli elenchi neotestamentari dei“do dici”, cioè del gruppo composto dai pri-mi discepoli di Gesù (Ma t t e o , 10, 2-4, Ma rc o ,3, 16-19, Luca, 6, 13-16 e Atti degli apostoli, 1,13), è il primo degli apostoli: il testo di Ma t -teo anzi sottolinea questa preminenza («pri-mo, Simone, chiamato Pietro») mentre Luca,che nel suo vangelo fa risalire a Gesù l’ap-pellativo di “ap ostoli” dato ai Dodici, negliAtti degli apostoli (scritto che fin dal suo esor-dio si presenta come completamento del van-gelo, chiamato “primo libro”) fa presiedereproprio a Pietro, con un primo discorso, ilraduno di circa centoventi discepoli riunitiper scegliere uno dei compagni di Gesù che«divenga, insieme con noi, testimone dellasua risurrezione» (Atti degli apostoli, 1, 22), ri-stabilendo così il gruppo apostolico.

Ma chi era Pietro? Figlio di Giovanni(Johanan, probabilmente abbreviato in Jona,Giona), si chiamava originalmente Simoneed era fratello di Andrea, come si ricavadal racconto del quarto vangelo (Giovan-ni, 1, 35-44). Galilei di Betsaida sullesponde nordorientali del lago di Tibe-

riade (“il mare della Galilea”), i duefratelli facevano i pescatori e secondo

il vangelo risalente alla predicazio-ne petrina (Ma rc o , 1, 16-20) eranoin società con altri due fratelli,Giacomo e Giovanni figli di Ze-bedeo. Pietro viveva però proba-bilmente sulla sponda nordocci-dentale del lago, a Cafarnao, edera sposato (secondo Ma rc o , 1,29-31 Gesù gli guarisce da unafebbre la suocera e da un accen-no di Paolo in 1 Corinzi, 9, 5sembra che la moglie, anch’essacredente in Gesù, lo accompa-gnasse nelle sue missioni). Se-condo la narrazione giovanneal’incontro di Simone con Gesùavviene al di là del Giordano,dove Giovanni (il figlio di Zac-

caria ed Elisabetta) battezzava,ed è proprio Andrea, seguace del

Battista, a incontrare Gesù e aportargli il fratello: «Egli incontrò

per primo suo fratello Simone e glidisse: “Abbiamo trovato il Messia”

(che significa il Cristo); e lo condusseda Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su

di lui, disse: “Tu sei Simone, il fi-glio di Giovanni; ti chiameraiCefa” (che vuol dire Pietro)».

Il racconto di Marco sceneg-gia invece la chiamata di Pietroda parte di Gesù sulle rive dellago di Tiberiade dopo l’a r re s t odel Battista: «Passando lungo ilmare della Galilea, vide Simonee Andrea, fratello di Simone,mentre gettavano le reti in mare;erano infatti pescatori. Gesù dis-se loro: “Seguitemi, vi farò di-ventare pescatori di uomini”. Esubito, lasciate le reti, lo segui-rono. Andando un poco oltre,vide sulla barca anche Giacomodi Zebedeo e Giovanni suo fra-tello mentre riassettavano le reti.Li chiamò. Ed essi, lasciato il lo-ro padre Zebedeo sulla barcacon i garzoni, lo seguirono».

Quasi identico è il raccontodella chiamata nel primo vange-lo (Ma t t e o , 4, 18-22), mentre aquesta stessa tradizione risaleanche il racconto del terzo van-gelo (Luca, 5, 1-11), che la am-bienta però nel quadro di unapesca abbondantissima dopouna notte di lavoro vano: «Alveder questo, Simon Pietro sigettò alle ginocchia di Gesù, di-cendo: “Signore, allontanati dame che sono un peccatore”.Grande stupore infatti aveva

semplicemente il suo trasferimento in un po-sto più sicuro, è stata interpretata come allu-siva del destino successivo di Pietro. Su que-sto le fonti neotestamentarie sono quasi silen-ziose: su questa base, a volte labile e discus-sa, probabili dovrebbero comunque esseresoggiorni più o meno lunghi di Pietro a Ce-sarea (Atti degli apostoli, 12, 19), ad Antiochia(Galati, 2, 11-16), dove secondo un accennodi Eusebio (Storia ecclesiastica, III, 36, 2) sa-rebbe stato il primo vescovo, a Corinto (1Corinzi, 1, 12) e infine a Roma (Romani, 15,20-22; 1 Pietro, 5, 13).

La presenza di Pietro a Roma, negata soloa partire dal Duecento per ragioni ideologi-che da gruppi eretici, divenne un punto cen-trale della polemica antiromana dei prote-stanti fin dal Cinquecento, mentre dal puntodi vista scientifico, sia pure negata da alcunistudiosi contemporanei, è sostenuta dallamaggioranza degli specialisti, tra cui i piùgrandi storici protestanti dell’Ottocento e delNovecento (Theodor von Zahn, Adolf von

Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: “Si-gnore, e lui?”. Gesù gli rispose: “Se voglioche egli rimanga finché io venga, che impor-ta a te? Tu seguimi”. Si diffuse perciò tra ifratelli la voce che quel discepolo non sareb-be morto. Gesù però non gli aveva detto chenon sarebbe morto, ma: “Se voglio che eglirimanga finché io venga, che importa a te?”.Questo è il discepolo che rende testimonian-za su questi fatti e li ha scritti; e noi sappia-mo che la sua testimonianza è vera» (Giovan-ni, 21, 15-24).

Il testo dell’appendice al vangelo giovan-neo è rilevante per più di un motivo: è tra-

L’apostolo Pietro nei più antichi testi cristiani

Mi ami tu più di costoro?

La tendenza a non tacere i difettidel personaggio è sistematica soprattutto nei vangeliE appare un elemento molto fortein favore della loro sostanziale affidabilità storica

Tra storiae simboliL’articolo qui pubblicatoè una parte del testoPietro e Paolo: due cristiani tra storia esimboli scritto dal nostro direttore peril libro Pietro e Paolo. La storia, il culto,la memoria nei primi secoli (a cura diAngela Donati, Milano, Electa, 2000).

preso lui e tutti quelli che erano insieme conlui per la pesca che avevano fatto; così pureGiacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, cheerano soci di Simone. Gesù disse a Simone:“Non temere; d’ora in poi sarai pescatore diuomini”. Tirate le barche a terra, lasciaronotutto e lo seguirono». La chiamata del primodegli apostoli colpì la comunità dei discepolidi Gesù e soprattutto l’interpretazione sim-bolica del suo mestiere avrebbe avuto unafortuna immensa nella tradizione e nell’im-maginario di quanti sarebbero stati presi nel-le reti salvatrici di questi pescatori e dei lorosuccessori.

La collocazione di Pietro assume nei rac-conti evangelici un particolare rilievo all’in-terno del gruppo dei Dodici, come nell’epi-sodio misterioso della trasfigurazione (Ma t -teo, 17, 1-8; Ma rc o , 9, 1-8; Luca, 9, 28-36). Ge-sù sale sul monte a pregare e porta con sésoltanto Pietro, Giacomo e Giovanni.L’aspetto del maestro immerso in preghierasi trasforma avvolto di splendore davanti agliocchi dei discepoli (spaventati secondo Mat-teo e Marco, assonnati secondo Luca, che

vangelo (Giovanni, 18, 10-11) a identificare inPietro il discepolo che ha un impeto di co-raggio, ripreso tuttavia dal maestro: «AlloraSimon Pietro, che aveva una spada, la trassefuori e colpì il servo del sommo sacerdote egli tagliò l’orecchio destro. Quel servo sichiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro:“Rimetti la tua spada nel fodero; non devoforse bere il calice che il Padre mi ha dato?”.Allora il distaccamento con il comandante ele guardie dei Giudei afferrarono Gesù».

Tutti e quattro i vangeli (Ma t t e o , 26, 69-75;Ma rc o , 14, 66-72; Luca, 22, 54-62; Giovanni,18, 15-27) riferiscono invece il triplice celebrerinnegamento di Pietro, preannunciato daGesù. Ed è infine Giovanni, non Pietro, a ri-manere ai piedi della croce insieme alla ma-dre di Gesù e ad altre donne.

Tuttavia è ancora una volta questo disce-

sero alla fede. E Dio, che conosce i cuori, hareso testimonianza in loro favore concedendoanche a loro lo Spirito Santo come a noi; enon ha fatto nessuna discriminazione tra noie loro, purificandone i cuori con la fede. Ordunque, perché continuate a tentare Dio,imponendo sul collo dei discepoli un giogoche né i nostri padri né noi siamo stati ingrado di portare? Noi crediamo che per lagrazia del Signore Gesù siamo salvati e nellostesso modo anche loro» (Atti degli apostoli,15, 7-11).

Forse non è un caso che l’ultima menzionedi Pietro negli Atti degli apostoli sia proprioquesto suo intervento che, pur non convin-cendo del tutto la corrente più giudaizzanteguidata da Giacomo, capo della comunità diGerusalemme, appare comunque molto rile-vante nel cruciale dibattito che divise il cri-stianesimo delle origini sul rapporto con ilgiudaismo e sembra quasi lasciare il posto al-la figura e alla posizione di Paolo, l’evange-

quindi della resurrezione di Gesù. Nell’intri-cata questione delle apparizioni del Cristo ri-sorto, la cui disordinata molteplicità è garan-zia di tradizioni antichissime e autentichemolto più di un’eventuale artificiosa armo-nizzazione, la testimonianza più antica èquella di Paolo (1 Corinzi, 15, 5-8) che attestacome «apparve a Cefa e quindi ai Dodici. Inseguito apparve a più di cinquecento fratelliin una sola volta: la maggior parte di essi vi-ve ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltreapparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apo-stoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me co-me a un aborto». Alla testimonianza di Pao-lo s’aggiunge quella del vangelo di Luca chemette in bocca ai discepoli riuniti a Gerusa-lemme l’affermazione che «il Signore è risor-to ed è apparso a Simone» (Luca, 24, 34), maè il quarto vangelo il più ricco di dettagli sulruolo preminente di Pietro dopo la resurre-zione, anche rispetto allo stesso Giovanni delquale il testo sottolinea sempre la speciale vi-cinanza a Gesù e una particolare compren-sione degli avvenimenti, quasi un’intuizionedel cuore. Avvertiti da Maria di Magdala

suoi discepoli si tirarono indietro e non an-davano più con lui. Disse allora Gesù ai Do-dici: “Forse anche voi volete andarvene?”.Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chiandremo? Tu hai parole di vita eterna, noiabbiamo creduto e conosciuto che tu sei ilSanto di Dio”. Rispose Gesù: “Non ho forsescelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi èun diavolo!”. Egli parlava di Giuda, figlio diSimone Iscariota: questi infatti stava per tra-dirlo, uno dei Dodici».

Questa confessione di Pietro, ambientata aCafarnao, ha un sostanziale riscontro in quel-la (Ma t t e o , 16, 13-28; Ma rc o , 8, 27-33; Luca, 9,18-22), molto più famosa e poi decisiva perlo sviluppo del primato romano nella versio-ne di Matteo, collocata a Cesarea di Filippo,a nord della Galilea (anche se Luca non nemenziona il luogo): «Essendo giunto Gesùnella regione di Cesarea di Filippo, chiese aisuoi discepoli: “La gente chi dice che sia ilFiglio dell’uomo?”. Risposero: “Alcuni Gio-vanni il Battista, altri Elia, altri Geremia oqualcuno dei profeti”. Disse loro: “Voi chi di-te che io sia?”. Rispose Simon Pietro: “Tu seiil Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E Gesù:“Beato te, Simone figlio di Giona, perché néla carne né il sangue te l’hanno rivelato, mail Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tusei Pietro e su questa pietra edificherò la miaChiesa e le porte degli inferi non prevarran-no contro di essa. A te darò le chiavi del re-gno dei cieli, e tutto ciò che legherai sullaterra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scio-glierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”. Alloraordinò ai discepoli di non dire ad alcuno cheegli era il Cristo».

Ma subito dopo questa solenne promessa,di fronte al rifiuto di Pietro d’accettare lasorte riservata al Cristo che avrebbe dovutosoffrire, essere ucciso e risorgere, l’ap ostoloappena elogiato con termini così sorprenden-ti viene altrettanto duramente rimproveratoper la sua incomprensione della missione diGesù che l’apostrofa: «Lungi da me, satana!Tu mi sei di scandalo, perché non pensi se-condo Dio, ma secondo gli uomini!». Suquesto testo famosissimo innumerevoli sonostate le controversie, soprattutto a partire

Rielaborazione di undipinto donato a PaoloVI nel 1971, La barca èuna delle due opere conil medesimo titolo —custodite dallaCollezione Paolo VI diarte contemporaneadell’Istituto Paolo VI diBrescia — nella qualeAldo Carpi nel 1972raffigura la barca dellaprovvidenza: a pruaCristo dorme mentrePietro stringe il timonesul mare in tempesta.

lizzatore dei pagani, che da questo punto inpoi diviene protagonista unico del libro.

Prima del discorso all’assemblea di Geru-salemme, come conclusione dell’ultima mira-colosa liberazione, quella dal carcere dovel’aveva fatto gettare Erode Agrippa (che re-gnò su Giudea e Samaria tra il 41 e il 44),Pietro si riscuote da quella che crede una vi-sione e si rende conto di quanto gli è acca-duto: «Dopo aver riflettuto, si recò alla casadi Maria, madre di Giovanni detto ancheMarco, dove si trovava un buon numero dipersone raccolte in preghiera. Appena ebbebussato alla porta esterna, una fanciulla dinome Rode si avvicinò per sentire chi era.Riconosciuta la voce di Pietro, per la gioianon aprì la porta, ma corse ad annunziareche fuori c’era Pietro. “Tu vaneggi” le disse-ro. Ma essa insisteva che la cosa stava così. Equelli dicevano: “È l’angelo di Pietro”. Que-sti intanto continuava a bussare e quandoaprirono la porta e lo videro, rimasero stupe-fatti. Egli allora, fatto segno con la mano ditacere, narrò come il Signore lo aveva trattofuori dal carcere, e aggiunse: “Riferite questoa Giacomo e ai fratelli”. Poi uscì e s’incam-minò verso un altro luogo» (Atti degli aposto-li, 12, 12-17).

Il vivace racconto si chiude con un’e s p re s -sione forse enigmatica che, se non indica

Harnack, Hans Lietzmann e Oscar Cul-lmann). Le fonti che attestano la presenza diPietro a Roma sono effettivamente unanimi erisalgono alla fine del primo secolo, quandoClemente di Roma indirizza alla comunità diCorinto un’importante lettera, mentre conogni probabilità a Roma è stata scritta la pri-ma delle due lettere attribuite a Pietro (si di-scute tuttora se dallo stesso Pietro o da unautore che negli anni Novanta si sarebbe ri-chiamato alla tradizione dell’apostolo marti-re, mentre agli inizi del II secolo risalirebbela seconda lettera), così com’è probabile l’ori-gine romana del vangelo di Marco, fruttodella predicazione di Pietro secondo una no-tizia del vescovo Papia, vissuto tra la secondametà del I secolo e i primi decenni del II se-colo, il cui testo è citato da Eusebio (Storiaecclesiastica, III, 39, 14-15).

Dopo Clemente di Roma (Lettera ai corin-zi, 5) attestano la presenza e il martirio diPietro nella capitale dell’impero Ireneo diLione (Contro le eresie, III, 1, 1 e 3, 2), il pre-sbitero romano Caio, Dionigi di Corinto eOrigene, tutti citati da Eusebio; ed è proprioil grande storico ad affermare, forse sulla ba-se di un testo perduto di Origene, che Pietrofu crocifisso a testa in giù secondo la richie-sta dell’apostolo (Storia ecclesiastica, II, 25, 5-8e III, 1, 2-3). Il primo degli apostoli fu uccisosotto Nerone probabilmente nel 67.

Le vicende degli apostoli Pietro e Paolonelle fonti poi divenute scritture sacre sonoradicate saldamente nella storia ma nellostesso tempo appaiono delineate con trattispesso simbolici e appunto emblematicamen-te sembrano concludersi al compimento dellaloro missione, con allusioni generiche nelleparti più tarde di questi scritti alla testimo-nianza suprema dei due apostoli, comenell’appendice del quarto vangelo per quantoriguarda Pietro o in molti cenni delle letterepastorali attribuite a Paolo.

Tradizioni antiche e integrazioni leggenda-rie s’intrecciano poi a partire dal secondo se-colo nella letteratura biblica apocrifa, testifortunatissimi e importanti nell’elab orazionesimbolica dei due apostoli: ecco quindi il no-me della moglie di Pietro (Giovanna, forseper derivazione dal nome del padre dell’ap o-stolo, o Perpetua) e l’attribuzione di una fi-glia (Petronilla, più prevedibilmente) ad assi-curargli una discendenza femminile, dinasti-camente senza problemi, ecco la leggendapiù famosa, quella del quo vadis (cioè, in lati-no, “dove vai”), impiantarsi sull’immaginereale di Pietro trasmessa dai vangeli senza al-cuna idealizzazione. Negli Atti di Pietro ap o-crifi (che nell’originale greco vengono fatti ri-salire agli ultimi decenni del secondo secolo)l’apostolo fugge infatti da Roma per unapersecuzione e incontra Gesù che sta entran-do in città; meravigliato, Pietro chiede al Si-gnore dove stia andando, e solo alla rispostadi Gesù che va per essere crocifisso di nuovocapisce il suo destino e torna ad affrontarlo.

La leggenda esprime in questo modostraordinariamente efficace il senso degli epi-sodi evangelici fondamentali nella ricostru-zione di Pietro: la sua fede sovrumana e altempo stesso così umana, il triplice rinnega-mento e la triplice confessione di fede nelCristo risorto poi suggellata dal martirio.

Nel 1967 Jean Guitton realizzaquattro dipinti monocromidedicati alla passione di Cristo.In questo Jésus regardant Pierre ilvolto di Cristo, tracciatodirettamente con il pennellointinto in un solo colore, si poneleggermente verso sinistra con losguardo rivolto dinanzi a sé,verso l’interlocutore, cioè Pietro,che si trova nella posizione di chiguarda il foglio. Un messaggiochiaro che si rivolge all’umanità.

dal Cinquecento a causa della polemica pro-testante contro il primato romano. Al di làcomunque delle interpretazioni teologichesuccessive la maggioranza degli studiosi èconcorde nel riconoscere la sostanziale auten-ticità dell’episodio, anche se il contesto origi-nario potrebbe essere stato diverso, comemostrano le versioni dei vangeli di Luca e diGiovanni che sembrano suggerire come occa-sione più probabile le apparizioni di Gesùdopo la sua resurrezione.

Le apparenti difficoltà suscitate dal fonda-mentale detto «Tu sei Pietro (in greco P è t ro s )e su questa pietra (p è t ra ) edificherò la miaChiesa» si risolvono risalendo all’ambienteculturale dell’episodio e rafforzano notevol-mente la sua antichità (così come la rafforzal’indicazione del luogo, Cesarea di Filippo,di per sé non significativo): il nome Pietro è

La barca

Lo sguardodi Gesù

sparente l’intenzione dell’a u t o redi ribadire ancora una volta, connettezza, il primato di Pietro, ilpescatore che qui appare destina-to a divenire pastore; altrettantochiaro è il senso della triplice in-terrogazione di Cristo, che colpi-sce dolorosamente il discepolo magli offre la possibilità di riscattareil triplice rinnegamento (che ilquarto vangelo registra senza ac-cennare al pianto dell’ap ostolocon cui si chiude invece l’episo-dio negli altri tre vangeli); il ri-scatto di Pietro è anzi presentatocome definitivo nell’annuncio del-la sua morte con cui «avrebbeglorificato Dio»; è confermato in-fine il rapporto privilegiato chelega Pietro a Giovanni e la cuimemoria persiste nella tradizionegiovannea accanto all’enfatizza-zione del ruolo eccezionale riser-vato al «discepolo che Gesù ama-va» e suggellato dalla misteriosafrase di Gesù allusiva al suo de-stino.

Se il quarto vangelo si conclu-de sulla sorte di Pietro, il nomedel capo degli apostoli è il primo(se si esclude quello di Teofilo, il destinata-rio, forse simbolico, del libro) che ricorre ne-gli Atti degli apostoli, in testa all’elenco deicomponenti del gruppo apostolico. La sceltaappare voluta, se si tiene conto che la primaparte del testo segue in prevalenza le vicendedi Pietro, spesso presentato insieme a Gio-vanni, a Gerusalemme e in Palestina, come laseconda si concentra esclusivamente su Paolofino al suo arrivo a Roma. Così Pietro presie-de la riunione nella quale si procede alla so-stituzione dell’apostolo traditore che s’era

ni, il primo miracolo, risanando uno storpioche chiedeva l’elemosina presso la porta Bel-la del tempio, primo di una serie di prodigimoltiplicatisi «al punto che portavano gliammalati nelle piazze, ponendoli su lettuccie giacigli, perché, quando Pietro passava, an-che solo la sua ombra coprisse qualcuno diloro»; a Giaffa poi Pietro addirittura resusci-ta Tabità, una giovane discepola (Atti degliapostoli, 3, 1-10; 4, 15; 9, 36-41).

Capo indiscusso della comunità e in quan-to tale più volte arrestato dai giudei ma an-che miracolosamente liberato, Pietro è pre-sentato da Luca anche come colui che, subitodopo la conversione di Saulo, apre la Chiesaai pagani: l’autore degli Atti degli apostoli, chetende a smussare i contrasti e a presentareuna visione idilliaca della comunità primitiva,sintetizza l’apertura ai pagani condotta daPietro attraverso il lungo e suggestivo episo-dio della conversione di Cornelio, «centurio-ne della coorte Italica», che non a caso è in-castonato tra i primi passi del convertitoSaulo a Gerusalemme tra la diffidenza deidiscepoli e l’evangelizzazione, rivolta anche«ai Greci» e condotta anche da Barnaba eSaulo, ad Antiochia (Atti degli apostoli, 10-11),dove «per la prima volta i discepoli furonochiamati Cristiani».

L’episodio di Cornelio presenta attraversouna doppia simultanea visione, al centurioneromano e a Pietro, e attraverso la discesa del-lo Spirito Santo indistintamente su fedeli cir-concisi e pagani uno strappo deciso dal giu-daismo: Luca sintetizza così l’aspro dibattitoche si aprì tra i primi seguaci di Gesù, all’ini-zio provenienti esclusivamente dal giudaismoma presto anche dal paganesimo, sulla neces-sità o meno dell’osservanza delle norme dipurità e della stessa circoncisione per quantinon fossero giudei. Nello scontro, non senzaun forte contrasto con Paolo (avvenuto adAntiochia e narrato in Galati, 2, 11-16) manella sostanza in accordo con lui, Pietro fucerto decisivo, come mostra il suo interventonell’assemblea riunita per decidere della que-stione a Gerusalemme: «Fratelli, voi sapeteche già da molto tempo Dio ha fatto unascelta fra voi, perché i pagani ascoltasseroper bocca mia la parola del vangelo e venis-

della tomba vuota, Pietro e Giovanni corronoal sepolcro: «Uscì allora Simon Pietro insie-me all’altro discepolo, e si recarono al sepol-cro. Correvano insieme tutti e due, ma l’a l t rodiscepolo corse più veloce di Pietro e giunseper primo al sepolcro. Chinatosi, vide le ben-de per terra, ma non entrò. Giunse intantoanche Simon Pietro che lo seguiva ed entrònel sepolcro e vide le bende per terra, e il su-dario, che gli era stato posto sul capo, nonper terra con le bende, ma piegato in un luo-go a parte. Allora entrò anche l’altro discepo-lo, che era giunto per primo al sepolcro, e vi-de e credette. Non avevano infatti ancoracompreso la Scrittura, che egli cioè dovevarisuscitare dai morti» (Giovanni, 20, 3-9).

Decisiva per una piena comprensione dellafigura di Pietro è la bellissima appendice delquarto vangelo, scritta certamente dopo lamorte di Pietro, con il racconto dell’appari-zione sul lago di Tiberiade. Cinque apostolie altri due discepoli sono su una barca ed èdi nuovo Giovanni a riconoscere per primoGesù apparso sulla riva e a dirlo a Pietro, maè quest’ultimo che con uno dei suoi caratteri-stici gesti impulsivi si getta in mare incontroal maestro. «Quand’ebbero mangiato, Gesùdisse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni,mi ami tu più di costoro?”. Gli rispose: “Cer-to, Signore, tu lo sai che ti amo”. Gli disse:“Pasci i miei agnelli”. Gli disse di nuovo:“Simone di Giovanni, mi ami?”. Gli rispose:“Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. Glidisse: “Pasci le mie pecorelle”. Gli disse perla terza volta: “Simone di Giovanni, miami?”. Pietro rimase addolorato che per laterza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse:“Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo”. Glirispose Gesù: “Pasci le mie pecorelle. In veri-tà, in verità ti dico: quando eri più giovane ticingevi la veste da solo, e andavi dove volevi;ma quando sarai vecchio tenderai le tue manie un altro ti cingerà la veste e ti porterà dovetu non vuoi”. Questo gli disse per indicarecon quale morte egli avrebbe glorificato Dio.E detto questo aggiunse: “Seguimi”. Pietroallora, voltatosi, vide che li seguiva quel di-scepolo che Gesù amava, quello che nella ce-na si era chinato sul suo petto e gli aveva do-mandato: “Signore, chi è che ti tradisce?”.

La leggenda del «quo vadis»esprime in modo straordinariamente efficacela figura di PietroLa sua fede sovrumana e al tempo stesso così umana

impiccato ed è a lui che vie-ne messo in bocca il discor-so di Pentecoste, primo dicinque (Atti degli apostoli, 2,14-39; 3, 12-26; 4, 8-12; 5, 29-32; 10, 34-43) che espongo-no schematicamente l’an-nuncio (in greco kèrygma)della predicazione apostoli-ca primitiva. È ancora Pie-tro a compiere, con Giovan-

polo, caratterizzato con tratti at-tendibili da una fede autentica eda una contraddittoria mescolan-za di slanci impetuosi e di debo-lezze che arrivano fino al rinnega-mento del maestro, a essere il pri-mo testimone maschio (e quindicredibile per il giudaismo coevoche non attribuiva valore alla te-stimonianza delle donne, giunteper prime) della tomba vuota e

Caravaggio, particolare della «Crocifissione di Pietro» (1600-1601)Il volto di Pietro nel particolare del «Pagamento del tributo» di Masaccio (1425)

sottolinea però come i tre testimoni “re s t a ro -no svegli”) e appaiono due uomini, Mosè edElia, che parlano con Gesù. Affascinato Pie-tro propone con slancio di rimanere ed erige-re tre tende per lo stesso Gesù e per le duefigure maggiormente emblematiche del giu-daismo, ma Marco e Luca aggiungono chenon sapeva cosa stesse dicendo, mostrandocosì di riconoscere un ruolo speciale, come diportavoce, a Pietro, del quale però nello stes-so tempo sono messi in evidenza i limiti.

Questa tendenza a non tacere i difetti delpersonaggio è sistematica soprattutto neivangeli e appare un elemento molto forte infavore della loro sostanziale affidabilità stori-ca, soprattutto se si tiene conto di altri passiin cui il ruolo di Pietro come capo e portavo-ce dei Dodici risulta affermato con nettezza.Ecco allora il quarto vangelo (Giovanni, 6,59-70) mettere in bocca proprio a Pietro il ri-conoscimento del Cristo mentre molti deisuoi seguaci l’abbandonano e uno addiritturasi prepara a tradirlo: «Da allora molti dei

L’OSSERVATORE ROMANOgiovedì 14 marzo 2013 pagina 7

Un mese e mezzo dopo l’elezione nel conclave del 1963 Paolo VI riflette e medita sulla condizione papale

La lucernasopra il candelabro

Un singolareritiro spiritualeDopo la morte di Giovanni XXIII, il 21giugno 1963 il cardinale Giovanni BattistaMontini, arcivescovo di Milano, viene elettoPapa e assume il nome di Paolo VI. Un mesee mezzo più tardi, nella residenza pontificiadi Castel Gandolfo, dedica alcuni giorni allameditazione e alla preghiera. Il 5 agostostende delle note, quasi un programmaspirituale del pontificato, pubblicate postume(Paolo VI, Meditazioni inedite, Brescia-Roma,Istituto Paolo VI — Edizioni Studium, 1993)e riprodotte in questa pagina.

+ 5 Agosto 1963Per modum recollectionis spiritua-

lis. In nomine Domini.1 — Doveri e bisogni proprî della

straordinaria condizione in cui, certoper divina disposizione, ora mit ro v o .

Più di così non potrei essere im-pegnato alla corrispondenza alla vo-lontà di Dio — alla dedizione totale,allo sforzo continuo, all’amore esclu-sivo, alla devozione intensa. Religio-ne assoluta. Fiducia completa. Ideaunica. Perfezione cercata e vissuta almassimo grado. «Diligis me plushis?». Tensione forte e soave. Prima-to non solo nella potestà, ma altresìnella carità. — Come si fa, al vesproormai della vita terrena, a salire su

sto. Salvo una cosa: relictis omnibus,secuti sunt Eum. Dedizione asso-luta.

5 — Il carisma della verità rivelataconferito a Pietro: «revelavit tibi...Pater meus qui in caelis est» — Ca-pacità di ascoltare la voce del Padrecirca la conoscenza e la confessionedella divinità di Cristo. In quale at-teggiamento debba Pietro conservarela sua anima per captare questa voceceleste; è favore, è privilegio la capa-cità stessa, ma indubbiamente richie-de una corrispondenza personale.Analogia col “fiat” della Madonna:Maria coopera all’Incarnazione, Pie-tro alla confessione, alla fede dell’In-carnazione.

6 — Pater meus Qui in caelis est.Quale “re l i g i o n e ” di Pietro verso

Dio? In lui l’evangelica dottrina diCristo su Dio-Padre è piena, perquanto in questa vita temporale lopuò essere. Cfr.: «Benedetto Iddio,il Padre del nostro Signore GesùCristo... etc.» (I Pet. 1, 3). Religionedella Paternità di Dio: teologia riso-

lutiva d’ogni nebulosità e incertez-za, scienza incipiente e progredien-te sulla Realtà di Dio, ineffabil-mente felice e santificante.

Amore a Dio Padre e fiducia.7 — Cristo amò Pietro. Come.8 — Pietro amò Cristo. Tu scis

quia amo te. Etsi omnes... sed nonego... flevit amare. Exi a me... etc.«Crescete nella grazia e nella co-gnizione del Signore e Salvatornostro Gesù Cristo» (II Pet. 3,18).

9 — E Paolo? Meditazioneimmensa. Da fare continua-mente.

causalità divina in chi le è totalmen-te dedicato. Fare attenzione.

11 — 2) Ascoltazione. Obbedienza,anch’essa profonda, sia alla voce in-teriore, che si possa prudentementepresumere come proveniente da Lui,dal Paraclito (sarà da studiare questometodo di genuina interpretazione:la buona coscienza? Il desiderio delmeglio? Il fervore sincero? La chia-rezza interiore? L’ispirazione incon-fondibile? La vocazione al sacrifi-cio?). Signore: fa’ ch’io riconosca la«testimonianza dello Spirito»; sia in-

principio? Domine, labia mea ape-ries. — Invocare l’Angelo Custode:chi sei, e dove sei, o Amico misterio-so? Mi vuoi aiutare e condurre?

15 — La Chiesa; non osserverò orache un solo rapporto, quello cheCristo mi insegna: dilexit Ecclesiam.Intanto devo notare che è Lui stessoad amarla in me: super hanc petramaedificabo Ecclesiam meam; è Luiche opera, è Lui che svolge la sua“economia”, il suo piano, facendonecentro in Pietro. Passa attraversoPietro la carità di Cristo versol’umanità, una carità costruttiva d’unpiano, edificatrice d’un ordinamentoumano, vivificato dal suo Spirito, lasua Chiesa. Pietro che ha da fare?Capire, capire meglio che può il mi-stero di carità che edifica in lui, sudi lui, attraverso lui, anche mediantelui (dabo tibi claves) un’a rc h i t e t t u r aumana, vivente, splendida, santa, laChiesa. Capire e lasciarsi condurre,trascinare anzi dal medesimo movi-mento di dedizione e di amore. Per-ché questa coordinazione possa av-venire, afferrare Cristo: amas? Pasce.L’amore totale, profondo, incompa-rabile, che deve intercedere fra l’ap o-stolo e Cristo, si trasferisce sul greg-ge di Cristo. Si amas, pasce. Qual èil gregge di Cristo? In fieri, l’umani-tà intera, qual è. In facto, l’umanità“c o n g re g a t a ” a formare l’ovile, laChiesa. Meditazione che continua,che non deve finire più, e deve svol-gersi in amore.

16 — Ma intanto devo ritornare alprincipio: il rapporto con Cristo.Quale più del mio dovrebbe esserepieno, sia nell’alterità, che dev’e s s e refonte di sincerissima umiltà: Exi ame, quia homo peccator sum; sianella disponibilità: faciam vos fieri...;sia nella simbiosi della volontà e del-la grazia: mihi enim vivere Christusest, emòi gàr tò zèn Christòs (Ph., 1,21 — cfr. Gal, 2, 20); e ciò nel sensodella pienezza che la mia povera vitanella carne acquista dall’essere assor-bita da quella del Signore, come nelsenso della sicurezza di nulla perde-re, se la morte mi privasse di questamia stessa vita nella carne, non po-tendomi privare della nuova vita diCristo in me subentrata, anzi mimettesse in condizione di megliosperimentarne e goderne la realtà ela felicità. Chi più di me potrebbedire con convinzione e con forzaqueste parole? Oh! Signore, che haicompatito le facili ma inferme pro-fessioni di Simone (et si oportueritme commori Tibi..), fa’ che il cantodel gallo mi ricordi, sì, la mia fragili-tà, ma non mi denunci traditore ditali parole.

17 — La Croce! da ricordare quan-to Cristo ne parlasse ai suoi; comeinsorgesse verso Pietro che volevadissuaderlo dal pensarvi; preconizza-ta poi a lui, sul lago di Tiberiadedopo la risurrezione, etc. A Paolo:«quanta oporteat eum pro nominemeo pati» (Ac t . , 9, 16). Vocazionedel Papato, comprovata dalla suastoria. Devo osare a chiedere al Si-gnore che della Croce mi dia la co-noscenza, il desiderio, l’esp erienza,la forza, il gaudio. Mediterò — e cer-to le circostanze ne daranno conti-nua occasione — il «Christo confixussum Cruci» di san Paolo, procuran-do che l’offerta sia vera.

18 — La Chiesa. È di Cristo. È diPietro, su cui Cristo la costruisce.

Lo svolgimento del mio pensieroormai è tutto qui. La realtà è già inatto; ma bisogna capirla, penetrarladi intenzione, di preghiera, di affe-zione, di dedizione.

«Ce qui fait le chef, c’est le coeurqui ne tremble pas, l’œil clair, l’or-dre bref, c’est toujours le souci desautres et l’oubli de soi» (René Ba-zin; dove?).

19 — Bisogna che mi renda contodella posizione e della funzione, cheormai mi sono proprie, mi caratteriz-zano, mi rendono inesorabilmenteresponsabile davanti a Dio, alla

mi esoneri dal mio dovere, ch’èquello di volere, di decidere, di assu-mere ogni responsabilità, di guidaregli altri, anche se ciò sembra illogicoe forse assurdo. E soffrire solo. Leconfidenze consolatrici non possonoessere che scarse e discrete: il pro-fondo dello spirito resta per me. Ioe Dio. Il colloquio con Dio diventapieno e incomunicabile.

20 — La lucerna sopra il candela-bro arde e si consuma da sola. Maha una funzione, quella di illumina-re gli altri; tutti, se può. Posizioneunica e solitaria; funzione pubblica e

questo vertice? è ancora educabile lospirito, con le sue abitudini acquisi-te, con la debolezza dei suoi stru-menti psico-fisici? Sembra che Gesùalluda a questa progressiva evoluzio-ne, quando dice a Pietro: «cum au-tem senueris...», e si riferisce a circo-stanze esterne obbliganti: «alius cin-get te...»: profittare perciò dell’appa-rato esterno, che stilizza una santità,può essere già un aiuto, purché allostile esteriore risponda e trascenda ilbuon volere interiore.

2 — D all’Imitazione di Cristo 1, 1 —Occorre: la imitazione

10 — Lo Spirito Santo, anima del-la Chiesa.

Il Signore mi ha stabilito in unposto obbligato all’azione dello Spi-rito Santo. Ma ogni grazia: della fe-de, del battesimo, dei sacramenti,del sacerdozio, della Chiesa e delmondo stesso invaso dall’“economia”divina non è proveniente dallo Spiri-to Santo? I suoi prodigi, la santità,possono essere profusi «ubi vult»,fuori del disegno gerarchico dellaChiesa; e alla fine la gerarchia dellagrazia sarà sola a rinascere nell’eter-nità. Ma un’azione particolarissima

teriore: Ipse reddit testimonium Spi-ritui nostro...; sia esteriore, quandorisuona nell’autorità della dottrina,dei buoni maestri, dei suggerimentidi persone meritevoli, degli avveni-menti indicatori e obbliganti, ecc.Occorreranno sempre momenti di si-lenzio, di preghiera passiva (orazio-ne di quiete?). Preghiera fatta bene:oh, quale grazia, quale conquista sa-rebbe! – Poi: coraggio e abnegazionenel seguire le buone ispirazioni; pen-so che molte vanno perdute, perchénon seguite.

12 — Culto e amore allo SpiritoSanto — Invocare lo «Spirito di veri-tà»: quale necessità che le capacitàconoscitive siano perfezionate! Nellaconoscibilità di ciò che deve essereconosciuto, luce esteriore; nelle fa-coltà conoscitive, luce interiore; nellavirtù di bene esercitare il pensiero. Idoni speculativi: la sapienza, l’intel-letto, il consiglio, la scienza – Lu-men cordium: anche le facoltà affet-tive e pratiche devono concorrere al-la luce vitale.

13 — Invocare il Paraclito — l’aiutointeriore, il confortatore, l’a n i m a t o re ,il vivificante, il dulcis hospes ani-mae, il fons vivus, ignis, charitas —la «spiritalis unctio».

Che cosa si può fare d’altro chechiamarlo, invocarlo?

La sua trascendenza ne dice lagratuità: donum Dei, ne dice la bon-tà effusiva e libera: ubi vult spirat.

Purezza e silenzio, vita interiore,intimo gaudio, ricchezza segreta.

Veni, Sancte Spiritus.14 — Condizione: la preghiera; la

preghiera fatta bene. Oh, divinoSpirito, sii maestro anche in questadisposizione d’anima che rende vici-na e possibile la Tua presenza —Spiritus precum — Anzi, Tu sei cherendi attivo l’esercizio della preghie-ra «con gemiti ineffabili». Ma restail grande dovere — mezzo e fine del-la vita spirituale — di pregare bene.— E come fare dopo tanti vani tenta-tivi? Si può ancora cominciare da

in quale misura. Anche questa som-ma elezione sacerdotale non può es-sere, nell’intenzione amorosa di Dio,anche se così carica di doveri e di re-sponsabilità, di pericoli e di fatiche,interpretata diversamente che comeun altissimo favore e un pensiero dimisericordia e di bontà. Anche se ilSignore, ancora una volta ed in mo-do singolarmente evidente, volesseproprio valersi della mia debolezzaper manifestare ed esercitare la suaazione salvatrice. Donde scaturisco-no due doveri, i quali, se non sonofacili ad animo infermo come il mio,sono però consolanti ed invitanti: lagratitudine e la fiducia.

4 — Vocazione di Pietro. Chi era.Come. Destinazione.

A fare questa meditazione nessunopotrebbe essere più impegnato dime; a capirla, a viverla. Signore,quale realtà, quale mistero!

Una cosa comprendo: si trattad’un favore, non d’un merito. Lameditazione comincia con una dove-rosa professione d’umiltà. È un’av-ventura, in cui tutto dipende da Cri-

dello Spirito passa, come attraversostrumento, attraverso il ministero ge-rarchico; anzi, nell’esercizio della po-testà di giurisdizione tale azione nonè sola ad operare, anche il ministrodiventa concausa ed agisce per virtùpropria (cfr. S. Th.). In Pietro l’assi-stenza dello Spirito Santo è eccezio-nale. Teologia meravigliosa.

Exi a me, quia homo peccatorsum!

Quale culto, quale devozione,quale amore sia da me dovuto alloSpirito Santo — 1) purificazione pro-fonda, totale, nei pensieri, nelle azio-ni, nel contegno — costa sforzo asce-tico — (cfr. Lallemant) — Non sem-pre la storia offre esempi edificanti;ma gli esempi, a cercarli, anche nellevite dei Papi, ci sono, anche sottoquesto aspetto umano e conoscibile.— Non sempre l’ambiente aiuta aconservare quella umiltà, quella sem-plicità, quella povertà di spirito,quella mondezza di sentimenti, quel-la disponibilità all’azione superioredella grazia, che pur sarebbero ne-cessarie per lo svolgimento della

Nessun ufficio è pari al mio impegnatonella comunione con gli altriIniziativa sempre vigilanteal bene altrui: politica papale

la meditazionela unionedi Cristo3 — Devo anche calco-

lare la somma dei benefi-ci ricevuti; e quanti, inogni ordine, naturale esoprannaturale, sociale,familiare, culturale, ecc. e

Chiesa, all’umanità. La posizione èunica. Vale a dire che mi costituiscein un’estrema solitudine. Era giàgrande prima, ora è totale e tremen-da. Dà le vertigini. Come una statuasopra una guglia; anzi una personaviva, quale io sono. Niente e nessu-no mi è vicino. Devo stare da me,fare da me, conversare con me stes-so, deliberare e pensare nel foro inti-mo della mia coscienza. Se la vita incomunità può essere penitenza, que-sta non lo è meno. Anche Gesù fusolo sulla Croce. Sentimmo allorach’Egli parlava con Dio ed esprime-va la sua desolazione: Eloi, Eloi...Anzi io devo accentuare questa soli-tudine: non devo avere paura, nondevo cercare appoggio esteriore, che

ognuno è mio prossimo. Quantabontà è necessaria! Ogni incontrodovrebbe provocarne una manifesta-zione. Simpatia per tutti; amore almondo: dilexit mundum. Preghieraed amore universali. Iniziativa sem-pre vigilante al bene altrui: politicapapale. Quale cuore è necessario.Cuore sensibile, ad ogni bisogno;cuore pronto, ad ogni possibilità dibene; cuore libero, per voluta pover-tà; cuore magnanimo, per ogni per-dono possibile, per ogni impresa ra-gionevole; cuore gentile, per ogni fi-nezza; cuore pio, per ogni nutrimen-to dall’alto.

comunitaria. Nessunufficio è pari al mioimpegnato nella co-munione con gli altri.Gli altri: questo miste-ro, verso il quale iodevo continuamentedirigermi, superandoquello della mia indi-vidualità, della miaapparente incomunica-bilità. Gli altri, che so-no miei; oves meas; edi Cristo. Gli altri,che sono Cristo: mihifecistis. Gli altri, chesono il mondo: sollici-tudo omnium ecclesia-rum. Gli altri, al cuiservizio io sono: et vosdebetis alter alteriuslavare pedes; confirmafratres tuos. Ecco:

Georges De La Tour, «La candela» (1638)

Donatello, «Annunciazione» (1435)

Bernardo Strozzi, particolare della «Consegna delle chiavi a san Pietro» (1635)

Il nuovo PapaJorge Mario Bergoglio

Il primo Papa americano è il gesuita ar-gentino Jorge Mario Bergoglio, 77 an-ni, arcivescovo di Buenos Aires. È unafigura di spicco dell’intero continente eun pastore semplice e molto amato nel-la sua diocesi, che ha girato in lungo e

in largo, anche in metropolitana e con gli auto-bus, nei quindici anni del suo ministero episco-pale.

«La mia gente è povera e io sono uno di lo-ro», ha detto più di una volta per spiegare lascelta di abitare in un appartamento e di prepa-rarsi la cena da solo. Ai suoi preti ha sempreraccomandato misericordia, coraggio apostolicoe porte aperte a tutti. La cosa peggiore che pos-sa accadere nella Chiesa, ha spiegato in alcunecircostanze, «è quella che de Lubac chiamamondanità spirituale», che significa «mettere alcentro se stessi». E quando cita la giustizia so-ciale, invita per prima cosa a riprendere in ma-no il catechismo, a riscoprire i dieci comanda-menti e le beatitudini. Il suo progetto è sempli-ce: se si segue Cristo, si capisce che «calpestarela dignità di una persona è peccato grave».

Nonostante il carattere schivo — la suabiografia ufficiale è di poche righe, almeno finoalla nomina ad arcivescovo di Buenos Aires — èdivenuto un punto di riferimento per le sueforti prese di posizione durante la drammatica

crisi economica che ha sconvolto il Paese nel2001.

Nella capitale argentina nasce il 17 dicembre1936, figlio di emigranti piemontesi: suo padreMario fa il ragioniere, impiegato nelle ferrovie,mentre sua madre, Regina Sivori, si occupa del-la casa e dell’educazione dei cinque figli.

Diplomatosi come tecnico chimico, scegliepoi la strada del sacerdozio entrando nel semi-nario diocesano di Villa Devoto. L’11 marzo1958 passa al noviziato della Compagnia di Ge-sù. Completa gli studi umanistici in Cile e nel1963, tornato in Argentina, si laurea in filosofiaal collegio San Giuseppe a San Miguel. Fra il1964 e il 1965 è professore di letteratura e psico-logia nel collegio dell’Immacolata di Santa Fé enel 1966 insegna le stesse materie nel collegiodel Salvatore a Buenos Aires. Dal 1967 al 1970studia teologia laureandosi sempre al collegioSan Giuseppe.

Il 13 dicembre 1969 è ordinato sacerdotedall’arcivescovo Ramón José Castellano. Prose-gue quindi la preparazione tra il 1970 e il 1971ad Alcalá de Henares, in Spagna, e il 22 aprile1973 emette la professione perpetua nei gesuiti.Di nuovo in Argentina, è maestro di novizi aVilla Barilari a San Miguel, professore presso lafacoltà di teologia, consultore della provinciadella Compagnia di Gesù e anche rettore delCollegio.

Il 31 luglio 1973 viene eletto provinciale deigesuiti dell’Argentina, incarico che svolge persei anni. Poi riprende il lavoro nel campo uni-versitario e, tra il 1980 e il 1986, è di nuovo ret-tore del collegio di San Giuseppe, oltre che par-roco ancora a San Miguel. Nel marzo 1986 vain Germania per ultimare la tesi dottorale; quin-di i superiori lo inviano nel collegio del Salva-tore a Buenos Aires e poi nella chiesa dellaCompagnia nella città di Cordoba, come diret-tore spirituale e confessore.

È il cardinale Antonio Quarracino a volerlocome suo stretto collaboratore a Buenos Aires.Così il 20 maggio 1992 Giovanni Paolo II lo no-mina vescovo titolare di Auca e ausiliare di Bue-nos Aires. Il 27 giugno riceve nella cattedralel’ordinazione episcopale proprio dal cardinale.Come motto sceglie Miserando atque eligendo enello stemma inserisce il cristogramma ihs, sim-bolo della Compagnia di Gesù.

Concede la sua prima intervista da vescovo aun giornalino parrocchiale, «Estrellita de Be-lém». È subito nominato vicario episcopale del-la zona Flores e il 21 dicembre 1993 gli è affida-to anche il compito di vicario generale dell’a rc i -diocesi. Nessuna sorpresa dunque quando, il 3giugno 1997, è promosso arcivescovo coadiutoredi Buenos Aires. Passati neppure nove mesi, allamorte del cardinale Quarracino gli succede, il28 febbraio 1998, come arcivescovo, primate diArgentina e ordinario per i fedeli di rito orienta-le residenti nel Paese e sprovvisti di ordinariodel proprio rito.

Tre anni dopo, nel Concistoro del 21 febbraio2001, Giovanni Paolo II lo crea cardinale, asse-gnandogli il titolo di san Roberto Bellarmino.Invita i fedeli a non andare a Roma per festeg-giare la porpora e a destinare ai poveri i soldidel viaggio. Gran cancelliere dell’UniversitàCattolica Argentina, è autore dei libri Me d i t a c i o -nes para religiosos (1982), Reflexiones sobre la vidaapostólica (1986) e Reflexiones de esperanza(1992).

Nell’ottobre 2001 è nominato relatore genera-le aggiunto alla decima assemblea generale ordi-naria del Sinodo dei vescovi, dedicata al mini-stero episcopale. Un compito affidatogli all’ulti-mo momento in sostituzione del cardinale Ed-ward Michael Egan, arcivescovo di New York,costretto in patria per via degli attacchi terrori-stici dell’11 settembre. Al Sinodo sottolinea inparticolare la «missione profetica del vescovo»,il suo «essere profeta di giustizia», il suo doveredi «predicare incessantemente» la dottrina so-ciale della Chiesa, ma anche di «esprimere ungiudizio autentico in materia di fede e dimorale».

Intanto in America latina la sua figura diven-ta sempre più popolare. Nonostante ciò, nonperde la sobrietà del tratto e lo stile di vita rigo-roso, da qualcuno definito quasi «ascetico».Con questo spirito nel 2002 declina la nomina apresidente della Conferenza episcopale argenti-na, ma tre anni dopo viene eletto e poi riconfer-mato per un altro triennio nel 2008. Intanto,nell’aprile 2005, partecipa al conclave in cui èeletto Benedetto XVI.

Come arcivescovo di Buenos Aires — dio cesiche ha oltre tre milioni di abitanti — pensa a unprogetto missionario incentrato sulla comunionee sull’evangelizzazione. Quattro gli obiettiviprincipali: comunità aperte e fraterne; protago-nismo di un laicato consapevole; evangelizza-zione rivolta a ogni abitante della città; assisten-za ai poveri e ai malati. Punta a rievangelizzareBuenos Aires «tenendo conto di chi ci vive, dicom’è fatta, della sua storia». Invita preti e laicia lavorare insieme. Nel settembre 2009 lancia alivello nazionale la campagna di solidarietà peril bicentenario dell’indipendenza del Paese: due-cento opere di carità da realizzare entro il 2016.E, in chiave continentale, nutre forti speranzesull’onda del messaggio della Conferenza diAparecida nel 2007, fino a definirlo «l’Evangeliinuntiandi dell’America Latina».

Fino all’inizio della sede vacante era membrodelle Congregazioni per il Culto Divino e laDisciplina dei Sacramenti, per il Clero, per gliIstituti di vita consacrata e le Società di vitaapostolica; del Pontificio Consiglio per la Fami-glia e della Pontificia Commissione per l’Ameri-ca Latina.

Fregio di Isabella Ducrot per L’Osservatore Romano

Il saluto a Benedetto XVI durante l’udienza di congedo dal collegio cardinalizio (28 febbraio)