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Il Silenzio quotidiano
di Giulio Iudicissa
Un tempo era cosa abbastanza normale
ed anche buona. Non era regola scritta e
neanche insegnata, era così e basta, co-
me le stagioni, il lavoro, i bisogni prima-
ri, gli affetti, l‟amore. Il silenzio non era
imposto, era nella natura delle cose, fa-
ceva parte della vita: silenzio nella con-
trora, silenzio di notte, silenzio dinanzi a
una bara, silenzio nelle biblioteche, si-
lenzio in chiesa. A volte si esagerava, ma
era, questa, una eccezione. Nel silenzio si
ascoltava, si contemplava, si scavava nel
cuore, si pregava, si coglieva un raggio di
verità. Il silenzio era un buon compagno,
recava conforto e persuasione. Parola,
suoni e canti c‟erano pure, ma avevano i
loro tempi, le loro cadenze, i loro spazi.
Si alternavano, si alimentavano recipro-
camente, si esaltavano a vicenda. C‟era
momento e momento e, tra l‟uno e
l‟altro, non v‟era conflitto. Autoritari-
smo? Costrizione? Per carità, non cadia-
mo nel banale. Offenderemmo filosofia,
psicologia, pedagogia e tante altre disci-
pline, che, nel loro antico impianto robu-
sto, hanno sottratto l‟uomo al bisogno,
educandolo. Ben vengano, dunque, le
musiche e i canti, ben vengano i suoni ed
anche i rumori, ma assegniamo loro tem-
pi opportuni e luoghi convenienti, per
dare ad ogni cosa il senso, che madre na-
tura e i millenni le hanno assegnato.
Qualcuno provvidamente sostiene che il
silenzio è quasi un tratto d‟unione tra il
divino e l‟umano.
Nuova Corigliano - Fondato da Mimmo Longo Responsabile Don Vincenzo Longo - Autorizzazione Tribunale Rossano N° 64 del 28.06.1995
Anno III, N. 27, 15 Febbraio 2018
Nel 70° anniversario dell‟entrata in vigore della Costituzione
una breve guida alla comprensione dei suoi primi 12 articoli
relativi ai „Principi fondamentali‟
Art. 1: la democrazia attraverso il lavoro
Gianfranco Macrì (Università degli Studi di Salerno)
La democrazia repubblicana ha deciso di accogliere il lavoro come suo “fondamento” (art. 1,
co. 1, Cost.). E ha deciso di farlo sulla base di un‟idea precisa, quella secondo cui, in un re-
gime aperto a tutti (“L’Italia è una Repubblica democratica”), il lavoro, in tutte le sue manife-
stazioni, costituisce fattore di unità e di inclusione. In questa prospettiva politica (nel senso
di responsabilità verso la pòlis) la Costituzione esclude che il lavoro diventi condizione servi-
le (verso vecchie e nuove forme di sudditanza sociale) e si affermi, al contrario, quale stru-
mento di elevazione materiale e spirituale della persona. Ma la Costituzione ha voluto qual-
cosa di più: non c‟è, infatti, “esistenza libera e dignitosa” (art. 36, Cost.) se il lavoro perde
valore di fronte alla persona e se, in assenza di lavoro, la Repubblica (cittadini e istituzioni
insieme) non si prodiga in azioni finalizzate a creare nuove opportunità di impiego (art. 3,
comma 2 Cost.) e adeguati sostegni sociali. Si tratta, perciò, di un altissimo bene-valore che
“pretende” scelte politiche congruenti dirette non solo a proteggerne la sempre possibile de-
costruzione (specie in tempi di crisi) ma anche a rafforzare quella parte della Costituzione
dedicata nello specifico ai diritti inerenti la sfera economica (artt. 35-47 Cost.). Per cui, quel
“fondata sul lavoro” è parola che si regge in virtù del principio democratico, il cui connotato
politico ha bisogno, per dare il meglio di sé, di canali espansivi della sovranità popolare, tra
cui le dinamiche organizzative del mondo del lavoro. Si tratta di una sovranità a cerchi con-
centrici, che non esclude né si oppone; che aggrega quote di partecipazione – oggi più che
mai numerose – in virtù di una predisposizione ontologica al rafforzamento della democrazi-
a. Questa forza espansiva della sovranità democratica deriva da presupposti contenuti nella
stessa Costituzione (art. 11), voluti dai padri fondatori al fine di stabilire cosa fosse realmen-
te “fondamentale” per assicurare la tenuta pluralistica della società italiana: la cooperazione,
il rispetto dei diritti fondamentali, la pace, etc. Di fronte ai problemi dell‟attualità (economia,
terrorismo, corruzione, etc.) e a chi suggerisce soluzioni ai margini della Costituzione, a pro-
va (quasi) di “legalità costituzionale” – perché il popolo ce lo chiede (lo spettro del populi-
smo) – occorre ribadire il dovere di tornare a riflettere sulla capacità della democrazia costi-
tuzionale di assorbire queste tensioni e di incanalare le risposte necessarie attraverso un e-
sercizio del potere (della sovranità) coerente con le “forme e i limiti” della Costituzione stes-
sa (art. 1, comma 2). Il rischio di un governo della società sganciato da processi politici aper-
ti è la sfida più complessa alla quale tutti i cittadini sono chiamati.
2
Il Partito Popolare Italiano
compie gli anni
di Francesco Capocasale
Ricorre il 99/o anniversario della fondazione
del Partito Popolare Italiano, costituito a Roma
il 18 gennaio del 1919; in quella occasione
venne diffuso l‟appello ai „liberi e forti‟, manife-
sto programmatico del partito di don Luigi Stur-
zo, il quale è stato ed è tuttora un “punto fer-
mo” per quanti, da cattolici, intendono la politi-
ca o l‟impegno sociale in termini di servizio alle
comunità locali. Scriveva, don Luigi, nel perio-
do immediatamente antecedente alla nascita
del PPI, che “l‟impegno socio/politico dei catto-
lici andava sempre ricondotto alle finalità natu-
rali della politica, ovvero la carità e il servizio”.
Sturzo si formò da giovane Sacerdote nella let-
tura attenta della „Rerum Novarum‟ di Leone
XIII, pietra miliare della dottrina sociale della
Chiesa, impegnandosi poi e attivamente nelle
autonomie locali come Pro Sindaco di Caltagi-
rone, sua città natale e anche come Consiglie-
re provinciale di Catania.
Nell‟appello ai “liberi e Forti”, veniva sottolinea-
to che “non si intendeva impegnare direttamen-
te la Chiesa, ma soltanto alcuni cattolici italiani
per una Politica che diventa l‟espressione so-
ciale di quanto si vive interiormente nella di-
mensione cristiana”. È questo un passaggio/
dichiarazione, nello stesso tempo di laicità ov-
vero di rispetto dello Stato e delle Istituzioni ma
anche di convinta adesione ad una più ampia
trama di valori ideali, culturali e religiosi per da-
re, come si dice oggi, un‟anima alla Politica. La
sua tenacia gli consentì di creare un
“capolavoro di organizzazione politica”, riunen-
do dalla Lombardia alla Sicilia, le diverse e già
esistenti esperienze associative dei cattolici ita-
liani, aggregandole nel PPI.
Il PPI si affermò anche in Calabria dove, co-
munque, l‟esperienza sociale e associativa dei
cattolici era già diffusa con sacerdoti come don
Carlo De Cardona e don Luigi Nicoletti e con
l‟Avv. Lugi Agostino Caputo, che fu tra i sotto-
scrittori dell‟appello per il nuovo partito: un par-
tito “aconfessionale”, benché ancorato alla dot-
trina sociale della Chiesa. Emblematica, a que-
sto riguardo, la proposta del PPI per
“l‟azionariato operaio” non recepita da Giolitti e
che caratterizzava il movimento sturziano, con-
siderato il contesto storico. Don Sturzo eviden-
ziò, infatti, in quel periodo, a seguito della fon-
dazione del PPI, la necessità di “una coscienza
politica di un partito nazionale operante e colle-
gato da un capo all‟altro d‟Italia, nella fiducia
operativa delle persone e nella coesione spiri-
tuale”. Nel congresso del PPI tenutosi a Napoli
nel 1923, parlando della questione meridiona-
le, nel discorso considerato dagli storici il punto
più alto dell‟analisi meridionalistica sturziana,
veniva sottolineato che occorreva “una politica
forte e razionale orientata al bacino mediterra-
neo, atta a creare al Mezzogiorno un hinterland
che va dal Nord Africa, all‟Albania, alla Spa-
gna, all‟Asia, per dare la spinta al Sud e creare
maggiore sviluppo in una nuova politica econo-
mica mediterranea”
Sturzo lasciò l„Italia il 1924, con passaporto ri-
lasciato dalla Santa Sede, rifiutando di chiede-
re quello governativo e vivendo in esilio per 22
anni prima in Inghilterra e poi negli Usa, in
quanto deciso oppositore del Fascismo. Cercò,
durante il periodo iniziale del Fascismo, pur-
troppo non riuscendoci, di fare abbandonare
agli altri antifascisti italiani la posizione sterile
dell‟Aventino; se fosse stato ascoltato, a segui-
to di gravi episodi di violenza culminati
nell‟uccisione di don Giovanni Minzoni prima e
poi di Giacomo Matteotti e che avevano messo
in seria difficoltà il movimento mussoliniano,
forse la storia sarebbe andata diversamente, in
quanto ancora non si era registrato il c. d. con-
senso di massa a Mussolini. Ma la storia non si
fa con i forse né con i se o con le ipotesi e
Sturzo fu costretto a lasciare l‟Italia, tornando a
guerra finita, nel 1946, dopo la celebrazione
del referendum istituzionale.
Vale per Sturzo sacerdote, quanto affermò Pa-
pa Giovanni Paolo II: “seppe infondere ai catto-
lici italiani il senso del diritto/dovere della parte-
cipazione alla vita sociale e politica”.
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Buone notizie per il territorio
di Carlo Caravetta
Nei giorni scorsi il Presidente del Consiglio dei
Ministri, Paolo Gentiloni, ha firmato il decreto
per l‟attuazione della Zona economica speciale
(Zes) della Calabria. Prima dell’entrata in vigo-
re, il provvedimento dovrà subire alcune verifi-
che, dopo di che si passerà alla fase attuativa.
La Zes calabrese, interesserà un‟area di circa
2.467 ettari, dei quali 1.000 sono destinati
all‟area portuale di Gioia Tauro e i restanti
1.467 saranno suddivisi fra il Porto di Crotone
e il Porto di Corigliano Rossano.
Per comprendere bene la portata di questo
provvedimento bisogna capire che cos‟è una
Zona ad Economia Speciale. Una Zes è una
zona geografica ben identificata e delimitata
che deve comprendere al suo interno almeno
un‟area portuale. Le aree Zes hanno lo scopo
di favorire lo sviluppo delle imprese già esi-
stenti o di quelle che si insedieranno nell‟area
in un secondo momento, specialmente se vo-
cate al commercio con l‟estero. Per consentire
lo sviluppo economico del territorio, le aree Zes
godono di importanti agevolazioni fiscali e di
carattere amministrativo e burocratico, in modo
tale da essere particolarmente attrattive per in-
vestimenti provenienti dall‟estero. Appare evi-
dente come lo sviluppo economico di un‟area
Zes si possa estendere a macchia d‟olio anche
nelle aree contigue, innescando un circolo vir-
tuoso che coinvolge tutto il territorio. Si tratta,
pertanto, di un provvedimento importante per
la nostra città e per tutta la Sibaritide.
Un‟altra notizia positiva riguarda la consegna
dei lavori per la realizzazione dell‟Ospedale u-
nico di Corigliano Rossano. E‟ una notizia che
si aspettava da molto tempo, che ha avuto più
di un rinvio a causa di problemi di varia natura
che hanno coinvolto l‟impresta aggiudicataria
dell‟appalto. In questo caso, però, l‟ottimismo è
contenuto, se non addirittura mitigato da una
buona dose di scetticismo. Scetticismo che è
giustificato dall‟esiguità delle somme messe a
disposizione dalla Regione, che servirebbero a
malapena per una sommaria sistemazione
dell‟area sulla quale l‟ospedale dovrà sorgere.
Insomma, sono in molti a pensare che si tratti
di un provvedimento elettorale che non è desti-
nato a risolvere minimamente tutti i problemi
connessi alla realizzazione dell‟opera.
Buone notizie, finalmente, anche sul fronte po-
litico. Le liste elettorali, presentate dai partiti n
vista delle elezioni politiche del 4 marzo prossi-
mo, presentano (ad eccezione del Partito De-
mocratico) numerosi candidati del territorio sia
nei listini, sia nei collegi. Una circostanza che,
per la particolarità della legge elettorale, ci può
permettere di affermare, con buona approssi-
mazione, che nel prossimo parlamento ci sa-
ranno, fra Corigliano e Rossano, quattro fra de-
putati e senatori.
Se, per finire, aggiungiamo che il primo di mar-
zo sarà istituita la città di Corigliano Rossano,
possiamo sicuramente affermare che la nuova
Città nascerà sotto i migliori auspici.
3
Mons. Don Serafino, dotato di tante virtù, ec-
celleva nell‟amore ai Sacerdoti. Padre, ma in-
nanzitutto fratello, che con umiltà e discrezio-
ne si accompagnava ad ogni presbitero. Gioia
emanava il suo volto, quando incontrava uno
di noi.
Caratteristica del suo agire era la pazienza.
Per la Madre di Dio aveva parole sublimi: è
stato e rimane il Vescovo della Madonna.
Quanti episodi ricordo di Lui! Ne riporto uno.
Era la vigilia di Natale. La sera della notte
santa, dopo aver sistemata la chiesa, mi sono
ritirato a casa, per prendere un boccone, ripo-
sare e ritornare per la Messa di mezza-
notte. Vicino al caminetto di casa, oltre
a mio padre e mia madre, vedo le spal-
le di un prete. Mi accosto e chi era?
Mons. Sprovieri. “Mons., come mai sie-
te qui?” Don Serafino, porgendomi un
panettone e una bottiglia di spumante,
rispose: “Oggi, non ti ho visto con gli
altri Preti e sono venuto a vedere co-
me stai”. Commosso, baciai le sue mani. Lo
stesso fecero mio padre e mia madre, i quali
non lo conoscevano.
In attesa che pubblichi un libretto, trascrivo
una lettera, che mi mandò in un momento dif-
ficile della mia vita.
Don Vincenzo carissimo,
dopo aver pianto tutte le lacrime ed aver pre-
gato tutte le preghiere, in questo giorno, in cui
celebriamo l’amore del Cuore di Cristo, sento
il bisogno di ringraziarVi di tutto il bene fatto
con rettitudine e spirito di sacrificio, che il Si-
gnore non mancherà di ricompensare.
Vorrei tanto che la ricompensa non fosse dila-
zionata alla vita eterna, ma fasciasse di tene-
rezza quest’ora lunga di sofferenza e prova,
insieme fisica e morale.
Con tutto il mio affetto imploro su di voi una
larghissima benedizione dall’augusta Regina
di tutte le grazie, confidando che Ella vi sarà
vicina come non abbiamo saputo esserlo noi.
Con immutata stima e nell’invincibile speranza
che le riserve di bontà, nascoste ora nel vo-
stro profondo, ritrovino la chiarezza del sentie-
ro della perfezione, perseguito nei vostri gio-
vani anni, nonostante l’amarezza di questi
mesi misteriosi.
Vogliate perdonarmi in ciò che non vi
ho capito, pregando insieme che vinca
su tutto il legame indissolubile con cui
Cristo ci ha saldati al suo amore salvi-
fico.
Rossano, 28 giugno 1984
Don Serafino
La Newsletter di Franco Pistoia
Mariano Rende
“Lascia un ricordo di educazione civica. Una cosa che oggi
forse conta poco, ma che è il magma della politica”. Così
scrive Mario Campanella su Il Dispaccio di Cosenza in da-
ta 9 gennaio 2018.
Mariano Rende: un politico lontano dalle passerelle, riser-
vato, serio. Ricco di umanità. Ricco di un profondo senso
dell‟amicizia. Aperto alle novità, ma rigoroso e coerente.
Con Guarasci, Misasi, Pietro Rende e tanti altri ha lavorato
con impegno per una Calabria migliore. Militante nella si-
nistra di Base della DC, in dialogo con le forze politiche
della sinistra, ha scritto pagine belle di storia della Regio-
ne con iniziative sempre ispirate, in piena autonomia e lai-
cità, ai valori della Dottrina sociale della Chiesa. Assessore
regionale stimato e apprezzato.
A Corigliano ha riservato attenzione costante. La Scuola
Media „Toscano‟ e altre strutture educative sono frutto del
suo impegno. Frutto del suo impegno l‟atto di compra-
vendita del Castello Ducale: mette conto ricordare che per
il Castello il Comune non ha speso una lira (e l‟avv. Franco
Scarcella, incaricato di seguire la pratica, non ha presenta-
to parcella alcuna), grazie a un finanziamento regionale a-
deguato. Una parte significativa Mariano Rende ha avuto
anche nella promozione del Convegno sulle antichità cri-
stiane nella Sibaritide, con cui si dava inizio alla
“primavera culturale” di Corigliano.
Ma – duole dirlo – gli elettori coriglianesi non sono stati
con lui generosi.
In ricordo di Mons. Serafino Sprovieri, Vescovo saggio, salito in Cielo il 3 gennaio di questo anno
di don Vincenzo Longo
Cara madrina Rosetta Albamonte Paura
ti invio, col cuore, un pensiero, che è anche ricordo e preghiera.
Ci siamo incontrati l’ultima volta, a dicembre, insieme al compa-
re Ernesto, nello slargo, a te caro, del Santuario di S. Francesco.
Una volta, io ero bambino, nello stesso posto ci siamo scambiati
gli auguri per il nuovo anno. Nell’occasione, ricordo, ai baci e al-
le belle parole hai aggiunto anche la strenna.
Eri buona, cara madrina. Il tuo portamento austero d’una donna
aristocratica d’altri tempi ti faceva, forse, apparire severa, ma io,
ho sempre colto nei tuoi occhi tanta dolcezza. Mi piaceva il tuo
passo lento, apprezzavo il tuo fare discreto, ammiravo il tuo ca-
rattere: mai una parola di troppo, sempre un buon consiglio, sus-
surrato con garbo.
Madre premurosa e sposa esemplare, maestra virtuosa, hai porta-
to nella professione la probità, che usavi nel governo della tua ca-
sa. La tua casa: sempre linda, ordinata. Ogni cosa al suo posto,
secondo la buona regola delle famiglie d’un tempo.
Chi ti ha conosciuta, ti ha portato stima ed affetto, sicuramente
meritati. Lasci, perciò, un bel nome ai tuoi familiari e tanti vir-
tuosi esempi alle persone, che sono state con te in questo viaggio
terreno. Mi sarà sempre caro il tuo ricordo, cara madrina Rosetta.
Mario Iudicissa
4
Ti racconto la storia di Corigliano di Giulio Iudicissa
Nono Capitoletto - Il Milleottocento (prima parte)
Dura cento anni il 1800, come d’altra parte tutti i
secoli precedenti, ma, vuoi perché a noi più vici-
no, vuoi perché più numerose sono le testimo-
nianze, vuoi perché di fatti ne accadono vera-
mente tanti, a guardarlo ci sembra come un ro-
manzo con molti capitoli e tutti densi ed impor-
tanti.
Esso inizia, purtroppo, con un evento tragico.
Corigliano, che ora conta 8mila abitanti, viene
messa a ferro e a fuoco dai Francesi.
Procediamo con ordine. È l’1 agosto del 1806 ed
i Francesi, provenienti da S. Eufemia e condotti
dal gen. Reynier, arrivano ai piedi del paese e
s’accampano al Pendino. Tramite i loro emissari,
chiedono di entrare in Corigliano, per rifocillarsi
e riposare, in verità per occuparla. Nelle loro file
milita un soldato coriglianese di nome Alessan-
dro Crisafi, il quale si adopera prima per convin-
cere i concittadini ad accogliere i Francesi e do-
po per convincere i Francesi a risparmiare la cit-
tà. Non riesce, purtroppo, in nessuna delle due
cose. I Saluzzo godono di grande autorità e di
conseguenza risulta più forte il partito dei filo-
borbonici, che decidono di combattere fino alle
estreme conseguenze. La resistenza è tenace, ma
gli assalitori, più numerosi e bene armati, hanno
la meglio. Il 2 agosto, con un’azione a tenaglia, i
Francesi entrano in paese dalla parte del Lecco,
dove adesso è l’Ariella, e dalla Giudecca, dove
oggi è il rione di S. Maria. I palazzi incendiati,
tra cui il Municipio, nonché i morti ed i feriti di
ambo le parti non si contano. Dicono le cronache
che tra i morti francesi ci sia anche un certo Be-
auharnais, imparentato a Napoleone. Per Cori-
gliano questa è la tragedia più grave della sua
lunga storia.
Il dominio francese sul paese, così come su tutto
il Meridione, dura all’incirca dieci anni, fino al
1815. Indubbiamente, in quest’epoca, vengono
introdotte tante novità, soprattutto, nel campo
legislativo. Tante sono anche le realizzazioni
concrete.
Innanzitutto, vengono ampliate le funzioni del
Sindaco, che comincia ad assomigliare a quello
che è oggi. Prima della riforma francese, infatti, i
Sindaci ci sono, sì, ma amministrano solo le fi-
nanze del comune, coadiuvati da un Governatore
e da un Mastrogiurato, responsabili della giusti-
zia e dell’ordine pubblico.
In pratica, comincia proprio ora la lenta uscita
dal sistema feudale, che qui, è ancora diffusa-
mente resistente. Vengono maggiormente tutelati
i diritti della persona, crescono le scuole ed i ser-
vizi, molti terreni dei nobili e tanti edifici della
Chiesa vengono incamerati dai Comuni e riven-
duti a piccole quote o destinati a pubblica utilità.
Inizia così la famosa quotizzazione delle terre,
con la quale si vogliono togliere ai ricchi signori
le terre incolte, per darle ai nullatenenti. Natural-
mente, tutto ciò avviene tra grandi difficoltà, per-
ché da una parte i signori oppongono mille resi-
stenze e dall’altra i piccoli assegnatari si ritrova-
no senza i necessari mezzi per mandare avanti la
piccola, nuova proprietà. La questione va avanti
tra liti e processi per tutto il secolo ed arriva al
primo decennio del 1900. Il risultato? Pochi,
purtroppo, i nullatenenti, che riescono a diventa-
re proprietari e molti i proprietari, che, con le u-
surpazioni e con il denaro, diventano più ricchi
di prima. Ma anche se di poco, qualcosa sta cam-
biando.
Non va dimenticato che in questi anni, imperver-
sa il triste fenomeno del brigantaggio, presente
purtroppo in tutto il Meridione. A Corigliano, an-
zi, si verifica un caso, forse, unico: incontriamo
sei briganti in una stessa famiglia.
Della dominazione francese Corigliano conserva
il ricordo anche nella lingua. Tra l’altro, ancora
oggi, una parte del rione di S. Maria, già sede del
bureau, cioè degli uffici francesi, viene denomi-
nata bbirò.
E i Saluzzo che fanno? Certamente non se la
passano bene. Con le riforme introdotte dai Fran-
cesi perdono fette consistenti di terreni e vedono
diminuire i loro introiti. Giacomo Saluzzo, filo-
borbonico come tutta la famiglia, gioca l’ultima
carta, sposando Clotilde Murat, nipote di Gioac-
chino, Re di Napoli, ma la situazione è troppo
deteriorata. Ad un certo punto, i Saluzzo
s’indebitano tanto che sono costretti a vendere il
feudo a Giuseppe Compagna, loro creditore. Il
Compagna, comprando dai Saluzzo anche un
piccolo feudo nel napoletano, acquista il titolo di
Barone. Corigliano passa così dai Duchi Saluzzo
ai Baroni Compagna. Finisce un’altra epoca. E’
l’anno 1828.
Il 1800, insomma, inizia in mezzo ad una grande
confusione. Alcuni guai certamente dipendono
dagli uomini, come nel caso della tragedia del
1806; altri dipendono un po’ dagli uomini ed un
po’ dalla natura, come nel caso della malaria, che
diventa più aggressiva, in questi anni, nella pia-
nura circostante; altri ancora dipendono solo dal-
la natura e, purtroppo, vanno accettati con pa-
zienza, come nel caso del famoso terremoto del
1836.
Il 25 aprile di quest’anno il paese, infatti, alle sei
del mattino, trema in maniera violenta. La gente
qui è abituata alle scosse, ma questa volta lo spa-
vento è più grande del solito. Molti sono gli edi-
fici danneggiati e molti sono i feriti. Purtroppo,
si registrano anche due morti. A sentire le notizie
che arrivano dai paesi vicini, Corigliano può rite-
nersi fortunata. Da allora, per ringraziare S.
Francesco del soccorso ricevuto, i Coriglianesi
celebrano in suo onore la grande festa patronale,
che dura tre giorni, dal 23 al 25 aprile, con lumi-
narie, musica e fuochi pirotecnici.
Intanto, nello stesso periodo, in Italia, scop-
piano i primi, sanguinosi Moti risorgimentali
per la sognata conquista dell’indipendenza e
dell’unità di tutta la penisola. E in Corigliano
che si fa? Quello che si fa in tutti gli altri co-
muni. I più restano indifferenti, forse per i-
gnoranza o per mancanza di informazioni, ma
c’è qualcuno anche qui che sogna un’Italia
libera con una sola bandiera dalle Alpi alla
Sicilia. Così, quando arriva, sia nel 1820 che
nel 1848, la notizia che il sovrano di Napoli
concede la costituzione, i patrioti, quelli che
aderiscono alla locale Carboneria, fanno festa
grande e si radunano nella chiesa di S. Pietro
per una Messa solenne di ringraziamento. Al-
la gioia, purtroppo, segue la delusione, ma
essi non si arrendono, anzi, cercano di raffor-
zare i collegamenti con i comitati che vanno
formandosi nei paesi vicini. Quando nel mag-
gio del 1860 parte la Spedizione dei Mille,
Corigliano è presente. Da qui, infatti, una squa-
dra di volontari va ad unirsi alle truppe garibaldi-
ne e riesce anche a farsi onore, tanto è vero che
Giuseppe Garetti, loro comandante, viene pro-
mosso, per meriti sul campo, addirittura Capita-
no. (continua)
Santuario di S. Francesco
ft Mario Iudicissa