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S peciale Bimestrale edito da La Libera Compagnia Padana Gennaio-Aprile 2007 Spedizione in abbonamento postale: Pubbl. 70% - Filiale Novara S peciale Speciale Gianfranco Miglio: le interviste Anno XIII - N. 69-70 - Gennaio-Aprile 2007 Anno XIII 69-70 G G I I A A N N F F R R A A N N C C O O M M I I G G L L I I O O : : L L E E I I N N T T E E R R V V I I S S T T E E

Gianfranco Miglio: le interviste Speciale · Le interviste a Gianfranco Miglio L’inestimabile patrimonio di un uomo di straordinario coraggio di Alessandro Vitale “Proprio da

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Speciale

Bimestrale edito da La Libera Compagnia Padana ● Gennaio-Aprile 2007

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INDICE

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10-1990 Rai . . . . . . . . . . . . . . . . . . .307-12-90 Europeo . . . . . . . . . . . . . . .4

24-05-91 Europeo . . . . . . . . . . . . . . .721-06-91 Europeo . . . . . . . . . . . . . . .904-08-91 L’Espresso . . . . . . . . . . .1012-10-91 Il Giornale . . . . . . . . . . . .12

09-02-92 L’Espresso . . . . . . . . . . .1308-04-92 Il Messaggero . . . . . . . . .1419-04-92 L’Espresso . . . . . . . . . . .1612-05-92 Corriere della Sera . . . . .1729-05-92 Europeo . . . . . . . . . . . . .2024-07-92 Europeo . . . . . . . . . . . . .23

13-01-93 L’Italia . . . . . . . . . . . . . . .2507-03-93 L’Espresso . . . . . . . . . . .2609-06-93 Il Giorno . . . . . . . . . . . . .2821-08-93 Televisione ungherese . .3014-09-93 Alto Adige . . . . . . . . . . . .3129-09-93 La Repubblica . . . . . . . . .3429-09-93 La Stampa . . . . . . . . . . . .3624-10-93 L’Espresso . . . . . . . . . . .3717-12-93 Lega Nord . . . . . . . . . . . .3831-12-93 Panorama . . . . . . . . . . . .4040-1993 Famiglia Cristiana . . . . . .43

26-01-94 Gazzetta Ticinese . . . . . .4528-01-94 L’Espresso . . . . . . . . . . .4706-02-94 Il Giornale . . . . . . . . . . . .4907-03-94 La Prealpina . . . . . . . . . .5113-04-94 Lega Nord . . . . . . . . . . . .5416-04-94 Panorama . . . . . . . . . . . .5519-04-94 Il Giorno . . . . . . . . . . . . .5722-05-94 Corriere della Sera . . . . .5916-06-94 L’Indipendente . . . . . . . .6010-08-94 La Stampa . . . . . . . . . . . .6125-10-94 La Voce . . . . . . . . . . . . . .631994 Quale federalismo . . . . .65

20-01-95 Il Giornale . . . . . . . . . . . .72

06-05-95 La Nazione . . . . . . . . . . .7318-05-95 L’Indipendente . . . . . . . .7724-05-95 Il Giornale . . . . . . . . . . . .8027-07-95 Corriere della Sera . . . . .8131-07-95 Mondo Economico . . . . .8202-09-95 L’Indipendente . . . . . . . .8424-11-95 Il Giornale . . . . . . . . . . . .8501-12-95 Il Giorno . . . . . . . . . . . . .86

06-05-96 Il Giornale . . . . . . . . . . . .8907-05-96 Corriere del Ticino . . . . . .9007-05-96 Il Giornale . . . . . . . . . . . .9212-05-96 Epoca . . . . . . . . . . . . . . .9414-05-96 Il Giornale . . . . . . . . . . . .9604-06-96 Il Giornale . . . . . . . . . . . .9708-06-96 L’Adige . . . . . . . . . . . . . .9912-06-96 Il Giornale . . . . . . . . . . .10020-08-96 Il Giornale . . . . . . . . . . .10219-09-96 Panorama . . . . . . . . . . .1037-1996 Quaderni Padani . . . . . .103

04-01-97 Il Messaggero . . . . . . .10813-02-97 Corriere della Sera . . . .10929-04-97 Il Messaggero . . . . . . .11114-05-97 Corriere della Sera . . . .11230-05-97 Corriere della Sera . . . .11321-10-97 Il Gazzettino . . . . . . . . .1141997 Il Risorgimento

imperfetto . . . . . . . . . .115

25-01-98 La Provincia di Como . .11904-03-98 Radio Bergamo . . . . . . .12112-04-98 Il Corriere di Como . . . .1233-1998 Genova-Liguria . . . . . . .12404-08-98 La Stampa . . . . . . . . . .12604-08-98 La Padania . . . . . . . . . .12704-08-98 Il Giornale . . . . . . . . . . .128

20-03-99 Il Giornale . . . . . . . . . . .129

15-06-00 La Padania . . . . . . . . . .133

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Contrariamente a quello che è accaduto nel-l’opera di altri studiosi di grande levatura, leinterviste occupano nell’eredità intellettuale

di Gianfranco Miglio un posto fondamentale erivestono un’importanza straordinaria. Dissemi-nate a centinaia nell’arco della sua lunga carrie-ra, ma concentrate soprattutto negli ultimi,straordinari quindici anni della sua vita, sono ditipi molto differenti: da quelle più complessepubblicate su riviste specializzate nella teoriapolitica, a quelle divenute autentici libri autono-mi nei quali l’intervistatore opera solo come ‘ti-mone’ nell’orienta-mento della navigazio-ne nello sterminatooceano di conoscenzedell’Autore, a quellepiù legate alla provoca-zione immediata e allapubblicistica politica.In tutte però risaltanosempre la cifra im-mancabile dell’intelli-genza, della vivacitàintellettuale, i riferi-menti (persino in sediimpensate e ostiche)alla sua attività di stu-dioso e di formidabiledivulgatore di concettie di conoscenze diffici-

li. In tutte si ritrovano riferimenti alle sue sco-perte scientifiche, anche se accompagnati daespressioni molto alla mano, correnti nel lin-guaggio quotidiano e dal suo ben noto gusto peril paradosso e per l’humour di stile anglosasso-ne, spesso troppo sottili per essere veicolati eadeguatamente compresi attraverso i mezzi dicomunicazione di massa, che distorcono tutto epiuttosto che a ‘informare’, tendono a ‘formare’le opinioni, in quanto strumento di potere.

Le interviste a Miglio costituiscono un grandepatrimonio lasciato da un uomo di grande co-

raggio, abituato a di-re, da autentico scien-ziato, quello che sa equello che pensa, sen-za alcun riguardo perle reazioni scomposteo isteriche di coloroche preferiscono tene-re nascoste verità irri-tanti e scomode per ipropri vantaggi perso-nali e per le propriemalguadagnate fortu-ne. Grazie alle intervi-ste è più facile rico-struire il suo percorsoscientifico, il suo pen-siero, la sua figurastraordinaria di gran-

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Le interviste a Gianfranco Miglio

L’inestimabile patrimonio di un uomo

di straordinario coraggiodi Alessandro Vitale

“Proprio da anticonformisti geniali la società ha ricevuto gli impulsi più straordinari”.

Irenäus Eibl-Eibesfeldt

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de critico della vita politica. Esse inoltre, fin daquelle iniziali, consentono di colmare i vuoti fraun suo scritto scientifico e un altro, dovuti adassenza di tempo, tipica soprattutto degli ultimidieci anni o a mancanza di completezza delladocumentazione, per lui condizione imprescin-dibile ma spesso difficile da raggiungere, perscrivere un saggio intero. In esse però, soprat-tutto in quelle diventate libri (Una Costituzioneper i prossimi trent’anni; Padania-Italia; Fede-ralismo e secessione, ecc.) si trovano, in innu-merevoli passi, formidabili intuizioni, elabora-zioni e soluzioni estemporanee di problemi diffi-cili, veri e propri appigli per intraprendere nuo-ve vie di ricerca. Le interviste più legate alla si-tuazione politica contingente invece, presentanopiù i tratti dell’impulsività, dell’insofferenza perun Paese malridotto, corrotto e inefficiente, perla sua classe politica di “mezze calzette”, per ilparassitismo diffuso e sfrontato. In alcuni passirivelano il suo amore per la provocazione, spes-so indifferente alla tendenza dei mezzi di comu-nicazione di massa a rielaborare tutto in unamelassa informe e far passare quello che fa co-modo con semplici frasi stereotipate e luoghicomuni del tutto avulsi dal senso (e dai presup-posti, scientificamente fondati) delle sue affer-mazioni. In alcune interviste poi i giornalisti sidivertivano a falsarne il pensiero e questo rendepiù ardua la distinzione del grano dal loglio. Co-me diceva spesso Miglio: “Se si dovessero smen-tire tutte le sciocchezze che passano nelle inter-viste, non ci sarebbe più il tempo per altre atti-vità quotidiane”. Solo coloro che l’hanno cono-sciuto e hanno collaborato con lui sono in gradodi distinguere nelle interviste il falso dal vero esoprattutto di indicare e spiegare l’autenticosenso di affermazioni che possono sembraresemplici provocazioni, ‘sparate’ estemporaneeprive di riscontro nella realtà.

Seguire il succedersi delle interviste a Gian-franco Miglio nel tempo significa ad ogni modoanche poter individuare, scoprire il “filo rosso”che percorre la sua opera e il suo pensiero, la lo-

ro intima coerenza di fondo, l’evoluzione dellasua elaborazione teorica e ideale. Ad esempio,proprio attraverso le interviste ci si accorge chela sua coerente visione federalista autentica eragià espressa in anni di molto precedenti rispettoa quelli dell’affermazione delle Leghe regionali,anche quando pareva prevalere una sua visionedello Stato molto differente. Significa però an-che capire perché, man mano che la sua staturascientifica si accresceva, maggiore diventaval’imbarazzo che gli operatori della cultura e del-la politica provavano a citarlo e a utilizzarlo, co-sa che egli stesso faceva notare nel destino di al-tri grandi politologi. Molte delle sue affermazio-ni, delle sue ipotesi e delle sue previsioni, chepotevano sembrare esagerate o unilaterali, si so-no in seguito dimostrate clamorosamente vere.Miglio aveva la capacità limpida di riconoscereproblemi-chiave molto profondi che spesso isuoi colleghi non vedevano: cosa che spesso, inparticolare a seguito delle interviste, lo facevaconfondere con un ‘veggente’ o, peggio, con un‘visionario’. Un’impressione, questa, del tuttoinfondata, dato che quei problemi e quelle previ-sioni e soluzioni proposte erano davvero fonda-mentali. Miglio era una persona che corrispon-deva perfettamente alla definizione di EdmundBurke, uno dei maggiori scienziati della politicadi tutti i tempi: “…[una persona] iniziata ai du-ri misteri della verità e della ragione”. La suanitidezza, profondità di pensiero, ampiezza nel-l’unità della visione complessiva risaltano nelleinterviste migliori e lo rendono difficilmente‘addomesticabile’. Proprio dalle interviste moltisi sono accorti delle sue eccezionali qualità eproprio per questo si sono adoperati ad ostaco-larne il più possibile il cammino o a cercare di‘rimuoverlo’ e oggi di impedire ai giovani di co-noscerne il pensiero e l’opera. Spesso nelle in-terviste esprimeva idee troppo innovative per es-sere accolte, perché era molto più in là del tem-po nel quale è vissuto. Tuttavia sarà proprio iltempo, come sempre accade, a consentire di ri-conoscerne tutta la grandezza e il coraggio.

2 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 69-70 - Gennaio-Aprile 2007

Nota - Le interviste pubblicate coprono i dieci anni dal 1990 al 2000. La maggior parte sono statepubblicate da quotidiani, alcune da riviste e poche sono trascrizioni di interviste telefoniche o tele-visive.Tutte vengono pubblicate nel testo che è stato stampato, senza modifiche o tagli, anche quando iltema della discussione riguarda fatti e personaggi molto contingentemente legati al momento poli-tico. Sono presentate in rigoroso ordine cronologico e questo aiuta forse a capire lo svolgimento deifatti a cui sono riferite.

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Gianfranco Miglio, professore di Scienze del-la politica all’Università cattolica di Mila-no. Lei che è un intellettuale raffinato, cosa

ne pensa del linguaggio e anche dei gesti cheabbiamo appena visto di Umberto Bossi?

Non mi meravigliano assolutamente. Un uo-mo politico che vuole tenere il contatto con l’o-pinione pubblica, con determinati strati del suoelettorato deve corrispondere an-che a certe attese, sotto questoprofilo la conoscenza di quelloche è la carriera degli uominipolitici che hanno contato nellastoria politica ci induce a nonmeravigliarci affatto, perché c’èun Bossi che è quello che abbia-mo visto qui e c’è un Bossi, inve-ce, con cui si ragiona, con cui sidiscutono i problemi pacatamen-te e non diversamente da quello,almeno per quanto mi riguarda,che mi è capitato nel discuterecon altri uomini politici italiani.

Lo sa che i giornali la indica-no un po’ come il teorico, quasiil padre spirituale delle Leghe?

No, guardi, questa è stata unacoincidenza oggettiva, per dueragioni; la prima è la mia con-vinzione che lo stato nazionaleitaliano non abbia basi, di conseguenza finchènon risolveremo quel problema noi potremosperimentare tutte le soluzioni costituzionalima nessuna sarà veramente soddisfacente.

Un’Italia non esiste, un’Italia unita?Un’Italia, una nazione Italia non c’è. Ho sentito

che anche recentemente De Felice lo ha detto inuna delle vostre trasmissioni di canale 3. Ecco,l’altro motivo è il fatto che io sono fortementepartecipe dell’indignazione del Paese, io sono unodei tanti, dei parecchi milioni di italiani che nonne possono più di questo sistema politico ed am-ministrativo.

(Scrosciante applauso dalla sala)Non credo che il professore … mi scusi se in-

terrompo questa intervista…vedo che i simpa-tizzanti della Lega hanno occupato le prime filedi questo teatro con una scelta più che legitti-ma, non credo che il professor Miglio gradiscadi essere applaudito o fischiato perché più cheallo stadio è abituato alle aule universitarie e

comunque di certo tutti gli altrinostri ospiti sono venuti per ra-gionare sul fenomeno della Le-ga; i vostri applausi o fischi daquesto punto di vista non cam-biano assolutamente nulla, gra-zie.A pagina 168 del suo libro piùrecente, che tanta discussioneha suscitato, Una costituzioneper i prossimi trent’anni, adope-ra una parola molto pesante,secessione; crede davvero nellapossibilità che il Nord d’Italiaabbandoni il resto del Paese at-traverso una secessione?Mah, io credo che, se non si ar-riva a correggere i difetti del no-stro sistema politico ammini-strativo di cui parlavo prima, èfatale che la parte più europeadell’Italia si disponga a separare

le sue sorti da quelle del resto del Paese; nessu-no può essere costretto a vivere in un Paese chenon sente più come il suo. E, d’altra parte, laformazione della Lega Nord è già il presuppostodi questa condizione che, badi, è durata semprenella nostra storia, c’è sempre stata potenzialeunità della Valle Padana anche attraverso le di-verse divisioni politico costituzionali e giuridi-che. Quindi non la considero affatto, così, unaminaccia vaga; se, come io credo, nel ’93 ci ac-corgeremo che, anche per volontà di una partedella nostra classe politica, noi non entriamoeffettivamente nel mercato omogeneo europeo,

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Nella tana della Legadi Gad Lerner

RAI 3, ottobre 1990

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o ci entriamo restando fuori dalla porta, eccoallora questi problemi di coerenza con i propriideali di vita si porranno e allora il rischio diuna secessione si presenta. Del resto viviamonell’epoca in cui i russi stanno cercando di for-giare una costituzione che permetta il diritto diandarsene, cioè quello che io chiamo il diritto distare con chi si vuole, gli jugoslavi stanno ri-schiando una guerra civile per arrivare a quello.

Lo scenario è proprio di queste ore. Lei haparlato di una parte dell’Italia più europea, nelsuo libro addirittura scrive di una attitudine an-tropologica, che sarebbe un po’ come dire quasiun difetto congenito degli italiani del centro edel sud a instaurare rapporti clientelari se nonaddirittura mafiosi con i politici; davvero pensaquesto?

Nel mio libro io dico che sono due modelli diesistenza e di vita che io rispetto entrambi. Na-turalmente io sento di appartenere, per tuttauna serie di ragioni, al modello dell’Europa fred-da, però anche quello mediterraneo è un model-lo; dico semplicemente che non sono conciliabi-li, sono due modelli che non possono essere in-trecciati, messi insieme.

Cosa pensa che faranno i partiti politici tradi-zionali per combattere le Leghe?

Mah, guardi, ormai io credo che in un anno e

mezzo non si può neanche cominciare a cam-biare il sistema politico e il modo di governare aamministrare; io credo che metteranno in atto ilconsiglio che ha dato loro De Rita, che è: “Com-prateli!”.

Il presidente del CNEL, Giuseppe De Rita.Ma non dare soldi a Bossi, a Speroni, a Castel-

lazzi eccetera, no, cercare di comprare gli elet-tori, le categorie. Io, quello che temo, è che inquesto anno e mezzo si allargheranno i cordonidella borsa, che non è la borsa della stato, è lanostra borsa, perché sono danari che sono toltidalle nostre tasche per ridistribuirli a quelle ca-tegorie che appaiono più inviperite e sono quelleche minacciano di più di votare per la Lega,questo è il rischio che ha la Lega.

Professor Miglio, nella prossima legislaturalei sarà un senatore della Lega?

Guardi, io nell’intervista che mi ha fatto Sta-glieno termino spiegando perché non ho mai vo-luto un mandato parlamentare; c’è un’incompati-bilità strutturale fra il mio carattere e il mandatoparlamentare, vorrei mantenere questa coerenza.Certo che sarei lieto di poter contribuire, conquel poco che so, a guarire il meccanismo costi-tuzionale del mio Paese, ma spero fino in fondodi poterlo fare senza un mandato politico.

Grazie professor Miglio.

4 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 69-70 - Gennaio-Aprile 2007

E se copiassimo la Svizzera?Roma o un’altra città fa lo stesso. L’importante

è avere la capitale di uno Stato federativo a modello elvetico e quindi una democrazia rappresentativa compiuta

di Gigi Zazzari

Europeo, 7 dicembre 1990

Roma deve continuare a essere la capitaled’Italia? Più di metà degli italiani, secondoil sondaggio Computel. dice di no. Ma nel

coro di quanti hanno sempre giudicato negati-vamente la città dei sette colli, additandola co-me grande corruttrice, c’è una voce diversa, cheoggi canta su altre tonalità. È quella di Gian-franco Miglio, 72 anni, ordinario di storia della

politica all’Università cattolica di Milano. Accu-sato di essere stato prima il consigliere di Betti-no Craxi e oggi il teorico delle leghe (grazie an-che al recentissimo Una costituzione per i pros-simi trent’anni, ed. Laterza), il professor Miglioritiene che non sia quello della capitale il pas-saggio decisivo per una rifondazione istituzio-nale del nostro paese.

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Per me. Roma può tranquillamente rimanerela capitale, ma non di questa Italia. Come capi-tale federale può andare benissimo, l’importanteè ridefinirne il ruolo all’interno di una revisionecostituzionale complessiva e limitare i poteri delgoverno centrale. Che, a quel punto, potrebbetranquillamente restare dov’è.

Pochi e ben definiti i compiti di questo gover-no federale. La Difesa, i verti-ci del sistema di polizia, lapolitica estera e quella finan-ziaria... O meglio, il coordina-mento di queste attività. Pen-si per esempio alla politicaestera: le regioni del Nord po-trebbero avviare relazionistrette e proficue con le na-zioni del Centro Europa,mentre quelle meridionaliavrebbero la possibilità disvolgere un ruolo importantenei confronti degli altri paesiche si affacciano sul Mediter-raneo. A quel punto il ruolodel governo federale sarebbeessenzialmente quello dicoordinare queste diversespinte. L’autorità federale nondovrebbe andare al di là difunzioni di coordinamento enormazione molto ma moltogenerali.

Fantapolitica? Forse, peròsecondo il professor Miglio sa-rebbe molto semplice arrivarea una situazione di questo ge-nere, senza scossoni né trau-mi.

Cominciamo a permettereche le regioni si colleghino fraloro, cosa che oggi è una spe-cie di delitto di lesa patria. Iosono convinto che se questerelazioni venissero permesse eincentivate prenderebbero cor-po naturalmente le tre grandiaree, le macroregioni del Nord, Centro e Sud. Aquel punto si tratterebbe soltanto di formalizza-re, di trasformare in legge una realtà già esisten-te, senza strappi e imposizioni. Qualcosa del ge-nere sta già accadendo in Germania dove sem-pre più prende piede l’idea di accorpare alcunilander un po’ troppo piccoli per rafforzare lastruttura federale. Ma lì hanno alle spalle decen-

ni di interrelazioni fra le aree che costituisconola repubblica, non è come da noi.

Ma perché promuovere una mutazione politi-co-istituzionale di queste dimensioni? Quali so-no gli obbiettivi di Miglio e dei suoi sostenitori?

Guardi, tutte le persone di buon senso concor-dano nell’indicare corruzione e inefficienza co-me i peggiori difetti del nostro sistema politico.

Sono malattie che si possonocombattere soltanto in unmodo, cioè dando la possibi-lità a quella parte dei cittadi-ni che normalmente finanziaquesta bella baracca di eser-citare un controllo sul modoin cui le risorse vengono di-stribuite e gestite.Questo è il punto fondamen-tale ed è inutile girarci tantointorno. Ci sono gli ottimistiche dicono: “Cacciamo via idemocristiani che da qua-rant’anni sono al governo, emettiamo dei comunisti durie puri”. Ma per questa stradanon si va da nessuna parteperché ormai, in Italia, lepreferenze, e quindi la possi-bilità di essere eletti, si com-prano a suon di denaro pub-blico. E allora non basta unsemplice ricambio o il batte-simo di una ennesima com-missione di vigilanza sullacorrettezza della gestione fi-nanziaria. Anche perché noiitaliani siamo specialisti nelcreare istanze senza poteri,invece il punto è proprioquello dei poteri. E, mi cre-da, cambia tutto se io, statodel Nord, contratto con lostato del Centro o del Sud ilquanto, il come, il perché diun certo investimento, com-presa la possibilità di verifi-

care il rispetto del contratto. Senza un minimodi potere, non si può intervenire sui meccanismipolitico-amministrativi.

E non può bastare che i parlamentari elettinelle zone più ricche, nelle province che forni-scono la gran parte delle risorse finanziariepubbliche si mettano a fare con più attenzioneil loro lavoro di verifica sugli stanziamenti? C’è

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proprio bisogno di questo profondo cambiamen-to istituzionale per curare l’inefficienza dell’am-ministrazione, per interrompere quel meccani-smo perverso denunciato da Giorgio Bocca nelsuo ultimo libro (La disUnità d’Italia, ed. Gar-zanti), che ha sì elevato il reddito nelle regionimeridionali, ma senza creare un reale sviluppoeconomico?

Ma anche i parlamentari sono inseriti nel si-stema. Naturalmente la gestione delle risorsepubbliche a fini clientelari è molto più diffusa alSud che al Nord, ma nessuno ha le mani pulite.È tutto il sistema che non funziona. Per esem-pio, perchè non si è mai costituita un’associa-zione dei parlamentari lombardi? Perché si co-stituisce adesso, però nella forma della secessio-ne operata dal movimento delle leghe? Non han-no mai fatto valere le loro ragioni perché eranoammanicati. Quando c’era un senatore setten-trionalista, lombardista come Giovanni Marcora,e la sua scomparsa per la Dc è stata una trage-dia, era nato un ponte fra Lombardia e Irpinia.La corrente di Base aveva due gambe, Marcora alNord e De Mita al Sud.

Così, in realtà, il sistema si era rafforzato nellasua forma perversa. E poi, guardi i democristia-ni del Nord: loro sanno benissimo che la poten-za del loro partito deriva dai voti che raccoglienel Sud. Preferenze ottenute grazie al fiume didenaro che alimenta le clientele. Di conseguen-za, il sistema gli va bene così com’è.

È inutile, l’unica via d’uscita è la modifica del-l’equilibrio dei poteri.

Il che non significa che il flusso di denaro ver-so le regioni meridionali si debba interrompere,ma vuol dire dare la possibilità a chi paga dicontrollare e verificare l’utilizzo degli stanzia-menti, sostiene Miglio.

Sarebbe una quaresima non sulla sostanza de-gli aiuti, ma sul modo di adoperarli. Io difendol’idea di un senato in cui i rappresentanti rego-larmente eletti delle tre macroregioni contratta-no e impegnano il governo a controllare obbiet-tivi, quantità e procedure. Solo così si può impe-dire che le province del Sud diventino fonte diquella ormai patologica infezione che sta stra-volgendo anche le basi della prosperità del Nord.Tra l’altro non va dimenticato un altro aspettoche fa intravedere interessanti prospettive. Sonoconvinto che nel Sud ci sia una classe dirigenterepressa e schiacciata fra le strutture mafiose dauna parte e, dall’altra parte, quella frazione diclasse politica che si è incistata a Roma, legata aqueste strutture mafiose che le procurano, i vo-

ti. Questa frazione di politici schiaccia la veraclasse dirigente del Sud che potrà invece trovarenuovi spazi e nuove possibilità con una struttu-ra federale. Vede, non si può cambiare la naturadegli uomini, ma con le leggi e, come dicevaMontesquieu, con la contrapposizione dei poterireali si può costringerli a essere meno delin-quenti.

L’unica prospettiva, insomma, è la guerra to-tale all’attuale sistema politico italiano. Ma esi-ste un modello, uno stato, che, in qualche mo-do, possa servire come esempio per il futuro au-spicato da Miglio?

Il modello è a pochi chilometri da noi, la Con-federazione elvetica. E non è vero, come ho sen-tito qualcuno sostenere, che si tratta di unoschema buono solo per la Svizzera perché è pic-cola. Queste sono sciocchezze. L’essenza dellastruttura confederale è lì, naturalmente sarebbe-ro necessari degli ammodernamenti, delle modi-fiche, ma il prototipo è quello. Adesso la modelli-stica delle strutture federali, confederali, quasifederalista aumentando a dismisura, soprattuttoper quello che accade nei paesi dell’Est, con l’U-nione Sovietica in testa. Anche lì il punto dipartenza della trasformazione non è stato unmoto democratico, ma la spinta verso l’autono-mia delle repubbliche. E se verrà approvata lapiù recente riforma istituzionale messa a puntodopo le ultime rivolte, verrà fuori che il Politbu-ro sarà sostituito da un collegio dei grandi elet-tori capi delle repubbliche.

Questa forma direttoriale è la caratteristicapiù importante della Confederazione svizzera. Ese questo dovesse accadere, cioè l’applicazionedi uno schema svizzero a un ex impero di di-mensioni colossali, sarebbe l’ultima, definitivasmentita per coloro che mi accusano di avereideato un progetto istituzionale che va bene sol-tanto per stati di dimensioni limitate.

E a quelli che l’accusano di essere il teoricodel senatore Umberto Bossi, che cosa ha da di-re?

In primo luogo voglio sia ben chiaro che nontrovo affatto offensivo essere accomunato allaLega. E poi consiglierei a quei signori di leggereun po’ di più. Perché io queste cose non le dicoadesso, ho cominciato a sostenerle quando il se-natore Bossi portava ancora i pantaloni corti. Selui, o qualcun altro, vuole usare le mie idee e ifrutti dei miei studi, a me va benissimo. È il miomestiere quello di fabbricare cartucce. E sequalcuno le spara, vuol dire che non sono fattepoi così male.

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Ci sono voluti i minuetti, i dialoghi surreali ele invettive del supermatch istituzionale permetterli una volta tanto d’accordo. Non che

adesso militino dalla stessa parte della barricata,tutt’altro, però almeno su un punto, una concisalocuzione, adesso concordano: “Ora basta... L’hascritto Norberto Bobbio, uno dei rari padri dellapatria a non aver perso credibilità, in un editoria-le apparso sulla Stampa 1’8 maggio scorso e subi-to Gianfranco Miglio, ex partigiano, costituziona-lista insigne, ideologo del federalismo e delle Le-ghe, soprannominato da Repubblica “l’anti-Bob-bio”, ha colto l’occasione per rilanciare quel con-cetto del “non se ne può più” che lui, per la verità,aveva espresso a chiare lettere già da un pezzo.

Allora, professore, una volta tanto si trovad’accordo con Bobbio...

Intanto vorrei precisare che io non sono l’anti-Bobbio, anche perché lo stesso Bobbio ha finitoper svuotare di significato politico la contrapposi-zione tra normativisti e decisionisti. Semmai ioallargherei la sua espressione: ora basta non solocon il modo in cui si fa politica oggi ma anche conquesto sistema. Siamo arrivati al limite. O cam-biamo le regole del gioco o andiamo al diavolo.

Nel 1970 Arturo Carlo Jemolo scriveva ad Ales-sandro Galante Garrone: “Sempre più mi convin-co che gli italiani desiderano il mal governo”: neè convinto anche lei?

Jemolo ha detto spesso delle cose sulla sovra-nità popolare che io non condivido, però questasua affermazione mi trova consenziente. Senzadubbio gli italiani hanno contribuito a spingere laclasse politica verso certi comportamenti. Vogliodire che ognuno di noi, con la complicità di un

sistema istituzionale in gran parte sbagliato, ten-de a soddisfare il proprio “particulare”, salvo poiindignarsi quando vede l’effetto della sommatoriadi tutti gli egoismi individuali.

Che la perversione stia nella partitocrazia èchiaro a tutti. Meno chiaro è come si sia arrivatia questa degenerazione. Hanno forse sbagliato inqualcosa i “padri della patria” al momento di re-digere la Costituzione?

“I costituenti di errori ne hanno commessi tan-ti, secondo me, e ogni giorno ne trovo di nuovi.Ma l’errore di aver creato la partitocrazia quellono, non lo hanno commesso.

E allora chi è il colpevole?Io sostengo che il dilagare dei partiti, del regi-

me spartitorio, della lottizzazione è probabilmen-te la conseguenza del fatto che l’Italia non ha maiavuto una burocrazia vera, paragonabile, peresempio, a quella francese. E in questo vuoto chesi sono gettati e inseriti gli uomini dei partiti.

Lei una volta ha detto: “I nostri guai comincia-no con la frase di Nenni: “Politique d’abord”.

E lo ribadisco. Tutti gli uomini alla Nenni so-stengono il primato del pubblico, del politico. Og-gi noi invece sappiamo che la salute di un paesecivile dipende essenzialmente dall’equilibrio traarea del privato e arca del pubblico. Il vero princi-pio originale della divisione dei poteri e delle ga-ranzie dei cittadini sta in questa eguaglianza. InItalia siamo all’opposto: la partitocrazia è diventa-ta il mostro che è perché ci troviamo di fronte aun professionismo politico sregolato.

E lei, dopo aver detto “ora basta”, che cosapropone?

Una delle vie di uscita, secondo me, sta nel re-

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Prima riforma? Pochi deputati e meno pagati

Il costituzionalista Gianfranco Miglio suggerisce la ricetta per uscire dalla crisi dello Stato.

E aggiunge: “Basta con i rampanti e i dilettanti in Parlamento. Largo ai veri professionisti”

di Massimo Dini

Europeo, 24 maggio 1991

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stringere l’area del pubblico e nel consentire laformazione di una classe di professionisti dellapolitica, riducendo il professionismo brado percui non c’è sciocchino di giovane rampante chenon si metta a studiare da deputato. Bisognastroncare tutte queste forme di accesso facile allapolitica.

Ha in mente qualche modello?La Svizzera, per esempio. È un paese felice per-

ché lì i politici di professione sono pochissimi. Glistessi parlamentari non campano affatto del loromandato come fanno i nostri che ora son lì a di-scutere sul milione più milione meno.

Nell’aprile scorso, e proprio sull’Europeo, lei di-fese a spada tratta Cossiga. Ha cambiato idea do-po un mese di scontri pressoché quotidiani tra ilQuirinale e alcuni partiti, più o meno trasversali?

Niente affatto. Oggi approvo più che mai l’ini-ziativa di Cossiga: il presidente si fa carico delcollasso del sistema e si preoccupa di facilitare ilpassaggio a una nuova e diversa Repubblica.

Eppure molti interpretano questo diverbiospesso scomposto come un ulteriore segnale del-l’agonia del regime...

Certo, il fatto che Cossiga sia costretto a entra-re in urto con le forze politiche - forze che nonhanno nessuna voglia di cambiare il sistema eneppure di correggerlo - è tutt’uno con la crisidel sistema. È la crisi stessa, in altre parole, cheimpone al presidente di litigare.

Ma questo sistema troverà mai la forza di au-tocorreggersi?

Per parare il rischio di diventare una repubbli-ca del socialismo reale, si è formato in Italia 40anni fa uno schieramento moderato intorno allaDemocrazia cristiana, un partito che oggi di cri-stiano e cattolico ha ben poco ed è piuttosto ungrande coacervo di moderati che a poco a poco siè incrostato; è servito a salvarci, è vero, adessoperò ci sta strozzando.

Oggi qualunque modifica della Costituzionetrova nella Dc c nelle sue risibili proposte di rifor-ma l’ostacolo principale.

E lei ritiene che esista un modo per superarlo?Sì. Ma soltanto se, come credo, alle prossime

elezioni la composizione del Parlamento cam-bierà profondamente per il frantumarsi del parti-to comunista, per l’avanzata delle Leghe e quindidella protesta dei cittadini.

Può darsi, ma forse la gente si chiede anchequale tra le tante riforme istituzionali di cui siparla è davvero essenziale per uscire da questaimpasse...

Bisogna chiarire subito che non c’è una sola

riforma da fare, ce ne sono almeno tre. Prima ditutto è necessario rendere autonoma la legittima-zione di chi governa, sia esso un presidente allafrancese oppure, come suggerisce il Gruppo diMilano, un primo ministro eletto direttamentecon un presidente garante.

Ciò che è fondamentale è che chi governa abbiauna legittimazione popolare così come l’hanno iparlamentari. Ma deve essere divisa, distinta, per-ché soltanto così il governo diventa autonomo,autorevole e stabile. Secondo: bisogna fare in mo-do che il Parlamento sia messo in condizione dinon intervenire nell’azione del governo e si limitia controllarlo, rovesciandolo soltanto in casi ec-cezionali. Terzo: per liberare il Parlamento dallarappresentanza di interessi particolari, diciamopericolosi, è necessario che questa rappresentan-za sia riportata alle assemblee macroregionali oagli Stati di una federazione. Il Parlamento nazio-nale, ridotto di numero, deve essere costituitosoltanto di legislatori, di gente che è costretta aoccuparsi di cose serie.

Resta il fatto che la situazione, almeno al mo-mento attuale, è bloccata. Per cambiare la Costi-tuzione sarebbe necessario un consenso ampioche non esiste...

Diciamo che non esiste in questo Parlamento.Perciò io sarei favorevole a una campagna eletto-rale, anche lunghissima. nella quale però i citta-dini siano resi consapevoli delle posizioni dei par-titi. Si dovrà cioè capire chi vuol innovare e comevuol innovare, e chi invece vuole conservare. Ipiù furbastri vorrebbero elezioni subito perchénella confusione generale i cittadini si comporte-rebbero ancora una volta come ha detto Bobbio:voterebbero con la testa nel sacco.

Lei delinea già scenari radicalmente mutati,ma, occorre ricordarlo, c’è chi sostiene che l’ago-nia del sistema potrebbe anche essere molto lun-ga, una sorta di lenta e progressiva decadenza.

Io sono convinto che le prossime saranno ele-zioni di fuoco, una zuffa mortale. Ma credo ancheche i paesi che si salvano sono quelli che passanoattraverso certe crisi. Chi si illude di coprire al-l’infinito, di minimizzare, come fa Forlani, e dipoter andare avanti così chissà per quanto tempoancora si sbaglia di grosso. Oggi ci sono forti pos-sibilità di affrontare la grande febbre e di guarir-ne. Sartori ha espresso recentemente un bellissi-mo pensiero che sottoscrivo a due mani. C’è unmodello americano, un modello inglese, unofrancese: è mai possibile che l’Italia di Machiavellinon sia capace di darsi un sistema che vada beneper i suoi cittadini?

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Per capire come mai le Regioni non funzio-nano, perché spendono troppo e male, oc-corre andare a vedere come sono nate.

Gianfranco Miglio, professore di scienza dellapolitica all’università Cattolica di Milano, costi-tuzionalista insigne. “ispiratore politico” (unaetichetta che però lui rifiuta) dei “Lumbard” delsenatore Umberto Bossi, ne è convinto: le Re-gioni italiane sono marce da sempre. E nonpossono essere salvate. Non c’è altro sistemache cambiare tutto. Alla radice, spiega. Primaancora delle Regioni. negli anni immediatamen-te susseguenti alla Unità d’Italia, la monarchiapose mano alla costituzione delle Province. E fuquello il modello che l’Italia si è portata dietrofino a oggi: enti amministrativi locali stretta-mente dipendenti dal centro: nessuna autono-mia politica e, fattore che in alcuni casi è anchepiù importante, nessuna libertà di scelta finan-ziaria.

Le Regioni nate nel secondo dopoguerra sa-rebbero dunque le copie carbone delle vecchieProvince governate da Roma attraverso il pu-gno di ferro dei prefetti?

Certo. E basta poco per capirlo. Del resto i di-fetti sono gli stessi: anche allora, per esempio altempo di Minghetti, i politici locali adoperavanola Provincia come sgabello per la scalata al pote-re vero, quello di Roma. Nulla cambiò con ilpassare degli anni: venne De Pretis, poi Giolitti,infine Mussolini, ma il problema della “omoge-neizzazione” di un Paese così diverso nelle suecomponenti non fu risolto. E “non” poteva esse-re risolto: le differenze non vanno schiacciate,vanno esaltate...

Ma le Regioni furono il primo passo verso la

sottolineatura di queste differenze, verso l’auto-nomia locale...

Neanche per sogno. In realtà si trattò di unacolossale presa in giro. Innanzitutto, perché leregioni non erano facilmente identificabili: lostesso don Sturzo, che era in fondo un sinceroassertore delle autonomie locali, non sapeva be-ne che pesci prendere. E nel delineare i confinidelle regioni cambiava continuamente parere.

E come fu risolta la cosa?Nel peggiore dei modi. Tracciando confini

astratti e suddividendo l’Italia in regioni pernulla paragonabili fra loro. Come fanno a convi-vere, e soprattutto ad avere le stesse norme am-ministrative, regioni “arcaiche” tutte incentratesu una sola città come il Molise e moderne “city-regions” come la Lombardia?.

Ma oggi ciascuna Regione può legiferare inmodo autonomo. Non è abbastanza?

In teoria, questa è una gran bella cosa. Ma c’èun vizio di fondo, un difetto storico. Come dice-vo prima, anche le regioni sono state viste comeuno strumento del potere centrale, sin dai tempidella Costituente. E non è un caso che l’ordina-mento, l’architettura costituzionale, sia uguale aquello dello Stato. Una buffa, un po’ patetica pa-rodia: così abbiamo venti parlamentini regiona-li, venti minigoverni, venti presidenti di questiminigoverni. Insomma, si sono moltiplicate lepoltrone: e tutto è cominciato peggio di prima.Anche oggi i politici locali vedono gli incarichinei consigli e nelle giunte regionali solo come losgabello per arrampicarsi fino al Parlamento.

Con quali conseguenze?Quelle che sono sotto gli occhi di tutti. Ammi-

nistratori regionali che si guardano bene dal-

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Qui tutti sognano la marcia su Roma

Gli amministratori locali, dice Miglio, si guardano bene dall’imparare a gestire la loro Regione; sono troppo impegnati

nella corsa alle poltrone di Camera e Senato

di Salvatore Gajas

Europeo, 21 giugno 1991

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l’imparare a gestire la loro Regione, dall’applica-re le buone norme di una amministrazione sanaed efficace. La ragione è una sola: sono troppoimpegnati nella loro marcia al potere...

E quali possono essere i rimedi?Restituire dignità agli amministratori locali

cambiando sistema. E riaggregando l’Italia in al-tro modo. Quando i politici regionali non do-vranno più, come accade oggi, gestire denaro lacui destinazione d’uso è interamente stabilita aRoma, quando non dovranno più mandare le lo-ro leggi a Roma per farsele approvare (cosa checapita sempre più di rado), allora prenderannogusto al lavoro che fanno, e lo faranno molto,molto meglio.

Questa, in fondo, è la ricetta suggerita daipresidenti delle Regioni, che negli ultimi tempihanno chiesto che anche le Regioni a statutoordinario divengano a statuto speciale, conmaggiore autonomia impositiva e di spesa.

No. Anche quella è una finta autonomia. Io stoparlando di autonomia “reale”. Qualcosa di mol-to simile, per intenderci, ai rapporti che oggi vi-gono fra i Lander tedeschi. Che sono legati tradi loro da trattati bilaterali, cioè da accordi tra

Stati sovrani. E poi lo spezzettamento in ventiunità amministrative, le Regioni appunto, è sba-gliato, antieconomico e antistorico.

Sta parlando del suo progetto di dividere l’Ita-lia in tre?

Sa cosa le dico? Sto cambiando idea: non più intre, ma in due. Da una parte la Padania, dall’altraEmilia-Romagna. Toscana, Umbria, più il Sud e leisole. Insomma, l’Italia mediterranea e quella piùstrettamente continentale, lasciate entrambe li-bere di darsi i modelli di architettura costituzio-nale che più sentono congeniali. In più, si puòipotizzare un territorio federale: Roma.

E quali sarebbero i vantaggi?Maggiore semplicità di rapporti, maggiore

chiarezza istituzionale. Il tutto a una sola condi-zione...

Quale?Che, rivedendo la Costituzione, si abbandoni

per sempre il Titolo Quinto, quello che definiscela suddivisione dell’Italia in Regioni, Province eComuni così come sono oggi.

E spero proprio che, un giorno, lo si studierànelle scuole come esempio di mostruosità giuri-dica.

10 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 69-70 - Gennaio-Aprile 2007

Pochi giorni fa una limousine nera si è fer-mata in cima alla salita dei Cappuccini, aComo.

Nella villa di Gianfranco Miglio, 72 anni, ilmassimo teorico del presidenzialismo e testad’uovo dell’autonomismo federalista, è entratoun alto funzionario dell’amministrazione ame-ricana arrivato da Washington per parlare conil professore.

È stato un colloquio molto importante sullacrisi italiana, ammette Miglio, professore ordi-nario fuori ruolo di scienza della politica, all’U-niversità Cattolica di Milano. Miglio si è conqui-stato, anche negli ambienti del Dipartimento diStato, la fama di scienziato che azzecca le pre-visioni dopo aver inutilmente avvertito il gover-no Usa, nei mesi scorsi, che in Jugoslavia i serbiavrebbero reagito con le armi. Anche questa

Aspettando RobespierreChi vincerà in Italia. Nuove scommesse. Una classe politica

allo sbando e un paese arcistufo. Per il professor Miglio, teorico del presidenzialismo, non resta

che sperare in una rivoluzione. Come quella del 1789

di Chiara Beria di Argentine

L’Espresso, 4 agosto 1991

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volta, racconta Miglio, il mio interlocutore, do-po aver ascoltato la mia diagnosi è sbottato: “Sìprofessore, ma tanto gli italiani non sparerannomai”. Ho ribattuto “Sarà, per intanto hanno co-minciato a non pagare più le tasse”.

Professor Miglio, può spiegarci che cosa in-tendeva dire con quella frase indirizzata a Wa-shington?

La mia impressione è che ci siamo quasi. Per-sino un cinico come Vladimiro Zagrebelsky, au-tore del cosiddetto “paradosso Zagrebelsky” (piùle riforme sono necessarie e meno è possibilefarle), è arrivato a scrivere che se la nostra clas-se politica non capisce che deve dare un taglio aisuoi interessi particolari e trovare un interessecomune, è ormai perduta.

Mi faccia capire meglio. Anche perché, unconto è che sia in pericolo la partitocrazia, altroinvece è se, a correre dei rischi, è la democra-zia. Cosa dobbiamo aspettarci, forse un nuovoMussolini?

No, oggi non c’è nessuna potenziale oligarchiacapace di far da sostegno a una nuova classe po-litica. Piuttosto colgo parecchie analogie con lagenesi della rivoluzione francese. Proprio la crisifinanziaria e contributiva annunciò la rivoluzio-ne dell’89: solo quegli incoscienti dei nostri uo-mini politici non lo sanno.

Lei parla di segnali non decodificati, di analo-gie. A cosa si riferisce?

Penso prima di tutto al vistoso calo dell’autotas-sazione. E poi ancora: l’arroganza della classe po-litica. Anche in quel luglio di due secoli fa chi de-teneva il potere andò incontro alla catastrofe sen-za accorgersene. La nostra classe politica sta ma-nifestando un evidente fastidio per il disprezzoche la gente prova nel suoi confronti: è un segnaledi come la contrapposizione tra classe politica eopinione pubblica sia totale. Ma c’è di più. L’Italiaè ormai un Paese a “elevato tasso di disprezzo re-ciproco”: i cittadini disprezzano tutti i politici che,a loro volta, disprezzano gli imprenditori.

Gli imprenditori disprezzano i politici, anchese poi li usano.

Lei, però, parla della classe politica italianacome se fosse un’entità unica...

È proprio questo il punto: mentre, per esem-pio in Francia, François Mitterrand è arrivato alpotere dopo aver combattuto per anni con le un-ghie e con i denti, la peculiarità del caso italianoè che, a un certo punto, anche l’opposizione estata associata. E non certo per il pericolo d’im-possibili rivoluzioni. È stata la viltà tipica delmondo cattolico e anche del mondo liberale che

ha portato i nostri governanti a realizzare un si-stema di consociativismo generale, unico almondo. Questo sistema ha prodotto vari effetti.Prima di tutto ha annullato il regime democrati-co rendendo impossibile l’alternanza; in secon-do luogo ha rovinato i conti dello Stato; infineha prodotto una “faccia comune”, nel senso cheil cittadino non riesce più a capire dove sta lamaggioranza e dove comincia l’opposizione. Ab-biamo un partito unico, diviso in sezioni, tutteammesse al tavolo e quindi anche al pasto.

Insisto: ci sarà pure qualche faccia nuova sul-la quale puntare.

Certo, personaggi ne vengono fuori, ma tra-montano facilmente: basti pesare al caso di Bet-tino Craxi. Ci sono volti ancora puliti, comequello di Leoluca Orlando o di Mario Segni, manon fanno primavera: non hanno dietro le folle.

La verità è che la classe politica è ormai una

sorta di “melting pot”, un crogiuolo dove c’è ditutto. La differenza cruciale è che, a questo pun-to, esistono dei cittadini ed esiste una potenzialeclasse politica che, almeno per ora, non si èsporcata le mani. Sono loro oggi gli unici uomi-ni contro: i leghisti elettori e i dirigenti della Le-ga. Del resto non sono l’unico ad aver capito laloro potenzialità.

Di chi sta parlando?Penso a Giuseppe De Rita autore della famosa

frase: “comprateli”. De Rita non pensava che bi-sognasse corrompere Umberto Bossi, come poiha fatto uno sprovveduto offrendogli 70, 80 mi-liardi per toglierselo dai piedi. Lui voleva dire“comprate i loro elettori”.

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Poiché anche lui è un cinico, mi ha poi spie-gato la sua teoria: per togliere acqua alla Legabisogna estendere quella che chiama “tecnicadel coinvolgimento clientelare”. Tesi tanto intel-ligente quanto affascinante.

Ritorniamo alla sua teoria delle “tasche”. Nonpensa che, a un certo punto, possa essere ilmondo imprenditoriale a scendere in campo?

Ma li guardi in faccia i nostri imprenditori! Inparticolare quell’ambiente “merloniano” cheruota attorno alla Confindustria romana: è tuttagente alla quale questo regime va benone. Vo-glio, però, aggiungere una considerazione: all’i-nizio dell’89 chi conosceva Danton, o Robespier-re, o l’abate Sieyès, il vero genio della rivoluzio-ne? Sono emersi a un certo punto dal meltingpot come dei carciofi.

Sbaglia chi pensa che anche dietro l’ultimasortita di Bossi sulla rivolta fiscale, ci sia pro-prio lei, professor Miglio?

A Bossi devo dare una lavata di capo. Era unacarta da tirar fuori al momento giusto, nonadesso che siamo ancora nella fase di prepara-zione della crisi.

Quando verrà il momento, quando tutti i mec-

canismi saranno sfasati, è allora che si dovrannoprendere delle decisioni. Pensare che non abbia-mo un corpo armato e potevamo averlo: la poli-zia regionale poteva essere un corpo armato co-me quello degli sloveni.

Benissimo professore! E per continuare con leanalogie, in quel luglio del 1789, chi avrebbevoluto essere?

Se fossi stato con il re, altro che Mirabeau, sa-rei stato un esecutore spietatissimo. Tra i rivolu-zionari invece credo sarei stato molto vicino aRobespierre. Andrea Barbato ha detto che sonoun giacobino di destra: ottima intuizione. E, poi,le rivoluzioni sono belle perché si rischia la pel-le. La prova che abbiamo una classe politica mi-serabile è che quando hanno ammazzato Moro,quelli se la sono fatta sotto....

Non le sembra di esagerare con le provoca-zioni?

Ai miei allievi ho sempre detto: voi che studia-te per diventare deputati, vedrete che, al mo-mento opportuno, ve la aprono la pancia. La po-litica è bella perchè si rischia la vita: se fosse so-lo l’arte di imbrogliare il prossimo, allora sareb-be veramente una cosa miserevole.

12 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 69-70 - Gennaio-Aprile 2007

Miglio: sconfitta? No, vittoriadi Alberto Capece Minutolo

Il Giornale, 12 ottobre 1991

Ma quale sconfitta, questa scissione è unavittoria di Bossi. Gianfranco Miglio, il con-sigliere del lider maximo” della Lega, è

paradossalmente contento. Anzi più scava nelfondo torbido e inquieto dell’elettorato e piùpensa che l’allontanamento di Castellazzi ecompagni sia stata la mossa giusta. E del restoil politologo che è diventato la bussola dei lum-bard non è forse estraneo alla decisione. Magaricon un suggerimento sussurrato dalla sua posi-zione di osservatore che si impegna non nellapolitica, ma nel capire la politica.

Questa vicenda - dice - non mi sembra digrande portata. Castellazzi non ha un grande se-guito tra gli elettori, solo un modesto agganciotra i quadri. Appartiene a quella linea seguita da

alcuni già arrivati a posti di potere abituati acercare il consenso tra gli altri partiti per otte-nere qualcosa di concreto. È l’impostazione per-dente, perché gli elettori hanno privilegiato loscontro frontale con il sistema. La riprova è nelfatto che molti si arrabbiarono quando Bossi,accennò a una possibile alleanza con le sinistre.

Ma un blitz così improvviso non sconcerta?La crisi in realtà durava da mesi. Le linee di

Bossi e Castellazzi erano difficilmente concilia-bili. È diventato impossibile farle coesistere inun periodo preelettorale. In questo modo la Le-ga ritorna dura e pura.

Ritorna? Dunque c’era stato un appannamen-to?

Si c’era stato proprio perché era diventata me-

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no chiara la contrapposizione al sistema dei par-titi. Ora però la Lega viene rilanciata. Bossi inquesti giorni è subissato di telegrammi e telefo-nate che lo appoggiano.

Ma Castellazzi e i suoi non possono comun-que erodere il consenso elettorale del lumbard?

No perché i dissidenti si trovano in un vicolocieco. O ottengono corda dai partiti e allora sialienano i voti di protesta antisistema e danno ildestro a Bossi di dire: vedete avevamo ragione, sisono messi col nemico. Oppure le forze politicheli scaricano e si ritroveranno isolati.

Non pensa che alla periferia dell’Impero, os-sia in quelle regioni dove la Lega non ha ancorala forza che ha in Lombardia, la scissione possasmorzare gli entusiasmi?

Penso esattamente il contrario. Del resto alla“dieta” di Mantova i sostenitori più duri di uno

scontro totale con le forze politiche tradizionalisono stati proprio i piemontesi e i veneti.

Però se la Lega in primavera otterrà un gros-so bottino elettorale non dovrà necessariamenteseguire la via di Castellazzl, quella di un acco-modamento con gli altri partiti? E dunque pro-prio la vittoria non sarà l’inizio della fine?

La Lega potrà diventare determinante quandoavrà il 40 per cento dei consensi: prima di allorapotrà tenersi fuori. Bossi comunque è convintoche il prossimo Parlamento sarà cosi frammenta-to da richiedere nuove elezioni molto ravvicinate.

E l’Italia intanto?Si spaccherà in due, con le Camere che non

riusciranno ad unire i brandelli. Si avrà una si-tuazione come quella del Belgio, anche senza ledivisioni etniche tra fiamminghi e valloni.

Purtroppo anche Waterloo è in Belgio.

Anno Xlll, N. 69-70 - Gennaio-Aprile 2007 Quaderni Padani - 13

In Francia il fenomeno delFronte nazionale di Jean-Marie Le Pen, un misto di

razzismo e sciovinismo chesembra marciare addirittu-ra verso il 20 per cento deivoti, sta sconvolgendo gliequilibri politici. È possibileche in Italia il fenomeno Le-ghe eroda voti e consensi aipartiti maggiori fino a mo-dificare profondamente irapporti di forza parlamen-tari? E c’è qualche cosa nelprogramma dei leghisti chericordi le parole d’ordine dellepenismo? Al professorGianfranco Miglio, politolo-go, teorico e acceso sosteni-tore delle “Leghe”, abbiamochiesto quali analogie equali differenze ci sono traBossi e Le Pen.

Tra Bossi e Le Pen non rie-sco a vedere alcuna analo-gia. Le Pen è un prodotto ti-pico della vita politica fran-cese, dove ci sono periodica-mente esplosioni di sciovi-nismo molto radicali. In Ita-lia, al contrario, uno sciovi-nismo come quello francesenon l’abbiamo mai cono-sciuto, basta ricordare lareazione popolare alla cam-pagna antisemita. Anchesotto questo profilo ritengoquindi che il destino deimovimenti di Bossi e di LePen sia molto diverso.In Italia il razzismo è statoun fenomeno estremamentesuperficiale, non ha maicoinvolto le moltitudini.Certo, ci sono in alcuni le-ghisti proteste contro i rap-

Come Le Pen? Purtroppo no, per fortuna no

L’Espresso, 9 febbraio 1992

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presentanti dello Stato e il loro potere coercitivo.Ci sono reazioni che diventerebbero forse an-

che più consistenti di fronte a un’eccessiva pre-senza di immigrati di colore nel Paese. Ma per icontatti che ho con loro non riesco a vedere neiseguaci della Lega lombarda e della Lega Nordatteggiamenti paragonabili o riconducibili alleposizioni contro gli immigrati che ci sono inFrancia.

Non credo quindi che Bossi abbia alcuna pos-sibilità di assumere un ruolo analogo a quelloche va svolgendo Oltralpe Le Pen.

Dal punto di vista strettamente politico puòanche essere un punto di svantaggio per lo svi-luppo delle Leghe. Il lepenismo, in Francia, puòessere un fatto pagante, in Italia no. Per fortuna,dico io.

Questa differenza ha ragioni profonde.L’italiano ha verso gli altri un atteggiamento

di carattere universalistico. Magari non amamolto i suoi simili e le persone di estrazione di-versa che vengono da altri Paesi, però non è as-solutamente capace di odiarli.

Non dimentichiamo che la riluttanza degli ita-liani all’odio etnico e razziale fu il tormento diMussolini. Egli sentiva il nostro popolo troppobonario, troppo dedito all’abbraccio con tutti, evedeva in quest’atteggiamento un ostacolo alprogetto di farlo diventare un popolo di domina-tori.

Durante l’impresa etiopica, quando vedeva chei nostri legionari mettevano su famiglia con ledonne di quel Paese, che avrebbero dovuto esse-re parte di un popolo dominato, Mussolini si in-ferociva. Sentiva che gli italiani erano un popoloche non mostrava rispetto agli altri un ruolo disuperiorità, e quindi non erano la materia primasu cui fosse possibile fondare un impero.

E ora Miglio chiede una nuova Costituente

Parla l’ideologo della Lega: “Ci sono ancora troppi politici di mestiere”

di Paolo Bonaiuti

Il Messaggero, 8 aprile 1992

Dalle vetrate di casa, il professor GianfrancoMiglio osserva le cime vicine della Svizzerae sogna che alle prossime elezioni (“Ma già

quest’ultime ci hanno dato una bella spinta inavanti”) anche l’Italia del Nord sarà in stilesvizzero, federale. Il giorno dopo la vittoria, l’i-deologo della Lega, 74 anni, docente di Scienzepolitiche alla Cattolica e produttore di vino atempo libero nell’Alto Lario, è doppiamentecontento. Eletto due volte al Senato, a Como e aMilano, per poco secondo nel collegio di Pavia,esulta allo stesso tempo per il trionfo della suaLega: 3.337.000 voti e 55 deputati alla Camera,2.720.000 voti e 25 seggi a Palazzo Madama, ilsecondo partito dell’Italia del Nord.

Che fine faranno tutti questi voti?Abbiamo voluto andare in Parlamento non

certo per star lì a fare la calza.Entrereste in un governo? E quale?Seguiremo due criteri. Primo: vediamo cosa

intendono fare, quali proposte avanzeranno i trepartiti più forti di noi numericamente. Secondo:non si toccano i nostri due punti di fondo.

Quali sono Questi punti?Bisogna cambiare la sostanza del sistema poli-

tico: ovvero la Costituzione. Non solo, questocambiamento deve incorporare gli elementi diuna struttura federale dello Stato.

E dove si può trovare un punto d’incontro trala Lega e i partiti tradizionali?

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Dipende dagli altri partiti. Bisogna vedere, masono scettico, se riescono a mettere insieme ungoverno stabile e forte. Un governo che sia ingrado di prendere quelle decisioni dolorose manecessarie da qui all’autunno, per risanare l’eco-nomia e la finanza pubblica.

Lacrime e sangue, professore?Certo. Lacrime e sangue. Lo sanno tutti.Pensate pure voi a un governissimo? È difficile che un governo di coalizione del ge-

nere possa prendere provvedimenti che vadanobene a tutti, dai liberali alla Quercia.

E allora?Ho colto un elemento positivo in una dichia-

razione del socialista Forte, che propone di ri-mettere la soluzione del “problema economia”agli organi istituzionali finanziari. In parole po-vere, alla Banca d’Italia e altri. In tal modo, i po-litici potrebbero dedicarsi interamente alle rifor-me del sistema costituzionale.

In sostanza, cosa suggerite ai politici?Di formare una Commissione costituente.

Non basta la riforma elettorale. C’è unlavoro molto, molto più complesso dafare.

Esclude nuove elezioni a breve ter-mine?

Assolutamente no. Se le dico chesono favorevole a una delega alle isti-tuzioni monetarie, può capire quantostimo i politici.

Questa vittoria non vi bastaNo. La gente vede che molti politici

di mestiere sono ancora lì, in Parla-mento, anche se ridotti di numero.Troppo poco li abbiamo sforbiciati,noi della Lega.

Con quale Dc potreste trovare un’intesa?Ha ragione Mario Segni quando dice che tutta

la dirigenza democristiana deve andarsene. Nonbastano certo le dimissioni di Forlani.

E Craxi?Ha le gomme bucate.Cosa pensate di Occhetto?Quello ha commesso tali e tanti errori che mi

auguro lo mandino in pensione. Non sono fattinostri, ma perchè non pensare a Napolitano?.

Qual è il suo giudizio a freddo sul voto?L’Italia è tagliata in due. È venuta fuori questa

distinzione, assieme al tallone d’Achille del si-stema politico.

La Dc perde voti al Nord perché non può ta-gliare le spese al Sud. Se lo facesse, sarebbe ilsuo suicidio.

Perché Bossi non riesce a trapiantare il leghi-smo nel Meridione?

Perché molta gente del Sud ha capito che laLega metterebbe in forse le loro fonti di redditoincassato ma non prodotto.

In definitiva, il vostro successo nel Nord qualieffetti provocherà?

Una spinta verso l’autonomia, verso lo Statofederale. Le leve del potere non debbono più re-stare a Roma dove si sfrutta la produttività delNord per alimentare le clientele del Sud.

Possibile che non vediate altra soluzione aiproblemi italiani che tagliare il Paese?

Respingiamo l’ipotesi di affidarci a un demiur-go, a un uomo forte. Craxi credeva di esserlo,ma non lo è. Cossiga? No. Diventerà uno dei ca-pi della nuova Dc. Il demiurgo non esiste.

E allora?Il Sud deve essere liberato attraverso la libera-

zione del Nord. La soluzione di tutti i nostriproblemi è la federazione.

Come spiega lo slogan “Roma ladrona”, che

ha dominato anche l’altra sera la festa della Le-ga al Palalido di Milano?

Chi ha buscherato noi e Roma è la classe poli-tica che si è incrostata attorno alla capitale. Inquesto modo si è creato un ponte perverso dinotabili tra Roma e il Meridione. Un ponte chedeve essere interrotto al più presto.

Non ha paura di una rottura traumatica, conil passare degli anni, come in Jugoslavia?

No. Ma quale guerra? La Lega del Nord è unregime pacifista, familiare.

E la frattura tra Nord e Sud?Noi vogliamo chiarire un equivoco.Il Nord che paga le tasse non si rifiuta di desti-

nare risorse al Sud. Vuole però controllare comee dove sono impiegati questi soldi. Se saltiamole clientele, il Sud ha tutto da guadagnare.

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Ora che siamo diventati il quarto partito d’Ita-lia la parola d’ordine è: “cautela”, Ed è que-sto anche il consiglio di Cossiga. In poche

ore Gianfranco Miglio ha gia smesso i panni delgrande oppositore, Anzi. L’ideologo del federali-smo e direttore tecnico della trionfante squadraleghista, festeggia il suo doppio successo nei col-legi senatoriali di Como e Milano cercando d’in-terpretare la parte, per lui insolita, del pruden-te. Parla di “nuove e più alte responsabilità” cheora lo attendono; accenna alla poltrona vuota –dopo la mancata rielezione di Leopoldo Elia - dipresidente della Commissione affari costituzio-nali. Una poltrona ideale per un professore che,ai suoi elettori, ha dichiarato di volere un “man-dato a termine” per occuparsi, come tecnico, so-lo delle riforme costituzionali. “Saluto il prossi-mo presidente dei senatori della Lega”, aveva piùvolte scherzato Francesco Cossiga con il profes-sore nelle telefonate in arrivo dal Quirinale du-rante la campagna elettorale. Un filo diretto -scambi d’idee, consigli, attenzioni - che ha fun-zionato più che mai lunedì 6 aprile, come è ingrado di ricostruire L’Espresso dopo aver seguito,ora dopo ora, Gianfranco Miglio durante il “D-day” della Lega (così era scritto su un cartello,nella nuovissima sede del partito a Milano).

Dc a frittelle. Nel giardino di casa Miglio a Co-mo, tra le camelie fiorite, una nota stonata: illupo Nickel (ovvero “genio maligno”’) è appenastato male. Il mio cane ha provato un tale schifoper la campagna elettorale che ha vomitato, at-tacca subito il professore. Ma con chi ce l’ha? Lalista è lunga: il ministro degli Interni (“ha per-messo tante liste fasulle”); i militanti dc (“strap-pavano i nostri manifesti”); altri politici incon-trati nei dibattiti elettorali (“ho scoperto che illoro cinismo è allucinante soprattutto se con-frontato alla passione civile della gente”). Ma, so-prattutto, Miglio è indignato per il j’accuse rivol-to contro di lui, da un gruppo di docenti dellaCattolica di Milano, l’università dove per 30 anniè stato preside di Scienze politiche: “Li schiac-cerò, li farò a frittelle! È gente della sinistra cat-

tolica che ha ridotto l’università a macchinaideologica”.

Sono le 13.45 di lunedì 6 aprile, Miglio è grigiocome il cielo di Como. Poi, dopo lo sfogo, torna ilsorriso. In casa Miglio, la moglie Miriam, primamilitante della Lega (“Sono stata io a scoprireBossi”) racconta come, per tutta la campagnaelettorale “Gianfranco era sempre sporco di ros-setto”. È vero le donne della Lega hanno la maniadi sbaciucchiare, si schermisce lui. In casa, il te-lefono continua a squillare: ma non si aspettinoda me favori o raccomandazioni. A Roma vadoper fare le riforme, poi tornerò ai miei libri. E ilpresidente Cossiga ha chiamato? Stamani no.Però ci aveva già rivolto una raccomandazione:“Siate molto prudenti nel commentare i risultati”.

Il cuscino di gomma.Ore 14.05 la Lancia Thema dell’ingegner Aldo

Rizzi da Varese, tesoriere della Lega e amico diMiglio, ha appena imboccato la Comasina, dire-zione Milano, quando - via telefonino - arriva lanotizia del primo sondaggio Doxa.

Professore, avete 1’8,8 per cento. “È poco, mol-to poco”, commenta Miglio. Fuori dai finestriniscorre il paesaggio lombardo: una teoria senzafine di villette e fabbriche, sui muri le scritte aspray inneggiano al nord libero. Attacca Miglio:“Quel tanghero di Federico Orlando (condirettoredel Giornale, ndr) è arrivato a sostenere che lanostra idea della Padania corrisponde alla vogliad’impero del fascismo. Quale impero d’Egitto! Ilnostro è un partito rivoluzionario ma pacifico,siamo dei borghesi pantofolai”. Ormai l’automo-bile è alla periferia di Milano e Miglio parla di al-cuni leader.

“Craxi? Con quella coda di paglia che ha non lovedo proprio a palazzo Chigi. Forlani? È solo uncuscinetto di gomma che i dc adoperano quandolitigano fra di loro. La verità è che molti politicihanno un totale disprezzo della gente: pensanoche - comunque andranno le cose - le poltrone sele spartiranno tra di loro. Ma gli italiani, perquanto cinici, non ne possono più: dopo 40 annili metteranno a terra”.

Poi gli daremo un’altra spallatadi Chiara Beria d’Argentine

L’Espresso, 19 aprile 1992

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Il generale. Ore 15.45, al terzo piano della nuo-va sede della Lega, in via Arbe, periferia nord diMilano, non si fa festa. Nella sala dei computer,arrivano i dati del Senato: crollo dc e i lumbardal 9,1 per cento. All’improvviso dal montacarichisbuca l’uomo nero dello scudo crociato, UmbertoBossi: è tranquillo, non regala una sola battutasul nemico in rotta. La parola passa a Miglio:“Ha visto? Forlani e Craxi hanno le gomme sgon-fiate. Noi pensavamo di raccogliere di più ma, co-munque, siamo diventati il quarto partito. Lamaggioranza? Per reggere dovranno imbarcare ilPds, ma questo comporterà dei gravi problemi”.Da Roma cercano Miglio: e un suo ex allievo, ilgenerale Giuseppe Alessandro D’Ambrosio, detto“l’amerikano”, che gli preannuncia una telefo-nata del presidente Cossiga. Un’ora dopo, men-tre la Lega è calata all’8,7 per cento e persino lasua elezione a senatore sembra incerta, Migliodopo una lunga riunione con Bossi (“Stannostudiando una strategia”, annuncia la signoraMiglio) chiarisce: “Ha ragione Bossi: presto civorrà un’altra spallata. Certo il crollo dc rafforzala mia speranza che le crepe nel sistema si stia-no allargando”. Sì, va bene professore, ma comeè andata col generale? E con Cossiga gli ha poiparlato? “Si. Da Roma continuano a raccoman-darci di stare abbottonati, ma noi non siamocerto degli ingenui”. Mancano pochi minuti alle19, la Lega ha raggiunto il 9 per cento dei votialla Camera, nel quartier generale dei vincitori

delle elezioni non c’è più traccia degli sloganstile Pontida. Miglio, ancora semplice professo-re, analizza: “Primo: dal sud non abbiamo avutoniente, il voto di protesta è andato tutto ai mis-sini. Secondo: ancora poco fa, prima di partireper gli Usa, Cossiga ci ha detto di tenerci riguar-dati perché ormai siamo determinanti. Senza laLega non si fa nessuna maggioranza o si fannocoalizioni eterogenee e incapaci di prendereprovvedimenti come le nuove giunte di Bresciae Milano”.

Basta un po’ di federalismo. Alle otto della se-ra, ospite di Gad Lerner per la trasmissione“Profondo Nord”, Gianfranco Miglio, mentre èseduto su una cassa di legno, diventa senatore.Poi fa la passerella da Emilio Fede. In pubblicoripete una sola frase: “Da oggi nulla sarà più co-me prima”; dietro le quinte ha parole di stimaper la giornalista Miriam Mafai: “Finalmenteuna che ha capito che non siamo di destra ma unpartito di massa che viene da lontano e che an-drà lontano”. Poi, diserta il trionfo finale al Pala-lido (con Bossi che parla della Lega “forza di go-verno”) e mentre la folla leghista canta il “Va’pensiero”, a Como in casa Miglio si spengono leluci. “La nostra linea è chiara”, annuncia pocheore dopo il senatore già pronto per le consulta-zioni al Quirinale, “collaboreremo con chi ci ga-rantirà, in tempi brevi, la riforma costituzionalee ci assicurerà di voler attraversare il guado, an-che se in modo graduale, verso il federalismo”.

Sono andato a trovare il professor Gianfran-co Miglio nella sua casa di Como, sulla col-lina. Una costruzione solida, che porta i se-

gni amorosi di alcune generazioni. Un passag-gio “segreto” unisce la camera dell’ospite con labiblioteca e la cantina: durante la notte, potreb-be desiderare la compagnia di un libro, o di unabottiglia. Il giardino, con la pergola e il frutteto,

è fiorito: sfumano i colori degli iris e delle aza-lee, e si sente l’odore delle felci. Nello studio delpolitologo, del vecchio professore della Cattoli-ca, tra le belle rilegature in pelle e i volumi am-mucchiati sui tavoli spiccano i ritratti di quelliche lui chiama “i miei santi”: Machiavelli eHobbes, il filosofo inglese che sosteneva: vivia-mo un clima perenne di guerra di tutti contro

Nemici di Roma, un po’ meno del Sud

di Enzo Biagi

Corriere della Sera, 12 maggio 1992

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tutti. Un po’ pessimista. Settantatré anni, lamoglie Miriam, leghista accesa, un figlio che in-segna fisica alla Statale di Milano, una nipotinache si chiama Lucia e un grande cane nero chepare negato alla ferocia. Un signore molto gen-tile e spiritoso, che qualcuno accusa di narcisi-smo: è probabile che, se si guarda attorno, ab-bia una certa considerazione di sé.

Conversiamo bevendo un gradevole vinobianco prodotto dalle sue vigne.

Di Umberto Bossi, il condottiero, il professoredice che è “un puritano, che vive con estremamodestia”. Bossi lo trova meno aggressivo dellaleggenda, più attento, più sfumato.

Ha avuto una brutta esperienza cardiaca, masi è ripreso bene. Finito il tempo della rabbia,adesso è il momento della riflessione. Ha ottenu-to un successo strepitoso: 240.513 preferenze, eha battuto con forti distacchi Occhetto, Orlando,Fini, De Mita, Craxi; solo Andreotti, nel 1987, se-gnò un primato mai più raggiunto: 329 mila.

Con molta cortesia è venuto nel mio studio, eabbiamo chiacchierato pacatamente.

Stesse domande a tutti e due: ecco le risposte.Chi è un leghista?Professor Miglio: “Io lo sono nel senso che gli

obiettivi per cui si battono sono anche i miei.Però lei sa che io non sono iscritto: sono un in-dipendente, anche come parlamentare. Dopoavere militato dal ‘43 al ‘59 nella Democraziacristiana, ho fatto voto di non essere mai più-immatricolato in nessun partito”.

Onorevole Bossi: “Leghista è uno che vuolecambiare, che si sente in una società difficile,che non ha più leggi adeguate, capisce che c’èquesta commistione con l’affarismo, che al Nordsignifica poca chiarezza nelle concessioni edili-zie, e al Sud mafia dentro le istituzioni. Ed èuno che la Babilonia la deve anche finanziare.Tra le tante proteste la gente ha scelto la Legaperché presenta anche una proposta credibile”.

Come è nata questa idea?Professor Miglio: “Le idee sono: il cambiamen-

to radicale della Costituzione della Repubblica ela costruzione su base federale del nuovo ordi-namento. L’idea federale l’avevo addosso daquando sono nato, perché la mia famiglia è ditradizione repubblicana, e Cattaneo era di casa.L’idea del cambiamento della Costituzione è ve-nuta, per me, a partire dagli anni Sessanta, dopol’uscita dalla Dc. La mia prima opposizione con-tro questo sistema politico l’ho fatta nel ‘64 conuna diagnosi molto precisa: ho sostenuto che ilsistema non si sarebbe più potuto correggere. E

ho descritto esattamente i fenomeni di cui sia-mo spettatori: clientelismo, corruttela e declinodello Stato di diritto”.

Onorevole Bossi: “Nel lontano ‘79, come ri-chiesta di autonomia regionalista: c’era già statal’esperienza della Valle d’Aosta, nasce con le pri-me elezioni”.

Il ministro Formica ha detto che siete dei fa-scisti, a me non pare.

Professor Miglio:“L’inviterei a leggere l’ultimo mio libro dove

accanto alla richiesta dell’elezione popolare delprimo ministro ho elencato in cinque capitolitutte le garanzie che dovrebbero limitare i pote-ri di questo decisore, tanto che un bravo giorna-lista della Tv ticinese ha detto che ho esagerato,e il mio personaggio avrebbe avuto le mani trop-po legate”.

Onorevole Bossi: “Ma ha poi detto che si eraspiegato male”.

Lei nella Lega che cosa rappresenta?Professor Miglio: “Credo di essere soltanto

uno che ha qualche strumento tecnico più deglialtri. Nella campagna elettorale ho trovato unaforza di consenso e di affetto, forse perché sonovecchio, che non mi sarei immaginato”.

Onorevole Bossi: “Il fondatore, il lavoratore,quello che l’ha fatta crescere. Penso di essereancora importante perché posso fare il democra-tizzatore della situazione, e preparare dei suc-cessori”.

La Lega ha qualcosa in comune con Gugliel-mo Giannini?

Professor Miglio: “Assolutamente no, perchéquesto è un movimento di popolo; quello diGiannini era un movimento di italiani ex fasci-sti. Era gente che aveva avuto qualcosa a che fa-re col passato. La Lega è il mondo della genteche vive del suo”.

Onorevole Bossi: “Penso di no: era un’altrastagione storica, aveva un’altra cultura”.

Che cosa intravede nel futuro? Professor Miglio: “Si può raddrizzare la situa-

zione se questa spinta del Paese, che non saràfatto di santi, ma di persone che non vivono delvantaggio politico, si accrescerà e travolgerà ilsistema partitico. Io credo che la Repubblica po-trà essere rifondata. Questa è la nostra Algeria”..

Onorevole Bossi: “Nell’immediato siamo op-posizione politica ai partiti di regime; se venissemeno la nostra posizione, si arretrerebbe il cam-biamento”.

Qualcuno descrive gli elettori della Lega co-me una specie di Armata Brancaleone, ma mi

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pare che il campionario sia più o meno quellodegli altri partiti.

Professor Miglio: “La composizione socialedella Lega è uguale a tutti gli altri partiti, ma laLega coinvolge tutti i ceti”.

Onorevole Bossi: “Non vengono dalla Luna,ma da questo mondo. Almeno un diploma cel’hanno tutti. Il 74 per cento sono laureati” .

Quegli ottanta parlamentari che peso posso-no avere?

Professor Miglio: “Notevole, perché in un Par-lamento molto frammezzato come quello attua-le, un blocco disciplinato e compatto diventafortemente determinante”.

Onorevole Bossi: “Nella scelta delle caricheistituzionali mi pare abbiano contato poco, per-ché sono decisioni prese secondo il manualeCencelli. Tutti uniti a difendere il Palazzo e aspartirsi le stanze”.

A quali tentazioni dovreste sfuggire? Professor Miglio: “Qualcuno potrebbe essere

tentato di monetizzare subito il potere, come hafatto Franco Castellazzi, ma lo credo enorme-mente difficile, perché quelli che hanno battutoquesta strada sono finiti in un buco nero. E que-sto è un forte ammonimento per tutti”.

Onorevole Bossi: “Sono le tentazioni di chi sache sta avanzando rapidamente il tempo delcambiamento, e dovremo chiedere un voto pergovernare. Siamo tutti tesi all’organizzazione diuna struttura fondamentale per fare politica.Dovendo fare uno sforzo enorme nei prossimidue anni uno potrebbe essere indotto a sedersiun attimo al tavolo, pur con le migliori inten-zioni. Quando ho fatto uscire i miei uomini da-gli enti erano tutti contrari: stampa compresa”.

I Leghisti hanno qualcosa di meglio o di peg-gio degli altri?

Professor Miglio: “Sono cittadini che non so-no stati ancora contaminati dai vantaggi del po-tere politico. E noi faremo in modo, con le rifor-me, che non lo siano mai più”.

Onorevole Bossi: “Hanno di meglio: la fede,che è un sentimento fondamentale per spostareuna montagna, e hanno un monopolio di fattosu giovani e giovanissimi. La fede può creare in-tolleranze”.

Pensa che con la vostra Marcia su Roma cam-bierà qualcosa nella vita del Paese?

Professor Miglio: “Credo che cambierà qualco-sa ma non per la nostra entrata in Parlamento,bensì per la nostra presenza nei paesi e nellecittà del Nord”.

Onorevole Bossi: “Penso di si: sta scricchio-

lando un po’ tutto. Il momento critico verràquando nelle Commissioni con le leggi ci saran-no soldi da spartire, e i partiti si separano. Lìcontiamo”.

Non è un rischio l’Italia divisa? Professor Miglio: “Assolutamente no; lo è sta-

to l’Italia unita, come dimostrano i fatti, perchéil governo di Roma non ha fornito nessun ripa-ro al processo di degenerazione”.

Onorevole Bossi: “Noi non l’abbiamo neppureventilata se non in maniera strumentale: cam-biando noi qualcosa al Nord, saranno costretti avenirci dietro”.

I leghisti ce l’hanno col Sud e ce l’hanno conla capitale?

Professor Miglio: “Con la capitale più che colMeridione: l’atteggiamento antimeridionale derivadal fatto che il leghista è costretto a identificareuna amministrazione inefficiente, corrotta e arro-gante perché è rappresentata dai meridionali”.

Onorevole Bossi: “Ce l’hanno con la capitalepolitica, che non è la Roma dei muri, delle per-sone e della storia”.

Come mai tanti veneti tra gli eletti?Professor Miglio: “Perché il movimento è co-

minciato lì”.Onorevole Bossi: “Nel Veneto si era formata la

prima associazione autonomista, la Liga Veneta,ma aveva dovuto affrontare molte peripezie”.

Non crede che anche la Lega parteciperà, fa-talmente, alla spartizione?

Professor Miglio: “Credo proprio di no. Nes-sun partito ha addosso i suoi elettori come laLega notte e giorno”.

Onorevole Bossi: “Fatalmente no: ci stiamo at-tenti. Se entriamo a far parte di una Commissio-ne, non vuol dire che lottizziamo”.

Come onorevoli, pensate di far sempre vitacollegiale?

Professor Miglio: “Questa è una balla; era sol-tanto una ragione di carattere economico. Il le-ghista ha un forte spirito di corpo, ma è indivi-dualista”.

Onorevole Bossi: “Sarebbe intollerabile, peròogni tanto è importante conservare lo spirito diamicizia, trovarsi e ritrovarsi umanamente al dilà delle cariche. Impedire che prevalgano i per-sonalismi, e che regga lo spirito di gruppo”.

Professor Miglio non pensa che tra lei e Bossipossono nascere dei contrasti?

“Siamo troppo intelligenti tutti e due per nonsapere come si fa ad andare d’accordo”.

E secondo lei, onorevole Bossi?“Penso di no, perché Miglio mi vuol bene”.

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Siete sempre dell’idea di mandare Craxi al go-verno, e Cossiga per un paio di anni ancora alQuirinale?

Professor Miglio: “Craxi non è più una persona-lità presentabile, purtroppo. Cossiga, si”.

Onorevole Bossi: “Craxi, in passato, qualche ri-sultato lo ha ottenuto, e per Cossiga un segnale fa-vorevole lo daremo anche”.

E se no, chi?Professor Miglio: “Bisogna vedere. Noi chiedere-

mo a quelli che potrebbero essere eletti di rispetta-re i nostri principi. Se nessuno ci dà questa garan-zia noi ci apprestiamo a un gesto per cui il nuovopresidente nascerà zoppo: non sarà il presidente ditutti gli italiani”.

Onorevole Bossi: “Per adesso a tutti e a nessu-no”.

Questi scandali che effetto avranno?Professor Miglio: “ Spaventano la classe politica

e forse la spingono ad accettare il cambiamento”.Onorevole Bossi: “Sulle elezioni del presidente

della Repubblica chi viene dal Partito socialistaavrà grosse difficoltà”.

Se lei fosse Craxi come si comporterebbe?

Professor Miglio: “Andrei in convento”. Onorevole Bossi: “Andrei al mare”.Dove ha sbagliato?Professor Miglio: “Nello sfrenato nepotismo”.Onorevole Bossi: “Visto che siamo davanti a

una banda di liberi professionisti della tangente, suche cosa si sono formati, su quale stampo? Diconoche l’esempio viene dall’alto: può darsi che non siasempre così, e che Craxi sia stato frainteso”.

Tutti i partiti sono uguali, o qualcuno di più?Professor Miglio: “In un Paese i partiti tendono

ad assomigliarsi, ma c’è chi ha rubato di più, chi dimeno, chi con più astuzia e chi in maniera platea-le”.

Onorevole Bossi: “Solo la Lega non è emersadallo stesso brodo primordiale, siamo nuovi. Devo-no uscire all’asciutto: si va incontro alla fratturadelle grandi formazioni”. .

Professor Miglio, lei ha detto: “Già in Toscana iosono a disagio, non mi ci trovo. Figuriamoci alSud”.

“É un fatto antropologico”. E lei; Onorevole?“Io mi trovo bene dappertutto”.

Le galline tedesche fanno uova lombarde

Faccia a faccia con Miglio e con Bossi, si scoprono molte differenze nella Lega. Per esempio, che l’ideologo più noto

del federalismo ama le radici germaniche del nord Italia. Forse per via delle sue bisnonne...

di Saverio Vertone

Europeo, 29 maggio 1992

Per fortuna non siamo piante, e non abbia-mo le radici. Grazie al cielo possiamo cam-minare, spostarci, persino correre e andare

in bicicletta. Le nostre radici sono le gambe e latesta che, come è noto, non ci sono state dateper tenerle ferme. Sono radici mobili, e rappre-sentano un grande progresso rispetto a quelle,interrate, degli alberi.

Ma è anche vero che, proprio per l’estremamobilità delle nostre gambe e della nostra testa,abbiamo bisogno di qualcosa che ci fissi da qual-che parte nel mondo, qualcosa che eviti la rare-fazione e la dispersione gassosa di quella sostan-za indefinibile che ormai siamo costretti a chia-mare “identità collettiva”, in base a una maledi-zione linguistica della cultura contemporanea.

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Cittadini del mondo lo siamo per natura. Masiccome non siamo solo natura bensì cultura,civiltà, storia, istituzioni, religione, lingua, sia-mo inevitabilmente meno cosmopoliti dei cani edei canarini.

Questo significa appunto che non si nascegreci, finlandesi o ottentotti, ma lo si diventa.Non a scelta, bensì per assimilazione, attraver-so un processo che in parte è volontario e inparte no. L’importante (per molti almeno) è nondiventare apolidi restando magari cosmopoliti.Un rebus oggi al centro della politica.

Dopo aver discusso, sia pure per poco, con Gi-po Farassino, o letto, sia pure di sfuggita, qual-che scritto di Rocchetta, parlare con i capi dellaLega Nord, e dunque con il professor GianfrancoMiglio, costituzionalista teorico del Movimento,e con il senatore Umberto Bossi, corpo e animadella minaccia secessionista, è come passare dauno stagno alla sorgente. In Farassino e Roc-chetta tutto è fermo, e le radici sono vegetali.

In Miglio e Bossi tutto si muove, e invece diun tronco confitto nella terra, ci sono gambe etesta in grado di spostarsi speditamente. Miglioè colto, anzi erudito, intelligente, simpatico,con una vaga punta di insofferenza antropolo-gica per il Sud: un razzismo non sanguinario,più della sensibilità che dell’intelletto, a mezzastrada tra le classificazioni di Linneo, le strut-ture di Levy Strauss e lo storicismo indogerma-nico di Fichte. Forse, sotto l’erudizione e l’intel-ligenza, si esprime in lui un’oscura volontà divendetta del cattolicesimo austriacante contro ilRisorgimento. Bossi è intelligente, brusco, unpo’ sospettoso ma non antipatico e, mi sembra,abbastanza indifferente agli aspetti antropolo-gici della cultura e delle teste, e più attento alleinsofferenze amministrative delle tasche e dellebotteghe.

Chiedo a Miglio, tanto per cominciare, se il ri-chiamo costante a Cattaneo, sia per invocare ilfederalismo, sia per giustificare la nostalgia de-gli Asburgo, non gli sembri contraddittorio, vi-sto che Cattaneo ha parlato sì di federalismoma ha sempre descritto l’amministrazione au-striaca come un malanno, in ogni caso come uncolosso tardigrado e agonizzante.

Miglio aggira la domanda. O meglio rispondein due tempi. Difende il federalismo, ma non sisbilancia sugli Asburgo. Gli interessa ben altro.Gli interessa ribadire il primato, più vasto e ge-nerale, della cultura tedesca (usa a un certopunto anche il termine “indogermanica”) suquella latina, e in primo luogo dell’illuminismo

prussiano (la cosiddetta Aufklarung) su quellofrancese. L’illuminismo francese, aggiunge, èstato un colossale imbroglio e ha creato i pre-supposti di tutte le rendite ideologiche che han-no sfigurato l’Europa. L’Austria, la Prussia, laDanimarca, la Sassonia stavano risolvendo ilproblema dell’innesto dei ceti (gli Stande; cosaben diversa dai ceti francesi) nelle istituzioni.Robespierre ha scompigliato le carte.

Va bene professore, è un’ipotesi che si può di-scutere. Ma questo giudizio storico-culturalepotrebbe esprimerlo anche un giapponese, sen-za per questo subire l’attrazione della Baviera,voler diventare austriaco.

Miglio, che è una persona gioviale e simpati-ca, sorride e parla delle sue due nonne o bi-snonne tedesche; una sassone, che non ha maiconosciuto, e una di Wtirzburg, che quandocontava le galline, nella villa di Corno, le conta-va ancora in tedesco: “ein zwei drei”.

Sulle preferenze culturali si potrebbe discute-re a lungo, e senza costrutto, ma anche questopiccolo preambolo sull’Aufklarung dimostra indefinitiva che le appartenenze si scelgono; nonsono obbligate e naturali, come il gruppo san-guigno o la forma della testa.

Anzi, bisogna chiedersi ormai perché unaparte dell’Italia (la parte economicamente piùimportante) sia fortemente tentata di non sce-gliere più l’Italia.

Su questo terreno Bossi si muove con più di-sinvoltura di Miglio.

Anche perché non sembra avere nonne e bi-snonne che contavano le galline in tedesco.

Riflette, guarda fuori dalla finestra, fa un ge-sto vago, come per dire “è una questione chedobbiamo ancora sistemare bene”, poi emette lasua risposta: “Noi siamo soprattutto anticentra-listi”.

Benissimo. Dunque anche noi siamo autoriz-zati a interpretare lo slogan “Roma ladrona”,come una metafora contro il sistema politico enon contro la capitale e i caratteri antropologi-ci dei suoi abitanti? Del resto, è ancora utilizza-bile quello slogan dopo quel che è successo aMilano?

“Lo slogan non è mai stato pensato e usatocome un insulto ai romani ma come una di-chiarazione di guerra al centralismo, al sistemapolitico, e ai partiti che se ne servono. Proprioquel che è successo a Milano dimostra che il vi-zio non è nel corpo sociale ma nella testa politi-ca del Paese”.

Ma se è il sistema politico, e non un luogo fi-

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sico a produrre la malattia serve tagliare a fettel’Italia? Tagliando in tre la penisola non si ri-schia di tagliare in tre anche il sistema politico,e i partiti, e di veder risorgere, in ognuna dellesue parti, il male di prima?

“No, no, no, qui bisogna intendersi: la partito-crazia vive sul centralismo. Il resto è coda. Se sitaglia solo la coda, la coda ricresce: come le lu-certole. Ma se si taglia la testa, non ricresce piùnulla”.

Miglio non si accontenta della lucertola, eprecisa: L’Europa incalza e non ci consente diconservare un sistema come questo. L’esempiodei Länder tedeschi dimostra che, dove, non esi-ste il centralismo all’italiana, i partiti sopravvi-vono ma non sopravvive la partitocrazia.

Rimane un problema tutt’altro che facile darisolvere. Come si ritagliano le macroregioni?In Germania le ha ritagliate la storia politica diqualche secolo. Ma in Italia, che facciamo? Ri-mettiamo insieme il Piemonte la Liguria e laSardegna nello Stato sabaudo oppure lo Statopontificio tra il Lazio e la Romagna?

Miglio: Macché, macché. Qui bisogna fareun’altra cosa: attenersi a quel tanto di storia cheè suggerito dalla geografia. Nel Medioevo laLombardia andava dall’Adriatico al Piemonte. Esebbene questa regione non sia mai stata in sen-so stretto uno Stato, una formazione politica, hatuttavia sviluppato caratteri culturali, ambienta-li e umani molto simili e facilmente assimilabili.

E che lingua si parlerà nella Repubblica delNord?

Bossi: “Ma che lingua vuole che si parli? L’ita-liano. Naturalmente l’italiano. Su questa storiadei dialetti abbiamo riflettuto. E siamo arrivatialla conclusione che è meglio soprassedere... LaPadania non ha prodotto una lingua comune,come la Catalogna. E allora non resta se nonl’italiano, che non è poi da buttar via come lin-gua”.

Passando a cose più serie, e più gravi, restada capire di che cosa dovrà vivere il Sud, unavolta tagliati i mille rivoli dei finanziamenti sta-tali. Non è un problema da poco. Perché: il pia-no Mansholt (voluto dalla Cee) ha distrutto l’a-gricoltura meridionale; la mafia edilizia ha tar-pato per sempre ogni vocazione turistica dellecittà e delle coste; e l’insicurezza, la crimina-lità, l’assenza di servizi, i ricatti malavitosi nonfavoriscono certo gli insediamenti industriali.Che cosa resterà, al Sud, come risorsa economi-ca, dopo la chiusura della borsa statale?

Bossi: “Abbiamo pensato anche a questo. In-

tanto perché è nostro interesse (del Nord) che ilSud non finisca tutto in mano alla mafia delladroga; che non diventi insomma una Colombiacon il rischio per noi di avere sotto i piedi, diret-tamente, una polveriera. Ma poi ci sono ancheragioni meno egoistiche. Noi non intendiamotagliare bruscamente i finanziamenti, né vo-gliamo disinteressarci al destino economico del-le regioni meridionali. Diciamo però che non ètollerabile lo sperpero. Fino adesso le risorsesulla Lombardia sono state dilapidate, per otte-nere risultati nulli o peggio che nulli. Il federa-lismo non esclude la solidarietà: anzi la consen-te e la legittima proprio perché, quando potre-mo decidere come usare i nostri soldi gli aiutiche daremo non saranno più il frutto di un’e-storsione ma di una scelta e di una scelta sotto-posta al controllo di chi la paga e di chi ne be-neficia. D’altronde, è inutile ripetere ancorauna volta che il federalismo non annulla, noncancella, non azzera lo Stato nazionale. Nonsappiamo ancora cosa ne sarà dello Stato na-zionale. Ma è chiaro che non pensiamo di stabi-lire un contatto diretto, non mediato da nulla,tra le istituzioni europee, il Parlamento euro-peo, un eventuale Governo comunitario, e il Co-mune, piccolo o grande che sia, anche la regio-ne. Neppure la macroregione, neppure la Pada-nia, per intenderci, basterebbe a colmare il vuo-to che si creerebbe. Sicché per il momento, lestrutture centrali dello Stato, conserveranno,dovranno conservare, alcune delle loro preroga-tive: la difesa, la politica estera eccetera.

Poi si vedrà cosa succede in Europa tra gli al-tri Stati. Non siamo pazzi, non procediamo conla testa nel sacco. Sappiamo guardarci attorno,e tirare qualche conclusione da quello che ve-diamo”.

Il colloquio che ho riportato dimostra che conle Leghe si può discutere, se si è disposti adascoltare quel che dicono con il minimo di diffi-denza e il massimo di prudenza. Forse non èinutile segnalare che è avvenuto nel Transatlan-tico del Parlamento, mentre si succedevano ledesolanti tornate elettorali sul nome di Forlani.

Dopo la bocciatura del segretario Dc, che harivelato la dissoluzione del quadripartito, è sva-nita anche la rosa dei candidati dei partiti del-l’Internazionale Socialista, dimostrando cosìche non esiste nemmeno la Sinistra.

Sarà difficile che questo Parlamento riesca aeleggere un presidente senza tener conto delleLeghe, che sono state la novità delle ultime ele-zioni. Ma un presidente eletto tenendo conto

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delle Leghe sarà tenuto anche a rappresentaresia l’unità sia la divisione della nazione.

Forse, dopo 130 anni di storia unitaria, noncompromessa neppure da una guerra catastro-ficamente perduta, l’Italia sta avvicinandosi auna di quelle prove che possono spezzare o rin-saldare i Paesi, frantumarli o irrobustirli.

Molto, ovviamente, dipenderà dalle Leghe,dalla cultura politica (e non solo politica) cheriusciranno a diffondere nei loro sostenitori

(ancora esposti a troppi fanatismi). Ma moltissi-mo, quasi tutto, dipenderà dal resto del Paese,dagli schieramenti parlamentari e dalla loro ca-pacità di distinguere ciò che nelle Leghe è com-patibile con la conservazione del Paese da ciòche non lo è.

Se il sistema politico si irrigidirà, pensando disalvare se stesso, non è escluso che si spezzi l’I-talia. Ma si può ancora tentare di evitarlo. Ba-sta volerlo.

Siamo disarmati e questa è la nostra “debolezza”

“Se in Italia ci fossero le polizie regionali, il Nord minaccerebbe una guerra contro Roma. Ma noi abbiamo le mani nude,

quindi siamo pacifici per forza”. Così, in questa intervista l’ideologoGianfranco Miglio difende la Lega dalle accuse di squadrismo

di Pialuisa Bianco

Europeo, 24 luglio 1992

Tafferugli a Milano, e la Lega è stata scara-ventata sul banco degli accusati. E subitohanno fatto il processo a Bossi. Marcello

Pera scrive che il senatur è un Hitler in sedice-simo: Il Popolo (immemore della Milano deglianni Settanta) dice: “Fatti simili non si eranomai visti”.

Giorgio Bocca, invece, grida alla montatura(“Milano ha smarrito la verità”) e Luigi Manconiironizza: se gli incidenti davanti a palazzo Mari-no sono i prodromi del fascismo “allora la rissatra il democristianissimo De Carolis e il demo-cristianissimo Intiglietta cos’è? La battaglia diStalingrado o la strage degli innocenti? ”)

In ogni caso la Milano, che dovrebbe diventa-re il primo banco di prova della Lega potere, og-gi si interroga sul nervosismo di Bossi e deisuoi, e sulle loro contraddizioni tra il dire e ilfare di questo partito “nuovo”. Ma come rispon-de l’ideologo della Lega?

Ecco l’analisi di vizi e virtù del popolo di Bos-

si in questa intervista esclusiva del senatoreGianfranco Miglio all’Europeo.

Professore, davvero l’episodio milanese è solofolklore, rude popolanità e mancanza di bonton come lei ha detto, o nella politica della Legac’è una vocazione “manesca”?

L’episodio milanese è stato soprattutto unbluff degli avversari politici della Lega, un dispe-rato tentativo di darsi un alibi per varare unagiunta che non può stare in piedi...

Una cosa è certa: in un movimento ampio ecomposito come la Lega abbiamo di tutto. Dachi vorrebbe menare le mani, mani nude si in-tende, a chi, all’opposto, si immagina la Legacome il miglior ricostituente della Dc. Adessodirò una cosa che farà scandalo: la “debolezza”della Lega, mi raccomando lo scriva tra virgo-lette, è di non essere armata. Se lo immaginaquale deterrente avrebbe rappresentato la Legase avessimo avuto una polizia regionale? Il Nordavrebbe potuto minacciare di scendere al com-

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battimento pur di ottenere in cambio le rifor-me.

Meno male: siamo felicemente condannati aessere pacifisti.

Le sue parole sono più terribili della metafo-ra “stiamo oliando i kalashnikov”...

Qualunque cosa noi diciamo ci saltano addos-so. La lingua dei politici è piena di metaforeguerresche: “Attaccare”, “Scendere sul piede diguerra”, “Sparare su”, “Tenere il fucile al pie-de”. E non è un caso perché la politica, come ciha insegnato il barone von Clausewitz altro nonè che “la guerra proseguita con altri mezzi”.Tutti i politici usano espressioni del genere:non capisco perché Arnaldo Forlani possa farloimpunemente e l’onorevole Formentini no.

Forlani non è il leader di un partito “rivolu-zionario”, di un partito che vanta una compat-tezza militaresca quale lei stesso definisce laLega...

Certo, la Lega è un partito rivoluzionario, an-zi è l’unico partito veramente rivoluzionarioche sia rimasto. Ma è un partito pacifico.

I nostri elettori sono dei “panciafichisti”, de-gli “stripponi”... Mi viene in mentre un versocarducciano: “mercatanti che cinsero pur ieri ai lor mal pingui ventri l’acciar de’ cavalieri”.

Professore, lei ha appena detto che la Lega,ormai un partito del nove per cento, è un movi-mento “ampio e composito in cui c’è dentro ditutto”. La sua dinamica interna rammentaquel “blocco storico” che alimentò la nascitadel fascismo; o quello che ne decretò la fine, laResistenza. Anche allora c’era dentro di tutto:cattolici e mangiapreti, operai e industria, de-stra e sinistra, moderati e sovversivi. Non temeche ad agitare slogan rivoluzionari in un movi-mento come la Lega qualcuno finisca per pren-derli sul serio?

I fascisti avevano le armi, venivano dalle trin-cee e sapevano combattere. La marcia su Romasarebbe fallita se non avessero avuto dalla lorol’esercito. Le “squadracce” non sarebbero spun-tate se la forza del fascismo fosse stata politica enon militare.

Mutatis mutandis la stessa cosa vale per i par-tigiani, che erano armati fino ai denti e sapeva-no fare la guerriglia. E sono sempre le armi,quelle partigiane nascoste nelle fabbriche deldopoguerra che hanno alimentato la compo-nente insurrezionale della sinistra italiana. Inoccasione dell’attentato a Togliatti si vide che icomunisti erano armati e pronti alle vie di fat-to. In tutto questo non c’è nulla di paragonabile

al fenomeno della Lega che è una “Resistenza”totale al sistema della partitocrazia ma disarma-ta. E poi, ecco la differenza fondamentale, noiabbiamo in mente un modello che è il massimoche possa esprimere la liberaldemocrazia: il fe-deralismo.

È compatibile con il federalismo che predica-te per rifondare lo stato italiano, il centralismomonocratico della vostra organizzazione?

Ho sempre sostenuto che le forme di governosono relative alle diverse fasi del ciclo politico.

La democrazia interna di un movimento èquasi sempre incompatibile con la sua crescitatumultuosa. Tutti i movimenti politici che at-traversino questa fase sono monocratici e ac-centratori. Raggiunto lo scopo si può praticarela democrazia.

La pensava esattamente così Lenin...Io sono spregiudicato come Lenin; e forse,

“l’ultimo dei leninisti”, come ha detto una voltaMassimo Cacciari. Anche se il mio “leninismo”,il mio “decisionismo” sono puramente funzio-nali: chi come me ha in mente un modello libe-raldemocratico non concepisce l’accentramentodel potere che come una fase temporanea.

Anche la dittatura del proletariato doveva es-sere temporanea... Chi può garantire che la vialeninistica al federalismo lo sarebbe?

Il fatto che la Lega non pensa di “prendere ilpotere”, ma di sfondare col consenso elettorale.Abbiamo il nove per cento, per ora, e contro ilrestante 91 per cento del sistema politico.

Sognate di raggiungere il fatidico 51 per cen-to che vi dia la maggioranza assoluta grazie auna contrapposizione frontale o pensate di tro-vare dei compagni di viaggio, degli alleati?

Per il 51 per cento ci vorrà una terza battuta.Sono convinto che dove siamo forti, dove percosì dire abbiamo il mazzo in mano, a Brescia oa Milano, possiamo governare anche subito. Al-le nostre condizioni si intende e non certo al-l’interno di una Grosse koalition dove non sicombina nulla. Deve essere chiaro chi è che de-cide. Bossi dice sempre che siamo un partito digoverno transitoriamente all’opposizione, ed iosono d’accordo.

Per ora l’opposizione leghista non ha vinto lamaledizione che fu della vecchia opposizionecomunista, la politica del tanto peggio tantomeglio. Di elezione diretta del sindaco non vo-lete neanche sentir parlare. Bossi ha dato del“fascista” a Mario Segni. Con i repubblicani diLa Malfa, siete ai ferri corti... Non teme che ivostri elettori si sentano traditi?

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La nostra gente deve capire che la situazioneè molto complessa e che in questo momentonon basta agitare la bandierina di una riformapurchessia. Il progetto di Segni per l’elezionediretta del sindaco è, come dice anche il mioamico Massimo Severo Giannini, “una cretina-ta”. Non si capisce quali poteri debba avere que-sto sindaco legittimato da un’elezione popolare,non si capisce quale ruolo debba avere il consi-glio comunale privato come sarebbe di quelloessenziale: rovesciare il sindaco e garantirenuove elezioni.

Non sarà, professore, che la Lega antepone isuoi interessi di bottega alle riforme? Se a Mi-lano, si votasse tra 15 giomi con le vecchie re-gole voi raggiungereste una posizione domi-nante: con tanti saluti al cambiamento del si-stema...

Posso dimostrarle il contrario: una decina digiorni fa, prima del can can milanese, io e ilprofessor Scognamiglio, neoeletto nelle file li-berali, avevamo escogitato uno stratagemmaper il quale anche in caso di elezioni ravvicinatesi potesse introdurre un elemento di novità: glielettori avrebbero dovuto indicare, attraversouna specie di referendum contestuale al voto,

quale dei capistalista avrebbero voluto comesindaco e i partiti si sarebbero impegnati a ri-spettare questa indicazione popolare. Avremmocosì avuto i meglio possibile in questo momen-to: un consiglio comunale eletto con la propor-zionale e un sindaco se non eletto direttamente,almeno gradito al popolo.

Due mesi fa nel suo ultimo libro lei era per ilsistema maggioritario e per l’elezione direttadel sindaco...

È vero. Ma le istituzioni hanno un tempo eun luogo, sono relative. E in questa delicata fa-se di passaggio dalla vecchia alla nuova classepolitica gli elettori devono sentirsi rappresenta-ti nel modo più ampio possibile, cosa che col bi-polarismo che comporterebbe il sistema mag-gioritario non potrebbe essere....

Lei ha sempre sostenuto che la Costituzionenacque da un patto scellerato tra i moderati ela sinistra rivoluzionaria. Non finirà che anchela prossima Costituzione (se ci sarà), nasceràda un patto scellerato i cui vizi ci porteremoappresso per 50 anni?

Non c’è questo pericolo: i Piccioni, i Togliatti,i Nenni erano d’accordo. Oggi siamo tutti vacci-nati contro il Consociativismo.

Miglio, il tedesco di casa nostradi Di G.S.

L’Italia, 13 gennaio 1993

C’è chi lo definisce l”’anima germanica del-la Lega”. Altri non vanno tanto per il sot-tile e lo chiamano “maledetto austriacan-

te”. Lui, il professor Gianfranco Miglio, non siscompone, anche perché non si considera affat-to offeso da simili parole. Neppure l’ondata xe-nofoba con le violenze dei giovani skinheads lo-gora l’ammirazione del senatore leghista neiconfronti della “Gross-Deutschland”.

Grazie alle gesta di una minoranza imbecillee strumentalizzata ci troviamo davanti, soprat-tutto da noi, a un deja-vu - spiega il professore -Ecco rispuntare il vecchio sentimento antiger-manico, un rigurgito che è fisiologico in vasti

tessuti della nostra società, specialmente inquelli romani.

All’inizio degli sviluppi dell’inchiesta “manipulite”, alcuni personaggi politici nella capitaleironizzavano sul “calvinismo” degli imprendito-ri lombardi che avevano confessato. Voglio direche mentre per i padani il termine calvinismo etutto il sostrato culturale ha una valenza positi-va, a Roma e dintorni è tutto il contrario. Allostesso modo la mentalità di noi settentrionali ingenere guarda con simpatia al vecchio governoimperiale austriaco.

Finalmente ci stiamo liberando di tutte lescemenze risorgimentaliste che indicavano nel

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vicino “teutonico” il nemico numero uno dell’I-talia “mediterranea”. I nostri popoli settentrio-nali si dirigono verso il tradizionale alveo mit-teleuropeo.

Eppure i sondaggi dimostrano che l’italiano èeuropeista. Lei non lo crede, professore?

Per molti italiani si è europeisti per calcolo.Ovvero: andiamo pure con gli europei.. così fa-remo pagare a loro i nostri debiti! E un atteg-giamento disonesto, che si affida alla “furbizia”italica e non si assume le grandi responsabilitàche derivano dal far parte di un consesso comu-nitario. Ma appena ci si è resi conto che aderirea Maastricht significa ad esempio rinunciare al-le pensioni di invalidità facili e ai finanziamentia fondo perduto, si è preferito soffiare sul fuocodel patriottismo e del nazionalismo. Così si svi-luppa ancora una volta il mito dell’autarchia e

si agita il pericolo di un Quarto Reich.Quindi si sta sopravvalutando la tensione so-

ciale tedesca?A mio parere il governo tedesco fa bene a ri-

vedere il diritto di asilo, per concedere a chi neha veramente bisogno la possibilità di risiederein Germania.

Credo inoltre che questi episodi xenofobi ser-vano ad intimorire l’opinione pubblica e a spin-gerla verso il conservatorismo politico. E quimi riferisco all’Italia: già diversi uomini politicied intellettuali stanno tentando di mischiare leidee razziste con quelle di chi vuole un cambia-mento rivoluzionario, ma pacifico, come la Le-ga Nord.

E un gioco sporco, ma sono sicuro che le per-sone che amano pensare con la propria testanon si lasceranno abbindolare.

Altrimenti c’è il golpedi Chiara Beria d’Argentine

L’Espresso, 7 marzo 1993

Attacca il senatore della Lega Nord, Gian-franco Miglio: Il presidente Scalfaro sta cer-cando di tenere in piedi un sistema morto,

di far sopravvivere una mummia. E in questosuo disperato tentativo proprio lui, che lo scorsomaggio si insediò al Quirinale con una dichiara-zione molto dogmatica a favore della Repubblicaparlamentare, ha finito per violare le regole allequali tanto teneva. La presidenza Scalfaro è in-somma la manifestazione più eclatante che nonsi può più governare questa Repubblica secondolo spirito della Costituzione del 1948.

È l’ora del Quirinale. A nove mesi dalla suaelezione a capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfa-ro deve incassare le prime, nette critiche al suooperato. Le opposizioni, dal Pds al Movimentosociale, non gli perdonano i suoi sempre piùpressanti interventi a sostegno di GiulianoAmato, ed ormai c’è chi parla di “Governo presi-denziale”. D’altra parte c’è invece chi invocaun’azione ancora più decisa di Scalfaro, unicopunto di riferimento nei giorni più drammatici

della Prima Repubblica. Il 25 maggio ‘92 i par-lamentari della Lega non votarono per Scalfaro(“in realtà puntavamo ancora su Cossiga”, am-mette Miglio) e non applaudirono nemmeno ilsuo discorso. Ora Miglio, suo coetaneo e compa-gno di studi alla Cattolica, lancia una sfida alpresidente: Disse che avrebbe difeso fino all’ulti-mo la Repubblica parlamentare. Mantenga lasua promessa e non bari al gioco.

Senatore non cominciamo con un vilipendioalla presidenza della Repubblica...

Quale vilipendio! Considero Scalfaro un ga-lantuomo. Non è affatto vero che io ho avuto ge-sti irriguardosi nei suoi confronti. Ma insisto:non deve barare al gioco. Se il problema dellapresidenza sta diventando delicatissimo è perchéScalfaro con la sua opera di puntellamento diAmato si è posto al di fuori del modello, a lui co-sì caro, di difensore della centralità del Parla-mento.

E proprio lei, il teorico del presidenzialismo,lo rimprovera di questo?

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Si perché è inammissibile spingere il presi-dente a compiere atti che la Costituzione nonprevede: nessun presidente di una Repubblicaparlamentare si intromette nelle faccende deiministri nel modo a cui Scalfaro è stato costret-to. Andando avanti di questo passo, con un pre-sidente del Consiglio così traballante, si rischia-no colpi di mano. Per analizzare il comporta-mento odierno di Scalfaro occorre però fare unpasso indietro e tornare a Cossiga: la sua presi-denza è nata sotto l’influenza del suo predeces-sore. Quando Cossiga intuì che il sistema era or-mai in crisi smise i panni del presidente-notaionella convinzione che bisognava aiutare uncambiamento sostanziale della Costituzione. L’e-lezione di Scalfaro ha rappresentato la negazio-ne di questa analisi. Ancora prima di essereeletto lui disse: “Io sono per il Parlamento”. Unadichiarazione che certo gli procurò molte sim-patie tra i parlamentari!

Povero Scalfaro, non aveva capito che la storiasta camminando in un senso diverso. Così il col-lasso dei partiti di Governo, l’accelerarsi del mo-to di cambiamento e, soprattutto, l’emergeredella corruttela hanno finito per spingere Scal-faro a comportamenti più forti, pur di tenere inpiedi questa Repubblica parlamentare. Non è pa-radossale? Proprio chi si era presentato, in pole-mica non esplicita con Cossiga, come quello cheavrebbe ripristinato il ruolo del custode delleistituzioni, è stato costretto dalla vicenda quoti-diana a mescolarsi sempre di più nella lotta poli-tica.

Non le sembra di esagerare?Come commentare altrimenti la commistione

dell’azione del presidente nella formazione delGoverno? E le sue continue intrusioni? Finchésollecita i partiti a coalizzarsi e a facilitare l’a-zione di governo è nell’ ambito delle sue compe-tenze. Intendiamoci bene, ha fatto benissimoanche a rifiutare la nomina a ministro di certipersonaggi: oltre che della legittimità, Scalfaro èanche il custode della legalità e della moralitàpubblica. Ma fino a che punto sono invece accet-tabili i suoi interventi per convincere un mini-stro a dimettersi o per sceglierne un altro? I co-stituenti non avevano previsto un “governo delpresidente”. Il problema è che il regime è ormaiun meccanismo rotto così anche un galantuomocome Scalfaro è costretto, forse, a compiere attie ad assumere funzioni che non gli competono.

Ma in un momento simile non è suo compitosostenere l’unico governo possibile?

La cosa più umoristica è che Amato rappre-

senta un partito, il Psi, che non c’è più e unamaggioranza che oggi raccoglie più del 24 percento dei voti. Il presidente ha scelto Amato, loha aiutato in tutti i modi e lo ha bloccato quan-do tirò fuori, lo scorso autunno, quel vero abo-minio che era la delega di poteri per sanare la si-tuazione economica. Anche in quel caso Scalfa-ro ha dimostrato di essere un buon giurista, ol-tre che persona per bene. Per questo mi auguroche accolga il mio appello.

Quale?Si lavi le mani, ritiri giù le maniche, si riallac-

ci i polsini e si rimetta alla finestra a fare ilguardiano della Costituzione. E respinga certepressioni.

A chi si riferisce?Scalfaro difende una Repubblica parlamentare

ideale ma rischia di venire strumentalizzato daidifensori del vecchio sistema, parlo dei solitimarpioni dc e psi, per non nominare la corte dinanerottoli liberali e socialdemocratici. Questa ègente decisa a riconquistare tutto il suo potere.

Basta citare gli ultimi avvenimenti: la zuffa suGuarino, la battaglia contro le privatizzazione adifesa dell’ economia pubblica. La formula di

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Guarino – prima riordiniamo le imprese pubbli-che e poi parliamo di vendite – è il contrario delprogramma di Governo: in queste condizionil’unica via era la crisi. Ed invece un Amato umi-liato dai suoi stessi ministri viene aiutato daScalfaro in un’operazione poco corretta. E alprossimo intoppo?

Mi auguro che Scalfaro sappia rientrare sui bi-nari, altrimenti si arriverà a una crisi drammati-ca. A un passo dal colpo di Stato.

Parole grosse. Crede in un simile rischio?In Italia si va diffondendo un sentimento di

paura. Il Paese è diviso tra chi è pronto a correredei rischi pur di voltar pagina e chi teme che ilcambiamento abbia un prezzo troppo alto. Cre-do che ci sia ormai un 30 per cento della popola-zione, quelli che hanno paura, pronta a dire aScalfaro: “Fai tu il governo, nomina tu i mini-stri, prenditi più potere”. Ma c’è anche un 10 percento che si appellerebbe alla Costituzione. Ri-sultato: la guerra civile.

E voi della Lega cosa proponete?Esattamente il contrario di quello che voglio-

no i vecchi marpioni del sistema morente: alle

urne subito. Umberto Bossi lo ha detto con chia-rezza a Scalfaro e io lo ripeto. Non ci sono altrealternative: il 5 aprile ha aperto la strada al cam-biamento ma, purtroppo, ha lasciato un margi-ne sufficiente al vecchio regime per sopravvive-re. E ora ne paghiamo le conseguenze.

Ma i presidenti di Camera e Senato riafferma-no la legittimità di questo Parlamento...

Nessuna persona di buon senso può sostenereche questo Parlamento corrisponda ancora alreale orientamento dell’opinione pubblica. Nonè certo legittimato a varare le riforme e unanuova legge elettorale. Tutto questo Scalfaro losa benissimo, come conosce benissimo i vecchimarpioni di regime. Loro, ma non Scalfaro, si il-ludono ancora: la vena giugulare dei partiti chehanno governato l’Italia negli ultimi 30 anni èormai tagliata, perdono sangue a fiotti. Quellache stiamo vivendo è una rivoluzione a rallenta-tore. Dietro la crisi del Governo Amato c’è la cri-si della Repubblica, il collasso del vecchio siste-ma, e questo terrorizza chi sostiene il Governo.Eppure in queste condizioni l’unica via d’uscitasono le elezioni. Subito.

Miglio: “Ho l’arma assoluta”“È lo sciopero generale fiscale”, ci dice in un’intervista

di Flavia Baldi

Il Giorno, 9 giugno 1993

Gran Lombardo, senatore, costituzionalista.Con Miriam, la moglie, leghista di ferro.Gianfranco Miglio, l’ultimo reazionario,

hanno detto di lui. Decisionista, ha ammorbidi-to le teorie di Carl Schmitt per abbracciare ladisobbedienza civile e il suo profeta Thoreau.

Lassù, dal lago di Como dove i Miglio abitanoalmeno dall’Anno Mille, lancia un messaggio alPaese: se questo regime resiste, se al “nuovo”vengono chiuse ancora le porte in faccia, se lariforma elettorale resta un’utopia e le elezionianticipate un sogno, allora non c’è che un’ar-ma. L’arma assoluta, la chiama. Quella di unosciopero generale fiscale dell’Alta Italia.

Il nipote dello scalpellino della Val d’Intelvi,

l’intellettuale che è felice nel far politica, ora se-gue le orme di Gandhi e Martin Luther King.Con un’introduzione, che in realtà è un saggio,al libro di Thoreau, Disobbedienza civile. (Mon-dadori)

Quando un cittadino può disobbedire?È il nocciolo del mio saggio.Quando in uno stato di diritto il rispetto appa-

rente e formale delle regole non corrisponde alrisultato, che risulta illecito. Come quello dellapermanenza della classe politica al potere.

Lei è partito dall’analisi di questo lungo pote-re che ci ha dominati per cinquant’anni?

Si, di questo lunghissimo potere democristia-no, socialista, insomma della classe politica post-

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fascista. Ora, per esempio, torna fuori l’arco co-stituzionale, questa combutta che si è creata al-l’indomani della caduta della dittatura. Comeaveva detto Amato in un discorso che ha suscita-to polemiche inique e stupide, al posto del parti-to unico si è insediata una consorteria di partititenuti insieme da un patto perverso.

Ne fece parte anche il Pci, poi Pds?Certo, anche l’opposizione. Questa solidarietà

si era manifestata durante la Costituente. Cosi laCostituzione in un certo senso non manifestatutte quelle garanzie che avrebbero dovuto im-pedire un processo di questo genere.

C’è stato un momento in questi decenni in cuiil consociativismo è stato vincente?

Durante il momento dell’unità nazionale.L’opposizione si è abituata gradualmente a farsicoinvolgere nel sistema. Inizialmente, il 18 apri-le del ‘48, aveva ancora l’idea dell’alternanza checoncepiva però come rivoluzionaria. Poi, è ini-ziata una lunga marcia di avvicinamento, so-prattutto nelle amministrazioni regionali, cul-minata nel momento della solidarietà nazionale.

Quali sono stati i protagonisti?Togliatti in modo particolare. Poi, Berlinguer.

E dall’altra parte, il punto di riferimento era Mo-ro. La solidarietà nazionale è stato l’acme diquesto consociativismo. Vede, il fenomeno ter-roristico segnava la ribellione di una parte degliitaliani.

Io non voglio rivalutare il terrorismo, ma glistorici di domani riconosceranno che il conso-ciativismo così soffocante e cosi sistematico è lasola grande scusante del terrorismo. Ma si sa-rebbe comunque passati dalla padella nella bra-ce.

Ecco, torniamo alla disobbedienza civile?Io ho detto che un regime è democratico

quando garantisce il ricambio della classe politi-ca. Se una classe politica si incista, diventa unacrosta che non si muove più, vanno perduti siala democrazia sia lo stato di diritto. E si crea unregime intollerabile. Quando, come nei paesi su-damericani viene violata la costituzione, c’è ildiritto alla resistenza. Nel nostro il potere è for-malmente legale, ma nella sostanza con il siste-ma clientelare si lega una parte dei cittadini acoloro che comandano. Il ricorso alle urne, finoal ‘92, non toccava l’equilibrio politico. In que-sto modo i cittadini si sono sentiti asserviti ed ècominciata la grande abbuffata. Ecco, il casoclassico in cui serve il ricorso alla disobbedienzacivile.

Come si attua?

Non pagando le imposte. Che non è una cosasecondaria rispetto all’esercizio del potere. Chilo esercita pretende di poter tassare i cittadini.In una società moderna, è questa la forma piùalta di tirannide.

Quando tirerà fuori la Lega questa provoca-zione?

Questa è un’arma non cruenta. E noi l’usere-mo al momento giusto.

Le altre regioni, quelle che devono portarcivia i soldi perché altrimenti non possono so-pravvivere, hanno in mano la forza pubblica.Noi, il cordone ombelicale dei tributi.

Questo sciopero potrebbe essere attuato in ca-so di mancata attuazione della riforma?

Questo è un mezzo ultimo, l’arma assoluta.Prima ci sono altri mezzi. Vale come parecchiedivisioni corazzate. Però, se ci impediscono diandare alle urne, Bossi l’ha già detto, ricorrere-mo a mezzi più persuasivi. Forse proprio a que-st’arma assoluta.

Niente insurrezione?Bisognerebbe che cominciassero gli altri. Se

di fronte a certe proteste aspre, sparano, allora èfatale l’innesco. Ma io sono convinto che ci siaun’altra strada. Se ho scritto questo saggio sulladisobbedienza è perché sono convinto che si puòricorrere a questi mezzi.

Ha abbandonato il decisionismo?Il mio decisionismo è limitato nel tempo. In-

fatti, non penso affatto a un regime presidenzia-le. Non l’ho mai sostenuto. Anzi ho sempre so-stenuto il regime del primo ministro. In Bica-merale ho detto: riduciamo a 4 anni il mandatodel primo ministro. Facciamo in modo che nepossa avere solo uno. Riduciamo i rischi che chidetiene il potere sia tentato di allargare questopotere.

È una correzione che io ho apportato al miodecisionismo dopo aver visto Craxi. Che inizial-mente appariva un decisionista, ma dentro allostato di diritto. Poi, ha cominciato a fare il pre-potente, sia con l’uso distorto dei finanziamenti,sia col nepotismo. Per cui ho detto: ha ragionechi teme che in Italia il potere personale diventisempre dispotico.

Usando un’arma non violenta che fu la forzadi un Gandhi, si sente nei panni giusti?

Certamente. Vede, le mie dichiarazioni sonospesso distorte. Io non ho mai creduto nella giu-stizia sommaria. Ma credo anche che, quando leistituzioni sono malate, il popolo debba recupe-rare il diritto di fare giustizia. Per esempio, conla disobbedienza civile.

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Il giorno in cui noi arriveremo al potere fare-mo pagare le tasse anche sui B.O.T e suiC.C.T.

E qui al Nord, nei comuni settentrionali, cosava a succedere?

E va a succedere che spazzeremo via, mano amano che arriviamo, spazziamo via tutte leclientele, tutta quella gente che è stata nomina-ta, infilata lì. Lei non ha idea di cosa hanno in-ventato di posti per giustificare le paghe pubbli-che. Hanno organizzato un baraccone dapper-tutto, di posti, di enti, organismi inutili, doppi,tripli, eccetera, per sistemare i loro seguaci, per-ché tutta la gente che li votava chiedeva in cam-bio rendite politiche.

Allora si farà una purga di tipo giacobino?Una pulizia progressiva delle amministrazioni,

una pulizia progressiva. Già parecchi, appenasentono l’odore di amministrazione leghista, siallontanano spontaneamente. Milano non hamai avuto, per colpa anche dei milanesi, il ruoloche avrebbe dovuto avere. Perché? Perché glioperatori economici, non i piccoli e i medi chesono quelli che la Lega protegge, ma i grandioperatori economici si sono messi d’accordo coni potenti politici di bassissimo livello che man-davano a Roma, per sfruttare soprattutto le ri-sorse pubbliche. Lei vede che noi abbiamo inqueste settimane la tragedia delle grandi impre-se italiane, le quali sono indebitate, sono prati-camente fallite, e si sta studiando il modo comesalvarle.

Ma cosa un sindaco della Lega potrebbe offri-re ai milanesi di diverso da un altro partito poli-tico?

Innanzitutto il rigore morale, il rigore dellacondotta, poi l’impostazione tutta privatistica, laLega crede nel mercato...

Anche gli altri partiti credono...Fino a un certo punto! Lei vede che il governo

seguita a dire che vuole privatizzare le aziendepubbliche, in realtà non fa che dilatarle. È tuttauna menzogna: il vecchio sistema politico, laprima Repubblica, era una prima Repubblica

che aveva realizzato una specie di socialismoreale.

Sono stati sempre più dominati dagli intellet-tuali meridionali. La burocrazia, i boiardi di Sta-to, lei vada a vedere, sono tutti di estrazione me-ridionale.

Questo è un male?Certo!Perché?Perché è una cultura non europea, è una cul-

tura mediterranea. I Romani mettevano al verti-ce del loro ideale l’otium, neanche il negotium,il fare gli affari. No, l’otium: il vero signore vivedi ozio, perché gli altri lavorano come schiavi.Questa è la mentalità meridionale. Perché la Re-pubblica è andata a finire con la situazione at-tuale con due milioni di miliardi di debito pub-blico, una situazione economica che si salvagiorno per giorno, tanto è tragica?

Sì, ma corruzione, tangentopoli, soprattuttosignifica ora “Milano”, non grandi città meri-dionali...

No, vede, è tutta gente che veniva da Roma, ilcontatto era con Roma. Il rapporto degli indu-striali che si sono corrotti era con i politici ro-mani. Roma è corrotta fino al midollo delle ossa!

Milano non lo è?No, non lo è così. Milano ha subito l’influenza

della politica romana. I nostri politici, quandovanno a Roma, si corrompono, perché... l’am-biente...

Si lasciano corrompere, quindi non sono mi-gliori dei romani o dei meridionali?

No, non è quello, perché quelli sono corrottidalla mattina alla sera, i nostri si fanno corrom-pere quando vanno là. Però devo dire una cosa:che i leghisti non si fanno corrompere, ancheperché i nostri elettori sono pronti a essere fero-ci con quelli che tradiscono.

Io ho l’impressione che lei non ami i meridio-nali...

Assolutamente no! Perché io sono europeo. Ioammetto che quello è un modo di vivere . . .

Ma anche il Meridione fa parte dell’Europa...

Intervistadi Judit Jarai

Televisione Ungherese, 21 agosto 1993

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L’Europa periferica...Qual’è il vostro programma? È vero che la Le-

ga vorrebbe la scissione, vorrebbe staccarsi dal-l’Italia?

Noi, guardi, consideriamo l’eventualità dellasecessione come un punto estremo. Vale a dire,se noi non riusciremo a dare a questo paese, aipopoli italiani, una costituzione federale (l’idea-le sarebbe addirittura confederale), le masse chevotano Lega vogliono la secessione...

E perché? Perché non si sta bene?Nell’attuale condizione ci si è accorti che le

regioni che producono, che accumulano risorse,

risparmi, pagano imposte più elevate, pagano ilgrosso delle imposte e mantengono tutto il pae-se.

Si è constatato che tutte queste risorse sonoandate a alimentare forme criminali, patologi-che, e non hanno consentito di risolvere nessunproblema, specialmente nelle regioni del sud.

E in queste condizioni le regioni del nord di-cono: “adesso dobbiamo comandare noi!”

Guardi, ci saranno in Italia tre sole forze checontano: la Lega Nord, i rossi (i social-comuni-sti) e la Democrazia Cristiana: e sarà tra noi treche si giocherà la partita del potere...

Io, Miglio, il guru sono tutto Südtirol

L’ideologo della Lega Nord parla apertamente dell’Alto Adige e affronta tutte le problematiche più scottanti

di Massimo Cianetti

Alto Adige, 14 settembre 1993

Provocatorio. Imprevedibile. Inflessibile. Ilvolto severo, duro, quasi sempre corruccia-to, come intagliato nella roccia di basalto

del promontorio di Bellagio. Corrosivo, come alsolito, contro il governo di Roma e contro queifunzionari che vengono in Alto Adige “come interra di conquista”. Più vicino, per certi aspettidel suo pensiero, alle posizioni più estreme del-la Svp dell’amico Benedikter che a quelle dellaLega. Critico e caustico nei confronti del “tradi-tore” Degasperi e sostenitore di coloro che nonvogliono la beatificazione dello statista trenti-no. Fautore del “Grande Tirolo” in una “GrandeEuropa” con trainer la “Grande Germania” riu-nita. E poi, giù staffilate a denti stretti del tipo:“I sudtirolesi hanno tre sacrosanti diritti: di re-sistenza, di disobbedienza civile e di secessio-ne!”; oppure “Sarei proprio felice di dover pre-sentare il passaporto a Salorno per entrare in Al-to Adige”; e ancora “Toponomastica? Ma basta

con i nomi italiani, a parte quelli storici. Vannomantenuti solo quelli tedeschi e ladini...”. Senzacontare poi affermazioni come questa, tutta dadecifrare: “Non sollecito troppo gli amici dellaLega ad impiantarsi in Sudtirolo, cosi come nel-la regione Aosta...”.

Insomma, tutto questo, in sintesi, e tante al-tre cose ancora è Gianfranco Miglio, 74 anni,professore universitario, esperto di storia e an-tropologia, scrittore e saggista, senatore indi-pendente e “guru”, ovvero ideologo, della LegaNord, nume tutelare di Bossi e compagni. Mi-glio, dunque, ha rilasciato una intervista esclu-siva all’Alto Adige e ha parlato senza peli sullalingua, come è sua abitudine, di molti argo-menti che ci interessano da vicino.

Tanto per cominciare, precisa, vuol esserechiamato “professore” e non “senatore”.

Allora, professore, che cosa pensa dei rapportitra l’Alto Adige e la Lega?

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Guardi, io sono sempre stato molto simpateti-co verso il Südtirol perché in tutte le Costituzio-ni dovrebbe essere ben scolpito il diritto di se-cessione. Anzi, tre diritti: il diritto di resistenzaquando l’ordinamento diventa tirannico; il dirit-to di disobbedienza civile quando l’ ordinamentonon viola formalmente le norme ma le viola insostanza come è il caso dell’Alto Adige; e il dirit-to di secessione. Anche se non sono scritti nelleCostituzioni, però le Costituzioni, direbbe Mon-tesquieu, per uomini liberi contengono questidiritti. Io sostengo sempre che sarei felice ilgiorno in cui, passando la stretta di Salorno, do-vessi presentare il passaporto. Sarebbe la resti-tuzione di un diritto naturale che hanno gli al-toatesini e che non può essere stato cancellatodal trattato di pace e noi con i nostri nazionalar-di e il sangue degli alpini, che qui che là. Il dirit-to di conquista non rientra tra quelli dei popolicivili. Siamo alla fine del ventesimo secolo edobbiamo finirla con questi principi se no giu-stifichiamo tutte le ribalderie di questo mondo.

Ma secondo lei come si è comportata l’Italiaverso gli altoatesini?

Ritengo che abbiamo perfettamente ragionequando dicono che non è stata leale.

E fanno benissimo a non volere la beatificazio-ne di Degasperi. Sono stato felicissimo quandoho appreso dai giornali di questa opposizione.

Bravi! Perché Degasperi, che era stato dopo-tutto un suddito austriaco, doveva capire qual’e-ra la logica delle popolazioni alloglotte in Italia,inserita nel trattato di pace.

Ora, ritengo che i guai sono cominciati giàcon l’idea che è tipicamente furbesca, romane-sca, tipica della burocrazia romana, di creare laregione Trentino Alto Adige proprio per annac-quare l’indipendentismo degli altoatesini. S’im-magini se l’avessero fatto per la valle d’Aosta(ma quella era più piccola e poi non ci sono riu-sciti), se l’avessero unita al Biellese per creareuna regione mista in cui i valdostani venisseromessi in minoranza. Da lì si capisce tutta la filo-sofia perversa nel perseguire il fine (che era sta-to di Mussolini) di snazionalizzare l’Alto Adige.

Lei conosce bene la situazione altoatesina...Sì, io sono sempre andato in vacanza in Val

Pusteria, a Reischach, sopra Bruneck, dove stobenissimo e ho molti amici. Questa gente mi èprofondamente simpatica perché difende la suanazionalità, difende le sue qualità, le sue carat-teristiche. E mi hanno sempre dato un fastidiotremendo quei funzionari romani che vengono avilleggiare in Val Pusteria. Adesso ci vengono un

po’ meno volentieri perché gli hanno tagliato unpo’ di gomme... Però loro sono sempre venutiqui come in terra di conquista...”.

Professore, dica la verità, come si trova in Al-to Adige?

Divinamente bene. Mi sembra di essere in Au-stria e intanto adopero la moneta italiana. Mavorrei ancora criticare questo atteggiamento an-tipatico del mondo romano, un atteggiamentoche ha accolto pienamente Degasperi e questa èuna sua colpa storica. Vede, i cattolici sono sem-pre stati contro lo Stato nazionale unitario. Mapoi la borghesia e il ceto medio, per timore diperdere i propri patrimoni per colpa del comu-nismo, si sono messi sotto la copertura ecclesia-stica e sono corsi a votare Dc. E allora i cattolici,improvvisamente folgorati, hanno gettato dallafinestra la grande tradizione critica e si sonobuttati a difendere lo stato nazionale unitarioereditato dai liberali. E questo è uno dei tradi-menti culturali e intellettuali che io vedo nellanostra storia recentissima.

E il ruolo di Degasperi?Bravo. Degasperi è stato proprio l’antesignano

di questa operazione. Non gli è sembrato vero,ai cattolici, di diventare i padroni del vapore per-chè erano sempre stati fuori. E questa lungaastinenza ha creato una fame inenarrabile di po-tere e sono diventati i più spietati difensori dellaslealtà dello Stato.

E della faccenda dei toponimi, quanto mai at-tuale, che ne pensa?

Sono del parere che non ha senso insistere inquella follia del senatore Tolomei che ha italia-nizzato tutti i nomi austriaci del Sudtirolo. Se laleggessimo non in un libro di storia recente, main un libro di storia che riguardi il Sei-Settecen-to diremmo: ma guarda che buzzurro questoqui, ma non aveva niente altro da fare che di in-culcare nella testa della gente questi nuovo no-mi... Vede, ci sono dei nomi italiani storici equelli vanno conservati. Ma tutti quelli che tra-ducono il nome originario in tedesco, no. Io nondico Riscone, è una cretinata. Dico Reischachperchè è logico che Riscone e una brutta tradu-zione di Reischach che invece è bellissimo. In-somma, torniamo al tedesco, il tedesco e basta.

Meno quei paesi che hanno realmente i duenomi da tempo e, naturalmente, i nomi ladiniche vanno conservati con più rigore di quelli te-deschi. Si tratta di preservare una stirpe e unacultura...

Qui entra in gioco la politica dei confini.. Ma sì, questo concetto obsoleto dei confini.

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Oggi i confini non hanno più alcun significato.Dalla finestra del Gran Hotel vedo la Vetta d’Ita-lia, conquistata gloriosamente, ecc. ecc. Ma no,è insensato parlare di linee di confine, dalloStelvio fino al mare, ecc. ecc. Quando le guerresi facevano con i cannoni, è naturale che eranoporte da tenere chiuse. Ma adesso è folle insiste-re. Ma c’è anche un altro fatto che va sottolinea-to. Gli italiani si sono scontrati con un popoloche ha una grandissima tradizione culturale. Ioconosco bene la cultura sudtirolese. Una dellecittà che amo di più, per esempio, è Innsbruck.E quando ci vado, corro a vedere la Hofkirche ela bellissima sala di Maria Teresa con i ritratti ditutti i figli e i mariti e le mogli. E la splendidatomba costruita per Massimiliano I anche senon lo ospita... Insomma, c’è una tradizione cul-turale formidabile. Ho molta letteratura sulSudtirolo nella mia biblioteca di 30 mila volumi.

E i meriti dei sud tirolesi?Ma loro hanno censito tutto, non c’è sasso di

cui non si conosca la storia.Per cui quando ai tempi di De-gasperi e dei suoi immediatisuccessori insistevano per pie-gare i sudtirolesi, io dicevo:guardate che questi non mol-leranno mai la loro identitànazionale e voi vi romperete lecorna. E fanno benissimo!

E degli Schutzen che nepensa?

Li criticano tanto, i romani,ma sbagliano. Ho detto recen-temente: vi stanno sullo sto-maco perchè non li potete far andare in giro voiche avete perso quel poco di tradizione che ave-vate. Ma loro hanno questo alto culto della lorostoria, di Andreas Hofer, ecc. E qui c’era il ridac-chiare parrocchiale, quel tipico umorismo daparrocchia di certi ambienti cattolici. Ma guardaquelli li con le piume e le brache corte... Ma chescherziamo? Erano la base della difesa del terri-torio, delle case e delle famiglie! Per cui io sonointeramente dalla parte del Sudtirolo.

Lei ha anche dei vecchi amici nella Svp...Beh, sì, il mio amico un po’ scomodo, il Bene-

dikter, che fra l’altro si è adoperato per far tra-durre il mio libro “Come cambiare” che usciràtra non molto proprio a Bolzano, a cura di unpiccolo editore.

Non vedo l’ora di vedere nelle vetrine delle li-brerie altoatesine il volume con la copertina intedesco... A proposito, ho anche intenzione di

aggiungere nell’edizione tedesca un qualcosa delmio pensiero sulla questione altoatesina.

Può anticiparci qualcosa su questo argomen-to?

Vede, i trattati di Helsinki hanno sancito il di-ritto naturale di stare con chi si vuole.

E il nuovo diritto naturale emerso nel nostrotempo. Questo sarà uno dei pilastri del mio ra-gionamento.

E La Lega in Sudtirolo?Io non sollecito i miei amici della Lega ad im-

piantarsi nel Sudtirolo, così come ho detto dinon andare a sfrucugliare i valdostani. Io sosten-go che nella nostra repubblica federale le ragionia statuto speciale riceveranno maggiori preroga-tive (anche se probabilmente meno soldi).

E questo è un punto che ci sta a cuore. Perchéche cosa ha fatto la Dc con tutte quelle regioniche volevano andarsene? Come anche la Sicilia ela Sardegna. Restate, ha detto, e vi copriremo disoldi. E così è stato. In Val d’Aosta, per esempio,

non sanno più dove metterli isoldi. Bene, tutto questo dovràfinire. Mi rendo conto che que-sta prospettiva farà molto di-spiacere agli altoatesini, ma lastoria ci spinge in questa dire-zione...E come vede l’ipotesi del“Grande Tirolo”?Ma guardi io credo fermamentenell’ Europa delle regioni equindi l’idea del “Grande Tiro-lo” mi piace e l’approvo. Po-trebbe farne parte in un doma-

ni anche il Tirolo italiano, perchè no? Insomma,qui abbiamo davanti due alternative: l’Europadeve diventare veramente nuova, con grandi re-gioni e grandi metropoli, e sempre meno Statinazionali. Se dovessero invece prevalere gli Statinazionali, l’Europa stessa si inabisserebbe, nonsarebbe più in grado di reggere la concorrenzadi Stati Uniti e Giappone anche quando la Ger-mania avrà completato la sua impresa di riunifi-cazione e sarà diventata la vera leader del vec-chio continente. Vede, io sono un politologo discuola storica e sono stato uno dei primi a pre-vedere il ritorno dell’egemonia economica tede-sca.

Non dimentichiamoci che le due grandi guer-re sono state fatte per bloccare l’espansione eco-nomica germanica. E ora chi li ferma più i tede-schi? In questo quadro l’Alto Adige sarà avvan-taggiato...”.

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Ha la voce allegra, il professor Miglio. D’al-tra parte lui, nella bufera, si diverte comeun matto. E in questi giorni, dopo la sfida

secessionista di Curno, la bufera politica è dav-vero di quelle toste, tanto da suggerire ieri alportavoce leghista Luigi Rossi di dire che no,Bossi non ha mai parlato di secessione, ma solodi federalismo. Ma al telefono nella sua casa diDomaso, sul lago di Como, Gianfranco Miglio,incaricato di disegnare la magna charta dell’Ita-lia federale forse prossima e forse ventura, nonci sta proprio a fare il pompiere.

Anzi. Dice: “Noi faremo il nostro testo costi-tuzionale e lo proporremo come prendere o la-sciare. Se non lo vogliono servirà per noi e ba-sta”. E cioè? “Cioè si arriverà alla secessione.Ma l’avranno voluta gli altri. Non noi. Ho anchedomandato a gente responsabile se in questocaso ci sparerebbero addosso. Mi hanno rispo-sto: “Siamo alla fine del secolo ventesimo, comesi fa a sparare addosso a gente che vuole andar-sene?”.

Chi le ha dato questa risposta: funzionari del-lo Stato o qualche politico?

Funzionari, i politici solo a sentire l’idea disparare scappano.

Qualcuno dice: il Nord Italia come la Slovenia.Beh, la Slovenia se ne è andata pacificamente.Ma quello poi è stato anche l’inizio del disa-

stro nella ex Jugoslavia.Sa, anche lì c’erano delle regioni che pagava-

no e mantenevano quei bastardi dei serbi: perfortuna noi non abbiamo un meridione militari-sta e aggressivo come la Serbia.

Resta che andremmo verso la disgregazione.Ma non è disgregazione, è disarticolazione. In-

somma: bisogna partire dal concetto che oggi il

motivo federale è l’opposto di quello del secoloscorso.

Nell’Ottocento il federalismo serviva per fon-dare ancora degli altri stati nazionali unitari,oggi il federalismo è il modo per sostituire aglistati nazionali unitari delle strutture articolate.

Naturalmente, con un modello di gestione delpotere che preveda un tipo di ordinamento poli-tico non statuale, quindi non con tutte le carat-teristiche e le vocazioni omogeneizzanti tipichedello Stato.

Professore, ma nella Lega siete tutti d’accordosu questi discorsi? Il sindaco di Milano, For-mentini, sembra un po’ più cauto.

Formentini è un mite. Ma anche lui si rimettecompletamente a quelle che sono le scelte giuri-diche e tecniche che facciamo Bossi, io e gli al-tri. Noi siamo soprattutto trascinati dalla nostrabase. E la nostra base è se-ces-sio-ni-sta. Moltinon hanno ancora capito come ragiona e comesi comporta la base della Lega Nord. Io devocontinuare a tenere la briglia tirata, a questagente.

E intanto girano le voci sui leghisti armati.Quelle sono palle, sono solo stupidaggini.

Guardi, quando un regime finisce segue semprecerte regole di instupidimento.

Parliamo del progetto per una carta costitu-zionale dell’Italia federale alla quale lei sta la-vorando. Come sarà?

Sarà una carta costituzionale molto moderna,molto più avanzata delle Costituzioni federali vi-genti che sono strumentali allo Stato unitario einfatti tendono a ridurre le diversità, mentre ilproblema del federalismo alle soglie del ventu-nesimo secolo è tutto l’opposto, cioè è necessa-rio immaginare una carta costituzionale la qua-

Ma Miglio parla di secessione “È la base che la vuole...”

“O accettano la Costituzione federalista o ce ne andiamo. Prendere o lasciare”.

di Franco Vernice

La Repubblica, 29 settembre 1993

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le prenda atto delle diversità, le tuteli e le gesti-sca. Tutte le diversità di cultura, di lingua, diparticolarità di stile e abitudini di vita sono benipreziosi che vanno tutelati.

E questo principio di diseguaglianza come sidovrebbe esercitare?

I cittadini sono uguali per tutti i più grandiprincipi di diritto.

Poi ogni comunità ha le sue regole, se le gesti-sce e se le cambia.

Per esempio una differenza è nelmodo di concepire le istituzioni,nel modo di concepire i rapporti frai cittadini e il potere. Fermo re-stando regole uguali per tutti neirapporti inter-individuali, di con-tratto e scambio, di relazioni eco-nomiche e via dicendo. Nella strut-tura federale a cambiare saranno ipoteri pubblici e il modo di gestirele risorse. Primo obiettivo sarà sta-bilire regole per cui le popolazioniche producono di più e pagano dipiù per mantenere tutto il sistemaabbiano maggior peso.

E al centro, secondo lei, profes-sore, che competenze dovrebberorestare?

Un po’ di politica estera, non tut-ta. La federazione avrà le grandi li-nee, che in un contesto europeo di-ventano una cosa molto modesta.Ma poi è evidente che il LombardoVeneto deve avere la possibilità distabilire i suoi contatti e regole enegoziati con il Baden-Württem-berg, con l’Austria, con la Slovenia.E le regioni del Sud potrebbero sta-bilire dei contatti privilegiati con laLibia, con la Tunisia, con Malta. Per la difesa lecose sono ancora più chiare: resterà competenzadel centro e andremo incontro ad un esercitoprofessionale, di mercenari. E sia chiaro chenon ho mai sostenuto che gli Stati della federa-zione avranno ciascuno delle proprie forze ar-mate. Ma neanche per sogno: è un’autentica co-glioneria che io non ho mai detto: le forze di di-fesa saranno della federazione e, io credo, inseri-te in un contesto federativo europeo.

Dunque: una parte della politica estera, la di-fesa. E poi, professore, che altro lascerebbe alcentro?

Un po’ di Fbi, un po’ di polizia nazionale, ivertici della magistratura. Poi c’è il problema

della moneta, ma anche qui fatalmente andràavanti il processo di unificazione monetaria eu-ropea. E a mano a mano che procederà l’unifica-zione europea si ridurranno anche tutti i poteridello Stato federale, rinforzando quelli degli Sta-ti membri.

Pensa sempre alle tre macroregioni, Nord,Centro e Sud?

Il contesto sarà quello, con l’Emilia Romagnadestinata a gravitare sulla Padania.

E per arrivarvi il percorso che indicate èquello dello sciopero fiscale, del plebiscito e del-le elezioni anticipate. E se il plebiscito desse ri-sultati contraddittori, magari con una fortemaggioranza federalista solo al Nord...

È quello che aspetto io, in una federazione incui il mazzo lo teniamo in mano noi: lo teniamogià in mano economicamente, tranne che nonabbiamo il controllo. E invece vogliamo avereanche il controllo economico e finanziario dellafederazione.

E se Il Sud dicesse no al federalismo?Noi andremmo ugualmente avanti, con i due-

cento-duecentocinquanta parlamentari cheavremo nel prossimo parlamento.

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“Ichierici di oltre Tevere... Tutta gente spe-cializzata nello scegliere le persone sba-gliate. Pazienza, pagheranno il conto”. È

una minaccia, professor Miglio? “Ma no, sarà lastoria a vendicarsi. Non la Lega”.

Gianfranco Miglio, politologo, docente allaCattolica, grande ispiratore di Umberto Bossi.

Cattolico? “Si, cattolico ma calvinista. Al limi-te del rigorismo protestante”. E sorride soddi-sfatto, l’ideologo dei lumbard dalla sua casa diDomaso. Poco più in là, oltre l’orizzonte, ci so-no i Grigioni, la Svizzera protestante. E Roma,il Vaticano, la condanna del plebiscito leghista,appare lontana, quasi remota.

Allora, professore, Chiesa e Lega sono semprepiù lontane. O no?

Io mi sono domandato a più riprese perché ichierici, i chierici di vertice, siano così scatenatia favore della Dc.

O contro la Lega...No, io credo che questa sia solo una conse-

guenza. Io penso che loro temano innanzituttoe soprattutto il crollo della Dc. E questo per unmotivo molto semplice. Si sono create negli ul-timi 40 anni relazioni, tra l’altro spesso nonmolto commendevoli, tra il controllo da partedemocristiana della finanza di Stato e le impresedella Chiesa. Anzi, io le definisco le botteghedella Chiesa.

Lei ritiene che l’atteggiamento contro la Leganasca da interessi materiali?

Certo. Io sono definito l’ultimo dei marxianiproprio perché penso che, dietro a certe scelte,ci siano interessi materiali ben precisi. Anch’ioso che, in parte, le botteghe della Chiesa sonopiù che rispettabili. Capisco che spesso sono lo-ro a sopperire alle inefficienze dello Stato.

Ma ci sono ben altre botteghe....Ovvero?

Pensi a Comunione e liberazione. Io l’ho se-guito quel dramma. Era gente pulita, impegnatanel volontariato, e guardate dove sono finiti.

Adesso pietiscono aiuti, al punto di cercar didiventare impiegati pubblici.

Professore, non è solo questione di soldi. IlPapa parla di solidarietà, di impegno per l’occu-pazione, di unità...

Sì, solidarietà, unità. Credo che siano in buo-na parte degli orpelli buoni a mascherare gli in-teressi materiali. Eppoi...

Eppoi?Wojtyla ha esordito dicendo di non volersi oc-

cupare di cose italiane. E invece se ne sta occu-pando più di tutti, più di papa Pio XII, l’ultimogrande pontefice. Credo, comunque, che certeidee siano più della cancelleria del Vaticano chedel Papa...

Le incomprensioni, comunque, sono ben radi-cate. Altro che cancelleria vaticana...

Io penso che la Chiesa abbia capito che il le-ghista è, nel suo intimo, un laico. È un cattolicoche ha deciso di non votar più Dc, che non ob-bedisce più ai chierici. È diverso da chi sceglie laRete o i pattisti di Segni.

Là prevale ancora il vincolo dell’autorità ec-clesiastica, qui la convinzione del laico. Bisognadistinguere tra la Chiesa della persona e quelladella norma.

E qual è la distinzione, professore?Quando Wojtyla dice ai cattolici: siate fedeli,

seguite come pecorelle il pastore, privilegia la fi-gura del sacerdote. Una scelta che, in politica,ha favorito in passato i capi della Dc.

E invece?Noi rivendichiamo il primato della norma,

delle sacre scritture, contro la tradizione cattoli-ca che antepone la figura del sacerdote. E questovale anche per la pubblica amministrazione, non

Miglio: “Ma i chierici del Vaticano alla fine

dovranno pagare il conto”di Ugo Bertone

La Stampa, 29 settembre 1993

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solo per la religione. Il nostro sindaco deve pri-vilegiare le leggi sulle persone, i compromessitra amici. Deve far l’opposto di un sindaco Dc.

Ma perché i cattolici dovrebbero cambiare?La Dc è erede di una grande tradizione...

Ma la cultura cattolica dell’Ottocento è anta-gonista dello Stato liberale. Anzi. I cattolici sisono chiamati fuori finché, dopo la secondaguerra mondiale, i cattolici si sono trovati loStato in mano. Fu la grande battaglia condottada Pio XII e dai parroci contro il pericolo rosso.Una battaglia condotta a tutto campo, anche conun’estrema attenzione nella scelta dei candidati.Furono i parroci a tener lontani opportunisti eaffaristi dalle file Dc. Poi venne De Gasperi...

Già, professore. Lei non ha mai nascosto lasua antipatia per De Gasperi. Perché?

Perché fu De Gasperi a inventarsi una conti-

nuità fra tradizione liberale e cultura cattolica.Viene da lì quella compromissione con lo Statoliberale, lo Stato militarista, in netto contrastocon l’eredità cattolica dell’Ottocento.

Ma anche il Vaticano, la Chiesa italiana sonoschierati con l’unità nazionale, con lo Stato co-sì come è maturato nella storia...

Solo la sconfitta farà cambiare le vecchie ideeche dominano oltre Tevere. Loro, in Vaticano,puntano ancora sugli Stati nazionali, non credo-no affatto all’Europa unita. D’altronde, il poteretemporale della Chiesa è stato forte solo quandoè forte l’ostilità tra gli Stati nazionali.

Ma lei si sente calvinista?Sa cosa ha detto Mastella?Lassù al Nord ce l’hanno tanto con le tangenti

perché sono tutti calvinisti. Ebbene, sono orgo-glioso di un’accusa del genere.

Ma io parlavo di poliziotti...di Roberto Di Caro

L’Espresso, 24 ottobre 1993

Che bizzarra guerriglia, quella sui generalileghisti. Nata da mie dichiarazioni total-mente fraintese: da giornalisti, politici e ge-

nerali. Perché, sull’esercito, io non ho fiatato.Né ho fatto cenno alcuno a generali leghisti chepotrebbero appoggiare Bossi qualora si dovessearrivare alla secessione del Nord. Divertito maanche preoccupato, il senatore Gianfranco Mi-glio: poche sue battute sono bastate a innescareuna polemica dai toni durissimi, in cui, da par-te del generale Goffredo Canino, capo di Statomaggiore dell’esercito, ha fatto capolino, ben-ché in forma ipotetica, l’accusa di “tradimento”.

Professore, lanciato il sasso, ritira la mano?Non mi rimangio mai ciò che dico, ma vorrei

fosse riportato esattamente. Che in un esercito co-me quello italiano, tutto fatto di generali, alcuniabbiano simpatia per la Lega mi sembra cosaplausibilissima. Ma è questione che io non ho maisollevato. Nella mia visione, i generali non devonoavere interesse alcuno per le questioni di politicainterna, meno che mai per quelle che riguardanola forma istituzionale. Io ho invece affermato che

qualche capo della Lega ha buoni rapporti con uo-mini ai vertici delle forze armate “interne”: cioèPolizia, Carabinieri, Guardia di finanza.

E perché le sue affermazioni sulla doverosaestraneità dell’esercito alle vicende politichenon dovrebbero valere anche per Polizia, Cara-binieri e Finanza?

Ma è diverso: il lavoro e i compiti di questeforze armate interne sono direttamente connes-si alla vita politica nazionale. L’esercito, invece,come stabilisce l’articolo 52 della Costituzione,ha come suo compito difendere la comunità po-litica degli italiani da minacce o attacchi esterni:qualunque sia la forma istituzionale, unitaria,federale o confederale, di tale comunità politica.

Articolo 52, eccolo: “La difesa della Patria èsacro dovere del cittadino”.

Patria, Patria, ma che cosa vuol dire? Mettersiinsieme per difendere con ogni mezzo i propriinteressi spiccioli contro tutti gli altri? Se è così,anche la comunità mafiosa si regge sugli stessipresupposti. Patria è un luogo comune da butta-re alle ortiche.

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E quelli che la Patria la fanno finire sulla li-nea gotica, ipotizzando la secessione?

Quelli chi? L’unico a parlare chiaramente disecessione sono io. E solo come “ultima ratio”,sia chiaro. Comunque, per me, il concetto di Pa-tria è del tutto relativo anche quando parlo dellamia Padania. Io la penso come i Romani: “ubibene ibi patria”, dove io sto bene, lì è la mia pa-tria.

Torniamo ai generali potenzialmente infedeliperché di simpatie leghiste.

Io non ho mai espresso dubbi sulla fedeltà del-l’esercito. Continuo a ritenere che l’esercitodebba restare fuori dalla mischia politica. Sem-mai è il generale Canino che ha travalicato lesue competenze, dichiarandosi difensore delloStato nazionale “unitario”. Che sia unitario o fe-derale o confederale non è affar suo. Temo che

in certi ambienti ci sia chi tenta di ipotizzarecontro la Lega un’accusa di attentato all’unitàdella Patria, appellandosi a quella parte del codi-ce penale che non è stata mai adeguata alla Re-pubblica democratica. Manovra rischiosissima:davvero, per quella via, sì potrebbe giungere ascatenare una guerra civile.

Appena rese note le sue dichiarazioni, moltihanno pensato al generale Carlo Jean, in ottimirapporti con lei, oltre che con l’ex presidenteFrancesco Cossiga.

Il generale Jean è uomo colto e intelligente, econ lui ho lavorato a un libro sulla guerra. Ma,come gli ho detto più volte, Jean è un gran pa-triottardo, e credo avrebbe serie difficoltà aprendere posizioni in contrasto con quelle delgenerale Canino. Rispetto il suo patriottismo,ma la penso diversamente.

Sulla base di questa piattaforma federalista Bossi potrà trattareper la formazione di un polo liberal-democratico

Miglio: “attenti ai falsi federalisti!”

di Emma Bassani

Lega Nord, 17 dicembre 1993

Èuna giornata storica quella di oggi. Conqueste parole il Prof. Gianfranco Miglio,costituzionalista, eletto come indipendente

nelle liste della Lega Nord, ha aperto il suo in-tervento al Pre-congresso della Lega Nord. Mi-glio dal palco ha poi ammonito contro i falsi fe-deralisti e contro gli attacchi del regime preve-dendo, giustamente, che già il giorno successivola Lega Nord sarebbe stata bersaglio di attacchiconcentrici da parte dei massmedia di regime,dei vecchi politici e dei potentati economici adessi alleati. Non sbagliava Miglio e difatti già lu-nedì 13 dicembre i giornali erano pieni dei titolicontro la Lega che vuole la “secessione” delNord. Falsità belle e buone pubblicate per crea-re disinformazione nell’ opinione pubblica. Lo

stesso dicasi di quanto pubblicato nei giorni se-guenti, nella quale i soliti “organi di disinfor-mazione”, come cagnolini pronti ad abbaiare acomando, hanno scritto che Bossi avrebbe giàcambiato rotta disattendendo i dieci punti vota-ti dai congressisti. Niente di più falso, la realtàè che il documento votato altro non è che unapiattaforma programmatica, forse provocatoria,ma comunque chiara e precisa, per aprire undiscorso a tutto campo sul federalismo. Se è ve-ro però, che senza un’azione decisa della LegaNord il polo liberal-democratico in Italia nonavrebbe nessuna speranza di prendere corpo eraggiungere successi, è altrettanto vero che laSeconda repubblica debba voltare totalmentepagina e che occorra rifondarla a partire dalle

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istituzioni. Solo una riforma istituzionale insenso federalista potrà portare il Paese fuoridalle secche di Tangentopoli e della crisi econo-mica peggiore che si sia mai attraversata.

Urge, pertanto, aprire un dibattito sul federa-lismo, una breccia in un muro culturale datroppo tempo egemonizzato dalle sinistre e daipolitologi di regime.

Bossi, ha ricevuto dal Pre-congresso un’armapotentissima, dirompente, una piattaforma pro-grammatica federalista sulla base della qualeaprire delle trattative con coloro che, identifi-candosi nell’area liberal-democratica, voglianoricostruire lo Stato a partire dalle sue fonda-menta. Però, come Bossi ha più volte ribaditodal palco di Assago, non va dimenticato mai cheè possibile trattare sulla nostra piattaforma fe-deralista, ma la Lega non permetterà mai anessuno di eludere o accantonare il progetto fe-deralista. Perché senza il federalismo è impossi-bile ricostruire istituzioni sane e tutti gli eletto-ri devono comprendere che per risanare e ren-dere trasparente la politica prima ancora cheuomini onesti occorre avere istituzioni demo-cratiche e trasparenti, in una parola federaliste.Infatti: solo il federalismo permette di prenderele decisioni al più basso livello possibile chia-mando i cittadini a decidere delle scelte che liriguardano da vicino; solo il federalismo per-mette ai cittadini di controllare la pressione tri-butaria e di verificare come vengono impiegati isoldi pubblici.

Sta in questi elementi la provocatoria dirom-penza del nostro progetto e proprio per questo ivecchi cagnoni del regime ci attaccano in ognimodo. Ecco perché Miglio ha voluto mettere inguardia il Movimento, ma sentiamo direttamen-te dalle sue parole come si è espresso il senatore.

È la prima volta che la Lega qualifica il suoprogramma e lo pone ben fermo davanti ai suoipossibili eventuali alleati o avversari. Toccheràagli altri adesso dire cosa pensano della nostraposizione. Questo progetto, come ha detto Bos-si, è stato preparato da un gruppo di collaborato-ri qualificati, alcuni sono qui nell’assemblea, epoi discusso direttamente con Bossi. L’abbiamodiscusso articolo per articolo. In questo pro-gramma ci sono dei punti che sono a mio parereirrinunciabili. Il primo è quello del governo di-rettoriale, non presidenziale. E con questo noifacciamo un grosso passo avanti rispetto al dibat-tito che si ha oggi in Italia e che contrappone ilgoverno parlamentare al governo presidenziale.

Qui c’è dentro un elemento presidenziale, per-

ché c’è un Primo Ministro eletto direttamentedal popolo, ma il governo è direttoriale per ga-rantire a tutte le Repubbliche della federazioneun diritto di voto determinante sulle decisioniche l’Unione dovrà prendere.

L’altro punto cruciale è quello del rovescia-mento del sistema fiscale. Per cui le imposte so-no imputate ai luoghi dove la ricchezza vieneprodotta o scambiata. Voi sapete che oggi Romarisulta la più grande città industriale d’Italia sol-tanto perché a Roma hanno sede legale le im-prese che producono ricchezza nel Paese. Conquesto mutamento si vedrà con chiarezza qualisono le Regioni che producono ricchezza e chesoprattutto pagano un costo rispetto a quelleche non producono.

Poi è fondamentale che il sistema fiscale vadadal basso verso l’alto, dall’autonomia impositivadei municipi, che provvedono a tutte le esigenzedei municipi, alle Repubbliche che raccolgono lerisorse finanziarie, le usano per il loro territorioe in sede di direttorio decidono la quota che de-ve essere destinata al funzionamento dell’Unio-ne e la quota che deve essere destinata a garanti-re il riequilibrio della ricchezza sul territorio,cioè l’aiuto alle Regioni che stanno male.

Queste sono le posizioni che non dovranno es-sere mutate per nessun motivo! Perché oggi ilpericolo maggiore sapete qual’è? E ve ne accor-gerete subito: si gabelleranno per Costituzionifederali delle Costituzioni in realtà però centra-liste. Cercheranno per l’ennesima volta d’ingan-nare gli italiani, e noi, con dei modelli di Costi-tuzione federale fasulli, in cui i poteri saranno dinuovo nelle mani del potere centrale. Di fronte aquesto rischio il nostro progetto e i nostri puntifermi servono a salvarci. Ecco la battaglia in cuientriamo. Credo che nei prossimi mesi un pun-to cruciale, ma dovrete deciderlo, dovrà decidereil nostro Segretario Bossi, sia che tutti i nostriparlamentari, tutti gli amministratori pubblicisiano mobilitati per spiegare ai cittadini il signi-ficato di questo modello di Costituzione federa-le. Operiamo in condizioni molto difficili, gli ita-liani non si sono mai occupati di problemi costi-tuzionali ed è per questo che sono stati inganna-ti e sono stati ridotti in braghe di tela come so-no oggi!

Questo l’ammonimento del prof. Miglio, que-sto l’impegno del Movimento per i prossimi me-si. Sarà una battaglia a tutto campo, ma se pololiberal-democratico s’ha da fare, sarà comun-que certamente Su basi autenticamente federa-liste, parola di Congresso, parola di Bossi!

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Sul suo progetto di costituzione federale sisono abbattuti gli applausi della Lega e glisberleffi dell’Italia che guarda all’unità na-

zionale come al più prezioso bene. Come spessogli accade, Gianfranco Miglio, 75 anni, senato-re indipendente nelle file di Umberto Bossi, ri-ceve e mena fendenti. Il vecchio professore, 47anni di insegnamento alle spalle, preside dellafacoltà di scienze politiche alla Cattolica di Mi-lano per un trentennio, si espone volentieri alletempeste.

È un politologo un po’ speciale, inviso alla si-nistra e ai cattolici per il suo antiumanesimo ealla destra per le sue idee federaliste. Un figliodi Thomas Hobbes e Niccolò Machiavelli cheguarda alla Germania più che al Mediterraneo.E non perde occasione per dirlo.

Nella sua bella casa in stile inglese sulle col-line di Como, Miglio parla con Panorama di po-litologi e politologia. E distingue: Il progetto dicostituzione federale l’ho preparato con il miogruppo di studio alla Fondazione Salvadori epoteva essere utilizzato da qualunque altro par-tito. Poi, io e Umberto Bossi abbiamo messo apunto i particolari. Certo, la mia costituzionecontiene alcuni punti forti, irrinunciabili, checorrispondono agli obiettivi della Lega: peresempio il federalismo fiscale.

Domanda. Professore, cos’è la politologia?Risposta. La scienza della politica. Il termine

politologue è di ieri. È stato coniato dai france-si. In Italia lo ha usato per la prima volta il co-stituzionalista Giuseppe Maranini riferito a me,nel 1964, sul Corriere della sera: commentandola mia prolusione dell’8 dicembre di quell’anno,una diagnosi negativa del sistema politico ita-liano. Oggi, è una pestilenza. Non c’è giornali-sta politico che non si consideri un politologo.

Tant’è vero che io, per definirmi, preferisco l’in-glese: political scientist.

La politologia è una scienza esatta?Ha le sue leggi, come si diceva una volta. lo

ho preferito chiamarle regolarità. Un termineche indica la ripetibilità dei fenomeni, senza laquale non potremmo fare previsioni.

È una scienza pericolosa?Così pericolosa che la prima cattedra affidata

da Benito Mussolini a un politologo, il grandeGaetano Mosca, fu di storia delle dottrine politi-che. Anche Mussolini, come i liberali, guardavacon sospetto alla scienza della politica. Per latradizione liberale le facoltà di giurisprudenzaerano più che sufficienti. C’era un marchinge-gno naturalmente: il diritto lavora sull’ideolo-gia del sistema dato; non c’è una considerazio-ne allargo dei sistemi politici. Era la posizionedi Benedetto Croce. Arcana imperii: ecco il con-cetto. Il potere deve rimanere segreto. Quandosi tratta di cambiarlo, siamo soltanto noi chedobbiamo saperlo.

Oggi le facoltà di scienze politiche sono auto-nome...

Fu una battaglia durissima. Io mi sono sem-pre battuto, con Giovanni Sartori, perché si in-segnasse la scienza della politica e questo coin-cise con la lotta per l’autonomia delle facoltà discienze politiche.

Fino al 1968, a parte poche facoltà con unatradizione, come la Cesare Alfieri di Firenze, oquella della Cattolica, tutti i corsi di laurea era-no dentro le facoltà di giurisprudenza. Egemo-nizzati dai professori di diritto, i quali nomina-vano soltanto fedelissimi, persone note per nonavere idee nuove. Ricordo un mio incontro conSilvio Gava, allora presidente dei senatori dc, inpuro stile Il Padrino. Lui stava su una poltrona

Doktor MigliusSe la prende con tutti. E afferma la purezza della sua scienza.

Che non deve essere inquinata da valori come egualitarismo e umanesimo

di Manuela Grassi

Panorama, 31 dicembre 1993

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in ombra, io ero in luce. Sentii la sua voce dire:“Mi dicono che queste facoltà di scienze politi-che sono delle sentine di socialcomunisti! Dinemici del nostro ordinamento!”.

L’anno fatale fu il 1968...Già. Nel ‘68, in un governo balneare, ministro

della Pubblica istruzione era un deputato dc diBergamo, Giovanni Battista Scaglia. Aveva famadi essere un menagramo terribile. Tant’è veroche Giovanni Leone, un esperto in scaramanzia,quando era presidente della Camera, non lo no-minava mai direttamente. Quando Scagliaprendeva posizione su qualcosa, Leone diceva:“Taccia, onorevole Scalìa”. Il quasi omonimoScalìa, il sindacalista, ribatteva: “Presidente,non ero io a parlare!” E Leone: “Taccia. Il presi-dente sa quello che fa”. Scaglia mi disse: il suoprogetto di riforma mi piace; starò al governotre mesi, lo facciamo. Convocò oltre a me, Sar-tori e Nino Andreatta. Ci affidò a un certo Avve-duto, direttore di divisione, per redigere il de-creto del presidente. Avveduto depose la suacartella sul tavolo; poi venne chiamato al telefo-no. Andreatta, che è sempre stato un monello,andò ad aprire la cartella e scoprì le lettere a fir-ma del ministro, preparate dall’Avveduto, in cuisi diceva che il nostro era un progetto impossi-bile, di togliercelo dalla testa. Al ritorno di Av-veduto, sapendo di averlo nemico, cominciam-mo spediti a dettare le norme del decreto. Passòcosì.

Ci sono oggi veri scienziati della politica, aparte lei naturalmente?

In fin dei conti c’è Norberto Bobbio, che è fi-losofo del diritto, ma è un political scientist,Sartori l’ho già detto, poi c’è Angelo Panebian-co. Nicola Matteucci è stato professore di storiadelle dottrine politiche ed è politologo, anche seha la cattedra di filosofia morale. Poi, ce ne so-no parecchi in giro, per esempio il mio allievoLorenzo Ornaghi, che è succeduto a me sullacattedra di scienza della politica in Cattolica.Gian Enrico Rusconi si occupa di politologia.Poi ci sono Giuliano Urbani, Domenico Fisi-chella...

Compito del politologo sembra oggi soprat-tutto quello di fare progetti politici. Lei per laLega, Urbani per Silvio Berlusconi, Fisichellaper Gianfranco Fini...

Il compito scientifico del politologo è quellodi proporre interpretazioni e soprattutto di fareprevisioni. Prevedere quello che potrebbe acca-dere e non prescrivere quello che si deve fare.Quando ho preso la direzione del Gruppo di Mi-

lano, dal 1980 all’83, per studiare un progettodi costituzione nuova, ho detto con chiarezzache quello non era un lavoro scientifico. Spessouso questa frase: “Quella è una costruzione in-quinata da valori”. La gente non capisce: comepossono, i valori, inquinare? Inquinano il lavoroscientifico. Lo scienziato della politica rivela ilsuo rigore in quanto sta lontano dai valori.

Può fare degli esempi?Il principio del consenso popolare è un valo-

re. Ma ci sono ordinamenti che prescindono dalconsenso popolare. Come la Chiesa, perché èverità che i sacerdoti dicono di mutuare dalladivinità. Il principio dello Stato di diritto è unvalore. E poi, il nazionalismo. Appena lo evoca èimplicante, è qualcosa che coinvolge. Lo scien-ziato può fare un’analisi dei nazionalismi, e co-me in un museo naturalistico, su uno scaffaleallinea tutte le forme di nazionalismo. Non par-tecipa.

Renzo De Felice ha cominciato la sua ricercasu Mussolini con il distacco dello storico, e poi,a poco a poco, si è innamorato dell’oggetto del-la sua ricerca.

Come lei della Lega?Io tifo per il mio amico Bossi. Ma al congres-

so della Lega sono andato a studiare come unpartito si salva o affonda. Accettando il pro-gramma della Lega Nord ho fatto una scelta divalori. Quando ho costruito il modello di unarepubblica mediterranea, cercando di vederecosa differenzia l’antropologia delle stirpi medi-terranee da quella delle stirpi europee, ho fattoun lavoro scientifico, che non è piaciuto. Hannogridato al razzista. Ma gli uomini sono diversi ehanno ideali diversi. La razza non c’entra.

La sua concezione della politologia ha parec-chi avversari...

Naturalmente non piace alla Chiesa. Io pensoche gli uomini siano animali come gli altri. Hoaperto un indirizzo, che in Italia è stato pocoseguito, di simpatia per la sociobiologia, disci-plina soprattutto americana, che studia il com-portamento dell’uomo come uno degli animali.Ne parlo nelle pagine introduttive alle mie le-zioni di politica pura. I miei allievi in questigiorni mi hanno portato le trascrizioni dell’ulti-mo corso che ho tenuto. Ho potuto constatare adistanza di 4-5 anni, la validità di quelle lezioni.Ora ho la traccia per scrivere le Lezioni di poli-tica pura, dove la politica viene ridotta a poco apoco alla sua realtà, che è tutta fatta di inven-zioni. Il mio obiettivo (come per Hobbes) è dicostruire il “cristallo” della politica: compito

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che sebbene difficile è possibile.Cosa pensa di Urbani che presenta un proget-

to politico chiavi in mano per il partito di Sil-vio Berlusconi?

Non penso sia andata così. Lui dà consigli tec-nici, come io li do a Bossi. Urbani, come Fisichel-la, per quanto ne so io, non adotta però il criteriodella totale separazione tra scienza e valori.

Perché?Tutti liberaldemocratici. Partono dal concet-

to, come i vecchi liberali, che una scienza peressere legittima deve consentire di ottenere deivantaggi, cioè deve giovare agli uomini. È lavecchia posizione della Chiesa cattolica. Quan-do insegnavo all’università Gemelli ero in odoredi eresia perché sostenevo la separazione trametodo scientifico e scelta dei valori.

Lei ce l’ha coi liberaldemocratici?Anche la Lega è liberaldemocratica, ma la dif-

ferenza è che tutti i liberaldemocratici sonoscettici sulle istituzioni: quello che conta ècambiare gli uomini, perché loro pensano al-l’integrità degli uomini. È la fissa di Bobbio. Ioinvece sono un liberaldemocratico che ha unaprofonda diffidenza nei confronti dei suoi similie crede in istituzioni di ferro.

I politologi in questi ultimi tre anni hannopartecipato attivamente alla discussione sulleriforme istituzionali. Per esempio GiovanniSartori e la nuova legge elettorale...

Sartori ha preso una posizione che lo ha por-tato fuori strada. Cosi si è visto che l’uomo a fu-ria di stare lontano dall’Italia non ci capisce piùniente.

Cosa gli rimprovera?Pensava che il secondo turno avrebbe consen-

tito agli altri partiti di battere la Lega. Lui, fio-rentino, liberaldemocratico fino al midollo, citiene all’unità nazionale. E cosi ha pensato: viinsegno il modo di fregare la Lega. Ma è andatoa toccare altri interessi. Per cui il dc SergioMattarella si è opposto. Sa perché è stata fatta lariforma? Perché nessuno è riuscito a capire checosa giovava o nuoceva alla sua parte. Tutti ave-vano gli occhi bendati, anche gli studiosi.

Neppure Bobbio la convince...Sarebbe d’accordo con quello che le ho detto.

Ma aggiungerebbe: è impossibile restare vera-mente fuori, specialmente quando sono in balloi grandi valori. A me invece dei grandi valorinon interessa assolutamente niente. Prenda l’e-guaglianza: sto dimostrando, e questo manda inbestia il mio amico Bobbio, che non è affatto unprincipio trascendente. L’eguaglianza è un sot-

toprodotto dello Stato moderno: da quando di-venta principato territoriale e si chiude nei suoiconfini, con un principe che non tollera altraautorità, ha un problema: di rendere omogeneii sudditi. L’azione egualificatrice viene dunqueda una fonte perversa: la tendenza dello Statomoderno a rendere tutti omogenei.

Angelo Panebianco va bene?È un liberaldemocratico. Ma le sue origini so-

no di radicale. Un radicale acceso, altro chePannella. Io lo presi in simpatia perché, da radi-cale, scrisse un articolo su Pagina in cui dimo-strava che nei miei confronti tutto il pensieropolitico italiano, specie quello di sinistra, avevaavuto una conventio ad ignorandum.

Che effetto le fanno gli articoli di ErnestoGalli della Loggia?

Seguo moltissimo quello che dice, le sue ana-lisi sull’affacciarsi della Lega, la sua vittoria, ec-cetera. Adesso però è un po’ di tempo che fa ilmoralista. Si allontana da quei begli articoli diuna volta, molto intelligenti. Fa parte di quelceto di liberaldemocratici che vorrebbe che laLega cambiasse tutti i quadri, come ha dettoquello sciagurato di Giorgio Bocca.

E poi venissero umili a sostenere la liberalde-mocrazia. In realtà, ritengono che solo i saggi ei pochi possano governare.

Giorgio Galli è politologo...Uno storico delle dottrine politiche. Un uomo

di sinistra: fa continuamente ricorso ai valori.Poi ci sono i filosofi come Lucio Colletti, o

giornalisti come Saverio Vertone, che fannoanalisi politiche.

Vertone è un giornalista che ha letto certe co-se ma non altre. Le sue diagnosi giunte a uncerto livello, sgarrano perché non c’è la cultura.Colletti era un marxista di ferro, e siamo diven-tati amici perché forse sono riuscito a spiegar-gli dove Marx cessava di essere uno scienziatodell’economia e diventava un operatore politico:le famose analisi delle tesi di Feuerbach... e cosìsi è convertito alla liberaldemocrazia. Però c’èun fatto, Colletti è romano: l’idea di una costi-tuzione federale lo mette in agitazione. Perchéin fondo alle convinzioni umane c’è sempre unamatrice di natura personale. Io e mia moglieper esempio abbiamo sempre avuto stili di vitamitteleuropei...

Professore, ma il difetto principale di Collettiè di essere un ex marxista o di essere romano?

Romano. Del marxismo si è liberato. Ma è ri-masto romano.

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Il richiamo del Papa a “rafforzare il senso delloStato”, il monito di Ciampi sull’unità d’Italia,la levata di scudi di tutti i partiti, l’allarme dei

giornali sul “rischio di balcanizzazione”: il sen.Gianfranco Miglio è di ottimo umore.

Professore, quelle centinaia di cappellini nordi-sti visti al raduno della Lega a Curno...

Quali cappellini?Quelli della Guerra di secessione americana.

Era solo la solita sceneggiata?No, quello è folklore: è un berrettino simpatico

e richiama il Nord. Intendiamoci: la gran partedei nostri elettori è secessionista.

Me ne accorgo quando giro per Milano. Sonoossessionato da gente che mi ferma e dice: “Pro-fessur, ci aiuti ad andar via!”. Ma io tengo le bri-glie tirate su questo punto: dobbiamo arrivare auna costituzione federale.

Però volete andarvene dal Parlamento...Noi insistiamo con il modello federale. Anche

se arrivassimo al punto che Bossi ha collocato co-me punto finale, che è l’uscita dal Parlamento.Ma prima ci saranno le nuove elezioni e il plebi-scito sul federalismo. Tutti dicono che la Legasarà uno dei tre grandi partiti del nuovo Parla-mento: quindi non saranno gli attuali ottanta de-putati a uscire dal Parlamento, ma saranno i due-centocinquanta e passa del dopo elezioni.

Senza un terzo del Parlamento le Camere sonofinite. I partiti del vecchio regime l’hanno capitoe reagiscono. Hanno capito che Bossi, andandose-ne, li paralizza tutti, li costringe a scegliere trauna costituzione unitaria o la negoziazione diuna costituzione federale.

Professore, questo si chiama ricatto politico...No, perché prima ci sarà un plebiscito nel Nord

sul federalismo in seguito al quale noi proporre-mo nel nuovo Parlamento di negoziare la nostracostituzione.

Se questo non avviene la elaboreremo da soli ela presenteremo: prendere o lasciare.

È quella che lei ha già scritto?La stiamo mettendo a punto con il gruppo di

studio che si riunisce presso la fondazione Salva-dori.

Che fa capo a lei. Non è un po’ troppo ancheper Gianfranco Miglio scriversi da solo una car-ta costituzionale?

Beh, io sono il presidente della fondazione manon sono solo: la scrivo con dei buoni collabora-tori. Io questi problemi li studio da cinquant’an-ni, sotto questo profilo sono preparatissimo. Na-turalmente ho dei colleghi esterni con cui facciodelle verifiche.

Ma questo processo non può portare alla “bal-canizzazione” del Paese?

Neanche per sogno. Una costituzione federalenon significa disgregazione. È solo un modellodiverso di assetto dei poteri.

E se gli altri non ci stanno?Peggio per loro. Se non ci stanno è perché vor-

rebbero che noi continuassimo a pagare la festacome abbiamo fatto fino adesso. Le prove di in-surrezione fiscale che abbiamo programmato so-no tutte finalizzate a quel momento: come faran-no gli altri a dire di no visto che dipendono dallenostre risorse? Siamo noi che abbiamo in manole forze economiche. E quelle militari.

Ne è proprio sicuro? Militari e poliziotti sono ingran parte meridionali.

Tutti pensano che carabinieri, polizia e guardiadi finanza difenderanno le regioni del Sud per di-fendere le loro paghe. Invece non è così: abbiamorapporti ottimi con queste forze di polizia, soprat-tutto con i vertici, che sono dalla nostra parte.

State addestrando anche una milizia leghista?Assolutamente no.L’onorevole Boniver dice il contrario.

Professor mangiapretiGianfranco Miglio, il politologo della Lega, interviene per “spiegare”

le minacce secessionistiche di Bossi. E aggiunge molta altra legna nel fuoco delle polemiche

di Francesco Anfossi

Famiglia Cristiana, n. 40, 1993

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La Boniver è una persona irresponsabile: nonabbiamo nessuna forza di quel genere. Eppoi pernoi l’insurrezione è un momento di debolezza.Gli slovacchi se ne sono andati senza spararenemmeno un colpo. Il Québec farà altrettantocon il Canada. Noi seguiamo il modello pacifico.

Salvatore Veca ha scritto che il vostro movi-mento è totalitario.

Io non me ne sono mai accorto. È un movi-mento dove le persone hanno poche idee in testama molto chiare e precise: siamo individualisti,liberisti e fautori del mercato a tutti i livelli.

Ma non è assolutamente una concezione totali-taria.

Ma i suoi insegnamenti non sono in contrastocon le idealità dell’Università Cattolica di cui leiè stato preside per tanti anni?

Finché ho insegnato in Cattolica sono semprestato un difensore di tutta la dottrina cristiana. Diquella autentica, non di quella un po’ giornalisti-ca che oggi va per la maggiore. Nel programmadei miei studenti ero molto esigente con il pen-siero dei grandi padri della Chiesa, della Compa-gnia di Gesù, di quelli che hanno fondato lo Statomoderno come Stato di diritto. Dovevano cono-scere san Tommaso per passare l’esame. I mieiprimi vent’anni di studi accademici li ho dedicatial pensiero politico medievale, non quello edulco-rato a uso di De Mita.

E come fa tutto questo a conciliarsi con l’indi-vidualismo della Lega?

Perché il federalismo è una grande tradizionecristiana, anche se più che cattolica è protestante.Probabilmente c’è un nesso tra il mio federalismoe la mia simpatia per il pensiero politico di Calvi-no, che mi ha sempre affascinato...

Però il rettore Lazzati, uno tra i maggiori stu-diosi mondiali di cristianesimo, non condividevaaffatto il suo insegnamento.

E vero. lo e Lazzati siamo stati sempre nemici.Abbiamo avuto durissimi scontri su molte que-stioni, come il divorzio.

Anche i vescovi e il Papa vi criticano aperta-mente...

Il Pontefice nel suo messaggio di apertura dellaSettimana sociale ha riconosciuto che il nostrosistema statuale è in crisi profonda.

Io faccio una critica più ampia, parlo di quellarottura che è avvenuta nel ‘46, complice De Ga-speri, di quei dirigenti della Dc che hanno rinne-gato tutta la tradizione cattolica dell’Ottocentocontraria allo Stato unitario. Ero giovane, ma ri-cordo bene quel tempo, rimasi folgorato. Avevonotato che sotto la riserva ideologica c’era statoun avvicinamento allo stato liberale laico delmondo cattolico, soprattutto da parte di quel cetomoderato che possedeva i capitali.

Oggi le motivazioni religiose si vanno semprepiù attenuando. E stato giustamente detto chela maggior parte dei leghisti è fatta di ex demo-cristiani, magari anche cattolici, ma nel sensosuperficiale del termine, come lo sono i quattroquinti dei cattolici italiani, molto volage nienteche vedere con il cattolicesimo serio degli olan-desi. Proprio questa superficialità ha fatto sì chesi potesse realizzare il grande connubio di tutti imoderati, che ha fatalmente coinvolto anche leistituzioni ecclesiali. Oggi queste ritengono didover puntellare la Dc per non perdere tuttiquei poteri che hanno, soprattutto sul piano fi-nanziario.

Montanelli dice che lei è colpito da giovanili-smo da andropausa...

Povero Montanelli. Lui sì che è in stato di rim-bambimento senile. Vorrebbe che io fossi come sisente lui. Però io so da fonti assolutamente certeche sull’avvenire dell’Italia la pensa assolutamen-te come me. Ma lui deve recitare la parte del ga-rante dell’unità d’Italia.

Però, professore, sa cosa dicono di lei moltisuoi vecchi allievi?

No, cosa dicono?Che si sta divertendo un mondo prendendosi

gioco di tutti, Bossi compreso...Che mi stia divertendo è fuori di dubbio. Però

bisogna distinguere: quando sto in mezzo ai mieiamici leghisti, quando leggo il loro pathos, sentociò in cui credono, ho molto rispetto per loro.Non penserei mai, neanche lontanamente, diprenderli in giro.

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L’hanno chiamato “folletto”, “vampiro”,“anima nera di Bossi”, “austroungarico”,ma lui pare non curarsene.

Anzi, le reazioni degli avversari alle sue pro-poste e alla sua visione politica lo divertono.

In un mondo affollato di apparenti anime bel-le, un personaggio ruvido come il professorGianfranco Miglio, 76 anni, senatore della LegaNord, rischia di passare davvero come l’incar-nazione di Belzebù.

Abituati a politici che somministrano camo-mille e giurano di volere il bene del popolo, gliitaliani sono rimasti un po’ scioccati dall’ac-quavite a 90 gradi che propone il pensatore delpartito di Umberto Bossi.

Miglio invoca il federalismo, la ribellione fi-scale, il ritorno al rispetto degli ordinamenti manon si fa alcun problema a dichiarare che i suoiconnazionali l’hanno un po’ deluso. Anche quel-li del Nord.

Nessun politico aveva mai osato tanto.“Chi ti adula, ti odia”, dice un antico prover-

bio arabo. E, almeno sotto questo aspetto, biso-gna ammettere che Miglio non odia gli italiani.

Alle prossime elezioni non avrebbe volutonemmeno ripresentarsi.

Non apprezzo molto la condizione del candi-dato - mi dice subito il professor Miglio. - Lapartecipazione ai corpi rappresentativi è una ne-cessità nel nostro sistema.

Appartengo all’età postparlamentare, un’etàdove i Parlamenti conteranno molto di meno.

Chi glielo ha fatto fare allora di ricandidarsi?Intanto la pressione di tutti gli amici leghisti.

Sono stato sottoposto ad una pressione tremenda.Volevo star fuori da questo Parlamento che

durerà tra l’altro anche poco e che probabilmen-te non avvierà l’opera di riforme della nostra Co-

stituzione. Non darà vita alla Seconda Repubbli-ca, neanche ai primi passi della Seconda Repub-blica.

Semmai era mia intenzione rientrare nel suc-cessivo Parlamento, ma sono stato assediato daleghisti, soprattutto giovani, che da tutte le partimi hanno chiesto di restare. La gente più variache si possa immaginare ha premuto su di me.Mi avevano fatto quasi sentire un traditore e ioquello non lo tollero.

Perché è così pessimista nei confronti delprossimo Parlamento?

Guardi, mi hanno appena comunicato i risul-tati di un’indagine fatta da un esperto che stimomoltissimo, il professor Mannheimer. Da questosondaggio risulta che gli italiani tenderanno adisperdere il loro voto nella pletora di movimen-ti e di partiti che si stanno affacciando oggi alleelezioni.

Questa indagine prevede un voto frammenta-to?

Molto più che in passato. Una volta c’erano ipartiti classici e i miei amici della Lega. Le scel-te erano tutto sommato ridotte. Paradossalmen-te oggi ci sarà una scelta molto più vasta. Abbia-mo fatto una riforma per accorpare gli schiera-menti in due poli. In realtà avremo una distribu-zione molto maggiore dei suffragi e quindi avre-mo un Parlamento senza maggioranze precosti-tuite e quindi difficilmente governabile. Inten-diamoci bene, tutto questo è sotto una riserva difondo che noi non sappiamo come gli elettorireagiranno al sistema elettorale che ci siamo da-ti. Potrebbe darsi che a un certo punto si sposti-no tutti più o meno da una certa parte. Lei sabenissimo che il sistema uninominale che ab-biamo adottato non rispecchierà affatto le pro-porzioni dell’elettorato. Potrebbe darsi, come in

Io, candidato per forzaParla Gianfranco Miglio ideologo della Lega Nord:

“Questo nuovo Parlamento nasce già vecchio. I giovani mi hanno obbligato a ripresentarmi”

di Mario Barone

Gazzetta Ticinese, 26 gennaio 1994

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Inghilterra, che un partito che ha il 25% nonriesca ad avere neanche un seggio.

Lei non vede di buon occhio la partecipazionedella Lega al futuro governo. Siete destinati al-l’opposizione?

A noi dovrebbe interessare stare all’opposizio-ne. Nel mio libro Italia 1996 tutte queste cose leho chiarite. Ho fatto una serie di previsioni chefino adesso si sono tutte verificate. La crescitadel Pds, la spaccatura in due grandi tronconidella Democrazia cristiana, la tendenza di Segnia diventare presidente del Consiglio... Spero cheanche il resto si verifichi. In questo contesto hoprevisto una Lega che sta all’opposizione e cheprepara il suo rientro alla grande, o se vuole laspallata al sistema, dopo che il vecchio schiera-mento (Pds e Segni infatti fanno parte del vec-chio) abbia definitivamente fallito.

Lei un problema come quello dell’occupazio-ne, che per quest’anno e per il prossimo sarà didrammatica attualità come lo affronterebbe?

C’è il modo in cui verrà affrontato. Con un ri-torno, parziale, allo stato assistenziale. Si cercheràdi mettere i disoccupati sulle spalle degli altri cit-tadini attraverso l’aiuto della mano pubblica.

Ma questo avrà contraccolpi gravissimi sull’e-conomia, come lei ben sa.

Certo, ed è ben da lì che dovrà nascere la crisi. Lei ha detto di essere deluso dagli italiani.Sono molto preoccupato dalla tendenza che

hanno gli italiani a considerare scopo del lorointeressamento politico la ricerca dei protettori.Nel Sud in maniera addirittura plateale, però unpo’ anche da noi, l’italiano cerca il protettore,vuol sapere chi vince per mettersi in coda ed ot-tenere degli aiuti. La tendenza è quella non a vi-vere sotto ordinamenti, vivere obbedendo a nor-me di diritto ma piuttosto vivere obbedendo acapifila a dei capicordata che poi sono quelli chefanno i favori.

Ma non è un atteggiamento umano quellodell’elettore che vota un candidato nella spe-ranza che faccia anche i suoi interessi?

Non è questione di umanità. È contrario allostato di diritto. Non è cercando dei protettoriche uno si inserisce in uno stato di diritto.

L’essenza dello stato di diritto è la signoriadella norma, delle regole.

Eventualmente agire per cambiare le regolema non fare come fa l’italiano che cerca il capopolitico che piega le norme vigenti in modo daessere favorito.

La Lega fino a poco tempo fa si presentavacome un movimento pulito, estraneo alla logica

di tangentopoli, poi c’è stato lo scivolone dei200 milioni targati Montedison...

La questione poteva essere gestita meglio.Quando quel giorno Sama (Carlo Sama. ex am-ministratore delegato di Montedison ndr) hadetto al processo Cusani che non escludeva diaver dato dei soldi alla Lega bisognava andareimmediatamente alla Procura e dire: “Sia chia-ro, noi abbiamo violato le leggi sul finanziamen-to pubblico ai partiti perché non abbiamo regi-strato nella nostra contabilità queste entrate”.

E magari aggiungere ai 200 milioni di Samaanche quelli che eventualmente ci fossero in gi-ro. Soprattutto bisognava chiarire questo: “Nonabbiamo dato in cambio niente. Abbiamo violatouna norma amministrativa: con tangentopolinon c’entriamo per nulla” .

Nella vicenda tra Berlusconi e Montanelli, ilprofessor Miglio come si colloca?

Montanelli è stato il primo a fare una bella in-tervista a Bossi, all’indomani delle elezioni am-ministrative, in cui la Lega aveva sfondato. Pro-babilmente si aspettava a quel punto che Bossi,affascinato dalla profondità, dalla autorità, dalpensiero dell’ex direttore de Il Giornale gli di-cesse: “Montanelli, io non sono un pensatore,diventi lei la testa della Lega, diventi lei il mioconsigliere”. Era quello che Montanelli, proba-bilmente si aspettava.

Ma Bossi, che è un gran diffidente, si è guar-dato sempre da fargli una proposta del genere.Questo ha fatto si che Montanelli si allontanassesempre più dalla Lega, prendendo una posizioneche in fin dei conti contrastava con tutto quelloche l’ex direttore de Il Giornale aveva detto.

Lei ha definito il Papa “un povero polacco”,non le sembra di essere stato po’ pesante?

Non ho mai detto “povero polacco”. È stataun’impertinente intervistatrice che ha trasfor-mato il mio “Papa polacco” in un “povero polac-co”. Io i papi li ho sempre chiamati per la loroorigine.

Dato che i pontefici sono elettivi, bisogna ri-cordare sempre da dove vengono.

Indipendentemente da questo lei non ha mol-to apprezzato l’intervento di Giovanni Paolo Se-condo a proposito dell’unità dei cattolici incampo politico.

È stato inammissibile soprattutto quando hadetto: va bé, avranno rubato ma in fondo hannofatto progredire il Paese. Dal punto di vista dellostato di diritto è intollerabile. Chi delinque, de-linque e deve pagare.

Lei è credente, professor Miglio?

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Certo. Credo in Dio, naturalmente senza moltidegli ammennicoli che si trovano nelle grandireligioni in cui si articola il cristianesimo.

Prima di entrare in politica lei era uno stima-to professore universitario. Oggi è un senatorefatto bersaglio di continui e pesantissimi attac-chi. È pentito della scelta fatta?

Si ricordi che i nemici li avevo anche prima. Imiei scritti venivano avversati perché io scrivevodi problemi politici. Sono uno scienziato politi-co. Le cose che scrivevo trovavano degli apprez-zatori anche a livello internazionale, ma trovavoanche della gente, qui in Italia, che mi avversava

a morte e ha continuato ad avversarmi, special-mente quando ho fatto la scelta di stare vicino aileghisti.

Insomma non è pentito?No, per carità. Sul mondo politico scientifico,

(i miei simili, insomma), non mi sono mai in-gannato. Né mi meraviglio sul loro modo dicomportarsi quando mi attaccano e mi creanodelle situazioni difficili. Non mi aspetto affattodai miei simili degli atteggiamenti di apprezza-mento, di affettuosità, di stima o altro. La stimache io ho, me la guadagno combattendo daquando avevo ventidue, ventitré anni.

Nuova destra / Gli uomini: parla l’ideologo della Lega

Sono solo mezzi leaderdi Chiara Beria di Argentine

L’Espresso, 28 gennaio 1994

Prima meditazione. A questo punto è chiaro:I moderati non hanno un leader, non c’ènessuna personalità dominante. Sia Segni

che Berlusconi sono solo dei “mezzi leader”. Se-conda meditazione. Martinazzoli e Segni nonhanno un’idea veramente nuova del Paese. Nonbasta eliminare i vecchi democristiani corrottiper costruire la Seconda Repubblica. Terza me-ditazione. È la ragione vera del mio pessimismo:tutti proclamano, anche i miei amici della Lega,di volere il passaggio da un’economia assistita aun’economia di mercato. Ma io ho forti sospettisulla possibilità di un transito rapido e indolore.Anzi. Ho l’impressione che la drammatica crisidi alcune grandi imprese finirà per imporre il ri-pristino dello stato assistenziale. In queste con-dizioni vacilla alla base il presupposto di un veroordinamento liberaldemocratico.

Nel 1992, in pieno declino del vecchio regimeGianfranco Miglio, l’ideologo della Lega e delfederalismo aveva intitolato Come cambiare, Lemie riforme un suo saggio sulla crisi del vec-chio sistema politico. Ora mentre muoiono gliultimi vecchi partiti e tutti si agitano per co-struire cartelli elettorali Miglio, chiuso nel suo

eremo di Como, non nasconde il suo radicalescetticismo: La Seconda Repubblica non usciràdalle elezioni del 27 marzo ma al termine di unlungo travaglio e di ripetute prove elettorali. In-somma, Miglio ha ben poca fiducia in un fronte,quello di centro-destra (“io preferisco definirlodei moderati”) senza un leader, una strutturaideologica, né idee forti. Professor Miglio, per-ché considera Segni e Berlusconi dei mezzi lea-der?

Segni ha avuto parecchie oscillazioni fino a farcapire che il suo scopo fondamentale è guada-gnare il potere, diventare presidente del Consi-glio. Tutto ciò fa presagire grosse delusioni.Quanto a Berlusconi è appena arrivato, è entratoda pochissimo nella mischia....

Ma certi sondaggi lo indicano tra i preferitidagli italiani.

Solo perché è nuovo alla politica, ma non cre-do sia molto forte. Del resto oggi tutti hanno se-guiti abbastanza modesti: il Paese è molto fra-stornato, nell’opinione pubblica c’è un forte di-sorientamento, quindi è possibile tutto e il con-trario di tutto. Sul fronte moderato io vedo sologli spezzoni di un grande schieramento liberal-

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democratico che esiste nel Paese ma non ha unsuo punto di raccordo. Anche dal punto di vistaideologico-dottrinario non c’è nessuna persona-lità, nessuna testa d’uovo che abbia pensato aquesto schieramento. L’unico è il professor Giu-liano Urbani, il consigliere di Berlusconi, le sueidee, per altro, le conosciamo da tempo: sonoidee liberal-democratiche, nel senso genericodella parola.

Cosa rappresenta allora il polo moderato?È uno schieramento “virtuoso”: vorrebbe un’I-

talia europea. Un’aspirazione che dubito moltoriuscirà a realizzare. È molto difficile mettere lagente al vento e al gelo dell’economia di merca-to.

Secondo lei non ci sarebbero quindi le condi-zioni per imporre un modello liberaldemocrati-co?

L’economia di mercato non è solo una regolaeconomica, è anche una regola politica: il con-tratto al posto del patto politico. Ed è qui chenascono i miei interrogativi. L’Italia è un Paesesui generis nello scenario europeo, la sua im-prenditoria è sempre stata assistita dalla manopubblica; il cittadino italiano ha sempre pagatodi più determinati prodotti perché doveva man-tenere una parte dei suoi concittadini. D’altraparte la tendenza della mano pubblica a non pe-sare come avrebbe dovuto sul rispetto delle re-gole fiscali ha fatto sì che anche la piccola e me-dia impresa goda di una sorta di appoggio pub-blico. Intendiamoci, il nostro sistema d’imposteè tale che se si riuscisse a far pagare le tasse atutti molte imprese dovrebbero chiudere.. Fino-ra hanno campato di lucro d’imposta....

Insomma un sistema perverso ma che ha ga-rantito molti.

Certo. Troppi italiani dipendono o meglio so-no subito pronti a chiedere la mano protettivadell’economia pubblica non appena vedono tra-ballare il loro reddito.

Ma c’è di più. Oggi sono convinto che gli ita-liani non hanno nessuna voglia di cambiare,hanno ancora l’atteggiamento che avevano versola Prima Repubblica: accettavano il sistema per-ché ognuno aveva il suo piccolo o grande van-taggio da coltivare. Quanto ai partiti le resisten-ze sono fortissime. Ho l’impressione, per esem-pio, che i democristiani che sono stati a lungo iprotettori della Prima Repubblica, quelli chehanno codificato questo sistema d’economia as-sistita, sono molto lontani - anche perché so-spinti da certi ambienti ecclesiastici - dal volereun vero cambiamento. Non solo. L’altro polo,

quello umoristicamente definito “progressista” -composto da diversi spezzoni e intimamentecontraddittorio almeno quanto quello moderato- è pronto ad accettare una relativa restaurazio-ne dello stato assistenziale. Non dimentico certole dichiarazioni di Occhetto o di altri esponentidel polo di sinistra a favore dell’economia dimercato ma qualunque schieramento vincerà il27 marzo sarà costretto a fare ancora dell’assi-stenzialismo .

E allora perché un elettore dovrebbe votareper i moderati. Solo per paura di Occhetto ecompagni?

La domanda va girata: perché dovrebbe votareper i progressisti? Non credo che la vittoria dellasinistra porterà alla perdita dei diritti politici eindividuali.

Ma credo che aprirà le porte a una sorta diprolungamento ritardato del modello social-co-munista, un modello già fallito in tutto l’Est eu-ropeo e che produrrà una drammatica crisi eco-nomica. E questo non è l’unico rischio che cor-riamo.

Che cosa teme?Ho paura che avremo nel giro di pochissimi

anni una Seconda Repubblica che assomiglieràcome una goccia d’acqua alla Prima. Lo schiera-mento dei moderati è fatto di persone che dico-no “le istituzioni non hanno colpa di niente, so-no gli uomini che hanno sbagliato”. È la posi-zione di Segni: via i vecchi dc corrotti che arri-viamo noi, ebbene la considero una posizioneprofondamente sbagliata. Credo, infatti, che intutto ciò che è successo le istituzioni abbianoavuto una forte responsabilità.

Cambiare le persone al potere non basta. Leelezioni del 27 marzo saranno quindi solo unatappa di un cammino di lunga durata verso laSeconda Repubblica.

Tutto il suo pessimismo non nasce forse dalfatto che le sue teorie federaliste sono statemesse in soffitta persino da Bossi pur di dialo-gare con gli altri moderati?

Bossi e Maroni hanno assunto una saggia po-sizione politica. Hanno dimostrato che la Lega èpronta a dei sacrifici per ricostruire questo Pae-se. Detto questo personalmente, ma parlo da in-dipendente, avrei preferito un po’ meno entusia-smo in questo slancio autosacrificatorio.

Rimango fermamente convinto che l’unicasoluzione per avviare l’Italia a un’economia dimercato e quindi a un livello europeo sia la co-stituzione federale. Non solo. In questi giornisono stato letteralmente sommerso dall’affetto

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di tanti leghisti, soprattutto giovani, che m’im-plorano di continuare a combattere: la confer-ma che il nocciolo duro della Lega è federalistae secessionista. I leghisti sono delle personeadorabili, sono pronti anche a sacrificarsi per ilvaro di una costituzione federale, sono la partepiù rispettabile del Paese. Se andrò al congressodella Lega Nord a Bologna spiegherò perché ènata questa opposizione al modello federale eperché, nonostante l’opposizione di quasi tuttele forze politiche italiane, è l’unico sbocco pos-sibile, la conseguenza logica e ineluttabile diuna gravissima crisi insieme economica ed isti-tuzionale.

Perché parla di una gravissima crisi? Lo dice

come se, in questo processo di trasformazione,sia quasi un fatto inevitabile.

La mia ipotesi è che sia il prezzo che dovremopagare alla rivoluzione pacifica che stiamo vi-vendo. A un certo punto solo un violento scos-sone farà scattare il cambiamento profondo. Eallora, finalmente, gli italiani cambieranno i lo-ro comportamenti smettendo di invocare la ma-no pubblica. Dopo, si potrà cominciare a rico-struire un Paese diverso e più europeo.

Un prezzo altissimo, Non crede di esagerarenel suo catastrofismo.

Benedetta signora, la storia non la padroneg-giamo noi, noi siamo soltanto gli inconsapevoliprotagonisti.

Miglio: ma il federalismo non può più aspettareIl professore insiste: soltanto le macroregioni

possono battere la tragica alleanza tra burocrazia e politica

di Daniele Vimercati

Il Giornale, 6 febbraio 1994

Il professore fa una smorfia disgustata e mi-ma un passo di quadriglia: No – taglia corto -a me non piacciono questi balletti, questi tira

e molla. Ci siamo, adesso Gianfranco Migliospara la sua bordata sull’intesa Bossi-Berlusco-ni. E invece no. Aggiunge subito: L’accordo vabene, la Lega e Forza Italia sono le uniche dueforze politiche compatibili in questo momento.Persino il “fedele custode del federalismo”, co-me ama definirsi, dà disco verde al polo della li-bertà.

Anche se non rinuncia alle battute: No, nonposso dire di essere un berlusconiano, non homai parlato molto bene del Cavaliere. Mi è sim-patico, questo si, anche se le sue tv non mi piac-ciono, i culi biotti alla mia età interessano sem-pre meno... ma devo ammettere che Berlusconisulle sue reti private ha diritto di farli vedere, ilservizio pubblico no.

Nei corridoi del congresso, poco prima di pre-

sentarsi alla platea, il senatore leghista appareallegro e molto cauto.

Ma poi, quando sale sul palco, si scatena. Usala parabola dei pidocchi, per spiegare la suaproposta federalista.

Parla di una gigantesca burocrazia e di unaclasse politica che insieme sono “i pidocchi del-la società che invadono lo Stato e possono ucci-derlo, se non vengono curati”. Parassiti ricono-scibili perché “non producono ricchezza, maconsumano quella prodotta da altri”. Ebbene, lacostituzione federale è “il sistema migliore pertagliare il parassitismo”. Ecco perché “le tre Re-pubbliche sono una necessità storica, non im-porta se non piace il nome, volendo si possonochiamare tre Cantoni”. L’importante è che ab-biano certi poteri, in particolare in campo fisca-le, e applichino una regola che è “la cilieginasulla torta” del progetto presentato ad Assago,al congresso della Lega lombarda: la pressione

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tributaria complessiva sulcittadino non potrà supe-rare il 40 per cento.

Che cosa significa, inconcreto?

Semplice: se il contri-buente scopre che Stato,macroregioni e municipiinsieme l’hanno torchiatocon una percentuale supe-riore (oggi siamo oltre il50 per cento) scrive unaletterina al fisco e dice:fuori i soldi.

E il disavanzo pubblicochi lo copre?

Con una regola tanto ri-gida, i pubblici ammini-stratori dovrebbero ferma-re la loro folle corsa aglisprechi.

Questa è la ciliegina, maa quanto pare la torta, os-sia il decalogo federalistadi Assago, è finita in uncassetto. Bossi dice chesarà la politica a indicareil tipo di federalismo ap-plicabile all’Italia. Non sisente tradito?

Là, al mio progetto, sidovrà arrivare molto pre-sto, perché lo impongononecessità socio-economi-che. Le ragioni della storiasovrastano Bossi, Berlu-sconi e il sottoscritto. Latragica alleanza fra buro-crazia e classe politica, diprevalente origine meridionale, può essere bat-tuta solo da uno Stato federale, ripartito in ma-croregioni, che sradichi la pianta maligna delcentralismo.

Che fa, ricomincia con questi discorsi chefanno la gioia di quelli che accusano la Lega diseparatismo?

Il discorso sulla burocrazia meridionale nonl’ho fatto io, l’ha fatto il ministro Cassese. Il fe-deralismo, non mi stancherò mai di ripeterlo, èmolto diverso dal separatismo. Nel mio progettodi governo direttoriale c’è un primo ministroeletto dal popolo che garantisce la tenuta dell’u-nione. Non a caso, i Paesi più uniti sono quellifederalisti.

Si, ma questa ossessionedella Repubblica delNord...Guardi, la Repubblica delNord è un’ossessione perquelli che lavorano, pro-ducono e pagano le tasse,e sono stanchi di farsi ra-pinare dallo Stato centra-lista. Il passo decisivo del-la nostra rivoluzione è ilfederalismo fiscale, senzail quale non c’è vero fede-ralismo.Queste cose lei le ha detteanche dal palco, susci-tando ovazioni a scenaaperta che dimostranoquanto conti, per i diri-genti della Lega, la pro-spettiva “nordista”. Oraperò Bossi ha aperto laprospettiva del federali-smo, o almeno di un ra-gionevole antistatalismo,al Centro-Sud.Questo è il compito diBerlusconi. Io l’ho incon-trato parecchio tempo fa esono convinto che la suafigura favorisca il succes-so elettorale del polo libe-raldemocratico nel Mez-zogiorno. La gente delSud vota volentieri unoche ha dimostrato di sa-perci fare anche con i sol-di. Gli intellettuali dellaMagna Grecia trovano fi-

no votare chi ha successo.Non è un buon viatico per il Cavaliere.Io sono lo scienziato della politica, dico le cose

come stanno. Comunque sono d’accordo conl’alleanza.

E il no a Fini, le sembra lungimirante? SenzaAlleanza nazionale è quasi impossibile vincere aSud.

Il problema della destra è che la sua posizionenon è più sostenibile. La destra punta per suanatura a una politica imperiale. Mussolini appe-na eletto mandò le corazzate davanti a Corfu.Oggi, chi può sostenere una politica di potenza?Anche a Sud, chi parla di queste cose si beccauna scarica di pernacchie.

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L’hanno chiamato il santone della Lega, ilKhomeiny della Brianza. In realtà dallapolitica lui vuole solo risposte; in un certo

senso si è servito della politica per studiarla dal-l’interno, per concludere quel lungo camminoiniziato più di quarant’anni fa, consumato traaule universitarie, seminari, viaggi di studio.Ridiamo sulle sue poderose dispense che terro-rizzavano gli studenti (compreso chi scrive), al-le quali trovava sempre il modo di aggiungerequalcosa, terribile Miglio che dopo aver deliratoper decenni intorno a Weber, Marx e compa-gnia, ha fatto delirare il Lombardo-Veneto tro-vandogli una collocazione mitteleuropea.

Prestato alla politica ma negato ai politicanti,una razza un po’ imbrogliona che lancia sibilisempre più acuti, come un serpente a sonagli, enelle sue orecchie questi sibili diventano fischifastidiosi. Meglio la vigna che gli cura il figlio,meglio contemplare dalla sua casa quel lagoche, guarda caso, respira un po’ aria elvetica.

Già, la Svizzera. Il suo Paese preferito insiemealla Germania e non potrebbe essere diversa-mente, visto che di questi Paesi riesce a digeriretutto o quasi.

Pochi anni di frequentazioni parlamentari e dicontatti giornalieri con chi entra ed esce dallastanza dei bottoni come se fossero i servizi di ca-sa, lo hanno convinto che non ci sono politicidegni di essere salvati, che la politica è fatta so-prattutto di omissioni, che, suvvia, gli studi sonoun’altra cosa. Gli anni vissuti in Parlamento glisono comunque serviti per conoscere e maltrat-tare gli gnomi (in centimetri) della politica all’i-taliana, per arricchire di aneddoti le sue confi-denze e, perchè no, i suoi soliloqui. Parla con di-stacco di questa avventura politica e anche del

fenomeno Lega, quel distacco che proviene dallasuperiorità o dalla delusione. Ci confida unaspecie di patto con il Padreterno o con il Diavo-lo: disporre del tempo necessario per decifrare ilcristallo della politica, capirne le regolarità. In-tanto raccoglie dati, analizza fenomeni, manda isuoi studenti in giro per il mondo.

Insomma, un lungo viaggio da Platone a We-ber passando per Miglio per arrivare alla purez-za della politica, sperando di trovarla.

Professor Miglio, a detta di tutti stiamo pervoltare pagina. Ne è convinto?

Mica tanto. Probabilmente saranno eliminatidall’agone politico alcuni tra i più grossi respon-sabili della Prima Repubblica ma non tutti.Avremo senz’altro delle brutte sorprese.

La nuova legge elettorale faciliterà la gover-nabilità del Paese?

È molto difficile. Ci saranno risultati moltoframmentari con due schieramenti equivalenti,polo moderato e polo progressista separati da unnumero ridotto di seggi parlamentari. Ad ognimodo è tutto molto ipotetico perché non sappia-mo come reagirà al nuovo sistema elettorale l’o-pinione pubblica.

Se le cose vanno come dico io avremo governideboli perché, dato l’equilibrio esistente tra glischieramenti e la minor disciplina degli eletti,più autonomi rispetto all’epoca della partitocra-zia, ci saranno facili passaggi dall’uno all’altroschieramento.

Chi vincerà le elezioni?Si farà una gran fatica a vedere i vincitori.

Qualcuno dice che il polo progressista dovrebbeavere un notevole successo. In realtà gli schiera-menti sono molto composti. Prendiamo il grup-po più compatto, quello di sinistra.

Miglio risale in cattedra: tutti bocciati

La Lega? Un grande movimento che rischia di diventare una Dc di serie B. Sparirà qualche corrotto

ma lo Stato resterà un colossale ente di assistenza

di Franco Mola

La Prealpina del lunedì, 7 marzo 1994

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Si va da alcuni repubblicani che sperano diemulare il vecchio La Malfa che si riteneva lamosca cocchiera, la testa pensante di un carroz-zone di socialcomunisti, a Cossutta. C’è dentrodi tutto. Non parliamo poi del polo moderatodove fanno finta di voler andare d’accordo ma inrealtà sono profondamente diversi.

Berlusconi entra in politica per tutelare i suoiinteressi.

Secondo lei questo scopo lo si raggiunge me-glio manovrando dietro le quinte o uscendo alloscoperto?

Io già gli avevo suggerito non solo di stare die-tro le quinte ma di fare il furbo e aiutare un po’tutti per diminuire la sensazione che chi detieneuna percentuale così elevata di mezzi audiovisivisia un pericolo. Ma non ci ha sentito. Berlusconimi fa venire in mente l’Angelino degli anni ’60,il personaggio di uno spot televisivo. Un tipo te-stardo che faceva sempre delle cose che non do-veva fare, così si sporcava tutto, piangeva e poiarrivava la reclam del detersivo.

Bossi è stato addomesticato ed è disposto a ri-nunciare al federalismo. Se lo sarebbe aspetta-to? E come intende reagire?

Dalla Lega io mi aspetto di tutto perchè è ungran movimento e perchè Bossi è un gran ma-novratore. Però non è vero che ha rinunciato.Gli altri vorrebbero la Lega decapitata, in ritira-ta per rubargli i voti. In realtà Bossi ha detto:“Noi siamo disposti ad aspettare. Per il momen-to il federalismo non lo metto sul piatto delletrattative”. Secondo me c’è un grande tentativodi evitare la solitudine.

Io però sono fuori dalla Lega e non sono maistato felice di essere fuori dalla Lega come ades-so. Io non ho mai avuto gusto per il pettegolez-zo politico e nemmeno per la politica politican-te.

Fatalmente, come succede a tutti i politologhiche hanno una certa preparazione, riesce a ve-dere le cose che gli altri, stando dentro, non ve-dono. Si, credo proprio che ci sia stato questo ti-more della solitudine perchè, dove la Lega è de-bole, deve cercare di non scomparire ma, forse,c’è anche qualcosa d’altro e lo sapremo piùavanti; Se invece la Lega considerasse questauna nuova linea allora diventerebbe quello cheha sempre corso il pericolo di diventare: unaspecie di Democrazia cristiana di serie B, undoppione. Nella Lega c’è di tutto, però attenzio-ne: il nucleo qualificante della Lega, i leghistipuri, hanno due punti irrinunciabili: federali-smo e libertà economica.

E qualora Bossi, che mira chiaramente al po-tere, fosse disposto a fare concessioni questi le-ghisti puri come reagirebbero?

Reagirebbero molto male.E dove andrebbero?Non lo so. È opinione abbastanza diffusa tra i

leghisti che se la Lega dovesse sciogliersi, cioèandare verso un processo di autodistruzione,verrebbero fuori molti missini anche se appa-rentemente questo sembra un paradosso perchèl’Msi è centralista.

Perché il federalismo suscita tanta diffidenzae perchè lei lo ritiene indispensabile?

Con i miei collaboratori, giovani e meno gio-vani, siamo in contatto con l’ambiente interna-zionale, soprattutto americano. Per Pasquamanderò due allievi negli States a fare provvistedi libri.

Dopo un lungo periodo in cui gli Usa hannoridotto un po’ la tendenza federalista copiandolo Stato centralizzato europeo, adesso c’è il ri-flusso. Sta venendo fuori dappertutto un grandeinteresse per lo Stato federale. Non è solo il Bel-gio, non è solo il Canada che sta pensando addi-rittura alla secessione, non è solo il caso dellaSlovenia e della Croazia che assomigliano un po’a noi perché si sono accorti di essere quelli chemantenevano la baracca e non sono più dispostia pagare ma è tutta una crisi dello Stato centra-lizzato. Nel federalismo scomparirebbero moltimeccanismi che in pratica mantengono un sac-co di gente: la reazione al federalismo non è chela reazione a qualunque correzione economico-finanziaria dello Stato centralizzato.

Il vostro credo economico è basato sul liberomercato. Basta assistenzialismo. Che differenzafate tra questo e la solidarietà? E quale è il vo-stro programma per sostenere l’urto dei disoc-cupati previsto in aumento dopo le privatizza-zioni?

Io credo che il progetto di un’economia dimercato, malgrado il gran chiacchierare che sene fa, non sarà attuabile nell’immediato. Noi,per i prossimi due o tre anni, dovremo restaura-re lo Stato assistenziale, dovremo portare sullenostre spalle un sacco di cittadini che non han-no più un posto di lavoro. L’Italia è sempre stataassistita. È dall’unità d’Italia che la nostra im-prenditoria è assistita, con privilegi doganali,dazioni dirette di finanziamenti a fondo perduto.

Pensi alla Fiat giù al Sud, ecc. Ma anche ilpiccolo e medio imprenditore è un assistito per-chè se il fisco fosse rigoroso nel fare pagare letasse e nel reprimere l’evasione fiscale, addio. In

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effetti il non far pagare a tutti le tasse secondo lalegge è una forma di finanziamento. Quando èstata applicata l’Iva a tutti i piccoli bottegai si èscoperto che il loro reddito era lucro d’imposta.Questa è la situazione per cui probabilmenteuna vera economia di mercato non la vedremomai. L’Italia sarà l’ultimo Paese europeo a conti-nuare a praticare il modello dello Stato assisten-ziale, certe dichiarazioni servono solo a buttarefumo negli occhi alla gente. Ma una vera politicarigorosa non arriveremo mai ad averla.

Non ci arriveremo adesso, ma col tempo...Quando si azzereranno tutte le rendite politi-

che, le paghe protette pubblicamente. Certo at-traverso una grande crisi economico-finanzia-ria... io continuo a pensare che c’è nel nostro av-venire questa nebulosa nera che è la crisi econo-mico-finanziaria.

Mario Segni, un leader annunciato. È partitocon la gamba sinistra e poi, strada facendo, haricuperato l’uso anche dell’altra. Molti però nonsi fidano. Lei cosa ne pensa?

Segni continua a raccontare un sacco di balle.Ha presentato un programma di un’ingenuitàspaventosa e vengono i brividi a pensare chequesta persona potrebbe governarci. Come sipuò promettere di raddrizzare la situazione eco-nomico-finanziaria in due-tre anni?

Per raddrizzare la situazione economica oc-correranno misure dolorosissime che incideran-no su intere categorie di elettori. Segni è ilgrande restauratore della Dc.

Tangentopoli ha dimostrato come funzionavail sistema Italia. Lei che è un attento studiosopotrebbe spiegarci perchè solo ora si è sollevatoil coperchio?

Si sono svegliati i giudici. La magistratura èsempre stata dormiente ed è tuttora in gran par-te dormiente.

Perché è stata dormiente per così tanto tem-po?

Perché era ammanicata col potere politico. Lecarriere, le promozioni, gli affari...

Massoneria, mafia, Chiesa. Un potere immen-so che ha segnato la storia d’Italia. In quale mi-sura?

Di massoneria ne so poco. Non mi ha mai at-tratto lo studio dei fenomeni massonici. Cercodi stare alla larga.

Mafia, sappiamo cosa significa per tutto ilCentro-Sud e adesso anche per il Nord. La Chie-sa ha le infinite baracche di cui vive, io le chia-mo botteghe; alcune sono provvidenziali: certiordini religiosi, le monache negli ospedali, ecc.

sono veramente strutture di carità. Ma oltre aquesti ci sono tali e tanti bottegoni che la Chiesaha messo in piedi e che hanno bisogno dell’aiutodella mano pubblica.

Quando c’è qualche scandalo si dice: “Cher-chez la femme”. Da noi non sarebbe meglio di-re: “Cherchez lo Ior”?

Certo che lo Ior ha fatto una figura penosa,non so come giustificheranno questo.

Loro dicono che non sapevano la provenien-za...

Il processo Cusani sta dimostrando che lo sa-pevano. Del restò non hanno mai giustificatoMarcinkus, Calvi e il Banco Ambrosiano.

Molti politici italiani sono filoarabi. Qual è il“do ut des” della nostra politica verso gli arabi?

Armi contro...? Ora spunta la pista araba an-che nel processo Cusani...

Questa simpatia per gli arabi un po’ deriva dalfatto che l’Italia è un Paese proteso nel Mediter-raneo. È vero che il Nord Italia ha una vocazio-ne per una politica estera danubiana e mitteleu-ropea ma il resto è immerso nel Mediterraneo.Ma poi c’è una specie di vocazione più facile.

Mussolini con la spada dell’Islam, Fanfani, An-dreotti ecc. si sono sempre trovati meglio congli arabi che con gli europei e soprattutto congli americani perché c’è un’analogia di compor-tamento. Con gli arabi è un po’ come trattarecon i siciliani, si intendono meglio.

Da che la Chiesa ha tolto il lucchetto ai votidei cattolici, questi sono stati i più corteggiati.L’unico punto fermo per la Chiesa sembra esse-re l’unità d’Italia e quindi l’unico nemico sietevoi...

Se dovesse passare il federalismo la Chiesad’oltre Tevere si vedrebbe razionati i viveri.

Servizi segreti. Perché, mentre negli altri Pae-si proteggono la comunità, da noi è la comunitàche deve proteggersi da loro?

Io non so fino a che punto siano puliti i servizisegreti degli altri Paesi. Ho l’impressione che iservizi segreti siano, per la loro natura, una cosapoco pulita ma certo che così sporchi...

Lei è stato per molti anni docente di dottrinepolitiche prima di buttarsi nella mischia. Pen-sava di trovare tanta sporcizia?

Guardi, nella mia prolusione del 1964 io giàindicavo certi fenomeni degenerativi ma nonimmaginavo fino a questo punto. Io però sonoossessionato da quello che c’è alla base della pi-ramide. Il fatto che i grandi ladri stiano al verti-ce dipende dalla corruttela che c’è in tutto l’ap-parato, dalla miriade di cittadini che considera

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normale, quando deve fare qualcosa che è vieta-to dalla legge, far correre un po’ di soldi. Unavolta mi hanno chiesto: “Mi scusi, lei consideraquesto un male?”. Certamente, e un male terri-bile perchè di questo passo si distrugge l’ordina-mento giuridico. Certo non immaginavo che lacorruttela avesse questa diffusione però giàtrent’anni fa lo dicevo. Io sono orgoglioso comepuò esserlo un medico di fronte ad una diagnosiazzeccata. È una questione di orgoglio profes-sionale.

Fini ha fatto il bel gesto andando alle FosseArdeatine, poi ha messo a cuccia l’Msi e sta pro-vando con uno schieramento più competitivo.Perché tanti credono al rinnovamento del Pds epochi a quello dell’Msi?

Perché il modello dell’Msi è il modello delladittatura nazionalista e questa ha ancora in Ita-lia dei ricordi molto vivi. Il Pci/Pds invece èquello che gli ho detto prima: una vocazione al-lo Stato assistenziale. Se potessi avere mille lireal mese...

L’unione europea è nata all’insegna del fai date. Per raddrizzare la situazione infatti si sonodovute allentare le briglie; mentre al centro De-lors e compagni continuano a fare proclami larealtà va in tutt’altra direzione. Si farà mail’Europa?

È difficile, anzi penso che non si farà. ABruxelles è prevalsa una concezione che potreb-be essere di impronta romana: l’idea dello Statoburocratico.

Loro pensano all’Europa come a uno Stato so-pranazionale amministrato come amministranoi ministri romani e questo non credo che arri-verà in porto.

L’Europa è vista anche come un antidoto con-tro i rigurgiti di nazionalismo.

Ma dato l’incremento delle destre non è un’af-fermazione un po’ affrettata?

Certo. Io temo molto questo ritorno al nazio-nalismo, agli Stati nazionali.

C’è un’Europa esattamente uguale a quellache ha fatto il conflitto del ‘39 e quello del ’14.

Una costituzione federaleMiglio: a settembre il nuovo testo in Parlamento,

in primavera un referendum popolare

di Stefania Piazzo

Lega Nord, 13 aprile 1994

Il federalismo, ora, è a portata di mano. Il ri-sultato elettorale ci porta vicini a questo ri-sultato, un traguardo “che non avremmo mai

sperato di vedere così prossimo”, ha confessatoa Pontida Gianfranco Miglio, senatore leghistadella Repubblica italiana che, nelle previsionidell’illustre costituzionalista, potrebbe diventa-te entro la primavera prossima già federale!

Miglio ha scandito le tappe di questa ormaivicina conquista: entro settembre potrà esserepresentato e discusso in Parlamento il testo del-la nuova Costituzione federale, sul quale in pri-mavera potrà esprimersi attraverso referendumil popolo italiano. Appuntamenti che, essendovicini, possono sembrare ‘facili’, ma Miglio di-

sillude e invita a serrare la guardia. La batta-glia per la libertà, ha ricordato, sarà irta diostacoli.

“Siamo oggi alla vigilia di una prova impor-tante, abbiamo guadagnato posizioni su posizio-ni, abbiamo sfondato anche con partiti che era-no contro il nostro ideale federale e ci preparia-mo ad un percorso in cui saremo tutti impegna-ti. – ha affermato il sen. Miglio - In pochi mesisottoporremo a referendum un modello di Co-stituzione federale che abbiamo già lanciato adAssago qualche mese fa e che è diventato il pun-to di riferimento per tutte le persone serie”. C’èchi addirittura imperversa “sostenendo che noiprepariamo un colpo di Stato e che altri sono i

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percorsi da quelli da noi richiesti dal Governocostituente - ha ribadito Miglio - Ma coloro chescrivono queste cose, sono loro stessi ad esserefuori alla Costituzione e contro la Costituzione”.

La Lega Nord infatti “ha promesso di restareentro il meccanismo della Costituzione vigentee di arrivare al cambiamento senza modificare estrappare nessuno degli articoli di questa Costi-tuzione. Noi seppelliremo la vecchia Costituzio-ne con tutti gli onori che merita un testo costi-tuzionale. Ma non abbiamo bisogno che nessunoci insegni il rigore della legalità e della legitti-mità”.

Se la strada sarà sgombra, a settembre si po-trà avere già il testo della Costituzione prontoda presentare in Parlamento. Non saranno peròtempi facili, privi di ‘barricate’. “Toglietevi dallatesta che i prossimi mesi siano tranquilli. Do-vremo combattere con gente che sarà pronta an-che a sollevarci contro forse una parte dellepiazze”.

Ma la Lega è salda: la forza popolana da cuinasce il consenso e le garanzie sulla bontà delprogetto permetteranno alla navicella della Le-ga di prendere senza timore il mare aperto delcambiamento. I tentacoli del vecchio regimemorente non intrappoleranno le riforme. Anzi,la partitocrazia ha le ore contate. “Non ho biso-

gno di garantirvi - ha ricordato Miglio - che perquesta prova sono preparato da tempo. Abbiamogià predisposto i meccanismi istituzionali e le-gali per parare una reazione che sarà fortissima,ci sarà un’alleanza contro di noi molto forte.Ma i mezzi per incastrare questa gente e percondurla legata ai nostri piedi sono già pronti.Useremo tutti i modi legali, nel rispetto dellaCostituzione. Arriveremo così a primavera allapossibilità di un referendum popolare che ap-provi la nuova carta costituzionale. La Costitu-zione federale aprirà all’Italia un periodo che lamaggior parte degli italiani neanche possonoimmaginare. Verrà il giorno in cui l’opinionepubblica bacerà la terra sui cui i leghisti hannopoggiato i loro piedi e li ringrazieranno”. L’o-biettivo è dunque vicino, ma occorre dare l’ulti-mo colpo di reni per sfondare il muro delle fal-sità, delle resistenze al cambiamento. La Lega,ha ribadito il sen. Miglio, avrà bisogno dellapresenza, della forza e volontà del popolo leghi-sta come in passato non si è mai verificato:“Preparatevi, mobilitatevi tutti perché questa èun’occasione storica che non si ripresenteràmai più. Quando celebreremo il nostro successosu questi prati di Pontida, la Lega e chi l’ha vis-suta e impersonata, cioè tutti voi, saranno giàpassati alla storia”.

Attenti al demiurgo!Panorama, 16 aprile 1994

Lui personalmente ha i raddoppiato i voti:dai 43 mila del 1992 agli 82 mila del 27marzo scorso. Sarà per quella scorpacciata

di consensi che Gianfranco Miglio, senatore le-ghista di Como e ideologo del federalismo,guarda gli scontri politici con un distacco chegli consente spesso una chiarezza che ha pochieguali.

Domanda. Professor Miglio, davvero non c’èda preoccuparsi per i litigi nel polo moderato?

Risposta. Il problema cruciale è mettere d’ac-cordo il nostro federalismo con i programmi diForza Italia e di Alleanza Nazionale. A furia difare chiacchiere, ci siamo dimenticati che quidobbiamo seppellire la Prima Repubblica e fon-

dare la Seconda. Per farlo, è necessaria unanuova costituzione federalista.

Sì, ma Bossi ha aggredito gli alleati. Ha dettoche Berlusconi è pericoloso per la democrazia...

Sono frasi tipiche della polemica postelettora-le, ma contano relativamente.

Ma per lei Berlusconi è pericoloso o no?In molti credono che questo sia il momento del

demiurgo. Cioè del personaggio che arriva conpoteri speciali, si impone e salva tutti. È un’ideaprofondamente antidemocratica, oltre che crimi-nalmente stupida. Anche la rottura delle trattati-ve con la Lega dimostra che Berlusconi vuole in-carnare quel ruolo demiurgico. Per questo diven-ta ancora più importante la svolta federalista.

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E siccome Berlusconi e Fini non hanno i nu-meri per governare da soli, lei crede che sianoobbligati ad accettare generose dosi di federali-smo. E così?

Io ritengo che, mettendoci intorno a un tavo-lo, dovremmo riuscire a tirare fuori un accordo.

Lei quindi prevede un compromesso.No, attenzione: una costituzione, per essere

funzionale, deve avere un suo disegno unitario.Il fatto che Bossi abbia annunziato consulta-

zioni, al centro e a sinistra, cosa significa?È un fatto altamente democratico. È evidente

che noi, con Forza Italia e An, dovremmo averela maggioranza assoluta. Però è necessario sa-

pere anche quello che pensa l’opposizione. Enon per associarla al lavoro costituente: nessu-no vuole un nuovo consociativismo, ma soloevitare un’opposizione violenta.

Se a destra vi metterete d’accordo, quali for-ze dovranno essere coinvolte nella riforma?

Si vedrà in Parlamento.Il governo costituente ha il diritto e il dovere

di predisporre un suo schema di revisione costi-tuzionale. Bisogna traghettare missini e forzai-talisti sulla riva del federalismo. Se no, non si fail governo.

Ma insomma: il governo si fa o no? Lei primafa l’ottimista, e poi...

Non è ottimismo. Io vedo le strade percorribi-li.

Che poi le forze politiche sappiano percorrer-le, è un altro paio di maniche.

Non c’è da temere che il voto, che ha indicatoun governo moderato, venga stravolto dai giridi valzer della Lega?

Non lo credo. Ma ripeto che quella del federa-lismo non è una contesa da quattro soldi. Quinon si discute di un ministero in più o in meno:il punto è che ci sono molti italiani che ingras-sano sulla Prima Repubblica e avversano lariforma. E qualcuno si nasconde anche tra mis-sini e berlusconiani.

Tra i leghisti, in compenso, si notano perples-sità sulle mosse di Bossi.

Non teme che di frontea tanta confusione l’e-lettorato vi lasci?Non credo. Anche se èv’ero che il grosso degliitaliani è ignaro di comeviene spremuto dalloStato centralizzato.Ma le urla di Bossi nonsono dovute al fatto chela Lega ha dovuto accet-tare un alleato scomodoe ora alza la voce per di-fendere la sua identità?Indubbiamente. ForzaItalia è nata per portarevia elettori alla Lega.L’astuzia di Bossi è stataquella di cercare l’accor-do con Berlusconi, cheera e rimane il suo con-corrente. Per questoBossi oggi deve fare laparte che fa. E i leghisti

più attenti lo hanno capito.Quindi Bossi dovrebbe obbligare Berlusconi a

scendere sui suoi temi per non esserne fagoci-tato...

È naturale. Questa è la lettura vera del feno-meno.

E quante possibilità ha di riuscirci?Se noi non entriamo nella coalizione di go-

verno, la coalizione cade. E allora si va a nuoveelezioni. Ed è molto probabile che stavolta vin-ca la sinistra, quindi Berlusconi perde la suabattaglia. Questo per noi è un elemento di for-za.

E una spinta ad accettare le proposte dellaLega...

Beh, certo.

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Andrò al Governo a occuparmi di riforme so-lo se mi saranno date le garanzie più ampie.Tempi, libertà di manovra, potere di decide-

re. Gianfranco Miglio non si smentisce.Sta vivendo la sua stagione più felice. Final-

mente questo “scienziato della politica”, comeama definirsi, è sul punto di realizzare il suo so-gno: passare dall’attività accademica a quella digoverno, dal disegno a tavolino di un nuovoStato alla realizzazione, a tambur battente assi-cura il professore, del federalismo secondo Mi-glio.

Si diverte, il senatore. Ha sorriso, racconta,sabato scorso al Senato quando si è consumatoper Giovanni Spadolini il dramma della manca-ta rielezione.

Delle trame per allargare la maggioranza,delle manovre per il futuro Governo a guidaberlusconiana lui non se ne occupa.

Continua a preparare la “sua” Costituzionecon i collaboratori della Fondazione Salvadori.Accanto a lui, l’energica signora Miriam, consi-gliera e vigile custode degli impegni del profes-sore.

Come ha visto la votazione al Senato, profes-sore?

Mi sono divertito. È stata una votazione thril-ling. E poi quello Spadolini, che eruttava sudo-re, una cosa veramente spassosa.

Spadolini accusa: siamo all’imbarbarimentodella politica.

Lo dice solo perché non è stato eletto lui.Che ne pensa del ruolo dei senatori a vita?Con la nuova Costituzione federale li abolire-

mo. Non hanno il suffragio del popolo, anzi lospostano, lo falsano.

L’ex presidente del Senato ammette l’esigenzadi una riforma della Costituzione, ma ne teme

una sovversione o uno stravolgimento. E a que-sto punto cita Dossetti e il suo “guai ai golpecontro la Costituzione”.

Dossetti. Siccome l’unica cosa che ha fatto invita sua è stato partecipare con memorabili di-scorsi alla Costituente, è uno di quelli come Eliache dicono: il mio capolavoro non si tocca.

Allora imporre il federalismo all’Italia non sa-rebbe un golpe?

Ma per carità. Tutta la sinistra naturalmente sibarrica dietro una Costituzione che non esiste.L’articolo 138 spiega semplicemente: i cambia-menti della Costituzione si fanno con questaprocedura. Vede, in Italia non c’è mai stata unatradizione di assemblea costituente. Nel ’46,quando abbiamo votato, era opzionale. Quellache si è votata poteva essere una Costituente oun’ordinaria Camera dei deputati. In caso di vit-toria della monarchia, sarebbe restata una Ca-mera. In caso di sì alla repubblica, una Costi-tuente. Significa che l’alternativa tra le due isti-tuzioni era totale. Non c’era l’idea di una costi-tuente da fare con l’annuncio delle trombe comese fosse il giudizio universale. E i “padri” dellaCostituzione non pensavano affatto ad altri co-stituenti. Hanno scritto: se la Carta si vuol cam-biare, si adottino queste regole.

L’Union Valdòtaine ha presentato un progettodi Costituzione federale.

Lo conosco, è un federalismo di tipo tradizio-nale e molto all’acqua di rose e non recepiscetutto il pensiero della dottrina neofederalista.

Lei quando presenterà il suo progetto?Io non presento nulla. Toccherà al Governo

costituente far elaborare da un suo organo undisegno di Costituzione federale e depositarlo inParlamento.

Ma la “Sua” Costituzione?

Miglio: datemi il potere, farò la nuova Costituzione

Il politologo leghista chiede libertà di manovra per attuare da posizioni di Governo le riforme federaliste

di Flavia Baldi

Il Giorno, 19 aprile 1994

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Va avanti. Ma può darsi che si sovrappongacon il lavoro governativo. Si parte comunquedai dieci punti di Assago, poi sviluppati. Una ve-ra Costituzione.

Lei farà il ministro delle Riforme?Dipende dalle garanzie che mi daranno. Sulla

commissione, se sarà o meno di mia nomina, sepotrò cacciar via chi va in giro a parlare, a rac-contare. Bisognerà lavorare senza interferenze,esattamente il contrario di quello che ha fatto laBicamerale, che era una specie di enorme sala diattesa di una stazione, in cui tutti andavano evenivano.

I tempi?Se divento ministro, in tre mesi, per settem-

bre, deposito un progetto organico dell’ossaturaprincipale della Costituzione. Poi nei due annisuccessivi si fa tutto il resto. Tutte le istituzioniche vanno corrette e cambiate, dal Consiglio su-periore della magistratura alla Corte costituzio-nale allargata e via dicendo.

Lei crede ancora alle tre macroregioni?Naturalmente. È un discorso molto complesso

rifiutato da chi non vuole il federalismo.Le riforme della nuova maggioranza non sa-

ranno bloccate al Senato?Non credo. Ormai i voti sono in arrivo dai po-

polari, alla spicciolata. Penso comunque chequando il mio progetto, se sarà quello, verràpresentato, riuscirò a convincere una quantitàdi persone, di singoli parlamentari e di gruppi,che tutto sommato il federalismo giova. È un si-stema in cui tutti trovano la loro biada.

Cos’è per lei il 25 aprile?Il mio 25 aprile fu una bella giornata. Io ave-

vo fatto la resistenza urbana tra Como e Milano.Facevo parte del gruppo dei federalisti cattolicicisalpino, guidato da Tommaso Zerbi, e poi delgruppo Mentasti, in cui c’era Mario Melloni, ilfuturo Fortebraccio. Una giornata allegra, an-che se mi facevano pena questi fascisti, questeausiliarie che venivano maltrattate. La cosa chemi faceva ridere di più era la gente, fino al gior-no prima ossequiente al fascismo, che s’eramessa il fazzoletto rosso attorno al collo, unostemma del Cln e via, erano tutti diventati resi-stenti.

Andò in piazzale Loreto?No, sapevo che era uno spettacolo sconcio.

Anche se nella storia ci sono stati molti momen-ti in cui la furia popolare ha avuto bisogno diqueste manifestazioni.

Perché quest’anno tante polemiche sul 25aprile?

Perché i vinti lo strumentalizzano e dicono:blocchiamo questa maggioranza che i cittadinihanno voluto. Siamo vissuti per quarant’anni inun regime consociativo. Tutti al potere.

Ora, metà della classe politica va a casa, gli al-tri governano. E c’è chi non riesce ad abituarsi.Allora tirano fuori che si attenta alla Costituzio-ne, che c’è il pericolo di golpe, che bisogna ri-chiamarsi alla grande tradizione della Resisten-za e del 25 aprile, il che va benissimo perché inquel giorno si celebra la lotta per la libertà indi-viduale contro un regime che la libertà indivi-duale non la tollerava.

E allora?Tutto quello che però è stato il contorno di

natura materiale e politica, le vendette personaliper esempio, va dimenticato.

Non c’è il pericolo di non ricordare?Il Paese la memoria ce l’ha corta. D’altra par-

te, dimenticarsi del passato e inventare l’avveni-re è molto più bello.

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Io non sono diventato ministro per le Riformeistituzionali a causa del veto del Quirinale,ma sono matematicamente sicuro che Scalfa-

ro non terminerà il suo mandato di Presidentedella Repubblica, a causa della storia del Sisde,spara il professor Gianfranco Miglio, senatoredella Repubblica, politologo insigne, che ag-giunge: Auguro buona fortuna al mio amicoFrancesco Speroni, ma non posso accogliere ilsuo invito a collaborare con lui. Il suo ministeroè, e rimarrà, una scatola vuota.

E il professore ci tiene a lanciare un messag-gio alla base leghista, colpita dalla sua clamo-rosa rottura con il leader del Carroccio: Nellaimpossibilità materiale di rispondere alla valan-ga di messaggi di solidarietà che mi sono arriva-ti e mi stanno arrivando da leghisti e da cittadinidi ogni estrazione, raccomando a tutti di non la-sciare la Lega, ma di battersi al suo interno perliberarla dalla prepotenza e dall’ignoranza diUmberto Bossi.

Professor Miglio, lei ha accertato che il vetosul ministero nei suoi confronti è stato postoproprio dal Colle più alto, il Quirinale?

Sì, ne ho la prova, una prova inconfutabile.Avevo certamente previsto che mi sarei imbattu-to nell’opposizione di Scalfaro, ma rimprovero aBossi di avermi tenuto all’oscuro e di aver nego-ziato, alle mie spalle, col Presidente.

Scalfaro avrà certamente visto in lei, autoredella Costituzione di Assago, un avversario del-l’unità d’Italia.

Ma io lo aspetto al varco. E quando dovrà farele valigie, vuoterò il sacco. Sono certo che lamagistratura farà il suo mestiere.

L’articolo 92 della Costituzione consente al Pre-sidente di porre dei veti nei confronti dei candida-ti-ministri prescelti dal presidente del Consiglio?

Se qualcuno ha dei conti aperti con la giusti-zia, il Presidente può rifiutarsi di firmare la no-mina di un ministro, ma che io sappia questo, intempi recenti, è avvenuto solo nella vicenda diTangentopoli. Nel mio caso, un veto del generecostituisce un abuso. Io sono un vecchio profes-sore di 76 anni, e non credo di rappresentare unpericolo pubblico.

Scalfaro, a quanto si dice, aveva osteggiatoanche Maroni ministro dell’Interno, ma Berlu-sconi ha tenuto duro. Nel suo caso, invece, ilCavaliere ha dovuto cedere. Perché?

Bossi ha accettato perché gli faceva comodo.Per lui il federalismo è solo un grimaldello perarrivare al potere. E poi io, nella Lega, gli facevoombra. Purtroppo, questo Parlamento non faràfare nessun passo avanti alla causa federale. Spe-roni è una bravissima persona, ma mi ha confes-sato che in quel ministero delle riforme non sanemmeno da che parte cominciare. Bossi conti-nua a dare la colpa a Fini e a Berlusconi, i qualimi hanno provato in maniera inconfutabile cheloro non hanno messo alcun veto. Infatti il vetol’ha posto Scalfaro.

Come mai?Le origini della mia ruggine con Oscar sono

lontane. Io e Scalfaro siamo coetanei ed eravamocompagni di scuola, alla facoltà di legge della Cat-tolica di Milano. Ma, già allora, legavamo poco efrequentavamo compagnie completamente diver-se. E poi Scalfaro non ha mai perdonato a me ealla Lega di non averlo votato, per il Quirinale,nel 1992, Perché sino all’ultimo momento spera-vamo di riconfermare Cossiga. E Oscar se l’è lega-ta al dito. Ma adesso, con la storia del Sisde, il set-tennato non lo porta certo a termine.

Il nuovo ministro dell’Interno, il leghista Ro-berto Maroni, si è già impegnato a consegnare

“Scalfaro mi ha fermato,farà le valigie”

Il professore, che invita i leghisti a combattere Bossi, spiega le sue ruggini con il Colle e il veto al ministero

di Gianfranco Ballardin

Corriere della Sera, 22 maggio 1994

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alla magistratura tutto quello che troverà negliarmadi del Viminale, e in quelli del Sisde.

Se non lo facesse rischierebbe di essere incri-minato. Oramai la macchina della giustizia si èfinalmente messa in moto, come è giusto chesia, mentre prima era ingessata, era bloccata dalpotere politico.

Secondo lei il centralismo e lo statalismo deipost-fascisti di Fini è conciliabile col federali-smo della Lega?

No, non è conciliabile, e questo costituisce unodei talloni d’Achille del nuovo governo. C’è uncontrasto di fondo tra le tesi economiche deineofascisti e l’economia di mercato predicata daBerlusconi, e lo stesso contrasto esiste tra la vi-sione dello Stato dei neofascisti e quella dei fede-ralisti. Io, in un modo o nell’altro, sarei riuscitoa mettere a punto un progetto di costituzione fe-

derale che prevedesse l’elezione diretta del pre-mier, come ho spiegato a Berlusconi e a Fini.

Ma Fini è ancora fascista?Secondo me non lo è mai stato.Il Pds, secondo Lei, è pronto ad accettare il fe-

deralismo.Ne ho parlato con Salvi, con Cacciari, con

Tronti (che però è un centralista), ma sono an-cora molto condizionati dal loro passato centra-lista.

Una previsione: quanto durerà il Berlusconi?Questo governo non riuscirà a governare, per-

ché per ogni provvedimento di legge dovrà pas-sare sotto le forche caudine del Senato (dove lamaggioranza è in minoranza) .

Con Bossi è finita, per sempre?Quando rompo i ponti con una persona che

mi ha deluso, non torno mai indietro.

Bossi è come un topo in trappola e Berlusconilo schiaccerà. Gianfranco Miglio se la godeun mondo questa nuova bufera piovuta sul

capo del suo nemico per la pelle Umberto Bossi.Mi fa persino un po’ pena - dice gelido - vedereche cerca disperatamente una via d’uscita senzasuccesso. Anche se io non sono facile a questo ti-po di sentimenti....

Insomma, lei non ce lo vede Bossi come leaderche capeggia l’opposizione a Berlusconi?

Ma figuriamoci! È solo l’ennesima ricerca di unbuco per sfuggire alla trappola di Berlusconi. Maovunque vada oggi Bossi trova la strada sbarrata.È in trappola. Berlusconi ha bisogno dell’elettora-to della Lega e l’avrà senza troppi problemi. Sitratta solo di aspettare le prossime elezioni politi-che, che vedo molto, molto vicine.

Pura previsione di teorico o ha in mano qual-che elemento preciso?

Ho saputo che questa è l’opinione di autorevoliosservatori e di esponenti di Forza Italia. Le elezio-ni politiche potrebbero essere abbinate alle ammi-nistrative del ‘95 o anche tenersi prima, in autun-no. Bossi se ne starà buono buono, per evitare loscontro, ma è il Cavaliere che le vuole perché que-sto è il suo momento. Il momento giusto per libe-rarsi di Bossi. Io l’ho sempre detto: o Bossi distrug-gerà Berlusconi o Berlusconi distruggerà Bossi. Evisto come sono andate le cose finora... La mia ideaè che Berlusconi continuerà a crescere in modotravolgente. Arriverà oltre il 40 per cento.

Insomma, secondo lei la Lega è destinata asparire in quattro e quattr’otto?

Mah, forse rimarrà qualcosa. Al Carroccio re-sterà sì e no un 3-4 per cento di elettorato, il vec-chio nocciolo dei duri e puri delle valli.

Almeno quelli potrebbero seguire Bossi, sesvoltasse decisamente a sinistra?

Il professore spara a zero contro il senatur e parla delle sue prossime alleanze

Miglio: “Bossi è in trappola”di Stefano Caviglia

L’Indipendente, 16 giugno 1994

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Penso proprio di no. Anzi, sono convinto checomunque vada non sarà Bossi a guidare la Legain futuro. Non ha visto come già Maroni, For-mentini e altri, prendono le distanze?

Hanno capito che Bossi non dura.Già vede qualcuno in grado di soffiare il posto

al capo?Ce ne sono due o tre, fra i colonnelli, ma i no-

mi non li faccio perché se no Bossi li manda adaccoltellare.

E se la Lega sparisce o si riduce al 3 per centoche ne sarà del suo amato federalismo? Chi lorealizzerà?

Ma che domande! Berlusconi. il presidente delConsiglio sta comprendendo già ora che non puòandare avanti senza cambiare le regole del gioco.La sua proposta di elezione diretta del premier, adesempio, ha bisogno di un contrappeso in sensofederale.

A controllare un premier eletto dal popolo nondovranno essere le Camere ma i poteri delle re-pubbliche. Ricordate la bozza di Costituzione diAssago, quella che Bossi smentì il giorno dopocon un articolo sul Sole 24 ore in cui diceva cheera una provocazione? In autunno la presenterònella stesura completa.

Ne ha già parlato con il presidente del Consi-glio?

Con Berlusconi mi trovo in grande sintonia.Ora non posso rivelare i contenuti dei nostricolloqui. Ma posso dire che lui è interessatissi-mo al federalismo. Ci sta arrivando.

E gli “indipendentisti” della Lega? Anche conloro dovrebbe essere in sintonia...

E perché? Guardi che quel Boso, quello che do-vrebbe capeggiare l’ala indipendentista della Legaio lo conosco bene. È un carabiniere, uno che ese-gue degli ordini. È una cosa tutta interna, fatta inaccordo con Bossi. E poi il problema del federali-smo non si risolve con i valligiani. Bisogna con-quistare le città del Nord. In questo la Lega ha fal-lito e per questo è stata sconfitta. Nei mesi scorsi,mentre Bossi faceva le sue sparate io registravo lesconfitte del movimento e pensavo....

Perché non se n’è andato prima, allora? Per tutti quei giovani della Lega che venivano

da me a chiedermi di restare, di partecipare alleelezioni con il Carroccio. Non volevo fare la par-te del teorico gelido che non sente emozioni. Maper queste cose deve avere un po’ di pazienza easpettare il mio libro su Bossi e la Lega, che escea luglio. Una storia tristissima e appassionante.

“Il senatur per il potere si vestirebbe da donna”

di Mario Tortello

La Stampa, 10 agosto 1994

Dilettanti, dilettanti della politica; così faran-no poca strada. Dissente, Gianfranco Miglio,76 anni, già preside alla Cattolica di Milano,

già ideologo della Lega Nord, ora senatore dissi-dente del Carroccio, dopo che Bossi ha imbarca-to i suoi nel governo Berlusconi e “ha voltato lespalle al vero federalismo”. Dà battaglia e an-nuncia l’uscita del suo ultimo pamphlet: Io, laLega e Bossi; appuntamento tra 15 giorni; per gliOscar Mondadori. Capirete di che pasta è fattaquell’uomo.

Dilettanti, chi? Bossi, Berlusconi o i nuovi mi-nistri?

Bossi cerca solo il consenso; i riconoscimentidel potere. Se qualcuno gli dicesse che, travestitoda donna, riuscirebbe ad arrivare prima nellestanze dei bottoni, correrebbe subito ad infilarsila gonna e a darsi il belletto...

Eppure, la base del Carroccio sembra apprez-zare l’abilità di Bossi nello stare con un piede nelgoverno e con l’altro dare calci al Cavaliere:mantiene vivo lo “specifico” leghista...

Macché specifico leghista. La verità è che ilBossi non ha un programma. E i suoi ministrisiedono al governo senza un disegno unitario.Stanno lì; e, quando si svegliano, reagiscono co-

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me ha fatto Maroni. Ma in questo modo, Bossinon è il leader d’una forza politica che intendetraghettare il Paese fuori dalla crisi. È solo il capo-popolo di un movimento di protesta.

Parla di economia liberista, e poi dice: “Non toc-chiamo le pensioni”. E allora: addio menghina...

Per la verità, è anche un po’ l’idea di Berlusconi:far star bene tutti e riuscire nello stesso tempo aportare l’Italia fuori dalle difficoltà.

Eppure, quando siete andati alle elezioni insie-me, la Lega un programma preciso ce l’aveva: l’I-talia federale.

Ma Bossi l’ha gettato alle ortiche. Adesso, cercatante vie d’uscita e non le trova. Il partito non èmai stato così in disordine. Non passa giorno sen-za che qualche gruppo mi telefoni o mi mandi unfax per annunciare che si è staccato dalla Lega,dando vita a qualchealtra struttura. Bossiè un furbacchione:non va a parlare dovesa d’essere contesta-to. Va in giro nelle se-zioni dove si sentetranquillo...

A dire che la Legariuscirà a costruire il“faro dei democrati-ci” da contrapporre aquello conservatoregià alle prossime am-ministrative...

Frottole, tutte frottole. Il polo liberaldemocrati-co... Se Bossi punta all’abbraccio con il Pds sta fre-sco. Si squaglia come neve al sole, la Lega. Il gros-so del Carroccio non è disponibile a sistemarsi al-l’ombra della Quercia. Adesso, ad agitare le acque,si sono messi anche Buttiglione e D’Alema, col lo-ro “patto di Gallipoli”; era naturale che cercasserodi avvicinarsi, ma gli stanno dando molto fastidio.

E Mariotto Segni?Per adesso, è solo un frammento dello schiera-

mento che affolla il Centro. È out. Non vedo unocapace di traghettare l’Italia fuori dalla crisi. Ameno che non venga fuori un liberaldemocraticocome Amato o Ciampi. Ma, con le elezioni di mar-zo, siamo entrati nel tunnel e ci resteremo per al-meno due anni.

È il deserto dei tartari; all’orizzonte non si in-travvede nessuno. Gli unici capaci di coagularel’esperienza tecnico-politica del potere, gli ammi-nistratori regionali, sono tagliati fuori. In unastruttura di Stato cantonale potrebbero dare ungrosso contributo, ma nessuno ne parla più.

Dunque, Miglio non ha fiducia nemmeno inBerlusconi.

Vede, Tangentopoli ha spazzato via un’interaclasse politica. Non ha potuto produrre le nuoveleve del potere. Sono rimasti in piedi alcuni capidella vecchia Dc (e li hanno piazzati ancora al go-verno), mentre i “nuovi” sono in buona parteignari della politica. I leader di Forza Italia nonconoscono l’arte del governo; non sanno come siaffrontano i problemi. E in politica il dilettanti-smo è fatale. È una conseguenza della decapitazio-ne della partitocrazia.

Al governo non ci sono solo gli “azzurri” di Sil-vio Berlusconi.

Il ragionamento vale per tutti. Anche per gli an-tichi amici della Lega. Pagliarini impara adessoche cos’è il bilancio dello Stato. Col passar del

tempo diventerannoesperti. Intanto, lacosa pubblica restaterra di nessuno.Perché, ognuno deiministri ha grandicompetenze nel suosettore, ma è analfa-beta dal punto di vi-sta della gestione deiproblemi politici.Lei spiega in questomodo gli scivolonidel governo?Tutti i provvedi-

menti avevano elementi positivi, in partenza.Poi, si sono mescolati a ingenuità e a interessiparticolari.

Anche gli spot Tv di Palazzo Chigi erano inge-nui?

Ma come si può dire: “Fatto”; far credere che ilgoverno ha la bacchetta magica, risolve i proble-mi.

È infantilismo. Il governo deve presentarsi nonallegro. Far capire alla gente che c’è tutt’altro cheda sorridere. Basta guardare in faccia il ministroDini...

Indro Montanelli sostiene che gli italiani sonouna brutta razza. Cercano un padrone e rischia-no di trovarsi sulla groppa il Cavaliere.

Montanelli ha ragione. Ma a metà. Sì, gli italianiaspettano il demiurgo. Ma se Berlusconi tentassedi diventarlo, le istituzioni sono forti e glielo im-pedirebbero.

Poi, non credo che il Cavaliere punti a questo.Forse, lo pensa qualche suo scriteriato collabora-tore. Ma non è un pericolo.

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Professore, allora cosa manda a dire a Bossiil giorno dopo: rientra o non rientra nellaLega?

Non rientro, anzi non entro, conferma il se-natore Gianfranco Miglio, che nella Lega è sta-to sempre “da indipendente”.

Ma il povero Bossi dice che senza di lei non sipuò scrivere una Costituzione federale.

Al povero Bossi della Costituzione federalenon importa niente. A lui importa solo che iostia nella Lega perché, se sto fuori, faccio da ca-lamita per tutti quei leghisti che si sono stancatidi lui ma non vogliono entrare, per coerenza, néin Forza Italia né in Alleanza nazionale.

Quando cominciò la rottura con Bossi?Due giorni dopo l’assemblea di Assago, del di-

cembre scorso, quando presentai a tremila le-ghisti, che l’approvarono, il mio breviario di Co-stituzione federale. Due giorni dopo Bossi scris-se un articolo sul Sole-24 Ore sconfessando quelprogetto. Da allora, ognuno per la sua strada.

La sua dove porta, a Fini, a Berlusconi?È presto per dirlo. Di sicuro so che porta al fe-

deralismo. Strada difficile, intendiamoci, perchéscarsamente frequentata.

In che senso?Nel senso - e qui ha veramente ragione Bossi -

che molti parlano di federalismo ma pochi lo vo-gliono, anche nell’attuale quadro politico.

Perciò lei è tornato a riagitare il fantasma diuna molto fantasiosa secessione?

Perciò io ho detto a Bossi: ritirati per due annisotto la tenda, lascia a me, e ad altri federalisticonvinti, dovunque essi siano, di tentare il saltoverso la Repubblica federale; e se noi falliamo perle vie parlamentari, bisognerà tornare alla minac-cia della secessione del Nord. E sarà la volta degliagitatori di piazza. Il momento di Bossi.

Strano. Lei dice che Bossi servirebbe addirit-tura per capeggiare domani la secessione e ogginon gli fregherebbe niente del federalismo.

Posso farle una confidenza?Me la faccia, io gliela pubblico.Berlusconi non è interessato granché al fede-

ralismo. Ma ha detto a Bossi: mi sono fatto com-prare un sacco di libri sul federalismo, adessochiedo aiuto a Miglio e una bozza di Costituzio-ne federale la presento io. Cosi si accapigliano.

Allegria. E Fini?Sarà lui il primo presidente della Repubblica

federale presidenziale cosi com’io la immagino.Credo infatti che, nel confronto elettorale diret-to con Berlusconi, è Fini quello che prende piùvoti.

E perché?Proprio perché non è l’uomo della Provviden-

za. Come lei sa, io mi sono battuto sempre perdare poteri forti all’esecutivo, a tutti i livelli digoverno: federale, cantonale, regionale, comu-nale. Ma il rischio del governo forte, in Italia, èquello di infeudarlo all’uomo della Provvidenza.

Lo dice a me?Ma non possiamo neanche restare al governo

parlamentare. Ora Fini ha la fortuna di esseresoft, dolce, insomma non somiglia a Mussolini,e nemmeno a Craxi. Perciò sarebbe l’uomo diuna Provvidenza non guerriera. Se lui vincesseoggi, tuttavia, con l’attuale cultura di Alleanzanazionale ci ritroveremmo fuori dell’Europa. Midicono che stia tentando di introdurre elementidi federalismo nel suo programma presidenzia-le. Ed io credo di potergli offrire un modello dipresidenzialismo democratico moderno: né ar-caico, come quello americano, né contorto, co-me quello francese.

Qual è questo modello?Io lo chiamo del presidente vincolato.Cioè?Non può fare tutto quello che vuole.Come Eltsin.Ma neanche Eltsin può fare quel che vuole,

checché creda Berlusconi. Alle soglie del Due-

Miglio: ecco la mia RepubblicaCome sarà la costituzione federale? Il senatore ex lumbard illustra

in anteprima il progetto che proporrà al Parlamento

di Federico Orlando

La Voce, 25 ottobre 1994

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mila, noi perseguiamo istituzioni con poteri for-ti, non poteri personali forti. Neanche se si fer-mano a quelli, già eccessivi, di Mitterrand.

È musica per orecchie liberali. Vogliamo leg-gerlo un po’ questo spartito?

Può sembrare complesso, ma è semplice.Cominciamo col rimettere la piramide a posto.Dall’ordinamento sul territorio fino al capo

dello Stato federale?Esattamente cosi. Dunque, l’Italia dev’essere

una federazione composta di 3 Cantoni (il Nord,il Centro, il Sud, ciascuno con le sue attuali re-gioni) e delle attuali 5 regioni a statuto speciale.Il popolo di ciascun Cantone elegge il suo gover-natore ed i presidenti delle regioni del Cantone.Prendiamo il Nord: tutto il popolo del Nordelegge il governatore del Cantone, il quale go-verna con l’assistenza dei presidenti delle regio-ni del Cantone, e cioè Piemonte, Liguria, Lom-bardia; Veneto ed Emilia Romagna.

Questo modello si trasferirebbe a livello na-zionale?

A livello nazionale non avremmo più un presi-dente della Repubblica e un presidente del Con-siglio, ma un unico presidente della Federazioneche eserciterebbe non più funzioni di garanzia,come attualmente fa Scalfaro, ma funzioni digoverno, come attualmente fa Berlusconi...

E le funzioni di garanzia?Le eserciterebbe la Corte costituzionale, depo-

liticizzata.Torniamo al presidente della Federazione.Sarebbe eletto direttamente da tutti i cittadini

della Federazione (mentre oggi sia Scalfaro cheBerlusconi sono eletti dal Parlamento).

Eserciterebbe, come Clinton in America, fun-zioni di capo del potere esecutivo. Il suo gover-no non sarebbe più costituito da ministri trattiprevalentemente dal Parlamento, come oggi, madai governatori dei 3 Cantoni e da un presidente(a rotazione) di una delle 5 regioni a statuto spe-ciale. Questa giunta di cinque persone, cheprende il posto dell’attuale governo, la chiamodirettorio, e si servirebbe di segretari di Stato.

Non sono poche cinque persone, per governa-re un Paese di 56 milioni di abitanti?

No, perché le funzioni dell’esecutivo federalesono ridotte alla politica estera, alla difesa, allamoneta e all’alta amministrazione della giusti-zia. Tutto il resto è competenza dei Cantoni, del-le regioni e dei comuni.

Rende conto al Parlamento l’esecutivo federa-le? E come è fatto il nuovo Parlamento?

A differenza di Scalfaro, il presidente della Re-

pubblica federale, proprio perché esercita diret-tamente il potere di governo, non ha più quellodi sciogliere il Parlamento. Tale potere passa alpresidente della Corte costituzionale, eletto daigiudici della Corte. Quanto al Parlamento, restala sua attuale struttura bicamerale, ma radical-mente rinnovata: una camera politica e una le-gislativa.

Ce la racconti.C’è l’Assemblea federale, che è l’assemblea po-

litica federale in senso pieno, costituita dalleDiete dei tre Cantoni (300 persone) e da 60membri delle cinque assemblee delle regionispeciali. L’Assemblea federale può, con una mag-gioranza qualificata dei suoi componenti, depor-re il presidente della Federazione, però deveproporre agli elettori un successore, sicché glielettori possano scegliere tra il presidente depo-sto e il candidato proposto dall’ Assemblea.

E l’altra Camera?È il Senato, la camera legislativa, composta di

200 membri eletti da tutti gli italiani con crite-rio rigorosamente proporzionale. Essa fa le leggisulle materie dei diritti e dei doveri, elencatinella prima parte dell’attuale Costituzione, non-ché sulle materie che può delegarle l’Assembleafederale.

Così, fra Corte costituzionale che può scio-gliere il Parlamento, Parlamento che può de-porre il capo dello Stato, popolo che può sce-gliere tra capo deposto e capo proposto, eccete-ra eccetera, si crea un sistema di garanzie e dicontropoteri che dovrebbero impedire al presi-denzialismo all’italiana di diventare l’anticame-ra del regime autoritario.

Sono i mussoliniani a volere l’uomo che pren-da tutti i poteri in mano, che pensi a tutto.

A Fini che dice “Niente federalismo senza pre-sidenzialismo” io voglio far digerire le garanzieantipresidenziali del presidenzialismo. Se qual-cuno pensa a un presidente non condizionatodalle garanzie, non pensi di collaborare con me.

Ma non le sembra che un sistema di pochi se-gretari di Stato nominati da un direttorio di quat-tro persone che affìancano un presidente plebisci-tario, e un Parlamento anch’esso a ranghi ristret-ti costituiscano un sistema oligarchico?

In verità, io tendo in primo luogo a una con-centrazione della durata del potere: sia la legi-slatura che il presidente federale durano 4 anni,nessuno può fare più di tre legislature (12 anni),il presidente non può essere eletto più di duevolte (8 anni) e poi va a fare il Cincinnato, senzapossibilità di accedere ad alcuna carica politica.

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Così si accelera il ricambio della classe politica.Anche ai livelli cantonale e regionale?Va da sé!Le regioni restano quelle attuali, come vor-

rebbero gli italiani secondo l’indagine Censis?Sì, le cinque a statuto speciale (Sicilia, Sarde-

gna, Val d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trenti-no-Alto Adige) e le altre quindici nei tre Canto-ni: Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto edEmilia Romagna nel Cantone Nord; Toscana,Umbria, Lazio, Marche, Abruzzo e Molise nelCantone Centro; Campania, Puglia, Basilicata eCalabria nel Cantone Sud.

La Fondazione Agnelli, invece, ha progettatodieci o dodici grandi regioni costruite su criterieconomici.

Così l’Avvocato potrà andare a sciare a Cour-mayeur senza rendere omaggio al presidentevaldostano; e l’Alto Adige incorporato nel Trive-neto farà scoppiare un caso internazionale conl’Austria che perderemo clamorosamente.

Quando presenterà il suo progetto di Costitu-zione?

A dicembre, nel primo anniversario del brevia-rio di Assago.

Ma alla gente interesserà davvero il federali-smo, con o senza presidenzialismo?

La gente deve capire che non risolverà i suoiproblemi - né quelli delle tasse che paga néquelli della spesa che riceve - se tutte le struttu-re dell’amministrazione statuale, a tutti i livelli,non saranno responsabilizzate, così come av-verrebbe in un ordinamento federale, dove ap-punto i comuni, le regioni, i Cantoni e la Fede-razione avrebbero compiti nuovi, poteri incisivi,e anche una responsabilità immediata che nonconsentirebbe più l’allegra finanza e la spesaimproduttiva.

C’è uno spazio, nello Stato federale, per la so-lidarietà?

Una solidarietà responsabilizzante. In altre pa-role, diremo alle popolazioni, per esempio delMezzogiorno: avrete questi contributi per le in-frastrutture civili, ma avranno carattere decre-scente. Se perdete tempo e denaro, non ci saràun bis. Perciò impegnatevi a crescere, liberan-dovi da vecchi costumi e condizionamenti am-bientali.

Altrimenti?Altrimenti gli altri non ci stanno.

Un federalismo fortedi Marco Sabella

Quale Federalismo? Firenze: Vallecchi, 1994

La base delle Costituzioni autenticamente fe-derali è rappresentata, secondo GianfrancoMiglio, da un dualismo tra potere centrale e

potere sul territorio. Nei sistemi federali il pote-re è diviso stabilmente in modo che “nessun or-gano del potere centrale possa mai recuperare ipoteri che spettano ai poteri territoriali”. Il mo-dello costituzionale che discende da queste pre-messe è radicale come le posizioni di principioda cui trae origine.

L’autonomia e la sovranità degli Stati, o Can-toni, che compongono l’unione è inviolabile; lalogica contrattualistica prevede il negoziato co-me unica forma di risoluzione dei conflitti.Inoltre, poiché il “contratto” è considerato ilcardine di una Costituzione federale, Miglio

ammette il “diritto di secessione”: “la secessioneè il fondamento della Costituzione federale. Do-ve non si riesce a fondare una struttura federaleallora scatta il diritto di andarsene e di stare conchi si vuole”.

Gianfranco Miglio è nato a Como nel 1918 dauna famiglia di antichissime origini comasche.Laureato in Giurisprudenza, è Professore diScienza della Politica dal ‘56 e per trent’anni èstato Preside della Facoltà di Scienze Politichedell’Università Cattolica di Milano.

Dal 1964 si occupa dei problemi dello Statomoderno in generale e del sistema politico ita-liano in particolare e nel 1968 fu chiamato aprogettare e guidare la riforma delle Facoltà diScienze Politiche italiane. Dal 1980 al 1983 ha

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diretto i lavori del “Gruppo di Milano”, che stu-diò e propose un organico progetto di riformadella Costituzione italiana. È Senatore della Re-pubblica.

Tra le sue pubblicazioni più recenti figurano:Una Repubblica migliore per gli italiani, 1983;Le regolarità della politica, 1988; Per un’Italia“federale”, 1990; Io, Bossi e la Lega. Diario se-greto dei miei quattro anni sul Carroccio, 1994.

Professor Miglio, vorrei innanzitutto chieder-le come considera l’attuale impostazione del di-battito sul federalismo in Italia. Spesso si hal’impressione che la discussione sul federalismonon abbia ancora trovato il tono giusto e conti-nui ad oscillare tra un livello accademico, ac-cessibile a pochi specialisti, è una polemica po-litica spicciola, fatta più di slogan che di argo-menti e di progetti concretamente realizzabili.

Non è facile costruire un sistema costituzio-nale federale in un paese che non ha assoluta-mente cultura federale. E noi sappiamo quali so-no le ragioni. In Italia la cultura unitaria è stataimposta prima dai corifei della monarchia, poisotto il fascismo e poi durante il dominio dellaDemocrazia Cristiana. Un giovane che si occu-passe di Diritto Pubblico e facesse ricerche sulleCostituzioni federali era certo di non vinceremai più il concorso universitario. La tipica obie-zione era: “ma per carità che bisogno abbiamonoi di studiare queste forme costituzionali im-perfette”. Ecco il mito dello Stato unitario.

Ancora adesso si sente spesso parlare della ne-cessità di introdurre “una Costituzione regiona-le ai limiti del federalismo...” Un corno! Il fede-ralismo è come la verginità. Una Costituzione oè federale o non lo è, non ci sono vie di mezzo.Manca, in sostanza, un’idea chiara di cosa siauna Costituzione federale.

A questo bisogna aggiungere che spesso le Co-stituzioni cosiddette federali sono in realtàpseudo-federali quando non esattamente il con-trario di ciò che dovrebbe essere una Costituzio-ne federale.

Il federalismo tedesco, per esempio, è un fede-ralismo fasullo e io non collocherei la Costitu-zione tedesca tra quelle federali. Autenticamen-te federali sono invece la Costituzione australia-na, americana e svizzera.

Perché non considera la Costituzione tedescauna Costituzione federale?

Perché il modello tedesco è un federalismo diesecuzione. In altri termini le decisioni sonoprese da un’autorità centrale e ai Länder è la-sciato il compito di eseguire le decisioni prese al

centro. Quindi i Länder non hanno un vero po-tere decisionale e manca un tratto essenzialeche invece appartiene a tutte le Costituzioni au-tenticamente federali: il dualismo nelle decisio-ni. Tutte le Costituzioni federali sono basate suldualismo tra un potere centrale e un potere sulterritorio. Una Costituzione federale si fondasempre, come dicono gli americani, su di unoshared power, cioè su di un potere diviso sulterritorio, e diviso stabilmente, in modo chenessun organo del potere centrale possa mai re-cuperare i poteri che spettano ai poteri territo-riali. Per questo tutti i regimi autonomistici -regionali o altrimenti definiti - sono dei falsi fe-deralismi che non realizzano la netta e totale di-stinzione tra il potere centrale e il potere sulterritorio. Naturalmente sorge il problema dicome armonizzare queste volontà diverse ed èsu questo terreno che si sviluppa la dottrina.

Lei sostiene che: “la differenza fondamentaletra il vecchio federalismo e il neofederalismo dioggi è che il vecchio federalismo era uno stru-mento per costruire l’unità, ovvero per passaredalla pluralità all’unità: (e pluribus unum),mentre il federalismo di oggi consiste nel passa-re dall’unità alla pluralità”.

Non ci sono però molti esempi storici del pas-saggio da uno Stato unitario ad uno Stato fede-rale.

Di esempi invece ce ne sono. Prenda i conatiche hanno portato alla Costituzione spagnola.Prenda la Costituzione belga. Prenda anche laCostituzione canadese, con gli sforzi del Québecdi liberarsi stando dentro una Costituzione fede-rale. La tendenza di tutti i federalismi moderni -anche negli Stati Uniti con il neofederalismo - èquella di contrastare la tendenza all’accentra-mento. Tutte le Costituzioni federali – anchequella svizzera – sono sempre alla mercé dellatendenza del potere federale di prendere in ma-no tutto e diventare uno Stato unitario. C’è unaspecie di legge fisica, come la legge di gravitàper cui il potere politico tende costantemente aconcentrarsi. Del resto è questa la storia delloStato moderno: lo Stato nasce quando un prin-cipe, un ex feudatario, comincia l’avventura del-la fondazione di un potere centrale, distruggetutte le libertà locali e crea lo “Stato”.

Quali sono secondo lei le direttrici che porta-no all’attuale crisi dello Stato nazionale e so-prattutto si tratta di una crisi irreversibile?

Sì, penso che si tratti di un processo irreversi-bile, perché questa operazione di costruzionedello Stato unitario è riuscita solo in quanto è

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stato possibile costringere i cittadini a rinuncia-re a una certa quantità di valori essenziali disussistenza e sicurezza. Storicamente il principeè colui che propone di garantire con le conqui-ste la sicurezza e l’ordine pubblico ai suoi suddi-ti, ovvero la legge e l’ordine. A prezzo però di ri-nunciare a tutto il resto: diversità di linguaggi edi cultura. È con la repressione che nasce loStato unitario moderno. E badi che parlo di Sta-to unitario moderno e non di Stato nazionaleperché l’aggettivo nazionale è come un pennac-chio aggiunto successivamente, con l’idea, svi-luppata a posteriori, che lo Stato moderno sianato da una nazione. È vero invece esattamentel’opposto: le nazioni sono state create dagli Statimoderni; la nazione francese, per esempio, è na-ta man mano nel tempo. Ci sono voluti i qua-ranta re di cui parlava De Gaulle e i mille anni distoria per costruire la nazione francese. Sonostati dunque la mo-narchia e lo Statounitario accentrato edefficiente a creare unanazione. Poi è soprag-giunta la teoria se-condo cui la nascitadello Stato risponde-rebbe a un’esigenza“naturale”: esistono le“nazioni” e quindi gliStati si sono organiz-zati intorno ad esse.Ripeto: è vero proprioil contrario.

Lo Stato modernoha teso ad omoge-neizzare i cittadini. Sono arrivato alla conclusio-ne che il principio di eguaglianza è sì vecchio eantico - pensiamo all’omonoia greca - però haavuto una spinta formidabile perché è un sotto-prodotto dello Stato unitario. Lo Stato unitarioaveva bisogno dell’eguaglianza e per questo iodico che lo Stato comunista rappresenta il com-pletamento della storia dello Stato moderno,non una deviazione. Una deviazione caso mai èil parlamentarismo. Lo Stato comunista è in as-se con tutto lo sviluppo dello Stato moderno.

Ma quali sono allora i principali fattori di di-sgregazione dello Stato moderno?

I fattori di disgregazione sono dati dalla circo-stanza che lo Stato non riesce più ad otteneretutta questa omogeneità e deve gestire una enor-me quantità di situazioni particolari. Potremmoanche dire che la crisi dello Stato moderno uni-

tario e accentrato deriva dall’aver conseguito gliobiettivi per cui è nato: un po’ come la Lega, che,conseguito l’obiettivo di rovesciare la partitocra-zia, è diventata inutile. Nei paesi di civiltà occi-dentale non morire di fame e avere un minimodi sicurezza è una condizione abbastanza abitua-le. Soprattutto le funzioni legate alla sopravvi-venza e alla sicurezza sono fornite dai serviziamministrativi, sono diventate un compito am-ministrativo. Arrivati a questo punto sono emer-si gli altri bisogni che sono di natura linguistica,culturale, di storia della tradizione. Si pensi aigiovani che vanno a studiare le origini del lorovillaggio, la civiltà contadina, il passato.

Nella logica dello Stato unitario si tratta di co-se inconcepibili. Pensi all’obiezione che si sareb-be potuta ascoltare fino a non molto tempo fa:“ma chi si occupa di queste cose, di questi pro-vincialismi!”. L’idea di “provincialismo”, il ter-

mine e il concetto di provinciale sono tutti lega-ti a questa idea di preminenza dello Stato, men-tre adesso essere “provinciali” è un valore. Noiabbiamo assistito senza accorgercene a unagrande ondata, tra gli anni ’70 e ’80, a favore del“pluralismo” che ha incominciato a mettere incrisi i principi dello Stato unitario. Si è inco-minciato a capire che più uno Stato è unitarioed omogeneo e meno corrisponde ai bisogni deicittadini; ecco la ragione per cui tutti gli Statiparlamentari dell’occidente sono in crisi: nonsolo perché va in crisi la funzione e il ruolo delParlamento ma anche e soprattutto perché è l’i-dea che il compito dei pubblici poteri sia di otte-nere la omogeneità dei cittadini a rivelarsi sba-gliata. In questo vi è la radice dell’attualità delfederalismo.

Kenichi Ohmae, che è un consulente interna-

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zionale della Mc Kinsey & Company, sostienenel suo best seller Il mondo senza confini che infuturo i cittadini tenderanno sempre di più adavere un’identità globale, sovranazionale, eun’identità “municipale”, legata alla comunitàlocale in cui vivono. A questo proposito vorreichiederle come vede lei il rapporto di identifica-zione tra cittadino e territorio, se in terminimunicipalistici o in termini regionalistici. Lefaccio questa domanda pensando anche alleconclusioni dello studio di Renato Mannheimersulla Lega Lombarda. Mannheimer ritiene chein definitiva l’appartenenza regionale sia unfattore di identificazione molto debole per i cit-tadini.

Intanto io sono perfettamente d’accordo conquello che dice Ohmae. Viviamo in un’epoca incui le distanze sono state bruciate. Un operatoreeconomico brianteo va nel suo studio e si mettein contatto con il suo partner di Tokio, stabilisceaffari, magari vede anche la controparte se ha iltelevideo. Ha la sensazione di essere sempredappertutto. Poi cosa fa. Chiude l’ufficio, va al-l’osteria e con i suoi amici gioca a bocce. Sonodue bisogni essenziali: comunicare con tutto ilmondo e vivere a stretto contatto con l’ambientelocale in cui si abita. Ma lei si è mai domandatoche significato abbia storicamente l’ambientali-smo? Perché è venuto adesso l’ambientalismo?La risposta è che l’ambientalismo va messo inconto alla fine di uno sviluppo di rapporti chehanno portato allo Stato moderno centralizzato.L’ambientalismo è l’espressione di una quantitàdi valori che non sono quelli della sussistenza esicurezza. Io prendo spesso le difese dei “verdi”,anche in Parlamento, perché penso che – seppu-re inconsapevolmente - rappresentino un gran-de momento nella storia delle istituzioni e dellavita pubblica.

Per quanto riguarda il rapporto di identifica-zione dei cittadini, io penso che il Municipio siafondamentale; l’Italia è un paese municipale, lastoria d’Italia è una storia municipale. Per cuicredo che una Costituzione federale debba parti-re dai Municipi. È giusta l’osservazione che l’i-dentità regionale ha un’importanza relativa, an-che perché le nostre Regioni sappiamo bene co-me sono nate.

Sono state fatte sulla base di strumenti cheservivano ad un ufficio statistico per organizzarei propri dati. I poveri costituenti si sono trovatiin mano i confini delle Regioni preparati dagliuffici statistici senza che questi si preoccupasse-ro di analizzare le intèrazioni storiche, culturali,

antropologiche alla base delle loro scelte. Ma perché; secondo lei, il regionalismo non

può rappresentare una risposta adeguata a deibisogni di semplice decentramento amministra-tivo dello Stato? In Francia, per esempio, agliinizi degli anni ’80 è stata realizzata una rifor-ma di tipo regionalistico dell’amministrazionestatale che pare abbia dato buoni frutti.

Le dò una risposta molto semplice. Se lei cre-de in un valore, questo valore deve impegnarlain maniera totale. Il regionalismo rappresentainvece un modo di annacquare i valori. Il regio-nalismo ha il difetto di essere una forma di orga-nizzazione dello Stato che non prevede la difesaad oltranza degli interessi della comunità locale,direi quasi una difesa usque ad effusionem san-guinis, fino all’ultimo. Il regionalismo è un par-ticolarismo all’acqua di rose che naturalmenteviene continuamente macinato dal potentissimoordinamento centralizzato.

Vorrei tornare al problema delle Regioni, omeglio degli Stati che formeranno lo Stato fede-rale, se questo nascerà in Italia. Secondo leiquali e quanti saranno questi Stati e soprattut-to su quali basi politiche geografiche e culturalisi formeranno?

La prima cosa che bisogna osservare è cheventi Regioni non fanno uno Stato federale.Venti Regioni sono troppe perché inevitabilmen-te sono troppo piccole. Il progetto della Bicame-rale, il famoso progetto Labriola, prevedeva diattribuire alle Regioni tutte le competenze, unavolta isolate quelle dell’autorità centrale relativealla moneta, alla difesa, alla politica estera e allagiustizia. Ma tutte le altre competenze si posso-no attribuire - forse – alla Lombardia e al Pie-monte, oppure alla Sardegna e all’Emilia Roma-gna; ma lei si immagina istruzione, urbanistica,industria, commercio date a delle provinciottecome sono alcune delle Regioni italiane?

Nel mio modello ci sono invece tre grandi ag-gregazioni, tre Cantoni: il Cantone Padano, ilCantone della Tuscia e il Cantone Mediterraneo.Le isole invece farebbero parte a sè, sarebberoRegioni a statuto speciale, così come le altre at-tuali Regioni a statuto speciale che sentono or-mai in modo radicato la loro autonomia.

All’interno dei Cantoni le attuali Regioni do-vrebbero essere mantenute.

Quando parlo di Cantoni, penso, anche etimo-logicamente al verbo francese se cantonner,rendersi autonomo, “cantonizzarsi”. Questo ter-mine fu usato da Enrico Duca di Roanne, chequando volle formare un regno contro la mo-

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narchia cattolica di Enrico IV usò la parola secantonner. In generale tuttavia quando uso iltermine “cantone” penso ad una struttura am-ministrativa e ad una struttura di governo, madotate di status che corrisponde al vecchio con-cetto di “sovranità”.

Se poi dovessi scegliere un nome per il nuovoStato federale preferirei di gran lunga il termine“Unione Italiana” a quello di “Repubblica Fede-rale Italiana”.

Ma chi deciderà sulla formazione di questiStati, o Cantoni?

Saranno le stesse Regioni, e per gli eventualiproblemi di confine bisognerà ricorrere a dei re-ferendum.

Tuttavia in una condizione di assenza di cultu-ra federale bisognerà per forza che ci sia unaqualche forza di coordinamento dall’alto.

Un argomento che mi sembra le stia molto acuore è quello che lei chiama il “diritto di seces-sione”. Mi sembra però che questa idea suscitimolte obiezioni. Se ci fosse stato, in passato, ilprevalere di una logica “contrattuale” e l’affer-mazione di questo “diritto di secessione” che nesarebbe oggi di paesi ad ordinamento federaleche lei considera tra i suoi modelli, come gliStati Uniti o la Svizzera? Nel 1845 la Svizzeradovette affrontare la secessione dei Cantoni cat-tolici organizzati nel Sonderbund e appoggiatidalle potenze reazionarie dell’epoca. Quantoagli Stati Uniti sappiamo bene quale fu la du-rezza e la drammaticità del conflitto che opposei “confederati” agli Stati nordisti.

Negli Stati Uniti quando scoppiò la guerra diSecessione gli americani erano tutti convintiche il diritto di secessione fosse una prerogativafondamentale degli Stati aderenti alla federazio-ne. Io ho fatto tradurre un bel libro di Bucha-nan, Secession, che illumina le basi del princi-pio stesso per cui esiste il diritto di resistenza.Nessuno di noi oggi, a differenza di quanto avve-niva sotto il fascismo, sarebbe disposto a direche il diritto di resistenza è un’infamia e che civuole una norma specifica che lo sancisca. Noiinvece diciamo che il diritto di resistenza è amonte di tutta la Costituzione; se la Costituzio-ne diventa tirannica, il diritto di resistenza è ildiritto che automaticamente scatta; favore ditutti i cittadini. Lo stesso vale per il diritto di se-cessione.

Per quanto riguarda la Svizzera prendiamo at-to che si sarebbe spaccata e che esisterebberodue confederazioni. Dobbiamo smetterla del re-sto con quell’idea mussoliniana che per essere

importanti bisogna essere grandi e grossi. Ledue confederazioni svizzere, se il paese si fossespaccato, si sarebbero probabilmente accordatedi nuovo successivamente. Guardi il caso dellaCecoslovacchia: slovacchi e cechi continuano adandare d’accordo.

L’idea di contratto, portata alle sue estremeconseguenze, finisce per negare l’idea di nazio-ne che invece è perfettamente compatibile con idue sistemi federali più efficaci che conosciamo,di nuovo la Svizzera e gli Stati Uniti, paesi incui il sentimento nazionale viene avvertito conmolta intensità.

Sì, ma la nazione svizzera è un’idea puramen-te convenzionale. In Svizzera abbiamo lingue,tradizioni e religioni diverse. Gli svizzeri stannoinsieme perché hanno convenuto che la loro èuna nazione e difendono le loro istituzioni, nes-suno difende la nazione elvetica come tale.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti riprendo ildiscorso che avevamo sfiorato in precedenza suimotivi per cui il federalismo è stato attenuatonel periodo della Grande Depressione. Roosevelte tutta l’impostazione di quegli anni, secondo ineofederalisti di oggi, hanno determinato unavera e propria deformazione della Costituzione.La presidenza imperiale, i cui rapporti coinvol-gono essenzialmente il Presidente, la Cameradei rappresentanti e il Senato non rispecchia lastruttura federale originaria. E chi ha mai dettoche gli Stati Uniti devono diventare, come sonodiventati dopo la guerra civile, i guardiani delmondo? In America si sta manifestando una ten-denza al recupero del potere degli Stati che, se-condo la concezione neofederalista, devono tor-nare a rappresentare un limite al potere dei Pre-sidenti. Del resto con la sconfitta del Vietnam eora con il crollo del nemico sovietico la presi-denza imperiale ha fatto il suo tempo.

Il nazionalismo americano, per rispondere allasua domanda, è nato per effetto delle imprese diLincoln che si batteva non tanto per il problemadella schiavitù – e a questo proposito nel già ci-tato Secession ci sono pagine bellissime – quan-to per l’unità dello Stato. È lì che nasce la con-cezione imperiale della presidenza. Gli StatiUniti di oggi sono la caricatura della federazioneoriginaria. Se gli uomini di Philadelphia potes-sero tornare inorridirebbero nel vedere un pote-re presidenziale così forte.

Nell’ipotesi di uno Stato federale italiano siporrà indubbiamente anche un problema dina-mico nel passaggio da questo Stato unitario aun nuovo equilibrio e a un nuovo assetto istitu-

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zionale. Per gestire questo cambiamento sor-gerà forse anche un problema di capacità e pre-parazione del personale politico e amministrati-vo. Secondo lei esiste a monte un problema diformazione e adeguatezza delle classi dirigentiitaliane per un compito così complesso?

Devo dire subito che io ho assistito nella miavita ad un calo costante di qualità della classepolitica e anche della stessa società. La mia idea,per quanto riguarda la selezione del personalepolitico e amministrativo, è che si debba partiredalle Regioni e dalle amministrazioni regionaliattuali. Sono rimasto molto colpito dalla prepa-razione dei Presidenti delle Regioni e dei Consi-glieri regionali che hanno partecipato con le lo-ro proposte ai lavori della Commissione Bicame-rale. Hanno detto cose più moderne e più inno-vative loro di quelle che ci eravamo dette noiparlamentari in sei mesi di lavori. La nuova clas-se politica sarà formata da questo personale re-gionale e da coloro che correranno per essereeletti nelle diete cantonali, cioè nei Parlamentidelle macroregioni, e quindi nel Parlamento na-zionale.

La sua visione di Stato federale prevede ancheun’opera di ingegneria costituzionale molto ori-ginale ma che tuttavia fino a questo momentonon appare condivisa da nessuna delle forze po-litiche presenti nel nostro paese. Ci può tratteg-giare brevemente le linee guida del suo progettodi Costituzione federale?

Immagino prima di tutto la presenza di tregrandi Regioni, come abbiamo già detto, e dicinque Regioni a statuto speciale. Alla testa diogni Regione a statuto speciale vi è un Presiden-te della Regione, alla testa delle tre macrore-gion, o Cantoni, vi è un Governatore. Il potereesecutivo della Repubblica è rappresentato daun direttorio formato dai tre governatori dellemacroregioni e, a turno, da uno dei capi degliesecutivi delle cinque Regioni a statuto speciale,e da un quinto membro che è il primo ministroeletto dal popolo. È dunque un vero e proprio“direttorio”, affine a quello elvetico. In questodirettorio, la cui possibilità di governo non sa-rebbe molto estesa perché la maggior parte dellecompetenze sarebbe attribuita alle macroregioni(in questo mi ricollego al progetto della Bicame-rale), non ci sarebbero Ministri ma semplice-mente dei Consiglieri del Primo Ministro.

Il legislativo sarebbe invece rappresentato dauna assemblea federale composta da 350 mem-bri: gli stessi delle “diete” delle macroregioni,composte a loro volta da 100 rappresentanti.

Questa assemblea avrebbe il diritto di deporre ilPrimo Ministro, secondo uno schema di bilan-ciamento dei poteri che ricorda la Costituzioneorleanista. Vi sarebbe poi un’altra assemblea, ilSenato, con una funzione puramente legislativa.

Secondo lei che probabilità ci sono che questosuo modello vengo capito, condiviso e quindipossa passare dallo stato di Costituzione imma-ginaria a quello di Costituzione reale?

Dipende dalle condizioni disperate in cui po-tremmo trovarci. Le Costituzioni non si fannomai discutendo tra amici o avversari, come ab-biamo fatto noi per mesi alla Bicamerale. Le Co-stituzioni invece nascono a tambur battente, co-me accadde con la Costituzione della V Repub-blica, per la cui redazione furono impiegati tremesi, anche se, come da noi, ci furono in realtàanni di studi e di dibattiti preliminari.

Per quanto riguarda l’aspetto funzionale delsuo modello quali dovrebbero essere i compitiattribuiti alle macroregioni e quali competenzerimarrebbero allo Stato centrale?

Allo Stato centrale devono rimanere la politicaestera, la difesa, e la moneta, esattamente comeprevisto dal progetto di Costituzione regionale“forte” elaborato dalla Bicamerale. Il progettodella Bicamerale presenta però grossi limiti per-ché lascia alle Regioni la facoltà di legiferare al-l’interno di leggi-cornice stabilite dal governocentrale. Questa è la prova provata che i regimiregionalistici non sono dei regimi di libertà eche in sostanza il potere effettivo rimane al po-tere centrale. Nella Costituzione attuale, peresempio, vengono elencati i compiti delle Regio-ni e poi viene precisato che tutto il resto spettaallo Stato. Il progetto della Bicamerale rappre-senta invece un progresso perché specifica i po-teri che spettano allo Stato mentre tutti gli altrivengono attribuiti alle Regioni o, diciamo me-glio, ai diversi soggetti della federazione ovveroalle macroregioni. Il progetto della Bicameraleha tuttavia il limite di elencare le competenzerelative ai compiti di oggi, È invece importanteche tutti i nuovi compiti emergenti spettino inprimo luogo ai soggetti della federazione, cioèalle macroregioni.

Lei ha già accennato all’esistenza di un con-flitto tra Stato sociale e federalismo. Nel casodel passaggio in Italia da un modello di Statocentralizzato a un modello federale, che cosa ri-marrebbe del Welfare State?

La prima parte della Costituzione non dovreb-be essere modificata, ma certo in uno Stato fe-derale molti problemi verrebbero ad assumere

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un carattere diverso da quello chehanno adesso. I disoccupati del Sud,per esempio, sarebbero un problemaeminentemente meridionale anchese tutti saremmo chiamati a risol-verlo.

Un conto però è la presenza di ungoverno centrale, in qualche modoricattabile o influenzabile, come hadimostrato la vertenza dei minatoridel Sulcis, e un conto invece unastruttura federale. In questo secon-do caso gli aiuti sarebbero condizio-nati al raggiungimento di precisiobiettivi, per esempio un ragionevo-le grado di sicurezza per gli impren-ditori che operano al Sud. Un ap-proccio allo sviluppo che coinvolgadirettamente la macroregione delSud è molto diverso dall’andare atrattare con entità “eterodirette” co-me possono essere i parlamenraridella Calabria o della Sicilia. Tutta laquestione dello Stato sociale vienecompletamente reimpostata da unordinamento federale e di fatto vie-ne a cadere il vecchio e insostenibilemodello di Stato assistenziale che cista progressivamente emarginandodal processo di costruzione dell’Eu-ropa.

E proprio sull’Europa volevo farleun’ultima domanda.

Secondo lei la costruzione di unoStato federale in Italia potrebbe fa-vorire in qualche, modo il processodi costruzione di uno Stato federale europeo?

Sì, perché se queste macroregioni italianeavranno, come devono avere, la possibilità dicondurre una loro limitata politica di accordi in-ternazionali i legami tra le diverse aree regionalieuropee non potranno che intensificarsi. Ancorarecentemente l’ambasciatore tedesco in Italia mifaceva notare che esistono molti più rapporti trala Baviera e la Padania che tra la Baviera e la re-gione di Amburgo. Devo però osservare che l’i-dea di un’Europa federale si va allontanandosempre di più. Soltanto quando la Germania avràterminato il suo processo di unificazione e si vol-terà verso occidente allora, forse, riprenderà lacostruzione dell’Europa. E comunque se pre-varrà la visione thatcheriana di un’Europa dellepatrie il sogno di un’Europa federale si allonta-nerà ulteriormente e il nostro continente, quasi

per una nemesi storica, dopo avere combattutodue guerre contro la Germania finirà per esseredominato economicamente da questo paese.

Ma c’è un ulteriore motivo per cui sono pessi-mista sul futuro dell’Europa. È che per costruirel’Europa cui penso io, formata dagli Stati federa-li a cui penso io, ci vuole una grande capacità diinventiva giuridica che non vedo nelle scuole didiritto europee. Non ci sono più i giuristi capacidi “inventare” modelli come inventavano i giuri-sti della metà dell’Ottocento. Nei dieci anni dellaRivoluzione Francese ci fu una stagione folle dicapacità inventiva, seguita da un lungo periododi sistemazione, ricco di nuove idee, che si pro-trasse per quasi tutto l’Ottocento. Adesso piùnulla. Lo ius publicum europaeum - tanto esal-tato dal mio amico Schmitt - mi sembra che ab-bia esaurito le sue capacità creative.

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L’Italia sognata dalla Lega è una Repubblicafederale di 9 Stati, 21 regioni, un’assem-blea federale eletta a suffragio universale e

un Senato degli Stati e delle regioni sul model-lo del Bundesrat tedesco.

“Non c’è bisogno dell’elezione diretta del pre-sidente, e non c’è bisogno di un’assemblea co-stituente per cambiare la Costituzione”, assicu-ra Francesco Speroni, ex ministro leghista del-le Riforme istituzionali: “È sufficiente un dise-gno di legge, che una volta approvato sarà sot-toposto a referendum popolare”. Gli articolidella nuova Carta costituzionale, nel testo dimodifica presentato ieri da Speroni e dal capo-gruppo del Carroccio al Senato, Francesco Ta-bladini, passerebbero da 139 a 123. Gli Stati sa-rebbero: 1) Piemonte, Val d’Aosta e Liguria; 2)Lombardia; 3) Trentino Alto Adige, Veneto eFriuli Venezia Giulia; 4) Emilia e Toscana; 5)Romagna, Umbria, Marche e Lazio; 6) Abruzzi,Molise, Lucania e Puglia; 7) Campania e Cala-bria; 8) Sicilia; 9) Sardegna. Roma resta la ca-pitale e costituisce “distretto federale”.

Poi, rovesciando con un “ribaltone” l’articolo117 della Costituzione, vengono ridefinite lecompetenze istituzionali in senso federalista.“Il nostro progetto - aggiunge Speroni - può es-ser votato dal Parlamento, perché si limita a ri-modellare la struttura della Costituzione, sen-za stravolgerla come vorrebbe Miglio”. Si trat-ta, in pratica, della bozza presentata all’assem-blea leghista di Genova e nata a Ponte di Le-gno, adesso trasformata in disegno di legge. Sidice fiducioso, Speroni, nella possibilità di rac-cogliere una maggioranza parlamentare. MaGianfranco Miglio non concede neppure la suf-ficienza a Speroni e compagni. Il profesur sitrova a Sanremo in vacanza forzata, per curar-si un’influenza e intanto completare il suoprossimo libro. Il progetto di Bossi e Speroninon è affatto federalista, e per di più non garan-

tisce la compattezza della Repubblica. È unaparvenza di sistema federale, appiccicato a quel-lo parlamentare-partitico di sempre che si man-gia tutto il resto. Certe cose Speroni impie-gherà anni a capirle. Poverino, non ha la cultu-ra giuridico-costituzionale.

Dov’è che sbaglia?Anzitutto, le sue unità territoriali presentano

una omogeneità artificiosa: si basano sul princi-pio della consistenza demografica, ossia sul nu-mero di abitanti che dev’essere pressoché ugua-le. Questo è quanto di più lontano vi sia dal fe-deralismo, che è invece unità dei diversi e delleminoranze”.

Un esempio?In Germania, accanto a città come Brema e

Lubecca vi sono grandi unità territoriali comela Baviera.

L’idea di Bossi e Speroni ricalca invece l’erro-re dei giacobini, che crearono in Francia i di-partimenti. Ma autonomie e libertà scompaionose le unità vengono tracciate con la squadra e ilrighello.

Speroni si richiama al Bundesrat tedesco...Altro errore. Un’assemblea federale eletta da

tutti i cittadini non è affatto federalista, nean-che il Bundesrat. Tutti i sistemi federali storici,a partire da quello americano e tedesco, vannoincontro a deperimento. Gli esperti lo sanno,Speroni no. Gli stessi giuristi tedeschi e ameri-cani sostengono che bisogna restituire potere ailander e agli states. Il Senato americano e ilBundesrat hanno fallito, in quanto Camere se-condarie rispetto a quelle che contano davvero.

Nel mio sistema, invece, si parte dai cantoniper costruire l’assemblea federale e le altrestrutture che governano la Repubblica.

Il che sarebbe uno stravolgimento della Co-stituzione, come le rimprovera Speroni...

Ammetto che il mio modello è rivoluzionario,ma si tratta di una rivoluzione a buon mercato.

Miglio boccia l’Italia di SperoniIl profesur: “Non si costruisce il federalismo

dividendo il Paese col compasso”

di Marco Ventura

Il Giornale, 20 gennaio 1995

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L’uomo che vuole ridisegnare il potere in Italia

Un tempo ossessionato dall’idea di una autorità forte, oggi sceglieun nuovo “consociativismo” tra tre “cantoni” nazionali

di Franco Cangini

La Nazione, 6 maggio 1995

Dietro la scrivania, il ritratto enorme di Nic-colò Machiavelli, fondatore della modernascienza politica. Davanti, quello, altrettan-

to smisurato, di Giovanni Althuzio, il giurecon-sulto calvinista che anticipò il contratto sociale.In mezzo c’è Gianfranco Miglio, professore didiritto costituzionale, senatore, “bossiano” pen-tito. Una vita spesa tra il sogno del rinnovamen-to dello Stato nazionale e il sogno del suo supe-ramento in un “nuovo federalismo”. Entrambiinappagati.

Professore, Bossi torna all’idea di una Repub-blica del Nord inquadrata in una confederazio-ne italica. Questo significa che lei tornerà conBossi?

Assolutamente no. Il mio giudizio sull’uomonon è cambiato.

Lo definì “il bullo di Cassano Magnago” escrisse che avrebbe passato il resto della sua vi-ta a pentirsi di avergli dato fiducia.

È precisamente quel che faccio. Bossi è auto-ritario e accentratore. Se solo arrivasse a ren-dersi conto che il suo modo d’essere è incompa-tibile col governo di una struttura federale nonvorrebbe più sentir parlare di federalismo.

Vuol dire che è il tipo del politico che credesolo in ciò che gli conviene?

Senta, ricordo quando Speroni, allora mini-stro, avanzò la proposta dell’elezione diretta deipresidenti delle ragioni a statuto ordinario.

Era una proposta giusta, ma Bossi si rese con-to di non poter avere quindici candidati alla pre-sidenza e la fece silurare. Speroni era furibondo.

Opportunista, ma fortunato. Le elezioni regio-nali gli sono andate molto meglio del previsto.

Per la verità, io l’avevo previsto. Molti elettoriche si erano già staccati dalla Lega sono tornatia votarla perché hanno visto troppi ex democri-stiani nelle liste dei due schieramenti. La Legareplica in piccolo, i metodi clientelari della vec-chia Dc nella raccolta del consenso.

Però non dà asilo politico ai democristiani. Maalle elezioni politiche sarà un’altra musica.

Lo zoccolo duro della Lega non è poi così du-ro?

No, quello resiste. Nelle vallate alpine la vogliadi secessione c’è ancora ed è forte. Ma nelle cittàdi pianura del Nord Bossi è una stella cadente.C’è gente bene che lo disprezzava ma lo votavaugualmente in odio alla partitocrazia. Adesso la

È un sistema che compatta l’unità della Repub-blica in modo addirittura impressionante: l’as-semblea federale riunisce le diete cantonali,mentre il direttorio o governo federale forma-to dai governatori dei cantoni, è guidato, manon egemonizzato, da un presidente eletto datutti i cittadini. Sarebbe un’Italia più unita dioggi.

Lei prevede tre cantoni (Val Padana, Etruria

e Mediterraneo), e cinque regioni a statutospeciale. Non sorgeranno conflitti?

I conflitti sorgeranno nel sistema di Bossi,con l’assemblea cosiddetta federale da una par-te, e il Senato dei cantoni dall’altra. Nel mio si-stema, invece, il Senato legislativo, eletto colproporzionale, fornisce le leggi-cornice ai can-toni per evitare disordini e confusioni su temispecifici.

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protesta della gente bene è passata a Berlusconi.Eppoi anche il secessionismo è in declino. Oggitutti hanno bisogno di tutti. Non vedo propriodove Bossi possa attingere il consenso aggiunti-vo che ha fatto il suo successo nel ’92 e un po’anche nel ’94. Gli resta lo zoccolo duro, ma fa il2,5 o il 3% dei voti.

E che cosa potrà farsene? Spera di fare l’ago della bilancia. Come Pan-

nella. E toglierà la sedia da sotto le natiche aqualsiasi alleato. È uno che fa il monello per so-pravvivere. Chiunque si allei con lui deve esserepreparato a ricevere il medesimo trattamento ri-cevuto da Berlusconi.

Dunque, cercherà di tenersi in bilico tra i dueschieramenti.

Il disegno di Bossi è quello di collocarsi alcentro. Né con la destra, né con la sinistra.

Punta sulla possibilità che gl’italiani si scocci-no di vedersela con due grandi schieramenti eche riemerga la voglia di centro, tipica dell’Ita-lia. Ma per tentare di arroccarsi al centro do-vrebbe allearsi con i popolari di Bianco e la baseleghista non vuole saperne.

Beh, non si può dire che gli uomini nuoviespressi dalla cosiddetta rivoluzione italiana sisiano rivelati dei grandi leader. Bossi non è l’u-nica delusione.

Si, noto una rarefazione di capacità politiche. Anche Romano Prodi, con tutto il suo passato

di bojardo di stato, è un poverello. Ma è proprioin una situazione di rarefazione della leadershippolitica che maturano nuovi capi. Non so chiverrà, ma il trend è questo. E riguarda ancheBerlusconi.

Si può dire dell’Italia che è una società allaricerca della sua forma di governo? Della Fran-cia si è detto che l’ha trovata con la quinta Re-pubblica, dopo averla cercata per un paio di se-coli.

Credo di si, ma non direi che la Francia abbiacercato il suo governo per tutto quel tempo. L’a-spettativa della divisione dei poteri, promessadalla Grande Rivoluzione, fu subito tradita. IlParlamento si pose come potere assoluto, al po-sto del monarca. L’assolutismo del Parlamento èstata la maledizione delle costituzioni europee. Ifrancesi ne sono usciti quando hanno tagliato leunghie al Parlamento, con l’avvento della quintaRepubblica. Devono a De Gaulle la conclusionedi una lunga e drammatica ricerca della rico-struzione della struttura di potere.

Lei è senatore. Che cosa ha fatto per cambia-re le cose?

Ho fatto diligentemente parte della commis-sione bicamerale per le riforme costituzionali.

Ero come Cristo tra i ladroni, però mi diverti-va. De Mita mi diceva: “Vengo a sentire le tuebelle lezioni”. Poi faceva il contrario. Quandosostenni che i membri del governo non doveva-no far parte della rappresentanza parlamentare,ebbi la sorpresa di sentirmi dar regione dalla Dc,che mise nel suo statuto l’incompatibilità tra ledue funzioni. Poi mi resi conto che l’aveva fattosolo allo scopo di fregare Andreotti, che era se-natore a vita. In pratica, ho avuto la conferma diquel che già sapevo, chiedere a un’assemblea diparlamentari di rinunciare a una parte dei suoipoteri è assurdo.

Eppure De Gaulle, in Francia, c’è riuscito.Ma non certo perché i parlamentari ne fossero

convinti. Accettarono la costituzione della quin-ta Repubblica solo per forza maggiore, e con laferma intenzione di tornare al vecchio regime.Invece, come diciamo in Lombardia, i francesihanno “preso il lecchetto” di eleggere il Presi-dente della Repubblica e indietro non sono piùtornati.

Cosa ne pensa del Presidente Scalfaro?È un uomo che ha fatto un sogno. Sogna di

restaurare la prima repubblica e di riportare ilcentro ex democristiano all’egemonia d’un tem-po. Ha ragione Cossiga: se la rivoluzione italianaavesse fatto una cinquantina di morti, oggi nonci sarebbero tanti ex democristiani in circolazio-ne. Sarebbero scappati tutti.

Ma Scalfaro si fa un dovere di applicare la co-stituzione che c’è.

E sbaglia, perché qualcosa è cambiato. Finchéc’era la proporzionale, il dovere del Presidentedella Repubblica era quello di preoccuparsi cheil Parlamento rispecchiasse il paese. Ma col si-stema maggioritario, si chiede ai cittadini di ri-nunciare alle proprie preferenze per schierarsisu due blocchi alternativi. Dunque il Parlamen-to non rispecchia più il paese, e il suo compitodiventa quello di esprimere una maggioranzaassoluta. Quando manca, la parola deve tornareagli elettori. Su questo punto ha ragione Berlu-sconi. Io non amo il sistema maggioritario, mala sua logica è quella che dice lui.

Se è per questo, lei non ama nemmeno l’alter-nativa di governo. Cioè la possibilità, per glielettori, di scegliere tra due proposte di gover-no.

È vero. Credo poco nel bipolarismo e sono fe-rocemente contrario alla democrazia maggiori-taria. La maggioranza è il tallone d’Achille del

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regime parlamentare. Perché diamine la metàpiù uno deve avere ragione? Conviene crederlo,presumendo che il maggior numero sia più for-te. Una specie di surrogato della guerra civile.Ma non credo che sia il modo giusto per fare lescelte di governo. Berlusconi, se fosse qui connoi, farebbe un salto sulla sedia. La metà piùuno è un principio sacro, per lui. Buon per luiche c’è una sinistra che vale una ‘cieca frusta’.Priva d’iniziativa, non sa adoperare gli argo-menti.

Intende dire che una maggioranza efficacedev’essere formata da una coalizione di “mino-ranze concorrenti”? Era la tesi di un politicoamericano che combatteva il potere del governofederale. Calhoun, mi sembra.

Intendo semplicemente dire che chi disponedi un consenso elevato deve partecipare allescelte di governo.

Ma questo sarebbe nient’altro che consociati-vismo. Non abbiamo già dato?

No, abbiamo conosciuto la caricatura del con-sociativismo. Il gruppo al potere, che associal’opposizione più forte alle decisioni di governoe alle greppia del sotto governo per garantirsil’inamovibilità. E che finanzia l’operazione por-tando alle stelle il debito pubblico. È stato unobbrobrio, ma forse anche un modo per evitarela guerra civile. Si parla tanto del muro di Berli-no, ma dovremmo ricordarci che c’era anche unmuro d’Italia.

Storia antica, ormai. Non capisco perché pre-ferire nuove specie di governo consociativo se èpossibile l’alternativa di governo.

Gli italiani non sono più divisi tra loro dallapolitica estera, né da modelli di società incom-patibili. E nemmeno da fratture etniche, comeil Belgio, o religiose, come l’Olanda. Dunque,qual è il problema?

Il guaio è che non possono esistere program-mi di governo veramente alternativi. Si somi-gliano tutti. Prenda il problema delle pensioni:destra e sinistra debbono passare sotto le stesseforche caudine. Allora bisogna chiedersi se unaforma consociativa autentica non sia più ade-rente alla realtà. L’alternativa di governo ci sem-bra una conquista perché da noi è arrivata a ma-turazione con un ritardo enorme, in seguito allalegge elettorale maggioritaria. Ma è una formulache ha fatto ovunque il suo tempo. Secondo lei,perché l’arrivo al governo di Berlusconi, colcentrodestra, ha prodotto lo choc che tutti ri-cordiamo?.

Lo dica lei.

Semplicemente perché quel che cambia, colcambiamento della maggioranza, non sono tan-to i programmi di governo quanto i ceti privile-giati. C’era l’alta finanza, che è sempre vissuta diaiuto pubblico, e che nel vecchio ceto politicoaveva i suoi referenti. ma c’era anche la massaanelante a un piccolo impiego sicuro, senzal’obbligo di lavorare, che si è ritrovata orfana deisuoi abituali patroni politici. Il ruolo dal parassi-tismo è ingiustamente trascurato dalla scienzapolitica. Vivere alle spalle del prossimo è l’aspi-razione di tutti. Forse anche la mia. Donde e losconvolgimento sociale determinato dalla fru-strazione di tante aspettative, con l’arrivo diBerlusconi a palazzo Chigi. Infatti non è durato.

Potrebbe andar meglio a Prodi, se vincerà lasinistra.

Stento a crederlo.Un governo della sinistra dovrebbe fare i conti

con le sue clientele fameliche e con la delusionedell’altra metà del paese.

Non avrebbe vita facile. Il fatto è che ogni par-tito si pretende in possesso della formula por-tentosa di gestione dell’economia e della societànazionali. Questa è un’illusione. Meglio conso-ciare le forze politiche che contano. Metterle in-sieme e costringerle ad adottare programmi digoverno coerenti.

Ma non è proprio lei che una decina d’anni falanciò la proposta di una riforma costituzionaleper arrivare a una forma di governo stabile eautorevole, tutt’altro che consociativa?

È cosi. Dall’ 80 all’83 sono stato ossessionatodall’idea del governo forte. Ho messo insieme,nel “gruppo di Milano” alcuni costituzionalistiin gamba, e abbiamo lanciato la nostra proposta.Poi mi sono reso conto che non aveva senso da-re un grande potere decisionale in mano a go-verni centralisti e corrotti. Non riuscirebberonemmeno a controllarlo, imbrigliati come sonoda enormi funzioni pubbliche. Cosi ho ripreso imiei studi sul federalismo e ho cambiato model-lo. Penso sempre alla figura di un “decisore” na-zionale, però in un contesto federale.

La cosa più sorprendente è che il suo modellofederale non dispiace alla destra nazionale diFini.

Beh, Fini è d’accordo per coniugare federali-smo e presidenzialismo. Il che lo conferma inpossesso di una virtù politica fondamentale:quella della prudenza.

Anche Berlusconi è d’accordo?Berlusconi è un bravo imprenditore e un bra-

vo comunicatore che sta cercando di dimostrar-

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si anche un bravo politico. Ma gli manca il gustodelle questioni istituzionali. Del resto manca an-che a Bossi e non l’aveva neppure Craxi. Ricordoche Giuliano Amato non riusciva a intrattenerlosull’argomento per più di cinque minuti. Quan-do ha saputo che io ero riuscito a tener destal’attenzione di Craxi sul tema delle riforme perun quarto d’ora, non voleva crederci.

Parliamo del suo modello federale. Mi correg-ga se sbaglio: l’Italia divisa in tre consorzi di re-gioni, chiamati Cantoni, ognuno retto da unGovernatore, eletto direttamente, alla testa diun Direttorio formato dai presidenti delle regio-ni. I Governatori dei Cantoni del Nord, del Cen-tro e del Sud, integrati a rotazione dal presiden-te di una delle regioni a statuto speciale, forma-no il Direttorio federale, guidato dal Presidentedella Repubblica, anche lui eletto direttamenteda tutti i cittadini. Dimentico qualcosa?

Un sacco di cose. Per esempio i collegi rappre-sentativi. I membri delle Diete cantonali sonocontemporaneamente deputati dell’Assembleafederale. Il potere di governare e quello di rap-presentare sono separati a tutti i livelli. Sindaco,presidente di regione, governatore di cantone,presidente federale, tutti eletti direttamente, go-vernano senza vincolo di maggioranza. Se sfidu-ciati dalle assemblee, la parola torna agli eletto-ri. Il presidente federale incarna le ragioni del-l’unione. È anche capo del governo e sceglie,nomina, dimette i segretari di Stato preposti allefunzioni spettanti al direttorio federale: Esteri,Difesa, Politica Monetaria, Giustizia. La liberacircolazione delle persone e dei capitali è garan-tita dalla costituzione. Il gettito dei tributi è ri-scosso e trattenuto da comuni, regioni a statutospeciale e cantoni, salvo la quota spettante alfunzionamento della federazione e quella desti-nata alla redistribuzione territoriale delle risorsefinanziarie...

Direi di finirla qui. Non sono sicuro che la ca-pacità di attenzione del lettore per il tema delleriforme superi quella attribuita a Craxi da Giu-liano Amato.

Aggiungo solo che il mio modello federale rea-lizza una forte coesione tra tutti i livelli di go-verno. Dunque smentisce la preoccupazione cheil federalismo sia fatalmente un sistema debole,a prospettiva catastrofica. La formazione delledecisioni non è affidata alla violenza del princi-pio di maggioranza o al potere d’influenza di unqualche capo carismatico. È affidata, invece, alnegoziato, alla persuasione, alla instancabile ri-cerca del consenso delle minoranze. Però in

tempi certi e scadenze obbligate. Il negoziatonon deve mai finire nel rinvio. Per esempio, seil direttorio federale non raggiunge l’unanimitàsull’approvazione della legge di bilancio, neitempi previsti, incappa nello scioglimento se-guito dal completo rinnovo elettorale degli uo-mini che hanno fallito.

Chiariamo il punto del suo governo consocia-tivo. Se ho ben capito il direttorio federale sa-rebbe una consociazione dei vertici dei governicantonali, sotto la guida del presidente federale.

Non solo. Le recenti elezioni regionali hannoconfermato la tendenziale egemonia della destranel Sud, della sinistra nel Centro, e la competi-zione tra centrodestra e centrosinistra nel Nord.Di conseguenza, il direttorio federale sarebbeanche l’organismo in cui le grandi forze politi-che, e le diverse formule espresse dalla diversitàdel paese, s’incontrano e collaborano.

La coesistenza nel direttorio di un Sud che vi-ve di mano pubblica e di un Nord che ama cre-dere di pascersi di economia di mercato, assicu-ra la possibilità di piani di governo che vadanobene per tutti. I rapporti politici ne risulterebbe-ro sdrammatizzati e anche la questione del si-stema elettorale diventerebbe meno importante.

Per la verità, il suo presidente federale è unpo’ troppo stretto tra potenti governatori di di-verso segno politico per essere credibile come“decisore”.

Diciamo che è un presidente a geometria va-riabile. Come in Francia, dove il presidente con-ta molto se ha dalla sua la maggioranza parla-mentare e molto meno se deve coabitare conuna maggioranza di diverso segno politico. Nelmio progetto, il potere del presidente dipendedalla composizione del direttorio. Se ci sono go-vernatori forti, il suo potere sarà ridotto.

Lei applica alla politica criteri contrattualisti-ci. Ma, secondo un pensatore che le è caro, que-sto porta inesorabilmente alla dissoluzione del-l’unità sovrana dello Stato.

Lei allude a Carl Schmitt. Beh, siamo alle so-glie del Duemila e il mondo cambia. La sovra-nità è un concetto usurato. Dobbiamo liberarce-ne. Il negoziato si sostituisce all’atto d’imperio.Si negozia su tutto e nessuno è più sovrano. An-che lo Stato nazionale è ovunque al tramonto.Si torma a prima dello Stato moderno.

La tendenza è alla pluralizzazione e alla priva-tizzazione dei poteri. Tanto vale prenderne atto.

Invidio la sua disponibilità verso le incognitedi un cambiamento così radicale. Ma come pen-sa di arrivare alla sua Costituzione federale:

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forse attraverso un’ Assemblea costituente?È un’idea sbagliata. Le Costituenti confeziona-

no solo vestiti di Arlecchino. Quando tutti pos-sono sdottoreggiare su tutto, il risultato è uninevitabile compromesso. Un grosso pasticcio.No, sono convinto che le costituzioni valide so-no quelle imposte dalla fazione politica vincentea quella perdente. A condizione, naturalmente,che si lasci aperta ai perdenti la strada del ritor-no al potere.

Se non la Costituente, cosa?L’articolo 138 dell’attuale Costituzione. Preve-

de che le leggi di revisione costituzionali sianoapprovate a maggioranza assoluta dal Parlamen-to, salvo referendum di convalida. Questa proce-dura ha una sua razionalità da quando esiste ilmaggioritario. La formazione della maggioranzarichiesta per riformare la Costituzione diventa

più facile. Non escludo nemmeno il passaggioattraverso un governo di grande coalizione, sepuò servire per mettere d’accordo sulle regole leforze politiche più importanti.

Penso all’Italia, quale è stata plasmata dal Ri-sorgimento, bene o male. Lei vorrebbe cambiar-le i connotati.

Mi preoccupo degli italiani che ci sono, nondella Signora con le torri. Mi piace che stianomeglio gli italiani. Mio figlio, mia nuora, la mianipotina.

Strano, da parte sua. Avrei detto che fosse piùinteressato a un’idea dell’Italia che agli italiani.Non è che lei straveda per questo popolo, che èanche il suo.

Toccato. Ma sento il dovere di pensare agli ita-liani, quale che sia la mia opinione sul loro con-to. O sul nostro, se preferisce.

Il professore ha lasciato la Lega, ma è rimastolo stesso: sarcastico, provocatorio, inconteni-bile. Sferza amici e avversari come se ogni

giorno dovesse riguadagnarsi il titolo di Bel-zebù che ha scippato, con la fine della Secondarepubblica, a Giulio Andreotti.

Gianfranco Miglio è seduto nel suo studio mi-lanese, fra un ritratto di Hobbes e uno di Ma-chiavelli. I federalisti, da Cattaneo a Jefferson, liha relegati in sala d’attesa, e quando annunciadi aver fatto una scoperta, che “il ritratto diCattaneo che viene sempre riprodotto sui libri èandato distrutto per sempre”, non sembra affat-to commosso. Non è un caso, allora, se le sueultime mosse richiamano più lo spregiudicatoMachiavelli che lo scrupoloso Cattaneo.

È un vulcano di paradossi, il professore. L’ulti-mo è che “il federalismo verrà da Sud, perché ilNord non capisce nulla di sistemi istituzionali”.

Dunque, l’ex “nordista” della Lega guarda al

Sud per realizzare il suo sogno, le tre repubbli-che. Anche questo è un paradosso, per un uomoche sosteneva l’inferiorità “antropologica” deimeridionali. Pure su Bossi e sulla Lega c’è qual-che novità nei toni, sebbene - precisa Miglio -quella con la Lega sia “una storia chiusa; Bossinon ama il federalismo, perché in un regime fe-derale nessuno comanda veramente e a lui que-sto non piace perché è un autoritario e un ac-centratore. E poi, lui non ama approfondire iprogrammi. Fa parte del suo carattere, è un tipoche ogni volta che si sveglia cerca la misura daprendere, la trovata da adoperare ma non vuolevincolarsi”.

I disegni costituzionali cesellati, non si offen-da, sono roba da professori. Quello che contasono i rapporti di forza politici. Non crede cheBossi abbia ragione a occuparsi prevalentemen-te di questi ultimi?

Forse sì, ma a tutto c’è un limite. Essendogli

“Scalfaro prepara una nuova Dc”Intervista all’ex ideologo del Carroccio: “Bossi? Ha fatto bene

a lasciarmi fuori dal governo Berlusconi”

di Daniele Vimercati

L’Indipendente, 18 maggio 1995

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stato vicino per quattro anni, non ho mai vistoin lui preoccupazioni per il programma, spessonon sono neppure riuscito a parlargli...

Alle amministrative però è andato bene.Lei sa che io avevo previsto il rimbalzo delle

elezioni amministrative. In diverse interviste l’a-vevo detto. L’avevo annunciato anche a Maroni,il quale aveva voluto incontrarmi per espormi il

suo piano di take off nella Lega. Gli ho detto:“stai attento perché Bossi adesso avrà un rim-balzo”. E lui: “Allora se è così il mio piano nonvale più...”

Il suo piano qual’era, organizzare un’altraLega?

No, era prendere il controllo della Lega, cac-ciare alcuni colonnelli, oltre Bossi, e prendere ilmovimento in pugno... però naturalmente tuttoquesto implicava una débacle della Lega. Invecesono accadute tre cose: i leghisti hanno comin-ciato a creare localmente i loro rapporti di pote-re che portano voti. Inoltre gli elettori hanno vi-sto un nugolo di democristiani dentro il Polo e

tanti dc anche nel Polo di sinistra, dietro il fac-cione bolognese del Prodi. A questo punto han-no detto: “Beh, almeno nella Lega di democri-stiani non ce ne sono”. Terzo elemento, bisognariconoscere che Bossi è stato abile nello svilup-pare il gioco delle alleanze. Ma adesso è estre-mamente difficile per Bossi fare quello che dice,e cioè essere il perno di un partito di centro.

Difficile? E perché?Ho saputo che subito dopo le elezioni è co-

minciata una sarabanda di incontri segreti più omeno notturni tra tutti i dirigenti della ex Dc.Non le dico le fonti da cui ho saputo questo,però probabilmente c’è la protezione, l’avallo, laspinta di Scalfaro, il che è anche logico: lui è de-mocristiano. La sua aspirazione è di ricostituirela Dc e restaurare la prima repubblica. Se ci rie-sce è un altro De Gasperi, o forse un RomoloAugustolo.

E Bossi, cosa dovrebbe fare?Lui dice che vuol fare il centro, ma il centro

glielo occupano i dc e la Lega non può abbrac-ciarli, si svilirebbe.

Quello che può fare Bossi, a questo punto, è ildestabilizzatore di tutte le alleanze. Ripetere ilgioco che ha fatto con Berlusconi: alleato lo haportato al successo, poi l’ha deposto.

Domani vincesse con le sinistre farebbe lostesso.

Non pensa che sia giusto destabilizzare, perevitare che in Italia vinca ancora una volta larestaurazione?

Forse sì... Ha mai visto cosa fanno le murenein un acquario? Stanno nel buco, in attesa... C’èun nugolo di gente che ha rubato e che aspettail momento per tornare fuori.

In questa situazione pensa che sia giusto, peradesso, lasciare ancora i magistrati nella libertàdi agire?

È vitale per l’Italia che i magistrati imperver-sino ancora. Naturalmente, gli organi di garan-zia - Csm. ministro di Giustizia - devono veglia-re che non usino mezzi impropri.

Secondo lei è pensabile che il sistema politico,in questa Italia, una volta che si è stabilizzatopoliticamente, realizzi il federalismo?

Guardi, io credo che ci sia una schiacciantequantità di probabilità perché venga restauratala Prima repubblica e riprenda il gioco dell’inde-bitamento che ha caratterizzato lo scorso qua-rantennio Il contrario sarebbe un miracolo.

È un miracolo possibile con la stabilità o conla instabilità?

Con l’instabilità, certamente...

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Allora; non può essere che Bossi sia ancoraprezioso?

Mah... ora non capisco bene quello che fa, ilsuo oscillare continuo sull’indipendentismo... Iocontinuo a ricevere lettere da leghisti, ex leghi-sti che mi dicono: indichi i nomi per cui votare,possibilmente secessionisti. Io ho dovuto direche oggi come oggi nessuno può stare solo, tuttiabbiamo bisogno di tutti. L’idea fichtiana di unoStato chiuso, economicamente autonomo nonc’è più, tutti hanno bisogno di tutti.

La Waterloo mia e di Bossi è stata quando ab-biamo cercato di sollevare il Nord e il Nord nonci ha risposto. Io mi ricordo quando Bossi diceva“che fatica abbiamo fatto per fare alzare di duedita la testa ai lombardi, quelli non si alzerannomai”. Punto sulla struttura federale, perché il fe-deralismo dovrebbe consentire di non scenderein piazza... fra l’altro, chi ci va in piazza? Alcunigruppi dei miei montanari, ma nelle grandi cittàlombarde non c’è spirito di secessione.

Può essere il Sud, a prendere in mano la ban-diera del federalismo?

Io penso questo: il Nord non ha una vocazioneistituzionale, assolutamente, e sotto questo pro-filo è inutile andare a parlare di cambiare la Co-stituzione. Meglio puntare decisamente sul Sudche ha un’antica tradizione di studi giuridici. Ioho messo con le spalle al muro i miei amici delPolo: dobbiamo passare a un grande progetto diriforma costituzionale, perché se no andiamo al-la catastrofe.

Professore, accetta una scommessa? Se il Po-lo le dà il Federalismo, io mi iscrivo a ForzaItalia.

Io non faccio mai scommesse di cui almenonon abbia qualche possibilità di spuntarla. Peròcontinuo a battermi per questo. Per esempio hoconvinto An, o almeno lo spero. Io capisco chela Dc odi An perché le ha portato via i voti delSud, ma Bossi non ha nessun motivo per met-tersi contro An. An invece ha capito una cosa,che l’unico programma che lei ha è il presiden-zialismo, che questo presidenzialismo se lei lotira fuori puro e semplice, specialmente all’este-ro, dicono “ecco Mussolini che torna”. Invece,collocati in un contesto federale, garantiti inquesto contesto, un presidente persuasore sod-disfa il loro programma ma soddisfa anche unasoluzione intelligente del caso italiano.

Ora, dopo lunghi colloqui, con Fini siamo di-ventati proprio amici.

E con la Lega, nessuna possibilità di recupe-rare i rapporti?

È stata l’azione simbiotica di Lega e di magi-stratura a rovesciare i vertici della prima repub-blica. Sotto questo profilo è una cosa ormai sto-ricamente accertata. Io credo che da quel lato liBossi il suo posto nella storia italiana ce l’ha giàsotto questo profilo. Quando ho visto una certaparte dei parlamentari usciti dalla Lega cheadesso per fortuna si sono autoesclusi dall’Unio-ne federalista io ho detto “povero Bossi, con cherazza di materiale umano ha dovuto fare le suebattaglie”, però li ha scelti lui. E sono stati loroa premere perché io fossi lasciato fuori dal go-verno Berlusconi.

Ci risiamo con questa storia. Allora è vero chelei ha lasciato la Lega perché non le hanno datola poltrona.

No, anzi, ora le farò una confessione. Bossi hafatto benissimo perché se io entravo al governo,diventavo il capo naturale della delegazione del-la Lega al governo così che c’era un capo dentroil governo e un capo fuori. Sarebbe stata unacosa distruttiva, dato anche il carattere di Bossie data anche l’impostazione di tutta la Lega, percui è stata una cosa intelligente quella di oppor-si con tutte le forze. Con tutte le stupidagginiche ha fatto il governo Berlusconi, io sarei in-tervenuto tutte le volte e avrei fatto un gran ca-sino.

Professore, ma lei potrebbe tornare in Parla-mento come deputato o senatore di An?

No, a me va meglio il Polo.Almeno finché Forza Italia e An resteranno in-

sieme.E se nascesse un grande contenitore federali-

sta comprendente la Lega?Io ho fondato l’Unione Federalista per quello,

vediamo di unirci tutti noi che siamo federalisti.Quindi potrebbe essere un contenitore che

comprende anche la Lega...Sarei il primo a patrocinare l’ammissione del-

la Lega in una Unione federalista, però ci voglio-no patti molto chiari per stabilire cosa facciamoe non continuare a fare come i miei colleghi de-putati e senatori federalisti “io che sono federali-sta...”, “dimmi che cosa vuol dire”, “io non loso”. Ma è naturale, lei pensi che Berlusconi miha detto in un momento di raptus “mi dai lezio-ni di federalismo?’. “Volentieri, passeggiamo neltuo parco e intanto che passeggiamo ti spiego”.

Professore, ci spiega che cosa voterà ai refe-rendum?

Devo ancora pensarci, a me quello sui sinda-cati mi piace troppo. Tagliare i sindacati, zac,che bella cosa.

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Visto, professore? Bossi è riuscito a spuntarlaanche su D’Alema.Bossi è solo prigioniero di se stesso e fa avan-

ti e indietro chiuso nella sua gabbia. Gianfranco Miglio, ex ideologo della Lega, os-

serva e valuta da lontano le prestazioni del se-natur da Zagabria, i diktat che impone al cen-tro-sinistra, la strafottenza dei suoi colonnelliche a Roma dettano condizioni anche a D’Ale-ma, e tuttavia non s’impressiona.

Umberto è in trappola: comunque giri e rigiri,i potenziali alleati sono tutti nocivi per lui, avràsempre la difficoltà di dover scegliere una preci-sa collocazione elettorale.

Gli alleati saranno nocivi, ma anche Bossi loè per gli alleati, non le pare?

Bossi non sarà mai un uomo di governo. Al-l’interno di qualsiasi coalizione, sarà sempre co-

lui che rompe le alleanze, la sua è una funzionenaturalmente destabilizzante.

Però è uno che si fa valere. Persino il Pds, dal-l’alto del suo 25 per cento, si è dovuto inchinare.

Bossi ha coraggio, all’apparenza, sul palcosce-nico trascina le masse, dà l’impressione di unuomo forte. Ma io lo conosco, quando si trova difronte a uno che sospetta sia più forte di lui,Umberto s’accuccia.

Sui referendum non è D’Alema che si è accuc-ciato?

D’Alema lo vedono tutti che non è un eroe. Maquando Bossi ha visto che tutti i partiti eranocontrari alla prospettiva federalista, si è accuc-ciato.

Perché allora la Quercia ha accettato di scen-dere a patti?

Nelle sue condizioni, il Pds è costretto ad an-dare a raccattare i voti di tutti i gruppuscoli. Lofa con i verdi, addirittura con Rifondazione. Varacimolando i frammenti per una ipotetica, fu-tura maggioranza.

D’Alema chiede le elezioni in ottobre, mentreBossi non le vorrebbe mai...

È ovvio. Le potrebbe volere solo se si realiz-zasse una condizione del tutto improbabile: chenel momento stesso in cui riesce a guadagnareun poco di vantaggio, subito ottenga di tornarealle urne.

Bossi è quindi un elemento di perenne desta-bilizzazione...

Intendiamoci. La sua natura destabilizzantecorrisponde allo spirito della Lega. Quando Um-berto annunciò che avrebbe fatto un partito digoverno, io non ero d’accordo. La Lega è semprestata un elemento distruttivo della Prima repub-blica, il suo compito è precisamente quello dicontinuare nella sua azione destabilizzante e di-struttiva, visto che ancora non siamo nella Se-conda repubblica.

Miglio: l’obiettivo di Umberto è destabilizzare

Il Profesur spiega l’ultimo voltafaccia

di Marco Ventura

Il Giornale, 24 maggio 1995

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Quindi lei concorda col senatur?La funzione di rottura va fatta sino in fondo e

in modo consapevole, mentre lui agisce d’istin-to: qualche volta imbrocca, più spesso sbaglia, enon ha mai consapevolezza di quello che fa. Ep-pure, la Lega è realmente entrata in una serie diamministrazioni locali ed enti pubblici. Quindiuna contraddizione c’è, la fase rivoluzionaria èfinita. Io suggerirei di mettere da parte Bossi perun paio d’anni...

Vuol dire ibernarlo?Sì, poi dopo due o tre anni arriverà il momento

in cui tornerà indispensabile il suo ruolo di capo-popolo rivoluzionario, come elemento dirompen-te della crisi finale della Prima repubblica.

Nel frattempo vedrebbe bene Irene Pivetti allaguida del Carroccio?

No, lei no, ha una componente confessionaletroppo forte, mentre la Lega è un movimentolaico.

Qualche previsione sull’esito dei referendumtv?

Non saprei, vedo una situazione di grandeequilibrio.

Sono più importanti i quesiti sulla Mammì oquelli che aboliscono l’esclusiva rappresentanzasindacale di Cgil-Cisl-Uil?

I referendum sul sindacato. E non perché ioce l’abbia col sindacato, ma perché nessuna as-sociazione privata può pretendere, sotto il profi-lo formale e costituzionale, l’automatismo delcontributo. Lo strapotere sindacale nasce pro-prio da lì, dalla trattenuta automatica in bustapaga.

Miglio: no, non è un reato“Nessun avvicinamento a Umberto, ma questa volta

parla di un diritto naturale”

di G. L. Paracchini

Corriere della Sera, 27 luglio 1995

L’accenno alla secessione un illecito penale?No, non condivido affatto l’idea di Scalfaro.Ma scherziamo? Tutte le comunità devono

poter scegliere in qualsiasi momento con chistare e a quale ordinamento riferirsi. Dunque lasecessione è un diritto naturale, un principiometacostituzionale che in quanto tale vienemolto prima di qualsiasi Costituzione..

Dal fresco di Reischach, sopra Brunico, il se-natore Gianfranco Miglio entra in polemicacon il presidente della Repubblica e dispensa,via telefonica, frecciate e nozioni di filosofia deldiritto. È in forma il professore: in questo buenretiro da anni pone le basi per le strategie d’au-tunno. Andare controcorrente non lo ha maispaventato: tanto meno nell’amato paesaggioalpino.

Il fronte politico punta l’indice contro il Par-lamento mantovano? E lui si mostra possibili-sta:

Potrebbe essere uno degli strumenti cui ricor-rere se non ci libereremo presto della prima Re-pubblica. Scalfaro fa bene a dirsi vincolato algiuramento verso la Costituzione, però è chiaroche a questo Paese serve un cambiamentoprofondo...

Senatore, non è che la vacanza in montagnal’ha riavvicinata a Bossi?

Oh Signore, questa poi... Sono soltanto con-vinto che arriveremo al momento drammaticoin cui dovremo superare i vincoli della Costitu-zione, anche se non so quando questo avverrà.

Non a caso tutta l’opera mia e dei colleghiparlamentari federalisti è tesa a preparare quelmomento.

Sarà, però sulla storia della secessione lei og-gi prende le distanze soprattutto da Scalfaro.

Mi preme il discorso sull’illecito penale perchédavvero non esiste. Bossi poi è stato preso trop-po sul serio. Lo conosco come le mie tasche, ci

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ho scritto un libro: aveva bisogno di spararequalche cosa di eclatante perché la sua gente invacanza potesse pensarlo in forma e aggressivocome al solito.

Perché lei invece lo vede un po’ sciupato?Ha un grave problema di sopravvivenza politi-

ca. Ecco perché grida. Ed ecco perché questastoria del separatismo, urlata a Mantova, non hamolto senso: Bossi parla esclusivamente per mo-tivi personali ed elettorali.

Più che alla Repubblica del Nord, pensa all’e-ventualità di elezioni molto vicine e si sentebraccato. Ha paura di non restare a galla, di es-sere macinato. Se si votasse presto per lui ci sa-rebbe una drastica cura dimagrante. E il presi-dente...

Il presidente?Sì insomma Scalfaro, presidente intelligente,

queste cose le sa benissimo e sa di che pasta so-no le uscite di Bossi...

Senatore, però dopo il grande freddo qualcu-

no sostiene che Bossi abbia nostalgia e le stiafacendo una assidua corte.

Di solito quando uno è corteggiato se ne ac-corge e io fortunatamente non me ne sono ac-corto.

E quell’offerta alla presidenza della Commis-sione bicamerale per le Regioni?

Ah quella è una storia divertentissima. L’offer-ta a dire la verità me l’ha fatta in persona l’ono-revole Pivetti e io ho pensato che a quel punto ileghisti mi avrebbero votato. E invece al mo-mento decisivo hanno puntato su un certo Fon-tanini e io ci ho riso sopra.

Riso un po’ amaro?No, giuro. Ho tratto le mie conclusioni e ho

capito che ai vertici della Lega non c’è unità didecisione ma soltanto idee confuse...

Questo equivoco mi ha fatto piacere perchécosì è chiaro che non hanno bisogno di me eperché risulta evidente che le nostre posizionisono lontane e addirittura contrapposte.

Il gioco dei tre cantonidi Vito Biello

Mondo Economico, 31 luglio 1995

La spaccatura del Paese è economica e politi-ca. Gianfranco Miglio non ha dubbi, bisognaquindi codificare sostanzialmente quello

che è nei fatti. Tre cantoni che rispondono ai di-versi interessi economici e agli stessi orienta-menti elettorali dei cittadini (destra al Sud, si-nistra al Centro, Polo liberaldemocratico alNord).

Professor Miglio, due-tre Italie irrimediabil-mente divise?

La spaccatura c’è sempre stata e l’agonia dellaPrima Repubblica l’ha semplicemente aggravata.Il problema non è più quello di interrogarsi madi trovare soluzioni: o si va avanti su questastrada, rendendo l’Italia un Paese sempre piùsciagurato, o si fa una vera costituzione federale,accorpando le Regioni in tre grandi cantoni: ilNord, il Sud e il Centro che funge da cuscinetto.

Intanto come si affronta il problema del Mez-zogiorno?

Con un taglio netto ai finanziamenti a gogò.Bisogna mandare meno soldi al Sud, se non nel-la forma di aiuti allo sviluppo dell’imprenditorialegata in particolare all’agricoltura e al turismo.È decisivo invertire questo processo, tanto piùdrammatico perché continuo.

Proseguendo di questo passo il divario in Ita-lia non può che crescere.

Il divario cresce, gli interessi del Nord e quellidel Sud sono diversi. Qualcuno avanza l’allarmedi un rischio concreto di secessione...

Il diritto alla secessione dovrebbe essere pre-supposto di tutte le Costituzioni. Ma è un dirittoplatonico e teorico, perché in realtà i Paesi nonpossono allontanarsi. Un singolo può decidere ditrasferirsi in un altro posto, ma i Paesi non han-no mica le rotelle. Noi, il Nord, saremo quindisempre contigui al Sud e avremo sempre rap-porti. Però c’è una cosa: se il Mezzogiorno con-tinua a pretendere aiuti ai consumi, praticamen-

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te finanziamenti a fondo perduto, finirà per tra-scinare anche l’economia del Nord nel baratro.

Lei dunque ripropone la “Questione setten-trionale”?

Certo, e l’hanno già vista anche gli economi-sti. Ma il problema vero è un altro: c’è un’inca-pacità strutturale del Nord a farsi carico dei suoidiritti. Vedo un atteggiamento di disinteresseper i problemi politici da parte dei lombardi: lastoria si ripete, i lombardi sono abituati a cerca-re un potere costituito a cui collegarsi, con ilquale fare affari, finanziandolo. Da un lato svi-luppano l’attività economica, dall’altro sembra-no incapaci di farsi carico dei grandi cambia-menti istituzionali. Sto arrivando a questa deso-lante conclusione.

Il Parlamento del Nord dunque è solo uno slo-gan?

Sì, un episodio folcloristico.Umberto Bossi non la pensa così però...No, non è niente di più di uno slogan. I lom-

bardi non ci credono. Bossi insiste perché sa cheper la sua sopravvivenza i lombardi dovrebberoribellarsi. Ma si ribellerebbero soltanto alcunepopolazioni delle vallate, non i grandi centri del-la pianura. Questi non solo non accettano l’ideadella secessione, ma non vogliono saperne di

cambiare il sistema, perché pensano si possacontinuare così. E non si scuotono nemmenosapendo che questa montagna di cambiali che èil debito pubblico finirà sulle spalle dei figli e deinipoti.

Lei dunque rilancia l’Italia dei tre cantoni.Ma è un federalismo possibile?

Certo, è il solo possibile. Non ci sono altre solu-zioni, il destino di tutti gli Stati accentrati del-l’Europa sarà quello di una Costituzione federale.

Perché tre cantoni?Perché corrispondono alle tre grandi forze po-

litiche presenti oggi in Italia. Il cantone del Sudè dominato dalla destra e avrà un governatorerappresentante della destra. Quello del Centro èrappresentato dalle sinistre, quello del Nord è li-beraldemocratico, con possibilità di essere più omeno liberale, più o meno socialdemocratico.Questo significa che nel governo direttorialedella federazione si ricostituisce nel suo aspettobuono il consociativismo. Cioè si uniscono leforze che sono in campo.

Tre cantoni e due poli?No, il sistema bipolare, com’era prevedibile,

non ha funzionato in Italia. L’idea che la sinistrao il centrodestra possano fare una politica buonaper il Sud e per il Nord è assurda. Con i tre can-

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toni si codifica quello che è nei fatti. Oggi c’èun’Italia economicamente divisa in due e politi-camente divisa in tre.

Ora la parola è al Parlamento dunque?La Bicamerale della scorsa legislatura era arri-

vata a proporre un progetto, quasi federale, ditrasferimento del 70% delle competenze gover-namentali, lasciando però le stesse Regioni;quindi troppo piccole e deboli, incapaci di resi-stere alle lusinghe del potere centrale. Si trattadi riprendere la strada dell’undicesima legislatu-ra, ma con realismo e concretezza.

Le forze politiche appoggeranno il suo pro-getto?

Dovranno arrivarci. Non si può salvare il siste-ma rabberciandolo. Le strade sono due: o si pre-para il cambiamento nella relativa pace oppurein una grave crisi istituzionale e politica.

Professor Miglio, unità addio allora?No, non è l’unità che si perde.I sistemi federali consentono la coesistenza,

mentre fino a oggi abbiamo avuto un’unità chemascherava le diversità e anzi le accresceva. Unastruttura federale è la migliore garanzia dell’u-nità nella diversità. Quest’unità pelosa e senti-mentale è servita invece solo a creare il disastroche conosciamo. E che pagheranno le future ge-nerazioni.

“Giusta la lotta per la libertà”Gianfranco Miglio è convinto

sia meglio ribellarsi che vivere come schiavi

di Matteo Mauri

L’Indipendente, 2 settembre 1995

L’atto rivoluzionario, quando un uomo lottaper la propria libertà, è il tipico caso diviolenza giusta.

Il professor Gianfranco Miglio non ha dubbi:meglio ribellarsi che vivere da schiavi. E sullasituazione italiana è ancora più esplicito: Seusando i mezzi del diritto non si riesce a cam-biare il sistema e quelli della Prima Repubblicatornassero a spadroneggiare, allora l’uso dellaviolenza diventerebbe lecito. È meglio la rivoltache tornare sotto la Prima Repubblica.

Esiste quindi una violenza giusta, Professore?In politica la violenza è una componente natu-

rale. La tendenza dell’umanità è stata quella disostituire alla violenza le procedure giuridiche.Le istituzioni hanno avuto lo scopo di eliminare,almeno parzialmente, la violenza fisica.

L’esempio più lampante è rappresentato dalvoto. Per intere generazioni gli uomini risolve-vano i problemi con le armi in pugno: i più fortiscacciavano i più deboli.

L’altro punto fondamentale su cui si fondano leistituzioni riguarda il principio di maggioranza.

Quindi con le istituzioni si elimina la violenza?Le istituzioni tentano di eliminare la violenza.

Torniamo al principio di maggioranza. Non èche vincano i più intelligenti, vince chi riceve lametà più uno dei consensi, perché si presuppo-ne che sia il più forte.

La violenza diventa quindi l’arma della mino-ranza?

La violenza è la risorsa della minoranza, che laesercita per sovvertire il monopolio della sovra-nità. Ciò non significa che la maggioranza nonusi la violenza. La maggioranza ha il diritto diusare la violenza e se ne serve per piegare gli av-versari.

Quando le istituzioni sono deboli, allora è piùprobabile il ricorso alla violenza?

Certo. Come spiego nel libro che sto scrivendoIn difesa di una Costituzione federale, sono con-vinto che un sistema maggioritario che si basisulla metà più uno dei consensi non possa starein piedi.

La maggioranza deve governare col consensodella minoranza.

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Ma in questo caso non si rischia il consociati-vismo?

È il modo con cui si realizza il consociativi-smo che ne determina la bontà o meno.

Noi siamo stati abituati ad un consociativismocreato per spartire la torta. Una maggioranzamoderata offriva alla minoranza di sinistra lapartecipazione al potere con un unico obiettivo:mangiamo tutti insieme. Questo sistema ha por-tato al debito pubblico e alla rovina del Paese.Ma quando si tratta di fare profonde modifiche,come quella costituzionale o federale, c’è biso-gno del consenso della minoranza.

È questo che accade nel nostro Paese? In Italia il diritto non viene mai rispettato. È

concepito come qualcosa per fregare gli altri.Anche la Costituzione è un modo per imbro-gliare chi sta sotto. É tipico degli italiani. Gli

anglosassoni hanno invece un altissimo concet-to delle istituzioni. Prima vinceva il più forteesercitando la violenza, ora vince il più furbo,che a suo modo usa una sorta di violenza.

Come è possibile allora cambiare le regole?La lotta per cambiare totalmente la Costitu-

zione è durissima. Io tento di far nascere unanuova Carta che scaturisca dalla vecchia (utiliz-zando l’articolo 138), rispettando il diritto, sen-za usare violenza.

E se non fosse possibile?Non sono d’accordo con una corrente della

Chiesa, quella dei pacifisti integrali, che preferi-scono sopportare le ingiustizie piuttosto che ar-rivare alla violenza. Se un uomo è libero, nonaccetta la schiavitù e se usa la violenza, moral-mente c’è una giustificazione. La violenza è lalevatrice della storia.

Miglio: “Il Veneto guiderà i secessionisti del Nord”

di Marco Ventura

Il Giornale, 24 novembre 1995

Iveneti sono già mezzi svegli. Se la sopravve-niente crisi economica sveglierà anche lom-bardi e piemontesi, che invece dormono, tutti

insieme trascineranno l’Emilia. E allora Bossicavalcherà non più un ronzino, ma una tigre.Gianfranco Miglio sente odore di secessione. Ilsenatore ed ex costituzionalista del Carroccioliquida come vecchie le rivelazioni del leghistaEnzo Erminio Boso sulle tre ipotesi di macrore-gione: l’lnsubria (Varese, Como, Novara e Can-ton Ticino), l’Euroregio (Trentino, Alto Adige eTirolo) e la Sardo-Corsa. È una manovra diver-siva di Boso - dice Miglio -. Se c’è una minacciaall’unità nazionale, non arriva dal Tirolo, ma dalNord-Est. Finché gli affari vanno bene... maquando la pacchia finirà, perché la struttura po-litico-amministrativa e di governo è sempre piudebole.. si arriverà a un punto in cui una similefragilità dovrà spezzarsi. E noi federalisti cattivi,cioè veri, aspettiamo quel momento. L’atmosferaè adatta, i veneti cominciano sentire che il loro

avvenire è legato ai tedeschi e alla Mitteleuropa.Con la fine della guerra nella ex Jugoslavia, leprospettive economiche della ricostruzione sonoenormi, mentre la struttura dello Stato è inade-guata. Allora...

Crede possibili sviluppi violenti?Sì, l’avvicinarsi della soluzione intelligente,

quella federale, comporta il passaggio per il mo-mento secessionista e indipendentista. Lo si èvisto in Canada e in Belgio. C’è un momento incui dicono: bè, allora ce ne andiamo per contonostro. E in nessun Paese è facile dirlo come inItalia, tanto più che la Finanziaria ha ripreso laprassi del finanziamento a fondo perduto al Sud.

Quando mai una secessione si è basata solosu ragioni economiche?

L’elemento economico è forte e può essere lacomponente che innesca le altre. Slovenia e laCroazia, che mantenevano la baracca jugoslava,a un certo punto hanno detto basta.

Faremo la stessa fine?

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No, sono cretinate. Tra di noi non ci sono ledifferenze etniche che innervano gli slavi delSud.

C’è però il rischio di un distacco violento...Non penso ad azioni militari. Una delle prove

che le nostre Regioni si sono castrate è che po-tevano creare una polizia regionale, era nelle lo-ro competenze, ma nessuna l’ha fatto.

Un minimo di polizia regionale sarebbe statoqualcosa attorno a cui si poteva annodare unelemento di resistenza allo Stato centrale.

Un bel pericolo!

Certo, fortuna che non è accaduto. Ma brucia-re qualche questura o prefettura poteva essere,per gli autonomisti, uno dei modi per far capireche fanno sul serio: senza uccidere, solo brucian-do un po’ di carte, lo hanno fatto anche al Sud.

Qual è il futuro delle macro-regioni?Da noi, solo la nascita di uno Stato federale

che raccordi le diverse macro-regioni potrà im-pedire ai progetti separatisti di prendere corponel giro di poco tempo. In Italia le parole preval-gono sempre sui fatti: il fatto non c’è ancora, mase ne parla.

“Sarà la disperazione a salvarequest’Italia”

Miglio: la crisi economica ci farà accettare il federalismo

di Stefano Lodi

Il Giorno, 1 dicembre 1995

Nella elegante sede della Fondazione perun’Italia federale, incontro colui che perqualche tempo è stato ritenuto la mente

pensante della Lega.Professor Miglio, scusi se non la chiamo sena-

tore, ma io l’ho sempre considerata un profes-sore.

Sa, quando il Senato era una posizione vitali-zia, ma non come i senatori a vita attuali, erauna cosa seria, ma oggi...

Si può dire che con la Lega lei ha avuto unadisillusione.

No, non una disillusione; io sapevo quando hochiesto di incontrarmi con Bossi – perché sonostato io a chiederlo - che l’uomo era un rozzopopolano, però pensavo che avesse sotto unaqualche idea, poi mi sono accorto che non pen-sava niente né aveva voglia di pensare a qualchecosa. Il programma federalista per lui deve re-stare una cosa estremamente vaga, da adoperar-si da una parte o dall’altra. È venuto fuori un ti-po di uomo politico con cui ho capito che nonvaleva la pena di perdere tempo, ma non è statauna disillusione. Il mondo della politica è fattotutto cosi.

Ma lei che viene da un mondo diverso, dalmondo della cultura, come ci si è ritrovato?

Tutto sommato non ho mai cessato di studiarela politica. Tutte le mie ricerche storiche sonovolte a cercare radici profonde al mio federali-smo.

È stata fatta la distinzione fra il politico intel-lettuale e il politico di professione. Lei si è tro-vato come senatore a dover fare il politico perprofessione.

No, perché ho posto sempre come condizionedi essere un indipendente e ho detto ai mieielettori nel mio manifesto elettorale nel ’92 epoi nel ’94, e se mi ricandiderò ancora lo repli-cherò con maggiore chiarezza, che io non aiu-terò nessuna persona e nessuna categoria. Io so-no andato in Senato per cercare di risolvere iproblemi costituzionali. Credo di fare con que-sto un favore a tutti perché se le cose vanno co-me io sto battendomi perché vadano non dovre-te più inchinarvi a nessuno.

E com’è stata questa esperienza?Sta andando avanti con enormi difficoltà, per-

ché io non sono un idealista, cioè non credo cheil federalismo migliori gli uomini. Gli americani

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credono che il federalismo sia un modo per fa-vorire l’individualismo e la libertà individuale,però l’individualismo è una cosa che ha i suoi li-miti, e anche la libertà.

Non ho capito se parla di un mondo nuovo odi un uomo nuovo.

L’uomo è sempre quello. La bellezza dei nostristudi consiste nel constatare che la natura del-l’uomo non è mai cambiata.

Dove andiamo?Adesso siamo in una fase di confusione gene-

rale dove è ripugnante intervenire. I sette puntidi Dini, la ripresa di Scalfaro sono tutte chiac-chiere senza senso perché per realizzare la mag-gior parte dei sette punti bisogna cambiare laCostituzione, fare una commissione bicameraleCostituente per replicare quella che è stata l’un-decima legislatura a cui io ho partecipato fino aun certo punto in maniera intensa anche comeguida per la riforma del governo e del Parlamen-to, ma poi mi sono accorto che i miei interlocu-tori non volevano cambiare niente e allora arri-vederci, non ho detto addio, arriverà il momentoin cui li vedrò in mutande.

Secondo lei, come si esce da questa situazione?Il problema cruciale di fronte al quale siamo è

questo: noi non siamo mai stati uno Stato euro-peo. La tendenza al parassitismo è sempre statala nostra caratteristica. Il grande blocco che hafatto la dittatura fascista era fra proletari e svel-toni della finanza chesperavano di far pagaretutto ai ricchi e ai co-munistardi. QuandoMussolini parlava diregimi demoplutrocra-tici, cioè quelli cheavevano i soldi, ai qua-li avremmo dichiaratoguerra, la gente dicevabravo, ciapum quaicoss. Era il concettodella rapina, tipico diun popolo che è capa-cissimo di lavorarequando ha l’impressio-ne di essere sotto lafrusta, come nel’45/’46, fino al ’50, la-vora come un matto enon fiata, però appenaappena ha l’impressio-ne di poter alzare su latesta vuol vivere alle

spalle degli altri. Il fascismo ha detto: venite connoi e vedrete che ci faremo mantenere dai con-quistati. È andata come è andata.

Poi è venuto il grande blocco storico fatto dal-la Dc e i popolani e i potenziali operai comunar-di che c’erano nelle sue file - io ricordo gli acli-sti e i cislini - ricordo che quando venivano incasa mia guardavano i miei libri e dicevano: tusei un ricco, e lo dicevano con rancore.

La Democrazia cristiana ha messo insiemequesti con gli sveltoni. A carico di chi hanno fat-to l’alleanza? A carico del denaro pubblico, per-ché nelle imprese pubbliche questi trovavano ilposto e quelli facevano i soldi alle spese di tuttoil Paese. Infatti, dai e dai, 2 milioni di miliardi didebito pubblico. Perché è cosi profondamenteimmorale la nostra politica finanziaria? Perchécerca di scaricare tutto sui nipoti.

Già, ho anch’io l’impressione che i figli nonfacciano più in tempo.

Arrivati a questo punto c’è chi dice - sono ivecchi democristiani, ma anche Lamberto Dini esoprattutto Oscar Luigi Scalfaro - che questoPaese si può governare solo così.

Cioè si può governare solo dal centro.Si, però il brutto equivoco è che non si può ri-

correre al debito pubblico, alla macchinetta concui si stampano Bot e Cct, perché se si ricomin-cia a fare il gioco dell’incremento del debitopubblico tutto il mondo dirà basta alla lira.

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Intendiamoci, se possono ci succhiano il san-gue, comprano a brevissimo i nostri titoli pub-blici perché hanno un interesse elevato, lucranoe poi vendono subito per non restare con la codanella tagliola. Però è chiaro che se domani rico-minciassimo cosi nessuno investe più, neanchea tre mesi. Ecco perché è irreale questo sognodella restaurazione.

Qual è l’alternativa? L’unico modo è quello di diventare poveri, ma

far quadrare i conti, ridurre enormemente il nu-mero di coloro che vivon o parassitariamente.

Non ho capito bene, mi consideri come unsuo allievo stupido, mi ripete il rapporto fra larestaurazione centrista e il debito pubblico?

L’operazione centrista è un’operazione essen-zialmente impossibile perché non c’è il “presup-posto economico-finanziario per farla vivere. Sei centristi andando al potere dicessero: gente,cominciamo a ridurre il reddito dei Bot e dei Ccte consolidiamo il debito pubblico, cioè si met-tessero a fare i virtuosi, verrebbero spazzati via.

Ecco perché con questo regime di Stato cen-tralizzato non si risolve nessun problema.

Perché fare i virtuosi significa provocareun’insurrezione; allora non c’è che da cambiarela struttura del Paese, in modo che il rapportofra economia virtuosa e assistenzialismo si ridu-ce a livello di unità territoriale e si può control-lare.

Il federalismo è un poderoso freno e infatti èparente stretto del verdismo; con gli amici verdici troviamo molte volte d’accordo, verdi e fede-ralisti pensano a un freno allo sviluppo contro latesi folle degli economisti che urlano “Sviluppo,sviluppo, sviluppo!”. Già, ma fino a che limite? Ilfederalismo è un regime frenato, come si vede inSvizzera, dove i grandi progetti che vorrebbe ilGoverno federale vengono tutti stoppati dai Go-verni cantonali che badano al conto, al soldo.

Lei non ha l’impressione che proprio in questigiorni ci sia una litigiosità al di fuori dei limiti?

Una litigiosità non seria.Allora cosa facciamo? Crolla tutto?È l’eterna storia di quando non ci sono più i

soldi. Bisogna trovarli dove sono. Ha notato chei democristiani sono riusciti a far eleggere Guz-zetti dalla Provincia di Como e un suo strettosocio dalla Provincia di Lecco alla Fondazionedella Cariplo? Cioè i vecchi democristiani dico-no: qui i soldi col debito pubblico non si posso-no più ottenere, saltiamo addosso alle banche,ameno li c’è un po’ di denaro. Infatti quando èstato proposto il nome di Guzzetti il presidente

della Provincia di Como, che è un cattolico di si-nistra, ha detto: così gli diamo il mandato di ro-vesciare la linea politica della Cariplo, che fin’a-desso ha sempre sostenuto i piccoli e medi im-prenditori, e di sostenere invece i ceti bisognosi,la solidarietà. Cioè di ricominciare con la lineadel parassitismo.

Qual è il movimento che attualmente sta diri-gendo?

Il movimento federalista è quello che proponeuna Costituzione che io ho esposto e che illu-strerò in un libro di prossima pubblicazione.Una Costituzione molto rigida e virtuosa.

Presenteremo a Milano il Partito Federalista,che è costituito in parte da gente uscita della Le-ga Nord ma anche da gente che ha, come il mioamico Tremonti, la convinzione che ci vuolequella cura. È un partito monotematico che haper scopo soltanto quello di realizzare in Italiauna Costituzione federale, battendosi controtutti i falsi federalisti, che sono come quelle ra-gazze che non vogliono dar via la cosa più im-portante e fanno il petting.

La Costituzione che io ho scritto contemplauna vera struttura federale, dalla radice munici-pale fino al vertice.

Quindi nel caso di elezioni lei si presentereb-be con una programma molto semplice: l’attua-zione di questa nuova Costituzione.

Noi siamo schierati con il Polo della Libertàfinché in esso ci sarà federalismo e presidenzia-lismo, perché ho convinto Fini e anche Berlu-sconi che solo con un grande cambiamento siesce dall’attuale situazione.

Lei è quindi convinto che la destra sia in que-sto momento più rinnovatrice della sinistra?

Se tiene duro. Ma io ho già detto che saremodegli alleati scomodi, perché al momento delleelezioni io chiarirò ed esigerò che nel program-ma ci sia tutto. Solo per disperazione gli italianiadotteranno una Costituzione federale, soprat-tutto per motivi di carattere economico.

Sarà la grande crisi economica che imporrà ilcambiamento.

Tutto sommato mi pare che lei venga facendoun discorso piuttosto in negativo, piuttosto pes-simistico.

Io credo che se, per un miracolo, gli italianiriusciranno a dare presto questo colpo di schie-na, questo colpo d’ala, data la loro natura po-trebbero porsi alla testa di tutti i mutamenti po-litico-istituzionali che ci saranno nei prossimicinquant’anni. Potrebbero passare dal peggioredei regimi politici al più virtuoso.

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Professore, torna con Bossi? “No, no... Peròabbiamo studiato un’alleanza”, ammette illeader del Partito federalista, Gianfranco

Miglio, appena rieletto senatore nelle liste delPolo. Gliel’ho detto a Bossi, qualche giorno fa:adesso è il momento, vai avanti! E spero che ab-bia accettato anche la mia idea che il Comitatodi liberazione della Padania, o Clp, sia un conte-nitore di tutti i movimenti federalisti. Una voltastabiliti i criteri, si può agganciare anche il miopartito.

Non sarà un Clp segreto, né armato, ma staarrivando il momento in cui dovremo unircitutti per dare la spallata decisiva e abbattere laprima Repubblica. Come il Cln riunì i partiti perliquidare il fascismo, il Clp liquiderà la Costitu-zione romana.

Intende la Costituzione italiana...Bossi è fermo quando dice che bisogna arriva-

re a due Banche. Se le cose restano come sono,non si esce dalla Costituzione “romana”, intolle-rabile perché il Nord finisce risucchiato. Giànella primavera del ’93 avevamo suggerito dinon pagare alcune imposte.

Il prossimo passo di Bossi sarà l’obiezione fi-scale?

Credo di sì. Nel ’93, dovemmo riconoscere chel’opinione pubblica non era preparata, adesso in-vece il Nord-Est sta trainando Lombardia e Cen-tro-Nord. E Bossi ha colto il momento. A uncerto punto bisognerà mettersi a un tavolo edettare sul tamburo la nuova Costituzione.

La differenza tra me e Bossi è che lui va avanticon la secessione perché non crede nella possi-bilità di una Costituzione federale, mentre io cicredo, e ho un modello di federalismo duro,avanzato.

La Costituzione federale determinerebbe lo

sfasciamento della Repubblica, lo so, la rotturadelle sue istituzioni.

Giovedì s’insedia il nuovo Parlamento. I par-lamentari della Lega ci resteranno per molto?

Non lo so. La secessione parlamentare, cioèl’Aventino, se ben condotta avrebbe potuto bloc-care la crescita del fascismo. E l’Aventino tornaattuale, si tratta di capire quando. I leghisti sonoun’ottantina, e più compatti del ’94... La situa-zione si sta rapidamente deteriorando, si posso-no determinare situazioni imprevedibili, fino al-la rottura delle istituzioni e del sistema politico.Io riconosco di aver sempre aspettato questomomento. Aggiungo che Bossi è stato moltosaggio a tirar fuori il caso della Cechia, perché siè separata dalla Slovacchia senza una sola vitti-ma, ma anche in Bosnia le cose si stanno met-tendo a posto...

Dopo quattro anni di guerra e duecentomilamorti..

È diverso, nella ex Jugoslavia si scannavanogià ai tempi di Tito e dei Karadjordjevic. Noi no,e poi là ci sono le contrapposizioni religiose. Ilnostro caso è più vicino al Belgio e alla “Ce-

Miglio torna con Bossi: e ora rivolta fiscale

Il leader federalista, eletto con il Polo, fa la pace con il Senatur,rivendica l’idea del comitato di liberazione attacca

di Marco Ventura

Il Giornale, 6 maggio 1996

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chia”. Gli slovacchi volevano un sistema comu-nista, mentre i cechi hanno una vocazione eco-nomico-politica opposta.

Non credo a Bossi: i meridionali non potrannofare un’altra Taiwan o un’altra Corea, sviluppan-do un’economia autonoma. Credo che abbianola vocazione all’aiuto statale.

L’ordine pubblico resterà sotto controllo?Più che i carabinieri e la polizia, sarà la Guar-

dia di finanza a tentare di salvare una strutturaunitaria. Ma ormai non ce la fa più.

L’idea d’una grande operazione per sfruttare ilNord, tributario del Sud, è entrata nella testadella gente e non si ferma più. Anche gli ameri-cani lo sanno: qualche mese fa, è apparso unostudio per cui l’Italia ormai è destinata alla divi-sione.

Per un arco di tempo limitato il Nord potràancora aiutare il Sud, poi basta. Tanto, a un cer-to punto il sistema si autodistruggerà. La nostra

Algeria sarà economico-finanziaria e istituziona-le. Finanza e istituzioni andranno in tilt. Il pro-cesso si va accelerando, su questo siamo d’ac-cordo io e Bossi. E io sono suo alleato. Anche aBerlusconi dissi: ricordati che il mio obiettivo èlo stesso di Bossi, anzi è più integralista. Non il-luderti che io gli faccia la guerra.

Col rischio di una guerra vera?Niente guerra. Ulivo e Polo non hanno gli ele-

menti per padroneggiare la situazione. Maccani-co ha detto che ci vogliono i carabinieri e leriforme.

Ma io ho parlato con alcuni ufficiali delle forzedell’ordine: se ci riuniamo in riva al Po e procla-miamo la Padania indipendente che cosa fate, cisparate addosso? Mi hanno risposto: non ci so-gneremmo mai di farlo... Maccanico è un grandcommis, parla come i nobili prima della Rivolu-zione francese, che poi abbiamo visto che finehanno fatto.

“O col sangue o coi soldi”Sono le uniche due vie percorribili secondo il senatore Miglio

perché si possa realizzare il sogno secessionista di Bossi. In questa intervista il professore ex ideologo della Lega spiega

il proprio parere sull’ultimo insidioso tormentone della politica italiana: la Padania libera

di Carlo Silini

Corriere del Ticino, 7 maggio 1996

Senatore Miglio, torna con Bossi oppure no?No. Avevo preannunciato, quando mi sonoallontanato da lui, che saremmo tornati ne-

cessariamente vicini quando sarebbe stato ne-cessario dare insieme una spallata alla PrimaRepubblica per farla definitivamente cadere.

È quello che si sta verificando?Sì. Infatti quattro giorni fa ho detto a Bossi:

vai avanti perché è il momento giusto.E quali altri suggerimenti gli ha dato?Gli ho detto di predisporre i ganci in quella

struttura che sono i Comitati di liberazione del-la Padania, per attaccare tutti i movimenti fede-

ralisti che nasceranno o che sono già nati.Come il suo.Come il mio.Ci spieghi bene che cosa sono questi Comitati.È un’idea elementare. Una struttura politica

che diversifica l’atteggiamento del Parlamentodi Mantova, il quale ha una sua legittimità.

Le piacerebbe fare parte del Parlamento diMantova?

Non ne faccio parte e non ne voglio fare parte.Ma non escludo di andare a spiegare ai suoicomponenti la sua legittimità.

Torniamo ai Comitati di liberazione.

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Sono soltanto un’idea embrionale che biso-gnerà costruire.

Come mai Bossi chiede la secessione proprioora, dopo le elezioni politiche del 21 aprile?

Bossi ha sempre delle intuizioni. Poi è sempretoccato a me dare una forma istituzionale a que-ste intuizioni. Difatti quando io mi sono allonta-nato lui ha brancolato continuamente. In questocaso lui ha capito che l’orientamento dell’opi-nione pubblica era passato al di sopra del suopartito. È un movimento che ha una grande va-lenza perché supera la Lega, un moto di protestache raccoglie cittadini che mai avrebbero votatoper lui. Bossi ha intuito che questo spiazza tuttele istituzioni formali e mette in campo una vo-lontà del popolo che non si è espressa nelle isti-tuzioni formali, cioè nelle elezioni del Par-laménto. Così ha potuto dire: rinunciamo aduna Costituzione federale.

E perché?Per la diffidenza nelle istituzioni parlamenta-

ri: commissione bicamerale, assemblea costi-tuente, eccetera.

E ha perfettamente ragione. Non è che Bossi alzi il prezzo parlando di se-

cessione, mentre in realtà si accontenterebbedel federalismo?

Sa, lui ha il sospetto, e me l’ha detto, che il fe-deralismo non verrà mai accettato dalle altre re-gioni.

Perché loro quello che vogliono sono i soldi. Ese una Costituzione federale riduce l’accesso deldenaro al Sud, quelli del Meridione non ci stan-no.

Allora meglio puntare subito sulla secessione.E lei condivide il suo progetto?Io sono del parere che la Co stituzione federa-

le può essere capita almeno dai giuristi miei col-leghi meridionali che io stimo molto, a differen-za degli uomini politici con cui si trovano a con-tatto.

Ma come è possibile una “separazione con-sensuale” fra Nord e Sud, se il Sud non la vuole?

Bossi ha continuato a battere su di un puntosu cui io battevo quando ero con lui, ovvero laseparazione della Cechia dalla Slovacchia, che èun caso di separazione consensuale, senza spa-rare un colpo. È quello che speriamo possa acca-dere anche per la Padania.

E se non accade?Di fronte all’eventualità di un distacco totale

si può aprire la disponibilità ad una struttura fe-derale che però qui, tanto per usare un vecchiotermine, deve essere confederale.

Cioè di soggetti che possono staccarsi in de-termiinate condizioni.

Mi tolga un dubbio. Se l’Italia si divide in due,come viene ridistribuito il debito pubblico, chilo paga?

Il debito pubblico lo dovremo pagare in granparte noi. Nel mio libretto Italia ’96 spiego l’ipo-tesi di un grande prestito che Bossi garantisce anome e per conto di tutti gli ambienti economi-ci del Nord con una forma di sottoscrizioni diobbligazioni.

L’ultima volta che ho visto Bossi gli ho detto:

Umberto, la libertà la si conquista in due modi,o con il sangue o con i soldi. Noi dobbiamo cer-care di guadagnarla con i soldi.

Ma prima bisognerà comunque cambiare laCostituzione.

No, la Costituzione si cambia a tambur bat-tente. A volerla fare a tavolino ci metterebberotra i piedi una quantità di difficoltà. Ho sempresostenuto che il passaggio dalla prima alla se-conda Repubblica avverrà in una situazione ditensione.

Bossi ha capito che il consenso popolare staprendendo dimensioni tali che avverrà il recupe-ro delle decisioni da parte del popolo. L’annulla-mento delle istituzioni.

Votazioni inutili, quindi, le ultime.Il risultato può andare com’è, perché tanto né

Prodi, né Berlusconi avrebbero potuto o potreb-bero fare qualcosa. Anzi potranno solo innescareun’ulteriore reazione nell’opinione pubblicaperché dovranno di nuovo rimetter mano allapressione fiscale, per avvicinare l’Italia all’Euro-pa. Tutto questo faciliterà il compito a Bossi.

E secondo lei quanto manca a questo mo-mento, alla Padania indipendente?

Se fossi in grado di annunciarlo sarei un ma-go.

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Eadesso? Non bisogna lasciar marcire questobisogno di secessione che c’è nel Nord. Tremesi senza pagare le tasse, e lo Stato unita-

rio metterà le chiappe a terra. Referendumspontaneo e via. Potranno tentare di uccidereBossi, assoldando un gruppetto di mafiosi. Seaccadesse qualcosa a Bossi – avverte - ci sarebbeuna rivoluzione, scorrerebbe molto sangue.

Gianfranco Miglio è raffreddato. Ma ha senz’al-tro la testa calda. Sente odore di rivolta, e ne go-de. Ha stretto alleanza con Umberto Bossi. Nonrompe con Berlusconi, anche se è gelido con lui.Gli lascia una chance: scegliere il federalismo,stare dalla parte del Nord. Nella sua casa di Co-mo, Miglio spiega la sua visione dell’Italia. Anzidelle Italie. Si è riconciliato con Bossi, alla finedella fiera? (Miglio tossisce, l’adorata moglieMimì lo accudisce). Che cos’ha? Siamo lì per larivolta, e lei sta male?

Cosa vuole... Sono andato al ricevimento dalPapa, e mi sono preso l’influenza. Ho tenuto latesta scoperta: sono abituato a rispettare l’auto-rità costituita, anche se lavoro per distruggerle.Quelle civili però, non il Papa (ride).

Cos’è accaduto con Bossi e con Berlusconi?Mi allontanai dalla Lega quando Bossi, per ran-

core personale verso Berlusconi, rinunciò a otte-nere l’avvio di un cambiamento federale della Re-pubblica stando dentro il governo. Un errore gra-vissimo. Non mi ascoltò, me ne andai: svalutava imiei consigli. A Berlusconi dissi: “Io resto Miglio.Mi batterò come una iena per le mie idee”.

E quali sono?Non ne ho una soltanto, che cosa crede. In sin-

tesi: o federalismo oppure, se non ce la si fa, se-cessione. Questo mi divide da Bossi, che punta al-la secessione, e soltanto in caso di stop, ripieghe-rebbe sul federalismo. E per ambizione personale,che peraltro capisco. Se ci fosse secessione po-trebbe essere presidente della Padania. Ma diun’Italia federale mai, e lo sa.

Torniamo a Berlusconi. Era d’accordo sullasua linea?

Mi disse: “Mi darai ripetizioni di federalismo”.Lo misi sull’avviso che alla lunga ci si sarebbe

dovuti alleare di nuovo con la Lega e con tutti imovimenti federalisti. E siamo a questa prima-vera. Bossi ha intuito quest’onda di consensopiù vasta della Lega che accompagnava la suascelta di indipendenza del Nord. Io ho visto. Homesso sull’avviso Berlusconi. Gli dissi, da consi-gliere leale, che per falciare l’erba sotto i piedi diBossi avrebbe dovuto proclamare fermamente,nel faccia a faccia televisivo con lui, la necessitàdel federalismo.

Alla fine è tornato con Bossi.Lui era vedovo di me. Continuava a riprendere

le mie idee. Con Maroni ho continuato a mante-nere un rapporto. Quando ho capito che ForzaItalia del federalismo non sapeva che farsene, homanifestato in un comunicato la volontà di ac-cordarmi con la Lega.

E però si è candidato con il Polo.Come indipendente però. E sia chiaro che non

entrerò nel gruppo leghista. Con Bossi condivi-do il suo progetto di Comitato di Liberazionedella Padania. Una struttura a ganci, dove possa-no trovare posto tutti i movimenti federalisti egli elettori che non votano Bossi.

L’ho detto a Bossi, che è stato d’accordo. Um-berto Giovine, il segretario del mio partito fede-ralista, neo eletto alla Camera, resta nel gruppodi Forza Italia. Non c’e contraddizione. AngeloPanebianco sul Corriere della Sera ha spiegatocon intelligenza che non c’è bisogno di essereleghisti per volere il federalismo.

E come ci si arriva?Questo è un momento rivoluzionario. Bossi

l’ha capito senza averne le parole quando ha det-to: “Dobbiamo schivare tutti gli inghippi parla-mentari”. Vuol dire che qui è il popolo che ma-nifesta la sua volontà in maniera indipendentedalle istituzioni. Le istituzioni si legittimanosoltanto se c’è volontà popolare. E ormai anchemolta gente che ha votato il Polo, e persino l’U-livo, adesso sostiene la Lega. C’è una grande

“Un referendum ci libererà”Miglio: bastano tre mesi senza pagare le tasse e lo Stato va a picco

di Renato Farina

Il Giornale, 7 maggio 1996

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predisposizione alla rivolta ora-mai. Essa scoppierà quando ilpovero Prodi dovrà aumentare leimposte per la legge finanziaria.

Rivolta?Ci sarà un grande referendum

spontaneo. Lo si indirà fuori dal-le istituzioni. Si sceglierà tra se-cessione o costituzione confede-rale (confederale: ogni soggettoha diritto ad andarsene). I partitidovranno decidere sul tamburose darla o no, saltando le proce-dure.

Illegalmente?C’è sempre un passaggio illega-

le - extra legem - in tutti i grandimutamenti costituzionali. Eavremo il federalismo. Se nonsentono ragioni: secessione!

E se gli altri non sono d’accor-do?

È la tesi di Scalfaro. Perchéqualcuno se ne vada, devono es-sere tutti d’accordo. Ma no. Persposarsi bisogna essere in due.Per lasciarsi, basta uno.

Dunque, referendum.Referendum e intanto rivolta fi-

scale totale. In tre mesi - lo dissi aBossi già nel ’93 - e lo Stato met-terà le chiappe per terra. La storiadello Stato moderno, dello Statounitario è un verminaio di infa-mie. Mi stupisco che il Sud lo di-fenda. Ha sacrificato centinaia dimigliaia di uomini sul Carso esulle nostre montagne per per-mettere al Nord di allargare i suoiterritori. Dico il Nord, ma vogliodire i Savoia. Le Tofane colavanosangue.

Ammettiamo l’ipotesi: seces-sione. Chi, come, quando?

Prima di un anno. Bossi è con-vinto si faccia già in autunno. Aderiranno inuna prima fase il Veneto (intendo il Triveneto),la Lombardia e il Piemonte. In seconda battutala Liguria e, forse, l’Emilia, anche se è domina-ta dai rossi, che hanno portato a perfezione laconcezione unitaria dello Stato, con il modellocomunista. Ma quello è crollato! Ci sono anchenel Polo troppi adoratori dello Stato. L’avete maivisto per le strade? Bisogna tornare alla tradizio-

ne di pensiero realista europea. Questi adoranolo Stato, come gli stregoni che vedevano un sas-so e dicevano ai selvaggi che c’era lo Spirito. So-no i detentori del potere, non lo Stato che giraper le strade. E le istituzioni esistono non in séma in quanto avallate dalla volontà popolare.

Ci sarà sangue, professore?No, non si deve pagare questo prezzo. L’ho detto

a Bossi: la libertà si guadagna o col sangue o con i

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Il professor Gianfranco Miglio si è rimessol’elmetto. Pronostica duri scontri, vede incen-di nella prateria, brandisce di nuovo i suoi tre

Cantoni. Lo sbalorditivo risultato leghista nelNord-Est ha prodotto l’effetto di riavvicinarlo aUmberto Bossi: Tengo a precisare, dice subito-subito, che sono stato eletto parlamentare nelleliste del Polo, ma come indipendente. E che stonel Polo solo con un piede, mentre l’altro è giàfuori. La sensazione, invece, è che i piedi li ab-bia già fuori tutti e due: più Prodi si muoverà,più si ficcherà in un imbuto stretto. Sarà obbli-gato a mettere nuove tasse, resterà sostanzial-mente nazionalista, antifederalista. E il Polo chefa? Invece di contrapporsi con un’opposizionedurissima e smentire l’immagine di “partito ro-mano” per effetto della quale è stato bastonatoin Veneto, preferisce accordarsi, trattare, inciu-ciare, confermando in tal modo l’idea che Ulivoe Polo sono proprio due partiti della Prima re-pubblica. Risultato: rilanceranno Bossi ancora dipiù...

Lei esclude che la Lega possa appoggiare Pro-di in qualche passaggio decisivo?

Mi sembra un’ipotesi fuori dal mondo. Il votodel Nord-Est spinge nella direzione opposta,perché non è stato un voto leghista, bensì di ita-liani che si sono ribellati urlando il loro no allavecchia repubblica. Questo Bossi lo sa.

Quindi esalterà il ruolo del cosiddetto parla-mento mantovano.

Credo di sì. Io ho già cercato di spiegare chequello della secessione parlamentare è un istitu-to molto importante. Adesso non escludo cheMantova possa diventare un’opposizione parla-mentare al di fuori del Parlamento nazionale.

Un parlamento extraparlamentare per ottene-re il federalismo?

Esatto. Il popolo padano deve arrivare a pre-tendere una vera costituzione federale: altri-menti scatterà l’autodeterminazione.

Ma con quali strumenti può arrivare a con-quistarla?

La leva per mettere con le spalle al muro il

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State attenti che Bossi non scherza

Avanti con la secessione. Dopo avere fatto il pieno di voti in Veneto,la Lega si prepara a sfidare Roma con lo sciopero fiscale. Parola di Gianfranco Miglio. Di nuovo amico del Senatur

di Andrea Marcenaro

Epoca, 12 maggio 1996

soldi. Paghiamo. Accolliamoci il debito pubblico.Non interverrà l’esercito?Ho detto a capi militari: immaginatevi un

grande campo sul Po dove si radunano gli elettidel Nord, i sindaci, i deputati, i consiglieri regio-nali. Proclamano l’indipendenza. Che fate, spa-rate? E tutti mi hanno detto: no, c’è Helsinki,c’è l’autodeterminazione. Potrà esserci qualchereparto isolato.

La Guardia di finanza tenterà qualcosa, andràa intimidire la gente in casa. Qualcuno metterà

in pista un gruppo mafioso per uccidere me -ma conto poco, sono un intellettuale -, o Bossi.E allora sì, che ci sarà tragedia. Ma non deve ac-cadere.

Tutto può essere fatto pacificamente. Uno Sta-to confederale, tre grandi cantoni.

E come sarà la Padania? Presidenzialista?Presidenzialista, ma non autoritaria. Un presi-

dente con poteri di coordinamento di un diret-torio.

Berlusconi, se ci sei, alleati.

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vecchio sistema potrà essere quella dello sciope-ro fiscale. Se Prodi toccherà le tasse, e non potrànon farlo, scatenerà la crisi, darà fuoco alle pol-veri in Veneto e in Lombardia...

Mi perdoni, professore, ma questa storiellal’abbiamo già sentita nel 1993. Si ricorda chefiasco, quello sciopero fiscale sull’Isi, l’impostastraordinaria sulla casa?

Eccome se me lo ricordo. Bossi, seduto a untavolo con me, era prostrato: “Caro professore,non siamo nemmeno riusciti a fargli alzare latesta, a questi benedetti lombardi!”. Avevamoproposto di pagare delle tasse solo simboliche edi sottoscrivere, invece dei Bot, titoli di creditodi altri Paesi europei. Ma non ci seguirono.

E allora? Errare è umano, dice il proverbio,ma perseverare...

Errore. Io sono convinto che l’esasperazione ela rabbia dei padani ora renda riproponibilequella proposta. Certamente in Veneto e inLombardia. E da lì l’esempio potrebbe dar vita aeffetti di trascinamento davvero inimmaginabili.

Ecco: di fronte a ciò, i poteri sarebbero obbli-gati a riconsiderare la nostra posizione.

La nostra posizione? Nostra di chi?Di noi federalisti.Lei intendeva: mia e di Bossi.Anche. Io non nego che ora siamo più vicini di

prima.Un momento, professore. Bossi ha vinto,

mentre lei, che si è candidato nel Polo, ha per-so.

Io sono un indipendente, nel Polo. E ci sonoentrato solo per un motivo: che lì dentro, con-trariamente a quello che succede nell’Ulivo, cisono dei sinceri federalisti. Ma non mi nascondoche i miei rapporti col Polo sono destinati a di-ventare sempre più difficili.

Ne ha parlato con Berlusconi?A lui ho sempre detto: sappi che il mio obietti-

vo finale è assolutamente identico a quello diBossi. E che io, come capo di un piccolo macompatto Partito federalista, ho lo stesso, preci-so obiettivo della Lega.

Il che non le ha evitato pesanti ironie e pesan-tissimi giudizi da parte dei suoi fratelli leghi-sti...

Non creda. Ai leghisti che vengono a trovarminumerosi, io da qualche tempo sto ripetendo: siavvicina il momento in cui bisognerà unirci perdare la spallata alla Prima repubblica.

Eppure, Lucio Colletti e Saverio Vertone, dueprestigiosi intellettuali del centro-destra, avver-tono che la Lega ricorda gli accenti nazional-

socialisti. E notano, allarmati, alcune minac-ciose assonanze con le derive etniche che hannodilaniato e imbarbarito la ex Iugoslavia.

Colletti e Vertone, non a caso, sono due ex co-munisti e, in quanto tali, naturalmente ostili atutto ciò che si muove contro l’accentramentodei poteri.

Una risposta un po’ sbrigativa...Non mi pare.Insomma, professor Miglio, la sua sintonia

con Umberto Bossi sembra ritornata totale. Gliinsulti reciproci sono un ricordo, le scomunicheappartengono al passato. Mentre il futuro, dinuovo insieme, si prospetta luminoso.

Non saremo fusi uno nell’altro, se è questoche intende. Ma, certo, potremo fare una politi-ca comune, entrare in battaglia insieme alla Le-ga; Quanto alle differenze personali, quelle re-stano. Mentre io antepongo il programma fede-ralista a ogni cosa, Bossi no: per lui prima ditutto viene la sua posizione personale, il suo po-tere. Il federalismo arranca dietro e lo riguardasoltanto in seconda battuta.

Resta il fatto che Bossi, il quale per alcunirappresenta la tragedia e per altri la salvezza,ha il pallino in mano.

Questo è vero. L’avvenire della Lega e il suoruolo sono stati ingigantiti dall’ottusità degli al-tri due schieramenti. E, a quel che si vede, laquestione è destinata tutt’altro che a esaurirsi.

Dica la verità, professore: è dispiaciuto di es-sere uscito dalla Lega?

No.E aveva previsto un risultato così importante?Avevo previsto un risultato a due cifre. E sen-

tivo che c’era un voto carbonaro...Un voto come?Carbonaro, tenuto nascosto, occultato dagli

elettori. Non erano leghisti e non si dichiarava-no tali, nei sondaggi. Ma poi hanno votato Legaper protesta.

Ecco perché dico che la prima ondata leghista,quella originaria, è stata gonfiata nell’urna dauna seconda ondata di italiani ribelli.

Veneti ribelli, più che lombardi ribelli. Questole è dispiaciuto un po’?

No, vedrà che i lombardi faranno la loro parte.In Veneto c’è un’indisciplina storica, sono tal-

mente autonomisti, là, che lo sono comune percomune, perfino comune contro comune. Ma ilombardi sono sul passo: aspetti che il centro-si-nistra governi un po’, aspetti che tocchi le tassee poi li vedrà, i miei cari polentoni, come an-dranno all’assalto... .

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Miglio: se Bossi scende a patti è finito

“Quando l’avversario minaccia azioni violente, Umberto ripiega.Prodi vuol varare un falso federalismo”

di Goffredo De Marchis

Il Giornale, 14 maggio 1996

Il professore è di cattivo umore. Colpa di Bossiche frena sulla secessione? No. il problemaprincipale di Gianfranco Miglio è una fasti-

diosa bronchite che non passa. Ma anche la po-litica gli dà pensieri. E sono pensieri foschi, per-vasi da un pessimismo quasi cosmico, visto cheriguarda “l’avvenire della Padania, dell’Europae dell’Italia”.

Teme l’inciucio tra Ulivo e Lega dopo la frena-ta di Bossi a Mantova e la promessa di voti allemanovrine in cambio di provvedimenti per laPadania?

Guardi. tutto è possibile perché la maggioran-za di centrosinistra avrà presto bisogno di aiutoe cercherà intese dappertutto. Con la Lega saràpiù difficile.

Se Bossi fa un’operazione del genere è finito.Secondo me si profila piuttosto un blocco storicotra centrosinistra e centrodestra per salvare laprima Repubblica. Questo era il vero messaggiocontenuto nel discorso di Violante alla Camera.

Cioè?Ma sì. Violante è un comunista coerente e tut-

to il Pds è rimasto un partito comunista chevuole mantenere lo Stato centralizzato perchésolo con questa formula possono realizzare unaconcezione neocomunista dello Stato nazionale.Per difendere il loro progetto sono pronti a usa-re la forza. Violante controlla certi strumenti direpressione e non esita a mostrare i muscoli.

Allora Bossi ha fatto marcia indietro per paura?Quando Bossi vede che l’avversario minaccia

azioni violente ripiega sempre, è già successo.Stavolta è prudente anche perché ha capito qua-le tipo di forza userà lo Stato centrale. Una voltarealizzato il blocco tra centrodestra e centrosi-nistra comincerà l’offensiva contro i lombardo-veneti. Si dirà che sono evasori fiscali, che giàguadagnano una montagna di soldi e si accre-

scerà la pressione della Guardia di finanza e de-gli organi di controllo in queste zone. Ecco qua-le forza useranno. Un tipico comportamento excomunista che avrà l’appoggio del Polo. Un’u-nione sacra per difendere la patria.

A quel punto il malcontento diventerà insur-rezione?

Questo non lo so. Io ho l’impressione che ilombardo-veneti non vogliano farsi trascinarenel baratro. La secessione è sempre stata un’ar-ma di riserva, ma può essere attuale se avremopresto la nostra Algeria, una crisi istituzionale efinanziaria gravissima. Ma non so se ci sarà lacapacità di resistenza, la Lombardia non è maistata capace di produrre un sistema politico.Certo, per quella parte di italiani che ha il co-raggio di insorgere, di rifiutare l’obbedienza alleistituzioni, di affrontare l’eventualità di una per-secuzione delle forze di polizia, la secessione di-venterà l’unico modo di salvare l’Italia dei nostrinipoti.

Anche usando le armi?Non riesco a immaginare la risposta del Nord.

Ma la verità è che sono pessimista sul futurodella Padania, dell’Italia e dell’Europa.

Che c’entra l’Europa?È un continente troppo ricco e troppo grasso

e non è un caso che anche nell’ex Urss stianotornando i comunisti. Tutta l’Europa è affezio-nata allo stato sociale, compresa la Germania,dove Kohl sta facendo dei tentativi, ma ci vuoleben altro. Alla crisi economica sopravvivono gliStati uniti e il Giappone che non hanno maiavuto lo stato sociale.

Torniamo all’Italia. Il federalismo è un’ipotesitramontata?

Penso che la possibilità di arrivarci sia bassis-sima.. Ci vorrebbero un coraggio e uno spiritodi aggressione molto forti. Bossi non ce l’ha ed è

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per questo che mi sono allontanato da lui.Prodi promette al Nord...Tutte balle. Le stesse che hanno raccontato i

governi degli ultimi 50 anni.. Per fare il federali-smo bisogna cambiare la struttura dello Stato,ma Prodi è un democristiano che vuole mante-nere ferocemente la Prima repubblica. Forsepartorirà un falso federalismo, che è il peggioredi tutti. Comunque aspetto che nasca il governoper vedere cosa proporrà quel poverino. Alla fine

la prospettiva più probabile è quella di un’Italiaafro-balcanica. in linea con il disegno moroteo.Altro che Europa.

Ma adesso le spinte per il cambiamento sononotevoli. Per esempio. la protesta dei sindaci delNord-Est...

Sono io che li ho indotti a insorgere perchépartendo dai comuni si può mettere in difficoltàla macchina dello Stato. Ma ho l’impressioneche anche loro facciano solo parole.

Gli euroscettici“Basta con gli Stati nazionali. Ci vogliono le macroregioni”

di Roberto Zavaglia

Il Giornale, 4 giugno 1996

Professor Miglio, lei è, ormai da diversi anni,il maggior ideologo italiano del regionali-smo; scorge una contraddizione tra la risco-

perta delle “piccole patrie” e l’aspirazione all’u-nità europea?

Assolutamente no. Non si può costruire l’Eu-ropa con gli Stati nazionali perché essi sono sor-ti come strutture conflittuali di combattimento.La storia moderna del nostro continente è unastoria di continue guerre fomentate dai vari Pae-si per conquistare nuovi territori. Fino ad arri-vare ai tardivi e miserabili episodi del Belgio edell’Italia, anch’essi con le loro monarchie mili-tari espansioniste. Il risultato finale sono state ledue grandi guerre civili continentali di questosecolo.

L’errore dei federalisti europei è stato credereche gli Stati nazionali potessero abdicare alla lo-ro sovranità. Per fare l’Europa c’è bisogno di ba-si diverse: occorre confidare sulle etnie che, nel-l’unificazione continentale, vedono l’opportu-nità di un riconoscimento negato all’internodelle nazioni nelle quali attualmente sono im-prigionate.

Si può raggiungere l’unificazione attraversoquelle euroregioni travalicanti i confini attuali,che non sono nate con una struttura politico-militare ma per esigenze e finalità economiche.Un esempio per tutti è identificabile in quell’a-rea di intensi scambi che dal Baden, attraverso il

Tirolo, giunge nella pianura padana. Se osservia-mo con il dovuto senso critico gli ultimi quattrosecoli dell’Europa, ci accorgiamo, abbandonan-do l’interpretazione delle varie storiografie na-zionali, che gli Stati, invece, si sono sempre ser-viti dell’economia e della finanza non per pro-durre ricchezza, ma per rafforzare la propria po-tenza al servizio della guerra.

Ma è credibile, alla luce della situazione at-tuale, che possa sorgere l’Europa regionalisticaa cui lei pensa?

È difficile pronosticarlo perché, all’orizzonte,si scorgono diversi pericoli. Perfino nella cultu-ra italiana, penso a certi lavori abbastanza re-centi di Gian Enrico Rusconi e di Ernesto Gallidella Loggia, si sente una certa nostalgia nazio-nalista.

Il ritorno dei comunisti al potere nei Paesi sla-vi e la rinnovata aggressività russa, resa palesedalla guerra che Eltsin sta conducendo contro ilpopolo ceceno, potrebbero rinfocolare i naziona-lismi anche in Occidente. Il problema maggiore,comunque, è costituito dalla Germania di Kohl,forse di nuovo orientata verso una politica di po-tenza che susciterebbe reazioni uguali e contra-rie. Se i tedeschi ripeteranno gli errori del pas-sato, allora il nostro continente è destinato a unterribile naufragio. Se, invece, essi utilizzerannola loro immensa forza economica per creare unreticolo di connessione fra le grandi regioni

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continentali, potrà sorgere un’Europa pacifica eprospera.

Come pensa che si muoverà, per quanto ri-guarda la politica europea, il prossimo governodi centrosinistra?

Non innoverà alcunché e farà più o menoquello che avrebbe fatto il Polo. L’Italia, ormai,è di fatto ai margini dell’Europa. Solo l’area pa-dana potrebbe fame parte, ma non facciamociillusioni perché in tutto il Paese latita il sensocivico. Nel Nord ce n’è solo un po’ di più che nelresto della nazione.

Tutti comunque sono d’accordo che i contipubblici debbano essere risanati a patto che apagare siano sempre gli altri. Io credo che inItalia si arriverà a una crisi finale e, allora, forseil Nord potrà dare uno strappo definitivo e, da

solo, congiungersi all’Europa. Anche in quel ca-so, però, i padani rimarranno sempre europei diserie B.

Per legittimare l’obiettivo dell’unificazione,esiste un sostrato culturale omogeneo, atto adelineare un’identità europea?

Anche le nazioni che per lungo tempo furononemiche possiedono una tradizione comune.Perfino durante la terribile Guerra dei trent’an-ni ci sono stati imponenti fenomeni culturali,simboleggiati dai nomi di Cartesio e Galileo, chehanno tenuto viva la comunicazione fra le élites.L’identità europea è sempre consistita in quelloscambio culturale che non è mai cessato anchenei momenti peggiori.

L’Unione europea, dal punto di vista politico emilitare, continua a dare segnali di debolezzacome si è visto nella ex Jugoslavia, dove, solodopo l’intervento degli americani, la situazioneè tornata sotto controllo...

Il problema è che non bisogna intromettersinelle contese balcaniche. L’Europa da edificarenon deve essere una sorta di superstato nazio-nale con velleità di controllo delle aree di crisi.Gli jugoslavi si sono sempre scannati reciproca-

mente: ora devono, da soli, imparare a convive-re. Anche perché l’intervento esterno non per-mette che ci sia un chiaro vincitore e, di conse-guenza, una vera pace. Se i contingenti occiden-tali rimarranno in Bosnia ancora per molto, nonsolo non pacificheranno alcunché, ma. ben pre-sto saranno ritenuti degli invasori. Esattamentecome i piemontesi che non riuscirono a sradica-re il banditismo mafioso in Sicilia.

Ma non c’è un eccesso di idealismo, assai sor-prendente in un teorico del realismo politico co-me lei, in questa visione per la quale le etniecontrapposte potrebbero giungere a un compro-messo autonomamente, senza l’intervento diuna potenza “ordinatrice” che vada a occupare ivuoti di sovranità?

Può anche essere, ma la questione cruciale èche dobbiamo avere il coraggio di entrare inun’età di disordine per allontanarci dall’ordinesbagliato degli Stati nazionali, che ha generatosolo guerre e persecuzioni religiose e ideologi-che. Bisogna scommettere sulla riscoperta paci-fica delle culture dei piccoli popoli per evitare lacorsa all’autodistruzione.

Le organizzazioni sovranazionali come l’U-nione europea e, più in generale, la sempremaggior interdipendenza economica planetariadaranno vita a un mondo omologato anche sot-to l’aspetto politico e culturale?

La tentazione sbagliata di chiudere le frontie-re davanti a fenomeni di concorrenza aggressivacome quella asiatica ci può sempre essere. Non èvero, comunque, che la globalizzazione econo-mica porti con sé l’omologazione culturale. Unimprenditore lombardo, oggi, comunica telema-ticamente con il proprio partner commerciale aTokio, ma, poi, scende a giocare a bocce e a bereun bicchiere di vino con gli amici.

Tra le seguenti definizioni: italiano, lombar-do, europeo, quale sceglierebbe per sé?

Italiano certamente no. Lombardo soltanto ri-spetto ad alcuni ambiti della mia vita e della miapersonalità.

Tutto sommato, mi ritengo un europeo scetti-co.

A quale Paese europeo, per cultura e gustipersonali, si sente maggiormente legato?

Sicuramente la Svizzera, perché non è unoStato nazionale nel senso tradizionale. Quelloelvetico è un popolo che è tenuto insieme da unforte attaccamento alle istituzioni, dai legami ci-vili e da motivi economici. La Germania, invece,ha una falsa costituzione federale e su di essagrava sempre la tentazione del bismarckismo.

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Miglio: “Più coraggio, Bossi”“La secessione è un diritto, chi vuole la faccia”

di Sandra Tafner

L’Adige, 8 giugno 1996

Il prof. Gianfranco Miglio ha partecipato ierial seminario internazionale su “Regionali-smo e federalismo in Europa”, organizzato

dalla Provincia e coordinato dal prof. RenatoTroncon dell’Università di Trento.

Miglio conta parecchi amici a Trento e traquesti il presidente del Consiglio regionale,Franco Tretter. Ai tempi in cui era l’ispiratoredella Lega aveva partecipato a un dibattito inRegione e ad ascoltare le sue teorie sulle ma-croregioni era accorsa una gran folla di trenti-ni. Ieri ha illustrato il suo modello di Italia fe-derale e nell’occasione, richiesto di un pareresulle dichiarazioni di Boso, ha sorriso divertito.

Che cosa pensa delle ipotesi di attentati terro-ristici previste dall’ex sen. Boso?

Beh, potrebbe anche succedere. Com’è giàsuccesso, del resto. Allora erano coinvolti i Ser-vizi segreti, ma chi lo sa chi li manovra adesso?

Il suo federalismo, professore, è lo stesso delquale parla Bossi?

Molte cose le ha recepite, perché per tantotempo sono stato l’ispiratore della Lega.

Quello che poi è successo è scritto anche nelmio libro Io, Bossi e la Lega. Recentemente cisiamo trovati a cena. E l’altro giorno duranteuna trasmissione radiofonica gli ho mandato pertre volte questo messaggio: coraggio, coraggio,coraggio:

Ma lui me l’ha detto: io faccio come i pugili,vado avanti e poi mi tiro indietro e poi vadoavanti.

Coraggio per fare che cosa?Per andare avanti con quello che sta facendo,

senza farsi impaurire. Ma purtroppo questo èuno dei due grandi difetti di Bossi. È bastato cheViolante gli minacciasse di mandargli contro l’e-sercito e lui si è subito ammansito.

E l’altro difetto qual’è?È l’anteporre sempre se stesso al progetto.

Perché lui persegue l’idea della Padania e non lamia dell’Italia federale con presidenzialismo?Perché nel primo caso può essere lui il re, nel

secondo caso sa che non sarà mai il presidente.C’è molta preoccupazione per i progetti della

Lega.Ma non ha senso. Gli italiani sono dei paurosi,

devono imparare dai francesi a non esserlo, a di-ventare più aperti, a non farsi intimorire dallenovità, a non restare aggrappati a quello che c’è.Io credo che tanti sono così convinti che l’Italiadebba essere unita nei secoli, che non si meravi-glierebbero di vedersela davanti in carne e ossacon tanto di corona in testa. La immaginano uncorpo vivo, unico.

Forse è il modo in cui il federalismo vieneproposto che fa paura. Bossi parla di secessione,di rivoluzione.

Ma per carità. Purtroppo, e dico purtroppo, gliitaliani non fanno mai la rivoluzione e questoperché non hanno un elevato senso dei diritti ci-vici.

Una volta pensavo che al nord almeno fosserodiversi, ma anche qui è la stessa cosa.

Direi che gli italiani hanno un’attitudine ser-vile.

Per questo abbiamo avuto vent’anni di fasci-smo?

No, il fascismo lo hanno appoggiato più chesubìto, perché Mussolini aveva promesso dicombattere la plutocrazia e allora, quando sitocca l’argomento soldi... Ecco, è l’unico argo-mento che fa muovere la gente.

Per i soldi si potrebbe fare anche la rivoluzio-ne, allora?

Guardate che tutti pensano che la rivoluzioneavvenga al nord per via della Padania di Bossi,ma sarebbe più facile che fosse il sud a farla, sesi cambiasse la forma dello Stato e quindi certoassistenzialismo esistente.

Eppure quelle camicie verdi per qualcuno nonsono troppo rassicuranti.

Solo folclore, è solo folclore.Ma che armi volete che abbiano? Qualche fuci-

le da caccia al massimo, ma quello ce l’ho an-ch’io. C’è tuttavia da dire che oggi il folclore ha

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Il risultato di domenica non conta. Per sfuggi-re al caldo, in tanti sono andati al mare o inmontagna.Gianfranco Miglio, senatore ed ex costituzio-

nalista della Lega, ora di nuovo al fianco di Um-berto Bossi, riconosce al Senatùr di non avercommesso errori nelle ultime settimane.

Neppure sfrattando i prefetti?No. Parecchi, anche fuori della Lega, li consi-

derano ormai un’istituzione superata.Al Parlamento di Mantova, però, lei non ci va...Arriverà il momento.In che cosa consiste il federalismo fiscale?

Quello che io ho delineato ad Assago com-prende un livello municipale in cui i municipifinanziano con proprie tasse le proprie attività, eun livello cantonale in cui i Cantoni fissano leimposte nella cornice d’indirizzi stabiliti dal Di-rettorio federale.

Cioè il Direttorio indica i limiti della pressio-ne fiscale. E la riforma dello Stato?

L’essenza del mio sistema politico, a differenzadi quello abbozzato dal ministro Bassanini e chefederalista non è, sta nella collegialità del diret-torio federale.

In Svizzera ci sono sette consiglieri federali, io

Miglio: quello che vuole Prodinon è vero federalismo fiscale

Il Professore rilancia la sua proposta di tasse comunali e cantonali

di Marco Ventura

Il Giornale, 12 giugno 1996

un peso che in passato non aveva, perché è cam-biata la tavola dei valori, specialmente nei giova-ni. E allora nell’opinione pubblica le camicieverdi possono assumere un ruolo politico.

Tra chi si preoccupa c’è anche il Capo delloStato.

Scalfaro? Il suo è un atteggiamento tipica-mente senile, non si accorge delle cose che pas-sano e dice: state lì fermi, va bene così non sicambi nulla.

Lei ha messo a punto un modello di Costitu-zione federale e i trentini l’hanno vista comeuna minaccia all’autonomia speciale.

Non esiste. Io prevedo tre Cantoni e intorno lecinque Regioni a statuto speciale con la stessadignità. Tutti i regimi federali sono retti a diret-torio, fatto dai vertici dei Cantoni e da un presi-dente eletto da tutti i cittadini.

Io non credo a un federalismo in cui i varisoggetti possono fare quello che vogliono, su al-cuni temi ci vuole un coordinamento, ma devo-no essere i Cantoni a deciderlo.

Come ci si potrebbe arrivare?Con un momento drammatico della Repubbli-

ca, con una grave crisi istituzionale e finanzia-ria. Vediamo se i segni di ribellione che esistonosono sinceri. Del resto le rivoluzioni le hannosempre fatte le minoranze, non le maggioranze.

L’augurio è che questo momento arrivi, mapresto, perché lo Stato nazionale unitario nonce la fa più, è ormai un reperto storico.

Non si potrebbe modificare la Costituzioneesistente?

No, è un circolo vizioso. Il povero Prodi ci cre-de, ma potranno semmai fare solo piccoli cam-biamenti che non servono

Il federalismo prevede anche l’ipotesi di seces-sione?

Certo, il diritto di secedere è come il diritto diesistere. È un diritto naturale, che sta primadella Costituzione. Se i settentrionali (ma anchealtri) non sono contenti, hanno diritto di andareper conto loro.

Noi ci stiamo liberando di una grande quan-tità di fesserie, anche se illustri.

Crede che la Padania si farà?Mah, bisogna fare sul serio, bisogna avere co-

raggio.

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ne prevedo cinque: tre per ogni grande Cantone,uno a turno dei Cantoni a statuto speciale, e ilpresidente eletto direttamente.

Niente Consiglio dei ministri?Niente più cagnare ad ogni cambio di maggio-

ranza. I ministri diventeranno segretari di Statonominati dal presidente e alle dipendenze delDirettorio... Dureranno finché durerà il presi-dente e saranno di fatto i responsabili dei singolisettori.

Che ne sarà del coordinamento della politicafiscale e della solidarietà?

Nel prelevare le risorse, i Cantonisaranno tenuti a destinare una parteal funzionamento della Federazionee al fondo di solidarietà, ma non permantenere i consumi delle altre re-gioni: solo per aiutare il decollo diiniziative produttive nei Cantoninon eccessivamente attanagliati otarantolati dal gusto del lavoro. Fin-ché non si prende questa strada, laLega ha ragione a dire: andate a far-vi fottere.

Il governo di centrosinistra farà ono le riforme?

Cercherà di rinviare quelle vere.Si vede già da come ha occupato ilpotere, piazzando alti funzionari delPds alla presidenza delle Commis-sioni parlamentari.

Un governo federale garantirebbecontro il partitismo.

La battaglia decisiva si gioca sulterreno fiscale?

Tutti i regimi federali del nostrotempo derivano dal fatto che porzio-ni di Stato nazionale percepisconodi non poter controllare quanto pagano per ilmantenimento dell’intera baracca, cosi alcuneparti campano sulle spalle delle regioni produt-tive: è il caso di Slovenia e Croazia nell’ex Jugo-slavia. Vi sono porzioni parassitarie in tutti iPaesi, ma veda cosa fanno quelli del Quebec o ifiamminghi se si accorgono d’essere sfruttati...

Il Nord-Est come il Quebec o la Croazia?Non ci piove che da noi sia il Nord a pagare la

festa. Bossi dice che l’Italia è divisa in due, ungiudizio brutale e non convincente. L’Italia è di-visa in tre, e l’unica via d’uscita è una Costitu-zione federale che poggi su un accordo contrat-tuale fra le parti del Paese.

Quindi una struttura cantonale...Esatto. Le piccole riforme di Bassanini non

porteranno da nessuna parte, si piegheranno indifficoltà sia costituzionali, sia strutturali dovu-te all’apparato burocratico.

Bassinini vuole riformare lo Stato in due an-ni...

Frottole. In Germania ci hanno messo 15giorni e in Francia tre mesi. Basta avere le ideechiare. Bassanini aggiunge alle prerogative delgoverno federale (difesa, moneta, giustizia e po-litica estera, ndr) la legislazione generale. Masenza Direttorio non c’è federalismo. Nel mio

modello sono i Cantoni e il Direttorio federale asollecitare le leggi del Senato.

Nella sua Italia il Parlamento non conteràpiù?

Falso. I cento deputati che in ogni Cantoneformeranno la Dieta federale, insieme con i 50delle cinque regioni a statuto speciale darannovita a un’assemblea federale di 350 parlamenta-ri, con il potere addirittura di deporre, median-te una maggioranza di due terzi, il presidenteeletto da tutti i cittadini. Un potere che non haneppure il Parlamento francese. Il presidentesarà solo il coordinatore del Direttorio: esteri,difesa, politica monetaria saranno gestiti a livel-lo europeo. Resterà fuori solo il vertice dellaGiustizia.

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Miglio dà l’esempio: a novembrecomincerò a non pagare l’Irpef

di Marco Ventura

Il Giornale, 20 agosto 1996

Più che padano, il senatore ed ex costituzio-nalista della Lega, Gianfranco Miglio, sipuò definire teutonico: di tasse gliene sono

rimaste poche, da pagare, il professore è unopreciso, non ama infilare e perdere nei cassetti ibollettini rischiando di trovarseli tra capo e col-lo all’ultimo minuto. Quindi per non versare ilbollo dell’auto dovrà aspettare il 1997. Purtrop-po, dice, l’ho già pagato per tutto l’anno, però sela rivolta fiscale prenderà un aspetto serio, saròil primo a incitare gli altri. Ai “miei” del Partitofederalista ho detto: prepariamoci alla scadenzadi novembre...

Novembre...?C’è l’acconto delle tasse, no? Io lo dichiarerò

senza versarlo, anzi mi opporrò. Il fisco che farà:potrà prender di mira Tizio o Caio e trasformarliin casi esemplari, noi intanto ci saremo organiz-zati con gruppi di avvocati. Spiegheremo le no-stre ragioni alle Commissioni tributarie.

Rischiando di pagare il doppio quando arrive-ranno le sanzioni amministrative...

La rivolta fiscale, come ho scritto in un saggiodel ’93, è una delle forme tipiche di disobbedien-za civile, anzi è la strada regia, un argomentoclassico della rivoluzione parlamentare inglesedel ’600: non è nulla di catastrofico, è incruentama può mettere in ginocchio lo Stato in tre me-si. Voglio vedere quando il 27 del mese i dipen-denti pubblici non riceveranno lo stipendio e iparlamentari l’indennità! Allora sì che il gover-no dovrà scendere a patti e fare le riforme. An-che gli operatori economici che costituiscono ilgrosso degli elettori del Polo dovrebbero sentirsiinvitati a nozze.

E la Guardia di finanza starà a guardare?Sarà l’unica a tentare una reazione. Il rifiuto

di pagare le tasse è un’arma specifica, che io tro-vo bella, nobilissima, elegante.

Nei secoli è stata un tipico strumento di libe-razione.

Il problema è se i lombardi, i padani e gli ita-liani in genere la metteranno in atto. Sarà un

test di coraggio. Se un numero elevatissimo dicittadini deciderà per lo sciopero fiscale, l’impu-nità sarà praticamente garantita: non si può mi-ca perseguire il 70-80 per cento dei contribuen-ti... E poi non vedo il reato, non c’è evasione.Quando nel ’93 tentai con altri la via dello scio-pero fiscale, per le mie tesi sulla disobbedienzacivile venni interrogato dal pm Poppa...

Nonostante l’immunità parlamentare?La rifiutai. Sa come finì? Il giudice mi chiese

il mio libro con la dedica, io gliene feci una sem-plice, con un po’ di cordialità e la firma. All’epo-ca mi ero schierato contro la tassa sulla primacasa, che per me era illegittima. Poi ho visto chela Corte costituzionale tedesca l’ha bocciata coimiei stessi argomenti: la prima casa è come unprolungamento della persona, equivale a essertassati in quanto si è cittadini e si ha un corpo.Peccato che la nostra Consulta sia uno strumen-to di Palazzo, com’è logico in un Paese come l’I-talia dove qualunque apparato conta in funzionedel Potere.

Lei crede davvero che in tre mesi non ci saràpiù di che pagare gli stipendi agli impiegati?

Sì, se la partecipazione sarà massiccia. La bel-lezza dello sciopero fiscale è che indebolisce edistrugge il potere togliendoli il sangue, senzaversarne una goccia. L’obbligo di pagare le tassesi basa sul consenso: se i cittadini non ricono-scono più la legittimità di un potere che nonmantiene le sue promesse e non corrisponde al-le sue funzioni, è normale rifiutarsi di tenerlo invita con le tasse. In tre mesi di blocco del gettitofiscale, il potere politico finirà a terra e si arren-derà.

Se l’obiettivo dichiarato è la secessione, lalegge prevede l’ergastolo...

Lo dice il codice Rocco: una bellissima costru-zione giuridica, migliore di quelle del regimedemocratico, ma con alcuni contenuti intollera-bili da eliminare: ci manca solo di prender l’er-gastolo perché si lavora per l’indipendenza dellapropria terra!

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Professor Miglio, Lei ha introdotto il termine“Padania” nel dibattito politico già moltianni fa. Questo nome ha avuto peraltro una

certa fortuna soprattutto in pubblicazioni distorici stranieri e di nostri economisti di iniziosecolo. Ma anche in tempi più recenti è statoutilizzato da studiosi come Camporesi e da ri-cercatori come quelli della Fondazione Agnelli,e ancora prima, il compianto “bardo” padanoGianni Brera, nelle sue “Storie”, parlò propriodi Padania.

Tuttavia, da quando il maggior movimentoindipendentista, e al contempo federalista, haproclamato la nascita delle istituzioni padane ela Dichiarazione d’Indipendenza, la generalitàdei mezzi d’informazione e dei politici naziona-listi hanno cominciato una lenta opera di de-molizione del concetto; dopo le virgolette, si èpassati al “cosiddetta Padania”, e poi alle espli-cite affermazioni che tendono a negare l’esi-stenza della Padania stessa. Secondo Lei la Pa-dania è finzione o realtà?

Intervistadi Alessandro Storti

Quaderni padani, n. 7, settembre-ottobre 1996

Secessione? Ma va’...di Maurizio Tortorella

Panorama, 19 settembre 1996

Un riavvicinamento tra me e Umberto Bossi?Sorride Gianfranco Miglio, 78 anni, exideologo della Lega, dalla primavera del

1994 libero senatore nel Polo per le libertà. No, quella del mio rientro nella Lega è una

notizia falsa, come quella della mia presenza allemanifestazioni sul Po. É vero solo che andiamo,su binari paralleli, verso lo stesso obiettivo. Omeglio, Bossi corre verso gli obiettivi che io ave-vo dal 1943, cioè molto prima che lui si dedicas-se al federalismo.

Federallsmo? Professore, Bossi minaccia lasecessione. O forse lei crede che scherzi?

Io credo che quella del 15 settembre sia unagrande manovra. Bossi sa che la classe politicaromana parla tanto di federalismo ma in realtànon vuole farne nulla. Cosi minaccia: “Noi ce neandiamo!”. Però il suo pensiero segreto è que-sto: quando i politici di Roma saranno convintiche davvero il Nord è pronto alla secessione, do-vranno scendere a patti e darci una vera costitu-zione federale.

Bossi è uomo di intuizioni. Peccato che glimanchi la tecnica istituzionale, la capacità ditrasformare queste intuizioni in progetti politi-camente rilevanti.

E se dovesse dare un suggerimento a Bossi,che cosa gli direbbe adesso?

Un passo fondamentale, difficile ma necessa-rio, potrebbe essere quello della disobbedienzafiscale.

Ma l’italiano teme la Guardia di finanza.Quindi bisogna prepararsi: bisogna individua-

re le tasse più odiose. Che in piccola parte vannopagate, così da evitare sanzioni immediate. E in-fine vanno create équipe di avvocati per difende-re quelli contro i quali si rivolterà la Finanza.

Ma lo sciopero fiscale non sarebbe una jattu-ra per lo Stato?

No. Perché allora, messa finalmente con lespalle al muro, la classe politica dovrebbe af-frontare il cambiamento istituzionale. Deve dar-ci un federalismo serio, però, non le cosette delministro Franco Bassanini.

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Una delle cose che mi irritano di più è la pole-mica che fa una certa “cultura” (cultura è giàun’espressione elogiativa non meritata) controla nozione di “Padania”. Ora, che ci sia stata unaevoluzione storica nella Valle del Po abbastanzaomogenea in certi momenti storici è un datocerto. Basti pensare per esempio alle Repubbli-che urbane medioevali che sono padane: gli sto-rici tedeschi usano da sempre infatti il termine“padanische”. Se si trova un altro nome per in-dicare la valle del Po si può essere d’accordo;tuttavia è assurdo negare che nella valle del Poci siano popolazioni, indubbiamente dotate diloro particolarità, ma al contempo piuttostoomogenee, e che esse abbiano avuto una vicendaistituzionale in certi periodi molto simile, comeaccade in quelle fasi storiche in cui è spontanea,e non determinata da conquiste esterne che im-pongono divisioni fittizie.

Ed è strano che non si riconosca questo; cosìcome naturalmente non si può non riconoscereche c’è oggi un’unità geopolitica della Padania,cioè geografica e socio-economica. Basta percor-rere da Occidente a Oriente o viceversa la VallePadana, per vedere come ci sia una continuità dinuclei urbani, tanto da far pensare, a un certopunto, a una grande “metropoli lineare”, perusare il concetto definito negli anni ’70 da unascuola di studiosi di insediamenti.

Tutti i progetti federalisti dell’ ’800 e del ’900(fino a quello di Assago della Lega Nord) preve-devano la presenza, fra gli Stati membri dellaFederazione Italiana, del “Cantone padano”. Siè sempre dato per scontato, cioè, il fatto che laPadania non dovesse essere smembrata con di-visioni amministrative forzate. È evidente quin-di che qualsiasi disegno federalista non potreb-be prescindere da questo dato di fatto. Ma senon si arriva ad un assetto autenticamente fe-derale a livello nazionale (Federazione Italia-na), quale possibilità resta alla Padania perconquistare il completo autogovemo, che è unelemento essenziale del federalismo?

Noi del gruppo dei cattolici federalisti del Ci-salpino, durante e dopo il secondo conflittomondiale, non abbiamo mai avuto dubbi sull’u-nità del cantone settentrionale, perché è un datostorico, socioeconomico e politico.

Venendo alla questione dell’autogoverno l’al-ternativa è: o il distacco e la creazione di unoStato autonomo, oppure l’inserimento della Pa-dania in un contesto federale. Nell’ambito deiprogetti federalisti attuali c’è stata una tendenzaa dire che, almeno in una fase iniziale, bisognerà

dare una struttura bipolare (Nordovest e Norde-st), e questo però soprattutto perché i venetihanno il terrore di andare a stare sotto Milano.

Ma qui bisogna superare il concetto di capita-le, e con l’idea di una “capitale reticolare” que-sto problema dovrebbe essere superato. Perquanto riguarda l’ipotesi di completamento delprogetto di secessione, bisogna che la Padaniamantenga relazioni con tutti i vicini, non soloquelli che la contornano geograficamente, maanche con entità più lontane; perché oggi l’ideadello Stato-nazione chiuso, come è stato teoriz-zato alla metà del secolo scorso da Fichte, loStato commerciale chiuso, autarchico, non stapiù in piedi.

Le autorità autoproclamate della Padaniahanno dichiarato di volersi appellare al princi-pio di autodeterminazione, sancito dai trattatiinternazionali, per raggiungere l’indipendenza.

Tuttavia l’esperibilità di queste procedure giu-ridiche si è rivelata difficoltosa e non certa. Leesperienze dell’Est europeo, dove si sono verifi-cate numerose secessioni nei pochi anni che ciseparano dalla caduta del muro di Berlino, han-no dimostrato che il riconoscimento internazio-nale dei neonati Stati è avvenuto sulla base diuna situazione di fatto - pur trattandosi di paesiassolutamente privi di omogeneità etnica – dalmomento che si trattava di processi extralegalied extracostituzionali.

Secondo lei, dunque, quali prospettive giuri-diche esistono perché il Governo della Padaniapossa concretamente procedere lungo la stradadel ricorso al principio di autodeterminazione?

Vede, non esiste una dottrina a questo riguar-do. Helsinki ha scolpito il principio dell’autode-terminazione, però non ha fornito indicazioni diquali vie giuridiche si debbano seguire. È unastrada tutta da inventare, mentre per quanto ri-guarda il principio della resistenza, del diritto diinsorgere quando la Costituzione non è libera,ci sono delle vie che storicamente si conoscono;anche per la secessione ci sono stati una quan-tità di esempi (ultimi quelli della Slovacchia, edella Slovenia e Croazia, forme da una parte pa-cifiche, dall’altra cruente).

Ho letto delle osservazioni molto interessanti,in un recente volume francese, sul referendum,dove si nota che di questo istituto si è fatto pocouso a livello internazionale, per staccare unaparte di un paese dal resto, mentre dovrebbetrattarsi di un procedimento rientrante nellanorma. C’è una storia poco conosciuta di unprincipio nel diritto internazionale europeo mo-

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derno; inizialmente vigeva la concezione patri-moniale dello Stato, per cui il principe era pro-prietario dei territori e li scambiava, insiemecon la popolazione che li abitava contro altri,oppure li affidava in dote a una figlia che si spo-sava, come farebbe un cittadino privato che di-spone dei suoi beni. Gradualmente si è affaccia-to il principio che si dovessero consultare le po-polazioni, ma non si è affermato molto facil-mente e dando luogo a strutture e a forme pre-cise. Ecco perché le vie per arrivare a renderenormale la secessione sono ardue.

Lei, per esempio, si è mai domandato perchécerti Stati resistono con ogni mezzo al tentativodi una parte della comunità statuale ad andarse-ne? Perché gli spagnoli fanno fuoco e fiammeper tenere i baschi, perché i russi hanno fattoquello che hanno fatto della Cecenia? O i cana-desi con il Québec? Se vogliono andare se ne va-dano, dice qualcuno; generalmente l’attacca-mento a mantenere unito un territorio è dovutoal fatto che questo ha delle ricchezze naturali,economiche, che interessano allo Stato; ma que-sto allora è semmai un motivo in più per andar-sene. Se sono risorse che si trovano soltanto lì,spettano alle popolazioni che abitano in quellaterra; chi lo dice che devono essere usate daglialtri? È un problema, questo della secessione,che coinvolge capitoli mai chiusi della storia deldiritto internazionale, e poi una serie di proble-matiche che non sono mai venute a galla, maivenute alla superficie in maniera che se ne possadiscutere pacificamente.

Anche Buchanan non tocca questi temi; af-fronta problemi di natura psicologica, ma nonquesti di natura istituzionale, che spiccano per-ché, mentre da una parte si è moltiplicata la let-teratura sulla democrazia, le sue forme e le ga-ranzie di democraticità o meno di una comunitàpolitica - e c’è una montagna di libri inutili suquesto-, sul distacco, che è sempre stato ungrosso problema nella storia della comunità del-le genti europee, non esiste letteratura, non esi-ste quanto meno una dottrina abbastanza svi-luppata a tale riguardo.

A proposito della secessione padana, qualcunoha detto che “devono essere d’accordo tutti gliitaliani, la maggioranza degli italiani”; e perché?

Allora quello che si comincia a capire, e vo-glio vedere come si fa a sostenerlo, è che esistel’idea di un diritto di tutti quelli che stanno in-torno ad un territorio a trattenerlo all’internodello Stato. Questo dà un’idea dell’abisso di pro-blemi che si apre a tal proposito; e sono tutte

questioni che, prima o poi, dovremo affrontare,anche se noi non avessimo i padani che voglio-no secedere.

Perché, quando si dice “l’Europa deve trovareun suo assetto istituzionale”, ecco che tutti que-sti problemi ritornano fuori. Quindi noi propo-niamo una serie di tematiche alle quali comun-que dovremo dar risposta.

Analizziamo il punto del referendum e delladelimitazione dello stesso, cioè se andrebbe fattofra la sola popolazione che vuole andarsene ocon tutti gli altri. Nell’articolo 132 della Costitu-zione dello Stato Italiano c’è l’idea della proce-dura con cui una regione può dividersi o unirsiad un’altra: “si può con legge costituzionale,sentiti i consigli regionali, disporre la fusione diregioni esistenti o la creazione di nuove regio-ni”. La procedura è fatta con referendum checalcola la maggioranza delle popolazioni inte-ressate; poi però interviene il Parlamento (siparla di legge costituzionale), il che significache devono essere d’accordo anche tutti gli altri,e questo vuoi dire allora che si presuppone unaspecie di diritto patrimoniale di tutta la comu-nità su una parte della popolazione e del suo ter-ritorio: è una patrimonializzazione che natural-mente, una volta posta sul tavolo, diventa diffici-le da sostenere.

Come si fa ad ammettere che dei cittadini ab-biano dei diritti sugli altri? Abbiamo modificatoprofondamente l’istituto del matrimonio e dellafamiglia e non arriveremo domani a concepire lecomunità come paritarie su un piano giuridico edei diritti di scelta? Se avessi tempo, sarei tenta-to di scrivere un libretto sulla secessione e met-terei in campo problemi tali da sollevare un veropandemonio, e vorrei vedere poi le reazioni de-gli intellettuali. Sarei tentato di farlo perché sisollevano problemi di diritto delle genti, di dirit-to internazionale, di diritto comune che metto-no in crisi l’idea di “democrazia” che siamo statiabituati a conoscere; cioè si scopre che la nostra“democrazia” è una povera cosa, e non ha anco-ra affrontato i veri problemi della convivenza frauomini e dei rapporti fra comunità politiche.

Lei ha parlato della famiglia; già in passatoaveva citato il caso del divorzio come possibileparadigma per spiegare la secessione, un temaquasi sempre affrontato retoricamente e senzalucidità, come dimostra chi, in risposta allespinte separatiste della Padania, propone di faresporre obbligatoriamente il tricolore con appo-siti progetti di legge.

Certo, mentre una volta c’era l’idea che la mo-

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glie era un’appendice del marito, oggi la visioneè completamente mutata. Nel diritto romano ilmarito poteva tranquillamente ripudiare la don-na, per il codice fascista essa dipendeva giuridi-camente dall’uomo; erano cose inconcepibili.Oggi diciamo: “Come si è potuti vivere in una si-tuazione in cui uno dei partner che contribuivaa creare la prole e sostenere la famiglia, la mo-glie, era considerata come un oggetto?”, e abbia-mo considerato un grande guadagno di civiltà laparificazione dei ruoli e dei diritti dei coniugi.Però non abbiamo ancora fatto un ragionamen-to simile sulle comunità politiche.

Quale è, a suo parere, il ruolo delle Regioninel processo di riacquisizione dei poteri da par-te del territorio?

È notorio che le Regioni sono state il tentativoche i Costituenti hanno fatto per affrontare, sen-za risolverlo, il problema del carattere composi-to dello Stato nazionale. Lo sapevano tutti chelo Stato nazionale si era rivelato, proprio duran-te la seconda guerra mondiale, un qualcosa diappiccicato, e andava affrontato; così è sortaquella contraddizione tra l’enunciazione delprincipio “Italia come Stato unitario”, e peròcon larghissime autonomie, con la porta apertaa tutte le forme di pluralismo: cioè la contraddi-zione tra l’ossequio al principio dell’unità e l’os-sequio al principio del pluralismo.

In proposito ho fatto tradurre e pubblicarenella mia collana “Arcana Imperii” il libro di Pa-

trick Riley La volontà generale prima di Rous-seau sul rapporto fra unitarismo, come idea diunità di volontà dello Stato, e pluralismo. L’esa-sperazione dell’unità statuale è nata nel ’600 e,come mi diceva il Vescovo Maggiolini, dalla se-conda Scolastica.

Sono stati soprattutto i teologhi francesi, iquali erano al servizio della monarchia assoluta,a sviluppare questa idea; hanno riletto ad esem-pio alcuni passi del neotestamentario, Lettere diSan Paolo, per cui un membro conta solo se èparte di un “corpo” unitario; era una teoria cheaveva già pericolosamente introdotto Platone,quando aveva detto che, in fondo, lo Stato, la co-munità politica, la polis è come un corpo: maaveva detto (e qui sta la differenza) “è come” uncorpo, non “è” un corpo. A tale conclusione arri-vano invece nel ’600.

Dall’idea della somiglianza si era passati allarealtà, per cui ogni individuo o gruppo sarebbe-ro parte dello Stato come lo sono le braccia e legambe rispetto a un corpo; ma questo corpodov’è? È un’invenzione, perché io quando guar-do una comunità politica vedo i cittadini, vedole istituzioni, i titolari di pubbliche funzioni, maquesto “corpo” non lo vedo. Neanche quandoquesto presunto “corpo” combatte è un’unicaentità, ma è invece un coacervo di guerrieri, disoldati che si battono.

Dunque esiste questo conflitto fra l’unità e lapluralità, che i Costituenti non hanno mai risol-

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to, limitandosi a porli uno di fronte all’altro. Daqui deriva poi la conseguenza che non tocca aimagistrati scegliere quale dei due principi difen-dere, come fanno adesso. Tocca al potere politi-co perché è lo stesso Parlamento che può cam-biare tutta la Costituzione e può risolvere final-mente quella contraddizione. Con le Regioni si èimmaginato di mettere insieme il diavolo e l’ac-qua santa; lei sa che le Regioni sono state sceltecon la trasposizione pura e semplice delle circo-scrizioni fiscali dell’amministrazione centrale.Peraltro qui si aggiunge il fatto che tale trasferi-mento di delimitazioni amministrative fu opera-to senza interpellare le popolazioni: ritorna cosìil problema del non utilizzo dei referendum, edè curioso che adesso qualcuno dica “ah, se vole-te fare tre grandi cantoni bisogna che nascanodalla base”: già, perché forse le regioni sono na-te dalla base?

In qualche caso comunque i limiti territorialicorrispondevano storicamente, ma molto spessono, e quindi si può tranquillamente affermareche le Regioni sono state fatte senza alcun crite-rio; è su queste però che bisognerà puntare, per-ché la struttura esistente è quella. I governi re-gionali sono nati e cresciuti male, ma ogni di-scorso autonomista e finanche separatista devevederli in prima fila.

Minghetti, che per primo parlò di regioni inItalia, pensava ad una contro classe politica lo-cale che facesse da dialogo, “check and balance”meglio ancora, con la classe parlamentare. Min-ghetti si accorse immediatamente infatti di co-me il parlamento stesse rapidamente deforman-do il principio di rappresentanza, e allora im-maginò una struttura radicata sul territorio.Lui già conosceva la letteratura al riguardo, illibro di Gneist, e tutto quello che era stato lostudio dell’introduzione delle libertà locali inGermania.

Gneist aveva studiato il “selfgovernment” in-glese, e Minghetti sapeva tutte queste cose, peròil suo progetto è fallito. Quando sono nate, leRegioni sono diventate lo sgabello della carrierapolitica nazionale della stessa classe politica,purtoppo. Si cominciava, secondo la vecchia mi-tologia liberale, come si diceva, ad “impararel’amministrazione nel Comune, prima comeConsigliere comunale, poi Assessore, poi Sinda-co”: e così cominciavano a imparare a rubare;“poi pian piano si doveva accedere a Provincia,Regione, fino ad arrivare in Parlamento” dove,diciamo, si facevano i grandi furti.

Il ruolo che Lei descrive per le Regioni è stato

il risultato di un disegno centralizzatore che mi-rava ad eliminare ogni forma di controllo del ter-ritorio sul centro,. allo Stato regionale di Min-ghetti si preferì la struttura prefettizia francese.

Un’altra grave conseguenza di questo sistemaè stata pertanto l’inesistenza di una concorren-za istituzionale, con un vuoto di responsabilitàdei rappresentanti eletti ad ogni livello. Insom-ma, i cittadini sono stati costretti a tenersi i po-litici, senza avere la possibilità di scegliere fradifferenti amministrazioni, per esempio in ma-teria fiscale. Il bilanciamento forzato di tutti icentri di governo ha portato al sostanziale an-nullamento delle capacità di amministrare.

È così. Le Regioni conterebbero soprattuttocome apparato di governo, con quel po’ di buro-crazia che hanno e quel po’ di classe politica diquelli che non hanno voluto, e sono pochissimi,o non sono riusciti a fare il salto in Parlamento.Ecco perché io ho immaginato che i grandi can-toni debbano nascere dalla unione, dal consor-zio delle regioni.

Nel quadro delle azioni possibili da svolgereda parte degli organi territoriali della Padaniasi inserisce di forza il referendum consultivosulla forma di Stato che la Lombardia sta perdeliberare. Lei è stato il principale ispiratoredella svolta referendaria regionale, volta ad in-staurare un conflitto giuridico con il governocentrale. Pensa che la consultazione lombardapossa rappresentare una tappa decisiva sullastrada delle riforme radicali in senso federalee/o indipendentista?

La fortuna è che lo Statuto della RegioneLombardia incorpora l’istituto del referendumconoscitivo e su questo punto si accenderà lamischia con la Corte Costituzionale, perchéquesta dirà che le regioni possono fare consulta-zioni referendarie solo su materie di interesselocale. Ma la struttura federale è una cosa che ciinteressa direttamente come popolazione lom-barda, dunque noi affermiamo il nostro diritto aesprimere la scelta sulla forma di Stato che pre-feriamo.

Il referendum consultivo sulla forma di Statoche la Regione Lombardia delibererà in ottobre,sarà un momento fondamentale nel processoverso l’autogovérno della nostra terra. Sul con-flitto giuridico che ne verrà fuori con gli organidello Stato, si innesterà una campagna per sen-sibilizzare i cittadini; se la maggioranza si re-cherà alle urne noi avremo già ottenuto unagrande vittoria e da lì ripartiremo all’attaccodello Stato centralista.

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Il tricolore? Una coperta sotto cui la monar-chia militare sabauda andava, diciamo, a let-to, con il popolo. Non è per nulla tenero con

la nostra bandiera nazionale, che sta per cele-brare il suo secondo centenario (nacque il 7gennaio 1797), il professor Gianfranco Miglio,politologo e teorico del federalismo, già testapensante della Lega. Uno che ama poco Mada-ma l’Italia e parecchio la sciura Lombardia. Mi-glio sta per uscire con ben quattro libri in cui sidiscute di federalismo vero e falso e di patria (inuno dibatte con Augusto Barbera, in un altrocon Marcello Veneziani). A ben vedere si parlain fondo sempre della stessa cosa, di questoPaese che alcuni non vogliono più unito. Quindianche il discorso sul Tricolore viene a propositoper una bordata: L’enfasi con cui ci si appresta acelebrare a Reggio Emilia l’anniversario ha evi-dentemente una forte valenza politica. Io credosia un mezzo per esorcizzare più che la Lega lospirito critico di tutti quegli italiani danneggiatidall’unificazione.

Quindi dalli alla bandiera, professore?No, io penso che il tricolore italiano, quando

fu inventato, su calco di quello francese, avesseun significato per gli uomini della Cispadana epoi della Cisalpina.

Ma poi le cose sono cambiate. Diciamolo chia-ro, il tricolore italiano è servito a giustificare ilmacello degli italiani durante tutte le guerrecondotte dalla monarchia militare. Penso allestragi della guerra del 1866 (che perdemmo ma-lamente e fu vinta solo per via di trattato), a

quella contro i turchi del 1911 e soprattutto alterribile massacro del 1915-18. Un macello com-piuto in nome del tricolore, che copriva le ambi-zioni della monarchia militare. Si sventolava labandiera per mascherare le proprie voglie diespansione.

Poi c’è stata la guerra (l’ultima) perduta inmodo così rovinoso. Una così immane sconfittaha travolto la monarchia e con lei il significatoche la bandiera nazionale poteva ancora avere.La monarchia sabauda è caduta, finalmente, e iltricolore ha perso il suo restante significato. Og-gi credo davvero che richiamarsi ai valori dellabandiera non significhi più nulla.

Tutto per colpa di una sconfitta? Anche, ma c’entra pure la storia: vede, De

Gaulle diceva che per fare la Francia c’erano vo-luti 40 re e mille anni di storia. Quando i france-si persero, anch’essi rovinosamente, la guerradel 1870 con la Prussia, è stato comprensibileche lo spirito della revanche si coagulasse intor-no alla bandiera. Ma da noi? I simboli, anche isimboli, decadono quando non esiste più uncorrispettivo. È finito il patriottismo nazionale enoi oggi scopriamo il patriottismo locale che,pure, ha i suoi simboli, come la croce di SanGiorgio della bandiera leghista o il Sole delle Alpi,che ho adottato anche per la carta da lettere dellamia fondazione e ho visto, con un poco di stupore,essere fatta sua dalla Lega.

Così si formano i simboli: attorno a qualcosadi sentito. Da ragazzi ci raccontavano favole in-torno al tricolore, fiabe non vere e non molto

“Tricolore, la coperta per una Nazione che non c’è”

Intervista a Gianfranco Miglio, teorico del federalismo ed ex ideologo della Lega. “È finito il patriottismo nazionale

e oggi scopriamo quello locale”. “Il nostro vessillo è servito alla monarchia per giustificare le guerre intraprese

e il proprio espansionismo”

di Marco Guidi

Il Messaggero, 4 gennaio 1997

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esaltanti (come quella del bianco che rappresen-ta le nevi immacolate, il rosso dei vulcani, il ver-de delle valli).

Certo, oggi viviamo in un’età di fondamentali-smi, che riscoprono in modo aggressivo il valoredei simboli. Ma l’Occidente mi pare dotato disufficiente spirito critico per non cadere in que-sta trappola. I simboli sono cose relative, ancheil Sole delle Alpi non credo vada al di là di un se-gno per le adunate di movimento. A maggior ra-gione non posso credere che ci si esalti ancoraper il tricolore o magari per la patria raffiguratacome la bella donna opulenta dal capo turritodella carta bollata.

Sarà anche così, professore, ma altrove labandiera è ancora un simbolo ben forte, pensoalle Stelle e Strisce americane, all’Union Jack...

Vero, ma non dimentichiamo che la bandieraamericana è il simbolo, soprattutto dopo la Se-conda Guerra mondiale, di una vittoria e, anchese non si dice, di un grande impero. È il fascinodel vessillo imperiale. Del resto, lo ricordo bene,ai tempi del fascismo, dopo le nostre due vittorienella guerra d’Etiopia e in quella di Spagna, as-sistemmo a un ritorno piuttosto forte dei mitinazionalisti. Quando anche Vittorio Emanuele

Orlando si dichiarò disposto a servire l’Italia,sebbene fascista, e Benedetto Croce offrì la suamedaglietta d’oro di deputato contro le sanzioni.Ma ora quale mai futuro può avere il tricolore?Anche esteticamente non mi sembra sia un granche. Qualcuno, per migliorarlo, ha proposto dimettere nel bianco i simboli delle quattro Re-pubbliche marinare, ma mi pare un guazzabu-glio...

Così il Tricolore sarebbe simile alla bandieradella nostra Marina militare.

A proposito di marina, a parte le imprese deisingoli, come Luigi Rizzo nella Prima e i “maia-li” nella Seconda guerra mondiale, credo chenemmeno lì ci sia molto da essere orgogliosi, latradizione è di sconfitte, spesso per motivi disciatteria. Sto lavorando sui documenti parla-mentari degli anni tra il 1861 e il 1866, l’annodella vergognosa sconfitta di Lissa. Emergonodocumenti agghiaccianti per stupidità, pressap-pochismo e cinismo dei nostri vertici politici,parlamentari e militari. È questo pressappochi-smo incapace che rende inconsistente l’appellodi coloro che vorrebbero indurre i cittadini a ul-teriori sacrifici in nome di una bandiera e di unanazione.

“Spero che Umberto tenga duro”

Miglio: “Ma i padani sono pecore, non hanno il coraggio di ribellarsi”

di Fabio Cavalera

Corriere della Sera, 13 febbraio 1997

Ipopoli della Padania hanno una vocazione pe-corile, dubito che trovino il coraggio di pro-porre il distacco delle regioni del Nord dalla

Repubblica. Il senatore Gianfranco Miglio, che bene ha

conosciuto la Lega, osserva con una discretadose di scetticismo le ultime mosse di UmbertoBossi.

Come giudica la svolta secessionista del Car-roccio?

Probabilmente è l’unica strada da percorrere

con la speranza però che aiutino i fatti. Che cioèuna crisi finanziaria della Repubblica producal’ineluttabilità del distacco. Se per esempio lepiccole e medie imprese si accorgessero che nonc’è più possibilità di sviluppare le loro attivitàeconomiche di esportazione perché il tessutoormai non glielo consente, forse il momentodella ribellione si imporrebbe. Intendiamoci be-ne, io non mi aspetto un movimento corale per-ché, vede, tutti i movimenti rivoluzionari sonosempre nati da minoranze.

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Oggi noi riconosciamo che la rivoluzionefrancese l’hanno fatta i parigini. È stata la Co-mune di Parigi il motore della Rivoluzione, glialtri sono venuti dietro, più o meno convinti. Lostesso dovrebbe avvenire per il Nord dell’Italia.Non penso ad un movimento di milioni e milio-ni di cittadini ma a una minoranza sufficiente-mente compatta e coerente...

E secondo lei questa minoranza compattanon c’è.

La storia dimostra come i lombardi si sianosempre accucciati a servire qualcuno. Prima glispagnoli, poi gli austriaci. Non hanno mai avutoun’azione politica autonoma. E non credo chesiano cambiati. Ritengo comunque che se i pa-dani avessero il coraggio di proporre il loro di-stacco dalla Repubblica arriverebbe il momentoin cui, almeno, forti e autentiche competenze egaranzie regionali sarebbero loro riconosciute.È che ho i miei dubbi sulla capacità e possibilitàdei padani di compiere questo passo. Gli italianisono pecore, sono sempre stati pecore, non han-no mai fatto da secoli una vera rivoluzione. C’èstata la Resistenza ma per gruppi ridotti e conuna forte componente di odio personale e divendette personali. Non fu una vera ribellionedell’intera comunità.

Bossi è in un vicolo cieco?No. Bossi fa benissimo ad alzare il tiro. Deve,

però, rendersi conto della difficoltà che incontra

e cioè che i padani riconoscono, sì, di esseresfruttati ma non riconoscono che è il momentodi ribellarsi. Non hanno il coraggio.

Senatore Miglio, lei, a differenza di Bossi, ri-tiene che sia possibile adottare in Italia un mo-dello di costituzione federale?

Ritengo di sì. Le Regioni esistono già, si trattadi raggrupparle e poi si tratta di formalizzarequei rapporti che ci sono già nella prassi politicaitaliana. Rapporti di negoziazione e di contratta-zione che sono una faccia del sistema federale.

Quello che manca è la procedura per arrivarea concludere.

Ci sono due possibilità in campo: cioè quelladi un regime pluralistico e contrattuale, ovveroun sistema federale, e uno stato unitario e so-vrano, come è oggi, che però nella realtà dei fat-ti non riesce ad essere unitario e ad essere so-vrano. Noi ci siamo progressivamente avvicinatial modello federale ma non abbiamo ancora unaCostituzione che formalizzi questi rapporti.

No alla secessione.Guardi che se ci fosse la secessione io batterei

le mani. Credo comunque che sia ancora possi-bile una trasformazione federale. Ma non attra-verso la commissione Bicamerale perché li nonsi varerà nessuna riforma... un po’ più di potereal presidente del Consigliò e un po’ meno di pre-rogative al Parlamento.

La Lega è alla vigilia del suo congresso. Crede

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che i consensi di questo movimento siano desti-nati a crescere o meno?

I miei collaboratori sono convinti che la som-ma dei consensi a favore della Lega stia crescen-do e che il numero dei padanisti stia aumentan-do. Se è così mi auguro che Bossi tenga duro mache trovi il modo per consentire proprio ai pada-ni di pronunciarsi. Lui pensa a un referendumalla buona, con le urne in piazza e non fa i conti

con la paura dei popoli del Nord. Io gli suggeri-sco di cercare di agganciare il malcontento a unatto formale, più semplice, che i cittadini devo-no già compiere.

Che cosa ha in mente?Il deposito del 740. Sulla busta del 740 baste-

rebbe attaccare un adesivo non strappabile o unsegno che dica: io sono per l’indipendenza dellaPadania..

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Miglio stuzzica Umberto: “Ora la Lega è il partito delle vallate”

Parla l’ex ideologo dei lumbard. “Il leader ha perso il fiuto e ha messo all’angolo anche i suoi parlamentari”

di Fabrizio Rizzi

Il Messaggero, 29 aprile 1997

Professor Miglio, lei pensa che la frenata delvoto leghista, provochi un arroccamento sul-le posizioni più oltranziste del Carroccio? In

una parola, la Lega diventerà sempre più razzi-sta, antimeridionalista?

Gianfranco Miglio, già professore alla Cattoli-ca, che del movimento di Bossi è stato la mentepolitica per la riforma federalista, dice: Io l’avevoprevisto. Lo scrissi anche nel libro Io, Bossi e laLega: e cioè che la Lega tende a diventare il parti-to delle campagne, dei piccoli centri, delle vallate.Ma non delle metropoli. E questo concetto lo haripetuto Umberto Bossi l’altra sera in televisionequando ha detto che nelle metropoli c’è una con-cezione statalista molto diffusa. La Lega è il parti-to delle periferie.

Ma allora perché è avvenuto questo calo, di checosa si tratta?

Direi che tutto è dipeso dall’incertezza di Bossi.Ha continuamente ciondolato tra il partito del-l’opposizione e quello del compromesso. Nell’ulti-ma campagna elettorale non si è visto il suo ful-minante fiuto. Il grande successo alle politiche èdipeso semmai dalla grande contestazione al siste-ma. Stavolta invece la contestazione è stata piùsfumata, per nulla scatenata.

Scusi, ma nella debacle di Marco Formentini

lei non individua un voto di protesta dei cittadinicontro una cattiva amministrazione?

No. Gli stessi candidati che hanno sfidato For-mentini e che adesso si giocheranno il ballottag-gio, hanno riconosciuto che l’eredità del primocittadino leghista è stata pesantissima. Formenti-ni ha tentato di raddrizzare una barca che facevaacqua da tutte le parti. Da lui non si attendevanomiracoli. E non ha fatto nemmeno degli errori.Guardi un po’ che cos’è accaduto a Torino a Ca-stellani. È difficile attaccare anche lui.

Secondo gli istituti dei sondaggi, la Lega haperso, complessivamente, solo un punto rispettoalle scorse politiche. Insomma conserva uno zoc-colo duro di una certa consistenza.

E questo zoccolo è difficile, se non impossibile,da eliminare. La Lega è, di fatto, una riserva in at-tesa dei destini del Paese. Lo zoccolo duro dei le-ghisti delle vallate alpine può tuttavia salire se levicende finanziarie dell’Italia dovessero precipitare.

La Lega è il grande partito della protesta e delrifiuto di questa Repubblica.

Senta, ma allora quali sono gli altri errori com-messi da Bossi. Lei ha detto che è stato indeciso.Soltanto quello?

No, ne ha compiuto un altro. Ha messo all’an-golo i parlamentari. Bossi non è mai stato conten-

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tato dei suoi uomini in Parlamento, tanto menodei 180 che ha avuto nella scorsa legislatura. Maanche stavolta non li ha utilizzati per una batta-glia di fondo. Li ha messi in quiescenza, negandolianche alla vista dell’opinione pubblica.

La strategia della secessione non rischia di ap-parire troppo lontana per essere recepita dall’elet-tore, anche quello più arrabbiato con il governo?

Guardi, i padanisti più convinti non sono piùdel 15-20 per cento della popolazione. Quest’ideadella mobilitazione per la Padania è caduta su unterreno non fertile. I lombardi sono pigri, sonoun popolo di pecoroni. Soltanto di fronte a unacrisi reale, quando vedranno il blocco delle espor-tazioni, quando assisteranno allo sfacelo finanzia-rio dello Stato, potranno svegliarsi. E allora, in

un baleno, ci sarà la reazione. Prevedo che la Le-ga potrà arrivare al 30-40 per cento dei consensi.Fintanto che non avrà capito fino in fondo che lasituazione è critica, il lombardo resta addormen-tato.

E allora come spiega i raduni sul Po, i comizi aVenezia?

Con Bossi ho ancora dei contatti. Cerco di dar-gli delle indicazioni. Glieli dissi anche in settem-bre per la passeggiata sul Po. E così il risultato èstato quello di una manifestazione poco efficace.

Visto che ha un dialogo in corso con il “sena-tur”, pensa di ritornare nel Carroccio?

Quando chiudo una porta in politica, non laapro mai più. La chiusi con la Dc nel 1959, lo stes-so faccio con Bossi.

Miglio: bravo Umberto, al federalismo arriveremo così

di Enrico Caiano

Corriere della Sera, 14 maggio 1997

Allora, professor Miglio: Bossi è tornato aparlare di federalismo. E contento comepresidente del Partito federalista? E soprat-

tutto: c’è il suo zampino?L’idea di intervenire sull’articolo 5 è mia. E

anche quella di adottare la Costituzione catala-na. Ma Bossi mi ha bruciato sul tempo. Ha avutouna delle sue intuizioni. Perché effettivamenteera un po’ incastrato... Non so se qualcunogliel’ha suggerita o se è uscita dalla sua testa.

Si sarà ricordato dei discorsi che faceva con lei...Beh, è probabile. Lui ha un desiderio fortissi-

mo di avere un contatto con me.È venuto a Como, la mia città, e ha detto: “Se

Miglio vuol tornare con la Lega lo accogliamo abraccia aperte”. E io gli ho risposto indiretta-mente che è meglio che stiamo così. Ciascunocombatte la sua battaglia, l’importante è che cisi aiuti vicendevolmente.

Ma davvero lei e Bossi non vi siete sentiti pocoprima che il senatur lanciasse questa proposta?

No, ci siamo sentiti subito dopo, sempre lu-nedì. Non succedeva da qualche mese. Nella te-lefonata abbiamo concordato quello che io dirò

stasera (ieri sera al Pinocchio di Gad Lerner; ndr)e basta. Gli do ogni tanto qualche consiglio comequello di non fare ora il referendum sulla Pada-nia, ma di aspettare che ci chiudano là porta infaccia dell’Europa: allora sarà il momento buono.

Perché Bossi si è deciso a questa marcia indie-tro?

Non è una marcia indietro, ha solo trovato unosbocco. Non a caso insiste con il referendum se-cessionista e io lo sconsiglio.

Certo, l’obiettivo finale di noi e della Lega èidentico ma lui ha modi, mezzi e strutture radi-calmente diverse dalle mie. Il mio è un partitod’opinione fatto da gente che crede nella costitu-zione federale e vedrà che quando Bossi leggerà ilmodello articolato di questa costituzione, cheproporrò al termine dei lavori della Bicamerale, afine giugno, capirà che va bene anche per lui. Oradeve solo chiedere alla Bicamerale la modificadell’articolo 5, anche se è nella prima parte dellaCostituzione, spiegando che la legge istitutivadella Commissione è fatta con i piedi: come si fa afare le riforme se non si stabilisce di poter inter-venire sugli articoli della prima parte, che qualifi-

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cano la forma di Repubblica? Poi Bossi deve chie-dere la Costituzione della Catalogna come statutoper la Padania. Altrimenti, sarà guerra.

Ma il suo progetto di costituzione federale, daintrodurre sulla scia del modello catalano, si po-trà coniugare con le “istituzioni” create da Bossi?Come la guardia padana, la bandiera padana...

No, quelli non sono argomenti costituzionali,sono argomenti politici. Sono cose che non mi in-teressano minimamente: io sono un tecnico delleistituzioni. M’importa che se Bossi, accetta la Co-stituzione catalana, accetta la struttura federale.

Non crede che Bossi abbia ritirato fuori la pa-rola federalismo perché nella Lega s’è accortoche stanno prevalendo i moderati, come dimo-strano i sindaci eletti a Lecco e Pordenone, piùfederalisti che secessionisti?

No, vi illudete su questo punto. Che i lombardi,pecoroni, non abbiano il coraggio di dire quel chepensano non esclude affatto che siano d’accordoper l’autonomia della Padania. Non c’è un’atte-nuazione. Anzi, più si va avanti più cresce il nu-mero di chi dice “stiamo per conto nostro”. Perquesto ho insistito molto sul modello catalano,perché è di fortissima autonomia. Né i catalani néi baschi si sono ancora spinti a quell’autonomiaradicale che questo statuto consente di ottenere.

Dunque lei non la esclude la secessione?La secessione diventerà a livello europeo il mezzo

con cui si creano le grandi regioni che prenderan-no il posto degli Stati nazionali. La considero inmodo positivo e un passaggio obbligato se voglia-mo un’Europa non ancorata agli Stati nazionali. Seresterà così nella contesa con America e Oriente,l’Europa è destinata a essere il terzo perdente.

Ma l’Italia in quante Regioni sarà divisa secon-do il suo progetto?

Su questo punto il mio progetto non è cambia-to, anche se negli ultimi tempi l’ho molto miglio-rato: articolazione su otto Regioni, le cinque aStatuto speciale che per una serie di ragioni co-stituzionali non si possano toccare, e tre cantoni,Nord, Centro e Sud. Con una accentuazione diautonomia per il Veneto. E oggi è più facile per-ché già c’è una divisione politica tra i futuri trecantoni: il Sud alla destra, il Centro alla sinistra eil Nord è liberaldemocratico.

Vedremo uniti su questo progetto lei, Bossi eIrene Pivetti con la sua Italia federale?

No, Irene Pivetti no. Il suo unico obiettivo è so-stituire Bossi alla guida della Lega. Ma se lui do-vesse avere un altro infarto la Lega si sciogliereb-be per sempre e la Pivetti potrebbe andare a pe-scare...

“Umberto ha fatto bene. Sì, la violenza è vicina”

di Enrico Caiano

Corriere della Sera, 30 maggio 1997

Ma è chiaro: Bossi quelle cose le ha dette.Smentirle è un po’ nel suo stile e in quello ditutti gli uomini politici: intanto fanno la di-

chiarazione che riflette quello che pensano, poi laritirano per non pagarne il dazio. Ma ormai la fra-se è circolata e lo scopo raggiunto. Il senatoreGianfranco Miglio, presidente del Partito federali-sta ed ex ideologo della Lega, è sicuro che le cosesiano andate così tra il senatur e Il Borghese, di-retto dal suo biografo ufficiale Daniele Vimercati.Ed è sicuro anche di un’altra cosa: Bossi ha fattobene a fare quelle dichiarazioni.

Cioè, professore? È anche lei convinto che il

Nord sia pronto a “mettere mano alla fondina”con la Lega a guidarlo?

Bossi ha fatto bene a parlare così per avvertire idetentori del potere romano che non possono piùcullarsi nell’illusione che i padani continuerannoa chinare la schiena e a sottomettersi a tasse sem-pre più pesanti per pagare il conto di una festa acui partecipa tutto il Paese. Devono smettere dipensare che l’avranno sempre vinta loro e render-si conto che ci avviciniamo a momenti critici.

Si spieghi meglio...Io dico soltanto che ogni Paese, anche il più pa-

cifico del mondo a un certo punto si ribella. E

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114 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 69-70 - Gennaio-Aprile 2007

Miglio: dopo il voto padano, il declino della Lega

L’ideologo già vicino a Bossi bacchetta il leader del Carroccio

di Alberto Francesconi

Il Gazzettino, 21 ottobre 1997

Atre mesi dal traguardo degli ottant’anni,Gianfranco Miglio ha un solo consiglio dadare ai giovani: “Andatevene dall’Italia”, ha

scritto qualche tempo fa sul Giornale, suscitan-do un vespaio. Il motivo è presto detto. Per ilpolitologo che ha rifiutato di far parte della Bi-

camerale - e che ieri è intervenuto a un dibatti-to sul tema promosso dai Lions a Marghera conMassimo Cacciari, Mario Rigo e Gustavo Selva -il federalismo ha ben poche prospettive di essererealizzato.

Perché, senatore Miglio?

nessuno è in grado di sapere come reagisce l’opi-nione pubblica quando è ingannata. Inoltre, inItalia ormai i cambiamenti non sono più possibi-li, si è andati così oltre nella degenerazione dellaprima Repubblica che non si possono più imma-ginare cambiamenti di comportamento da partedella classe politica. Dunque...

... la guerra civile è alle porte?Non parlerei di guerra civile quanto di rivoluzio-

ne. Finora, come ho detto, il potere politico si è ac-contentato di ingannare i cittadini. Ma potrebbecambiare impostazione e, come qualcuno vorrebbe(penso ad esempio al magistrato Papalia) sceglierela strada della repressione. Ciò non farebbe che ac-celerare il passaggio alla violenza, che diventereb-be il normale esito di questo processo.

Io non me ne meraviglierei.Ma davvero crede che gli italiani del Nord po-

trebbero prendere le armi?Credo sia giustificabile il passaggio a comporta-

menti violenti in una prospettiva come questa chesi fa più oscura ogni giorno che passa. Ma c’è vio-lenza e violenza, inizialmente potrebbe esprimersicome rifiuto dell’autorità costituita poi... comun-que non c’è da stupirsi che qualcuno dica “atten-zione ci potremmo sparare addosso”. Io vogliomantenermi pacato in questo momento pericolosoe mi limito a suggerire ai politici di non contaretroppo sul naturale pacifismo degli italiani. Magaritirata per il collo ma la gente del Nord potrebbe ar-rivare a sparare. Soprattutto se non saranno loro afarlo per primi...

Che cosa intende?Non dimentichiamo che di corpi armati ce ne

sono parecchi in Italia e potrebbero essere glistessi membri di queste forze del potere costitui-to a reagire con la violenza. Tra i corpi armati c’èad esempio la Guardia di Finanza ed è lei che de-ve far pagare le tasse.

Sta descrivendo una situazione apocalittica ep-pure solo qualche giorno fa era disposto a darcredito alla riforma federale proposta da D’Ono-frio e alla Bicamerale...

Cos’è cambiato?Domenica scorsa c’è stato il risveglio dei pada-

ni: a milioni hanno partecipato al referendumdella Lega. Francamente non me l’aspettavo. In-vece sono andati a esprimere un voto, non tantoper staccarsi quanto per rifiutare questa Repub-blica così com’è.

In più vedo che i politici non hanno capitoniente: Prodi ha parlato di buffonata e in Bica-merale lavorano non per modifiche radicali macon la logica dell’aggiustamento di quel che c’è.Stanno preparando una camomilla annacquatache anche l’opinione pubblica più moderata re-cepirà come un imbroglio. Infine, si è già capitoche la prossima Finanziaria sarà per almenometà di nuove tasse. Nessuno insomma com-prende che questi tempi ricordano quelli imme-diatamente precedenti la Rivoluzione francese:chi ha il potere crede che la gente tornerà anchestavolta indietro e invece un campanello è giàsuonato ad annunciare che il gioco è finito.

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Perché la Bicamerale, con l’accordo in casaLetta, è stata svilita a un mezzo per sbrigarequestioni di bassa cucina politica. In realtà leforze politiche non hanno alcun interesse a su-perare la Prima Repubblica. Non Forza Italiaperché i suoi leader vi hanno costruito la lorofortuna, né il Pds, perché ha atteso questo mo-mento per avere in mano il mazzo, e non vuoleora lasciarlo, mentre democristiani e socialistisono stati i pilastri di quel sistema.

E gli altri, senatore Miglio? Pochi mesi fa leiaveva caldeggiato un accordo fra Polo e Lega. Madopo le uscite di Bossi non se ne è fatto nulla.

Credo che sia Forza Italia che la Lega abbianocommesso degli errori, mentre è chiaro che unaccordo avrebbe dato la maggioranza al Polo nelNord, qualificandolo in senso liberal-democrati-co, nei confronti del Centro di sinistra e del Suddi destra.

È stata un’occasione perduta per Bossi?Bossi ora è impegnato nelle elezioni padane del

26 ottobre. Se i consensi supereranno i cinque mi-lioni del referendum di maggio e si avvicinerannoai dieci milioni, la tendenza al distacco del Norddiventerebbe determinante.

E la Lega potrebbe tornare a reclamare con forzaa Roma le proprie aspirazioni indipendentiste. Incaso contrario, si tratterebbe di una sconfitta perBossi, dalla quale potrebbe cominciare il declinodella Lega. E io credo che questa sia l’ipotesi piùprobabile.

Perché vede nero nel futuro della Lega?

Gli italiani non sanno guardare più in là delloro naso. Si accontentano del loro tornacontoeconomico, vogliono sapere chi comanda e spe-rano che rimanga al potere il più possibile, perfare i propri affari. Un concetto opposto al bipo-larismo, che presuppone un’alternanza di forzeal potere.

Qui invece non si vuole che cambi nulla, alcontrario di quanto propone la Lega, che dome-nica, in caso di un successo delle elezioni, po-trebbe tornare a chiedere uno stato confederale,che presupponga il diritto alle sue componentidi staccarsi, se lo ritiene opportuno.

Ma quello delle autonomie è un problema in-terno anche alla Lega, come dimostrano le fre-quenti prese di posizione della Liga. Cosa nepensa?

Questo è un punto di grande debolezza. Il Ve-neto dovrebbe piuttosto sostenere l’estensionedella Padania, chiedendo una larga autonomia alsuo interno, per costituire uno Stato stretta-mente federalista. Ma non so se Bossi si lasceràcondurre a una visione pluralista.

Lei, invece, cosa farà? La sua visione delleprospettive politiche del Paese sono a dir pocosconsolanti...

io continuerò a battermi. Con Tremonti hopresentato una proposta di riforma dello Statoin chiave federale. Sono convinto che, fra 30 an-ni, la maggior parte degli Stati europei avrà unaforma federale. Ma l’Italia sarà ancora centrali-sta, e somiglierà sempre più al Marocco.

Al Sud c’è più passione. I Lombardi sono servi

di Oscar Giannino

AA.VV. Il Risorgimento imperfetto. Edizioni Liberal: Roma, 1997

Il professor Miglio è della classe 1915, e tienemolto al fatto che la sua famiglia sta sul La-rio da oltre settecento anni. Il lago di Como

è la sua unica vera patria, già in Padania di-chiara di sentirsi straniero.

È stato per trent’anni preside di scienze poli-tiche alla Cattolica di Milano. Nel 1964 la suaprolusione Le trasformazioni dell’attuale regi-

me politico suscita un vespaio di reazioni poli-tiche ostili: già prevedeva il collasso del regime.Da allora si concentra sul caso italiano.

Dall’80 all’83 dirige i lavori del ‘gruppo di Mi-lano’: con lui Galeotti, Bognetti, Pizzetti e Pe-troni disegnano in maniera organica un pro-getto di riscrittura della Carta proponendo ele-zione diretta del primo ministro, legittimazio-

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ne popolare separata per legislativo ed esecuti-vo, potenziamento del ruolo della Corte costi-tuzionale, e molte altre riforme che lì per lìfanno saltare sulla sedia politici e accademicidi partito, per poi divenire pane del dibattitodopo qualche anno.

Alla fine degli anni Ottanta, punta sul federa-lismo più deciso. Il 17 maggio del ’90 il suo pri-mo incontro con Bossi. Meno di quattro annidopo, si separa da chi aveva definito ‘utile bar-baro’.

A Bossi, del federalismo vero, non importanulla, dice il professore. Questi invece, acco-gliendoci, ci consegna l’ultima versione del suomodello di Costituzione federale: l’affinamentodi quei dieci punti applauditi da migliaia di le-ghisti il 12 dicembre ’93 ad Assago.

Professore, fuori la verità. Lei ha dedicato laparte preminente dei suoi studi a come dare al-l’Italia un “Decisore”, rimanendo inascoltato, esolo quando cinque anni fa vide crescere unfermento che poteva risultare mortale al siste-ma - la Lega - ha imbracciato il federalismo co-me un’arma.

Non è falso del tutto, ma non è neanche vero.La mia scelta per il federalismo data al ’43.

Nel periodo clandestino io ho fatto parte del Ci-salpino, un gruppo di cattolici federalisti.

Fummo rapidamente sopravanzati dal fattoche i cattolici, diventati democristiani, avevanopreso in mano lo Stato, e consideravano spurioil nostro pensiero, concentrandosi invece essisull’accrescimento delle funzioni centralizzatedello Stato liberale prefascista.

Quando ho formato il ‘gruppo di Milano’,espressi una riserva in favore del federalismo,ma gli altri componenti non la condividevano.Per questo puntammo tutto sul ‘Decisore’, suun primo ministro eletto dagli italiani separata-mente dal corpo legislativo, al quale proponem-mo di conferire un potere di sfiducia del pre-mier ma con la clausola di scioglimento conte-stuale.

Proponemmo di spezzare quel monopolio delgoverno d’assemblea che ci deriva dal modellorivoluzionario francese, e che in Italia è finitoper piegarsi alla caratteristica di fondo di quelloche chiamai il modello mediterraneo, incentra-to sul comando clientelare invece che sull’og-gettività della norma che ha caratterizzato ilmodello continentale. Ma io ho sempre conti-nuato a coltivare la mia idea di costituzione fe-derale, a venerare Johannes Althusius che è ilpadre di tutti i federalisti, a pensare che l’auten-

tica radice nazionale è sempre piccola, e che loStato nazione inteso come Macht-Staat è arri-vato alla fine della sua fase storica, e che devecedere il posto a organizzazioni meglio capacidi soddisfare la domanda di diversificazione ecomplessità della modernità, organizzazioni de-finite da contratti a termine, pattizi e tempora-nei.

Certo, mi avvicinai alla Lega per l’impressio-ne che potesse portare a una crisi decisiva delsistema. Ma il mio federalismo nasce da un ter-reno assolutamente incolto per Umberto Bossi.

Al centro della mia attività di studioso ci sonoda sempre le trasformazioni dello Stato. Tutti irapporti umani sono o collegati al patto politi-co, o collegati al contratto privato.

I sistemi politici hanno vissuto continueoscillazioni tra un massimo di ossequio al prin-cipio dell’obbligazione politica - dal Seicento al-l’Ottocento – e un massimo di rispetto del con-tratto privato – età medievale, poi ancien régi-me, e ora l’età in cui stiamo entrando. Oggidobbiamo accettare la relatività dei-vincoli poli-tici tra comunità: con istituzioni federali si dàflessibilità, tenendo quelle centrali definite unavolta per tutte si va incontro all’esplosione dicrisi inevitabili.

Tuttavia, è forte l’impressione che si stiachiudendo quella finestra di opportunità che siera aperta con l’esplosione di Mani pulite. Negliultimi tre anni, se alla forza di fenomeni comeLega e Forza Italia si fosse unita con determi-nazione la lungimiranza di chi voleva il pre-mier eletto, forse oggi saremmo alla scritturadi una nuova Costituzione. Invece, aver punta-to su ciò che per molti è secessionismo, non cifa avere neppure il ‘Decisore’.

Io al ‘Decisore’ ci credevo molto, tra l’83 e1’85. Poi ho conosciuto Craxi. E allora molti deidubbi espressi dai parlamentaristi, non dico chepresi a condividerli, ma fui costretto a prenderliin esame: perché non c’era dubbio che a essereeletto dagli italiani sarebbe stato Craxi. Perciònon insistei. Il ‘Decisore’ che si profilava allorachiedeva soldi e voti.

Nel mio modello ultimo di Costituzione pro-pongo un presidente federale eletto direttamen-te dagli italiani, un presidente governante se-condo il modello americano. Rispetto al pre-mier eletto che proponeva il ‘gruppo di Milano’,non ho abbracciato questa proposta per asse-condare Fini, bensì per coerenza ai modelli fe-derali.

Non potrei più dare il consenso a una riforma

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che si limitasse a rafforzare il governo centralecon la legittimazione popolare: il grado di cor-ruzione del sistema è tale che un accrescimentodi poteri non bilanciato dal federalismo potreb-be portarci a un punto di non ritorno.

E così ci terremo la Costituzione del ‘48. . .È verissimo che l’attuale situazione politica è

confusa. Ma nessuno può pensare che per arri-vare alla chiarezza non siano necessarie fasi diconfusione anche assai serie. Purtroppo, è deci-siva l’assoluta carenza di cultura istituzionale ecostituzionale che caratterizza il nostro Paese.Vale anche per la Costituzione del ‘48, sotto lacui ara Scalfaro pronuncia le sue rituali giacu-latorie.

Intanto bisogna vedere se lui stesso la rispet-ta, la Costituzione vigente che tanto difende: eio ho i miei serissimi dubbi su questo punto. Misono molto meravigliato quando Scalfaro ha di-chiarato che per cambiare la Costituzione oc-corre un consenso molto elevato, ha dettodell’80 per cento.

Evidentemente Scalfato si riferisce alla quan-tità di consensi che la Costituente espresse nelvoto finale del dicembre ’47, ma questo noncoincide affatto con quanto previsto all’articolo138. Ma quanti poi sono in grado di seguirlo inqueste giaculatorie? Quanti davvero saprebberoriferirsi alla realtà della genesi di ciò che i costi-tuenti posero, e quanti sarebbero in grado diparlare tenendo conto delle diverse valutazioniche emersero nell’attuazione della Carta?

Ricordo che Michel Débray in tre mesi portòa compimento la Costituzione gollista, e l’arti-colo 34, che separa la competenza del parla-mento e i poteri del governo, venne redatto inquarantott’ore. La cultura politica italiana, in-vece, sa come rinviare e vivacchiare alla giorna-ta, ma non le appartiene l’arte di soluzioni effi-caci in tempi straordinari. Per questo io conti-nuo a prevedere gravi crisi che scuotano dallefondamenta il sistema, in conseguenza dellequali si cali dall’alto una Costituzione federale,come un’armatura completa. Oggi per esempiospero in un grande scontro sulle pensioni.

Professore, chi non la considera un Nosfera-tu, capisce che questi traumi...

Chiamiamole pure ‘Algerie’.D’accordo: queste ‘Algerie’ lei all’Italia le au-

gura perché la vorrebbe diversa. Ma nessunadelle fratture da lei predette si è finora avvera-ta. Ha scritto un saggio sulla disobbedienza ci-vile, ma quando con Bossi proclamaste lo scio-pero fiscale neppure i lombardi vi seguirono.

Ha predetto la sollevazione dell’impresa taglia-ta fuori dall’Europa renana, e invece Fiat e Ge-nerali si sono assicurate mettendo nei loro cdai rappresentanti delle banche tedesche. Ora lepensioni...

Ma non sarà, professore, che deve prendereatto che gli italiani non ci pensano proprio asollevarsi?

Diciamola tutta. Nell’89, prima di avvicinarmia Bossi, scrissi un saggio che dopo ho temutoqualche leghista mi rimproverasse. Ma, pubbli-cato in un’opera a diffusione limitata, passòinosservato.

Oggi Mondadori l’ha ripubblicato, si tratta diVocazione e destino dei lombardi. Ebbene, lì hoscritto con chiarezza quel che penso. I lombardinon hanno mai avuto vocazione politica. Sonoandati d’accordo prima con gli spagnoli, poi congli austriaci, poi con i Savoia, hanno fatto sem-pre i loro affari, ma mai hanno chiesto istitu-zioni che meglio si adattassero ai propri inte-ressi.

Le mie previsioni di crisi per un verso sonofrutto della freddezza dello scienziato politico.Per un altro sono espressione di una mai rasse-gnata disperazione.

Sono nato in un Paese rispetto al quale nonmi sento consentaneo. Avrei dovuto nascere inFrancia, dove ogni venti-trent’anni c’è una bellarivoluzione. Invece la prima e unica rivoluzioneche ho visto in Italia l’hanno fatta i carri armatialleati. Poi, mai più.

Aggiungo che ho dovuto constatare che i te-deschi non hanno alcuna voglia di incorporarela Padania nell’Europa che conta. La Frankfur-ter Allgemeine ha scritto che se l’Italia setten-trionale avesse infrastrutture e servizi adeguati,sarebbe come avere un Giappone ai confini me-ridionali. Per cui la tradizionale debolezza deilombardo-veneti a coltivare la loro vocazionenordica, e una scarsa simpatia per loro delmondo economico finanziario che ruota intor-no a Kohl, mi fanno razionalmente ritenere chepurtroppo sarà la tendenza clientelar-mediter-ranea a prevalere. Per questo speravo che inGermania vincessero i socialdemocratici. Ancheil liberale Genscher, due anni fa, aveva immagi-nato che la Germania meridionale dovessestrettamente collegarsi con la Padania.

L’idea dell’Europa a cerchi della Cdu non lepiace.

Penso che l’Europa sarà dominata dal marcoe dall’economia tedesca, ma senza egemoniapolitico-militare. In questo contesto saranno

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privilegiate grandi aree subnazionali: i tedeschistanno pensando di accorpare i Lander. Ma sonocose al di fuori delle nostre possibilità. Voglioessere chiaro. Per poter partecipare a questoprocesso, bisognerebbe che i lombardi e i venetinon fossero servili come sono. Invece i meridio-nali hanno una vocazione...

Non mi dica che questa volta parla bene deimeridionali...

Invece sì, i meridionali hanno una vocazioneistituzionale. I lombardi non l’hanno. Io sonoconvinto che se l’idea federale fosse nata al sud -non parlo dell’Evis siciliano - ebbene sarebbe giàstata attuata o almeno avviata. Da ragazzo avevouna grande passione per la Repubblica cisalpina,ho ancora una bella stampa francese dove si raf-figura riunita la Consulta della Repubblica: Na-poleone lo tagliai via.

Ma ho l’impressione che questo mio culto ri-marrà ancora senza soddisfazione.

Lei ha sempre sostenuto che la legge elettora-le da sola non risolve alcun problema. Però ri-schiamo di tornare indietro anche su questo.Non solo Bossi, ma anche Pivetti all’inizio digiugno ha detto che il maggioritario va cambia-to. Anche in questo caso lei dice “tanto peggiotanto meglio”?

Non dico questo. Io ho la coscienza a posto.Purché ci sia un governo eletto separatamente

dal popolo, il proporzionale per eleggere il par-lamento va benissimo. Ho sempre sostenuto cheil maggioritario da solo non dà governi stabili,ma solo coalizioni elettorali soggette a crisi suc-cessive. I fatti mi danno ragione, e sarebbe peg-gio ancora col doppio turno.

Per avere governi stabili bisogna semplicemen-te attuare quel che Bonaparte scrisse in una sualettera, riconoscendo che Montesquieu aveva de-pistato tutti, con la storia che i poteri erano tre.Nossignore, i poteri sono due, quello di governa-re, e quello di rappresentare e controllare: en-trambi nascono dal popolo, ma vanno tenuti se-parati. Quella lettera vale un trattato di dirittocostituzionale. Io ho sempre lavorato su questopresupposto affinandolo, e nel mio ultimo mo-dello di Costituzione prevedo un presidente fede-rale eletto dal popolo, che presiede un direttoriodei capi di governo cantonali, ma che può esseredeposto se l’assemblea federale a due terzi lo sfi-ducia: e in quel caso si torna tutti, presidente eassemblea, di fronte al giudizio del popolo.

Alla commissione bicamerale mi sono battutocome una tigre per la legittimazione separatadel ‘Decisore’ e del parlamento; ma quando mi

resi conto che nessuno dei miei colleghi inten-deva rinunciare a un grammo dell’attuale pote-re, li mollai con tanti saluti.

Lei uscì dalla Dc nel ‘59, ‘con enorme sollie-vo’.

Non salva nulla di quella classe dirigente,neppure De Gasperi?

Persone per bene ci sono dovunque. Ma sonocontrario alle beatificazioni: anche di De Gasperi.

Per me fu sempre inconcepibile come lui,trentino, non rispettasse le legittime richiestedei sudtirolesi. In quell’occasione l’Italia mancòdi dignità.

La Pira suggerì nel ’65 a Fanfani, che perdevala Farnesina per le sue critiche agli americanisul Vietnam, di buttare il tavolo per aria ed es-sere il de Gaulle italiano. Non pensò fosse l’uo-mo giusto?

No. Mancava la statura. Pensai a un certo pun-to a Gronchi, ma prevalse poi intorno a lui il gu-sto del potere e degli affari. Un De Gaulle italia-no poteva forse essere Cossiga, ma ha preso co-raggio troppo tardi. Io poi ho avuto pochissimirapporti con i democristiani, dopo il ’59. Sonostato sempre considerato da loro, pur insegnan-do alla Cattolica, come un estraneo. Quando nel’64 tenni la mia prolusione, Andreotti disse cheera il caso di smettere di dare denari alla Cattoli-ca.

Lei non si pente di nulla, nemmeno di giudizicome questo che traggo da un suo libro: “SuKelsen ha pesato la sua condizione di semita:da millenni il rassegnarsi è per gli ebrei un im-perativo antropologico”?

Io non mi sono mai preoccupato, nell’espri-mere un giudizio, degli effetti che produceva.

Se avessi fatto così, sarei stato un democristia-no. Con questa stessa leale asprezza che mi ca-ratterizza, le dirò in conclusione che spero di es-sere iniziatore di una nuova ondata antiparla-mentare, come avvenne con Mosca e Pareto.

Il nuovo libro al quale lavoro mi provocheràaltri nemici, ma non importa. A me interessaraddrizzare il sistema parlamentare, che è cre-sciuto storto. In Francia l’ha un po’ raddrizzatola quinta Repubblica. Da noi, per raddrizzarlo,bisogna usare una critica spietata. Io aspettosempre la mia Algeria.

Ho sperato invano in quella finanziaria, inquella morale ho smesso di sperare quando hocapito che i tangentisti sono una legione. Manon mi arrendo: aspetto il momento, e allorachi mi conosce sa che sarò capace di reazionimorali durissime.

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Gianfranco Miglio. Addio alla politica

Deluso dai partiti il costituzionalista lariano si rituffa nella storia per condannare l’Europa degli Stati sovrani

di Diego Minonzio

La Provincia di Como, 25 gennaio 1998

Addio alla politica militante. Addio all’Italiadelle Bicamerali, degli inciuci e delle riformeimmaginarie.

Superata qualche giorno fa la soglia degli ot-tant’anni, otto decenni colmi di ricerche, di pro-vocazioni e di inimitabile spirito polemico, Gian-franco Miglio sceglie il silenzio. Troppa la confu-sione sotto il cielo. Troppo evidente il disfacimen-to del millantato bipolarismo all’italiana e deidue poli che dovrebbero costituirlo. Troppo offen-sivo, soprattutto, per lui, l’insabbiamento delprogetto federalista sul quale il senatore coma-sco ha speso mezzo secolo di studi e di passione.

Proprio come un altro grande vecchio dellacultura italiana, Norberto Bobbio, che qualchegiorno fa ha dichiarato su La Repubblica la pro-pria scelta di tacere, Miglio consegna a La Pro-vincia la sua decisione di non occuparsi più dipolitica italiana. Riempiendo però questo silen-zio di un significato diverso rispetto a quello delfilosofo torinese.

Allora, senatore, perché questa scelta così dra-stica?

Vede, io il 14 gennaio scorso ho compiuto ot-tant’anni, precedendo solo di poche settimane al-tri due “mostri sacri” della nostra vita politica,Scalfaro e Andreotti. Credo che sia un buon mo-mento per tirare qualche bilancio. Proprio comeha fatto Bobbio, che ha nove anni più di me di cuisono stato allievo. E stato proprio lui, infatti, nel‘41-’42, a ispirarmi e a seguirmi nel mio primolavoro scientifico, Marsilio da Padova e la crisidell’universalismo politico medievale.

Dopo, purtroppo, le nostre strade si sono divi-se. Sa, io ero cattolico e lui laico...

Ma adesso vi ritrovate di nuovo insieme in que-sta scelta che a prima vista appare davvero scon-solata.

Io condivido la lettera di Bobbio pubblicata su

La Repubblica. Anch’io ho deciso di non occupar-mi più di politica italiana. Lui ha detto che prefe-risce rivangare il passato per capire dove abbiamosbagliato perché i risultati che abbiamo davantiagli occhi sono troppo deludenti. Basti pensarealla votazione del Parlamento su Previti, che l’a-vrà profondamente amareggiato come ha ama-reggiato me. Però, tra la sua posizione e la miac’è una differenza sostanziale.

Quale?Che io non mi ripiego sul mio passato, ma su

quello d’Italia. Io non mi arrendo. Dopo essermibattuto per mezzo secolo e aver promesso ai mieielettori di continuare a battermi da senatore peril federalismo, ho deciso di scrivere un libretto diuna settantina di pagine sulla storia d’Italia dal-l’Unità ai giorni nostri. Uno studio che uscirà perMondadori in estate, quando saremo nel pienodel dibattito alla Bicamerale.

Un altro pamphlet?No. Questo non è più il libro della persuasione,

ma quello del rendiconto. Un libro di analisi do-ve spiegherò perché comincio a sospettare chegli italiani non cambieranno mai niente, soprat-tutto se passerà l’accordo in Bicamerale. Come leisa bene, io come studioso nasco da internaziona-lista, essendomi laureato in Diritto internaziona-le con una tesi che ancora oggi mi serve moltissi-mo sulle origini della comunità internazionale al-la fine del Medioevo, il momento critico in cuil’Europa si è spezzata per effetto del sorgere degliStati nazionali.

Europa che però adesso torna a ricomporsi. Iodubito moltissimo dell’Europa dei banchieri diMaastricht anche perché è assolutamente eviden-te che di federazione europea e di istituzioni co-muni non si parla più.

Come andrà a finire quando verranno a galla icontrasti dell’Italia assistenziale con i vincoli di

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Maastricht? Forse sarà quello il momento giustoper disfare il nostro paese e poi rifarlo. E questanon è una bella speranza, perché è la speranza diuna crisi epocale che spazzerà, via il facile entu-siasmo sull’ingresso in Europa.

Ma quali sono, a suo avviso, i veri difetti del-l’Europa di Maastricht?

Da tecnico della comunità internazionale nonvedo alcun avvenire in quel modello di Europache stanno architettando a Bruxelles. Loro vo-gliono creare uno Stato nazionale europeo senzapensare all’enorme differenza di lingue e di cultu-re che da sempre caratterizza il nostro continen-te. L’unica vera soluzione sarebbe una strutturafederale, ma che senso può mai avere il tentativodi federare degli Stati nazionali?

E allora che si fa? Ecco, è proprio da qui che sono partito per la

mia ultima avventura. Un’avventura che mi ha ri-portato all’entusiasmo dei quarant’anni. Ormaimi sono convinto che la tragedia dell’Europa dioggi “è” la sua fortuna nei quattro secoli scorsi,cioè l’essersi organizzata in Stati unitari e sovra-ni, quando ha lasciato al suo esterno la legge del-la giungla e ha creato al suo interno il diritto el’ordine.

Questo ha determinato la crescita della civiltàeuropea e il suo allargamento negli Imperi colo-niali. E cosi, quando si è affermata l’idea naziona-le, è inevitabilmente divampato il grande conflit-to che si era preparato fin dall’Ottocento con leguerre di unificazione tedesca e poi sfociato nelledue terribili guerre mondiali.

Che hanno rappresentato una sola guerra civi-le, cominciata nel ’14, sospesa nel ’18, ricomin-ciata nel ’39, chiusa nel ’45 e seguita dalla guerrafredda, vinta dalla Germania, contro di cui le pri-me due erano state fatte.

Ma lei come sviluppa questo discorso?Mi sono letto un’enorme quantità di libri e ho

capito che questa vera e propria nemesi dello Sta-to unitario e sovrano non colpisce tutta, l’Europa.Ecco il perché della mia avventura. Con l’aiuto didue allievi (Pierangelo Schiera e Giuliana Nobili)sto tentando di ricostruire quell’Europa che noinon ricordiamo più.

L’Europa delle grandi città, delle repubblicheurbane che ha raccolto e sviluppato l’eredità deicomuni italiani, l’Europa anseatica e pacifica ca-ratterizzata dall’economia di mercato, dalla ric-chezza e da istituzioni non principesche.

Non l’unità, non Luigi XIV o Federico il Gran-de. No, tutti governi federali, governi direttoriali.Città e cantoni che vivono pacificamente di traffi-

ci e non conoscono la logica della guerra. Ecco da dove viene il mio amore per la costitu-

zione elvetica, l’ultima superstite di quel buongoverno spazzato via dall’ondata centralista napo-leonica.

Insomma, una requisitoria contro lo Stato uni-tario.

Da una ventina di anni in Inghilterra e addirit-tura anche in Francia, che è da sempre la patriadel centralismo, si moltiplicano le pubblicazioniche dimostrano come lo Stato unitario e sovranosia sempre vissuto per la guerra. L’enorme pres-sione fiscale che lo contraddistingue è stata im-posta proprio per finanziare la guerra. È in que-sto modo che la guerra civile mondiale del Nove-cento è diventata la nemesi di questo processo.

E ora cosa succederà? La storia dell’umanità è sempre stata contrad-

distinta da grandi cesure. In questo fine di civiltà,ad esempio, è accaduto un passaggio di straordi-naria importanza ed è proprio l’averlo colto chemi ha fatto ritrovare l’entusiasmo dei quarant’an-ni e la capacità di ripensare tutto quello che hostudiato fino ad ora. Un passaggio che si basa sutre elementi fondamentali.

Quali?Innanzitutto, l’arrivo a conclusione dello Stato

moderno con lo Stato comunista. Perché è così,lo Stato moderno non trova compimento in quel-lo liberal-democratico, ma in quello comunista. Equesto esperimento è ormai crollato. Poi, la rea-lizzazione di mezzi bellici che non possono piùessere praticati, dato che l’uso dell’energia atomi-ca distrugge anche chi l’adopera. Tutta la storiamilitare si snoda lungo il filo della ricerca dell’ar-ma decisiva - il cavaliere corazzato, la falangeborghese, l’artiglieria, l’aviazione, fino alla bombaatomica, che nessuno può più adoperare.

Dal Settecento in avanti il sogno della moder-nità è stato la guerra totale, cioè la completa di-struzione del nemico. Sogno che ha segnato i de-liri di Ludendorff, Moltke e Hindenburg (osses-sionati dall’idea della battaglia di Canne) senzaparlare di Hitler e Stalin, che però per fortuna l’a-tomica non l’avevano ancora.

E il terzo elemento?Il terzo elemento decisivo è l’automazione. Se

lei ci pensa bene, il destino degli ordinamenti po-litici è sempre stato quello burocratico. Ricordoche al Louvre è conservato uno scriba in porfidochino su un tavolo di lavoro: è il padre di tutti iregimi burocratici. Bene, l’automazione rompequell’apparato mostruoso.

Oggi io non ho più bisogno come una volta del-

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la cosiddetta “pratica”, che è l’apogeo dello Statoburocratico.

Fra cinquant’anni non sarà più necessario dire“mi porti quella pratica”: tutto sarà digitale.

E questi tre elementi cambiano il mondo.Esatto. Questi tre elementi assieme cambiano

il mondo.Non è più possibile la guerra, dovrebbe declina-

re lo Stato burocratico e si esaurisce anche l’ideadello Stato unitario che si occupa di tutta l’eco-nomia. Ecco dove radico il mio concetto di fede-ralismo, parallelo all’economia di mercato, so-stanzialmente pacifico e capace di coinvolgere icittadini e non più i burocrati nelle sue decisioni.E guardi che questo è uno sbocco obbligato entroal massimo cinquant’anni. Pure per l’Italia, an-che se noi ci arriveremo per ultimi a causa deimille legacci che ci bloccano.

Una tesi che meriterebbe un libro.E infatti tutto questo materiale finirà in un vo-

lume che, vista l’enorme massa di documenti daanalizzare, spero di pubblicare tra un paio di an-ni per Mondadori e che si intitolerà Contro loStato - L’altra metà del cielo.

Senatore, la verità. Il suo addio alla politicamilitante è davvero definitivo?

Guardi, sarò franco. Io adesso di fare propostesul federalismo non ne ho più voglia.

Bisogna rifare la Repubblica e quindi è inutilecincischiare con le Regioni o altre sciocchezzedel genere. L’Italia è da disfare per rifarla in modo

del tutto diverso. D’altronde, anche Cacciari miha mandato il suo programma “catalano”. L’hovisto e gli ho detto: “Va bene. E adesso?”. No, civuole qual cos’altro.

In quelle famose settanta pagine sulla storiad’Italia dimostrerò che tutti questi tentativi sonofalsi, visto che dall’Unità ad oggi non si è mai vo-luto risolvere il problema vero. Quello delle di-verse Italie. In Senato, invece, mi limiterò a os-servare criticamente il dibattito sul federalismo.

Torniamo all’Europa. Se quella di Maastricht èsbagliata, come salvarla?

In questo libro dimostrerò che probabilmentel’Europa non si salverà perché i burocrati diBruxelles non possono recedere dall’idea di Statonazionale. Anzi, di un super Stato nazionale. Einvece dovrebbero convincersi che lo Stato mo-derno è stato un tragico errore. Perché ci sonodue Europe. Quella degli Stati principeschi è l’u-nica che vediamo a causa della nostra deforma-zione prospettica, mentre ci sono settanta-ottan-ta città che mantennero tutti gli altri e che agiro-no con una logica mercantile contro la quale si èsempre fatta, dal Risorgimento in avanti, una po-lemica ingenerosa e manichea. ..

Non ci sono davvero altre possibilità?Guardi, io sono federalista dal ’43, dai tempi del

gruppo del “Cisalpino” di Como. E sono proprioconvinto di non aver buttato via mezzo secolo del-la mia vita. Mi creda, al di fuori del federalismo perl’Europa e per l’Italia non rimane che i disastro.

Intervista a Gianfranco Migliodi Rosanna Sapori

Emittente radiofonica di Bergamo, 4 marzo 1998

Professor Miglio, la Lega in questo momentorifiuta le alleanze con altri partiti politici,secondo Lei con chi potrebbe esserci invece

un punto d’intesa?Io sostengo con Forza Italia, l’intesa deve esse-

re con i partiti del nord e l’alleanza fra Lega Norde Forza Italia – per quella parte che è più propria-mente settentrionale – è il vero avvenire politicodell’Italia. Se qualche cosa noi riusciremo a fare,accadrà soprattutto per effetto di quest’alleanza.Naturalmente bisogna trovare i punti di contatto

e i punti di contatto sono i punti più chiari. Sonoquelli del cambiamento del modo di concepire ilrapporto tra lo Stato e i cittadini, bisognerà mo-dificare tutto.

Secondo Lei è meglio la secessione o l’autono-mia? Se Forza Italia non cede?

Io ho sempre pensato che la secessione è il ri-sultato finale cui si finirà per approdare se sare-mo incapaci di cambiare il sistema politico. L’in-capacità di cambiare il modo di gestire i rapportitra lo Stato e i cittadini conduce al disfacimento

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della compagine nazionale, che non è la fine in-tendiamoci bene.

La secessione è soltanto la fase drammatica incui si disfa l’Italia e la si rifà. È evidente che allo-ra la strada più logica da battere è quella dellefortissime autonomie federali, se la Lega tornerà- al prossimo congresso - a rimettere il federali-smo - naturalmente quello serio non tutti i fede-ralismi di balle che circolano in questi giorni -accanto all’alternativa secessione, sarà un grossorisultato per la vita politica italiana.

Professore, i problemi che ha oggi Berlusconisono le preoccupazioni di un inquisito o di unpolitico preoccupato?

L’uno e l’altro. Però nel fondo c’è un altro mo-tivo. L’uomo di politica ne capisce poco e questosuo capir poco di politica l’ha condotto a sottova-lutare l’importanza della Lega. Io sono convintoche alle prossime elezioni amministrative – erala domanda che Lei avrebbe dovuto farmi – nonci saranno grandi cambiamenti.

Tutti i movimenti politici in fibrillazione che cisono in circolazione oggi, non convincono nean-che un elettore. Io prevedo invece che alcuni, perdisperazione o per scelta, finiranno per accresce-re il numero dei leghisti. Questo naturalmente èun augurio che faccio alla Lega.

Allora Lei vuole ancora bene alla Lega?Come posso mai pensare di lasciare le mie idee.

Le mie idee sono quelle che datano 1943 e quindisi figuri se le cambio per motivi di natura politica.

Da quello che Lei ha detto mi sembra di capireche i nuovi movimenti politici nati recentemen-te: quello di Cossiga e di Di Pietro, sono nati perportare via voti alla Lega

Sono nati per provocare un po’ di casino sul pia-no politico, però gli elettori hanno già imparato afare giustizia di tutti questi pseudomovimenti.

Io non credo affatto che – considerato anche ilfatto che le prossime sono elezioni amministrati-ve e quindi a differenza di quelle nazionali, cheavrebbero un tasso elevato di distacco e di man-cato voto – cambi qualcosa.

Le elezioni amministrative portano il cittadinoa votare comunque. Però laddove la Lega saràschierata, qualche voto in più lo prenderà ancora.

Supponiamo che domani mattina – bacchettamagica – l’Italia abbia il federalismo, quello se-rio che intende Lei. Con il federalismo gli enti lo-cali avrebbero molte più responsabilità e si pos-sono tenere anche più quattrini. Cosa succede inuna regione come la Calabria?

Il destino dell’Italia è un destino diviso, l’Italiaè stata unita per sbaglio.

Sto scrivendo un libretto in cui concentro tuttala mia considerazione per il modo per come l’Italiaè cresciuta. È cresciuta male, va disfatta e rifatta.

Professor Miglio, non pensa che in uno Statodelle autonomia vere, come Lei le concepisce,possano esistere delle ricchezze e delle povertà?Un Sud che vive le condizioni di difficoltà….

Il Sud deve trovare la sua strada, la relativa ric-chezza e nella sua responsabilità di farlo. Bisognacreare, nel Sud, le condizioni in cui si rovescinole situazioni attuali. Però per fare questo ci vuoleun iniziativa popolare, devono essere le popola-zioni che devono mettersi in moto; ecco perchéanche quella regola del disfare l’Italia per rifarla,vale anche per il Sud.

La Lega è nata come un movimento federali-sta e autonomista che vedeva tra i suoi ideologianche Lei. Perché questo spostamento sulla se-cessione?

Perché i leghisti si sono accorti che tutti coloroche parlavano di federalismo in realtà non ne par-lavano con serietà. Una parte della dirigenza delloStato italiano, quelli che contano cioè gli alti fun-zionari dei ministeri, coloro che io indicherò unoper uno (Miglio fa riferimento al libro che stascrivendo N.d.R.). Ebbene sono questi che nonvogliono cambiare la “Prima Repubblica”. L’averconstatato questo ha indotto i leghisti a spostarsisulla radicalizzazione della proposta secessionista.

Lei è anche pessimista su quello che avrebbepotuto fare il Governo Berlusconi se non fossedurato così poco? (Riferimento al governo 1994N.d.R.)

Un Governo, anche quello attuale di Prodi oquello che sta preparando D’Alema, non riusciràa risolvere i problemi d’Italia.

I problemi dell’Italia si riducono a questo: biso-gna disfare e rifare. Rifare l’Italia con autonomiecosì forti da non essere neppure concepite nellameccanica dello Stato attuale.

Quanto tempo ci vuole per fare questo?Innanzi tutto per arrivare a questo – ciò potreb-

be accadere solo se, come io sospetto, l’UnioneMonetaria creerà più problemi di quelli che risol-ve – si deve arrivare ad una situazione drammati-ca Una situazione drammatica creata dall’entratanella moneta forte, sarà quello il momento dellagrande crisi. Io conto su quella grande crisi per-ché è quello il momento di disfare e rifare l’Italia.

Grazie Professore per il suo intervento.Io ringrazio lei per avermi dato la possibilità di

dire quello che penso. Con i leghisti delle sueparti (Bergamo e provincia N.d.R.) è molto faciledire quello che penso. Grazie ancora a lei.

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Qui sono cresciuto, ma non mi sento comasco.

Sono tremendo e intraprendentecome i làghee

di Giorgio Bardaglio

Il Corriere di Como, 12 aprile 1998

Un’ora e mezza. Senza parlar di D’Alema, Fini,Berlusconi. Senza neppur nominare un Bos-si.

Con Gianfranco Miglio non accade di frequen-te.

Non esiste televisione, giornale o bollettino che,una settimana si e l’altra pure, non gli chiedaun’opinione in tema di riforme, partiti, parlamen-to e compagnia briscola.

Lui non disprezza. Questo grande vecchio, sem-bra l’Ernesto Calindri della politica. Recita a sog-getto. Quando ci accoglie, basta un saluto per far-lo partire. “L’Italia...”. “Il federalismo...”. “Le isti-tuzioni...”. Interpreta la sua parte senza finti en-tusiasmi, ma con convinzione, secondo un copio-ne collaudato. La materia gli compete. Farlo par-lar di politica è come chiedere ad un pesce dinuotare. Peccato ci interessi a malapena stare agalla. Dello studioso, del ricercatore, del senatoreconosciamo a sufficienza. Assai meno sappiamodel marito, del padre, del l’uomo che, piaccia op-pure no, è probabilmente il cittadino di Como piùconosciuto in Italia.

“Ma io non sono comasco - si affretta a precisareil professore - pur essendo qui nato e vissuto. Iosono del lago e con la città c’è sempre stato unasorta di dualismo. La mia famiglia era già nume-rosa a Domaso nel 1200. Per questo non mi sonomai sentito interamente comasco. Io sono un “là-ghee””.

Gianfranco Miglio è sposato. Sua moglie sichiama Miryam e gli è seduta accanto, intentacon aghi e lana. Ogni tanto scruta di sottecchi.Dapprima il suo silenzio è scrupoloso.

Più tardi comincia ad annuire o a scuotere ilcapo in segno di dissenso.

Infine dice la sua, incurante delle reazioni delmarito.

“Sapete cosa dicono dei làghee? - rivela sorri-dente la signora - “Ghe scià un làghee, tri pass ìn-dree”. Sono tremendi. A differenza dei comaschi,che dicono quello che fa comodo, quelli del lago tispiattellano ciò che pensano”.

“Sovente - precisa il senatore - vedo i difetti deimiei attuali concittadini e dico: “Sono proprio co-maschi, io non sono così. I “làghee” sono moltopiù indipendenti. Il comasco, invece, non osa met-tersi contro chi è al potere. Il comasco è più ro-mano. E i valtellinesi pure. Me ne sono reso contoquando mi hanno spiegato che la città più popolo-sa della Valtellina è Roma. La regina Josè avevaper loro una speciale predilezione e voleva chechiedessero l’autonomia come la VaI d’Aosta.Niente da fare. I valtellinesi preferiscono riceveregli aiuti dalla mano capitolina”.

Altro che Padania. Altro che macroregioni. Asentirlo elencare le virtù dell’alto lago e i vizi al-trui, si direbbe che la sua nazione ideale comincia Menaggio e non superi Morbegno.

“La gente del lago ha inventato molte più cosedi quante si creda. Le filande, ad esempio. I ter-mometri, a Cremia e Pianello e le industrie dellalana. Il comasco è assai più passivo. I “làghee”hanno un maggiore spirito di iniziativa”.

Che l’intraprendenza anche in lui non facciadifetto è un dato di fatto.

Sul terreno della casa in cui è nato, ci informa,ha costruito tre condomini.

E a Domaso, comunica, dalla vecchia dimoradei suoi avi ha ricavato ben diciotto appartamen-ti. Attualmente vive in una splendida villa che do-mina Como. “Con l’architetto Cappelletti - diceorgoglioso - l’abbiamo progettata io, mia moglie emio figlio”.

Suo figlio si chiama Leo, è sposato con Elisa-betta, ha due figli di nome Lucia e Giacomo ed è

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docente di fisica dello stato solido al Politecnicodi Milano. “La sua è una carriera brillante - sen-tenzia il padre – è molto bravo. Ed ha miglioratola produzione del Domasino”.

Il Domasino è il vino di famiglia. “I miei vecchinon avevano fiducia nel nostro vino. Io ho creatouna cantina pregiata, perfezionando il bianco, co-minciando a diraspare il rosso. La maggior partedella gente nel mondo leghista non mi conosceper gli studi sulla costituzione, bensì per il miovino. “Lù, l’è quel dal vìn”, mi dicono”.

La moglie si mostra perplessa. “Non credete atutto - ci suggerisce con ironia donna Mimì -quando se ne occupava lui “sa beveva àsee”, si be-veva aceto. Mio figlio è il vero esperto. Ama curarela vigna, potare i tralci, pigiare l’uva”.

Suo marito è più un teorico, azzardiamo noi.“A Gianfranco il vino buono piace berlo - replica

la consorte - se questa voi la chiamate teoria...”. Etorna a ridere. Il senatore incassa e non fa unapiega. A questi toni domestici deve esserci abitua-to. Ha abbastanza buon senso per capire che que-sto spirito critico, questa vivacità mentale è unacompagnia vitale e insostituibile. Un’energia chelo ha aiutato a reagire alle disavventure capitategli negli ultimi mesi.

Prima la rottura del femore, poi una graveemorragia gastrica. “Sono arrivato alle porte del-l’inferno” ammette.

Il fisico è acciaccato, ma la mente di Miglio èlucidissima. Su questo neppure la moglie può dis-sentire. “Sto scrivendo un libro sull’unità d’Italia.

Spiegherò come nulla potrà mai cambiare. Leriforme nel nostro paese sono impossibili”.

A proposito di riforme. Recentemente uno deicandidati a sindaco della città ha sostenuto cheCorno è un po’ calvinista. Una definizione che hafatto scalpore più per il refuso di qualche cronista- che ha trascritto casinista invece di calvinista -che per le implicazioni che se ne possono trarre.Cosa ne pensa?

“I Giovio, soprattutto Benedetto, pare avesserouna “penchant”, un’inclinazione per la Riforma.Io stesso, pur cattolico, ho sempre avuto unacerta simpatia per i calvinisti, per la loro conce-zioni.

Però i comaschi non hanno alcuna passione peri problemi religiosi. Il loro carattere pragmaticonon glielo permette. Della Riforma possono al piùcondividere le conseguenze, non le motivazioniche l’hanno originata”.

Prima di congedarci, Miglio insiste per mo-strarci la biblioteca, una serie di locali scuri e af-fascinanti, che collegano l’abitazione del profes-sore con quella del figlio. Al centro dello studiolodel senatore ci incuriosisce un oggetto insolito.“È un pulpito bergamasco, che mia moglie ha sco-vato e che io ho trasformato in scrivania”.

Sopra, sotto, da parte, tutt’intorno ci sono libri.Oltre trentamila volumi. Disposti sulle sedie, su-gli scaffali, sui bordi, accatastati per terra, accu-mulati negli angoli. “Ecco - conclude la moglie -questo sì che dovrebbe essere uno studio calvini-sta. Invece è solo casinista”.

A tutto tondoIntervista con Gianfranco Miglio

di Carlo Stagnaro

Genova-Liguria, n. 3, giugno-luglio 1998

Il mondo accademico italiano è sempre statomolto refrattario a farsi portatore di proposteinnovative e, men che meno, ha mai “osato”

parlare di Padania. Una delle poche, e sicura-mente la più vistosa, eccezione è rappresentatadal prof. Gianfranco Miglio, politologo, senatore,che può vantare l’indubbio merito di aver portatoavanti sempre e coerentemente le idee e le forme

del federalismo. Miglio è un po’ il “papà” di tutti ifederalisti e secessionisti di oggi: quelli veri, natu-ralmente.

Professor Miglio, lei è da decenni sostenitoredell’esigenza di unire le regioni del Nord in ununico “cantone padano”, da cui però ha sempreescluso la Toscana. Come mai?

Vede, l’Italia è articolata in tre grandi unità. Al-

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lora è evidente che c’è un’unità centrale che è co-stituita dalla Toscana, che ne è anche l’asse, Dal-l’Umbria e dalle Marche. Le regioni del Nord inve-ce hanno in comune una quantità di aspetti, di in-teressi, che sono determinati dalla stessa presenzadell’asse del Po.

Questa pubblicazione è letta soprattutto da Ge-novesi, e quindi è a loro che si sta rivolgendo. Checonvenienza ha la Liguria ad accettare il proprioingresso nella Padania?

La Liguria è sull’asse trasversale delle comuni-cazioni che vanno dalla Catalogna all’Alto Danu-bio, quindi è già inserita naturalmente in questocontesto. Lo so che voi all’idea di andare con i Pie-montesi diventate viola dalla rabbia, ma non c’èniente da fare: la geografia economica vi colloca inquella posizione.

Quanto lei sta affermando farà rizzare i capelliin testa a molti “puristi” della Liguria... Costororientrano nella normale diversità di opinioni checi sono quando si vogliono mettere insieme deiterritori. Al di là della “questione padana”, è in-dubbio che, anche grazie al suo lavoro, l’idea fe-deralista abbia fatto negli ultimi anni molta stra-da. Non crede?

Io credo che abbia fatto molta strada la parola“federalismo”, ma non la sostanza. Pochissimihanno un’idea concreta di che cosa significa il pas-saggio da uno stato unitario centralizzato, com’èl’Italia di oggi, a uno stato pluralista e federalista.Per non parlare dei partiti, che tra tutti sono quelliche di politica ne capiscono di meno. È comunquenei fatti che, soprattutto al Nord, la gente ha vo-glia, o bisogno, di federalismo. C’è però, come leinotava giustamente, una grande distanza tra le ef-fettive esigenze del popolo e la volontà sempre piùcentralista del Parlamento di Roma.

Secondo lei, come si può superare questa diver-genza?

È impossibile superarla: vince il centralismoparlamentare. Credo che la causa del federalismosia già a metà perduta. Vede, tutta la cultura disessant’anni di studi mi porta ad alcune conclu-sioni che sto concentrando in un libretto, spie-gherò come l’Italia si è formata e perché non puòpiù cambiare. A questo proposito, una delle piùgrandi novità nel panorama politico attuale è rap-presentata dal diritto di secessione che è stato ri-proposto con forza dalla Lega Nord. Temo che ildiritto di secessione non sarà mai accolto dallamaggioranza dell’opinione pubblica: gli italiani al-l’idea di dividersi si sentono venire la diarrea, per-ché rimane il concetto che avevano i fascisti“avanti, avanti che siamo in tanti”.

Secondo lei, al di là della più o meno vasta dif-fusione di questo concetto, è legittimo che la Pa-dania chieda l’indipendenza?

Certo, perché le analogie di interessi, posizioniin comune, tutta una quantità di elementi che so-no a favore.

Ma quali sono le condizioni necessarie perchéuna comunità possa reclamare l’indipendenza?

La volontà. La volontà della popolazione, di unaparte almeno di essa. Non dico della maggioranza,perché le maggioranze sono pecore che seguonola massa. Basterebbe una minoranza decisa chevuole fondare lo Stato padano, e allora la secessio-ne diventa una realtà. Purtroppo però di italianicon questa capacità e questo coraggio non ne ve-do.

Quella che secondo me è la sua opera più bellaè il saggio sulla Disobbedienza civile posto a pre-messa a Thoreau. Se la sente di ribadire quei con-cetti?

Sicuramente, perché la disobbedienza è la stra-da che sceglie un popolo civile. Vorrei che gli ita-liani fossero un popolo civile, invece non lo sono.

Ma cosa significa concretamente “disobbedien-za civile”?

Vuol dire avere un senso del limite nei riguardidell’ordinamento giuridico costituito.

Quando l’ordinamento giuridico diventa intol-lerabile diventa intollerabile allora nasce il dirittoa ribellarsi, ma secondo lei la strada della disob-bedienza civile è percorribile?

Dovrebbe esserlo, però vedo che quando si diceche il modo per contestare lo Stato centrale èmettersi d’accordo tutti a non pagare le tasse, gliitaliani scappano. Gli italiani, all’idea di vedere ar-rivare alla porta gli agenti della Finanza, si cacanosotto.

Questo anche perché in Italia, diversamente daaltri paesi più civili, la Guardia di Finanza è uncorpo militare: cosa ne pensa di smilitarizzarla?

Disarmare la Guardia di Finanza? Ma lei provi afare un’azione di questo genere, e controlli quantagente la segue; una minoranza sparuta. Io sonomolto pessimista sull’avvenire dell’Italia.

Ma se lei avesse la bacchetta magica, vorrebbeuna Padania federata con l’Italia oppure una Pa-dania indipendente?

Oggi giorno di Stati indipendenti non ce ne pos-sono essere, tutti hanno contatti e connessioni.Penso che l’Italia dovrebbe diventare una confede-razione inserita in un contesto europeo, perchél’Europa non deve diventare uno Stato unitarionazionale europeo, ma piuttosto una pluralità distati regione tutti con il proprio destino, tutti con

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rapporti molto mutevoli tra di loro; la strutturaconfederale prepara le regioni del Nord a diventa-re parti dell’Europa delle regioni: è un passaggiodalla base nazionale alla base internazionale.

Però ultimamente la stessa Lega Nord ha solle-vato molti dubbi sull’Europa, vedendo in Bruxel-les una sorta di “nuova Roma”...

Bruxelles è una scopiazzatura di Roma: bisognatoglierla di mezzo, e ripensare completamentel’intera Europa. Adesso bisogna vedere cosa succe-

derà in questa operazione in cui noi mettiamo da-vanti a tutto l’unità monetaria, che si è semprerealizzata come punto di approdo di una unifica-zione politica. Sono curiosissimo, da studioso difenomeni politici, di vedere che effetti produrrà.

Nel breve termine lei è molto pessimista. Masul lungo termine la Padania sarà mai libera?

Me lo auguro, però lo vedo molto lontano...Grazie mille e arrivederci.Buon lavoro.

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Miglio: “(Bossi) Torna con i piedi per terra.

Ma di federalismo non sa nulla”di Guido Tiberga

La Stampa, 4 agosto 1998

Aprima vista sembra una dichiarazione di en-tusiasmo, quasi un ritorno all’ovile. Ma ba-stano poche parole per rendersi conto che

Gianfranco Miglio non ha cambiato idea. La re-tromarcia di Bossi sulla secessione?

Un segno di maturità - dice l’ex ideologo delCarroccio -. O meglio: un ritorno con i piedi perterra...

Senatore Miglio, Bossi è tornato al federalismo.Lei è sempre stato scettico sulla secessione.

È arrivato il momento del suo ritorno nella Le-ga?

Non ci penso nemmeno. E poi, mi creda, Bossidi federalismo non capisce nulla. Lo lasci dire ame, che gli sono stato vicino a lungo.

Come sarebbe “non ne capisce nulla”? Prima dilui nessuno parlava di federalismo, adesso è unpunto costante in tutti i programmi. O no?

E allora? Sono tutti uguali, anche Berlusconi ècosi. Per loro federalismo e confederalismo sonosolo parole. Quello che conta è il potere. Altro chetornare nella Lega: io sono stato eletto con ForzaItalia: se dovessi candidarmi adesso esigerei laqualifica di indipendente: sono deluso dalla me-schinità e dalla vigliaccheria dei politici italiani:hanno tutti paura, si pisciano sotto al solo pensie-ro di un cambiamento rivoluzionario dello Stato.

E questa “rivoluzione” sarebbe il federalismo?Sarebbe una costituzione confederale. L’unica

che permetterebbe agli italiani di non affondarenel Mediterraneo, di non diventare tutti sudditi diGheddafi.

Senatore, scusi, ma non era più “rivoluziona-ria” la secessione?

No, perché se a Bossi fosse caduta addosso laPadania indipendente, non avrebbe potuto far al-tro che costruirla come uno Stato centralista.

Altro che federalismo...Ammetterà che Bassi ha sempre detto il contra-

rio...Non conta quello che dice. Chiunque abbia stu-

diato un po’ capirebbe che uno Stato di nuova for-mazione ha bisogno di un centro che lavori conautorità.

Per questo suona la ritirata?Guardi che questa non è una ritirata. Chi crede

che la Lega sia in disarmo si illude. Ragioni suuna cosa: quanti sono i veri secessionisti in Pada-nia? Il 20-25 per cento a essere generosi. I favore-voli a una costituzione federale o confederale sonomolti di più, E poi bisogna saper vedere le strate-gie future.

Lei è capace, senatore?Senta, sono più di cinquant’anni che studio la

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politica e vuole che non riesca a capire che cosasta succedendo? Con una struttura confederale, inquesto periodo di devolution - come dicono gliamericani – si possono ottenere sul lungo periodorisultati straordinari.

Ad esempio?Penso a una Padania che si aggrega alla Baviera,

o alla Svizzera. Non subito, sia chiaro, ma fra 10 o20 anni potrebbe essere possibile.

E Bossi, che secondo lei “non capisce nulla” difederalismo, è in grado di fare una cosa comequesta?

Guardi che gli uomini che scrivono la storianon sono mica i sapienti o i costituzionalisti comeme, Sono persone di scarsa cultura politica, figure

modeste, di poche capacità. Pensi a Mussolini, ose vuole anche a Berlusconi. Quelli che contano,in fondo sono i consiglieri: per questo dico cheBossi dovrebbe portare a Roma il testo della costi-tuzione federale che gli hanno preparato quelli delsuo Parlamento.

Professore, Bossi li ha questi consiglieri?Non lo so. Lui non sopporta di avere vicino

qualcuno che sappia di politica più di lui. Per que-sto me ne sono andato.

E non tornerebbe?Io? Le ho già detto di no.Neppure per realizzare il suo progetto?Quando ero nella Lega, Bossi si rodeva di gelo-

sia. E io non sopporto le persone gelose.

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“Così Umberto spiazza i centralisti”

di Gianluca Savoini

La Padania, 4 agosto 1998

La Lega Nord è il grande incubo del sistemacentralista romano, per questo tutti si augura-no la fine politica di Umberto Bassi. L’hanno

già fatto in altre occasioni, ma poi hanno dovutobattere vergognosamente in ritirata: finirà cosìanche questa volta.

Gianfranco Miglio se la ride, mentre sta con-trollando le ultime bozze del suo nuovo libro, cheuscirà in autunno. È arciconvinto che l’ultimasortita di Bossi rappresenta un’arma decisiva esconvolgente per il sistema politico italico, che si-curamente avrebbe preferito la continuazionedello “splendido isolamento” leghista.

Invece, le dichiarazioni del segretario del Car-roccio hanno già lasciato il segno su tutte le pri-me pagine dei giornali. Adesso che Bossi si dicepronto a trattare per ottenere una struttura fede-rale o addirittura confederale, dalla quale in futu-ro la Padania potrà anche decidere di staccarsi persua volontà - spiega Miglio - , tutti i falsi federali-sti di Roma, quelli che sproloquiano e raccontanoballe, si sentono spiazzati e reagiscono. Come bel-ve ferite.

Professor Miglio, ritorna l’idea delle Macroregio-ni, una padana, una del Centro e l’altra del Sud?

Mi sembra evidente, la Padania da un lato, quel-lo più europeo, e il Regno delle Due Sicilie, comedice Bossi, dall’altro. Non c’è più bisogno di parla-re di secessione, è una strada troppo accidentata,molto difficile, interpretata male dall’opinionepubblica interna ed estera. Il fiuto politico del lea-der leghista lo ha portato su una via più “morbi-da”, quella dell’inserimento della Padania nel con-testo dello Stato italiano federale o confederale:un discorso legittimo, che può essere perseguitosenza timore di essere accusati di chissà quali ne-fandezze.

Quindi la Lega non fa alcuna marcia indietro?Ma quale marcia indietro! Questo è un intelli-

gentissimo balzo in avanti, verso la possibilità dicostruire un’Europa delle regioni e dei popoli.Che sarà cosa ben diversa dall’attuale Unione co-struita sulla moneta comune e da ben precise oli-garchie di potere sovranazionali.

Lei crede che la proposta di Bossi verrà recepitada qualche partito romano oppure sarà rigettataanche questa volta?

Staremo a vedere. Certo, se passa l’idea rivolu-zionaria della confederazione, o quella degli statu-ti speciali regionali, finalmente l’Italia si discio-

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glie. Ed è logico che finisca in questo modo, lovuole la storia dei popoli italici.

Gli storici risorgimentali più conosciuti però lapensano diversamente, professor Miglio.

Quelli hanno fatto i politici, non gli studiosi. Ilmio ultimo libro si intitolerà Gli Italiani, da dovevengono e dove vanno. Ho ripercorso le tappe rea-li del tanto mitizzato Risorgimento e ho prospet-tato una mia tesi finale sul futuro della penisola,che finirà per sprofondare verso l’Africa. Ma ilNord non seguirà questa attitudine mediterraneadel tutto contraria alla sua tradizione.

Come potrà ribellarsi a questa situazione?Attraverso un processo rivoluzionario, anche

duro. La crisi internazionale, causata da unastruttura europea inadatta, farà saltare per ariatutti gli attuali, pericolanti equilibri. Visto che, ingenere, gli italiani sono dei vigliacchi, che nonosano ribellarsi con forza quando è ancora possi-bile farlo alle catene del regime centralista, questa

rivolta avverrà a causa di un grande trauma.Non passerà ancora molto tempo.Dal Polo sono giunti chiari segnali di approva-

zione verso le dichiarazioni di Bossi, soprattuttoda parte dei “colonnelli” di Berlusconi. Ma lui, ilCavaliere, secondo lei, che farà?

Il problema di Berlusconi è che non sa nemme-no cosa significhi il termine federalismo. Non sirende conto che, se si costruisse un sistema ma-croregionale, anche i suoi affari (che gli stannotanto a cuore) ne trarrebbero giovamento. Do-vrebbe seguire i consigli di persone come GiulioTremonti e Umberto Giovine e il suo gruppo par-lamentare federalista del Nord, invece di dar rettaai forzisti meridionali.

È favorevole al concetto di Mitteleuropa propa-gandato dalla Lega Nord in questo periodo?

Ho sangue mitteleuropeo nelle vene, per me laMitteleuropa è la mia vera Patria. Spero lo diventianche per tutti i padani.

128 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 69-70 - Gennaio-Aprile 2007

Miglio: ora Umberto è rinsavitodi Roberto Scafuri

Il Giornale, 4 agosto 1998

Dev’essere strana la vista, dall’alto degli ot-tant’anni suonati. E difatti pencola tra pessi-mismo dell’intelligenza e ottimismo della

volontà, Gianfranco Miglio, Profesùr per antono-masia (e per assonanza col Senatùr). Ha appenafinito l’ennesimo libro, in uscita a ottobre daMondadori: Gli italiani. Da dove vengono e dovevanno. Titolo provvisorio bruttino, ma bella (an-che se bolsa) domanda.

Miglio vede con chiarezza la storia risorgimen-tale: Sto con il Sud, inglobato dal Piemonte, i cuidenari nei primi decenni dell’Unità finirono tuttial Nord. Sul dove andiamo, la chiarezza si fa intre: Ahimè, temo che moriremo ulivisti. Oppure:L’unità europea fallirà, verremo risucchiati nelMediterraneo. O ancora: A furia di dare cornate,Bossi ha trovato il buco giusto.

La coerenza tra pensiero nero e roseo sta nelseguente ragionamento: Visto che l’Italia fu fattaalla diavola, usciremo dai guai disfacendola e rifa-cendola.

Profesùr, torniamo all’attualità. Bossi non è più

un “cattivo scolaro”: sta rinsavendo per paura divedere la Lega dissolversi?

Mi meraviglia che i romanacci esultino: perchéla Lega non si avvia a morire, come loro dicono.La prova di maturità di Bossi ne è un segno. Sosti-tuire l’idea della Padania come Stato indipendente(che poi voleva dire uno staterello) con un proget-to più realistico è una posizione molto consapevo-le. Mi pare che Bossi pensi a una Padania che di-venta soggetto di struttura federale, dunque piùforte.

Ma dovrà trattare coi “romanacci”...Bossi metta sul tavolo della trattativa il progetto

di costituzione federale che hanno elaborato nelloro Parlamento. Lo faccia in fretta, perché tantoil Nord-Est, quanto gli altri soggetti, parlano di fe-deralismo, ma non tirano fuori mai niente.

A proposito del Nord-Est: ha visto che cosa ac-cade nel movimento di Cacciari?

È una vergogna che litighino, invece di dareuno Statuto speciale per il Veneto. Cacciari è uncaro amico, ma resta un comunista.

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Dunque non vuole un vero cambiamento, masolo contenere la spinta leghista.

Quella dello Statuto speciale al Veneto, e allealtre regioni, era un’idea della Bicamerale, poibocciata. Andava nel verso giusto?

Certo, una bella idea.Ma hanno prevalso i romanacci conservatori, i

burocrati, lo spirito pusillanime e pigro degli ita-liani.

Non credo che le riforme ripartiranno. Bossi oradeve portare avanti quel progetto degli Statutispeciali, che possono disfare lo Stato unitario,spezzare la ragnatela dei commis d’Etat.

D’Alema e Fini ci credevano, alle riforme?D’Alema e Fini sono entrambi prodotto della

burocrazia di partito”. Nulla di nuovo, nel panorama politico?No. Avevo sperato in Cossiga. Ma ho capito che

vuol lucrare sulla crisi della sinistra, che scoppieràa settembre. Quando Cossiga sposterà la maggio-ranza a destra.

Anni fa previde un lungo periodo per la transi-zione. A che punto siamo?

Siamo più indietro di prima...Ma Bossi e Polo possono tornare alleati? Credo all’alleanza tra Lega e Forza Italia. Non a

un governo della destra. Da quando l’Italia è nata,dal connubio Cavour-Rattazzi, si va avanti col cen-tro-sinistra. Temo che mi toccherà proprio morireulivista.

L’unica salvezza, le sue Macroregioni? Sì. Sghignazzo quando dicono che l’Europa

monetaria va alla ricerca dell’unità politica. Balle:l’Unione politica non si farà mai.

Ma se l’Italia si suddividesse in tre, la Padaniadiventerebbe la locomotiva d’Europa. E il Sud tor-nerebbe a produrre ricchezza.

Non ho capito se è un inguaribile ottimista oun pessimista che non ha nulla da perdere...

Sono il nemico pubblico numero uno dello Sta-to unitario. Lo hanno capito a naso, e per questosono così avversato.

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“Non mi fecero ministro perchèavrei distrutto la Repubblica”

di Stefano Lorenzetto

Il Giornale, 20 marzo 1999

Siccome ha le orecchie a punta, l’hanno para-gonato al dottor Spock di Star Trek. Anche amago Merlino. Si sono dimenticati di Nosfe-

ratu. L’hanno preso in giro per la collezione di ec-centrici berretti scozzesi, una cinquantina, creatisu suo disegno da una modista, e hanno svilito ilpompon che li impreziosisce a “testicolo di lana”.Hanno dimenticato, quelle canaglie dei giornali-sti, che la storia del professor Gianfranco Miglio,senatore della Repubblica, 81 anni, di cui 47 tra-scorsi in cattedra e 30 da preside della facoltà discienze politiche dell’Università Cattolica di Mila-no, traspira epicità.

Le origini, intanto. Comasche a partire dal Mil-le. Un avo che faceva il notaio quando Dante nonera ancora nato. Un albero genealogico che dalConcilio di Trento in poi attesta l’assenza di in-trecci familiari al di sotto della linea del Po. Unanonna materna tedesca. Una trisnonna paterna

che veniva da Würzburg e che fino alla fine contòle galline nella sua lingua madre, “eine, zwei,drei...”. Un nonno paterno, ardente repubblicanoriconoscibile dalla lavallière, la cravatta col fioccodegli anarchici, che atterriva il piccolo Gianfrancoraccontandogli di quando, giovane bersagliere,era stato in Calabria a combattere il brigantaggioe aveva trovato un suo commilitone crocifisso suun termitaio dai banditi. Un nonno materno dellaVal d’Intelvi che costruì strade e ponti in Turchia erapì la futura moglie, una graziosa tedesca, in Ro-mania. Il fratello del nonno che posò l’ultimo trat-to della Transiberiana e morì mentre cavalcavanel Caucaso, dove stava lavorando alla ferroviaTransiraniana. E poi il padre, uno dei primi pedia-tri italiani, che acquistò la tenuta di Domaso, incima al lago di Como, dalla sorella del primo mi-nistro Sidney Sonnino, e che si arrabbiò soltantouna volta in vita sua, quando Churchill, nel 1945,

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sostandovi per un giorno a dipingere, si portò unadamigiana d’acqua nel timore di finire avvelenato.

Oggi il professore abita a Como, in collina, inquello che nel catasto di Carlo V era segnato co-me Ronco dell’Abate. Sale a Domaso soltanto perla vendemmia, evento al quale Giorgio Boccachiese di poter partecipare dopo aver assaggiato ilsuo bianco eccelso. Quando non gli tocca scende-re a Roma, passa le giornate curvo su un culpitodel ’600 trasformato in scrivania, a scrivere e acompulsare qualcuno dei suoi 30mila volumi.

Quante ore dedica ancora allo studio, professo-re?

Mai meno di cinque al giorno. Altrimenti nonriesco a prender sonno.

Sul serio?Prima di coricarmi, devo sentire d’aver fatto

qualcosa di utile. Io mi realizzo soltanto se lavoro.È sempre stato così severo con se stesso, oltre

che con gli altri?Fino ai 42 anni mi sono macerato nell’insoddi-

sfazione, convinto d’essere un buono a nulla. Poiho mangiato del pesce e mi sono ammalato. E sta-ta la mia fortuna.

Davvero?Accadde d’estate. Credevo che fosse influenza e

la combattevo a modo mio: bagni ghiacciati nellago e beveroni di gin tonic e Punt e Mes. Diventaigiallo, febbre violenta. Era epatite virale. Ho pas-sato un mese in ospedale, tutto solo a riflettere. Lìho concluso che come uomo e come studioso nonero poi così male. Una convinzione che non mi hapiù abbandonato.

Perché l’Italia unita le fa tanto schifo?Perchè è figlia illegittima di una congiuntura

storica particolare. Ha mescolato insieme popoliche dovevano restare separati, che non hanno nul-la in comune. Detto questo, riconosco che i meri-dionali sono stati danneggiati dall’unificazione.

Il loro inserimento nel Regno è avvenuto sol-tanto per effetto della spedizione garibaldina.

Da lì in avanti lo Stato unitario li ha sempre fre-gati. Ogni volta che appariva all’orizzonte unaprospettiva finanziaria, il Nord se ne appropriava.E dalla fine degli Anni ’50 che cerco una via perraddrizzare questo Stato unitario.

L’ha trovata nel federalismo?Tutti ne parlano e nessuno sa che cos’è, neppu-

re i vescovi del Veneto.Lo spieghi lei.Non ha niente a che vedere con Cattaneo e Gio-

berti. Io immagino un federalismo autoritario, unanuova forma dello Stato moderno morto nel 1989con il crollo dell’Urss. Quel tipo di Stato era una

macchina da guerra per le conquiste territoriali.Ma oggi i conflitti comportano l’utilizzo delle armiatomiche, che distruggono anche chi vi ricorre.

In concreto: tre cantoni, Nord, Centro e Sud? Esatto. Il reddito complessivo della Basilicata è

un quarantesimo di quello della Lombardia. Civuole un equilibrio fra i componenti della federa-zione e il contenitore federale. Altrimenti le diffe-renze producono differenze.

Quindi poveri con poveri e ricchi con ricchi?Non è proprio cosi. Diciamo che la Lucania deve

batter cassa con le regioni del Sud. Del resto nonè colpa nostra se il Nord gode di condizioni geoe-conomiche migliori. La Padania l’ho inventata ionegli Anni ’60 e adesso la Fondazione Agnelli hadimostrato che se stesse per conto suo sarebbe lapiù ricca regione d’Europa.

Però accanto ai tre cantoni lei continua a pre-vedere le cinque regioni a statuto speciale. Per-ché?

Perché hanno combattuto per la loro indipen-denza. La Sicilia contro l’armata di Nino Bixio. LaValle d’Aosta contro l’esercito di De Gaulle. L’AltoAdige contro l’ottusità di Roma. Tutti dimentica-no che gli statuti speciali sono in realtà armistizi,concessi a queste regioni prima della Costituente.

Professore, da quarant’anni predica il federali-smo ma non c’è verso di vederlo fiorire. Comemai?

Perché gli italiani sono ignoranti. Io gli ho cuci-nato il piatto in tutti i modi. Non vogliono saper-ne di mangiarlo.

Diffidano dello chef?Ma no. È che sono abituati alle risorse finanzia-

rie a pioggia, soprattutto al Sud. Sanno che devo-no cambiare, ma li preoccupa il costo del cambia-mento. I 2,3 miliardi di debito pubblico sono fattidi nicchie dentro le quali stanno al calduccio.

Ecco perché io dico che ci vuole un federalismoduro, calato dall’alto.

Senta, e ai fratelli Bandiera, ai martiri di Bel-fiore e ai milioni di soldati mandati a morire pri-ma a Custoza e poi sul Piave che cosa diciamo?Che si sono sacrificati per niente?

Tutti da dimenticare. Hanno buttato via la lorovita.

Ogni cantone avrebbe le sue leggi?Certo. Non si può dare lo stesso diritto civile e

penale a tutte le regioni. Lei capisce che la vendet-ta per tradimento consumata abitualmente alSud, non è concepibile al Nord.

Mi faccia capire: il codice meridionale dovrebbeconsentire a un marito cornificato di farsi giusti-zia da solo?

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Di più. Io sono per il mantenimento anche dellamafia e della ‘ndrangheta. Il Sud deve darsi unostatuto poggiante sulla personalità del comando.

Che cos’è la mafia? Potere personale, spinto finoal delitto. Io non voglio ridurre il Meridione almodello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è ancheun clientelismo buono che determina crescitaeconomica. Insomma, bisogna partire dal concet-to che alcune manifestazioni tipiche del Sud han-no bisogno di essere costituzionalizzate.

Sono passati sei anni da quando lei spronò ilNord alla rivolta fiscale, ma non sembra che lagente abbia troppa voglia di finire in galera...

Quella è stata la nostra Waterloo. E lo sa per-ché? Gli italiani sono in prevalenza evasori.

La sola idea di destare il can che dorme, di averela Guardia di finanza tra i piedi, li terrorizza.

Ha proclamato: “Tre mesi senza pagare le tassee lo Stato unitario va a picco”. Chi comincia?

Io sono pronto. Quella sulla casa non l’ho ver-sata. L’ho giudicata iniqua. L’abitazione è un dirit-to, un bene primario. Sarebbe come introdurreun’imposta sulla felicità.

Nel ’95 aveva previsto il crac “tempo tre mesi,sei mesi, forse un anno”...

Ho sottovalutato lo spirito di sopportazione de-gli italiani. Se i francesi fossero stati vessati lametà di quanto lo siamo stati noi, avrebbero giàfatto tre rivoluzioni.

Lei entrò nella Dc nel ‘43, ne uscì nel ‘59 e daallora ha quasi sempre votato scheda bianca. Èstato estimatore di Eugenio Cefis, Giovanni Mar-cora, Bettino Craxi, Francesco Cossiga, RandolfoPacciardi, dei comunisti del Laboratorio Politico,di Comunione e liberazione. Infine l’idillio conBossi. Non le sembra un percorso politico un po’ondivago?

Speravo di trovare un leader capace di prenderedecisioni. Mi ero illuso con Cefis, il boiardo di Sta-to per eccellenza. Forse Marcora sarebbe stato ilmio uomo, ma è morto troppo presto.

L’hanno definita un Voltaire alla ricerca del suoFederico il Grande. Adesso vede qualche perso-naggio su cui sarebbe disposto a investire?

Assolutamente no.Neanche Bossi?L’ho chiamato io nel 1989, perché volevo cono-

scerlo. È rimasto li, sulla poltrona dove adessosiede lei, per più di tre ore. Mi rendevo ben contodi che cos’era: un politico, quindi un ignorante. Eda ignorante l’ho sempre trattato.

Però gli aveva dato il permesso di telefonarleanche in piena notte.

Si, e a volte l’ha fatto. Io in cinque minuti gli ri-

solvevo problemi che a lui sembravano insormon-tabili. Come quella volta che la Lega aveva inta-scato i 200 milioni dalla Montedison. Era dispera-to: “Domani ho il congresso, mi faranno a pezzi”.Gli consigliai un diversivo: “Butta avanti il proget-to di Costituzione federale. Toh, eccòti i dieci pun-ti”. Cosi nacque lo statuto di Assago. Riscossi iltriplo dei suoi applausi. Lui crepava di gelosia.Non poteva tollerare che i militanti gridassero“Mi-glio, Mi-glio”. Sa, il mio cognome è un bisilla-bo. Suona bene, come Bos-si.

Prima il Senatùr lancia il federalismo e poi loabbandona. Quindi apre il Parlamento del Nord epoi lo chiude. Indice il referendum sotto i gazeboper l’autodeterminazione della Padania e poi nongli dà seguito. Proclama la secessione e poi diceche s’è sbagliato. Inaugura il parlamento di Chi-gnolo Po e poi lo chiude. Annuncia che la Lega de-ve collaborare con l’Udr di Cossiga e Mastella e poici ripensa. S’inventa il blocco padano e poi non neparla più. Fregoli non avrebbe saputo far meglio.

Bossi insegue soltanto la sua fortuna personale.Come tutti i politici italiani, punta a contare, nona comandare. Mi chiedono: come hai fatto ad an-dare d’accordo per tre anni con un tipo così? Cer-to, avessi avuto a disposizione un Metternich...

Invece senta come ce l’ha descritto: “Tapino,orecchiante, rabbioso, infido, teppa, mostricciat-tolo, arruffapopolo, pigmeo, analfabeta, mentito-re arabo, levantino col gusto della menzogna,ubriaco, botolo ringhioso, sogliola da schiacciare,Robespierre da barzelletta, contapalle, comizian-te da bar”. E Bossi che le dà del “minchione, arte-riosclerotico, panchinaro, poveraccio, vecchio coicapricci di un bambino”, fino all’intuizione coper-nicana: “Miglio è una scoreggia nello spazio”.Non è stato un bello spettacolo, le pare?

No, non lo è stato.L’ultima volta che vi siete visti?Due anni fa, in casa di Fassa, allora sindaco di

Varese. In quell’occasione gli chiesi: “Tu hai real-mente una forza armata pronta a sparare?”. Mi ri-spose: “Sì, sì, la sto preparando”.

Ma da come farfugliava capii che stava racco-gliendo un mio suggerimento e che non sarebbestato capace di tradurlo in realtà. Perché, vede, aun certo punto un uomo politico deve impugnareil fucile.

La sua ben nota teoria dell’ineluttabilità dellaguerra civile...

Certo, soltanto che Bossi blatera e basta. Unavolta m’ha detto: “Io non ho difficoltà a far veniredalla Croazia dieci autocarri carichi di armi”. Mafammi il piacere... Chiacchiere.

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Confessi: lei non ha digerito lo scherzetto cheBossi le combinò nel ‘94, quando la indicò comeministro delle Riforme istituzionali nel governoBerlusconi e invece all’ultimo momento le preferìFrancesco Speroni.

Quello fu un tiro mancino di Scalfaro, ossessio-nato dall’idea che io avessi i mezzi per sovvertirela sua Repubblica parlamentare. E da ministro liavrei avuti, gliel’avrei distrutta.

Così il capo dello Stato disse pressappoco a Bos-si: se tu rinunci a Miglio, io ti consentirò poi dirovesciare Berlusconi senza mandarti subito alleurne. E nello stile di Bossi negoziare con chi losnobba, e Scalfaro lo snobbava, accidenti se losnobbava. Poi sono diventati culo e camicia.

C’era rivalità anche fra lei e Scalfaro?Sa com’è, siamo stati compagni di università,

laureati a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro,io con 110 e lode, lui con un voto più basso. Tengaconto che ero stato incaricato da Bossi di trovareun candidato al Quirinale favorevole al federali-smo, sul quale la Lega avrebbe fatto convergere ivoti. Ebbi contatti con tutti, da Forlani a Craxi.Leo Valiani fu il più patetico: “Corro subito in Tv adire che siamo amici e che mi batterò per una Co-stituzione federale. Dovetti trattenerlo per la giac-ca. Spadolini voleva addirittura tenere un discorsopubblico su Cattaneo. Con Andreotti ci trovammoa trattare di nascosto a Villa Madama, sulle pendi-ci di Monte Mario, davanti a un camino spento.

Ecco, Scalfaro non mi ha mai perdonato di nonessere stato dalla sua parte. E me l’ha giurata per-ché: ho ascoltato a braccia conserte il suo primodiscorso da presidente, senza mai applaudirlo.

Lei disse che “Bossi non è in grado di governareniente, nemmeno di fare l’assessore in un comu-nello.

Confermo. Non è capace di proiettare un lavoronel tempo, di stare dietro una scrivania.

Se fosse diventato padrone della Padania, unminuto dopo si sarebbe posto il grosso problemadi come rovesciarlo.

Impresa difficile?Impossibile. Quando Maroni cadde in disgrazia,

fui invitato a un incontro segreto in casa di unasignora milanese. “Voglio far fuori Bossi”, mi ri-velò Maroni. Gli obiettai che, con Bossi vivo, laLega non avrebbe mai avuto altro capo all’infuoridi lui. “Quand’è così, devo cambiare programmi”,concluse Maroni. Tornò a cuccia e fu riammessonel movimento. Adesso Bossi si sta dando da farecon D’Alema per portarlo alla presidenza della Re-gione Lombardia.

Lei ha raccontato che il presidente Cossiga le

telefonò minacciando di perseguitare i leghisti, dimandare le Fiamme gialle a spulciare nelle loropartite Iva, di far trovare l’auto di Bossi imbottitadi droga. Non è accaduto niente di tutto questo.Perché, secondo lei?

Cossiga s’è convinto che la Lega potesse servireal suo disegno. E lo stesso motivo per cui, nono-stante Andreotti insistesse tanto, non volle farmisenatore a vita: “No, tu devi stare nella Lega e pi-lotarla”, mi disse. “Se ti nomino senatore a vita,quelli ti mettono in un angolo”.

Professore, che cos’è per lei la bontà?Un difetto. Una persona buona non si mette in

politica, e io ho dedicato la vita a studiare la politi-ca. Capisce perché fra le mie virtù non può essercila bontà?.

Non mi starà dicendo che la politica è una cosasporca, come frigna la maggioranza degli italiani.

Assolutamente no. È che la politica, come pen-sava Machiavelli, ha regole diverse dall’etica. Lamorale è una cosa la politica un’altra. Ecco perchénon posso soffrire le anime belle, i La Pira, i Dos-setti, i Lazzati, con la loro idea astratta dell’uomo.Non sopporto i cattolici sociali che vorrebbero in-segnare al Padreterno come andava fatto l’uomo.Io invece accetto l’uomo come Dio l’ha creato, unimpasto di bene e di male.

Dunque crede in Dio.Tutti gli scienziati a un certo punto nutrono il

sospetto della presenza di Dio. In me questo so-spetto è molto radicato.

Lei sostiene d’essere “nato carogna”. Il profes-sor Firpo arrivo a definirla “la più aggiornata ma-nifestazione del Demonio”.

Cattivo sì, ma non luciferino. I miei studenti miadoravano. Il rettore dell’università di Pavia ungiorno si sentì dire da marito e moglie: “Ah, ilprofessar Miglio! Che uomo! Noi siamo suoi allie-vi. Pensi che io sono stato bocciato quattro volte elei cinque”, erano raggianti. Tanto che il rettore,tornato a Pavia, ordinò ai suoi docenti: “Dovetebocciare di più”.

Almeno le piacciono i bambini?Sì, soprattutto perché scorgo in loro l’anticipa-

zione di ciò che saranno da grandi. E non sonodoti propriamente positive quelle che vedo.

È stata solo una carognata l’aver definito il lin-ciaggio “forma di giustizia nel senso più altodella parola”?

Io ho affermato che il linciaggio è una formaelementare di giustizia. È diverso. I processi sonoconcrezioni costruite sul linciaggio. C’è la giusti-zia dei legulei, che è un imbroglio ai danni delprossimo, e c’è la giustizia del popolo.

132 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 69-70 - Gennaio-Aprile 2007

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E allora mi spiega perché gli uomini hanno in-ventato i tribunali?

Un’autodifesa. Vedendo il bandito impiccato inpiazza, tutti pensarono: e se un giorno capitasse ame? Così è venuto fuori questo sistema di con-trappesi, fatto di toghe, codici e cavilli.

Lei è per la pena di morte?No. Per l’ergastolo. Che è peggio della pena di

morte, quando dura tutta la vita.Com’è che ha sempre potuto spararle grosse

senza mai pagare dazio?Una volta Martelli, quand’era ministro della

Giustizia, mi fece interrogare in Procura a Milanoper il mio libro in cui istigo alla disobbedienza ci-vile. Alla fine il magistrato mi chiese di fargli unadedica sul frontespizio.

Professore, come regolerebbe il flusso migrato-

rio degli extracomunitari?Il destino dell’Europa è di rivivere le invasioni

barbariche. Anche nella Gallia di Cesare c’erano iservitori. La difficoltà è mantenere la distinzionefra schiavi e liberi.

Sta teorizzando la schiavitu?Dovremo incorporare alcuni milioni di immi-

grati che svolgeranno i lavori rifiutati da noi euro-pei. Ma bisogna evitare i mescolamenti, se voglia-mo far sopravvivere l’Occidente.

Sono proprio gli extracomunitari a chiedercelo.È questo Occidente, così come lo vediamo, che liattrae, che li induce a lasciare la loro terra. Voglia-mo distruggerglielo?

In ogni caso lei sogna di morire da cittadinodella libera Repubblica Padana.

Ho una riserva: di morire svizzero.

Anno Xlll, N. 69-70 - Gennaio-Aprile 2007 Quaderni Padani - 133

Padania al centro della nuova Europa

Miglio: “Il modello vincente è quello imperial-federalista basato sui popoli”

di Gianluca Savoini

La Padania, 15 giugno 2000

L’Europa futura ricalcherà la struttura formi-dabile del Sacro Romano Impero: saràun’Europa dei popoli, non delle nazioni, co-

me voleva De Gaulle e nemmeno degli Stati cen-tralisti, come è l’attuale. Gli americani se ne stan-no accorgendo e il recente discorso di Clinton adAquisgrana lo dimostra.

Gianfranco Miglio non è tipo da lasciarsi anda-re a vaticini o, peggio ancora, a profezie dettatedalla passione e dall’entusiasmo. Le sue parole sulmutamento in corso della struttura territoriale epolitica europea rivestono quindi una grande im-portanza, visto che provengono da uno studiosoche da anni perfeziona e sviluppa costruzioni co-stituzionali e politiche che hanno da tempo supe-rato i confini della Padania e della stessa Europa.

Rispetto a qualche mese fa, il professor Miglioappare rinfrancato e la sua verve battagliera cir-conda ogni sua parola.

I tempi stanno cambiando e la vecchia Europasembra pronta a risvegliarsi, dopo i bui decennidella Guerra Fredda e dell’equilibrio della balan-ce of power tra le due Superpotenze alle qualiYalta ha regalato i destini del mondo: Usa edUrss. Oggi restano in piedi solo gli Stati Uniti eproprio da laggiù partono messaggi inequivoca-bili che raccontano le idee - e anche le preoccu-pazioni - del governo americano quando guardaal nostro continente.

L’idea nuova ed antica al tempo stesso, che sista facendo largo in settori sempre più influentidelle diplomazie europee, è quella del Sacro Ro-mano - spiega Miglio. Un’idea imperiale dell’Eu-ropa che però non deve spaventare nessuno. Essapotrà invece aprire un nuovo, interessantissimocapitoo nella millenaria storia del nostro conti-nente.

Professor Miglio, il presidente americano

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Clinton ha quindi preso atto dell’importanza del-la Devolution e delle identità delle antiche nazio-ni europee, finite poi inglobate dagli Stati nazio-nali ottocenteschi: Lombardia, Piemonte, Veneto,Catalogna, Slesia. Lei se lo aspettava?

A mio avviso Clinton e i suoi uomini hanno unavisione dell’Europa parecchio superata, perciò lesue dichiarazioni non mi esaltano. Comunque èun fatto che i politici americani si rendono contopure loro che l’Europa è alla vigilia di un cambia-mento profondo e che le istituzioni parlamentariche hanno caratterizzato l’efficacia dell’Ue sono inun inarrestabile declino. Si apre insomma la pos-sibilità di un’operazione federale attuabile attra-verso un grande rimescolamento geopolitico in-terno. Le grandi regioni, le cosiddette macrore-gioni europee, potranno riposizionarsi al di fuoridei decadenti e ormai superati Stati nazionali che,come dice lei, le hanno ingabbiate da troppo tem-po.

Potrà rinascere, per quel che riguarda le nostrearee geografiche, la Mitteleuropa?

L’idea della Mitteleuropa è attualissima. Nonviene affatto contrastata peraltro da Berlino.

Semmai è vero l’opposto. La capitale tedesca èdiventato il nuovo laboratorio politico continen-tale, costruttore di nuove civiltà. Nella cultura te-desca sta maturando un’idea nuova.

Prendiamo ad esempio il Ministro degli esterigermanico Joschka Fischer. Egli è un ex Verde,che si è convertito alla Real-politik, lasciando per-dere la demagogia del suo ex partito. Fischer è unuomo geniale e contrappone la sua idea d’Europaa quella dei francesi.

Cosa pensano i francesi?Sono ancorati sempre alla concezione di De

Gaulle, quella dell’Europa delle nazioni, delle pa-trie. Concetti superati, inadatti alla bisogna. Lenazioni attuali sono ormai in disfacimento sottoogni profilo. Per dirla con Nietzsche, affrettiamo-ne la scomparsa.

Fischer, la Germania, invece, propongono unarivisitazione del Sacro Romano Impero. Io ho stu-diato a lungo il funzionamento di quella poderosastruttura continentale medievale e moderna.

Funzionava al meglio?Certo, più dell’Europa attuale. Era una struttu-

ra internazionale che serviva alle Reichstaedten,alle “città dell’Impero” per regolare i conflitti chepotevano sorgere a livello locale. Ma per il restoerano le comunità statuali ad autogovernarsi, apromulgare loro leggi.

L’autorità imperiale non rompeva la scatole co-me fa oggi Bruxelles.

Allora lei giudica favorevolmente il pensiero diUmberto Bossi sul Sacro Romano Impero?

Certo. Anche se Bossi dovrebbe essere più tran-quillo quando parla della Germania. Il QuartoReich da lui temuto non può esistere nel concettoimperiale d’Europa. I tedeschi non vogliono ger-manizzare tutto. Sembrano minacciosi in quantoutilizzano apertamente le basi della loro grandetradizione culturale europea, ma Bossi è troppointelligente per non capire che il simbolo del sa-cro Romano Impero servirà a rilanciare una fede-razione di popoli europei liberi e sovrani.

Nella struttura imperiale europea, basata an-che sulla cultura e sulle identità dei popoli,avranno posto anche le popolazioni del Mezzo-giorno italiano?

Come ha scritto lo studioso veneto GualtieroCiola, noi padani siamo eredi dei Celti e dei Lon-gobardi, presenti in tutta l’Europa continentale.Quella mediterranea invece?

Giusta osservazione. La parte d’Europa immer-sa nel Mediterraneo ha tradizioni e culture diver-se da quella continentale, nella quale troviamo laPadania. La Padania è Mitteleuropa e deve neces-sariamente guardare soprattutto ai popoli mitte-leuropei. Senza però dimenticare i collegamenticommerciali; di buon vicinato con i mediterraneieuropei. Del resto non dimentichiamo che la Pri-ma ‘Guerra Mondiale’ scoppiò quando il Kaisertedesco Guglielmo II aveva intenzione di costrui-re la grande ferrovia che, attraversando il nostrocontinente, sarebbe giunta fino a Bagdad. Tra Bal-cani e Mitteleuropa c’è sempre stato un granderapporto, così come oggi dovrà esserci un granderapporto tra l’Europa continentale e quella medi-terranea.

Quali saranno invece i rapporti con l’Est, conla sterminata Russia, professore?

Mi auguro possano essere proficui per entram-bi, per l’Europa e per Mosca. Anche per controbi-lanciare lo strapotere americano.

Lei segue sempre le iniziative politiche dellaLega Nord?

Con estremo interesse. Mi sembra che l’impor-tanza delle idee leghiste è oggi centrale. L’idea diEuropa delle regioni e dei popoli può ricevere unapporto fondamentale dall’azione politica del Car-roccio a livello regionale.

Bossi fa benissimo a tenere alzato il bandieronedella Devolution e della Questione Settentrionale.Credo proprio che finalmente il processo federali-sta si sta mettendo in moto e la Padania sicura-mente farà la sua parte. Anzi, sarà attrice protago-nista del prossimo grande cambiamento.

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I «Quaderni Padani» raccolgono interventi di aderenti a “La LiberaCompagnia Padana” ma sono aperti anche a contributi di studiosi ed ap-passionati di cultura padanista. Le proposte vanno indirizzate a: La Libera Compagnia Padana. Il materialenon viene restituito.

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❝ Con il consenso della gente si può fare di tutto:

cambiare il governo, sostituire la bandiera, unirsi a un altro paese,

formarne uno nuovo❞

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