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G IORNALE DI A STRONOMIA Rivista di informazione, cultura e didattica della Società Astronomica Italiana Fabrizio Serra editore Giugno 2018 Pisa · Roma Vol. 44º · N. 2 S o c i e t à A s t r o n o m i c a I t a l i a n a 1 8 7 1 S o c ie t à d e g li S p e ttr o s c o p i s t i

GIORNALE DI ASTRONOMIA - SAIt

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Società Astronomica Italiana

Con il patrocinio dellaCamera dei Deputati

GIORNALE DI ASTRONOMIARivista di informazione, cultura e didatticadella Società Astronomica Italiana

Fabrizio Serra editore Giugno 2018Pisa · Roma Vol. 44º · N. 2

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GIORNALEDIASTRONOMIARivista di informazione, cultura e didatticadella Società Astronomica Italiana

Pubblicato con il patrociniodella Camera dei Deputati

Direttore responsabile: Fabrizio Bònoli

Il Comitato di redazione è compostodal Consiglio Direttivo della S.A.Itwww.bo.astro.it/sait/giornale.html

Per informazioni rivolgersi alla Segreteria dellaSocietà Astronomica ItalianaLargo E. Fermi 5, i 50125 Firenzetel. +39 055 [email protected]

I lavori sottoposti per la pubblicazione (redatti secondo leistruzioni riportate in terza di copertina) devono essere inviati direttamente al Direttore:

Fabrizio Bònoli, Dipartimento di Fisica e AstronomiaVia Ranzani 1, i 40127 Bolognatel. +39 051 2095701, fax +39 051 [email protected]

Aut. del Tribunale di Roma del 15/1/1975 n. 155756

Pubblicazione trimestraleVol. 44º · N. 2 · Giugno 2018

Fabrizio Serra editorePisa · Roma

Sommario

Astronomia oggi2 La funzione iniziale di massa stellare: universale o varia-

bile? Implicazioni per l’evoluzione delle galassieF. Fontanot

Storia7 Huygens e Cassini: appuntamento su Saturno, trecento

anni dopoA. Cassini

16 La riscoperta dell’opera di Secchi sugli spettri prismaticiP. Bonifacio

Cent’anni fa20 D. Randazzo, I. Chinnici (a cura di)

Cieli d’inchiostro (a cura di A. Mandrino, M. Gargano, A.Gasperini)

23 Ricordando Angelo Secchi: Cronaca della spedizione in Spagna per l’eclisse del 1860

I. Chinnici

Spigolature astronomiche (a cura di A. D’Ercole)27 La temperatura di equilibro

C. Elidoro

Rubrica dei lettori30 Marino Perissinotto. Un astrofilo d’altri tempi, un astro-

filo di serie “A”P. Campaner

Biblioteca (a cura di A. Cappi)33 V. Barone, P. Bianucci, L’infinita curiosità. Breve viaggio

nella fisica contemporanea (recens. di A. Simoncelli)33 G. F. Bignami, Le rivoluzioni dell’universo. Noi umani tra

corpi celesti e spazi cosmici (recens. di G. G. C. Palumbo)35 A. Frova, Luce. Una storia da Pitagora a oggi (recens. di A.

Cappi)36 P. Greco, La scienza e l’Europa. Dal Seicento all’Ottocento

(recens. di G. G. C. Palumbo)37 P. Greco, L’origine dell’universo (recens. di M. Bellazzini)38 S. Kelly, M. Lazarus Dean, Endurance. Un anno nello

spazio, una vita di scoperte (recens. di M. Orlandi)40 G. Montanari, L’astrologia convinta di falso col mezzo di

nuove esperienze, e Ragioni Fisico-Astronomiche, ò sia lacaccia del Frugnuolo (recens. di S. Bianchi)

42 P. Natarajan, L’esplorazione dell’universo. La rivoluzioneche sta svelando il cosmo (recens. di A. Adamo)

In copertina:La nostra copertina, con il prisma obiettivo di padre Angelo Secchie il suo libro Le Stelle, è dedicata al bicentenario della nascita delgrande astrofisico.

Il prisma circolare fu costruito da Georg Merz su indicazionedi Secchi. Veniva applicato davanti all’obiettivo del telescopio Cauchoix e, più tardi, dell’equatoriale di Merz, consentendo di ot-tenere degli spettri di grande ampiezza rispetto agli spettroscopi dell’epoca. L’opera Le stelle venne pubblicata a Milano nel 1877 edè considerata testo fondamentale nella storia dell’astrofisica (inaf,Museo Astronomico e Copernicano, Roma; foto di M. Calisi). [Sivedano all’interno gli articoli di P. Bonifacio e I. Chinnici].

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La funzione iniziale di massa stellare:universale o variabile?Implicazioni per l’evoluzione delle galassieFabio Fontanotinaf - Osservatorio Astronomico di Trieste

’evoluzione delle galassie rappresenta un pro-blema complesso dalle molte sfaccettature.

Queste rispecchiano la varietà di processi fisici cheagiscono sulla componente barionica dell’universo,ovvero quella piccola frazione della sua densità (pa-ri al 4% del totale) che corrisponde agli atomi di cuile stelle e i pianeti sono formati. Nonostante la suaesiguità, tale frazione costituisce una parte rilevan-te, non solamente perché include gli elementi chimici di cui siamo composti, ma anche perché è ingrado di emettere fotoni e quindi ci permette di studiare la formazione e l’evoluzione delle grandistrutture cosmiche quali le galassie.

Il paradigma cosmologico più accreditato preve-de che queste ultime si formino all’interno dellestrutture (i cosiddetti aloni) di materia oscura (laforma di materia dominante dal punto di vista gravitazionale e corrispondente a circa il 23% delladensità totale dell’universo). In questo articolo nondiscuteremo la natura di questa componente e la fisica alla base della formazione delle strutture co-smiche su larga scala, per cui rimandiamo ad altri interventi (si veda ad esempio, su questa stessa rivi-sta, Fontanot, 2011). Per i nostri scopi ci basterà ri-marcare che le strutture di materia oscura si com-portano, in prima approssimazione, come dei pozzi gravitazionali verso cui i barioni sono attratti e al-l’interno dei quali agiscono i meccanismi responsa-bili per la formazione stellare e galattica. Innanzi-tutto, i barioni cadono in un alone di materia oscurasotto forma di gas; le onde d’urto che accompagna-no questo processo di accrescimento ne determina-no un riscaldamento a temperature che possonoraggiungere anche i milioni di kelvin. In queste ti-piche condizioni di temperatura e densità il gas nonsi trova in uno stato stabile per cui inizia a raffred-darsi emettendo radiazione e cadendo verso il cen-tro della buca di potenziale. Al centro dell’alone cisi aspetta dunque che il gas freddo si accumuli, au-mentando progressivamente la propria densità finoa raggiungere le condizioni adatte (in termini ditemperatura e densità) affinché gli atomi di idroge-no (l’elemento chimico più diffuso nell’universo) sicombinino a formare molecole. Enormi complessidi gas molecolare sono chiamati “nubi molecolari”e sono comunemente osservati nella nostra Galas-sia. Le nubi molecolari sono considerate fonda-mentali nella teoria corrente della formazione stel-

lare, in quanto solo in queste regioni il gas può es-sere così denso ed opaco da assorbire la sua stessaradiazione ed iniziare nuovamente a riscaldarsi,condizioni indispensabili per l’avvio delle reazionitermonucleari. Una volta che la formazione stellareè innescata, iniziano ad essere attivi i cosiddetti fenomeni di feedback: questi includono tutti i pro-cessi radiativi tramite i quali la popolazione stellareappena formata modifica lo stato del gas che la circonda, riscaldandolo ed eventualmente contra-stando il suo ulteriore raffreddamento. In particola-re, le esplosioni di supernova, connesse alle ultimefasi di vita delle stelle massicce e/o binarie, sono ilfenomeno più efficiente per distribuire energia e calore in regioni anche molto distanti dai propri sitidi formazione, disperdendo allo stesso tempo gli elementi chimici (più pesanti di idrogeno ed elio)prodotti dalle reazioni termonucleari negli internistellari. Il bilanciamento tra i processi di raffredda-mento (che tendono ad aumentare la frazione di gasfreddo) e quelli di riscaldamento (che tendono a di-minuirla) instaura un regime detto di “autoregola-zione” della formazione stellare.

Le nubi molecolari rivestono quindi un ruolocentrale nel processo di formazione stellare, che asua volta, rappresenta una pietra angolare per lostudio della formazione delle galassie. Tuttavia, lostato termico e chimico delle nubi molecolari e laloro evoluzione, sia nella fase precedente, sia du-rante la formazione stellare, sono aspetti ancorafortemente dibattuti nella comunità scientifica e irelativi dettagli controversi. Un punto fermo è laconstatazione che le stelle non si formano in ma-niera isolata, ma ogni nube molecolare origina unacosiddetta “popolazione stellare”, ovvero un insie-me di stelle coeve (Fig. 1). Un ruolo chiave in que-sto processo è sicuramente giocato dalla “fram-mentazione” della nube, ovvero dal numero delleregioni ad alta densità al suo interno che andrannoa formare i nuclei delle singole stelle. Questi nucleinon sono necessariamente tutti uguali, così comenon lo saranno le stelle cui daranno origine. Ricor-diamo che il parametro fondamentale che governal’evoluzione stellare è la massa dell’oggetto (che de-termina il numero ed il tipo delle reazioni termo-nucleari che possono avvenire durante la sua evolu-zione). La distribuzione in massa delle stelle appenanate racchiude, quindi, informazioni preziose per lo

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studio dell’evoluzione sia della singola popolazionestellare, sia della galassia in cui si forma (intesa co-me combinazione di successive generazioni stella-ri). Questo estimatore statistico viene denominato“funzione iniziale di massa stellare” o imf (initialmass function).

L’imf racchiude informazioni critiche per le teo-rie di formazione galattica in quanto regola la fra-zione di stelle massicce (qui definite come stelle cheterminano la propria evoluzione come supernovae)associata ad ogni episodio di formazione stellare.Essendo le stelle massicce i maggiori contributori alriscaldamento del gas freddo (sia nella fase radiati-va, sia nella fase di supernova), queste giocano unruolo prominente nel processo di autoregolazionedella formazione stellare cui abbiamo accennato inprecedenza. Inoltre, le stelle massicce sono i princi-pali “inquinatori” di metalli dell’universo. Esclu-dendo, infatti, alcuni elementi leggeri formatisi inseguito alla nucleosintesi primordiale, senza la for-mazione stellare, l’universo sarebbe formato sola-mente da idrogeno ed elio. Sono le reazioni termo-nucleari all’interno delle stelle a determinare lasintesi degli elementi più pesanti (compresi, adesempio, quelli alla base degli amminoacidi, tantoimportanti per lo sviluppo della vita sulla Terra).Tuttavia, solamente gli elementi prodotti dalle stel-le massicce vengono rilasciati nell’ambiente circo-stante durante le esplosioni di supernova e possonoessere incorporati in successive generazioni di stel-le. Al contrario, gli elementi prodotti dalle stelle dibassa massa sono confinati all’interno delle stesse,la cui aspettativa di vita è superiore all’età dell’uni-verso. La frazione di stelle di bassa massa è ovvia-mente anch’essa determinata dall’imf ed è un altroparametro importante per l’evoluzione galattica, inquanto determina la frazione di massa bloccata e

non più disponibile per successive generazioni distelle.

Da quanto detto risulta chiara la rilevanza dellaforma dell’imf sia, in modo diretto, per la com-prensione dei processi di formazione stellare (quin-di su scale – astronomicamente parlando – piccole),sia, in modo indiretto, per la descrizione dell’evolu-zione delle strutture stellari su larga scala, quali legalassie. Inoltre, ha implicazioni non banali ancheper lo studio dei pianeti extrasolari. Infatti, moltistudi mostrano come la probabilità di trovare un si-stema planetario attorno ad una stella, il numero dicorpi che lo compongono e le sue proprietà dina-miche siano in qualche modo legate al tipo spettra-le. Dal punto di vista più filosofico, inoltre, e a giu-dizio dello scrivente, l’evoluzione “storica” dellanostra comprensione di questa quantità statisticamostra chiaramente come i paradigmi scientificipossano cambiare a seguito di diverse e più appro-fondite osservazioni, ed è un buon esempio di comefunzioni il metodo scientifico nella pratica.

Nella seconda metà del secolo passato, la formadell’imf è stata determinata tramite conteggi diret-ti di stelle associate a regioni di recente formazionestellare (Fig. 1). Nonostante un vivace dibattito suquale forma funzionale fosse la più indicata per de-scriverne la distribuzione (si veda Fig. 2 per un con-fronto tra le proposte più popolari; per un appro-fondimento si rimanda il lettore alla recente reviewKroupa, 2013) e, in particolare, per la coda a bassemasse, tutte le regioni appartenenti al disco stellaredella Via Lattea sembravano implicare una imf dal-le proprietà molto simili. Questo risultato portò al-l’affermarsi della nozione della “universalità” dellaimf che si postulò essere la stessa per ogni evento di

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Fig. 1. La più profonda immagine infrarossa della Nebulosa diOrione, ripresa dalla camera hawk-i al vlt, mostra la regione diformazione stellare più vicina al Sistema solare. Lo studio della di-stribuzione delle stelle di diversa massa derivata tramite conteggidiretti di oggetti risolti è stata alla base degli studi della imf per decenni. (dal sito nasa “Astronomical Picture of the Day”: https://apod.nasa.gov/apod/ap160718.html; crediti: eso, vlt, hawk-i, H.Drass et al.)

Fig. 2. Funzioni iniziali di massa stellare nella Via Lattea. Nono-stante la viva discussione su quale forma funzionale sia più adattaa descrivere questa proprietà statistica, gli esperti concordano sul-la sua invarianza nelle regioni di formazione stellare appartenential disco della nostra galassia.

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formazione stellare, in ogni galassia ed in ogni epo-ca cosmica. Questa assunzione era del tutto logica,dal momento che mancava qualsiasi evidenza delcontrario, e vista la varietà di regioni stellari nelle vi-cinanze del sistema solare. Tuttavia, va rimarcatoche venne fatta “nonostante” l’impossibilità tecnicadi utilizzare conteggi stellari diretti per regioni diformazione stellare in altre galassie e quindi diesplorare un intervallo di proprietà fisiche per le nu-bi molecolari più esteso di quello permesso dallaVia Lattea. Inoltre, per lo studio dell’evoluzione del-le galassie, questo assioma era molto vantaggiosoda un punto di vista teorico. Infatti, a favore del-l’ipotesi opposta – ovvero l’idea che l’imf potesse es-sere variabile in funzione di una qualche proprietàfisica – non c’era univoca e chiara indicazione né daidati né dalla teoria. Per tutti questi motivi, per mol-ti anni assumere ed utilizzare una imf variabile inmodelli di evoluzione galattica è stata vista comeuna soluzione “esotica” (per non dire un “trucco”),nonostante ci fossero evidenze (non decisive) che al-cune osservazioni potessero favorire uno scenariodi questo tipo.

La situazione è cambiata drasticamente nell’ulti-mo decennio, con l’avvento di nuove tecniche os-servative, quali ad esempio le cosiddette IntegralField Units, che hanno permesso di mappare conmaggiore accuratezza le proprietà dinamiche e/ospettroscopiche di regioni contigue di galassie vici-ne. Da un punto di vista dinamico (si veda ad esem-pio Cappellari et al., 2012) ci si è resi rapidamenteconto di una discrepanza tra la massa totale neces-saria a spiegare i moti interni alle galassie ellittichecon quella derivata a partire dalla distribuzione del-la luminosità osservata ed assumendo una imf uni-versale. Nel dettaglio, il rapporto tra la massa e la lu-minosità (rapporto M/L) delle galassie dalle stimedinamiche era diverso da quello atteso per una imfuniversale. Fatto ancora più decisivo, la discrepanzarilevata non risulta essere costante nel campione diriferimento: in questo caso infatti si sarebbe potutaspiegare assumendo una imf dalla forma diversa daquella di riferimento, ma comunque universale. In-vece la deviazione osservata mostrava una chiara di-pendenza dalle proprietà fisiche delle galassie delcampione, e quindi suggeriva una variabilità del-l’imf. I rapporti M/L derivati dinamicamente sonotipicamente superiori rispetto a quelli previsti dauna imf universale. Si possono immaginare due sce-nari alternativi per spiegare questi risultati. Il primoscenario (detto in gergo top-heavy imf) implica undeficit di luminosità e può essere ottenuto a partireda una imf caratterizzata da una frazione di stellemassive più grande rispetto a quella della Via Lat-tea. Infatti, un numero maggiore di stelle massicceimplica, di rimando, un numero minore di stelle che“non” terminano la loro vita come supernovae eche contribuiscono alla luminosità della galassia(che quindi cala). Lo scenario alternativo (detto ingergo bottom-heavy imf) postula un eccesso di mas-sa direttamente collegato ad una frazione maggio-

re di stelle di bassa massa rispetto alla imf della ViaLattea.

I risultati ottenuti con lo studio delle masse dina-miche hanno ottenuto una conferma pressochécontemporanea da osservazioni spettroscopiche digalassie ellittiche (si veda ad esempio La Barberaet al., 2013). Utilizzando dati ad altissima risoluzione,ottenuti con i più moderni strumenti, è stato infattipossibile vincolare le forma di ben precise caratteri-stiche spettrali che permettono di stabilire il rap-porto tra il numero di stelle giganti e quelle di bas-sa massa (ovvero meno di metà della massa delnostro Sole). Il valore ottenuto mostra una devia-zione rispetto al valore atteso per una imf universa-le del tutto analoga a quella risultante dall’analisi di-namica. Anche in questo caso, inoltre, l’ampiezzadella discrepanza non è costante nel campione, mamostra una chiara dipendenza dalle proprietà fisi-che della galassia sotto esame (in particolare dallasua massa). In questo caso, lo scenario più favore-vole risulta essere quello di una imf bottom-heavy,che naturalmente predice un numero maggiore distelle di bassa massa rispetto alla imf osservata neldisco della Via Lattea.

Questa serie di osservazioni ha messo in difficol-tà il paradigma dell’universalità della imf, pur senzatuttavia dare chiare indicazioni su quali siano le pro-prietà fisiche ultimamente responsabili per la suavariabilità. La formazione stellare è infatti un pro-cesso locale e non si vede per quale motivo la imfcon cui si formano le stelle in una data epoca co-smica debba dipendere (o conoscere), ad esempio,la massa stellare totale dell’oggetto finale in cui lestelle si verranno a trovare (che dipende dalla suacomplessa storia evolutiva). Con questo sempliceargomento si può quindi comprendere come le di-pendenze osservate della discrepanza dalle proprie-tà fisiche delle galassie siano da considerare degli in-dicatori indiretti e che la reale dipendenza sia piùprobabilmente legata alle proprietà locali delle re-gioni di formazioni stellari. Se questo è corretto, cisia aspetta inoltre che la imf vari sia spazialmenteche temporalmente, durante l’evoluzione cosmolo-gica delle galassie, seguendo le variazioni spaziali etemporali delle proprietà fisiche rilevanti. La fonda-tezza della variabilità spaziale dell’imf è già statasuggerita da osservazioni spettroscopiche di regio-ni indipendenti di galassie ellittiche (un esempioemblematico è il caso di M87: Fig. 3), che hanno da-to indicazioni in favore di variazioni radiali dellaimf. Per quanto riguarda la variabilità temporale, varimarcato che tutti i test osservativi che abbiamo di-scusso possono misurare solamente la imf “media”dell’oggetto sotto analisi, cioè non sono sensibili aduna eventuale evoluzione della imf durante la storiadi formazione stellare di una data galassia (attraver-so i singoli episodi di formazione stellare).

Il livello di complessità che l’ipotesi di una imf va-riabile implica per i modelli teorici, rispetto allasemplice ipotesi di imf universale, è notevole. Co-me abbiamo già accennato, la variabilità della fra-

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zione di stelle massicce (e quindi di supernovae) as-sociate ad una popolazione stellare altera il bilan-ciamento tra il raffreddamento e il riscaldamentodel gas negli aloni di materia oscura, andando quin-di a modificare l’evoluzione del tasso di formazionestellare lungo la storia della galassia. Le proprietàchimiche delle galassie saranno significativamentealterate rispetto al caso di una imf universale, dalmomento che le abbondanze relative delle diversespecie chimiche sono legate in maniera sostanzialeal rapporto tra il numero di stelle nelle diverse clas-si spettrali. Questo è dovuto al fatto che la sequen-za di reazioni termonucleari cui è soggetto un astrodipende principalmente dalla sua massa. Infine, lafrazione di gas che rimane bloccato in stelle di bas-sa massa, e non più disponibile per successive gene-razioni di stelle, diventa anch’essa variabile lungol’evoluzione delle singole galassie. Ma non sonoquesti gli unici aspetti su cui la possibilità di una imfvariabile va ad impattare. In generale, infatti, pos-siamo affermare che questa ipotesi ha un impattoprofondo sulla nostra visione globale dell’evoluzio-ne delle strutture cosmiche. Non va dimenticato,infatti, che la nostra comprensione delle galassie sibasa principalmente sulla luce che da esse ricevia-mo. Ed è a partire da questi fotoni, attraverso mo-delli interpretativi, che cerchiamo di ricostruire ladistribuzione delle proprietà fondamentali delle ga-lassie (ad esempio la massa, il contenuto in gas estelle, il tasso di formazione stellare etc.) e la loroevoluzione cosmologica. Il problema è che tutti iprincipali schemi interpretativi utilizzati finora as-sumono come assioma il fatto che la forma dell’imfsia universale e che quindi tutti i parametri fisici daessa derivabili siano costanti. In questo contesto,

ammettere una imf variabile ci riporta quindi allacasella di partenza: possiamo fidarci solo dei fotoni,che osserviamo direttamente, e quindi possiamousare solo le loro proprietà (ad esempio le funzionidi luminosità) per vincolare le predizioni di model-li teorici che implementino una imf variabile.

Tutte queste considerazioni forzano un cambiodi prospettiva non trascurabile, che si dovrà neces-sariamente accompagnare ad uno sforzo sia osser-vativo che teorico. Il maggior ostacolo giace ovvia-mente nel fatto che a tutt’oggi non è per nullachiara la natura fisica della variabilità della imf e lesue dipendenze dalle proprietà sia della regione diformazione stellare sia della galassia ospite. Diverseteorie sono state avanzate in letteratura ed ovvia-mente sono sotto indagine da parte della comunitàper comprenderne la validità da un punto di vista fi-sico. La Fig. 4 mostra una delle possibili variazioniproposte per la imf (in questo caso in funzione deltasso totale di formazione stellare – sfr, star forma-tion rate – della galassia ospite) e dimostra come siapossibile ottenere delle forme funzionali anchemolto diverse tra loro, da applicare ad oggetti di-versi o a diverse fasi evolutive della stessa sorgente.Chi scrive lavora già da anni allo studio dell’effettodi tali teorie sull’evoluzione delle proprietà fisiche echimiche delle galassie (si veda ad esempio Fonta-not et al., 2017). Alcuni risultati sono certamentemolto promettenti. Ad esempio, modelli che assu-mono che la forma dell’imf diventi top-heavy pereventi di formazione stellare molto intensi (o moltoconcentrati) riescono a spiegare in maniera natura-le alcuni aspetti delle galassie che sono stati per mol-to tempo un problema nel quadro di una imf universale. Tra questi vale la pena citare la distribu-zione delle abbondanze relative dei cosiddetti ele-menti alpha (carbonio, ossigeno, magnesio, silicio,

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Fig. 3. Il prototipo di galassia ellittica gigante M87. Lo studio del-la dinamica delle popolazioni stellari di questi oggetti ha fornito iprimi indizi osservativi sulla variabilità della imf in galassie di di-versa massa, poi estesi e confermati dagli studi spettroscopici, chehanno altresì dato indicazioni in favore di variazioni radiali. (dal sito nasa “Astronomical Picture of the Day”: https://apod.nasa.gov/apod/ap040616.html; crediti: Canada-France-Hawaii Telescope,J.-C. Cuillandre (cfht), «Coelum»)

Fig. 4. Esempio di possibile variabilità della imf in funzione deltasso di formazione stellare sfr. (adattato dal lavoro di Weidneret al., 2013)

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calcio) rispetto al ferro, in funzione della massa stel-lare di una galassia, oppure i tempi scala di forma-zione delle galassie più massicce rispetto alle lorocontroparti più piccole. Altri aspetti sono tuttaviapiù difficili da interpretare e tutt’ora discussi nellacomunità scientifica. Uno dei più affascinanti e chemerita specifica menzione riguarda l’apparentecontraddizione tra le abbondanze chimiche relativedelle galassie più massicce, che come abbiamo vistosembrano preferire una imf top-heavy, e i risultatispettroscopici, che ne favoriscono invece una di tipobottom-heavy. Il fatto che i dati spettroscopici sianosensibili principalmente alla coda a basse masse del-l’imf e vincolino poco la coda ad alte masse risultaessere un altro pezzo interessante del puzzle.

In conclusione, non si può evitare di sottolinearecome la variabilità dell’imf non sia al momento an-cora considerata come una conclusione assodatadalla comunità astrofisica e tutte le evidenze che lasuggeriscono siano analizzate con la massima at-tenzione e con un pizzico di (ragionevole) scettici-smo. Nonostante questo (o probabilmente propriograzie a questo) il numero di osservazioni coerenticon uno scenario di imf variabile continua ad au-mentare. Questo atteggiamento non fa che eviden-

ziare la grande importanza che l’argomento rivesteper la nostra conoscenza dell’evoluzione delle strut-ture cosmiche.

Referenze bibliografiche

M. Cappellari et al., Systematic variation of the stellar initial mass function in early-type galaxies, «Nature»,2012, pp. 484-485.

F. Fontanot, L’epoca di formazione delle Galassie, «Gior-nale di Astronomia», 37, n. 1, 2011, pp. 3-7.

F. Fontanot, G. De Lucia, M. Hirschmann, G.Bruzual, S. Charlot, S. Zibetti, Variations of theinitial mass function in semi-analytical models: implica-tions for the mass assembly and the chemical enrichment ofgalaxies in the gaea model, «Monthly Notices of theRoyal Astronomical Society», 464, 2017, p. 3812.

F. La Barbera et al., spider viii - constraints on the stellarinitial mass function of early-type galaxies from a varietyof spectral feature, «Monthly Notices of the RoyalAstronomical Society», 433, 2013, p. 3017.

P. Kroupa et al., The Stellar and Sub-Stellar Initial MassFunction of Simple and Composite Populations, in Planets,Stars and Stellar Systems, vol. 5, eds. T. D. Oswalt, G.Gilmore, Springer, Dordrecht, 2013, pp. 115-242.

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Fabio Fontanot, nato a Palmanova (ud) il 2 aprile 1977, si laurea in Fisica nel 2002 e consegue il Dottorato di ricerca nel2006 presso l’Università di Trieste. Dopo varie esperienze post- dottorato, in particolare ad Heidelberg, sia al Max-Planck-Institute für Astronomie che all’Heidelberger Institut für Theoretische Studien, è rientrato in Italia ed attualmente lavora come Ricercatore presso l’Osservatorio Astronomico di Trieste.

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Huygens e Cassini: appuntamento su Saturno,trecento anni dopo*Anna Cassini

cco gli eroi della nostra storia, Giovanni Do-menico Cassini e Christiaan Huygens, due

grandissimi protagonisti dell’astronomia del Sei-cento, quasi coetanei, essendo nati il primo nel1625, il secondo nel 1629. La missione intitolata ailoro nomi li accomuna, ma nella realtà essi furonoprofondamente lontani per origine, ambiente fami-liare, per studi ed educazione. Due personalitàscientifiche e due caratteri così diversi che quasi sicompensano a vicenda, chiamati dai loro paesi diorigine a Parigi per condurvi le ricerche più avan-zate nel campo delle conoscenze scientifiche, inparticolare dell’astronomia, secondo i programmidi lavoro che si prefiggeva l’Académie des Sciences,da poco fondata.

Cassini, come egli stesso racconta nella sua auto-biografia, nasce a Perinaldo, un bellissimo antico

borgo aggrappato ai dirupi scoscesi dei monti ligu-ri di Ponente, in una famiglia tra le notabili del pae-se, non nobile, ma di piccoli proprietari terrieri. C’èuno zio notaio, che accoglie in casa sua il piccoloGiovanni Domenico e provvede alla sua prima edu-cazione, che poi prosegue nel vicino paese di Valle-bona alla scuola di retorica tenuta dal Parroco ed in-fine si completa a Genova, presso il celebre Collegiodei Gesuiti, dove il giovane compie l’intero ciclo distudi previsto dalla Ratio Studiorum.

Egli si distingue per la vivacità dell’intelligenza, laprontezza nell’apprendere e la passione con cui sidedica soprattutto allo studio della fisica e della ma-tematica e viene notato da uno scienziato genovese,Giambattista Baliani, astronomo e corrispondentedi Galileo ed anche personaggio influente nella vitapolitica cittadina. Baliani appartiene alla nobiltà ge-novese e guida e introduce Cassini negli ambientipiù elevati, socialmente e culturalmente. Si apronocosì per il giovane perinaldese, che ha ventiquattroanni, orizzonti nuovi e decisivi per il suo futuro: iltrasferimento a Bologna con l’appoggio del mar-chese Cornelio Malvasia, astronomo dilettante e se-

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* Questo articolo è tratto dal contributo dell’Autrice al Con-gresso “Missione Cassini - Huygens: gran finale”, svoltosi a Sanre-mo il 5 e 6 ottobre 2017. Le due giornate sono state organizzate dal-l’Associazione Culturale “Stellaria” (www.astroperinaldo.it), incollaborazione con Agenzia Spaziale Italiana, Comune di Sanre-mo e Casinò di Sanremo.

Fig. 1. Giovanni Domenico Cassini, olio su tela, di autore ignoto,ca. 1660. (Ventimiglia, Civica Biblioteca Aprosiana)

Fig. 2. Christiaan Huygens, ritratto da Caspar Netscher duranteun soggiorno all’Aja, 1671. (L’Aja, Museo Municipale)

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natore del governo bolognese, e, grazie ancora alMalvasia, l’assegnazione della Lettura di Astrono-mia presso la famosa Università di Bologna.

Il prestigio di appartenere al corpo insegnantedell’antico Studium consentiva l’ingresso negli am-bienti esclusivi della nobiltà e la frequentazione dipersonalità famose nel campo delle lettere e dellescienze, ciò che avvenne puntualmente anche perCassini, che dal canto suo aveva già imparato ad in-trattenere rapporti accattivanti ed ossequiosi e adindividuare circostanze e persone che potessero in-fluire positivamente sulla sua carriera.

Nel 1652, dalla specola della villa Malvasia a Pan-zano presso Modena, osserva la cometa che apparenella notte di Natale e pubblica la sua prima operaastronomica, il volume De Cometa Anni 1652 & 1653,dedicandola al duca di Modena Francesco d’Este.Subito dopo, però, il suo interesse si rivolge ad unproblema molto complesso e dibattuto da tempodagli astronomi: lo studio approfondito delle gran-dezze solari, non ancora calcolate con sufficienteesattezza per la mancanza di strumenti adeguati. Inquesta occasione il giovane Cassini, rivelando gran-de perspicacia e sottigliezza di ingegno, progetta ungrande strumento «per misurare il Sole» e lo chia-merà infatti heliometro. Nel solstizio di estate, il 21 e22 giugno 1655, egli traccia sul pavimento della basi-lica di San Petronio a Bologna la grande meridiana,che desta subito stupore e ammirazione in città e glidarà presto notorietà non solo in Italia, ma anche in

ambito europeo. Ancora oggi è questa di Cassini lapiù grande meridiana a camera oscura nel mondo,con i suoi 67,27 metri di lunghezza. Il foro gnomo-nico, da cui entrano i raggi solari, si apre nella voltagotica della navata sinistra ad un’altezza di 27.07 me-tri dal pavimento (Fig. 3).

Nel breve arco di anni tra il 1655 e il 1660 Cassiniè impegnato con la meridiana a studiare la rifrazio-ne e il moto apparente del Sole, l’obliquità del-l’eclittica e la verifica sperimentale della secondalegge di Keplero. La sua attività è intensissima, qua-si frenetica, e si estende dallo studio dei pianeti,Marte, Giove e i satelliti medicei scoperti da Gali-leo, agli interventi di ingegneria e di idraulica nellefortezze dello Stato della Chiesa, di cui Bologna faparte, nei territori di confine con il Granducato diToscana e soprattutto nel delta del Po. Non si rilevanei suoi scritti di questi anni un interesse per Satur-no che vada al di là di qualche occasionale osserva-zione.

Al contrario, nella lontana Olanda, già da tempoChristiaan Huygens esplorava il grande e misterio-so Saturno con il suo telescopio; Huygens giovanis-simo, ma già considerato come la mente scientificapiù raffinata in Europa.

Huygens nasce nel 1629 a Den Haag, oggi L’Aja,in una famiglia di altissima condizione sociale. Ilnonno, del quale egli perpetua il nome, era stato Se-gretario di Stato della Casa regnante degli Orange;il padre, Constantjin, è il Segretario particolare delprincipe William d’Orange. Il nonno era stato un fa-moso latinista; il padre è letterato, artista, musicistae poeta, anzi è considerato il maggior poeta viven-

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Fig. 3. La meridiana tracciata da Cassini sul pavimento della Basi-lica di San Petronio a Bologna, 1655.

Fig. 4. Constantjin Huygens e i suoi figli, ritratto di famiglia di-pinto da Adriaen Hanneman, 1639. Il piccolo Christiaan è il primoin alto a destra. (L’Aja, Museo Mauritshuis)

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te nell’Olanda di quel tempo. La madre è anch’ellamusicista e famosa pittrice. Le arti figurative, la mu-sica, le lettere, la filosofia sono in famiglia pane quo-tidiano anche per i cinque bambini che nascono trail 1627 e il 1637, dei quali Christiaan è il secondoge-nito. L’ultima è Susanna, ma la sua nascita è triste-mente seguita tre mesi dopo dalla morte della ma-dre (Fig. 4).

Il padre prende su di sé tutto l’impegno del-l’educazione dei figli, che ricevono privatamenteun’istruzione di eccezionale livello. È un padreamorosissimo, sollecito nell’aprire ai figli orizzonticulturali molto vasti anche al di fuori dell’Olanda.Egli intrattiene infatti una fitta corrispondenza congli scienziati e i letterati più celebri in Europa. Traessi, padre Marin Mersenne e il suo circolo cultu-rale, Ismael Boulliau, gli inglesi della Royal Societye soprattutto René Descartes, con il quale si stabi-lisce una certa familiarità, perché è spesso ospitedella famiglia Huygens, quando si trova in viaggioin Olanda, ed inoltre segue con particolare atten-zione gli studi ed i progressi del giovane Christia-an. Il padre intuisce ben presto le straordinarie do-ti del suo secondogenito e ne andrà sempreorgoglioso. Nel diario in cui racconta quotidiana-mente le emozioni e gli avvenimenti familiari ditutta la sua vita, egli annota: «La musicalità di Chri-stiaan è eccezionale …», e da un viaggio a Londragli porterà in dono una costosissima viola da gam-ba, da unire al clavicembalo, al liuto e al violino,strumenti che egli suonava già benissimo.

Il bambino è un poco gracile e malaticcio, ma stu-dia senza sforzo e con grande passione soprattuttola matematica e la fisica; costruisce piccoli mulini avento e macchine e congegni in legno per studiarenella pratica le leggi della meccanica, che tanto loaffascina. Ben presto comincia a costruire anche te-lescopi con l’aiuto del fratello maggiore Constan-tjin e ad osservare il cielo, collocando lo strumentosul davanzale della sua finestra. La bella casa degliHuygens si trova fuori città, nel sobborgo diHofwjick, e qui la vista può spaziare in ogni punto

del cielo e dell’orizzonte (Fig. 5). Huygens costrui-sce anche alcuni modelli di tornio per molare e sme-rigliare le lenti dei telescopi (Fig. 6) e ancora più raf-finata è la fabbricazione di lenti nelle quali egli, conla sua profonda conoscenza della diottrica ed appli-candone le leggi opportunamente, riesce a ridurreal minimo il fenomeno dell’aberrazione cromatica.L’oculare composto in cui montava queste lentipressoché perfette divenne noto come “oculare diHuygens” e si diffuse rapidamente in Europa.

Verso la metà del xvii secolo si andarono molti-plicando le osservazioni e lo studio di Saturno, chesembrava quasi prendersi gioco degli astronomi,presentandosi con forme sempre diverse e apparen-temente incomprensibili. Singolo oppure “tricorpo-reo”, come l’aveva definito Galileo. Talvolta appareallungato, talaltra rotondeggiante; a regolari inter-valli di tempo può mostrare due appendici in formadi anse o manici o, come qualcuno aveva azzardato,addirittura di orecchie. L’enigma è grande e stimo-lante, anche per il fatto che neppure Galileo era riu-scito a risolverlo. Huygens non tarda a raccogliere lasfida.

Nel 1656 egli dà alle stampe un volumetto, il DeSaturni Luna Observatio Nova, in cui annuncia di ave-re individuato un satellite che descrive orbite ovali,spostandosi avanti e indietro attorno a Saturno,analogamente a quanto era stato già osservato perle lune di Giove. Lo chiama medius, riferendosi allasua posizione rispetto al pianeta, ma oggi lo cono-sciamo con l’importante nome mitologico di Tita-

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Fig. 6. Tornio costruito da Huygens per molare le lenti dei suoi telescopi. Disegno autografo di Huygens in una pagina del suo taccuino. (Biblioteca dell’Università di Leida, Codex. Hug., 28,fol. 38)

Fig. 5. La casa della famiglia Huygens a Hofwjick, acquerello diChristiaan Huygens, ca. 1658. (Biblioteca dell’Università di Leida)

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no. Nello stesso volumetto, seguendo ancora unavolta le orme di Galileo per proteggersi da eventua-li successive rivendicazioni, Huygens inserisce unanagramma in cui è celata la soluzione dell’enigmadi Saturno, che nella sua mente egli ha già ben chia-ra ma che evidentemente vuole ancora indagare eperfezionare. E così passano altri tre anni di studioaccanito nei quali, «pensando in grande e guardan-do con gli occhi della mente» e in una fase in cui lefamose anse non si vedevano affatto, egli è giuntoalla definitiva soluzione del “puzzle astronomico”.Le successive osservazioni al telescopio gli confer-meranno poi che soltanto la figura geometrica del-l’anello poteva spiegare le misteriose apparenze.

Nel 1659, finalmente, Huygens decide di pubbli-care i risultati delle sue fatiche. Il volume, SystemaSaturnium (Fig. 7), esce in Olanda e non è soltantola relazione delle tante osservazioni compiute, maun vero e proprio trattato di cosmologia e di armo-nia celeste, in cui si pongono anche interrogativi filosofici oltre che cosmologici ed astronomici.Huygens suppone analogie tra il sistema di Saturnoe la Terra con gli altri pianeti, e sostiene che questoè un problema cosmico, che generalmente vieneignorato. Nel Systema Saturnium è contenuta anchela risoluzione dell’anagramma:

Annulo cingitur, tenui, plano, nusquam cohaerente, ad eclipti-cam inclinato.

Vale a dire che Saturno è circondato da un anellosottile, piano, che non tocca in nessun punto ilglobo ed è inclinato rispetto all’eclittica (Fig. 8).

Sul fatto che l’anello sia talvolta invisibile, Huy-gens respinge la possibilità che ciò avvenga a cau-sa della sua sottigliezza. L’anello è sottile, egli so-stiene, ma non così sottile da non avere unospessore apprezzabile; ritiene piuttosto che, in de-terminate circostanze, il suo bordo non rifletta laluce del Sole.

Huygens dedica il Systema Saturnium al principeLeopoldo di Toscana, fondatore dell’Accademia delCimento, e soprattutto a Firenze è grande l’impres-sione per la brillante soluzione dell’enigma di Sa-turno. Ma il consenso non è unanime, anzi si scate-na una sfida per stabilire sia la validità della teoriaproposta da Huygens, sia l’effettiva superiorità deisuoi telescopi. Per qualche tempo invidie e rivalitàaccesero gli animi; Huygens era osteggiato ancheperché protestante e quindi considerato eretico daicattolici più intransigenti, come il padre gesuita Ho-noré Fabri, scienziato nonché teologo della Peni-tenzieria Apostolica in Vaticano, che lo definì “Ari-starco eterodosso”. Con decisione magnanima ilprincipe Leopoldo fece la scelta saggia di applicarealla lettera il motto dell’Accademia “provando e ri-provando”, fece costruire un modello del sistema diSaturno per riprodurne e studiarne i movimenti inopportune condizioni di illuminazione, che corri-spondessero il più possibile a quelle reali. Il risulta-to di questo esperimento confermò l’esattezza delmetodo e dei calcoli proposti da Huygens. Di que-sta verifica purtroppo non è rimasta relazione uffi-ciale perché il Principe decise di non pubblicarla neiSaggi dell’Accademia, preferendo che rimanesse

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Fig. 7. Frontespizio del Systema Saturnium, 1659.

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nell’ambito di un fatto privato econfidenziale. La polemica, infatti,aveva assunto una connotazionepolitica troppo violenta, tanto cheHuygens stesso preferì rinunciareal dibattito e ritirarsi in silenzio.Questa vittoria consolidò comun-que la sua fama in Europa cosic-ché, pochissimi anni più tardi,quando a Parigi prese corpo il pro-getto di Luigi xiv di farne il centrodella cultura scientifica europea,Huygens fu tra i primi ad esserechiamato a far parte della nuovaAcadémie des Sciences.

Egli giunse a Parigi nel maggiodel 1666, chiese ed ottenne uno sti-pendio di 6000 franchi, l’alloggio,la carrozza, due cavalli, un dome-stico e un cocchiere, e gli fu offerto di abitare nel pa-lazzo di Rue Vivienne, di proprietà del figlio di Jean-Baptiste Colbert, Ministro delle Finanze, dove avevasede la Bibliothèque du Roi di cui Pierre de Carcavyera presidente. E proprio in quella sede, il 22 di-cembre 1666, ebbe luogo la prima riunione del-l’Académie, alla quale Huygens prese parte insiemeai “cervelli” della scienza francese: Buot, Auzout,Frénicle, Picard, Roberval e Carcavy.

Non pare che, una volta trasferito in Francia conun contratto stabile di lavoro, egli desiderasse am-pliare le sue conoscenze o prendere parte alla vitamondana, considerando il fatto che sin dall’infanziaera stato abituato a frequentare le classi sociali piùelevate. Al contrario, coltivava pochissime amicizie:i fratelli Perrault, in particolare Claude, l’architettodell’Observatoire, e alcuni colleghi dell’Académie,come Edme Mariotte e Adrienne Auzout. Per uncerto tempo frequentò assiduamente la casa di Pier-re Petit, Sovraintendente alle Fortificazioni. Dallelettere inviate in Olanda ai fratelli, con i quali man-teneva contatti costanti e confidenziali, si può ar-guire che Huygens si fosse innamorato di una dellegiovani figlie di Petit, Marianne, che l’aveva colpitoper la bellezza e il talento musicale. Le fece ancheun ritratto, molto ben riuscito a suo dire, e lo rega-lò al padre di Marianne, ma dopo poco tempo la re-lazione deve essersi interrotta improvvisamente,perché nelle lettere non ve ne è più traccia. Huygensnon si sposò, non ebbe una famiglia sua, ma con-servò legami affettuosi e intensissimi col padre econ i fratelli, tanto da interrompere spesso i sog-giorni a Parigi per restare sempre più a lungo inOlanda. Alla sera, dopo un breve saluto ai suoi vici-ni di casa Carcavy, si ritirava nella sua stanza a leggere o a giocare a backgammon, ma la maggiorparte del tempo lo dedicava allo studio, riempiendopagine e pagine di schizzi, disegni e formule mate-matiche. Questi suoi manoscritti, raccolti in 22grossi volumi conservati nella Biblioteca dell’Uni-versità di Leida, dove Huygens da giovane aveva seguito lezioni di fisica e di legge, contengono testi

ordinatissimi di astronomia, di fisica, di ottica, dimeccanica, studi sulla gravità, sulla misura del tem-po, sulle correnti, sull’urto dei corpi, sulla forza ci-netica, sulla luce. Qua e là le pagine mostrano trat-ti incomprensibili come scarabocchi, come se lamano non fosse riuscita a tener dietro alle freneti-che corse dell’intelligenza e del pensiero. Un “geniosolitario”, come hanno scritto i suoi biografi, in cuila depressione cominciava a minare anche la salutedel corpo. La malattia, che condizionò pesante-mente i suoi ultimi anni, aveva avuto origine quasicertamente nel trauma legato alla perdita di unapersona molto amata, cioè la morte della madrequando era bambino.

Nella primavera del 1669 arriva a Parigi GiovanniDomenico Cassini, chiamato anch’egli dal Re tra-mite il suo lungimirante ministro Colbert per farparte dell’Académie, ma soprattutto per seguire lacostruzione dell’Observatoire da poco iniziata.L’anno precedente, 1668, erano state pubblicate aBologna le Ephemerides Bononienses Mediceorum Sy-derum, che rappresentano probabilmente l’operapiù nota ed importante dell’astronomo perinaldese.

Le Ephemerides di Cassini ebbero subito grandenotorietà tra gli astronomi perché rappresentavanoil punto di arrivo di studi e ricerche iniziati fin daltempo di Galileo, ma a tutti apparve chiara anchel’importanza pratica di poter facilmente calcolare lelongitudini, cioè le coordinate geografiche di qual-siasi punto della Terra calcolando i tempi di eclissidei satelliti di Giove, le cosiddette “stelle medicee”.A Colbert non poteva quindi sfuggire l’enorme uti-lità di poter correggere le carte nautiche e allestirnedi nuove, più precise e più sicure e, di conseguenza,la necessità di avere Cassini a Parigi. Le trattativeper questo trasferimento sono lunghe e laboriose,perché gli impegni accademici e istituzionali di Cas-sini a Bologna e, a più largo raggio, anche nello Sta-to della Chiesa non gli consentirebbero di allonta-narsi, ma alla fine prevalgono le sostanziose offertefrancesi e soprattutto il “desiderio” di Luigi XIV cheè in pratica un’imposizione.

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Fig. 8. Diagramma disegnato da Huygens per spiegare le apparenze dell’anello di Saturno.In: Systema Saturnium, 1659.

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Al suo arrivo a Parigi forse la prima personalitàche incontra è proprio Huygens alla Bibliothèquedu Roi dove spera di essere anch’egli alloggiato, manon c’è posto per lui. Dalle sue memorie, scritte inetà avanzata, sembra di poter cogliere ancoraun’espressione di disappunto per questo contrat-tempo. Per qualche mese avrà una stanza in un’aladel Louvre dove abitano, “graziosamente ospitatidal Re”, geografi, orafi, stampatori, pittori e inciso-ri reali. Cassini è un uomo pratico, ha portato consé dall’Italia un ottimo telescopio di Campani permettersi subito al lavoro, ma dai finestroni del Lou-vre non si ha una visione abbastanza ampia del cie-lo stellato. Pertanto, egli affitta una casa nei dintor-ni di Parigi, a Ville-l’Évêque, dove può sistemare isuoi strumenti più comodamente nel giardino. Lesue prime osservazioni in terra di Francia, seguen-do un filone di studi iniziato a suo tempo da Galileo,sono dedicate al Sole, la cui attività è particolar-mente significativa e interessante in quel periodo.Cassini andrà poi ad abitare all’Observatoire in unappartamento al primo piano che gli era stato destinato affinché potesse avere a portata di manotutti gli strumenti e soprattutto godere di un ampiogiro di orizzonte per le osservazioni.Anno 1671, die 14 septembris. Deo auspice, in regium observa-torium veni, ut mihi parabantur cubicula …».

Con queste parole inizia quel Journal des observationsnel quale Cassini registrerà scrupolosamente ogni

giorno la sua attività, non solo di astronomo, ma an-che di organizzatore del lavoro, da compiersi insie-me ad assistenti e collaboratori.

I rapporti con Huygens sono cordiali e positivi, idue “grandi” dell’Observatoire cominciano ad os-servare insieme un eclisse di Luna, le macchie delSole, ma soprattutto il sistema di Saturno. Dalle lettere che Huygens scrive ai fratelli, si deduce chel’arrivo di Cassini a Parigi era atteso con impazien-za e curiosità fin dall’anno precedente:

Non si sa ancora se Cassini verrà o no, ma io lo desideromolto, perché Cassini è un bravissimo astronomo, ed anche per i suoi telescopi, che hanno permesso grandiscoperte …

E appena un mese dopo l’arrivo di Cassini, li tro-viamo, insieme a Jean Picard, occupati ad osserva-re Saturno, nelle primissime ore del mattino («… àdeux heures du matin …»). Insieme utilizzano il tele-scopio portato dall’Italia da Cassini («… très bon etbien travaillé …»), ma due anni dopo arriverà da Ro-ma quello, bellissimo, 34 piedi, più di 10 metri dilunghezza focale, costruito da Giuseppe Campaniper ordine del Re, su richiesta dello stesso Cassini.Egli infatti, a differenza di Huygens, non costruìmai personalmente le lenti dei suoi telescopi, ma sivalse dell’opera dei due celebri artefici italiani, Eu-stachio Divini e soprattutto Giuseppe Campani, alquale lo legava un rapporto di grande stima edamicizia.

Nel Journal di Cassini (Fig. 9) leggiamo che il 5 ot-tobre 1671, neppure un mese dopo essersi sistematoall’Observatoire, osservando il cielo in compagniadi Huygens, avvista un nuovo satellite di Saturno e,come è nelle sue abitudini, ne dà immediatamentenotizia lo stesso giorno sia al collega Picard, che sitrova in Danimarca per calcolare le longitudini del-l’antico osservatorio di Tyco Brahe, che all’amicoVincenzo Viviani a Firenze. L’anno seguente inter-cetta un altro satellite, cosicché la vigilia di Nataledel 1673 può offrire al Re un magnifico volume, ric-co di decorazioni e gigli di Francia, con una dedicapiena di omaggi alla “Maestà Cristianissima”: Dé-couverte de deux nouvelles planetes autour de Saturne(Fig. 10). Cassini li chiama supremus e intimus in re-lazione alla loro posizione rispetto al pianeta, manoi li conosciamo come Giapeto e Rea, così come ilmedius, scoperto da Huygens nel 1655 corrisponde algrande Titano.

In questi primi anni di collaborazione, si eviden-ziano subito le divergenze nel rapporto che i dueastronomi avevano con il loro lavoro, cioè l’osser-vazione, e, più genericamente, con l’astronomiastessa. Cassini costante, tenace, infaticabile, teso alconseguimento del risultato; al contrario, Huygensinteressato molto di più al valore e al metodo dellaricerca, alla sua esattezza ed alla sua eleganza, comeun lavoro di cesello che deve soddisfare prima di tut-to l’artefice, e non richiede fretta. Cassini si era an-che attirato qualche critica per la sua assiduità al te-lescopio, avevano ironizzato per il suo “fanatismo”,

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Fig. 9. Osservazione di Saturno e dei suoi satelliti, registrata daCassini il 15 giugno 1673. (Parigi, Bibliothèque de l’Observatoire,Cassini ier, Journal des Observations, A D, 1-5)

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come era successo per Hevelius. Anche Huygensscrive al fratello:

[…] il Signor Cassini ha scoperto per primo due compa-gni di Saturno … non tralascia di osservare il cielo in tut-te le notti chiare […] io non potrei assoggettarmi a tuttociò, accontentandomi delle mie vecchie scoperte, chevalgono di più di tutte quelle che sono state fatte in seguito […].

Ma non c’è superbia nelle sue parole, e nemmenoironia. Egli sembra piuttosto ben consapevole dellapropria statura scientifica, ma anche dell’inevitabileisolamento al quale conduce l’autonomia del pen-siero.

L’anno 1673 è un anno particolare per entrambi,sia sul piano professionale che su quello personale.Infatti, la Découverte di Cassini deve rappresentare,alla luce della politica di Colbert, non solo un omag-gio al Re ed alla sua generosità, ma anche la validi-tà degli investimenti fatti dal governo francese per ilprogresso e la gloria di tutto il Paese. Pertanto, an-che ad Huygens, l’altro famoso straniero chiamatoa Parigi, si richiede di presentare un’opera di gran-de peso scientifico e di altrettanto impatto popola-re. Egli deve così dare alle stampe, in quello stessoanno, un lavoro al quale aveva dedicato quasi vent’anni di studi di meccanica teorica, sempre allaricerca di un orologio perfetto, senza mai decidersia pubblicarlo. Si tratta del famoso Horologium oscil-latorium, cioè quello che conosciamo come orolo-gio a pendolo, che consentiva di avere accuratissimemisure del tempo. Come scrive al matematico olan-dese Frans Van Schooten, suo antico maestro edamico, Huygens si dedicava con passione a perfe-zionare i meccanismi per ottenere un orologio chesopportasse il beccheggio delle navi e potesse cosìessere usato anche in navigazione e gli sembrò di es-sersi molto avvicinato alla soluzione del problema.Per la Francia di quel tempo, in espansione territo-riale e commerciale, voleva dire viaggiare più infretta e con maggiore sicurezza nello spazio infini-to del mare. Ma il sogno di Huygens si realizzò sol-tanto un secolo dopo, ad opera dell’inglese JohnHarrison, che costruì il primo cronometro da mari-na. Sul piano personale, per Cassini il 1673 significòricevere dal Re la naturalizzazione francese e chia-marsi ufficialmente “Jean-Dominique”, anche secontinuò poi sempre a firmarsi col nome italiano.Verso la fine dell’anno, alla presenza del Re e di Col-bert, egli sposò Geneviève Delaistre, una giovane difamiglia nobile, molto vicina alla Corte. Cassinicontinuò ad abitare con la moglie nell’appartamen-to al primo piano dell’Observatoire e lì nacquero ifigli. Al contrario, per Huygens fu un anno tristissi-mo, per la piega feroce che aveva preso la politicafrancese contro i protestanti e per la guerra volutada Luigi XIV contro l’Olanda. Come era avvenutoper Cassini con la presentazione al Re del suo ma-gnifico volume, ricolma di lodi e di omaggi, anchead Huygens Colbert richiese che l’Horologium oscil-latorium avesse una dedica altrettanto elogiativa. Pa-

re che Huygens facesse qualche resistenza, tantoche il ministro volle conoscere in anticipo il testodella presentazione e da questa prepotente scorret-tezza l’orgoglioso olandese si sentì profondamenteumiliato, come confidò in una lettera al fratello, edecise di ritornare per qualche tempo a casa. La suadepressione andava sempre più peggiorando né po-teva lasciarlo indifferente la visione del suo paese in-vaso dall’esercito nemico, le violenze, le colture di-strutte, i terreni allagati con la rottura delle dighenel tentativo di frenare l’invasione.

La curiosità di indagare con strumenti ancora piùraffinati sul sistema di Saturno, ma soprattutto sul-la struttura dell’anello, spinse sia Cassini che Huy-gens a progettare apparati di osservazione dotati dilunghissima focale. Huygens escogitò di sospende-re l’obiettivo a un palo e di materializzare con un ca-vo il tragitto oculare-obiettivo. Cassini, invece, pen-sò di utilizzare come palo altissimo una torre dilegno, di circa 50 metri di altezza, impiegata un tem-po a Marly per sollevare le acque della Senna che do-vevano alimentare le fontane a Versailles. Questatorre fu sistemata a fianco dell’Observatoire e su diessa furono agganciati gli obiettivi a lunghissima fo-cale, mentre l’oculare veniva tenuto in mano dal-l’osservatore a grande distanza. Questa soluzionespettacolare rientrava nello stile di Cassini, come fuinsinuato. Huygens si avvalse più semplicemente dipali altissimi, fissati al terreno il più saldamente pos-

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Fig. 10. Frontespizio del volume Découverte de deux nouvelles pla-nètes autour de Saturne, 1673.

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sibile, che egli chiamò telescopi aerei. È certo, co-munque, che in entrambi i casi si richiedeva all’os-servatore un’abilità eccezionale e una straordinariapazienza e, in pratica, solo Huygens e Cassini furo-no in grado di usare con successo questi dispositivi,che potevano raggiungere ingrandimenti fino a 150volte e, con cannocchiali adeguati, eccezionalmen-te fino a 600 volte.

Le ultime scoperte sul sistema di Saturno furonoappannaggio di Cassini. Nel 1675 osservò che l’anel-lo appariva diviso in due parti, una interna più chia-ra e brillante, ed una esterna, più scura ed opaca, si-mili nell’aspetto all’argento nativo, per quellainterna, ed all’argento brunito per la più esterna(Fig. 11). Nel 1677 individuò nettamente la divisionedell’anello, che è conosciuta come “divisione di Cas-sini”, e segnalò che sul globo di Saturno, oltre allabanda nera parallela all’equatore, si osservavano al-tre bande molto più chiare, che apparivano comefrantumate ed incomplete. Egli ebbe l’impressioneche queste apparenze di Saturno non fossero per-manenti ed ipotizzò che potessero rappresentare leperturbazioni e l’instabilità di enormi masse gasso-se sulla superficie del pianeta. Qualche anno dopo,nel 1684, Cassini individuò ancora due satelliti di Sa-turno, Teti e Dione, e in quell’occasione Luigi xivfece coniare una medaglia celebrativa.

Gli anni ottanta del Seicento vedono divergere lefortune e i destini dei due astronomi. Cassini, im-pegnato in vari settori in un’attività intensissima,conosce un successo dopo l’altro e diventa l’effetti-vo direttore dell’Observatoire, dove, con grandesenso organizzativo ed abilità gestionale, stabilisceil centro di raccolta e di elaborazione dei dati che ri-ceve dagli astronomi inviati in missione in tutto ilmondo per determinare le longitudini. Al contra-rio, la stella di Huygens si affievolisce, la malattia lorende sempre più inattivo e insofferente dei rappor-ti con le persone. Ai fratelli lontani confida di per-cepire attorno a sé una certa avversione da parte deicolleghi, talvolta anche gelosia e poco rispetto per lelunghe assenze cui lo costringe la sua malattia. Anche la cordialità che gli dimostrava Cassini neiprimi tempi sembra affievolita, come se fosse inqualche modo invidioso …

Huygens resta prigioniero della sua solitudine etormentato dalla persecuzione che i suoi compa-trioti subiscono e che culmina con l’editto di Fon-

tainebleau e la cacciata dei protestanti dalla Francia.Il Re a lui, e a lui solo, tenuto conto dell’ecceziona-lità della sua persona e della sua posizione in senoall’Académie, potrebbe concedere di rimanere a Parigi, ma Huygens orgogliosamente non accettaquesto compromesso e ritorna definitivamente inOlanda. È l’anno 1685: egli vivrà ancora dieci anni,assistito dai fratelli e dai nipoti, dedicandosi princi-palmente alla stesura di un trattato di cosmologia,che è in sostanza il suo testamento spirituale. Scrit-to in latino, il Cosmotheoros, cioè “Osservatoredell’Universo”, è dedicato al fratello maggiore Con-stantjin, che dovrà curarne la pubblicazione postu-ma, e rappresenta la summa di tutti i pensieri chehanno agitato la mente di questo straordinarioscienziato.

In quello stesso anno 1695, mentre Huygens si spe-gne nella sua casa all’Aja, Cassini, dotato di un fisi-co robustissimo e di un’energia eccezionale, com-pie un lungo viaggio di lavoro in Francia e in Italia,in compagnia del figlio Jacques, per le triangolazio-ni e il calcolo delle longitudini ed anche per studia-re alcuni fenomeni fisici, come la rifrazione. Egli infatti, oltre a continuare le osservazioni astrono-miche con la sua proverbiale assiduità e costanza, fuanche l’iniziatore di una grande opera cartograficaalla quale collaboreranno anche i suoi discendenti.La stirpe dei Cassini condurrà infatti l’Observatoireattraverso un secolo e mezzo di storia della Francia,sino alla Rivoluzione. In età già molto avanzata Cas-sini farà ancora un viaggio di lavoro nelle regionimontuose ed impervie dell’Auvergne e della Lin-guadoca, per completare le carte topografiche diquei territori. In pratica, Cassini, e dopo di lui i suoidiscendenti, con i loro studi e le loro misurazioni ri-scrivono la geografia di tutta la Francia in quella cheè diventata celebre come Carte de Cassini. Cassini vi-vrà i suoi ultimi anni all’Observatoire, ormai ciecoma ancora attento ai progressi dell’astronomia, in-teressato alle osservazioni che si fa descrivere dal fi-glio e dagli altri collaboratori. Il suo carattere simantiene allegro e sereno, a dispetto degli anni e de-gli acciacchi, desidera la compagnia dei giovani al-lievi dell’Observatoire e passa lunghe ore nella suastanza, ad ascoltare la lettura delle Sacre Scritture,dei poeti latini o delle opere dei grandi filosofi, fattadal segretario, al quale affiderà anche la stesura deldiario dei suoi ultimi due anni di vita. Morirà sere-namente come un patriarca, nel settembre del 1712all’età di 87 anni, «addormentandosi nel Signore»,da credente come era sempre stato.

Alla fine di questo viaggio a ritroso su Saturno,non si può ignorare ciò che Huygens scrisse, guardando avanti “con gli occhi della mente” verso un Saturno futuro, che oggi non appare poicosì lontano:I pianeti sono costituiti da materia allo stato solido e sono soggetti alla gravità, hanno piante e animali, lepiante crescono e vengono nutrite sui pianeti come sullaTerra. Lo stesso avviene per gli animali, perciò i pianeti

14 Giornale di Astronomia, 2018, 2

Fig. 11. Saturno, i suoi anelli e la divisione di Cassini, disegno autografo di Cassini. (Journal des Sçavans, 1 marzo 1677, p. 58)

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devono avere acqua. Devono avere piante ed animali perché, se non ne avessero, sarebbero secondi in bellez-za e dignità rispetto alla Terra, e questo la ragione non lopotrebbe accettare. (Dal Cosmotheoros).

Referenze bibliografiche

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Anna Cassini è nata a Bologna e vive e lavora a Torino. Laureata in medicina, ha lavorato come ricercatore nei labo-ratori biologici dell’allora Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare a Frascati. Da molti anni si interessa di studi e ricerche storiche. Nonostante l’omonimia, non ha nessuna parentela con la discendenza dell’astronomo. Ha scritto, fral’altro, una biografia di G.D. Cassini, intitolata Gio. Domenico Cassini – Uno scienziato del Seicento, e una storia della famiglia Maraldi, I Maraldi di Perinaldo.

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La riscoperta dell’opera di Secchisugli spettri prismaticiPiercarlo BonifacioDépartement Galaxies Etoiles Physique et Instrumentation (gepi), Observatoire de Paris, Université Paris Sciences et Lettres, cnrs

ono passati 150 anni da quando padre AngeloSecchi SJ, direttore dell’Osservatorio del Colle-

gio Romano, pubblicò le sue due Memorie intitolateSugli spettri prismatici delle stelle fisse. Si tratta diun’opera fondatrice dell’astrofisica moderna chemerita di essere letta e studiata anche al giornod’oggi e cercherò di spiegarvi perché.

Il mio punto di vista è molto personale e vorreidividere con voi la mia scoperta di quest’opera. Sitratta di una scoperta recente, sicuramente perchéavevo un pregiudizio che lo studio di queste opere“storiche” fosse di interesse esclusivamente per glistorici della scienza. Un pregiudizio che, sospetto,sia condiviso da buona parte degli astrofisici profes-sionisti. Al giorno d’oggi gli articoli scientifici han-no una bibliografia che copre, tipicamente, gli ulti-mi dieci o dodici anni, raramente si citano articolipiù vecchi e quasi mai articoli del xix secolo. Con imiei collaboratori abbiamo inviato ad «Astronomy& Astrophysics» un articolo su un campione di stel-le ricche in carbonio. Tra le critiche fatte dal referee,c’era che la nostra introduzione era troppo stringa-ta e che avremmo dovuto parlare della storia dellascoperta di queste stelle. Piccato da questa critica,decisi di risalire fino alla prima occorrenza in lette-ratura e, molto rapidamente, grazie agli strumentimessi a disposizione dall’Astrophyscs Data System(ads), sono arrivato all’opera di Secchi. Grazie adads e alla biblioteca dell’Eidgenössische TechnischeHochschule di Zurigo quest’opera è facilmente disponibile a tutti (www.e-rara.ch/doi/10.3931/e-rara-527): le due Memorie, estratte dagli atti della«Società Italiana dei xl» sono rilegate in un solo vo-lume, insieme al Catalogo delle stelle di cui si è deter-minato lo spettro luminoso all’Osservatorio del CollegioRomano, del 1867. Il tutto è scaricabile in un solo filepdf, facilmente visualizzabile.

Quando mi sono trovato quest’opera sotto gli oc-chi, ho subito cercato l’informazione che mi pre-meva: la prima descrizione delle stelle ricche in car-bonio. Sono rimasto stupito dalla facilità e rapiditàcon cui ho trovato l’informazione, grazie alla chia-rezza con cui l’opera è scritta. Affascinato da que-sto e dal fatto di avere tra le mani un’opera fonda-mentale che mai, in trent’anni di lavoro comespettroscopista, avevo letto, cominciai ad adden-trarmi nella scrittura di Secchi. Mano a mano cheleggevo ero sempre più ammirato da Secchi comescienziato, dalla sua capacità di spiegare le cose con

chiarezza e anche dall’entusiasmo per la scienza ele osservazioni che traspare dalla sua scrittura. Inun’epoca in cui i language editors delle riviste sonopagati per uniformare la lingua degli articoli, se-condo lo “stile” del giornale, leggere un articoloscientifico con uno stile letterario chiaramente per-sonale è un vero piacere! Qui di seguito commentotre passaggi dell’opera di Secchi che mi hanno par-ticolarmente colpito.

Lo spettrometro di Janssen

Ho trovato molto interessante come in ciascunadelle due Memorie ci sia una descrizione molto det-tagliata degli strumenti usati da Secchi, gli spettro-metri, ma non dei telescopi con cui questi erano uti-lizzati. La descrizione diventa a volte narrazione e siscoprono degli aneddoti interessanti, come questo:Intanto nel novembre di quell’anno medesimo [1862,N.d.A.] essendo venuto in Roma il sig. Janssen [Jules Janssen, pioniere dell’astronomia da pallone e fondatoredell’Osservatorio di Meudon, N.d.A.] con uno di quei piccoli spettrometri, lo pregai di prestarmelo, onde applicarlo al nostro refrattore di Merz per analizzarvi laluce delle stelle e de’ pianeti. Egli acconsentì cortese-mente, e furono fatti alcuni primi lavori in comune, checomparvero nel Bullettino Meteorologico dell’Osservato-rio del Collegio Romano e altrove. Ma la difficoltà di ot-tenere un libero uso dello spettrometro che il possesso-re sempre recava seco a casa, senza che io potessiservirmene nelle migliori ore della notte, mi obbligò adaspettare il mio strumento, che giunse, come dissi, indecembre.

L’ironia di Secchi fa sorridere, Janssen è «cortese» epresta il suo spettrometro a Secchi, ma lasciarglie-lo per le «migliori ore della notte»? giammai! Cosac’è dietro questo comportamento di Janssen? Te-meva che Secchi potesse danneggiare il suo pre-zioso strumento? Oppure temeva che Secchi faces-se delle osservazioni da solo e poi pubblicasse irisultati senza la partecipazione di Janssen? Ma secosì fosse, perché Janssen non propose a Secchi diosservare assieme a lui nelle «migliori ore dellanotte»? Forse riteneva di avere un vantaggio com-petitivo con il suo strumento rispetto a Secchi? Sa-peva che comunque Secchi in un mese avrebbeavuto il suo strumento? O forse era Secchi stessoche voleva avere «libero uso» dello strumento, cioèsenza Janssen tra i piedi?

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S

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Una serie di domande intriganti alle quali sicura-mente non ci sarà mai risposta, ma che lasciano in-travedere come i rapporti tra i ricercatori all’epocaerano, probabilmente, altrettanto complessi che algiorno d’oggi.

Le stelle di tipo 4

Quello che mi ha spinto a cercare l’opera di Secchiè contenuto nella Memoria Seconda, presentata alla so-cietà italiana nel novembre del 1868. In particolarel’analisi «delle stelle colorate contenute nel catalogopubblicato dal sig. Schjellerup nel n.º 1591 del-l’Astronomische Nachrichten di Altona».

Secchi è intrigato dalle stelle di colore rosso o«fortemente colorate» perché «ci aveano offerto fi-no dal principio i tipi degli spettri più singolari chefossero in cielo». Quindi meritano uno studio dedi-cato. Con un approccio decisamente moderno Sec-chi decide di «determinare la natura del tipo, senzavenire a misure particolari che faremo appresso».Spiega che questo studio era «necessario farlo pre-ventivamente per trovare gli oggetti che meritanomaggiore attenzione». Questo metodo di fare unprimo studio preliminare di un grande numero dioggetti, per poi studiarne in dettaglio un sottoin-sieme che ha certe proprietà particolari, è oggi lanorma in moltissimi campi dell’astrofisica. Stu-diando gli spettri di queste stelle rosse, Secchi con-clude che «Nella memoria precedente avevamo di-viso le stelle in tre tipi fondamentali, ma leosservazioni ci hanno costretto a introdurne unquarto». Anche qui la lingua usata è rivelatrice delpensiero di Secchi: «ci hanno costretto». Lo fa chia-ramente a malincuore, complicare la classificazio-ne spettrale gli sembra contro il rasoio di Occam,però «le osservazioni», non si discutono e «costrin-gono».

Cosa hanno di speciale queste stelle di tipo 4?Molte cose, dalle righe che presentano alla loro for-ma, ma soprattutto Secchi nota che questi spettri«hanno più che gli altri analogia coi gas, e special-mente con quello del carbonio, ma rovesciato». Sec-chi osservava con i suoi strumenti molti tipi di sor-genti artificiali, fiamme, scariche elettriche, e disorgenti celesti meglio note, come il Sole e i piane-ti, alla ricerca di analogie. Qui nota che un gas di car-bonio ha un aspetto simile allo spettro delle stelle ditipo 4, ma «rovesciato». Immagino che Secchi os-servasse un gas di carbonio riscaldato, in una fiam-ma e osservasse le righe in emissione, mentre nellestelle di tipo 4 le stesse righe appaiono in assorbi-mento. Per «commodo di chi volesse occuparsi diquesti studi» (sic!) Secchi fornisce 2 tabelle con lestelle «più belle del catalogo»; qui di seguito ripro-duciamo la tabella delle stelle di tipo 4 (Fig. 1).

Chi sono queste stelle e qual ne è la modernaclassificazione? Nel 1994 M.F. McCarthy SJ, dellaSpecola Vaticana, fornì un’identificazione e classifi-cazione per le stelle di tipo 4 «più belle» di Secchi.

Riproduciamo qui una versione semplificata dellasua tabella (Tab. 1).

N. Schjellerup HD Altro nome Tipospettrale

141 130243 ST Cam Nb143 130755 TT Tau Nb151 132736 W Ori Nb178 146687 UU Aur Na189 154361 W CMa Na124 185405 Y Hya Np128 188539 AB Ant Na132 192055 U Hya Nb136 V Hya N6152 110914 Y CVn Nb159 116870 68 Vir K2163 121197 K5229 183556 UX Dra Nb238 192737 RT Cap Nb249 #1 in NGC 7086*252 206750 RV Cyg N273 223075 TX Psc Na

* (Hoag et al., 1961, «Publications of the u.s. Naval Observatory», 2d ser.,v. 17, pt. 7, Washington, u.s. Govt. Print. Off., 1961, p. 468).

Tabella 1. Identificazione moderna delle stelle di tipo 4 nella tabella di Secchi, secondo M. F. McCarthy, Angelo Secchi andthe Discovery of Carbon Stars, in C. Corbally, R. O. Gray, R. F.Garrison (eds.), The MK process at 50 years. A powerful tool for astrophysical insight, ‘Proceedings of a Workshop of the VaticanObservatory, held in Tucson Arizona, usa, September 1993’, «Astronomical Society of the Pacific Conference Series», San Fran-cisco: Astronomical Society of the Pacific (asp), c1994, p. 224.

La maggioranza delle stelle di tipo 4 di Secchi han-no un tipo spettrale moderno N. I tipi spettrali R, N

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Fig. 1. Riproduzione della tabella della ii Memoria di Secchi, nellaquale elenca le più belle stelle di tipo 4.

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e S sono usati per stelle evolute del ramo asintoticodelle giganti con temperature efficaci (la tempera-tura efficace di una stella è la temperatura di un cor-po nero che emette la stessa quantità di energia perunità di superficie) inferiori a 3000 K. Queste stellehanno alterato la loro composizione chimica origi-nale mescolando nelle loro atmosfere i prodotti del-la nucleosintesi che avviene nella stella stessa. Inparticolare le stelle N sono ricche in carbonio. Sitratta di stelle rare, siccome corrispondono ad unafase evolutiva relativamente breve.

Come mai allora Secchi le scoprì e si vide «co-stretto» a introdurre un tipo spettrale per esse? Ilcampione di Secchi era limitato in magnitudine e,probabilmente, queste stelle molto rosse, per lequali egli stimava magnitudini visuali attorno allasesta, erano tra le più deboli accessibili al suo stru-mento. In un campione limitato in magnitudine, glioggetti intrinsecamente più luminosi sono sovra-rappresentati. Se aggiungiamo a questo l’interesseche Secchi porta alle stelle di colore rosso, abbiamoi due effetti di selezione che hanno portato Secchi acredere che le sue stelle di tipo 4 fossero altrettantocomuni che quelle di tipo 3, che sono piuttosto lestelle che adesso classificheremmo di tipo F, G e K.Leggendo l’introduzione alle stelle di tipo 4, ho tro-vato questo passaggio, che per me è di una chiarez-za mirabile:

Non tutte le stelle del 4º tipo sono di spettro identico:questo tipo ammette varietà maggiori che i tre prece-denti. La riga nera dopo il verde coincide quasi con il ma-gnesio, ma può bene anche appartenere al carbonio. Lemisure più precise decideranno: la sua larghezza ci fa cre-dere che non è la metallica.

Questa descritta da Secchi è una delle caratteristi-che principali delle stelle al carbonio. Il «magnesio»è il tripletto b di Fraunhofer, ben visibile nello spet-tro del Sole e delle stelle di tipo solare. La «riga ne-ra» è la banda di Swan che è dovuta alla molecolaC2. Per calcolare la formazione e dissociazione del-le molecole nelle atmosfere stellari, bisogna tenereconto di tutte le molecole rilevanti, in prima ap-prossimazione almeno delle più abbondanti mole-cole diatomiche. In particolare, se si vuole seguire lamolecola di C2, bisogna tenere conto anche dellemolecole di OH, CH, NH, CO, CN. Di queste, quel-la con l’energia di legame maggiore è il CO, 11.1 eV,da comparare con 7.7 eV per il CN, 6.2 eV per il C2e 4.4 per l’OH. Questo significa che gli atomi di O,disponibili a formare molecole, hanno la tendenzaa sequestrare tutti gli atomi di C disponibili. Di so-lito, l’ossigeno è più abbondante del carbonio, nelSole ci sono circa due atomi di ossigeno per ogniatomo di carbonio. Questo è il motivo per cui nellestelle «normali» la banda di C2 non è prominente: cisono troppo poche molecole di C2 che si formano.Ma nelle stelle al carbonio la situazione è ribaltata.Nelle loro atmosfere ci sono più atomi di carbonioche di ossigeno, quindi dopo che si è formato tuttoil CO che si può formare, restano ancora degli ato-

mi di C disponibili a formare il C2. La cautela di Sec-chi nell’attribuire la riga nera a un composto del car-bonio è d’obbligo. All’epoca, la presenza della ban-da negli spettri delle fiamme di carbonio e compostiera stata riportata da William Swan, ma l’identifica-zione definitiva con il C2 avvenne appena nel 1930.Ciò nonostante, non resta che meravigliarci di co-me, osservando gli spettri a bassa dispersione deisuoi strumenti a prismi, Secchi fosse in grado di ac-corgersi, senza dubbio alcuno, che la banda di Swanè più larga delle righe atomiche (come il tripletto b):«non è la metallica».

«La Superba»

Secchi osservava visualmente gli spettri e poi li de-scriveva testualmente. In qualche caso faceva un di-segno per illustrare lo spettro. È interessante vede-re come, nella sua prosa, Secchi usasse aggettivi chevengono usati di solito per descrivere qualità esteti-che, come «bella» o «magnifica», non lesinando ipunti esclamativi. Dalla prosa di Secchi trasparel’entusiasmo per quello che osservava.

Ecco, per esempio, come comincia la sua descri-zione dello spettro di Arturo, nel catalogo pubblica-to nel 1867:

Bellissimo oggetto! Color giallo carico. Dopo Aldebaranè una di quelle in cui le righe sono più nette e spiccate.Esse sono numerose e fine come nel Sole.

Infatti, a tutt’oggi Arturo è la principale stella di ri-ferimento da confrontare con gli spettri delle stellegiganti. Ed ecco come descrive Sirio:

Magnifica stella di tipo α della Lira [Vega, N.d.A.]: si ve-de magnificamente la terza riga W nel violetto estremoed è molto larga.

La riga W nel violetto estremo è l’Hδ, che Secchinon riuscì a identificare, mentre identificò corretta-mente la riga F con Hβ e V con Hγ. Credo che Sec-chi scrivesse «terza» perché è la terza da sinistra (ros-so) verso destra (violetto), dopo F e V.

Veniamo ora alla stella 152 di Schjellerup; a fian-co Secchi annota «superba». In effetti nell’introdur-re le stelle di tipo 4º Secchi dice:

Questo tipo non fu ravvisato da principio che in una solastella, e non si sospettò la su generalità, perché racchiu-de generalmente delle stelle assai piccole e non superio-ri alla 6a grandezza. Questo tipo ha per rappresentantela stella di Lalande H.C. nº 12561 esaminata nella primamemoria.

Noi abbiamo preferito la bella stellina nº 152 di Schjel-lerup che è anche più nitida.

Ecco come la descrive nel catalogo:Magnifico oggetto di 4º tipo, e veramente singolare perla sua vivacità. È composto di tre zone assai vive e larghe.Una gialla, l’altra verde e la terza bleu. Sono tutte vivaciassai taglienti verso il violetto, e sfumate dal lato del rosso.

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L’altra stella è tratta dalla Histoire Celeste Française diJerome Lalande, che probabilmente Secchi cono-sceva tramite il catalogo pubblicato nel 1847 da Bai-ly a Londra, con le posizioni delle stelle ridotte al-l’epoca 1800 da Schumacher. La stella nº 12561 inquestione è molto probabilmente HD 46776, unanana M di ottava grandezza in V, ma di terza gran-dezza nella banda infrarossa J.

Quindi, Secchi metteva nello stesso tipo le stelleM e le N, anche se aveva preso una N come rappre-sentante fondamentale.

Nella Fig. 2 mostro lo spettro della stella 152 diSchjellerup disegnato da Secchi. Sotto mostro unospettro moderno osservato da me con lo spettro-grafo sophie sul telescopio da 1,93 m dell’Observa-toire de Haute Provence. Nella figura la risoluzionedello spettro sophie è stata degradata per renderlasimile alla risoluzione dello spettro di Secchi. Lospettro è mostrato su una scala logaritmica, per avvicinarsi alla sensibilità dell’occhio umano ed èstato normalizzato in modo simile a quanto fatto daSecchi nel proprio disegno. Rispetto allo spettro diSecchi, lo spettro sophie ha un’accurata scala inlunghezza d’onda che ci permette di identificare leprincipali bande molecolari e righe atomiche. È allora chiaro che tre zone «assai vive e larghe» descritte da Secchi sono tre bande del sistema diSwan del C2. Sul rosso della banda centrale appareil tripletto b del magnesio, correttamente disegnatoe identificato da Secchi.

Nella Fig. 3 mostro il dettaglio della testa dibanda della banda centrale del sistema di Swan,

usando la piena risoluzione dello spettro sophie(λ/Δλ = 40000). Le righe del magnesio si vedonochiaramente, ma è anche ovvio che nella zona c’èuna miriade di altre righe atomiche e molecolari,quindi, quello che è stato identificato da Secchicome magnesio, alla risoluzione del prisma, ha inrealtà un importante contributo da molte altre righe.

Per me è stupefacente come Secchi sia riuscito adisegnare uno spettro così accuratamente, soprat-tutto se penso che quello che lui disegna è uno spet-tro «estratto», cioè come se avesse sommato tutto ilsegnale lungo l’altezza della fenditura, calibrato inintensità e normalizzato. Tutti questi passi della «ri-duzione dati» Secchi deve averli fatti a mente, conl’occhio allo spettrometro. Anche la fedeltà dellascala in lunghezza d’onda è notevole.

La nota di Secchi a fianco di questa stella è statapoi ripresa nella letteratura, a cominciare dal libroStar-names and their meanings, pubblicato a NewYork nel 1899 da Richard H. Allen e via via fino ainostri giorni, ad esempio nel The Star Atlas Compa-nion: What you need to know about the Constellations diP. M. Bagnall, pubblicato nel 2012.

L’annotazione di Secchi è stata presa come nomeproprio, tanto che la base di dati stellari simbad(http://simbad.u-strasbg.fr/simbad/) la riconosceancora oggi con il nome «La Superba».

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Piercarlo Bonifacio si è laureato in Fisica all’Università degli studi di Trieste e ha ottenuto il dottorato in Astrofisica alla sissa di Trieste. È stato dapprima ricercatore all’Osservatorio Astronomico di Trieste e in seguito direttore di ricercacnrs all’Observatoire de Paris. Dal 2001 è direttore delle Memorie della Società Astronomica Italiana.

Fig. 3. Dettaglio di una testa di banda del sistema di Swan del C2.La lunghezza d’onda della testa di banda è segnata, così come laposizione delle righe del tripletto b del magnesio neutro.

Fig. 2. Sopra: lo spettro della stella nº 152 di Schjellerup disegnatoda Secchi. Sotto: lo spettro della stessa stella osservato con sophie.La risoluzione dello spettro sophie è stata degradata in modo daassomigliare a quello dello spettro prismatico di Secchi. La scalaverticale è logaritmica e lo spettro è stato normalizzato in modosimile a quanto fatto da Secchi.

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Cent’anni fa*

A cura di Donatella Randazzo e Ileana Chinniciinaf · Osservatorio Astronomico ‘G. S. Vaiana’, Palermo

L’eclisse totale di Sole del 21 agosto 1914Osservata dalla missione italiana in Teodosia (Crimea)(p. 67)

Relazione 3ª di L. Palazzo

Osservazioni geofisiche diverse in connessione con l’eclisse

opo di avere ampiamente riferito, in due rela-zioni precedenti,1 intorno alle osservazioni

magnetiche, ci rimane ad esporre anche quel pocoche a Teodosia abbiamo potuto fare relativamentead altre indagini d’indole geofisica ed associate al fe-nomeno dell’eclisse, quali le misure pireliometri-che, le registrazioni della radiazione solare termicaed attinica, quelle geotermiche, le osservazioni elettriche sulla radiazione penetrante e le meteoro-logiche, riunendo tutto ciò nella presente, terza edultima, nostra relazione.

Misure pireliometriche

Mi ero prefisso di seguire, con un pireliometro acompensazione elettrica dell’Angström, le variazio-ni della radiazione termica (totale) del disco del Soledurante l’eclisse, facendo anche osservazioni inqualche altro giorno, precedente o seguente l’eclis-se, a fine di trarre utili elementi di confronto.

Strumenti. – L’istrumento adoperato era il pire-liometro N. 66, costruito dal meccanico J. L. Rose diUppsala sotto la direzione dello stesso Angström;esso è di proprietà del R. Ufficio Centrale di Meteo-rologia, e stette per parecchi anni in uso presso il nostro osservatorio di Sestola.

Come è noto, l’intensità della radiazione, otte-nuta col mezzo del pireliometro dell’Angström, èdata dalla formola:

Q = (60ri2 / 4,19ba) grammo-calorie per minutoprimo e per cm2.

Essendo

i l’intensità della corrente compensatrice in ampére,r la resistenza elettrica delle strisce per cm. lineare in

ohm,b la larghezza delle strisce in cm,a il potere assorbente della superficie annerita delle

strisce.

Quando la r non vari sensibilmente al variare dellatemperatura, come è il caso delle laminette di man-ganina impiegate nel nostro pireliometro, la formo-la può scriversi:

Q = ki2,essendo il fattore k da ritenersi come costante dellostrumento.

Nel fatto, pel nostro pireliometro, si ha […]Q = 16,47 i2,

quella stessa che ha applicato, pel detto strumento,il prof. Teglio nei confronti da lui istituiti, in giugno-luglio 1905 dietro incarico affidatogli dal Chistoni,fra vari pireliometri.2

La corrente compensatrice era misurata median-te un milli-amperometro (Siemens & Halske, N.66235, con campo di misura 0-150) […] che permet-teva di leggere fino al 0,0001 di ampère; ed essendoesso shuntato con una resistenza di 1/9 ohm […],l’effettiva corrente era valutata al millesimo. La cor-rente era fornita da una pila, del cosiddetto tipo asecco, della ditta Spierer di Roma, e per ottenere lacompensazione era inserito nel circuito un reostato,a cursori […], costruito dal meccanico Tomasetta diNapoli.

Disposi tutti questi strumenti su di un pancone,all’aperto sul piazzaletto della villa e, propriamente,a ridosso del muro esterno di quell’avancorpo del-l’abitazione il quale ci serviva da saletta da pranzo(fronte sud della villa). Il galvanometro, tipo D’Ar-sonval, fu fissato contro la parete, con l’intermezzod’una tavoletta di legno, fra le due vetrate, e legge-vasi mediante cannocchialino e scala. Un fronzutoalbero di acacia distendeva la sua ombra protettricesul tavolo di osservazione, mentre il pireliometro,poggiato solidamente su di un treppiede, stava po-co distante esposto in pieno sole, alto 1½ metro daterra (v. Tav. xxxvii).

Osservazioni. – Il giorno 19 agosto mi trovavo giàtutto in ordine co’ miei dispositivi, e feci le primemisure. Il giorno 20, vigilia dell’eclisse, desiderai ot-tenere una buona serie di determinazioni, distribui-te a brevi intervalli nel corso della giornata; peròl’avvicendarsi di nuvole in cielo non me lo permiseche in parte.

Nel 21, giornata campale per noi, il cielo si preannunciava bello al mattino, e già dalle 8h io ero

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* Estratti dal Vol. vii, S. ii (1918) delle Memorie della Società degliSpettroscopisti Italiani.

1 V. in Spettroscopisti, serie 2ª, vol. vi, anno 1917.

2 E. Teglio, Contributo allo studio del pireliometro a compensa-zione elettrica dell’Angström («Rend. Acc. Lincei», vol. xv, iº sem.1906, p. 214).

D

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al banco del pireliometro coll’intendimento di con-tinuare le osservazioni, in serie fitta, fino al tramonto. Le cose andarono magnificamente fin ol-tre le 11h, ma poi, con viva trepidazione dell’animoe degli astronomi della missione, cominciarono lenubi vaganti a farsi vieppiù fitte ed a darci noia coiloro frequenti passaggi sul disco solare. Io fui sem-pre attento a cogliere anche i più brevi intervalli dischiarita per effettuare l’osservazione, assicurando-mi però – in ciascun caso – che il Sole fosse benesgombro da veli, i quali io potevo scorgere guar-dando attraverso ad un vetro giallo. […] In genera-le, ogni misura pireliometrica constava di tre lettu-re successive, la prima con l’esposizione al Sole dellastriscia p. es. di destra, poi con l’esposizione dellastriscia di sinistra, ed infine, di nuovo, con la strisciadi destra scoperta, facendosi poi la media […]. Intanto si avvicinava l’ora dell’eclisse, e purtroppole condizioni del cielo, anziché migliorare, peggio-ravano.

Il primo contatto a 14h 9m andò perduto, e allor-ché, una decina di minuti più tardi, potei fare unanuova osservazione pireliometrica, fuor delle nubi,la Luna già aveva fortemente intaccato il disco sola-re. Seguitai così ad approfittare dei lucidi periodi, frale alternative di buio e di chiaro; ma quando i cu-muli, ingombranti oramai tutto l’orizzonte, assun-sero l’aspetto di minacciosi nembi temporaleschi ed

io udii il sordo brontolio di tuono lontano (manca-vano allora 20 minuti alla totalità), ritenni il caso di-sperato, compiangendo, più di me, i miei compagniastronomi, pei quali le osservazioni mancate nelmomento della totalità avrebbero segnato il com-pleto fallimento della spedizione! Ma ecco che inaspettatamente, alle 15h 5m, uno squarcio si aprenelle nubi, proprio nella regione del Sole; e ciò miconsente di riprendere con foga il lavoro al pirelio-metro. […]. Sopraggiunta la totalità, cercai subito dideterminare la radiazione della corona, puntandolo strumento su di essa; ma la scala del galvanome-tro, illuminata alla meglio con una candela, non eraben leggibile, ed io non insistetti nel tentativo; trop-po preziosi e brevi trascorrevano quei 2 minuti e 18sche erano disponibili della oscurità! Passai allora al-l’osservazione della polarizzazione della corona,mediante un polariscopio di Savart, consegnatomidal prof. Riccò, ed applicato ad uno degli oculari diun ottimo binocolo a prismi Goerz; ma, o fosse perla stanchezza del mio occhio, o perché la luce coro-nale fosse troppo debole, o la lamina della tormali-na quale serviva da analizzatore, fosse troppo spes-sa e scura (verde cupo), nel fatto io non riuscivo adistinguere bene le apparenze delle frange d’inter-ferenza, e non ho potuto trarre alcuna conclusione relativamente alla posizione del piano di polarizza-zione della luce coronale. Buttai giù alla svelta, a

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Tavola xxxvii. Pireliometro.

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matita, uno schizzo dei pennacchi della corona,quale m’appariva al semplice occhio, essa mi è sem-brata meno lucente e meno espansa di quella cheavevo visto a Tripoli nell’eclisse dell’agosto 1905. An-che l’oscurità generale dell’atmosfera mi parve que-sta volta essere più profonda, paragonabile a quelladel tardo crepuscolo. Sempre molto impressionan-te per me la visione della grande palla nera come pe-ce, contornata dall’argentea raggiera, sospesa nelcielo cupo, fra il tetro silenzio della Natura: stranofantasma, che mirasi con stupore misto quasi a sgo-mento! Più in alto, a sinistra, brillava Regolo. Alprincipio e verso la fine della totalità vidi i sottililembi rosei della cromosfera, ma non nel tempo dimezzo, e non scorsi le protuberanze (intendo, a oc-chio nudo). Ma l’estasi ha prestissimo fine; erompefulminea, dal bordo ovest del nero globo, come unaschiuma di fuso metallo incandescente che abbar-baglia;3 rivive il nostro Sole, in quell’esile fulgidissi-

mo archetto; è un attimo perché, appena terminatoil meraviglioso spettacolo, si chiude su di esso nuo-vamente il sipario delle dense nubi! […].

Dopo la totalità, passarono quasi quaranta minu-ti prima che si potessero ripigliare le osservazioni pi-reliometriche. Ma infine il Sole uscì interamentefuori delle nubi, ed io feci ancora quattro osserva-zioni col Sole in fase, cioè parzialmente occultato,ed altre quattro col Sole pieno, verso il tramonto, es-sendo da ultimo il cielo ovunque perfettamente lim-pido. Il bilancio della giornata, anche nei riguardidelle misure pireliometriche, così si chiudeva bene,risultandomi di avere, in effetto, eseguite assai piùmisure di quante la lotta dovuta combattere controle avverse nubi avrebbe lasciato supporre.

[…]

[continua]

22 Giornale di Astronomia, 2018, 2

3 L’immagine della schiuma di infocato metallo liquido tra-boccante traduce bene l’impressione lasciata in me dalla disconti-nuità del filetto fotosferico, al primo ricomparire dell’estremo

lembo solare; io lo percepii per un istante come granulato, cioè diviso in grani scintillanti di luce ed animati da rapido tremolio;sono i cosiddetti grani di Baily, l’astronomo che per primo diressel’attenzione su tale fenomeno nelle eclissi.

Donatella Randazzo, laureata in Biologia e diplomata “Librarian” in Inghilterra, è bibliotecaria all’inaf-OsservatorioAstronomico “G. S. Vaiana” di Palermo, dove è responsabile del fondo antico e dell’archivio storico. Ha collaborato allacompilazione del repertorio degli astronomi italiani, e dell’inventario dell’archivio storico dell’Osservatorio di Palermo,ed è impegnata nel progetto nazionale di catalogazione delle cinquecentine conservate negli osservatori astronomicidell’inaf.Ileana Chinnici è ricercatore astronomo dell’inaf-OsservatorioAstronomico “G. S. Vaiana” di Palermo, dove ha lavo-rato dal 1996 al 2004 come Conservatore del Museo. Laureatasi nel 1992 in Fisica con tesi in storia dell’astronomia, ha pubblicato, con G. Foderà, il catalogo degli strumenti dell’Osservatorio. I suoi interessi di ricerca vertono principalmentesulla storia dell’astronomia e dell’astrofisica nell’Ottocento, con particolare attenzione alle fonti archivistiche. In collaborazione con l’Observatoire de Paris ha curato l’edizione della corrispondenza relativa all’impresa internaziona-le della Carte du Ciel.

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Cieli d’inchiostro*A cura di Agnese Mandrino1 · Mauro Gargano2 · Antonella Gasperini31 inaf · Osservatorio Astronomico di Brera2 inaf · Osservatorio Astronomico di Capodimonte3 inaf · Osservatorio Astrofisico di Arcetri

Ricordando Angelo Secchi:Cronaca della spedizione in Spagna per l’eclisse del 1860Ileana Chinniciinaf · Osservatorio Astronomico “G. S. Vaiana” di Palermo

a fama di Angelo Secchi in cam-po astronomico è ben nota:

pioniere dell’applicazione di nuo-ve tecniche, quali la fotografia e laspettroscopia, a lui si deve una del-le prime classificazioni spettralidelle stelle (da cui derivano le at-tuali) e un’importante serie di stu-di di fisica solare, oltre a numerosicontributi in altre discipline scien-tifiche, come la meteorologia, lageodesia, la geofisica ecc.

Il bicentenario della sua nascita,che ricorre nel corrente anno, co-stituisce una preziosa occasioneper rilanciare l’interesse della comunità di storici della scienzaverso questo protagonista dellascienza italiana del xix secolo e soprattutto per far conoscere i fon-di d’archivio che lo riguardano.

È questo uno degli scopi del pre-sente articolo, che vuole mettereinsieme due delle principali passio-ni di Secchi: la fotografia e il Sole. Fu infatti duran-te l’eclisse del 1860, che egli osservò in Spagna, cheSecchi ottenne alcune delle primissime fotografiedella totalità di un’eclisse, fotografie che si rivelaro-no decisive nel dirimere l’importante quesito scien-tifico sulla natura reale o illusoria delle protuberan-ze solari.

L’inaf-Osservatorio di Roma possiede nel suoarchivio una serie di documenti relativi a questa

spedizione: il diario di Secchi, incompleto, dal ti-tolo “Cronaca della spedizione in Spagna perl’eclisse del 1860”, una bozza di rapporto in fran-cese, destinata all’Académie des Sciences, la minu-ta di una lettera al Giornale di Roma, con una sin-tesi delle osservazioni, e quella di una lettera afratel Francesco Marchetti, amico ed assistente diSecchi all’Osservatorio del Collegio Romano. L’in-sieme dei documenti è inoltre corredato da alcunidisegni e fotografie.

Si tratta di carte molto piacevoli da leggere, dovetroviamo quei dettagli che non sempre si trovanonelle relazioni ufficiali, ma che raccontano i retro-scena più umani e meno scientifici di una spedizio-ne: incontri curiosi, considerazioni personali, stati

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* In questa rubrica, iniziata nel n. 1/2012, i curatori intendonopresentare “frammenti di passato” provenienti dagli archivi astro-nomici, sia per aumentare la conoscenza degli archivi stessi, siaperché quei “frammenti” ci possano raccontare una sia pur brevestoria degli uomini che, nelle nostre istituzioni, si sono dedicati al-lo studio del cielo.

L

Fig. 1. Fotografia della stazione in cui vennero eseguite le fotografie dell’eclisse; le annota-zioni che indicano strumenti e personale della stazione sono di mano ignota. (forse Secchi?)

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d’animo ecc. Il diario poi, benchéincompleto, riveste una certa im-portanza perché è l’unico che siconservi in un Osservatorio, dalmomento che gli altri diari di viag-gio di Secchi sono invece conser-vati nell’imponente “Fondo Sec-chi” della Pontificia UniversitàGregoriana.

Secchi si recò in Spagna ad os-servare l’eclisse del 18 luglio 1860,su invito del direttore dell’Osser-vatorio di Madrid, Antonio Agui-lar, col supporto finanziario di Pioix. La stazione scelta per le osser-vazioni del fenomeno era il con-vento dei Carmelitani detto il De-sierto de Las Palmas, già utilizzatada François Arago, ai primi del-l’Ottocento, nelle operazioni ditriangolazione per l’estensionedella meridiana di Francia fino alleBaleari.

La spedizione partì da Madrid,passò da Valencia e giunse a Ca-stillón de la Plana, città vicino allaquale si trovava il Desierto de LasPalmas. Determinato a catturaredelle fotografie del fenomeno (co-sa che non era finora riuscita maiad un astronomo, ma solo ad unesperto dagherrotipista all’Osser-vatorio di Konigsberg nel 1851),Secchi portò con sé il suo telesco-pio di Cauchoix, che doveva servi-re per le operazioni fotografiche,un declinometro Jones e vari ac-cessori, mentre Aguilar aveva consé un telescopio Steinheil e varistrumenti meteorologici. Manmano, nel suo procedere, alla spe-dizione si aggiungeva altro perso-nale, che comprendeva sia profes-sori universitari che abili astrofili,con i loro strumenti.

Giunti al convento, dove furonoaccolti dal Priore, Secchi e i suoicompagni rimasero delusi dal luo-go della stazione, che trovaronoinadeguato, per la presenza dimontagne circostanti. Decisero,quindi, di utilizzare due eremi vi-cini, in posizione poco più vantag-giosa, dove collocarono gli appa-recchi fotografici e lo strumentodei passaggi. Per le osservazionivisuali, ispezionarono la vicinachiesetta di San Miguel, posta sul-la cima dell’omonimo monte, conottima visuale ma ardua da rag-giungere. Convennero comunque

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Fig. 2. Pagina del manoscritto di Secchi contenente la descrizione delle osservazioni, nellaquale sono riprodotti alcuni disegni di protuberanze.

Fig. 3. Pagina del rapporto in francese, con disegno della corona solare.

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di stabilirsi lì per eseguire le osser-vazioni astronomiche e meteoro-logiche, dopo aver faticato non po-co a convincere il Priore checollocare una stazione astronomi-ca in una chiesa non significavaprofanarla!

Dopo aver eseguito le operazio-ni preliminari, ovvero disimballarele casse, preparare i pilastrini pergli strumenti, tarare barometri etermometri e montare i telescopi,la sera del 6 luglio si iniziò a dor-mire negli eremi, in condizionimolto disagiate, per poter effet-tuare osservazioni notturne e pro-ve fotografiche. Secchi, preoccu-pato per la riuscita delle fotografie,eseguì diverse prove, anche neigiorni successivi, fino ad ottenerela qualità desiderata.

Alla vigilia dell’evento, tutto erapronto: nell’eremo di San Juan erano già in funzione il telescopioCauchoix e il laboratorio fotografi-co, nonché strumenti spettroscopi-ci e polariscopici, mentre nellachiesa di san Miguel furono instal-lati il telescopio Steinheil di Agui-lar, il declinometro, un termomol-tiplicatore Melloni e vari strumentimeteorologici.

Durante le rettifiche degli stru-menti, tuttavia, si evidenziaronoalcuni elementi preoccupanti perla riuscita delle osservazioni: gliastronomi notarono, infatti, che almattino era solita formarsi unanube in cima all’altura dove era ubicata la chiesettadi San Miguel e decisero di tenere pronte delle ca-valcature per portar via gli strumenti e collocarli avalle, in caso di permanenza della nube in vicinan-za dell’eclisse.

Ed in effetti, la mattina seguente, col vento debo-le, il cielo era rimasto inizialmente limpido, ma colrafforzarsi del vento, ecco formarsi la temuta nube.La descrizione che Secchi fa dello stato d’animo della comitiva è, come nel suo stile, venata di fineumorismo:

La posizione nostra era tanto più critica in quanto che,con grande rammarico, avevamo sott’occhio tutta la pia-nura libera affatto da ogni vestigio di nubi, e con solo unpoco di nebbia bassa che si andava dileguando. Eranogiunte le 11 ore e 1/2 e si stava in questo stato desolantecon una nube fissa e inchiodata sul nostro capo come perproteggerci dai raggi solari; servizio che sarebbe stato ot-timo in qualunque altra occasione tranne l’attuale. Guar-davamo ansiosamente il barometro e il mulinello delvento per vedere se quello si alzava e questo accelerava,ma tutto era nulla, e tutto andava con una specialissimamonotonia. Credo che se il barometro avesse potuto ca-

pire avrebbe avuto compassione di noi e che non mai al-cuna nube fu studiata con maggior attenzione.

In questa esasperante incertezza, Secchi cominciò apensare di scendere in pianura per vedere bene al-meno la totalità, ma quando decise a muoversi, eragià troppo tardi perché occorrevano almeno tre oreper la discesa, un margine di tempo che metteva arischio l’osservazione del fenomeno.

La spasmodica attesa degli astronomi fu inter-pretata dal capannello di curiosi accorsi dai villaggivicini come se dubitassero del verificarsi dell’eclisse;Secchi descrive quindi umoristicamente il contrastotra lo stato d’animo degli abitanti del luogo, per iquali l’eclisse era un’occasione di festa, e quello de-gli astronomi:

Durante tutta la mattinata fino al fine della totalità ilmonte presentava un aspetto veramente pittoresco a tut-ti, fuorché a noi. Tutti i villaggi di intorno si erano vota-ti [= svuotati], e colà aveano inviati i loro abitanti in abi-ti di mezza festa almeno; crocchi di donne, di uomini diragazzi di ogni specie si stipavano attorno agli strumen-ti mentre altri sparsi qua e colà al vezzo de’ pini faceva-

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Fig. 4. Fotografie della totalità, con annotazioni di mano Secchi.

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no le buone colazioni, trinciando buoni pezzi di manzoarrosto, bevendo e cantando, che per noi, che vedevamola nube colà inchiodata, faceva veramente invidia dellaloro bonarietà. Per noi la colazione non fu certo la piùgustosa quel dì!

L’attesa fu fortunatamente ben ripagata: la nube in-fatti, poco a poco, iniziò ad assottigliarsi e l’osserva-zione dell’eclisse riuscì bene, malgrado un tempo-rale in avvicinamento.

Col progredire dell’eclisse, Secchi e i suoi com-pagni presero nota di tutta una serie di dati, tra cuile variazioni di luce e di temperatura prodotte daquesto fenomeno. Intanto, la falce solare si assotti-gliava sempre più e, poco prima che sparisse, Secchivide finalmente comparire l’oggetto principale deisuoi studi, ovvero le protuberanze solari. Dopo averesaminato il bordo solare, Secchi diede anche un’oc-chiata alla corona, tentando delle misure polarisco-piche. Quindi, assistette alla progressiva fine del fe-nomeno, con la riapparizione del disco solare.

Il principale risultato della spedizione di Secchi inSpagna fu la registrazione fotografica delle varie fa-si dell’eclisse; quattro di queste riprodussero la to-talità, con la corona e le protuberanze, cosicché fupossibile fissarne il numero e la posizione, racco-gliendone i dettagli in un disegno.

Le fotografie ottenute da Secchi in Spagna furo-no cruciali per dirimere una delle principali que-stioni scientifiche dell’epoca, ovvero se le protube-ranze fossero fenomeni realmente appartenenti alSole o piuttosto illusioni ottiche. Il confronto tra lefotografie eseguite da Secchi e quelle eseguite dal-l’astronomo inglese Warren de la Rue, altro pionie-re della fotografia astronomica, in una stazione di-stante oltre 500 km da quella di Secchi, mise inevidenza la coincidenza dei dettagli nei due set di fo-tografie, confermando che le protuberanze sono fe-nomeni solari.

Va aggiunto che l’Archivio dell’inaf-Osservato-rio di Roma possiede anche alcune lettere di De laRue a Secchi su questo importante argomento, chemeriterebbe di essere ulteriormente studiato e ap-profondito, insieme alle tante altre tematiche relati-ve agli studi e alla figura di Angelo Secchi. Un primotentativo che va in questa direzione è la pubblica-zione di una biografia di Secchi in inglese, attual-mente in fase di revisione, che farà parte della colla-na Jesuit Studies della casa editrice Brill, nella quale

ampio spazio viene dato ai materiali di archivio Del-l’inaf-Osservatorio di Roma. Il “Fondo Secchi” del-l’inaf-Osservatorio di Roma è infatti certamente,dopo quello della Pontificia Università Gregoriana,il fondo più ricco ed importante per approfondire lafigura del celebre scienziato e i documenti sui qualiqui si è voluta soffermare l’attenzione non sono cheuna delle tante preziose testimonianze ivi contenu-te, ancora da esplorare.

Referenze bibliografiche

A. Altamore, S. Maffeo (a cura di), Angelo Secchi e l’av-ventura scientifica del Collegio Romano, Quater, Foligno,2012.

P. Bayart, La méridienne de France et sa prolongationjusqu’aux Baléares, «Revue XYZ», No. 116, 3º trimestre2008, pp. 58-62.

I. Chinnici, RM.09. SECCHI ANGELO (1818-1878) [Stazio-ne astronomica al Desierto de Las Palmas], in Starlight. Lanascita dell’astrofisica in Italia, a cura di I. Chinnici, Arte’m, Napoli, 2016, p. 50.

I. Chinnici, Il profilo scientifico e umano di Angelo Secchi,in Angelo Secchi e l’avventura scientifica del Collegio Romano, a cura di A. Altamore, S. Maffeo, Quater, Foligno, 2012.

A. Secchi, Observations faites pendant l’eclipse totale du 18juillet 1860 sur le sommet du mont saint-Michel au Desiertode Las Palmas en Espagne, «Comptes Rendus de l’Aca-démie des Sciences», li, 1860, pp. 156-162; 276-279; 386-388.

A. Secchi, Sull’ecclisse solare totale osservato in Spagna nel18 luglio 1860, «Memorie dell’Osservatorio del CollegioRomano 1860-62», vol. ii, 1863, pp. 33-52.

I documenti:Vedi le Figure e le relative didascalie (tutti i documentiprovengono da: inaf-Osservatorio Astronomico di Ro-ma, Archivio storico).

Ileana Chinnici è ricercatore astronomo dell’inaf-Os-servatorio Astronomico “G. S. Vaiana” di Palermo e Ad-joint Scholar della Specola Vaticana. Laureatasi nel 1992in Fisica con tesi in storia dell’astronomia, i suoi interes-si di ricerca vertono principalmente sulla storia del-l’astronomia e dell’astrofisica nell’Ottocento, con parti-colare attenzione alle fonti archivistiche. Nel 2001 hacollaborato all’edizione dell’inventario di archivio delFondo Secchi della P. Università Gregoriana.

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Agnese Mandrino è responsabile della Biblioteca e dell’Archivio storico dell’Osservatorio Astronomico di Brera a Mi-lano. Coordina il progetto “Specola 2000” per il riordino e la valorizzazione degli archivi storici degli Osservatori.Mauro Gargano, laureato in Astronomia presso l’Università di Padova, ha un assegno di ricerca presso l’OsservatorioAstronomico di Capodimonte a Napoli, dove si occupa anche dello studio e valorizzazione della collezione storica espo-sta nel Museo degli Strumenti Astronomici.Antonella Gasperini è responsabile della Biblioteca e dell’Archivio storico dell’Osservatorio Astrofisico di Arcetri. Col-labora con le attività di diffusione della cultura scientifica e di valorizzazione del patrimonio storico dell’Osservatorio.

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Spigolature astronomiche*A cura di Annibale D’Ercoleinaf · Osservatorio di astrofisica e scienza dello spazio di Bologna (oas)

La temperatura di equilibrioClaudio Elidoro

in da piccoli abbiamo imparato che i pianetinon brillano di luce propria, ma il loro luccichio

è dovuto al fatto che riflettono la luce solare. Sonole caratteristiche della loro superficie, le distanze ingioco e la geometria di questi giochi di luce che fanno risplendere in modo più o meno vistoso unpianeta (ne abbiamo parlato nelle “Spigolature” delsettembre 2012, giugno 2013 e settembre 2014).

Non abbiamo mai considerato, però, le conse-guenze dell’irraggiamento solare su una superficieplanetaria. La radiazione che investe un pianeta, in-fatti, trasporta energia e dunque finisce inevitabil-mente col contribuire al suo bilancio energetico.D’altra parte, la fisica ci insegna che qualunque og-getto caratterizzato da una temperatura non nullairradia energia, il che significa che il bilancio ener-getico di un pianeta, oltre alla componente in en-trata (energia proveniente dal Sole) deve contem-plare anche una componente in uscita.

Con molto tempo a disposizione – beh, i pianetidel Sistema solare hanno potuto disporre di 4 mi-liardi di anni – e senza nessun’altra diavoleria in azio-ne, è inevitabile che il bilancio energetico finisca conl’attestarsi sul pareggio, con l’energia apportata dalSole in perfetto equilibrio con l’energia irraggiatadalla superficie planetaria. A questa situazione cor-risponderà un ben preciso valore della temperaturadella superficie planetaria e a tale grandezza verràdato il nome di “temperatura di equilibrio”. Riman-diamo al livello avanzato le considerazioni che ciporteranno a trovare la sua formulazione.

Talvolta ci si riferisce a questa grandezza con iltermine di “temperatura di corpo nero equivalen-

te” di un pianeta, una terminologia che sottolinea inmodo evidente come si stia considerando una si-tuazione teorica. A rendere praticamente cartastraccia le valutazioni della temperatura di un pia-neta, ottenute dal calcolo della temperatura di equi-librio, infatti, contribuisce, in modo decisivo, la pre-senza di un’atmosfera e dell’effetto serra ad essaassociato.

Il caso più evidente è quello di Venere. Il calcolodella temperatura di equilibrio di questo pianeta, in-fatti, suggerisce un valore di 250 K, dunque intornoa -23 °C. I dati astronomici, però, indicano che la su-perficie del pianeta sperimenta temperature mediedi 462 °C (735 K) e che non c’è praticamente diffe-renza tra temperatura diurna e notturna. La re-sponsabilità di questo torrido calderone, costante-mente riscaldato a temperature tranquillamente ingrado di fondere il piombo (Tfusione = 327 °C) e per-sino lo zinco (Tfusione = 419 °C), è del devastante “ef-fetto serra” innescato dall’atmosfera del pianeta.

L’atmosfera di Venere è quasi cento volte piùmassiccia della nostra (al suolo la pressione è 92 vol-te quella terrestre) ed è costituita quasi esclusiva-mente da anidride carbonica. Queste molecole, as-sorbendo la radiazione termica infrarossa emessadalla superficie, le impediscono di abbandonare ilpianeta, con l’inevitabile conseguenza di un rovino-so aumento della temperatura superficiale. L’atmo-sfera di Venere, insomma, si comporta proprio co-me i vetri di un’automobile nei mesi estivi. Èesperienza comune che, dovendo risalire in macchi-na dopo averla lasciata parcheggiata al sole e con ivetri alzati, ci ritroviamo a dover fare i conti contemperature infernali. L’effetto viene proficuamen-te utilizzato per mantenere un caldo tepore all’in-terno di una serra, anche nei gelidi mesi invernali edè per tale motivo che viene chiamato effetto serra.

Per nostra fortuna, purché rimanga a livelli ade-guati, anche la Terra sperimenta un benefico effet-to serra. Se la situazione termica del nostro pianetadovesse dipendere unicamente dalla temperatura diequilibrio, infatti, staremmo veramente freschi. Nelvero senso della parola, dato che sperimenteremmouna temperatura media di 250 K, equivalenti a 23 °Csotto lo zero. Per nostra fortuna, la presenza in at-

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* Questa rubrica si propone di presentare in modo sintetico e,per quanto possibile, autoconsistente argomenti che stanno allabase della conoscenza astronomica, spesso trascurati nella lettera-tura divulgativa, in quanto ritenuti di conoscenza generale oppu-re troppo difficili o troppo noiosi da presentare ad un pubblico nonspecialistico. Questi “fondamenti di astronomia”, volutamentetrattati in uno spazio limitato, possono essere letti a due livelli;eventuali approfondimenti per i lettori che desiderino ampliare laconoscenza dell’argomento vengono esposti in carattere corsivo eincorniciati. Si suggerisce questa rubrica, quindi, a studenti dei va-ri tipi e livelli di scuole. Le Spigolature astronomiche si possono tro-vare anche in rete, nel sito Web del «Giornale di Astronomia»,http://giornaleastronomia.difa.unibo.it/giornale.html.

F

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mosfera dei cosiddetti gas serra (anidride carbonica,vapore acqueo, metano, …) intrappola parte del ca-lore emesso dalla superficie, impedendogli di di-sperdersi nello spazio. Il processo è molto efficace eriesce ad innalzare la temperatura media della Ter-ra al confortevole valore di 14 °C, condizione indi-spensabile per lo sviluppo della vita che noi cono-sciamo.

L’aspetto problematico è che molti gas serra so-no di origine antropica – si pensi per esempio ai clo-rofluorocarburi (cfc) e molecole simili – e il loroaumento incontrollato finirebbe col potenziare inmodo pericoloso l’effetto serra, trasformandolo daeffetto benefico per il pianeta in problema estrema-mente grave. Volendo fare una battuta amara, tra igas serra figura anche il protossido d’azoto, un gasaltrimenti noto come gas esilarante. Ma c’è davve-ro poco da ridere: secondo l’agenzia americana perla protezione ambientale (epa), infatti, valutando suun tempo di cento anni il suo potenziale di riscalda-mento climatico per unità di massa, risulta 310 vol-te più significativo di quello dell’anidride carbonica.

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Come anticipato, proviamo a calcolare quale potrebbe essere la temperatura di equilibrio di unasuperficie planetaria. Detto in modo estremamentesbrigativo, dovremo valutare quanta energia prove-niente dalla sua stella raccoglie la superficie delpianeta e quanta a sua volta ne riemette sotto for-ma di radiazione di corpo nero. La temperatura diequilibrio sarà la temperatura alla quale questi duevalori saranno uguali, cioè il bilancio energeticodella superficie planetaria sarà in pareggio.

Chiamando RP il raggio del pianeta, avremo chela sua sezione trasversale investita dall’energia della stella sarà πRP2. Inoltre, poiché il pianeta ècollocato a una certa distanza (d) dalla stella, lafrazione di energia raccolta sarà il rapporto tra lasezione trasversale del pianeta e la superficie dellasfera centrata nella stella con raggio d.

Rapporto che, in formule, è dato da:

(1)

Per calcolare l’energia complessiva emessa dallastella (praticamente il valore della sua luminositàLS) facciamo ricorso alla legge di Stefan-Bol-tzmann. Secondo questa legge, la luminosità diuna stella è data da:

(2)

dove con RS abbiamo indicato il raggio della stella,con TS la sua temperatura superficiale e σ è la costante di Stefan-Boltzmann.

Tenendo conto della (1) e della (2) possiamoesprimere l’energia destinata a investire la superfi-cie planetaria come:

dR

dR

4 4P P2

2

2

2

pp =

L R T4S S S2 4p s=

(3)

Nella (3) è sottinteso che il pianeta raccolga tuttal’energia che lo investe, ma questo non è affatto ve-ro. Sappiamo bene, infatti, che, tra le proprietà diogni superficie, comprese quelle planetarie, vi è lacapacità di riflettere parte della radiazione che lainveste, una caratteristica chiamata “albedo” (A).Visto che, per definizione, una superficie perfetta-mente riflettente ha albedo pari a 1, la quantità(1-A) indicherà la parte di energia che non viene re-spinta, ma viene catturata dalla superficie stessa.Questo significa che, per trovare l’energia che effet-tivamente rimane sulla superficie planetaria e con-tribuisce al suo bilancio termico (EIN), dobbiamocorreggere la (3) moltiplicandola per il fattore (1-A).Otteniamo in tal modo:

(4)

A questo punto dobbiamo valutare quanta energiaemette la superficie planetaria sotto forma di radiazione di corpo nero (EOUT). Anche in questocaso ricorriamo alla legge di Stefan-Boltzmann e,praticamente, riscriviamo la (2) riferendola al pianeta:

(5)

All’equilibrio la radiazione raccolta e la radiazio-ne emessa dovranno essere uguali. Uguagliandodunque la (4) e la (5) ed estraendo opportunamen-te la radice quarta in entrambi i membri possiamoottenere l’espressione che ci indica la temperaturadi equilibrio della superficie planetaria:

(6)

Si tratta ora di mettere alla prova l’espressione trovata.

Già si è accennato a quanto la presenza dell’at-mosfera mantenga lontano dalla temperaturad’equilibrio le superfici di Venere e della Terra. Ap-profittiamo della (6) per calcolare le temperature diequilibrio per gli altri due pianeti di tipo terrestredel Sistema solare.

Nel caso del pianeta Mercurio, dunque, inseren-do nell’espressione il valore della sua albedo (0,138),quello della sua distanza media dal Sole (0,38 UA,dunque 5,7 × 107 km), la temperatura superficialedella nostra stella (5800 K) e la misura del suo rag-gio (7 × 105 km), otteniamo per TP un valore di 438K. I dati relativi alle temperature superficiali diMercurio, però, ci dicono che, a causa del suo lentomoto rotatorio, vi sono incredibili differenze ditemperatura tra l’emisfero soleggiato (465 °C, paria 738 K) e quello in ombra (-184 °C, pari a 89 K). Lasuperficie, insomma, non riesce ad avvicinarsi a

E R T dR4 4S S

P2 42

2

$p s=

( )1 AE R dR4 4 –IN S S

P2 42

2

$ $p s=

1–AT T dR2P S

S4 $$=

E R T4OUT P P2 4p s=

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Claudio Elidoro si è laureato in Astronomia presso l’Università di Bologna con una tesi riguardante i Corpi minori delSistema solare e si è diplomato al Master in Comunicazione Scientifica presso l’Università di Milano. È insegnante dimatematica in una scuola professionale di Cremona e svolge attività di divulgazione astronomica scrivendo articoli perriviste del settore. Ha curato la prima parte della versione online delle “Spigolature Astronomiche”. Nel dicembre 2006il Minor Planet Center ha assegnato il suo nome all’asteroide “(43956) Elidoro”.

una situazione di equilibrio termico; curiosamen-te, se facciamo una media tra i due valori ottenia-mo comunque una temperatura perfettamente in li-nea con quella calcolata con la (6).

Se effettuiamo gli stessi calcoli per il pianetaMarte (albedo 0,15 e distanza media dal Sole pari a2,28 × 108 km) otteniamo per TP il valore di 218 K,pari a circa -55 °C. Siamo dunque perfettamente in

linea con i valori medi di temperatura registratisulla superficie del Pianeta rosso. Complice la rota-zione sufficientemente rapida del pianeta (il giornodura solamente 37 minuti in più di quello terrestre)e l’estrema rarefazione della sua atmosfera (oltrecento volte più rarefatta di quella terrestre), la tem-peratura della superficie si attesta proprio intornoalla temperatura di equilibrio.

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Marino Perissinotto.Un astrofilo d’altri tempi, un astrofilo di serie “A”Paolo CampanerItalian Supernovae Search Project - issp

o trovato il tempo per una promessa – l’avevofatta ad un grande carissimo amico di astrono-

mia – il racconto, gli aneddoti di una vita di un astrofilo di altissimo livello, di una persona un po’ ri-servata, modesta schiva alle esibizioni, ma appas-sionata e di profonda cultura.

In questa breve intervista che gentilmente mi haconcesso nella sua abitazione a Colfrancui, una frazione di Oderzo in provincia di Treviso, emergo-no le passate amicizie e l’emozione dei tanti suoilimpidissimi ricordi, tra passione e seria ricercascientifica.

So di parlare con il top della ricerca amatoriale,da sempre, da quando giovane astrofilo incoscientevenivo a disturbarlo per carpire qualche segreto, po-che rubate parole mi bastavano per intuire le ag-giornate tecniche di sviluppo o su come usare almeglio la metodica di ricerca, allora non c’era In-ternet, ma non se ne sentiva la mancanza.

Difficile trovare le parole per descrivere un astro-filo come Marino Perissinotto, primo perché rac-contare la sua lunga attività di ricercatore, nato il 23marzo 1931, non basterebbe un volume di dati e, se-condo, perché è anche raccontare una parte della vi-ta del grande prof. Giuliano Romano.

Nel suo studio, alle pareti, fanno mostra centina-ia di dispense, pubblicazioni SAIt, grossi volumino-si atlanti, materiale fotografico accumulato, com-posto da migliaia di lastre meticolosamentecatalogate, mentre da un’ampia finestra a sud si puòscorgere, a pochi metri, l’annessa casetta osservato-rio con tetto scorrevole, immersa in un verde oriz-zonte, testimone silenziosa di tante notti passatesotto le stelle.

Il racconto inizia e si perde parecchi anni fa,quando Marino, allora quattordicenne studente, interessato sia di letteratura che di astronomia, leggendo una rivista di autocostruzione astronomi-ca, riesce ad imbastire il suo primo semplicissimocannocchiale con dei tubi, lenti da occhiali e un contafili.

I seppur modesti risultati lo incuriosiscono e loemozionano, a tal punto da prendere contatti con lascienza ufficiale, direttamente all’Osservatorio diTrieste, scrivendo al prof. Leonida Martin e al prof.Alberto Abrami, i quali, intuendone la grande passione, lo indirizzarono al prof. Giuliano Roma-no di Treviso.

Proprio da Romano, riceve i primi consigli e in-dirizzi su dove trovare utili informazioni, abbonan-

dosi alle allora principali riviste astronomiche, co-me L’Astronomie, Sky &Telescope e Coelum, avendoavuto poi anche la fortuna, nel 1950 a Bologna, di co-noscerne l’allora direttore, il grande prof. GuidoHorn D’Arturo.

Le esigenze osservative lo spinsero in seguito acostruire un semplice moto orario ricavato da unvecchio giradischi, gli servì allora per studiare alcu-ne stelle variabili in collaborazione con il prof. Ro-mano, le riprese erano eseguite con una sempliceRollei e i risultati non mancarono.

Fu così che, dopo pochissimi anni, intrapresel’autocostruzione ben più complessa di un telesco-pio newtoniano da 22 cm di diametro! In questomodo, l’allora diciottenne Marino, trafficando dimeccanica in un’officina, con il supporto poi del

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H

Fig. 1. Marino Perissinotto, nato nel 1931, fervente e appassionatoastrofilo, formò negli anni ʼ60 con Giuliano Romano un formida-bile binomio nel campo delle stelle variabili. (per questa e tutte lealtre foto, crediti: Marino Perissinotto)

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grande prof. Virgilio Marcon che gli procurò lospecchio e le parti ottiche necessarie, riuscì nell’im-presa di produrre le prime serie ed emozionanti os-servazioni.

Solo pochi anni dopo, nel 1956, la sua strumenta-zione si potenziò, con un nuovissimo telescopionewtoniano (Conte/Marcon) da 25 cm F/5, proget-tato gemello di quello installato da Romano a Tre-viso, era l’inizio di un grande progetto di indissolu-bile collaborazione scientifica e umana tra i dueastrofili! Già nel 1957, presentato da Romano, entraa far parte della Società Astronomica Italiana (SAIt).

È in questo periodo che riesce ad accumularemoltissime immagini, usando lastre Ferrania “Cap-pelli blu” e producendo stime fotometriche visuali,di una tale rigorosa precisione, che il grande prof.Leonida Rosino, sentiti gli apprezzamenti di Roma-no, lo volle al lavoro all’Osservatorio di Asiago, perl’utilizzo dei prestigiosi Schmidt, al piccolo 47/60 eal grande 67/90.

Nel 1961, si realizza in Italia un evento ecceziona-le che Perissinotto non si lascia scappare, l’eclisse to-tale di Sole del 15 febbraio. L’equipe dell’Osservato-rio di Padova e Asiago, formata per lo scopo daRosino, Romano, Francesco Bertola e Guido Chin-carini, trascina l’ancora giovanotto Marino in que-sta impresa.

Trasferisce per l’evento ad Alassio, in Liguria, bendue strumenti, entrambi da lui stesso progettati e al-lestiti. Parliamo di un newtoniano da 300 mm ar-

gentato e di un astrografo con vari filtri. L’impresaper l’epoca ebbe risultati eccellenti: lo dimostranoun esempio delle immagini riprese manualmente intutti i sensi, con lastre, portalastre e otturatori a sof-fietto, nulla poteva essere lasciato al caso. Tuttoquesto a dimostrare le sue grandi doti di serietà,professionalità ed esperienza, richieste in quei pochiconcitati minuti, immagini che finirono poi sulle ri-viste scientifiche come Coelum e quotidiani comel’Osservatore Romano.

Parentesi come questa non fermano l’ormai atti-vo studio delle stelle variabili condiviso con Roma-no, portando, tra gli anni 1964-’66 alle prime pubbli-cazioni scientifiche sulle Memorie della SAIt cheriportano ricerche dell’Osservatorio Astronomicodi Padova su centinaia di stelle di tipologie diverse,come RR Lyr, U Gem, irregolari, Cefeidi, Mira, adeclisse, sospette da confermare, studi riconosciuti eriportati anche in ambienti scientifici ungheresi erussi.

Ma, oltre agli studi citati, seguirono tante emo-zionanti scoperte, circa 30 variabili, depositate pres-so gli archivi dell’International AstronomicalUnion, che non passavano inosservate all’accuratoesame comparativo visuale dei campi stellari ana-lizzati.

Credo sia stato fra primi in Italia a progettare eutilizzare, nel 1973, telescopi di tipo Schmidt, appo-sitamente gemelli e allestiti per i due “superastrofi-li” dalla ditta Marcon di San Donà di Piave e ac-coppiati in montatura con i precedenti newtonianida 25 cm.

Racconta Marino che, nelle straordinarie imma-gini da 5° di campo prodotte dal telescopio Schmidt,le stelle erano talmente puntiformi da metterlo avolte in difficoltà nell’analisi fotometrica.

La coppia Romano-Perissinotto in quell’epoca di-ventò così un riferimento nello studio delle variabi-li, un esempio per tutta l’astronomia amatoriale eprofessionale, sia nazionale che internazionale, dal-l’aavso all’Accademia delle Scienze Sovietica, rice-vendo riconoscimenti invidiabili da tutto il mondo

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Fig. 2. Il primo telescopio newton da 22 cm, autocostruito con ottica di Virgilio Marcon.

Fig. 3. Il secondo telescopio newton da 25 cm con montatura Conte, ottica Virgilio Marcon.

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scientifico; da citare alcuni studi su conferme e sco-perte, pubblicati sullo storico catalogo russo di stel-le variabili, il General Catalogue of Variable Stars di B.V. Kukarkin e P. P. Parenago.

In quegli anni, ricorda Marino, lo studio delle va-riabili era basato su una paziente procedura, fatta ditanta ricerca suo poderosi atlanti, su cartine fatte amano col dettaglio del campo e l’oggetto centratoattorniato dalle stelle di confronto con magnitudineconosciuta, ma questo, aggiunge, era soltanto lapreparazione. Seguivano poi ore di posa notturnaall’oculare di guida, cambi di lastra e di campo, intutto riusciva a registrare circa 6 oggetti per sessio-ne, poi di corsa a sviluppare meticolosamente il ma-teriale fotografico impressionato, seguito dalle at-tente e scrupolose analisi visuali successive.

Tutte le riprese erano effettuate con filtro gialloper riportare i paramenti al V (visuale), riuscendocon la sua capacità visiva a discernere variazioni diun decimo di magnitudine. Spesso i target venivanoseguiti per mesi e anche per decenni, raccogliendouna enorme mole di dati.

Per lo scopo venivano stampate immagini deicampi stellari in negativo su carta, per facilitare lestime. In mezzo alle stelle note poteva esserci unanuova variabile!

Purtroppo, una rivoluzione epocale era in arrivo,dopo i primi anni Ottanata, con l’avvento dei sen-sori digitali, ebbe inizio un processo irreversibile eper molti astrofili diventò una difficile battaglia perla sopravvivenza.

Di fatto, questo processo fece tramontare le vec-chie lastre fotografiche e mise in crisi un sistema, uncerto tipo di cultura e quel duro lavoro operativo,essenzialmente legato alle capacità umane, difficileda riorganizzare alla luce delle nuove tecnologie.

Ma il fermento astronomico trevigiano non co-nosce soste, nel 1992 Marino, assieme a Romano, or-ganizza un memorabile convegno su “Astronomianel Veneto”, collegandolo a un concorso artistico atema per studenti trevigiani e a portare nella città diOderzo (tv) gran parte della scienza astronomicaitaliana, direttori di Osservatori e studiosi collegati,nomi come F. Bertola, R. Barbon, M. Capaccioli, V.Castellani, G. Favero, G. Maccagni, C. Pecile, L. Ro-sino, R. Ruffini, oltre a numerosi astrofili convenu-ti, fra cui lo scrivente, legati e riconoscenti di tantaesemplare passione.

Un bellissimo emozionante evento, ricorda Mari-no, fu la degna e gratificante conclusione di un pe-riodo storico irripetibile e indimenticabile.

Molti astrofili d’altri tempi, come il carissimoMarino Perissinotto mi racconta, non abituati alletastiere dei computer ed alle elaborazioni digitali,dovettero arrendersi, consapevolmente, al dilagan-te progresso ma non alla passione, di cui rimarran-no indimenticabili le emozioni e i ricordi in un po-sto sperduto in fondo al cuore.

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Paolo Campaner, nato nel 1952 a Zenson di Piave, diplomato analista chimico, è residente a Ponte di Piave. Appassio-nato di astronomia dal 1968, con diverse pubblicazioni su Coelum e Coelum Astronomia. Si occupa di ricerca di supernovaedal 2013, fa parte del gruppo italiano issp (Italian Supernovae Search Project: http://italiansupernovae.org/), ha in attivo15 scoperte. Dal 2017 è tra i primi 10 cacciatori di supernovae da sempre in Italia.

Fig. 4. Attuale configurazione realizzata dalle Officine Marcon,Schmidt e newton in parallelo, entrambi da 25 cm di apertura, conrifrattore di guida.

Fig. 5. Corona solare ripresa durante l’eclissi di Sole del 15 febbra-io 1961, ripresa ad Alassio con il telescopio da 30 cm di diametro e180 cm di lunghezza focale.

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Biblioteca

A cura di Alberto Cappiinaf · Osservatorio di astrofisica e scienza dello spazio di Bologna (oas)

L’infinita curiositàBreve viaggio nella fisica contemporaneaVincenzo Barone, Piero BianucciEdizioni Dedalo, 2017Copertina flessibile, pp. 192, € 22,00isbn 9788822057013www.edizionidedalo.it

uesto libro trae titolo e contenuti dalla mostra“L’infinita curiosità. Un viaggio nell’universo

in compagnia di Tullio Regge” ospitata dal 22 settembre 2017 al 18 marzo 2018 al palazzo dell’Ac-cademia delle Scienze di Torino. Ho avuto il piace-re di visitare questa interessante mostra, realizzatanell’ambito delle attività del Sistema Scienza Pie-monte, con un accompagnatore d’eccezione: PieroBianucci, giornalista e maestro di divulgazionescientifica in Italia, che ha curato la mostra insiemea Vincenzo Barone, fisico teorico.

Gli stessi Barone e Bianucci sono gli autori del li-bro, che ci propone con rigore e semplicità un viag-gio ideale dall’immensamente grande all’estrema-mente piccolo, attraverso lo spazio, il tempo e lamateria, alla scoperta delle meraviglie della fisicacontemporanea.

Nel corso del Novecento la nostra visione delmondo è stata rivoluzionata da due formidabili teo-rie fisiche, la relatività (ristretta e generale) e la mec-canica quantistica, che hanno ampliato i confini del-l’universo noto. Fino al Seicento, si conoscevasostanzialmente ciò cui la vista poteva accedere: da-gli oggetti più piccoli che l’occhio era in grado dipercepire (come, per esempio, un granulo di polli-ne) alle stelle fisse visibili in cielo, la cui distanza erastimata intorno ai 20.000 raggi terrestri (100 milionidi chilometri). Grazie all’invenzione e all’utilizzodel microscopio e del telescopio, la scala cosmica siè allungata in entrambe le direzioni e nell’arco di tresecoli ha guadagnato ben 31 ordini di grandezza ver-so il basso e 19 verso l’alto! Oggi, al fondo della sca-la cosmica, la dimensione minima che riusciamo aconcepire in linea teorica è la lunghezza di Planck,10-35 metri; in cima alla scala cosmica c’è l’orizzon-te cosmologico che è dell’ordine di 1026 metri.

Percorrendo i gradini della scala cosmica, tra pa-radossi e simmetrie, ipotesi, teorie e osservazioni, illibro L’infinita curiosità offre una panoramica sia suitemi più affascinanti e intriganti della fisica contem-poranea, dalle onde gravitazionali (rivelate diretta-mente per la prima volta nel settembre 2015) ai buchineri, dalla relatività ai quanti, dalle particelle ele-mentari ai nanosistemi, sia su alcuni dei protagonisti.

La narrazione è rigorosa ma allo stesso tempocoinvolgente, arricchita da preziose immagini deglistrumenti scientifici, dei documenti storici e dallefotografie dei protagonisti, e ci conduce fino allefrontiere delle attuali conoscenze. Potremo andareoltre? L’avventura della ricerca ovviamente conti-nua ed è raccontata nelle pagine di questo libro. Amuovere l’uomo è la sua infinità curiosità.

Tra i protagonisti della storia, gli autori si con-centrano su Tullio Regge (1931-2014), uno dei fisiciitaliani più creativi della seconda metà del Nove-cento, autore di importanti scoperte in molti campidella fisica. In Italia e nel mondo è famoso per i suoilavori nel campo della fisica teorica (i “Poli di Reg-ge” e il “Calcolo di Regge”, la prima versione quan-tizzata della relatività generale di Einstein). Regge ènoto anche per la sua intensa attività di divulgatore,l’impegno come parlamentare, la lotta contro lepseudoscienze e la difesa dei disabili. Regge ritene-va che il cammino verso l’immenso, il minuscolo eil profondo non avesse fine … proprio come la cu-riosità umana.

Il volume è ben strutturato in sei capitoli ed è ac-cessibile a chiunque, mosso dalla curiosità, vogliaconoscere le tante tematiche trattate e la figura po-liedrica di Tullio Regge. Completano il testo unaricca bibliografia e un utile indice dei nomi.

Andrea Simoncelli

Vincenzo Barone insegna fisica teorica all’università delPiemonte Orientale ed è socio dell’Accademia delleScienze di Torino. Fa parte del comitato scientifico diAsimmetrie, la rivista dell’Istituto Nazionale di Fisica Nu-cleare, collabora con quotidiani e periodici, ed è autoredi diversi libri di successo.Piero Bianucci è uno dei più noti giornalisti scientifici edivulgatori italiani, creatore del supplemento Tuttoscien-ze de La Stampa e autore di numerosi libri di divulgazio-ne scientifica. Per molti anni ha diretto il mensile di cul-tura astronomica le Stelle fondato da Margherita Hack eCorrado Lamberti.

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Le rivoluzioni dell’universoNoi umani tra corpi celesti e spazi cosmiciGiovanni F. BignamiGiunti Editore, 2017Copertina rigida, pp. 240, € 20,00isbn 9788809834583www.giunti.it

’ultimo libro di Giovanni Bignami, Nanni permolti, è sul mio tavolo per essere recensito sul

Giornale di Astronomia, 2018, 2 · https://doi.org/10.19272/201808802008 33

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Giornale di Astronomia. È e sarà veramente l’ultimoperché l’autore non è più tra noi. L’amico Nanni, ilcollega, l’autorevole personaggio, lo sportivo, loscienziato famoso, giornalista, noto divulgatore, si-curamente conosciuto a tutti i lettori di questo Gior-nale, è improvvisamente mancato il 24 maggio 2017.Gran parte dei successi che hanno caratterizzato imolteplici aspetti della sua intelligenza e che hanno contribuito alla sua fama sono già stati elencati daamici e autorevoli colleghi, i quali lo hanno affet-tuosamente ricordato su queste pagine (GdA vol.43, n. 4, dicembre 2017). Per quanto mi compete,quindi, cercherò di fare ciò che Nanni avrebbe desi-derato da me: una recensione del suo ultimo librocome se non fosse successo nulla.

Il volume è un pot-pourri di storie, riflessioni, pre-visioni concernenti le scienze dell’universo, le me-glio qualificate, secondo l’Autore, a stimolare la ri-voluzione, iniziata alcuni decenni fa, che contribuiràa salvare l’umanità; un’umanità che sta dando pro-va, più di qualsiasi altra causa, di essere la peggiornemica di se stessa. Prima di tutto, Nanni, il docen-te, non si limita ad elencare fatti e misure a suppor-to delle proprie tesi, ma spiega con chiarezza e sem-plicità la logica su cui basa le proprie convinzioni. Loscopo finale è destare la fiducia dei giovani in un fu-turo che, momentaneamente, soffre di depressione.

I temi presi in considerazione sono cinque. Uncapitolo iniziale analizza i “ferri del mestiere” del-l’astrofisica. I giganteschi passi in avanti fatti dalla fi-sica nell’ultimo secolo hanno permesso di accedereall’informazione proveniente dall’universo attraver-so l’intero spettro elettromagnetico. Giganteschi te-lescopi sono già operativi, altri in costruzione o inprogramma, sia per osservazioni da terra che dallospazio, con sempre maggior risoluzione e area, ca-paci di rivelare radiazioni di intensità progressiva-mente minore e rendere visibili oggetti sempre piùflebili e lontani.

Il primo tema dominante è la cosmologia osser-vativa, disciplina grazie alla quale sono stati stravol-ti secoli di teorie filosofiche. La conoscenza del Si-stema solare in cui ci troviamo è arricchita al puntoche l’astronomia classica ormai non consiste solonell’osservare, ma nel “visitare” gli oggetti celesti,con la promessa di “visite guidate” grazie alla pre-senza di astronauti, inizialmente almeno su Marte.Non è necessario sottolineare questa rivoluzione, sesi pensa che Galileo rischiò il rogo “semplicemente”per aver sostenuto che la Terra orbita intorno al So-le e non viceversa. Il povero Giordano Bruno inve-ce non riuscì a scampare il rogo per aver sostenuto,senza cenno di pentimento, che esistevano altri pia-neti nel firmamento gravitanti intorno a stelle lon-tane, probabilmente abitati da altri esseri viventi.

Oggi, la ricerca di pianeti extrasolari ha superatoi 3000 oggetti ed è finanziata da governi di molti pae-si. Questo numero dovrebbe essere sufficiente aconvincere molti monsignori. Se tali pianeti sianoabitati o meno, è una ricerca cui molti ricercatoristanno lavorando. Come conseguenza delle scoper-

te dell’esplorazione planetaria extrasolare è natauna nuova disciplina: l’astrobiologia. Sull’argomen-to l’Autore sconfina nella biologia e nell’annoso pro-blema dell’origine della vita. È interessante leggerequali fossero le opinioni in merito di un astrofisicodelle alte energie, famoso per la scoperta della fa-mosa stella di neutroni Geminga. L’ultimo argo-mento affrontato, per alcuni lettori forse il più intri-gante, ma che non desta molto interesse per ilsottoscritto, si basa su una ipotesi “non fisica”, ovve-ro non verificabile in quanto nessun essere viventepotrà verificarlo perché la vita, si prevede, sarà estin-ta da miliardi di anni. Questo evento potremmo for-se definirlo l’Apocalisse Cosmica. Moderne teorie,difatti, tendono a immaginare che l’universo, comefase finale, collasserà in una miriade di buchi neri.

In quasi ogni racconto Bignami inserisce aned-doti di vita vissuta, perlopiù di natura autobiografi-ca. Quasi istantanee di eventi che testimoniano laveridicità dei fatti, senza pretese di completezza nédi generalizzazione storica. Talvolta la testimonian-za non riguarda Bignami nel ruolo di scienziato, maquale supervisore tecnico di una missione spazialeo manager politico o di presidente più o meno di-plomatico in una agenzia nazionale (asi, cnes) oistituto di ricerca (inaf, cnrs), o a livello superiorein istituzioni internazionali (esa, cospar). Questiinserti storici spesso sfociano nell’aneddotica e quiscatta il divulgatore. Quando affronta temi com-plessi e necessariamente si inoltra sul fragile sentie-ro della previsione del futuro, Nanni alleggerisce latensione rivolgendosi al lettore come se stesse leg-gendo un copione a un pubblico presente, inseren-do dotte citazioni ma anche proverbi nell’amatodialetto milanese.

Nel 1900 Lord Kelvin, in un discorso tenuto allaAssociation for the Advancement of Science annunciò lafine della fisica. A suo giudizio, le leggi fondamen-tali erano state scoperte e rimanevano solo dettagli.Fu clamorosamente smentito dalle scoperte nei de-cenni seguenti che videro sorgere fondamentali mo-difiche della termodinamica, la nascita della mecca-nica quantistica e della relatività, per citarne alcunetra le più famose. Derivazioni logiche dalle nuoveteorie sfociarono in ramificazioni tra cui la fisica del-lo stato solido, la fisica delle particelle, la fisica deiplasmi, l’astrofisica. Bignami fonda le sue previsionisugli ultimi risultati ottenuti dall’inizio del ventesi-mo secolo: l’evoluzione stellare, Supernovae, stelledi neutroni e buchi neri, espansione dell’universo eradiazione di fondo cosmico. Associandosi a una dif-fusa tendenza, correla arditamente le conoscenzedella fisica subatomica con il Big Bang che possonoessere inquadrate in un modello di unificazione, an-che se non ancora dato per scontato, ma forse pros-simamente dimostrabile. La cosa che, a mio parere,manca è la definizione dei limiti e la corrispondenteattuale rilevanza delle aspettative istituzionali.

Il libro spinge ad immaginare un futuro con gran-de visione ed entusiasmo, anche correndo il rischiodi sconfinare nella fantascienza, mentre il depri-

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mente realismo attuale vede le risorse allontanarsidalla scienza per essere indirizzate verso obiettivi di-versi. Ma si sa, come disse Oscar Wilde «L’uomo haun’insaziabile curiosità di conoscere ogni cosa, ec-cetto quelle che meritano di essere conosciute». Inconclusione, se mi è concesso un azzardato parago-ne, Nanni vede il futuro dell’umanità come una nuo-va conquista, un “Far West” cosmico dove la sfidaadesso consiste nel valutare i limiti fra frontiere geo-grafiche e frontiere concettuali. La storica avventu-ra americana dimostrò che le frontiere sono sempreprecarie e, col tempo, si spostano. Possono essereluoghi selvaggi (in questo caso l’esplorazione uma-na dei pianeti) e difficili da raggiungere non solo dal-l’uomo ma anche a causa dei limiti intrinseci nellacrescita dei telescopi. Mentre pionieri avventurosi,ma certamente anche disperati, avanzavano versol’Ovest alla ricerca di nuove risorse, nella fattispeciel’oro, i ricercatori moderni esplorano le loro fron-tiere nella speranza di trovare più generose sovven-zioni da casa loro, contando che le nuove scopertefocalizzino le risorse a disposizione dei politici sulleloro ricerche. La crescita incoraggia a supporreeventuali sfruttamenti delle risorse acquisite su altripianeti e nuove sorgenti di energia, quale l’antima-teria. Questo può succedere, ma solo per alcuni ri-sultati che possono sviluppare prodotti inseribili nelmercato in vista di lauti guadagni o per arricchire ilpotenziale bellico dei governi. Questo parametro vatenuto in conto e realisticamente valutato dagli en-tusiasti desiderosi di superare le frontiere della co-noscenza del cosmo. Descrivendo le grandi aspetta-tive nelle rivoluzioni dell’universo, Bignami nonsembra considerare questo un problema reale.

È dunque un libro che stimolerà interrogativi, en-tusiasmo e sogni. Forse servirà anche a tranquilliz-zare persone che ritengono di essere state private delloro futuro. Proprio guardando al futuro, mi auguroche principalmente il libro delle rivoluzioni cosmi-che dia spunti ai lettori per riflettere sul presente.

Giorgio G. C. Palumbo

Giovanni F. Bignami (1944-2017) è stato professore ordi-nario presso l’Istituto Universitario di Studi Superiori diPavia, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica(inaf) e del Commettee on Space Research (cospar).Scopritore delle prime sorgenti celesti gamma, ha rice-vuto il Bruno Rossi Prize dell’American Astronomical Socie-ty nel 1993, la Massey Medal della Royal Astronomical So-ciety nel 2002 ed è stato insignito della Legion d’Honneurfrancese nel 2006. Ha ricoperto diversi incarichi di re-sponsabilità in progetti spaziali e in enti di ricerca italia-ni e stranieri. In italiano ha pubblicato diversi libri di di-vulgazione, fra i quali: La storia nello spazio (Mursia,2001), L’esplorazione dello spazio (Il Mulino, 2006), I mar-ziani siamo noi (Zanichelli, 2010), Il Futuro spiegato ai ra-gazzi (con Cristina Bellon: Mondadori, 2012), Il misterodelle sette sfere. Cosa resta da esplorare: dalla depressione diAfar alle stelle più vicine (Mondadori, 2013).

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LuceUna storia da Pitagora a oggiAndrea FrovaCarocci editore (Sfere), 2017Copertina flessibile, pp. 306, € 29,00isbn 9788843088010www.carocci.it

ndrea Frova, fisico e autore di vari libri di divulgazione, affronta in questo suo nuovo

volume la tematica della luce, della quale offre unasintesi storica che include i vari aspetti teorici, spe-rimentali, tecnologici e anche artistici. In realtà, il li-bro costituisce quasi un’enciclopedia della luce. Ineffetti, i suoi diciassette capitoli, pur seguendo ge-neralmente il percorso storico, possono essere lettiin ordine sparso, secondo i propri interessi, dato cheogni capitolo si focalizza su un argomento ben defi-nito. Si parte da un esame delle teorie ed esperi-menti dell’antichità, e passando per Leonardo, Keplero, Cartesio, Hooke e Huygens si arriva alla rivoluzione di Newton. Seguono i contributi suc-cessivi, con la scoperta della diffrazione, dell’inter-ferenza e della polarizzazione, la misura della velo-cità della luce, la visione a colori e le illusioniottiche, fino al campo elettromagnetico e alla sinte-si di Maxwell. Viene poi l’era dei quanti, mentre duecapitoli di carattere tecnologico trattano delle fontidi illuminazione attraverso i tempi e delle applica-zioni odierne (fibre ottiche, laser, cd-rom …). Il ca-pitolo 16 è incentrato sul ruolo della luce nell’esplo-razione dell’universo e sulla cosmologia, mentrel’ultimo capitolo riguarda la pittura e si chiude conun paragrafo tecnico sulle tecniche di fluorescenza.Questo elenco dà un’idea della ricchezza del libro edella sua interdisciplinarietà. Non vi è dubbio cheanche i lettori e le lettrici più esperti potranno ap-prendere qualcosa di nuovo su questi argomenti.

Nonostante l’approccio storico, l’autore nonmanca di commentare certe vicende e di offrire lapropria visione delle cose, in maniera talvolta iro-nica o polemica, il che non è male perché contri-buisce a vivacizzare la narrazione. Naturalmente, si potrà non concordare con alcune delle sue osserva-zioni; ad esempio, le sue severe critiche alla Chiesasono legittime, ma appaiono talvolta eccessive. Ap-pare poi discutibile, in quello che è un approcciostorico, qualche giudizio a posteriori sugli errori delpassato: infatti, ciò che a noi oggi può apparire as-surdo e antiscientifico, nel quadro delle conoscenzedi un’altra epoca poteva, al contrario, apparire lo-gico e scientifico, e viceversa. Questo vale in parti-colare laddove l’autore scrive che «la trasmissibilitàdei segnali luminosi attraverso il vuoto fu un pro-blema che assillò i fisici per lungo tempo e li spinsea fare assurde congetture, anche remote dalla scien-za, come si vedrà tra breve quando entrerà in gio-co il misterioso etere di aristotelica provenienza».Ma in passato l’osservazione diretta mostrava chele onde sono oscillazioni di un mezzo materiale: sela luce era un’onda che si propagava nello spazio, ri-

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sultava naturale postulare l’esistenza di un mezzonel vuoto e sarebbe anzi parso assurdo immagina-re un’onda laddove non c’era nulla che potesseoscillare.

Inoltre, in un’opera di tale portata è comprensi-bile che l’autore non possa avere competenze ap-profondite su ogni argomento, pertanto si ritrovaqua e là qualche inesattezza. Da questo punto di vi-sta, il capitolo 16, quello sulla Luce nell’esplorazionedell’universo, è secondo me il meno riuscito. Vi èimprecisione in alcune note storiche (ad esempio siattribuisce anche ad Anassimandro l’opinione diTalete che la Terra fosse posta sull’acqua) e in qual-che affermazione di carattere scientifico (laddove siparla di disaccordo fra l’accelerazione dell’universoosservata e le previsioni della relatività generale, ilche non è vero se si include la costante cosmologi-ca; la descrizione del paradosso di Olbers non èchiara e il testo sembra suggerire che la sua solu-zione sia data dall’espansione, che dà invece uncontributo marginale rispetto all’orizzonte creatodall’età finita dell’universo e dalla velocità finitadella luce). Si tratta di dettagli che in una eventualeseconda edizione del libro potrebbero essere facil-mente corretti.

Tali osservazioni rimangono comunque secon-darie rispetto alle qualità del libro. Il volume inclu-de numerose figure che permettono di visualizzaree comprendere i fenomeni descritti nel testo, ed èarricchito nella sua parte centrale da 33 tavole a co-lori. In appendice si trova una lista di premi Nobelper scoperte legate alla luce e una bibliografia ge-nerale (manca però un indice analitico). Pertantochiunque sia interessato alla natura della luce e allastoria della scienza troverà in questo libro una fon-te preziosa di informazioni e una guida per even-tuali approfondimenti.

Alberto Cappi

Andrea Frova è stato professore ordinario di Fisica Ge-nerale e docente di Acustica Musicale presso la Sapien-za - Università di Roma, dal 1967. Ha svolto ricerca nelsettore della fisica della materia e ha scritto diversi libri dinarrativa e di divulgazione scientifica, fra i quali Luce colore visione. Perché si vede ciò che si vede (rcs-bur, 2000),La passione di conoscere (rcs-bur, 2012) e Newton & Co. Geni bastardi (Carocci, 2015; Premio Città di Como 2016).

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La scienza e l’EuropaDal Seicento all’OttocentoPietro GrecoL’asino d’Oro (Le gerle), 2016Copertina flessibile, pp. 538, € 24,00isbn 9788864433868www.lasinodoroedizioni.it

re secoli in cui avvengono eventi straordinari,non solo nella storia del mondo ma, in parti-

colare, nel mondo della scienza. Pietro Greco af-fronta la sfida nel terzo volume de La scienza e L’Eu-ropa con particolare coraggio e non risparmiandospecifici aspetti di ciò che, contemporaneamente,avviene al di fuori dell’Europa. Nelle più di 500 pa-gine, con ormai abituale lucidità, documenta unevento che non poteva essere ignorato. L’Europacambia, ma i mutamenti non sono causati, comenei precedenti secoli, come nelle precedenti epo-che, solo da rotture di equilibri politici, guerre e di-verse formulazioni di dottrine filosofiche, politichee religiose; adesso gli “europei” devono tener con-to dell’emergere di un nuovo continente: l’Ameri-ca del Nord e del Sud.

Il cambiamento avviene in modo disuniforme inpaesi diversi, a seconda dei coinvolgimenti nel-l’esplorazione e nella colonizzazione. I grandi im-peri, vedi Spagna, Germania etc. sono penalizzatidalle ingenti spese militari obbligate dal manteni-mento di grandi eserciti che non lasciano moltomargine per investimenti di altra natura. Semplifi-cando, si separano i paesi del Nord europeo da quel-li del Mediterraneo che nel nuovo continente si rag-grupperanno, i primi concentrandosi sulla partenord del continente, i secondi, nella fattispecie Spa-gna e Portogallo, nella parte sud, in seguito identifi-cati come Latinos.

Nel mondo scientifico, che man mano si sta spe-cializzando in diverse discipline, avviene una vera epropria “rivoluzione”. Gli artefici delle scoperte, de-gli esperimenti, delle teorie non si identificano piùcon la scuola e, quindi, il paese di origine, ma con ladisciplina cui appartengono: gli astronomi, i fisici, imatematici. Nascono “nuove scienze” come la chi-mica, che definitivamente sancisce il tramonto del-l’alchimia. Ancora più rilevante l’affermarsi delle“scienze della vita”, ovvero la biologia e la medici-na, che compiono epocali progressi, e via di seguito.

La concezione di scienza subisce un mutamentoimpensabile nei precedenti secoli. Con felice slo-gan, Greco lo definisce il passaggio “dall’Autoritàalla Prova”. Conseguenza di tale rivoluzione l’arti-gianato, che finora era stato disgiunto dal processoscientifico, esplode in tutte le direzioni, si organiz-za, si specializza. Ora si chiama “tecnologia”. Ed èqui che l’autore sottolinea l’importanza della colo-nizzazione dell’America del Nord; il legame tra co-lonizzazione e crescita dell’industria che, pronta-mente, fa crescere l’interesse economico. Basta convelieri che esplorano le isole degli oceani in cerca dipiantagioni di spezie a basso costo, arricchendo imercanti che portano pepe, noce moscata, cannellae chiodi di garofano sui ricchi deschi dei regnantidei vari stati, ma vaporiere che trasportano macchi-ne attraverso i mari a estesi mercati di coloni e in-dustriali.

La filosofia di Kant “dei lumi” perde via via dipopolarità. Si afferma il “positivismo” ed emergeuna disciplina mai pensata prima, lo studio del rap-porto “scienza-società”. L’Autore, che naturalmen-te tiene sempre un vigile sguardo sull’Italia, traccia

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interessanti considerazioni sul posto occupato inquesti tre secoli dal nostro paese nella storia delmondo. Quello che, ad un primo esame può sem-brare un limite, la frammentazione, l’individuali-smo, il campanilismo, giova all’Italia, ancora unadefinizione puramente geografica, ma politica-mente inesistente come nazione, a rimanere fuoridai guai. Ad esempio la guerra dei trent’anni che haletteralmente smembrato la Germania. Particolareattenzione è data alla fisica e alla astronomia, domi-nante per lo straordinario ruolo avuto da GalileoGalilei con la pubblicazione del Sidereus Nuncius. Iprogressi apportati alla disciplina dal britannicoNewton trasferiscono autorità in Gran Bretagna.Per motivi di compattezza e per la dovizia di studistorici già esistenti su questo tema, Greco tracciaun percorso lucido, ma conciso, delle situazioni edegli scienziati che portano notevoli contributi in-dividuali sia alla fisica che all’astronomia, fino allamoderna astrofisica.

Molta attenzione è data sia alla chimica, in parti-colare al contributo di Lavoisier e al ruolo che haavuto sia nella sua fondazione, sia alla geofisica, ov-vero alla studio del nostro pianeta, dal momentoche le esplorazioni della Terra stavano raggiungen-do un ottimo livello di completezza.

Un’interessante presentazione dell’autore riguar-da l’evoluzione della vita. Punto critico perché, piùda vicino di ogni altro, tocca le credenze religiose, ilibri sacri, la teologia e le teorie sulla creazione, cuinon solo le religioni sono sensibili, ma anche ingran parte le persone normali le quali, in un modoo in un altro, sono state esposte sin dall’infanzia acredenze e valori della società in cui vivono e fannoparte. Le teorie evidenziate da Greco sono quella diLamarck, secondo cui le specie viventi si evolvono“verticalmente” al passare del tempo, e quella diDarwin, secondo cui le specie viventi sulla Terra sievolvono “orizzontalmente” nello spazio.

Come ho avuto occasione di scrivere a propositodei primi due volumi di questa imponente opera,Pietro Greco è conciso, esauriente, preciso, infor-mativo. Espone gli eventi con chiarezza e le conclu-sioni con lucidità. In particolare, concisione, chia-rezza e completezza sono state rispettate in questovoluminoso tomo, a mio parere il più difficile datrattare dei tre. Non esito ad espormi a critiche perripetizioni di giudizi espressi nei commenti ai pre-cedenti due volumi, ma sinceramente penso chequesta storia dovrebbe essere letta da ogni personache si occupa di scienza e tecnica e, forse anche dipiù, da coloro che si occupano di altre cose. Infatti,al di là delle guerre e delle filosofie che hanno in-dubbiamente influenzato l’evoluzione della societàumana, non si dovrebbe perdere l’occasione di ap-prendere qual sia stata l’origine e le tappe del lavo-ro condotto da pochi esseri umani, che ha però pro-dotto le conoscenze e gli strumenti tramite i qualinoi oggi siamo in grado di farci un quadro non com-pleto, ma sufficientemente chiaro, del mondo in cuiviviamo.

Dopo la lettura di ormai tre quarti dell’opera suLa scienza in Europa di Pietro Greco, non solo la consiglio ad un vasto pubblico, ma ritengo che do-vrebbe essere consultata in svariati corsi universita-ri, in particolare per quelli che trattano la storia dell’Europa.

Giorgio G. C. Palumbo

Pietro Greco, laureato in chimica, è giornalista scientifi-co, studioso di comunicazione della scienza e scrittore diopere scientifiche divulgative. Conduttore storico di Ra-dio3 Scienza, dal 1987 al 2014 è stato editorialista scientifi-co e ambientale del quotidiano l’Unità. È socio fondato-re della Fondazione idis-Città della Scienza di Napoli.

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L’origine dell’universoPietro GrecoEditori Riuniti University Press, 2017Copertina flessibile, pp. 144, € 12,00isbn 978-8864731896www.editoririuniti.it

ietro Greco è un giornalista scientifico moltoaccreditato e di lunga esperienza, autore di di-

versi volumi divulgativi. Qui si cimenta in un argo-mento di gran voga, la cosmologia, il cui ruolo è di-venuto pervasivo nella scienza professionale epresso il grande pubblico, grazie agli sviluppi del-l’ultimo ventennio. Di conseguenza, i libri di co-smologia per il grande pubblico abbondano ed al-cuni, forse per la prima volta nella storia, sonodiventati best-seller mondiali (si pensi ai libri di Ste-phen Hawking o di Brian Greene). Anche sul fron-te italiano l’offerta è abbondante e di elevata quali-tà: il vincitore del premio nazionale di divulgazioneper il 2017 nella categoria “Scienze matematiche, fi-siche e naturali” è stato il libro L’universo oscuro -Viaggio astronomico tra i misteri del cosmo, dell’astrofi-sico bolognese Andrea Cimatti (recensito nelloscorso numero del GdA). Non è facile trovare unospazio con un’offerta così vasta.

Greco tenta un approccio sequenziale, descri-vendo la storia dell’universo come se fosse un film.Lo stile, almeno nella prima parte, è asciutto e at-tento all’essenziale, senza indulgere in notazionifantasiose tipiche del marketing scientifico che pia-ga tanta divulgazione (per fare un esempio espres-sioni esiziali come “la particella di Dio”, riferita al“bosone di Higgs”). La base “filosofica” dell’operadi Greco è che l’universo è “razionale”, cioè spie-gabile e descrivibile sulla base di leggi conoscibili.I fenomeni fisici cruciali vengono introdotti di vol-ta in volta, cercando di chiarire il loro ruolo neipassaggi più importanti della storia evolutiva delTutto. Il testo è praticamente privo di illustrazionima contiene diverse utili tabelle. Il racconto è lar-gamente fondato sulle solide basi teoriche che era-no già valide trent’anni fa, la fonte di gran lunga

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più citata è Origine ed evoluzione dell’universo di Li-vio Gratton, del 1992.

Io ho molto apprezzato questa linea di condu-zione dell’opera, tuttavia, inevitabilmente, essa necostituisce un limite molto chiaro. La copertura de-gli sviluppi dell’ultimo ventennio che hanno rifon-dato la nostra idea del Cosmo è piuttosto limitata ein qualche caso appare vagamente posticcia. L’ener-gia oscura entra in campo brevemente, solo apag.137, la missione Planck è menzionata una solavolta, wmap mai, ma sono i loro risultati sul fondoa microonde, più ancora delle Supernovae, ad avercambiato il paradigma della cosmologia moderna.

Inoltre, lungo il percorso del film, lo stile divie-ne meno asciutto ed entrano in campo argomentila cui trattazione è meno limpida. Emergono unpo’ di confusione e imprecisione (ed esempio neicapitoli sulla formazione delle strutture e sull’evo-luzione delle stelle). Riporto un solo esempio perdare un’idea del tipo di problema riscontrato (ilpeccato è forse veniale ma era anche facilmenteevitabile).

A pagina 116, a conclusione di una sezione sullaCold Dark Matter, Greco scrive «Inutile dire che sonostate elaborate svariate mond (Modified NewtonianDynamics), ovvero “teorie alternative” a quelle dellagravità di Newton (e di Einstein) che risolvono ilproblema in questo modo. Peccato, però, che non cisia uno straccio di prova empirica che le corrobori».Ora, è certamente vero che molti modelli di gravi-tà modificata sono stati proposti, nel tentativo diestromettere dalla scena un attore scomodo e im-barazzante come la materia oscura, e che molti diquesti non provvedono predizioni soddisfacenti.Tuttavia, mond è solo una di queste ed è in ottimasalute, benché sia sulla scena scientifica da quasiquarant’anni (proposta nel 1983 da Mordehai Mil-grom), perché descrive in modo eccellente un am-pio fronte di dati osservativi su scala galattica. Il pro-blema con mond è l’opposto di quello presentato daGreco, gli scienziati faticano a trovarne una confu-tazione definitiva.

Credo che avrebbe giovato al libro il limitarnel’ambito, rinunciare all’ambizione di raccontaretroppi dettagli di un film troppo complesso. Restauna ragionevole opera introduttiva che delinea loschema dei fatti in maniera accessibile e, soprattut-to, assai lontano dal modo insopportabile nel qualela materia viene sovente proposta nelle trasmissionitelevisive.

Michele Bellazzini

Pietro Greco, laureato in chimica, è giornalista scientifi-co, studioso di comunicazione della scienza e scrittore diopere scientifiche divulgative. Conduttore storico di Ra-dio3 Scienza, dal 1987 al 2014 è stato editorialista scientifi-co e ambientale del quotidiano l’Unità. È socio fondato-re della Fondazione idis-Città della Scienza di Napoli.

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EnduranceUn anno nello spazio, una vita di scoperteScott Kelly, Margaret Lazarus DeanTraduzione di S. Malfatti, D. FerrariMondadori (Soggettive), 2017Copertina flessibile, pp. 470, € 22,00isbn 9788804681779www.librimondadori.it

cott Kelly e suo fratello Mark detengono ilsingolare primato di essere la prima coppia di ge-

melli omozigoti selezionata dalla nasa per il ruolodi astronauti, entrambi come piloti dello SpaceShuttle nel Gruppo 16 del 1996. Per aggiungere cu-riosità a curiosità, nello stesso Gruppo era presenteun altro Kelly, James, anch’egli selezionato come pi-lota e con nessuna relazione di parentela con gli al-tri due. Da quando la nasa ha iniziato ad arruolareastronauti, nel 1959, i tre sono, ad oggi, i suoi primie unici Kelly. Scott e Mark vantano un curriculumprofessionale di grande rispetto: entrambi piloti dijet e in seguito piloti collaudatori della Marina usaprima, astronauti poi, con all’attivo quattro missio-ni ciascuno (Scott due voli Shuttle e due Soyuz conlunghe permanenze sulla iss, la Stazione SpazialeInternazionale, Mark quattro voli Shuttle). Entram-bi hanno recentemente lasciato il servizio: Scott si èritirato dalla Marina nel 2012 e dalla nasa nel 2016,Mark nel 2011 da nasa e usn.

Mark visse un particolare, e certamente indesi-derato, momento di notorietà nel gennaio 2011quando la moglie Gabrielle Giffords, membro del-la Camera dei Rappresentanti usa, rimase grave-mente ferita in un attentato che causò anche seimorti e altri tredici feriti (se ne parla estesamentenel libro). Scott invece ha raggiunto gli onori dellecronache a seguito della sua partecipazione a unamissione di lunga durata a bordo della iss, assiemeal collega russo Mikhail Korniyenko, tra il 27 mar-zo 2015 e il 2 marzo 2016, particolarmente concepi-ta per studiare gli effetti sull’organismo umano diuna lunga permanenza in orbita, anche in vista difuture missioni spaziali con equipaggio, dirette ver-so Marte.

Nel corso di quest’ultima missione, Scott Kellyha avuto modo, per quasi un anno, di interagire abordo della iss con colleghi russi, americani, giap-ponesi ed europei (inclusa la nostra Samantha Cri-stoforetti), aggiungendo nuove significative espe-rienze professionali e di vita a quelle già accumulatenel corso delle sue precedenti imprese spaziali.

Ben coadiuvato dall’esperta coautrice MargaretLazarus Dean e, per questa edizione italiana, dallaprecisa e scorrevole traduzione di Dario Ferrari eSarah Malfatti, Kelly è molto bravo nel descrivereper quasi cinquecento pagine, senza mai annoiare,i risvolti più interessanti della sua missione annua-le in compagnia del collega russo, a cominciare dal-le ragioni che lo portarono a farsi avanti quando lanasa era alla ricerca di un astronauta disposto atrascorrere un anno nello spazio per consentire al-

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la scienza, in primis alla medicina aerospaziale, diaccumulare nuove, importanti conoscenze (nel suocaso doppiamente significative, perché gli scienzia-ti possono confrontare i suoi livelli di degenerazio-ne fisici e genetici in rapporto a quelli di suo fra-tello Mark, rimasto nel frattempo sulla Terra).Avendo dovuto soggiornare a lungo in Russia, co-me ufficiale di collegamento della nasa e in prepa-razione a due lanci verso la iss a bordo di veicoliSoyuz, Kelly è perfettamente in grado di racconta-re passo passo i suoi lunghi e complessi iter adde-strativi, e lo fa impreziosendo la narrazione con gu-stosi dettagli e aneddoti, centrati soprattutto sulconfronto tra due mondi e due concezioni di vitacosì diverse come quella russa e quella americana.Nel libro c’è tutta la sua missione annuale (e anchemolto di più, come si vedrà tra poco), con ampi ap-profondimenti sulle sue diverse fasi: la preparazio-ne, il lancio, la permanenza in orbita e il successi-vo rientro a terra.

Il titolo Endurance richiama, non casualmente, illibro Endurance. L’incredibile viaggio di Shackleton alPolo Sud, di Alfred Lansing, che descrive la disastro-sa epopea polare dell’equipaggio della nave Endu-rance, rimasto bloccato sui ghiacci per mesi primadi essere finalmente tratto in salvo. Kelly aveva por-tato questo libro con sé nello spazio, nella sua ulti-ma e più lunga missione, così come nelle preceden-ti, ed era solito leggerne dei passi quando eratentato di autocommiserarsi per le difficoltà e pri-vazioni che una lunga permanenza sulla iss com-portava. Ricordare come gli uomini di Shackletonfossero arrivati a mangiarsi i cani della spedizione,dopo l’affondamento della nave avvenuto nel 1915, eper mesi avessero vissuto nell’incertezza su qualesarebbe stata la loro sorte, costituiva infatti per luiun ottimo antidoto per ridimensionare problemi,insicurezze e difficoltà che pure si presentavano incontinuazione durante la sua permanenza in orbita.

Come accennato più sopra, Kelly ha condiviso –per circa due mesi e mezzo ‒ gli ambienti della isscon, tra gli altri, Samantha Cristoforetti, e il ritrattoche egli ne dipinge è estremamente positivo. La no-stra astronauta viene apprezzata per il carattereaperto e solare e l’umanità, ma anche e soprattuttoper la preparazione scientifica e professionale: aquesto proposito rimando all’emozionante descri-zione, riportata nel cap. v, della cattura della capsu-la di rifornimento Dragon di SpaceX effettuata congrande precisione e lucidità da Samantha, utilizzan-do il braccio meccanico della iss e con l’assistenzadei due statunitensi Virts e Kelly (in altra parte dellibro l’Autore ha modo di ricordare, con uguale ap-prezzamento, anche Paolo Nespoli, incontrato sul-la iss durante la sua precedente missione di lungadurata). Un altro aspetto che mi ha particolarmen-te colpito è il sentimento di fratellanza che acco-muna gli esploratori spaziali, indipendentementedalla provenienza e dal vissuto personale. Un senti-mento di rispetto e ammirazione che Kelly sottoli-nea più volte, con particolare riferimento ai colleghi

russi con cui si è trovato a interagire e che, trattan-dosi come lui di piloti di jet da combattimento, se ilmondo avesse ad un certo punto preso una piega di-versa, avrebbe potuto ritrovarsi non già come colle-ghi e amici, ma come avversari da abbattere.

Mi sembra anche molto significativa la consi-stente attenzione dedicata a questioni più pretta-mente personali e familiari, che in una missione del-la durata di quasi un anno vengono inevitabilmentead assumere una valenza particolare. E l’Autorenon ha ritrosie o falsi pudori nel raccontare vicendeanche sofferte e spinose del proprio trascorso fami-liare, come pure ad avventurarsi in questioni intimecome il proprio rapporto (o meglio, non-rapporto)con la religione, le non sempre facili relazioni con lefiglie Samantha e Charlotte, il divorzio dalla moglieLeslie, il nuovo rapporto sentimentale instauratocon l’attuale compagna Amiko e il tumore alla pro-stata (con relativo intervento chirurgico) che ha col-pito contemporaneamente, a poco più di qua-rant’anni di età, entrambi i gemelli Kelly senzaperaltro interromperne la carriera di astronauti.

Questo libro non è, infatti, soltanto il racconto diuna pur esaltante missione spaziale, che basterebbeda solo a riempirne le pagine. È anche una comple-ta autobiografia dell’Autore, che racconta la propriastoria personale – e quella della propria famiglia –alternandone i capitoli con quelli centrati sulla mis-sione annuale a bordo della iss.

Una tecnica narrativa vincente, che permette ditenere sempre viva l’attenzione del lettore. Perché,se da un lato è scontato l’interesse suscitato dallanarrazione di fatti e fatterelli – spesso divertenti al li-mite del surreale ‒ accaduti a bordo della iss, è an-che appassionante il dipanarsi del percorso di vitaprecedente dell’Autore, adolescente non propriomodello e negato per gli studi, folgorato in un mo-mento decisivo della propria esistenza dalla letturaquasi casuale di un libro, il fondamentale The RightStuff di Tom Wolfe, che narra la storia dei primiastronauti americani. Poi la consacrazione, conl’abilitazione come pilota di jet della Marina e, fi-nalmente, il coronamento di un sogno: quello di di-ventare astronauta.

Anche in queste pagine, non ancora o non deltutto direttamente legate allo spazio, c’è molto dascoprire e da emozionarsi: non può essere altri-menti quando si apprende come nascono i futuri pi-loti di una delle aviazioni militari più efficienti delmondo, o si assiste in presa diretta a un adrenalini-co appontaggio notturno su una portaerei, in con-dizioni meteo avverse, da parte di un F-14 Tomcatpilotato dall’Autore. I capitoli iv, vi e viii sonoesemplari in questo senso. Ma sono naturalmente leparti legate all’attività astronautica ‒ con la descri-zione particolareggiata di tutte le missioni spazialicompiute da Kelly ‒ ad avere una certa preminenzaed è naturale che sia così. Interessantissimo e illu-minante, per esempio, è il cap. xi, con la presenta-zione della domanda per entrare nel corpo astro-nauti della nasa, i test e il relativo insidioso

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colloquio con la commissione di valutazione. E an-che il cap. xiv, con la toccante disamina dell’inci-dente dello Shuttle Columbia, in cui i fratelli Kellysi trovarono a perdere in un sol colpo – tra i settemembri dell’equipaggio periti nel disastro ‒ trecompagni della loro stessa classe di astronauti, è diquelli che non si dimenticano facilmente.

Non voglio abusare oltre della pazienza di chi mista leggendo, anche se tanto ci sarebbe ancora da di-re su questo libro, che davvero mi sento di definireottimo sotto tutti i punti di vista, per il suo coniu-gare in maniera sontuosa la descrizione delle millesfaccettature di un lavoro (a dir poco) stimolante,come quello del pilota e dell’esploratore spaziale,con l’umanità e la determinazione di un uomo cheha fortemente voluto diventare quello che volevaessere, affrontandone consapevolmente rischi e sa-crifici in un percorso personale e professionale dav-vero rimarchevole. Credo ci sia sempre bisogno diesempi come questo.

Marco Orlandi

Scott Kelly è un astronauta della nasa. È stato pilota aeronautico della Marina, pilota collaudatore e ha compiuto quattro viaggi nello spazio: è stato a capo del-la missione della navetta spaziale Endeavour nel 2007 ed èstato due volte comandante a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.Margaret Lazarus Dean è professoressa associata pres-so l’Università del Tennessee a Knoxville. È autrice di unromanzo (The time it takes to fall, Simon & Schuster, 2007)e di un saggio che documenta l’ultimo anno dello SpaceShuttle (Leaving Orbit: Notes from the Last Days of Ameri-can Spaceflight, Graywolf Press, 2015).

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L’astrologia convinta di falso col mezzo di nuoveesperienze, e Ragioni Fisico-Astronomiche, ò siala caccia del FrugnuoloGeminiano MontanariA cura di V. Zanini, A. SattaSaggi introduttivi di F. Bònoli e V. ZaniniCooperativa Libraria Editrice Università di Padova(cleup), 2017Ristampa anastatica in 500 esemplari dell’originale(Nicolini, Venezia, 1685), pp. 210Per informazioni: inaf-Osservatorio Astronomicodi Padovaisbn 9788867878192www.cleup.it

l Frugnuolo, secondo il Vocabolario della Crusca(v edizione) è «una sorta di grande lanterna a ri-

verbero, adoperata in una specie di caccia o di pescanotturna, e che messa dinanzi agli occhi degli uc-celli o de’ pesci, gli abbarbaglia col suo lume». Conun’ardita metafora, l’astronomo modenese Gemi-niamo Montanari (1633-1687) paragonava questi ani-mali imbambolati dalla lampada ai seguaci del-

l’astrologia che, attoniti di fronte al lume di tutte leargomentazioni contro la loro disciplina, non rie-scono tuttavia ad abbandonarla.

Astronomo, Montanari, ma non solo. Dopo unalaurea in Diritto civile, venne subito irretito dallescienze matematiche, fisiche e astronomiche. Suc-cessore di Giovanni Domenico Cassini alla cattedradi Matematica dell’Università di Bologna dal 1669,si fece apprezzare per la sua poliedrica attività di ri-cerca, che spaziò dall’astronomia, all’idraulica, al-l’economia, alla metallurgia, con geniali intuizioniche precorsero i tempi. Passato alla cattedra diAstronomia e Meteore dell’Università di Padovanel 1678, mise tutte queste competenze al serviziodella Repubblica di Venezia. Non è da stupirsi,quindi, che il fondatore dell’Osservatorio astrono-mico di Padova, Giuseppe Toaldo (1719-1797), abbiafatto raffigurare Montanari fra i “grandi dell’astro-nomia” nella torre della Specola. E forse apparte-neva a Toaldo l’esemplare de L’astrologia convinta difalso, passato poi per le mani di un altro decano del-l’astronomia padovana, Giovanni Santini (1787-1877), e riproposto in ristampa anastatica in occa-sione della ricorrenza dei 250 anni della Specola. Laristampa è accompagnata da due pregevoli saggiintroduttivi e da un inedito testo scritto dal Mon-tanari stesso, probabilmente pensato per una primastesura de L’astrologia convinta di falso, ma mai uti-lizzato.

Agli astronomi del Seicento veniva spesso chie-sto di redigere oroscopi; anzi, si pensava che potes-sero fare predizioni più accurate proprio a causadella loro più esatta conoscenza delle effemeridi.Ne L’astrologia convinta di falso, Montanari confessòdi averne fatti a migliaia, in parte per soddisfare gliamici, e in parte per «sperimentar la verità, ò bugiadell’arte». Ma nei consessi accademici che frequen-tava si dimostrava sempre scettico sull’efficacia del-le predizioni ed anzi aveva sfidato gli astrologi aconfrontare un anno di loro pronostici basato sucalcoli celesti con quello che lui avrebbe potuto fa-re a caso. Visto però che nessuno aveva accettatoquesta scommessa palese, Montanari decise di pub-blicare un simile almanacco in segreto, per cattura-re quanti più «Uccellacci» possibile: il Frugnuolo degli influssi del gran Cacciatore di Lagoscuro. L’alma-nacco, pubblicato per ben nove edizioni, fino aquando, con L’astrologia convinta di falso, fu resapubblica la burla, era compilato in maniera aleato-ria. Ad ogni quarto di Luna, il Frugnuolo dava predi-zioni su sei argomenti: condizioni meteorologiche,malattie, condizioni del mare (che potevano spazia-re dalle tempeste allo sbarco di corsari), guerre, af-fari politici e affari comuni. Per ciascuna stagione,venivano predisposti 18 possibili pronostici per ar-gomento; grazie ad un disco numerato con un agomobile, ne venivano estratti (in media) 12, avendocura di evitare le ripetizioni. A fare l’estrazione e te-stimoni di tutto il procedimento erano i «Compa-gni Cacciatori», sodali di Montanari prima a Bolo-gna e poi a Padova; non è poi difficile immaginare

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«quanto lieta fosse la Conversazione frà le variebarzellette»! L’estrazione proseguiva in ordine diargomento, lunazione e stagione fino a completarel’almanacco. Per ciascuna stagione, il primo prono-stico che veniva estratto una seconda volta, argo-mento per argomento, era utilizzato da Montanariper una predizione generale sulla stagione stessa,avendo cura che l’almanacco restasse verosimile,sia per quanto riguardava gli eventi atmosferici chele vicende umane.

Come raccontato ne L’astrologia convinta di falso,il Frugnuolo, ebbe un gran successo e venne ritenu-to più veritiero degli altri almanacchi astrologici deltempo. La conclusione non poteva che essere una:gli «Astrologi non indovinano se non a caso»; un ri-sultato, ripetuto più volte nel testo, che Montanariebbe anche cura di verificare confrontando, adesempio, le reali condizioni atmosferiche con le pre-dizioni di vari almanacchi.

Montanari non nega esistano «gl’Influssi» deicorpi celesti, primi fra tutti «il Lume, il Calore & ilMoto», ben determinabili per il caso del Sole e del-la Luna; addirittura concede l’esistenza di «Influen-ze occulte», ovvero di forze dovute agli astri di cuil’uomo non è ancora a conoscenza. Ma ritiene checoncorrano ben altre influenze dell’ambiente terre-stre a determinare il corso degli eventi naturali, co-me ad esempio i venti, sulle cui cause si dilunga.Predire sulla base della sola posizione dei corpi ce-lesti, e sulle loro «qualità», è analogo a voler predirel’ora segnata sul quadrante di un orologio a partiredalle qualità del solo contrappeso, anche quando«di quell’Orologio tutte le parti, eccetto il contra-peso, fossero così esposte non solo all’ingiuriedell’aria, e dei venti, mà all’Arbitrio d’huomini, efanciulli, e fin d’altri animali, che potessero à lorotalento, hora impedire, hora accelerare il moto diquelle ruote [ingranaggi], hora eziandio cangiarnel’ordine […]».

Con la sua competenza sia in materie astronomi-che che in computo astrologico, Montanari eviden-zia, ne L’astrologia convinta di falso, tutte le incon-gruenze della disciplina divinatoria. Ad esempio,mostra la differenza fra i segni zodiacali e le attualiposizioni delle costellazioni in cielo, a causa dellaprecessione degli equinozi; ridicolizza la pretesa, in-trodotta in testi astrologici del secolo precedente,della dipendenza delle sorti di una città o di un po-polo dalle stelle che passano allo zenit in una deter-minata epoca (fra queste Algol, il «capo di Medusa»,della cui variabilità Montanari fu scopritore). Perovviare a tutte queste incongruenze gli astrologiavevano introdotto numerose varianti nel calcolo esi erano divisi in varie scuole non in accordo fra diloro «onde si come quelli d’una Setta dicono, chequelli dell’altre Sette non indovinano, che per for-tuna, essendo falsa l’opinione loro, e gli altri diconodi questi lo stesso, così ho più ragione io di dire ditutti loro».

Mentre avrebbe dovuto essere relativamente fa-cile per gli astrologi predire gli eventi naturali, do-

ve l’intervento umano era ininfluente (e pur l’astro-logia falliva anche in quel caso), molto più compli-cato era il discorso sui pronostici riguardanti le ca-ratteristiche e la vita degli individui, dove dominavanecessariamente il libero arbitrio, «il più nobile fre-gio» dato dalla Natura alla specie umana; quil’astrologia, con la sua pretesa di derivare tutti glieventi dal cielo, si scontrava addirittura con i dogmidella Chiesa. Montanari mostra che la volontà de-gli individui può più dei pretesi influssi celesti e, sul-la base delle sue vicende personali, propone un test.Venendo spesso addotta come scusa per mancateprevisioni la conoscenza non accurata dell’ora na-tale di un individuo, Montanari aveva chiesto a piùriprese agli astrologi di trovare l’ora natale che piùsi addicesse agli eventi notabili della sua vita (elen-cati nel testo) e che non fosse troppo discosta daquella ricordata dai suoi genitori e dal suo atto dibattesimo. Lui stesso si era cimentato in questoesercizio. Due oroscopi fatti da due astrologi diver-si sembravano meglio in accordo con parte dellesue vicende degli altri, ma erano per due ore di na-scita ben diverse, e diversi gli eventi previsti. PerMontanari questa era una nuova riprova della «for-tuità» degli oroscopi: «senza dubbio [è] mero Acci-dente, che habbiano così l’uno, come l’altro quellacorrispondenza benché imperfetta, che egl’hannocon la mia vita». E incalza altri astrologi a fare mi-gliori oroscopi, in grado di trovare anche un altrograve evento, non incluso nella sua lista, che gli oc-corse all’età di 41 anni.

Le argomentazioni di Montanari, scientifiche estatistiche, sono analoghe a quelle tuttora usate perconfutare la validità dell’astrologia, e non potrebbeessere altrimenti, visto che le conoscenze del-l’astronomia alla fine del Seicento erano più chesufficienti per falsificare una credenza ben più anti-ca. Tuttavia, ancora oggi gli oroscopi vengonogiornalmente diffusi da quotidiani, radio e televi-sione e vi sono persone che credono alla loro vali-dità, facendo caso solo a quelle previsioni che sem-brano avverarsi. A questa tendenza a “credere” nonfurono immuni nemmeno gli scettici «CompagniCacciatori»: dopo i primi successi del Frugnuolo, al-cuni di loro si chiesero se Montanari non avesseusato, se non l’astrologia stessa, qualche altra artedivinatoria, per scegliere i pronostici da estrarre asorte; a che l’astronomo rimediò facendo sì che lastessa brigata li indicasse a turno. Anche fra le per-sone più razionali, non manca poi una buona dosedi scaramanzia: non tennero Montanari e compa-gni il fiato sospeso sperando che non si avverasse laprevisione «Cada finalmente quella Città tanto im-portante», assegnata al 29 agosto 1683, proprio du-rante l’assedio ottomano di Vienna? Meglio non fa-re più previsioni contrarie alla Cristianità, risolseropoi! Infine, Montanari si fece beffe delle predizioniastrologiche sulla sua morte per la fine del 1685. Edinfatti non si avverarono, visto che morì due annipiù tardi … o forse sì, avrà pensato qualche astrolo-go, considerando in maniera diversa “Genitura”,

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“Direzioni”, “Significatori”, “Promissori”, “Motoretto” o “converso” …

Simone Bianchi

Geminiano Montanari (1633-1687) è stato un astrono-mo italiano. Nato a Modena, studiò legge a Firenze e silaureò in diritto civile e canonico a Salisburgo. Nel 1661fu nominato Filosofo e Matematico ducale da AlfonsoIV d’Este. Ebbe la cattedra di Scienze Matematiche al-l’Università di Bologna nel 1664 e quella di Astronomiae Meteore all’Università di Padova nel 1678. È noto inparticolare per le sue osservazioni della variabilità dellastella Algol.

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L’esplorazione dell’universoLa rivoluzione che sta svelando il cosmoPriyamvada NatarajanTraduzione di F. PèBollati Boringhieri (Saggi), 2017Copertina flessibile, pp. 236, € 24,00isbn 9788833928234www.bollatiboringhieri.it

esidero innanzitutto sottolineare la presenzadi un’autrice di origini non occidentali in un

ambito che una certa abitudine alla frequentazionedelle librerie porta a credere di pertinenza europeao americana. Se la cosa mi desta meraviglia, non ècerto per quella maldestra xenofobia alla quale su-bito qualcuno avrà pensato leggendo le righe pre-cedenti. Tutt’altro. La mia sorpresa nasce dal fattoche a raccontare “bolometricamente” le immenserivoluzioni culturali avvenute in ambito cosmologi-co non siamo più noi occidentali – forse, non sa-pendo quale sia l’integrale delle pubblicazioni usci-te negli ultimi anni, farei meglio a dire «non siamopiù solo noi» ‒ oramai persi dietro alla specificità disingoli aspetti, di fatti particolari, di minimi dettaglida sondare fino a perderci in tecnicismi comprensi-bili solo a pochi.

Grazie alla libera circolazione delle idee e dellepersone, a farlo oggi possono essere anche donne euomini di culture diverse dalla nostra, ma che la no-stra l’hanno avvicinata con grande rispetto, studia-ta, assorbita e metabolizzata mantenendo intattoquello “spirito greco” che spesso lo stesso occiden-te mostra di aver perduto.

Questo splendido libro di divulgazione, infatti,affrontando i temi che narra, adotta una ricetta ot-tenuta mescolando l’astrofisica con una gran quan-tità di aromi letterari, di odori storici e spezie an-tropologiche, capace di donare al testo un respirofreschissimo e molto piacevole.

L’autrice, una vera e propria “maga delle spezie”indiana, non è certo una neofita: la sintesi del suocurriculum in terza di copertina garantisce infattila sua capacità di fare ricerca, ma non dice nulla cir-ca la sua grande cultura umanistica e la sua capa-

cità di mescolarla nell’ordito delle sue descrizionidivulgative.

Leggendo poi la sua introduzione al libro, sce-gliendo di stare sulle righe, ma soprattutto tra di es-se, si apprende molto di più su di lei, intuendo an-che che tipo di corsa ci attenderà nei sette,densissimi capitoli di questo suo saggio. Si tratta in-fatti di una introduzione che definirei “critica” inquanto, senza addentrarsi nel riassunto analiticodelle singole sezioni, l’autrice descrive “a volo d’an-gelo” l’anima dell’intera opera, rivelando così la ve-ra natura del suo punto di vista: quello di una filo-sofa, di una storica o forse di una sociologa dellascienza, incidentalmente in possesso di una quanti-tà enorme di notizie scientifiche.

In quelle pagine iniziali, tra le altre cose, ha mo-do di dire di sé: «Nei miei anni universitari al Mas-sachusetts Institute of Technology ho studiato fisi-ca, matematica e filosofia. In seguito, sempre al mit,la curiosità mi ha indotto a specializzarmi in Scien-ze, Tecnologie e Società finché non sono volata dal-l’altra parte dell’Atlantico per un dottorato in Astro-fisica a Cambridge».

Un percorso, quindi, che dal generale si è ap-prossimato al particolare della conoscenza astrofisi-ca, adagiandola su una solida impalcatura generali-sta, dalla quale la filosofia non poteva mancare (infondo, la cosmologia è una materia border line persua stessa natura, sospesa com’è tra pensiero fisicoe filosofico) e che credo costituisca, tra le altre cose,un modello importante da sottoporre a studenti diliceo, i quali ancora non sanno bene cosa scegliereall’università.

Più avanti, sempre nell’introduzione, affermache quella che narrerà sarà «la storia di formidabilisforzi di immaginazione, di idee nuove e rivoluzio-narie alimentate da dati e scoperte. Il viaggio diun’idea dalla sua formulazione alla sua accettazionerivela molte altre facce della scienza: la dimensioneemotiva, psicologica, personale e sociale della scien-za, al di là della pura ricerca intellettuale della co-noscenza. Ciò contraddice la percezione popolaredell’indagine oggettiva, condotta da studiosi impar-ziali che si adoperano per ricavare verità fisse dellanatura. Dopotutto la scienza è una attività umana,e in quanto tale non è mai priva di soggettività».

Una serie di affermazioni che inseriscono l’im-maginazione, la creatività scientifica e la psicologiaumana, quindi anche quella dello scienziato, in unambito cosmologico. Questa impostazione ha il po-tere di fare apparire quasi necessarie allo sviluppodella scienza quelle che sono normali spinte umanee, per questo, contingenti, nobilitando così peculia-rità tipiche della nostra specie. La scienza è fatta dauomini donne e, nonostante la sua pretesa asettici-tà, non può che essere soggetta alle nostre spintepiù umane.

Credo che questo modo di porre le cose sia an-cora una novità, specie –mi duole dirlo– tra gli stes-si scienziati, i quali, a volte, sembrano rimpiangerei tempi in cui venivano visti come infallibili pensa-

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tori, privi di quella dimensione umana messa a nu-do dall’autrice.

Questo carattere così attento alla dimensionepersonale di chi la scienza la fa – si vedano, ad esem-pio, i gustosissimi ritratti di Vera Rubin, di FritzZwicky e di molti altri dei personaggi che di voltain volta si avvicenderanno sul palco della storia og-getto del libro – è il collante di una vicenda a dir po-co colossale: la progressiva scoperta, ancora in cor-so, dell’immane dimensione del cosmo e deiprocessi che lo modificano nel tempo.

Il libro, essenzialmente un testo di storia del-l’astrofisica, conduce quindi alle ultime scoperte dipianeti extrasolari e alla teorizzazione dell’esistenzadi altri universi, accompagnando per mano il letto-re attraverso le varie tappe che hanno reso possibi-le arrivare a vedere così lontano nello spazio e neltempo: espansione cosmica, buchi neri, materiaoscura, energia oscura, cmb.

Mi ha colpito in modo particolare la costante epuntuale introduzione, a piè di pagina, dei riferi-menti agli articoli di ricerca e ai libri scritti dagli stu-diosi citati nel testo: non c’è una sola informazioneimportante ai fini della narrazione della Natarajanche non sia stata giustificata dalla presenza del rela-tivo articolo di riferimento e potrei spingermi oltredicendo che la storia della cosmologia da lei propo-sta forse non è altro che il riflesso di un particolarepercorso intellettuale tra tutti e soli gli articoli citati.

Si potrebbe obiettare che le bibliografie poste a fi-ne libro hanno, in generale, la stessa funzione, maqui appare chiaro come il rapporto uno a uno tra glieventi narrati e i riferimenti antologici sia più stret-to del solito.

Da astronomo divulgatore so che a volte capitadi affermare cose per averle lette o studiate “di se-

conda mano”, passando cioè dalla rielaborazionedi altri autori che forse, a loro volta, le hanno ap-prese da chissà chi e mi piace pensare che invecel’autrice di L’esplorazione dell’universo, con grandeonestà intellettuale, abbia davvero deciso di legge-re tutte le pietre miliari della letteratura cosmolo-gica riportate. Credo che, oltre ai contenuti de-scritti con vibrante interesse e competenza, questosia uno dei punti di maggiore forza del libro: il sug-gerimento, cioè, di un metodo intellettuale per fa-re divulgazione e ricerca nel particolare ambito chesi è scelto, mantenendo sempre una profonda con-sapevolezza di quali siano i mattoni creati da altri esui quali la nostra visione del mondo, dai massimisistemi alla ristretta nicchia dei nostri studi perso-nali, poggia.

Ma non è tutto: come dicevo, l’autrice ha condi-to l’opera con appropriati riferimenti letterari di-mostrando così grande attenzione a quanto la filo-sofia e la sociologia della scienza hanno avuto dadire circa questa travolgente evoluzione culturale.

Insomma, si tratta di un libro capace di fornireuna lezione di storia della scienza, ma dal qualeemerge anche un grande rispetto per la culturaumana in generale e per la complessità del nostromodo di indagare il mondo con occhi che, se dotatidi sole lenti scientifiche, vedono molto, ma perdo-no decisamente di più.

Angelo Adamo

Priyamvada Natarajan insegna Astronomia e Fisicaall’Università di Yale e occupa la Sophie and Tycho BraheProfessorship presso il Dark Cosmology Centre del NielsBohr Institute di Copenhagen. È membro del comitatodi nova ScienceNow, partecipa regolarmente al WorldScience Festival e scrive per la New York Review of Books.

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Alberto Cappi è astronomo associato dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (inaf) presso l’Osservatorio di astrofisica escienza dello spazio di Bologna (oas). Il suo lavoro di ricerca è centrato sullo studio degli ammassi di galassie e la cosmologia osservativa.

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