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Scuola Normale Superiore di Pisa Comune di Gibellina CESDAE Centro Studi e Documentazi one sull' Area E li ma - Gibellina - GIORNATE INTERNAZIONALI DI STUDI SULL'AREA ELIMA (Gibellina, 19-22 Settembre 1991) ATTI II Pisa -Gib ellina 1992

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Scuola Normale Superiore di Pisa Comune di Gibellina

CESDAE

Centro Studi e Documentazione sull ' Area Eli ma

- Gibellina -

GIORNATE INTERNAZIONALI DI

STUDI SULL'AREA ELIMA

(Gibellina, 19-22 Settembre 1991)

ATTI II

Pisa -Gibellina 1992

L'AREA DELLA CHIESA SUL MONTE BARBARO:

PRIMI RISULTATI DELLE INDAGINI

ARCHEOLOGICHE

ANTONELLA PINNA - PATRIZIA SFLIGIOTII

L 'area 2000 si apre su una sorta di terrazzamento naturale posto a mezzacosta tra il teatro e la sommità del Monte Barbaro occupata dal castello (tav. LXIV, 1): un punto panoramico magnifico dal quale si domina, nelle giornate limpide, il Golfo di Castellammare e gran parte del territorio circostante.

La scelta di avviare l' indagine archeologica in questo luogo è stata determinata dalla presenza dei resti di una piccola chiesa monoabsidata, in parte interrati ma ben visibili ed ora completa­mente liberati (tav. LXIV, 2). Lo scavo si poneva come primo obiettivo di verificare quanto tale presenza fosse significativa, soprattutto ma non esclusivamente in rapporto all 'abitato me­dievale di Segesta.

Già Henri e Geneviève Bresc, nel loro contributo del19771,

mettevano in relazione i ruderi del Monte Barbaro con un documento conservato presso l'Archivio di Stato di Trapani. Si tratta di un atto notarile datato 4 aprile 14422: l'abitato, come si evince da alcune notazioni, era gia stato abbandonato. Con tale documento tre cittadini di Calatafimi commissionano ad un certo Giovanni de Lombardo, «fabricator» la costruzione di una chiesa sulla montagna («in monte vocato de Barbaru»). I tre committenti decidono inoltre che la chiesa, certamente piccola (il muratore avrà infatt i un solo aiutante) sarà dedicata a S. Leone («sub vocabulo Sancti Leu», si legge nel documento). I Bresc,

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anche a causa di questa intitolazione, ipotizzavano una persistenza sul luogo di un edificio di culto, demandando tuttavia agli archeologi la soluzione del problema che, come in generale quello della continuità di vita dell'abitato, non trova risposte nelle scarsissime testimonianze documentarie.

Le tre campagne di scavo fin qui condotte hanno conseguito risultati sinceramente inaspettati, portando alla luce una inte­ressante successione di strutture alla quale non corrispondono, purtroppo, significativi strati d ' uso con materiali datanti. I dati che si presentano debbono considerarsi preliminari e ancora suscettibili di rettifiche, soprattutto per quanto riguarda le fasi di insediamento più antiche, in quanto lo scavo, ancora in corso, prevede ulteriori ampliamentP.

Alla tav. LXV si presenta una pianta schematica delle strutture emerse nel corso degli scavi: vi si può notare la piccola chiesa del1442 (in nero, fase III) che si sovrappone parzialmente ad un edificio più ampio triabsidato (in grigio, fase II), con absidi ad E e facciata ad O, il quale a sua volta venne eretto su elementi precedenti, che per il momento attribuiamo orientativamente aJJ'epoca ellenistica (a tratteggio, fase I). Si tratta di numerosi muri, di resti limitati di preparazioni pavimentali anche con frammenti musivi in situ e di diverse cisterne per la raccolta d 'acqua.

I muri appartenenti alla fase I sono caratterizzati dal me­desimo orientamento e sono costruiti con la stessa tecnica muraria, con pezzame di calcare di taglio medio piccolo legato da malta molto resistente. La loro frammentarietà rende difficile la ricostruzione di una pianta. Tuttavia, si può proporre di integrare le lacune delle strutture in modo tale da ricostruire un sistema ortogonale di ambienti, disposti forse su livelli diversi. Appare infatti logico che i muri di maggiore spessore (cm 90 circa), orientati secondo l 'asse NE/SO, siano muri di contenimento del dislivello, costruiti parallelamente al fianco del monte al fine di creare terrazzamenti edificabili. Gli altri tratti di muri, di spessore inferiore (cm 60 circa), disposti normalmente a quelli, delimitano ambienti quadrangolari abbastanza grandi (fino a

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sette metri di larghezza). L'orientamento (NO/SE) li inserisce in un sistema di riferimento riscontrabile in altre preesistenze della zona; in particolare, i resti di un grande edificio visibile lungo il sentiero di accesso pedonale al teatro.

L ' identificazione dell'edificio è al momento prematura, così come la sua natura, pubblica o privata (non bisogna infa tti dimenticare di essere alle spalle del teatro, in un'area di sicura rilevanza). Dell' importanza dell'edificio parla l 'ambiente ori­ginariamente rivestito da un pavimento in tessellato, di cui rimangono pochi frammenti - e tra questi uno decisivo (in situ) che reca un'iscrizione in caratteri greci con la probabile firma del mosaicista (tav. LXVI, 1), probabilmente lo stesso Dionysios figlio di Herakleides, alessandrino, scultore e doratore di statue attivo nel II sec. a.C.4 • Dall ' orientamento dell'iscrizione si può dedurre che l'ingresso alla sala fosse sul lato SO e che l ' iscrizione stessa accompagnasse un emblema inserito nel pavimento, del quale si conserva qualche traccia in negativo sullo strato di preparazione del tappeto musivo. AJtri frammenti di mosaico rinvenuti negli strati di distruzione si datano per le loro caratte­ristiche tecniche tra Ill e II sec. a.C.5; tale inquadramento cro­nologico concorda con l 'iscrizione, i suoi caratteri paleografici e il personaggio nominato. Vi sono anche indizi di rifacimenti più tardi del pavimento, in tessere bianche e nere di maggiori dimensioni.

Tutta l'arearacchiusa entro le mura è punteggiata da cavità, cisterne e pozzi, in parte già segnalati nel dettagliatissimo rilievo aerofotogrammetrico - e in parte individuati nel corso dello scavo, che dimostrano come fosse risolta l' impellente necessità di approvvigionamento idrico pubblico e privato. Lo scavo nell ' area 2000 costituisce un campione interessante per la quantificazione del fenomeno e per una prima tipologia dello sfruttamento delle risorse idriche a Se gesta. In un' area di circa 300 mq sono presenti cinque cisterne (e se ne sospetta una sesta) e un pozzo, a tale breve distanza l ' una dall 'altra da porre in modo problematico la loro contemporanea esistenza e utilizzazione (tav. LXV). Al momento non è possibile datare con esattezza la

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loro costruzione e il loro abbandono: solo una cisterna e il pozzo conservano la copertura, che fornisce un buon riferimento ai livelli d'uso; inoltre, per motivi diversi (statici, di rischio, di opportunità nella strategia di scavo) nessuna delle cavità è stata svuotata completamente e di conseguenza non vi sono dati cronologici dai riempimenti di obliterazione. D'altra parte, eccezione fatta per il pozzo, le cisterne sono state attribuite alla fase più antica di occupazione del sito, poiché alcune di esse si trovano in rapporto stratigrafico anteriore rispetto alle strutture medievali. Ad esempio, l 'unica cisterna che conserva la copertura (un grande lastrone di calcare) ribatte la quota del pavimento d eli ' ambiente mosaicato, lasciando supporre che fosse pertinente al medesimo edificio, senza poter escludere tuttavia una sua riutilizzazione in epoca successiva. Per il pozzo, accessibile dall ' interno della chiesa più antica (fase II), abbiamo invece il caso opposto: la sua imboccatura in muratura (aperta probabil­mente a livello del pavimento) è costruita (o ricostruita) contem­poraneamente al muro di facciata della chiesa, ma non sappiamo se fosse già in uso in una fase precedente.

D'altra parte, l 'area 2000 ha visto un minimo rialzamento del suolo e non si esclude quindi la possibilità di un riuso delle strutture, cisterne comprese; si tratterebbe della stessa evoluzione subita nel corso del tempo da una delle case ellenistiche di Monte lato, la cui cisterna viene rimessa in funzione in una delle case medievali insediatesi nell 'area della città antica6.

Lo scavo di fosse di conserva nel Monte Barbaro si giova del fatto che la roccia, in molti punti, è affiorante a livello del terreno, alternando strati di duro calcare a strati di sedimentazioni assai friabili, nei quali preferibilmente sono state scavate le cisterne. Nei casi in cui la roccia non raggiunge il livello del suolo, esiste un'imboccatura in muratura di blocchi di calcare legati da terra argillosa o da malta. Non sembra che sia stata posta una particolare cura n eli ' impermeabilizzare tali parti in mura tura con intonaci idraulici o rivestimenti argillosi, dal momento che presumibilmente la riserva idrica raggiungeva esclusivamente le parti scavate nella roccia; solo nel caso della grande cisterna

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ovale, dove la parte in muratura supera il metro e mezzo d'altezza, la malta impiegata è piuttosto resistente, presente anche sulla superficie, e vi sono indizi (nelle lacune del para mento) di presenza di argilla sistemata come una guaina nel cavo della cisterna, dietro la fodera in muratura7.

Le coperture presentano una varietà di soluzioni che tiene conto delle dimensioni dei vani ipogei e delle loro particolarità costruttive. E' attestata una copertura a falsa volta, in cui le pareti della cisterna, in muratura, vanno restringendosi verso l'alto. Purtroppo manca la parte centrale con l 'eventuale foro d 'accesso, mentre è presente un piccolo canale scavato nella roccia: forse di adduzione, oppure per il 'troppo pieno'.

E ' presente, come anche in altre cisterne di Segesta, la copertura a lastroni; dobbiamo presumere che la chiusura si servisse di due grandi lastre combacianti al cu i centro era ricavato un foro, forse troppo piccolo per il prelievo d 'acqua e da utilizzarsi quindi per l'adduzione.

Una più ampia illustrazione merita la cisterna ovale8 (tav. LXVI, 2). Il suo maggiore interesse risiede nella presenza sui lati lunghi di incassi (tTe nel lato meridionale e due in quello opposto -ma dove la parete è lacunosa ve ne doveva essere, per simmetria, un terzo) ricavati nella mura tura al momento della costruzione. Si tratta di nicchie rettangolari la cui base è costituita da un blocco di calcare sistemato in modo da offrire un piano inclinato di appoggio ad un elemento strutturale oggi scomparso. Possiamo presumere, per analogia con altre situazioni, che si tratti di incassi funzionanti come reni di appoggio per archi o travi di sostegno della copertura della cisterna.

La cisterna è inserita obliquamente in una struttura quadrangolare di cui rimangono solo due lati; la quota di rasa tura dei muri corrisponde forse a quella della copertura della cisterna, ma ancora incerti sono i rapporti con gli altri ambienti .

La stratigrafia e la sequenza dei materiali, con l'assoluta mancanza di ceramiche di età imperiale (anche sporadiche) mostrano un lungo iato tra la fase ellenistica e l'impianto della chiesa triabsidata. Ciò non deve essere necessariamente inter-

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preta t o come assenza di frequentazione de !l 'area; potrebbe inve­ce significare una grande asportazione di terre per la costruzione della chiesa più antica.

Questa ha pianta basilicale (m 18 x 10, 30 circa) a tre absidi ed è orientata secondo l'asse E/0 ; un piccolo tratto di muro perpendicolare al muro laterale settentrionale segna forse il passaggio al presbiterio. Le murature - realizzate a doppio paramento di conci di calcare grossolanamente squadrati con emplekton costituito da pietrame e da legante a base di terra argillosa - sono conservate per brevissima altezza e in modo parziale: in particolare, nel settore orientale manca l'abside centrale e parte di quella meridionale; non vi sono inoltre tracce delle partizioni delle navate. E' da notare la presenza di un pozzo cilindrico profondo più di 5 metri, che si trova nell'angolo interno N/0 ed è costruito solidalmente con il muro di facciata. La sua imboccatura si apre a livello del piano di calpestio.

Uno studio preliminare della tipologia edilizia consente di confrontare la chiesa di Segesta con altre costruzioni di epoca normanna e normanno-sveva, annesse ad insediamenti castrali. In particolare, la cappella del castello di Caronia (forse di proprietà reale e datata entro la prima metà del secolo XII) presenta le analogie più pertinenti, sia da un punto dj vista icnografico che di proporzioni9•

Di poco più tardo (seconda metà del secolo XII) il caso del Castellaccio sopra Monreale, con annessa cappella a tre navate e di proporzioni simili 10; mentre la cappella annessa al castello di Calathamet, che appare come il confronto più prossimo all ' insediamento segestano, sempre del secolo XII, ha una più semplice pianta a navata unica'' ·

Per quanto riguarda la presenza del pozzo all' interno del­l' edificio, il collegamento tra risorse idriche e edifici religiosi non stupisce: a Calathamet la cappella è situata proprio sopra una grande cisterna e nel castello di Caronia si ha accesso ad una conserva d'acqua direttamente dalla cappella, tramite un pozzetto nella navata meridionale.

Considerazioni di altro tipo nascono dali ' ubicazionc della

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chiesa (tav. LXVI, 3). Da un lato la sua vicinanza al castello pone il problema del rapporto tra edificio di culto e insediamento castrale: da quanto è visibile sul terreno e nelle fotografie aeree, non sembra che la chiesa fosse all'interno della cinta muraria del castello stesso, anche se non può escludersi l'esistenza di un qualche collegamento tra di essi. D'altro canto le notevoli dimensioni dell 'edificio impongono di mettere questo in relazione col villaggio che sta via via emergendo dagli scavi condotti daJla Scuola Normale di Pisa in altri punti dell' acropoli.

Strettamente legata alla struttura ecclesiastica, non solo topo graficamente ma anche da un punto di vista ideale e rituale, è la necropoli. Per quanto abbiamo potuto finora vedere, essa si estende ad O della chiesa, davanti alla facciata e sul lato meri­dionale (tav. LXV). Non sono state scoperte sepolture sul lato settentrionale, mentre una piccola tomba pochi metri ad E delle absidi sembra essere per il momento un elemento isolato.

Le prime tombe furono scoperte l'anno passato: se ne indagarono tre, una infantile addossata al muro di facciata e altre due quasi contigue, con risultati deludenti in quanto le si trovarono già completamente violate. La ricerca di quest'anno, volta a verificare l'esistenza del cimitero, ha portato alla luce otto nuove sepolture. Ne sono state scavate sei, tutte intatte: cinque di esse sono pertinenti a bambini, anche di pochi mesi; una, invece, conteneva due deposizioni di maschi adulti succedutesi l ' una all'altra: lo scheletro in prima deposizione, infatti, si trovava ammassato ai piedi dell ' individuo deposto in un secondo mo­mento12.

Le tombe appartengono al medesimo tipo: una cassa ret­tangolare profonda circa 20 cm, piuttosto stretta, costruita ri­vestendo con pezzame di calcare il taglio nel terreno e coperta da una o più lastre di pietra, secondo le dimensioni (tav. LXVI, 4).

Si può forse individuare una variante tecnica nell 'utilizzo di sole lastre poste di taglio o di lastre e blocchetti sistemati su più filari per l'esecuzione delle pareti.

Fa eccezione a questo tipo la sepoltura scoperta a pochi metri dietro l' area absidale: si tratta in questo caso di una tomba

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infantile scavata direttamente nella roccia della montagna - in questo punto di qualità molto tenera .

Le deposizioni, prive di quals iasi oggetto di corredo, sono in decubito dorsale e rispettano un orientamento OSO/ENE (con testa ad 0 ), con qualche leggera variazione che comunque conferma l'evidente ripetitività rituale delle deposizioni. Sebbene il campione a disposizione sia ancora piuttosto esiguo sarà interessante studiare in futuro l 'angolo di oscillazione nel­l 'o rientamento che potrebbe illuminarci su alcuni aspetti del rito funebre. A questo proposito s i può citare l 'esempio della necropoli longobarda di Romans d' Isonzo dove la notevole incidenza di deposizioni orientate tra i 220 ed i 270 grad i ha consentito di ipotizzare che le cerimonie funebri s i svolgessero prevalentemente ali' alba o al tramonto13•

I rapporti stratigrafici tra le sepolture ed i relativi livelli di frequentazione, non facilmente individuabili a causa della natura del terreno se non per la presenza delle tombe stesse, mostrano la successione temporale delle deposizioni e, probabilmente, anche l'andamento leggermente scosceso del terreno in cu i le tombe furono scavate.

Allo stato attuale non s i dispone di alcun e lemento per datare la necropoli con puntualità; è tuttavia certo che il suo impianto debba collegarsi alla chiesa p iù antica e, quindi, al­l 'abitato medievale di Segesta.

Consideriamo ora molto rapidamente le sepolture di Se gesta in rapporto alle poche necropoli scoperte in aree limitrofe. Se non bastasse l 'elemento macroscopico della chiesa, anche tutte le altre caratteristiche della necropoli segestana escludono qualsiasi comunanza con i cimiteri di rito musulmano14: diverso l'orientamento delle tombe (lì NE/SO), diversa la posizione del cadavere (lì in decubito laterale destro con il volto rivolto a SE), d iversa infine la tipologia deJJe sepolture (semplici fosse terragne di norma prive di rivestimento e copertura).

Molte somig lianze, per non dire identità, si riscontrano invece con le tombe scoperte a Monte Iato15, centro di res istenza araba a Federico II, come documentano univocamente le fonti.

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Uno spunto quindi per riflettere ancora una volta sul significato da attribuire ai riti funerari quale strumento per valutare even­tuali fenomeni di 'acculturazione' tra comunità diverse.

NOTE

* La scelta di avviare l ' indagine archeologica sul Monte Barbaro è stata il frutto della collaborazione tra la Soprintendenza ai BB. CC. AA. di Trapani, la Scuola Normale Superiore di Pisa e il Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell'Università di Siena. Desideriamo ringraziare R. Camerata Scovazzo, il prof. G. Nenci, il Prof. R. Francovich per la fiducia che ci hanno accordato nell'affidarci lo scavo dell'area 2000.

1 G. e H. BRFSc, Ségeste médiévales: Calathamet, Calatabarbaro, Calatafimi, MEFR(M), LXXXIX, 1977,341-370.

2 Archivio di Stato di Trapan i, 8623, notaio Milo Francesco, 1441-1442, f. 207v-208r.

3 Una prima presentazione dei risultati della campagna di scavo 1989 delle stesse autrici del presente contributo è in Relazione preliminare sullo scavo dell'area 2000, ASNP, S. m, XXI, 1991, in corso di stampa. Si rimanda a quella sede in particolar modo per quanto riguarda la chiesa del1442.

4 Si veda il contributo di G. Nenci, supra, 535-537. 5 I frammenti di mosaico in situ e quelli rinvenuti in strato hanno tessere di

dimensioni inferiori al cmq e di minimo spessore (0,5 cm al massimo); i particolari decorativi poi i cromi utilizzano anche tessere minutissime (0,2-0,5 cm di lato). La tessitura è regolare e le diverse campiture di colore sono separate da una lamina di piombo. Una presentazione più puntuale e dettagliata dei singoli frammenti con i relativi conJronti è stata fatta da A. Pinna in Relazione preliminare ci t., a cui si rimanda per ulteriori dati.

6 H. B LOESCU - H.P. lsLER, Ricerche archeologiche sul Monte Iato, Si cA, IV, 15, 1971, 16-17; H.P. IsLER, Monte Jato (Palermo). Scavi1972-1974, NSA, ] 975, 555-556.

7 Analogomente a quanto accade, ad esempio, ad Artena dove un certo numero di cisterne di metà IV -III sec. a.C. presenta queste particolarità: cf. E. DE W AELE- R. uMSROCHTS,Le cisterne e l' approwigionamento d'acqua, in AA.VV., La civiltà di Artena. Scavi belgi 1979-1989, Roma 1989, 44-51.

s La cisterna è lunga m 3.30 e larga m 2,20 (le misure si riferiscono allo spazio interno); la parete ù1 muratura alta in media m 1,70. Avendo arrestato lo scavo a livello del banco roccioso per consentire il consolidamento delle pareti pericolanti, non si hanno ancora indicazioni sulla profondità complessiva della struttura.

9 W. KROENIG, Il castello di Caronia in Sicilia, Roma 1977, 77-90.

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10 G. D1 STEFANO, I monumenti della Sicilia Normanna, Palermo 1955,82 sgg; cf. anche KRoENTo, o. c., 118, fig. 81.

11 J.M. PESEZ, Calathamet. Terza camapag/Ul di scavo, SicA, XVI, 51, 1983, 19-21.

12 Lo studio antropologico dei resti umani è stato affidato al dott. P.F. Fabbri e se ne attendono i risultati.

13 AA. W., Longobardi aRomansd'Isonzo. Itinerario attraverso/e tombe altomedievali. Catalogo della mostra, Trieste 1989, 29-30.

14 Per la Sicilia la necropoli di Entella (per la quale si vedano le relazioni diR.GuglielminoeP.F.Fabbri,inquestostessovolume)eilcimiterorecentemente scoperto a Caliata di Montevago (G. CASTEllANA- P.F. FABBRI, in «Dagli scavi di Montevago e di Rocca di Entella un contributo di conoscenza per la storia dei musulmani della valle del Belice dal X al XIII secolo. Atti del Convegno di Montevago 1990», in corso di stampa.

15 ln particolare con quelle rinvenute all'interno del portico occidentale d eU' a gora (H.P. lSI.ER, Monte Iato. Tredicesima campagna di scavo, Si cA, XVI, 52-53, 1983, 17-32), le quali vanno ad aggiungersi alle otto sepolture messe in luce nell 'area del teatro (Io., Monte Iato. Sesta campagna di scavo, SicA, IX, 32, 1976, 30 sgg.).

TAV. LXIV

l. Segesta. Area 2000.

2

2. Segesta. Chiesa medievale.

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Segesta. Pianta generale de\\' area 2000.

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TAV. LXVI

l. Segesta Area 2000. Parte di mosaico.

2. Scgesta. Arca 2000. Cisterna.

3. Segesta. Area 2000. Chiesa medievale. 4. Segesta. Sepoltura dall ' area 2000.