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Giovannino Guarreschi-Tutto Don Camillo Volume 3

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  • Giovannino Guareschi

    Tutto don Camillo

    MONDO PICCOLO

    Volume 3 di 5

    Racconti dal 153 al 218

  • 153 EMPRIO PITACI

    Un tragico destino si accaniva da anni e annorum sui Bigatti, e all'ultimo, all'Anteo, era toccatala sorte peggiore di tutti i Bigatti perch la malignit paesana, oltre al nomignolo, gli aveva appiop-pato un cognomignolo e lo chiamava Emprio Pitaci.

    Il padre di Anteo, Giosu Bigatti, fin da ragazzo ce l'aveva messa tutta per far capire alla genteche lui non era un villano quadro come gli altri, ma aveva delle idee dentro il cervello: ce l'avevamessa tutta per non confondersi con la massa e per conquistare il rispetto del paese con la sua serie-t e con la sua non indifferente cultura. Niente da fare: gli avevano appiccicato sulle spalle il nomi-gnolo di Pitaci e gli era rimasto.

    Il pitaci non una porcheria: il pitaci un'erba che cresce sulle rive dei fossi e caccia fuoriuno strano fiore che pare un candido piumino da cipria, piantato in cima a uno stelo alto poco pi diuna spanna. Si coglie delicatamente il fiore con tutto lo stelo e si soffia sul piumino che si sfalda inmille pelucchi che volano via come nella marca di fabbrica dell'Enciclopedia Larousse. Con uncolpo d'unghia si tronca in due lo stelo buttando via la parte superiore, quella del piumino. Si stringel'altro troncone fra l'indice e il pollice della sinistra in modo che ne rimanga libero un pezzetto altodue o tre dita. Con l'indice della mano destra si abbatte tutto in avanti e poi tutto all'indietro e dinuovo in avanti e poi all'indietro il pezzetto di tubetto fino a quando non si spezzi. Per, mentre silavora col dito, bisogna dire ad alta voce una faccenda come questa: Pitaci della ror, fa pi p ela maga consiste nel far s che il pitaci si spezzi sul p: allora, soffiandovi dentro, il tubettosuona come una trombettina.

    Il pitaci non una porcheria: per un uomo che si senta chiamare Pitaci, ci sforma. Del resto,anche il tamarindo una cosa buona, eppure non c' uomo che non si offenda a chiamarlo Tamarin-do.

    A venticinque anni Giosu Bigatti non sopport pi il fatto che al paese tutti lo chiamassero Pi-taci e and a lavorare in citt.

    Rimase via quindici anni e torn in paese ben vestito, ben scortato di quattrini e bene ammo-gliato.

    tornato Pitaci disse tranquilla la gente appena lo vide.In citt, Giosu Bigatti aveva lavorato duramente e ora tornava per far vedere a quei villani re-

    trogradi chi fosse lui e come si dovesse fare a stare al mondo. In paese esistevano solo botteguccevecchie come il cucco, bottegucce umide, buie, anguste, con vetrinette miserabili: compr una casain piazza e mise in piedi il pri. mo vero negozio del paese. Un negozio con grande vetrina, mostrine,insegna e saracinesche come in citt. E sull'insegna fece scrivere:

    GIOSU BIGATTI& FIGLIOEMPORIO

    ARTICOLI CASALINGHI

    Questo avveniva un anno e mezzo dopo il ritorno di Giosu in paese e il figlio di cui parlaval'insegna non aveva ancora raggiunto i dieci mesi: comunque il figlio c'era e si chiamava Anteo Bi-gatti. Ma la gente non ci stette neppure a pensar sopra un minuto: Giosu Bigatti e figlio Empo-rio, disse la gente.

    E, siccome Giosu Bigatti si chiamava Pitaci, Anteo Bigatti venne chiamato Emprio Pitaci.Anteo non ne aveva nessuna colpa, ma quello dei Bigatti era un tragico destino e il nomignolo

    gli rimase sul groppone. Suo padre e sua madre non tentarono neppure di lottare: e quando un gior-no, arrivato Anteo ai sei anni, torn dalla scuola piangendo perch i suoi compagni lo avevano chia-mato Emprio Pitaci, il padre gli rispose:

  • Lasciali dire, Anteo. Quando sarai grande gli farai vedere chi sei tu!.Anteo si piant dentro il cervello quelle parole e, in seguito, quando lo chiamavano Emprio o

    Pitaci, incassava sempre senza batter ciglio.A diciassette anni, per, la cosa incominci a dargli fastidio perch anche le ragazze lo chia-

    mavano Emprio; allora disse a suo padre:Mandami a studiare in citt.Nessuno in paese sapeva cosa accidente studiasse Emprio in citt. Tornava al paese per le va-

    canze e, quando gli amici cercavano di andargli sotto, se la cavava dicendo: Faccio pratica com-merciale.

    Quando Emprio comp i ventidue anni, in paese scoppi la bomba. Emprio studiava canto;stava scritto sul giornale, nella cronaca della provincia: Anteo Bigatti si era particolarmente distintonel saggio al Conservatorio.

    E non ci furono dubbi perch nella vetrina dell'emporio d'articoli casalinghi c'era, appiccicatoal cristallo, il giornale con un gran frego rosso attorno alla notizia del saggio al Conservatorio.

    Aspettarono che Emprio tornasse per le vacanze, ma Emprio non torn. Emprio si personella nebbia disse la gente.

    Cinque anni dopo il vecchio Bigatti mor. La vecchia rimase alcuni mesi a piangere in bottegapoi, una mattina, la saracinesca non si lev e rimase sempre abbassata: i coniugi Pitaci si eranoriuniti.

    Forse morto anche lui comment la gente non vedendo Emprio comparire n al funeraledel padre n a quello della madre.

    Ma Emprio Pitaci non era morto, e un giorno torn a galla dalla terza pagina di un giornale:Clamoroso successo del tenore Anteo Bigatti in Argentina.

    La gente, in paese, rimase perplessa: non riusciva ad ammettere che Emprio Pitaci potesseaver combinato qualcosa di cos grosso.

    Poi fu costretta ad ammetterlo perch il nome di Anteo Bigatti divent sempre pi famoso e,quando il quotidiano nazionale pi importante pubblic l'intervista che Anteo Bigatti aveva conces-so al corrispondente newyorchese, al paese venne la frenesia.

    Nell'intervista Anteo Bigatti affermava che, una volta finiti i suoi numerosi impegni coi princi-pali teatri d'America, avrebbe cantato in Europa e, quindi, anche in Italia: e questo era bene. Ma, piavanti, si affermava che Anteo Bigatti era nato a Castelletto, un piccolo paese in riva al Po.

    Porci maledetti! url la gente in paese. Anteo Bigatti nato qui, non a Castelletto! AnteoBigatti nostro!

    Peppone fece fotografare il registro delle nascite e mand la fotografia al giornale con una let-tera di fiera protesta. Il direttore del giornale approfitt dell'occasione per spedire un inviato specia-le al paese a raccogliere materiale per un articolo sulla fanciullezza del grande tenore.

    Risult che tutti avevano da raccontare qualche episodio sulla straordinaria vocazione per ilcanto che Anteo Bigatti aveva dimostrato, fin da quando era ragazzino, e risult che tutti avevanodetto, a suo tempo: Questo ragazzo far cose grandi.

    Soltanto don Camillo, quando il giornalista and a intervistarlo, spieg che lui non aveva capi-to proprio niente:

    Era quello che cantava peggio, nel coro. Ricordo che fui costretto a escluderlo per completamancanza di voce e d'orecchio. Come tipo di ragazzo era taciturno, musone e piuttosto antipatico.

    Il giornale stamp puntualmente anche le dichiarazioni di don Camillo e la cosa fu tanto gros-sa, per il paese, che Peppone organizz un pubblico comizio per deplorare indignato coloro che,pur vestiti della tonaca dei ministri della religione cristiana, approfittano di ogni occasione per de-nigrare gli illustri artisti espressi dai virgulti generosi del sano popolo lavoratore.

    Disse inoltre che il paese si gloriava di avere come figlio Anteo Bigatti anche se l'oscuranti-smo medioevale del clericalismo aveva tentato di ostacolarne la radiosa carriera negando la bellezzadi quel canto che oggi risuona nei principali teatri del mondo e porta alto il prestigio della Nazione edel paese natio!.

    Don Camillo non si inquiet. Rispose con estrema semplicit:

  • Non posso rimproverare il buon Dio perch non mi ha fornito di fine intuito musicale, tantopi che mi ha regalato una virt ben pi importante: quella della sincerit.

    Pass del tempo e, ogni volta che qualche giornale parlava di Anteo Bigatti, il ritaglio con lanotizia o l'articolo venivano appiccicati alle vetrine di tutti i caff e di tutti i negozi pi importanti.

    Poi, il giorno in cui la stampa e la radio comunicarono che Anteo Bigatti era arrivato in Italia, ilpaese fu come sconvolto da una ventata di entusiasmo, tanto vero che risult necessario costituireimmediatamente un comitato.

    Anteo deve venire qui! disse il paese. Prima di tutto egli deve venire nel luogo che gli hadato i natali, che l'ha ispirato, che l'ha sostenuto nelle sue prime dure battaglie. Deve venire qui, frai suoi amici, fra i suoi compagni di giochi, fra la gente che gelosamente ha conservato i suoi morti!La sua voce la voce di questa terra: la nostra voce e noi abbiamo il diritto di sentirla prima deglialtri.

    Il comitato lavor giorno e notte e, alla fine, decise: Qualcuno parta immediatamente per Mi-lano, trovi Anteo, gli porti il vibrante messaggio di benvenuto di tutto il paese e lo convinca a venirequi, almeno per una sera, a cantare per noi. Gli garantiamo una organizzazione perfetta e la presen-za di tutte le principali personalit della provincia e della stampa nazionale.

    Il difficile incominci quando si tratt di trovare chi andasse a Milano a convincere con la suaparola appassionata il celebre tenore.

    Peppone obiett che lui sarebbe andato volentieri, ma, data la sua posizione politica, non vole-va che Anteo, il quale veniva dall'America e, probabilmente, aveva delle errate idee sui comunisti,venisse indotto a equivocare circa le intenzioni del sindaco.

    Allora, per eliminare ogni equivoco, si stabil che, assieme al sindaco, sarebbe andato anche ilparroco.

    E don Camillo fu costretto ad accettare. Fu costretto soprattutto dalla sua furibonda curiosit divedere cosa fosse diventato, dopo tanti anni, quel musone di ragazzino che aveva tanto orecchioquanto una tegola.

    *

    Peppone, a vestirlo dalla festa con pantaloni stirati, scarpe lustre, colletto, cravatta e penna sti-lografica nel taschino, funzionava come se lo avessero inamidato dentro e fuori. Le parole arrivava-no fino al bottone del colletto poi ritornavano gi impaurite, a ribollir dentro lo stomaco.

    Parlate voi, reverendo disse quando furono davanti al grande albergo milanese. Parlate pureanche a mio nome. Cercate magari di non farmi dire delle sciocchezze troppo grosse.

    Non temere, compagno lo rassicur don Camillo. Ti far dire le stupidaggini solite.Ci fu da aspettar parecchio prima che don Camillo e Peppone potessero ottenere via libera.E, quando furono davanti alla porta dell'appartamento di Anteo, erano piuttosto agitati tutt'e

    due.Li ricevette un personaggio pieno di sussiego.Sono il segretario spieg. Il commendatore molto affaticato: li prego di essere brevi.Anteo, in vestaglia da camera, era sdraiato in una enorme poltrona di velluto rosso. Stava leg-

    gendo un giornale e lev lentamente il capo.Prego sospir con voce lontana. Dicano pure.Peppone tocc col gomito don Camillo che stava l in piedi al suo fianco e guardava il celebre

    tenore a bocca aperta.Ecco balbett don Camillo noi siamo qui, il sindaco e io, a portarle il benvenuto affettuoso

    del paese.Anteo Bigatti fece un sorrisetto:Del paese? domand con calma. Scusino, di quale paese?Don Camillo, che fino a quel momento non era riuscito a raccapezzarsi, ingran decisamente la

    marcia.

  • Del nostro paese rispose. Del suo, del mio e di quello del signor sindaco. Del paese dove lei nato, insomma.

    Anteo Bigatti fece un sorrisetto tutto tirato da un lato:Molto interessante e molto carino rispose. Un pensiero davvero gentile.Don Camillo cominci a vedere della nebbia: per fortuna Peppone era riuscito a vincere il

    "complesso del colletto" e a dar fiato sufficiente alle sue parole:Commendatore disse Peppone il nostro paese orgoglioso di lei e ha sempre seguito con

    ansia i suoi successi mondiali. E allora tutti, al di sopra delle correnti politiche, siamo qui a chieder-le il privilegio di una sua visita.

    Il celebre tenore sospir:Capisco rispose. Ma i miei impegni sono tali e tanti che mi assolutamente impossibile.Il segretario allarg le braccia e scosse il capo.Impossibile disse anche lui. Assolutamente impossibile.Don Camillo intervenne:Ci rendiamo perfettamente conto di quello che lei dice, commendatore. Il celebre tenore deve

    avere davvero degli impegni straordinariamente gravi se non riesce a concedere al figlio neppurepoche ore di permesso per andar a vedere se i suoi vecchi son stati sotterrati in un cimitero oppurelungo la riva di un fosso.

    Anteo Bigatti impallid. Poi divent rosso. Ma don Camillo non se ne accorse neppure. Lancia-ta la sua freccia avvelenata, aveva voltate le spalle al celebre tenore e veleggiava maestoso verso laporta. Peppone lo segu.

    Ma non fecero a tempo a imboccar la scala che sopraggiunse affannato il segretario:Li prego, signori. Qui c' un equivoco. Non si preoccupino, lascino fare a me, sistemer tutto

    io: trover il modo di posporre qualche impegno. Domani riceveranno un mio telegramma. Nel frat-tempo evitino di fare qualsiasi dichiarazione alla stampa. Qui tutto chiaro e semplice e non biso-gna complicare ci che chiaro e semplice.

    Don Camillo cap che aveva il coltello per il manico e non lo moll:Certamente rispose. Noi abbiamo organizzato un solenne ricevimento per il commendatore,

    il quale, la sera, sar tanto gentile da eseguire qualche pezzo per noi del paese. Tutti sono in grandeaspettativa. Oltre al resto lo scopo benefico. Inviteremo le autorit, la stampa. Una cosa degna delcommendatore.

    Il segretario mand gi.Lascino fare a me rispose. Certamente, il commendatore canter. Per niente stampa, niente

    autorit Altrimenti egli dovrebbe pagare grosse penali dati i contratti che ha firmato. S, una cosain famiglia.

    Peppone era raggiante:Certamente esclam. Anteo e noi siamo figli della stessa terra. Una cosa intima, familiare,

    senza estranei.Usciti dall'albergo Peppone e don Camillo camminarono in silenzio per un bel pezzo. Poi don

    Camillo sospir:Peppone, io ti dico che avrei agito pi da galantuomo se, invece di fargli quel discorso, gli a-

    vessi rifilato una sberla. Dio mi avrebbe perdonata la sberla, difficilmente mi perdoner quelle paro-le.

    Ma Peppone schiattava di contentezza e non si preoccupava minimamente del disagio spiritualedi don Camillo.

    *

    La mattina seguente arriv il telegramma. Il commendatore accettava d venire e di cantare estabiliva la data. Peppone fece subito sparare un manifesto trionfale e il paese si prepar a riceveredegnamente il suo illustre figlio. Il salone venne rimesso a nuovo: pittura ai muri, vernice alle porte.Vennero installati altoparlanti in modo che anche la gente rimasta fuori potesse sentire.

  • Anteo Bigatti arriv nel primo pomeriggio del giorno fissato e la gente lo aspettava fin dal mat-tino.

    Quando apparve nella piazza la enorme macchina americana del tenore, non rimasero nelle ca-se neppure i gatti.

    Anteo era di pessimo umore: scese dal macchinone nero che la polvere delle strade della Bassaaveva reso biancastro. Tocc col dito affusolato dall'unghia curatissima un risvolto del suo meravi-glioso doppiopetto grigio a righe bianche e fece una smorfia di disgusto:

    Un'indecenza: sono pieno di polvere anch'io. Pieno di sudore e di sudiceria! Prego, portatemialla mia stanza, devo rimettermi a posto.

    La gente applaudiva e gridava: Viva Anteo!, ma Anteo aveva premura soltanto di raggiunge-re la sua stanza. Il fatto di essere arrivato al paese con una macchina stupenda ma che, essendo pie-na di polvere, non faceva neppure met dell'effetto che avrebbe potuto fare, lo deprimeva. E poi an-che lui era in disordine. Aveva la faccia untuosa, sciupata.

    Presto, presto, la stanza del commendatore! gemeva intanto il segretario che volteggiava in-torno al tenore come un caccia attorno al bombardiere.

    Poi, quando finalmente vide la stanza, il segretario si coperse il volto con le mani:Ges, Ges! una cosa impossibile! Almeno la stanza doveva essere qualcosa di decente!.L'albergatore, che aveva tirato fuori dai cassettoni la sua biancheria pi candida e aveva messo

    sui mobili tutte le cose pi belle della casa, compresa la coppa d'argento placcato guadagnata neltorneo di bocce, era umiliatissimo.

    Presto, il bagno! esclam Anteo arrivando e gettandosi su una sedia. Presto, un bagno caldoe subito o un disastro.

    Tutti erano usciti dalla stanza e stavano l, davanti alla porta chiusa, come rimbambiti: schizzfuori il segretario.

    Per favore implor il bagno. Il bagno, per favore; il commendatore in condizioni pietose.Il bagno!

    Si guardarono in faccia l'un con l'altro, poi Peppone balbett:Il bagno il bagno non c' Capisca, questo un paese.Il segretario sbarr gli occhi.E come faccio a dirglielo al commendatore? Qui succede una tragedia!Mettiamo subito su dell'acqua e prepariamo la bigoncia del bucato! propose l'oste. Ma il se-

    gretario non gli diede neppure retta. Disse che bisognava trovare un bagno.Alla palazzina vecchia c' un bagno! esclam lo Smilzo. Lo mettiamo a posto e vuol dire

    che il bagno lo andr a fare l.Peppone, lo Smilzo e il Bigio corsero alla Palazzina e alla vecchia custode dissero che non

    rompesse l'anima perch dovevano requisire il bagno per motivi di utilit pubblica.Effettivamente il bagno c'era. L'aveva fatto impiantare nel 1920 quel matto del Trambini,

    quando gli erano venute le smanie della nobilt. Lo scaldabagno era a legna, di quei trabiccoli alti dirame. La vasca di ferro smaltato era gialla di sporcizia e piena di patate e di cipolle.

    Lo Smilzo vol in officina a prendere dell'acido e, mentre il Bigio e la vecchia si affannavano asgombrare la vasca e il camerino, Peppone si attacc alla caldaia. Lavor febbrilmente e riusc ariempirla d'acqua. Teneva bene e allora Peppone accese il fornello.

    Quando, un quarto d'ora dopo, ritorn lo Smilzo con l'acido, la caldaia scoppi.La squadra riprese tristemente la via del ritorno e davanti all'alberghetto trov il segretario che

    aspettava cupo.Abbiamo trovato il bagno spieg Peppone. Ma la caldaia scoppiata.Il segretario lo guard, poi disse con voce nella quale fremeva l'orrore:Non importa. Il commendatore sta facendo il bagno dentro un bigoncio!.La gente, adesso, si era tutta raggruppata davanti all'albergo e aspettava. Sapeva che Anteo Bi-

    gatti stava facendo il bagno e rispettava la sua pace.Dopo mezz'ora la gente incominci a battere le mani e a gridare: Viva Anteo!, Fuori Ante-

    o!. Arriv la banda che attacc il suo pezzo forte e Anteo dovette affacciarsi alla finestra. Aveva

  • una stupenda vestaglia di seta. Sorrise, agit la bianca mano e l'enorme diamante che aveva al ditosfavill al sole.

    Poi il segretario scese pregando la gente di lasciar tranquillo il commendatore che aveva biso-gno di riposo e di silenzio.

    Pareva che tutto fosse finalmente tranquillo e che tutto dovesse procedere bene ma, verso sera,il commendatore chiese qualcosa da mangiare e gli portarono un enorme piatto di salame e culatel-lo, un'anitra arrosto e una plancia di lasagne al forno.

    Il segretario quasi si metteva a piangere:Qualcosa da mangiare per un cantante, non per una leonessa! gemette. Roba leggera, un

    piccolo brodo ristretto, una fettina di prosciutto magro, un cetriolo, un dito di vino di PortoL'oste, che aveva tagliato sei culatelli e otto salami prima di trovare due pezzi perfetti, si sent

    morire.Il brodino, fatto cos alla svelta, risult una schifezza, il prosciutto sapeva di rancido, il lambru-

    sco non riusc neppure a ricordare il Porto. Il cetriolo dovette essere sostituito con un orrendo maz-zo di ravanelli.

    Il commendatore pareva Giove al quale, invece di nettare, avessero rifilato una fetta di morta-della.

    Intanto le ore galoppavano: il salone era zeppo, la piazza gremita.Male anche tutto questo perch, dopo aver dovuto lavorare come un carro armato per fendere la

    folla nella piazza, Anteo Bigatti trov la sala zeppa, appunto, come un uovo quando invece avrebbedovuto essere vuotissima e ci allo scopo di permettere al commendatore di mettersi d'accordo colmaestro di pianoforte e provare qualcosa per via dei toni e dei trasporti. La gente fu costretta a usci-re tutta e fu un gas. E poi ci fu la tragedia del maestro di piano che non capiva niente. Alla fine tuttoand a posto e la gente pot ritornare in sala.

    Peppone, che si era messo un vestito nero nel quale scoppiava perch aveva dovuto prenderlo aprestito, quando la banda ebbe eseguito, dalla piazza, l'inno di Mameli, si avanz sul palco introdu-cendo con un gesto maestoso Anteo Bigatti che indossava un frac tagliato dal miglior sarto di Pic-cadilly. L'applauso fu qualcosa di spaventoso. Anteo si inchin sorridendo come si sarebbe inchina-to se fosse stato non nel salone del suo paese, ma sul palcoscenico del Metropolitan.

    Peppone snocciol un discorso formidabile che terminava: E ora vorremmo che il grande An-teo Bigatti, il nostro grande Anteo, prima di cantare dicesse una parola ai suoi amici.

    La cosa infastid spaventosamente Anteo che, dopo aver esitato parecchio, si avanz al prosce-nio e disse con voce indifferente:

    Canter per voi "Celeste Aida ".La gente tacque e stette a guardare Anteo Bigatti che lentamente andava assumendo la posa

    statuaria dell'Ugola Divina che si accinge a regalare al mondo lurido e pezzente uno dei gioiellimirabili del suo scrigno.

    Tutto si svolse in un silenzio assoluto, un silenzio quasi soprannaturale. Anteo Bigatti era ora-mai pronto: il brillante enorme che aveva al dito esplose in mille barbagli.

    Il piano preludi. Le labbra di Anteo si dischiusero. La voce usc e la gente ne fu come sgo-menta. La gente trattenne il fiato per timore di turbare l'aria nella quale si distendeva quell'argenteofilo canoro. E il filo, dopo essersi disteso nel silenzio, prese a salire in lente volute, via via fino araggiungere le prime stelle del cielo e sost un istante per prendere lo slancio che l'avrebbe portatoal culmine dell'infinito. E qui, implacabile, inequivocabile, esplose una stecca colossale, orrenda.

    Una stecca atomica che lasci atterrito Anteo Bigatti e tolse alla gente quel pochino di fiato chele era rimasto.

    Ma fu questione di un decimo di secondo. Immediatamente una voce url:Emprio, va a cantare in Argentina!.E cento altre voci crepitarono:Pitaci, vai a letto!.Pitaci!. Pitaci! Pitaci!.

  • Fu qualcosa come una ribellione, una sommossa, una rivoluzione. Fu un grido feroce, spietato.Un sibilare furibondo di cento vapori in pressione.

    Poi una risata zampill in mezzo alla sala, e altri zampilli schizzarono un po' dappertutto fino aquando la risata non divent un fiume vorticoso.

    Anteo Bigatti impallid: rimase immobile qualche istante poi infil la porticina e scomparve.Pochi minuti dopo entrava nell'albergo.

    Povero Emprio Pitaci, te l'hanno dato il prosciutto magro e il cetriolo! gli grid dietrosghignazzando l'oste.

    Non fece neppure le valigie: aiutato dall'autista e dal segretario, abbranc la sua roba alla rinfu-sa e, sceso, la butt dentro la macchina. L'immensa Buick si mosse e scomparve rapidamente nellanotte.

    Erano le nove. La gente continu a ridere fino all'una di notte, poi tutti andarono a letto perchnon ne potevano pi di ridere.

    All'una e mezzo crepit e si spense l'ultimo Pitaci! e, alle due, il paese piomb in un sonnodi piombo.

    La piazza rimase deserta. Le lampade erano immobili perch non soffiava un alito di vento.Alle due e un quarto un enorme fantasma nero scivol fino al margine della piazza e qui si

    ferm.Un uomo usc dall'ombra del fantasma e, arrivato al centro della piazza, ristette.A un tratto la lama di una voce altissima for quel silenzio. E la voce aumentava sempre pi di

    volume fino a diventare un canto pieno e dispiegato. Un canto che percorse rapido il porticato attor-no alla piazza, poi volteggi nel cielo e riemp la notte.

    Tutta la gente si svegli e dischiuse le finestre e dalle fessure rimir sbigottita Emprio Pitaciche era tornato indietro e ora cantava in mezzo alla piazza deserta.

    Una, due, cinque, dieci arie; l'una dopo l'altra, una pi difficile dell'altra, e l'ultima fu proprioquella che Emprio aveva dovuto interrompere alcune ore prima nel salone: Celeste Aida.

    Quando arriv all'acuto, l dove era esplosa la stecca, la voce balz sicura all'arrembaggio diquella nota che, forse, nessuno era riuscito mai a sfiorare, e l'agguant sicura per il lungo gambo ela colse come fosse un fiore e, come fosse un fiore, la depose davanti alla saracinesca polverosa delnegozietto che portava scritto sull'insegna scolorita:

    GIOSU BIGATTI& FIGLIOEMPORIO

    ARTICOLI CASALINGHI

    Poi Emprio Pitaci torn dentro la sua grossa macchina e disparve. Nessuno fiat, le gelosiesi riaccostarono silenziosamente e don Camillo, che anche lui si era levato ad ascoltare, torn a lettoe sussurr:

    Ges, fate che le anime dei suoi vecchi l'abbiano sentito.

  • 154 LA BUONA TERRA

    Peppone, ogni volta che gli parlavano del Magnaschi, faceva la smorfia dello schifato e sputavaper terra.

    Il Magnaschi non gli era mai andato gi per un sacco di ragioni e, quando avvenne il ribaltone,il Magnaschi fu il primo a essere chiamato davanti al tribunale del popolo.

    Lei colpevole di aver svolto attivit politica contraria agli interessi del popolo e alla libert eatta a potenziare il tirannico regime dittatoriale disse Peppone al Magnaschi.

    Io non ho fatto della politica rispose calmo il Magnaschi. Non ho mai ricoperto cariche.Tutti possono testimoniare che io non mi sono mai mosso dal mio podere.

    Lei non si mai mosso, ma tutti possono testimoniare che nel suo podere era un continuo via-vai di gerarchi con gli stivaloni e col piccione sul berretto. Perch venivano da lei e non andavanodagli altri?

    Perch il mio podere era, allora, quello che oggi: il podere meglio coltivato della provincia.Il mio podere ha sempre dato il grano migliore di ogni altro. Del resto io sono l'agricoltore che haavuto i premi pi importanti nella battaglia del grano.

    Qualcuno salt su pieno di furore:E hai anche la spudoratezza di vantartene! La battaglia del grano era una iniziativa del regime

    e tu, combattendo per la battaglia del grano e quindi per il trionfo di questa iniziativa, hai potenziatoil regime!.

    Il Magnaschi spalanc le braccia:In verit io avevo la sola intenzione di potenziare la produzione del grano: non sapevo che

    fosse un reato politico aver fuori la media normale di quindici quintali di grano per biolca anzichsette o otto.

    Peppone divent rosso:Il valore politico della battaglia del grano era infinitamente superiore al suo valore economi-

    co grid.Ma il Magnaschi era preparato a tutto. Cav di saccoccia un foglio arrotolato e lo porse al pre-

    sidente del tribunale del popolo spiegando:Questo il diploma di medaglia d'oro che mio padre ha ricevuto dalla Cattedra Ambulante

    d'Agricoltura nell'anno 1913, per aver ottenuto, nel podere Santa Lucia, una produzione media diquindici quintali di grano per biolca. Il mio errore, quindi, non stato quello di aumentare la produ-zione del grano, ma di non averla diminuita. Io ho continuato stupidamente l'opera di mio padre in-vece d distruggerla. Comunque, la mia buona fede chiara; vuol dire che, adesso, cercher di di-minuire la produzione: mi dispiace per i miei contadini che, oltre al salario normale di spesati, han-no sempre avuto un premio di produzione.

    Peppone mastic amaro poi disse categorico:Per il momento torni a casa e rimanga a nostra disposizione. Verr chiamato quando sia com-

    pletata l'inchiesta.Non lo chiamarono pi e a Peppone la faccenda rimase sul gozzo: perch, col Magnaschi, ce

    l'aveva per ragioni personali, pi che per la politica. Non era il solo a detestare il Magnaschi, in pae-se. Il Magnaschi dava fastidio a un sacco di gente a causa di quelle sue arie da Padreterno che s'erasempre dato. Arie ingiustificate, dicevano tutti: perch, se il podere Santa Lucia era quello che era,il merito spettava semplicemente ai quattrini che il vecchio Magnaschi aveva lasciato a suo figlioassieme alla terra.

    facile fare l'agricoltore per sport borbottavano i contadini. facile cavare due raccoltidalla terra quando ci sono tutti i quattrini che si vuole da buttar via. Macchine, concimi, semi sele-zionati, irrigazione, manodopera, bestiame di razza pregiata, mangimi: facile cavare cento da unpodere spendendo centocinquanta. Ma noi dobbiamo vivere sul prodotto e quindi, arrivati a una cer-

  • ta cifra, non possiamo spendere un centesimo di pi. Dateci i quattrini del Magnaschi e faremo ren-dere i nostri poderi come il suo e anche pi del suo!

    A un sacco di gente il Magnaschi era simpatico come il fumo negli occhi soprattutto per viadella sua superbia, e parecchi avrebbero visto volentieri nei pasticci. Ma il tribunale del popolo finprima che finisse il Magnaschi e, siccome il Magnaschi da quella volta divent ancora pi riservatoe si tenne ancora pi fuori dalla vita degli altri comuni mortali del paese, la gente lo detest ancoradi pi.

    Da parte sua, Peppone, ogni volta che gli parlavano del Magnaschi, faceva la smorfia delloschifato e sputava per terra. E una mattina, in Comune, aveva appena finito di sputar per terra per-ch avevano dovuto parlargli del Magnaschi a proposito della rettifica della Strada Vecchia, quandolo Smilzo lo venne a chiamare d'urgenza.

    Peppone scese e trov, fermo in piazza, un meraviglioso torpedone da gran turismo pieno digiovanotti.

    Due signori assai distinti si fecero avanti, e il meno attempato, dopo essersi presentato a Pep-pone e dopo avergli presentato l'altro che, stringendo la mano a Peppone, pronunci sorridendoqualche parola incomprensibile, spieg:

    Sono gli allievi della scuola agraria pi importante della Francia, compiono un giro per i variPaesi d'Europa guidati dai loro professori. Vogliono studiare sul posto le caratteristiche dei vari tipid'agricoltura e avere sul posto dei dati statistici effettivi, non i soliti dei libri di scuola. Questa zonali interessa perch, si pu dire, il centro della produzione della salsa di pomodoro, dei salumi, delformaggio grana eccetera: lei pu farci da guida in modo da poter accedere a qualche podere, visita-re stalle, granai, fienili, colture e via discorrendo?.

    Peppone non ebbe un istante di perplessit, chiam lo Smilzo e gli disse:Vola alla Torretta e spiega al vecchio Beletti che fra mezz'ora saremo l per visitare il suo po-

    dere: digli che bisogna fare buona figura con l'estero e che cerchi di mettere tutto in ordine.Poi Peppone fece dire a quelli del torpedone che il sindaco desiderava offrire loro un rinfresco

    e porgere loro il benvenuto del paese.Poco dopo, nella sala del Consiglio, Peppone alzava il bicchiere alla salute della comprensione

    reciproca di tutti i popoli liberi e al trionfo della pace.L'accompagnatore rispose con un adeguato discorsetto e gli studenti sottolinearono le parole

    del sindaco e del loro professore con grandi applausi.Quando lo Smilzo torn ad avvertire Peppone che tutto funzionava, Peppone disse che, se gli

    ospiti lo desideravano, si poteva andare.Giovani e professori ripresero posto nel torpedone e Peppone li precedette in motocicletta.Lo Smilzo era con lui, rannicchiato dentro il carrozzino.Questa la volta che quel maiale del Magnaschi crepa di rabbia! disse Peppone a un tratto.

    Quando sapr che ho portato i francesi dal Beletti ci far una malattia! finito il bel tempo in cuiogni due giorni capitava in paese la squadraccia dei gerarchi e andava a render omaggio al frumentodel Magnaschi! Adesso niente gerarchi e niente Magnaschi! Adesso si vanno a visitare tutti i poderifuori che quello del Magnaschi!

    Lo Smilzo sopir:Giusto, capo: peccato per che l'unico podere veramente in gamba sia ancora quello del Ma-

    gnaschi.Non diciamo stupidaggini! url Peppone. Santa Lucia non un podere in gamba. Non il

    podere normale della zona! una specie di baraccone delle meraviglie organizzato col concetto fa-scista del generale che, durante l'ispezione, gli fan vedere un magnifico cannone vero e lui risponde:"Benissimo!" e non sa che tutti gli altri sono cannoni finti, sagome di legno! In democrazia si guar-da alla sostanza!

    Lo Smilzo disse che il capo aveva ragione. Per aveva un'obiezione da fare:Noi dobbiamo guardare in faccia la nostra realt per non crearci delle illusioni, e sta bene. Ma

    utile che gli stranieri guardino in faccia la nostra realt? E poi penseranno che se noi gli facciamo

  • visitare il podere del Beletti quello sar il migliore di tutti. E siccome il podere del Beletti non ungran che, considereranno che noi abbiamo una agricoltura piuttosto depressa.

    Questo un ragionamento fascista! url Peppone mentre lo Smilzo si cacciava tutto dentro ilcarrozzino.

    Erano arrivati al bivio del Pioppo: a sinistra la strada che conduceva al podere del Beletti, a de-stra la strada che conduceva al podere del Magnaschi.

    Peppone prese la strada di destra e, quando se ne accorse, era troppo tardi per ritornare indietroperch aveva svoltato anche il torpedone. Allora Peppone, furibondo, url allo Smilzo:

    Porco maledetto, mi hai fatto sbagliare! Quando torniamo a casa facciamo i conti!.Il Magnaschi si comport da signore e ignor completamente Peppone. Solamente alla fine,

    quando, terminata la visita ai campi, gli stranieri vennero ricevuti nell'ombroso giardino della signo-ra Magnaschi, il Magnaschi concedette al sindaco la grazia di considerarlo presente.

    Uno degli accompagnatori domand al Magnaschi quanti quintali di frumento riuscisse a otte-nere come produzione media normale per ettaro. Allora il Magnaschi si volse verso Peppone e glidisse:

    Signor sindaco, posso dirgli la verit o debbo dire di meno?.Peppone non gli diede retta.Quarantacinque quintali per ettaro spieg agli ospiti.I professori fecero un sorrisetto incredulo che non piacque a Peppone. E Peppone allora si indi-

    rizz al Magnaschi:Gli faccia vedere i diplomi, le medaglie eccetera! Cos si convincono che non raccontiamo

    balle!.Il Magnaschi lo guard incuriosito:Anche quelli con il fascio? si inform cautamente.Fu allora che Peppone pronunci una delle sue storiche frasi:Qui non si fa della politica, qui si fa della statistica!.

    *

    Questo Magnaschi aveva un solo figlio, Gigino, che al tempo, appunto, della visita degli stu-denti francesi toccava i venticinque anni. Aveva un diploma di scuola media, ma se l'era dimentica-to da un sacco di tempo perch, da un sacco di tempo, si occupava esclusivamente di far prosperare,assieme al padre, le cento biolche del podere Santa Lucia. Aveva imparato tutto quello che c'era daimparare da suo padre e, in casa, lo trattavano da uomo.

    Gigino aveva un segreto: non s'era confidato con nessuno, neanche con sua madre, la signoraVirginia, perch era un tipo riservato, orso pi ancora di suo padre. Ma un giorno, a tavola, vuot ilsacco.

    Ho conosciuto una ragazza che va bene per me disse Gigino e ho deciso di sposarla.Gigino diceva solo le cose essenziali e parlava sempre a ragion veduta; se aveva detto: Ho co-

    nosciuto una ragazza che va bene per me significava che egli aveva studiato il tipo arrivando aquella conclusione. Se aveva detto: Ho deciso di sposarla ci significava che, se anche suo padree sua madre o chiunque altro non avessero trovata di loro gradimento la ragazza, egli l'avrebbe spo-sata ugualmente.

    La signora Virginia rimase come fulminata. Il padre si limit ad allargare le braccia dicendo:Ognuno segue la strada che crede quella buona. E questa ragazza chi sarebbe?.La figlia di Bigoni.Allora fu Magnaschi padre a rimanere a bocca aperta.Bigoni? domand sbalordita la signora Virginia. Bigoni di Fiumetto?S rispose il figlio.Ma Bigoni era un nostro vaccaro! esclam angosciata la signora Virginia. un ignorante,

    un uomo grossolano.

  • Io non debbo sposare lui spieg con calma il giovanotto. io sposo sua figlia. una bella ebrava ragazza, ha studiato un po', sa il fatto suo.

    Il padre non disse niente, era una cosa enorme per lui: Gigino sposava la figlia di un suo exvaccaro!

    Se non avete niente in contrario, stasera la vado a domandare annunci Gigino.Il Magnaschi padre si strinse nelle spalle:Vedi tu.La signora Virginia pianse tutta la notte e il Magnaschi non riusc a chiudere occhio. Alla mat-

    tina poi ci fu l'altro colpo, il pi grosso.Arriv in macchina il vecchio Bigoni e la signora Virginia, appena lo vide, and a chiudersi in

    camera sua.Il Bigoni era sempre quello di un tempo e, vestito della festa, pareva ancora pi brutto e volga-

    re.Entr subito in argomento:Vostro figlio venuto a dirmi che vuol sposare la mia Paolina: se per voi va bene, per me va

    bene.Il Magnaschi borbott:Se mio figlio ha deciso cos lui che deve sposarsi, non io.Bene! esclam il Bigoni. Stando cos le cose si conclude alla svelta. Io ho quattro figli e

    una figlia: a ognuno dei quattro figli lascio un podere. A mia figlia do una dote in contanti di ventimilioni. Voi ne cacciate altri venti che fan quaranta e son proprio quelli che ci vogliono per conclu-dere un buon affare. Vendono la tenuta di Camporosso che di cento biolche con rustico in ordine eun bel palazzo. I due ragazzi si trasferiscono l e conducono il podere cos come voi lo conducetequi. Mi pare che sia una cosa ben fatta.

    Il Magnaschi approv l'idea:Mi pare una buona cosa.Allora vediamo di sbrigarci perch c' un sacco di gente che fa la posta a Camporosso e non

    bisogna lasciarsi scappare l'occasione.Il vecchio Bigoni se ne and tronfio e sudante, e la signora Virginia venne gi a sentire le novi-

    t.E tutto fu presto detto.Non riesco ancora a crederci gemette la signora Virginia. A ogni modo sia fatta la volont

    di Dio.Il Magnaschi strinse i pugni: venuto per umiliarmi coi suoi quattrini! esclam. Sporco villano!La signora Virginia si fece pi accomodante:Venti milioni di dote non sono da buttar via. E Camporosso e un ottimo affare. Hai sempre

    detto anche tu che un podere in gamba. Dagli i quattrini e che vivano la loro vita. L'importante che qui, a Santa Lucia, i Bigoni non mettano mai piede! Occhio non vede, cuore non sente.

    Il Magnaschi guard la moglie.Virginia disse con angoscia come si fa?Come si fa che cosa?Come si fa a dargli venti milioni? Tutto quello che possediamo oggi il podere di Santa Lucia

    e tre milioni in banca.La signora Virginia cadde a sedere su una poltrona. Era la prima volta che suo marito le parla-

    va di questioni finanziarie: mai le aveva detto niente, mai aveva permesso che altri, all'infuori di lui,si occupasse di affari. La rivelazione la colse di sorpresa e la lasci sgomenta.

    Non posso cercare venti milioni in prestito qui: anche se li trovassi non li prenderei. Questasoddisfazione non la dar mai a questi pezzenti. Nelle banche chiedono il dieci, il quindici per centodi interesse, adesso. Non riuscirei mai a pagare. Per dare venti milioni a Gigino non c' che un si-stema: vendere Santa Lucia.

  • Mai! grid la donna. Sarebbe la peggior cosa. Significherebbe distruggere tutto irrimedia-bilmente. Significherebbe aver vissuto inutilmente. Tu non puoi tradire tuo padre! Santa Lucia sempre stato l'orgoglio dei Magnaschi e lo deve rimanere. C' un altro sistema: opporsi al matrimo-nio. Se Gigino se la vuol sposare, la sposi senza avere un soldo da noi.

    Il Magnaschi scosse il capo:Gigino ha diritto di sposare chi vuole e noi non possiamo opporci. Inoltre i Bigoni e tutti gli

    altri direbbero che noi abbiamo trovato questa scusa perch non abbiamo i venti milioni. Sarebbe untrionfo per questa gentaglia.

    La signora Virginia era ritornata la solita signora Magnaschi, impassibile e impenetrabile.Decidi quel che vuoi disse. Io sono pronta a tutto.Il giorno dopo il Magnaschi mand a chiamare il Bigoni:Ho pensato tutta notte alla faccenda spieg al Bigoni. L'affare di Camporosso buono ma

    non se ne fa niente,Il Bigoni lo guard:Per venti milioni voi rinunciate a un colpo grosso!.Non me ne importa niente rispose duro il Magnaschi. Mio nonno ha creato il nucleo di San-

    ta Lucia, mio padre lo ha reso il podere pi bello della regione e lo ha passato a me che l'ho reso ilpodere pi bello d'Italia. Santa Lucia deve passare a mio figlio che lo render il podere pi bellod'Europa.

    Il Bigoni sghignazz:Non esageriamo! Qui giochiamo ai campionati del mondo!.Con voi non accetto neppure di discutere su questo tema. Io sono il miglior agricoltore d'Italia

    e vi ho cacciato via perch eravate il peggior vaccaro dell'universo! Ricordatevelo.Intanto per oggi sono in grado di dare un podere a ognuno dei miei quattro figli e venti mi-

    lioni di dote a mia figlia! grid il Bigoni.I soldi guadagnati col mercato nero non nobilitano la vostra bassa origine e non diminuiscono

    la vostra ignoranza! afferm il Magnaschi. Io non dar un centesimo a mio figlio. Io sono malatoe debbo ritirarmi in riviera. Non ce la faccio pi: se continuo crepo. Io mi ritiro e lascio Santa Lucia,cos come si trova, a mio figlio perch non posso ammettere che un altro che non sia un Magnaschipossa condurre questo podere. Coi vostri venti milioni i ragazzi potranno comprare altre cinquantabiolche e ingrandire il podere: Pattini disposto a cedere tutta la parte del suo fondo che confinacon Santa Lucia. O cos, o niente!

    Il Bigoni allarg le braccia:Per me va bene: fate vobis.

    *

    Celebrato il matrimonio fra Gigino e la figlia del Bigoni, concluso l'affare delle cinquanta biol-che, il Magnaschi e la moglie fecero le valigie e partirono.

    Arrivati a Roma, andarono a trovare Giorgio, l'unico e grande amico di famiglia che avessero:Giorgio spieg il Magnaschi. Ho lasciato tutto a mio figlio. Non domandarmi perch ho fat-

    to questo. L'ho fatto perch lo dovevo fare. Non abbiamo pi niente e ho bisogno di lavorare. Man-daci da qualche parte. Sai che io conosco il mio mestiere.

    Ho comprato una grande tenuta in Sudafrica. Non c' niente e bisogna creare tutto: un uomocome te quello che ci vuole.

    Quando dobbiamo partire? rispose la signora Virginia.

    *

    Appoggiati al parapetto di poppa, il Magnaschi e la signora Virginia guardavano verso la terrache piano piano si allontanava.

    Quando fu scomparsa e si trovarono fra cielo e mare, il Magnaschi sospir:

  • Tutto finito. il viaggio senza ritorno. Pare di essere come morti e di guardare il mondo deivivi allontanarsi, mentre si vola in cielo. E, in pratica, siamo morti.

    Ma siamo morti bene! esclam la signora Virginia. E c'era, nella sua voce, un orgoglio smi-surato.

  • 155 COMUNQUE

    Don Camillo era di bocca buona e, pi d'una volta, aveva ingoiato roba durissima da digerire:ma Comunque non riusciva proprio a mandarlo gi.

    Fra tutti quelli della banda di Peppone, Comunque era l'unico che mettesse paura a don Camil-lo: e non perch si trattasse di un forzuto o d'un violento, ma per tutt'altra ragione.

    Fino a quando Comunque era stato semplicemente Cesarino Delfosso, don Camillo non avevamai avuto motivo di preoccuparsi particolarmente di lui.

    Poi, un bel giorno, Cesarino s'era trasferito non si sa dove per frequentare la scuola di Partito.Possedeva una memoria formidabile e, ritornando in paese dopo parecchi mesi, non era pi un uo-mo, ma un perfetto fonografo automatico corredato di una completa collezione di dischi.

    Per ogni obiezione aveva il suo bravo disco pronto: e ogni disco era inciso con diabolica abilitperch per alcuni giri seguiva fedelmente il filo logico della discussione, poi lentamente, dolcemen-te, senza che gli ascoltatori potessero rendersi conto del trapasso, mollava il tema della discussioneper svicolare in un altro tema. Cosicch l'oppositore si trovava alla fine nella situazione del pugileche si chiude nella pi ermetica guardia per parare e controbattere il pugno dell'avversario che glista dinanzi e, a un tratto, riceve una pedata nella schiena da un compare dell'avversario.

    Oltre alla provvista di dischi, Cesarino s'era portato dalla citt anche il comunque: una parolache aveva scoperto alla scuola di Partito e che gli era piaciuta tanto e poi tanto da sentire il bisognodi ficcarla un inverosimile numero di volte nei suoi discorsi.

    E, cos, in paese l'avevano soprannominato Comunque.Don Camillo era stato il primo a esperimentare la slealt delle armi di Comunque. E si tratt di

    una esperienza particolarmente dolorosa perch il fatto accadde sulla pubblica piazza, durante uncomizio. Comunque stava parlando gi da un bel pezzo e, a un certo punto, don Camillo non seppetrattenersi e lo rimbecc. Comunque non batt ciglio: mise sul fonografo il disco ad hoc e seppelldon Camillo sotto una valanga di parole.

    Questa non una risposta all'obiezione che ho fatto io! protest alla fine don Camillo. Que-sta un'altra questione!

    Comunque sorrise:Una volta, in guerra, un generale and a fare un'ispezione agli avamposti e s'imbatt in un

    soldato che stava sdraiato per terra. "Perch non ti alzi e non saluti?" domand il generale. "Sonootto giorni che sto qui di guardia e nessuno mi ha mai portato n da mangiare n da bere" rispose ilsoldato. "Questa una faccenda che non riguarda il regolamento di disciplina bens la Sussistenza!Questo un altro discorso!" url il generale. Comunque, reverendo, la questione era sempre la stes-sa, invece, per la semplice ragione che il soldato stava crepando di fame e non aveva neanche laforza di tirarsi su per salutare il generale.

    Don Camillo aveva dovuto lottare come un leone per cavarsi fuori da quel pasticcio e ne erauscito malconcio, in verit, perch impossibile discutere con un fonografo.

    Comunque divent il numero uno della propaganda, e siccome ogni occasione era buona peroffrirgli il pretesto di impiantare una discussione, dopo un certo tempo tutti scopersero il segreto delgiochetto ed evitarono di attaccar discorso con lui. Tutti, eccettuati i rossi per i quali Comunquerappresentava la pi rigorosa logica, quella logica inflessibile davanti alla quale non c'era obiezionedegli avversari che potesse rimanere in piedi. Ed erano i rossi che interessavano a Comunque e alPartito.

    *

    Don Camillo era di bocca buona, ma questo dannato Comunque non riusciva a mandarlo gi.Peppone, invece, aveva dovuto mandarlo gi perch, il primo giorno che, in sede, entr in discus-

  • sione con Comunque perch non si trovava d'accordo su certe sue affermazioni, Comunque gli dis-se:

    Compagno, le tue obiezioni sono quelle classiche che mi farebbe un reazionario. Debbo ri-sponderti come risponderei a un reazionario, o mi basta ricordarti che questo che ho esposto ilpunto di vista del Partito?.

    Il punto di vista del Partito, se non sbaglio replic Peppone che nell'interno del Partito permessa la discussione democratica.

    permessa la discussione democratica ma non con argomentazioni antidemocratiche affer-m Comunque.

    Peppone non ritenne opportuno continuare la discussione perch capiva che l'idea di prendere acalci Comunque difficilmente avrebbe potuto essere interpretata come una argomentazione demo-cratica.

    Mand gi e non torn pi in argomento.Anzi, il giorno in cui incontr don Camillo, si dimostr tutt'altro che insoddisfatto del lavoro di

    Comunque:Reverendo, se non sbaglio, ho l'idea che sia arrivato il tipo capace di mettervi i fichi a due la

    lira! esclam. Mi pare che risulti piuttosto difficile mettere nel sacco quel giovanotto!Impossibile rispose calmo don Camillo. Nel sacco c' gi. Ce l'hanno messo alla scuola del

    Partito.Facile cavarsi d'impiccio con una battuta spiritosa replic Peppone. Meno facile discutere

    col mio giovanotto.Impossibile addirittura afferm don Camillo. Perch tu gli domandi cosa fa due pi due e

    lui ti risponde: "Domani venerd".Peppone sghignazz:Comunque mi pare che fino a oggi la cosa funziona.Hai imparato anche tu a dir "comunque"? si inform don Camillo. Adesso il comunismo

    forse diventato comunquismo?Reverendo, mi pare che anche voi, quando vi domandano cosa fa due pi due, rispondiate:

    "Domani venerd".Pu darsi: con la semplice differenza che io lo dico il gioved, mentre il tuo campione lo dice

    il marted o il sabato.Bisognerebbe che voi lo poteste dimostrare! esclam Peppone.Impossibile, compagno sindaco: il calendario del tuo partito non va d'accordo col calendario

    dei galantuomini.Peppone si fece aggressivo:Reverendo, vi rimasta nel gozzo la figura da cioccolatino che avete fatto quando avete tenta-

    to di mettere nel sacco Cesarino?.Pu anche darsi: per tu non ci sei mai riuscito.Peppone accus il colpo:E cosa c'entra questo?.C'entra perch io non capisco come mai nella tua sezione il capo rimani sempre tu quando a-

    vete uno che ragiona meglio di te.Ci sono molte cose che voi non capite! replic Peppone. Sappiate comunqueRicominciamo a comunquare? lo interruppe con un sorrisetto cattivo don Camillo.Andate all'inferno voi e i pronomi! grid Peppone volgendogli le spalle e allontanandosi fu-

    ribondo.

    *

    Comunque, dopo un anno di intensa attivit oratoria, venne chiamato in citt per la revisionedel fonografo e l'aggiornamento del repertorio.

  • Torn con ogni congegno perfettamente lubrificato e con una serie completa di dischi nuovitutti dedicati alla Russia: progresso straordinario della Russia, ferma volont di pace della Russia,necessit di amare la Russia anche a costo di odiare tutti gli altri popoli del mondo, urgenza di de-nunciare il patto atlantico per stringere importanti rapporti commerciali e scambi culturali con laRussia e via discorrendo. Comunque si gett a capofitto alla sovietizzazione delle masse e facevadelle sparate oratorie da togliere il fiato. E, quando proprio ebbe raggiunto la vetta dell'esaltazione,accadde il fatto.

    I carabinieri mandarono a chiamare Comunque per comunicazioni personali urgenti e Comun-que and.

    Peppone se lo vide ricomparire davanti a sera tarda e con aria cupa.Cosa volevano? si inform preoccupato Peppone. un guaio grosso rispose Comunque. Manda via tutti perch si tratta di una cosa molto de-

    licata.Rimasti soli alla Casa del Popolo, Peppone si rivolse a Comunque:Parla!.Comunque allarg le braccia:Capo, una cosa che riguarda me personalmente ma, impegnato come sono in questo momen-

    to, pu tornare, in un certo senso, a danno del Partito.Spiegati! Cos'hai combinato?Niente, una storia vecchia. Tu lo sai che anche io, come tanti altri, ho dovuto fare la guerra.

    Anche io ho dovuto combattere contro gente che non conoscevo, anche io ho dovuto servire la cau-sa sbagliata e diventare strumento della violenza dei dittatori. Anche io faccio parte di quella gene-razione tradita che ha aperto gli occhi quando era troppo tardi, anche io, come tanti altri, ho incon-sciamente servito gli interessi dei mercanti di cannoni e dei tiranni

    Taglia corto lo interruppe Peppone. Io non ti ho chiesto di fare l'autocritica. Inoltre nella tuascheda c' scritto tutto: eri caporale di Sussistenza in Grecia.

    Comunque scosse il capo:Nella scheda c' scritto cosi, ma in realt io non facevo parte della Sussistenza in Grecia, ma

    ho combattuto come bersagliere in Russia.Peppone lev il capo di scatto.Ti sei comportato come un cretino. Dovevi dire la verit.Questi sono sistemi da ragazzini e da donnette. A ogni modo non vedo dove stia il pasticcio

    grosso e cosa c'entrino i carabinieri. Che porcheria hai combinato in Russia?Questa sussurr Comunque porgendo a Peppone un grosso rotolo. Me l'hanno consegnato i

    carabinieri stasera.Peppone distese sulla scrivania il foglio.Era il decreto di concessione di medaglia d'argento al valor militare al caporale dei bersaglieri

    Cesare Delfosso: e la motivazione era lunga e significativa.Peppone lesse attentamente il foglio poi sollev il capo:Volontario? disse con voce cupa.S rispose assai umiliato Comunque.Promosso caporale per ardimentosa impresa di guerra!S.Poi, da solo, con bombe a mano sei andato a snidare e a eliminare tre soldati russi che con la

    loro mitragliatrice pesante battevano un valico infliggendo gravi perdite ai reparti italiani in avanza-ta!

    Comunque allarg le braccia:Quando ho visto cadere fulminato al mio fianco Gigi, il mio pi caro amico, non ho capito pi

    niente.E quando hai fatto l'altra azione di guerra che ti ha fruttato i galloni da caporale?L'esaltazione della battaglia Eravamo un po' tutti come pazzi

  • E quando sei andato volontario nel corpo di spedizione contro la Russia che esaltazione ave-vi?

    Non lo so rispose Comunque. Ero tanto giovane Ci avevano avvelenato il sangue a scuo-la Io appartengo a quella infelice generazione

    Me l'hai gi spiegato! afferm bruscamente Peppone. Adesso mi devi spiegare come te lacaverai quando, mentre tu parlerai in comizio dei fratelli russi eccetera, quel maledetto di don Ca-millo ti sventoler sotto il naso il giornale con la notizia della medaglia d'argento, la motivazione etutto il resto.

    Nessun giornale stamper questo! protest Comunque.Se il corrispondente effettivo del giornale degli agrari non fosse don Camillo, e se don Camil-

    lo non fosse l'uomo capace di ficcare il naso dappertutto, forse te la caveresti. Ma stando comestanno le cose, gioco diecimila lire contro un bottone che dopodomani c' sul giornale la notizia sutre colonne. Vuoi dirmi come te la caverai?

    Comunque strinse i denti e rimase a pensarci sopra un bel pezzo inutilmente. Allora intervennein suo aiuto Peppone.

    C' soltanto un sistema: appena ti sventolano sotto il naso il giornale, tu rispondi: "Non micogliete di sorpresa: aspettavo questo. Ecco difatti il decreto". Cacci di tasca il decreto, lo fai vede-re, poi lo stracci in mille pezzi e spieghi: "Rifiuto sdegnosamente questa medaglia che mi ricorda unvergognoso passato che io disprezzo. Ho sbagliato come centomila giovani della mia et hannosbagliato, vittime della delittuosa propaganda della dittatura. alla dittatura e a voi che l'avete crea-ta e sostenuta che io getto in faccia i brandelli di questo passato di vergogna che non torner maipi". Eccetera. Ti prepari il discorsetto e poi, domattina, vieni qui e me lo fai sentire cos concor-diamo i particolari.

    Va bene, capo disse Comunque rimettendosi in tasca il suo rotolo e andandosene. Li farcrepare di rabbia, quei maledetti.

    *

    Peppone non aveva sbagliato: in quel momento don Camillo girava in su e in gi per la canoni-ca in preda alla pi viva agitazione.

    Sapeva gi tutto. Gli avevano portato la copia completa del decreto e una foto, la foto di ungruppetto di bersaglieri che mostravano allegramente un cartello sul quale stava scritto:

    Quando saremo a Mosca ci pianterem la giostra diremo ai bolscevichi che siamo in casa no-stra.

    E in prima fila, proprio col cartello in mano, stava il bersagliere Cesarino Delfosso detto Co-munque.

    Don Camillo non riusciva a trovare la calma necessaria per sedersi a tavolino e buttar gi la no-tizia da inviare al giornale. Oltre al resto era incerto: inviare foto e notizia al giornale oppure farstampare dei manifestini da distribuire durante il primo comizio di Comunque?

    Finalmente si sedette al tavolino e impugn la penna: aveva deciso per il giornale.Intinse la penna, la prov su un fogliaccio e, quando fu sicuro che funzionava perfettamente

    bene, scaravent la penna lontano.L'asticciola and a conficcarsi sul fianco di un armadietto e l rimase assieme a tutte le tenta-

    zioni sconfitte da don Camillo.

    *

    L'indomani mattina Peppone ricevette la visita di Comunque. Hai preparato il discorsetto?s'inform bruscamente Peppone. S rispose Comunque. Sentiamo.

    Comunque rimase qualche istante a testa bassa come per rimeditare le parole che aveva archi-tettato di pronunciare, poi disse:

  • Sventolino tutti i giornali che vogliono: io non straccer niente. Io la medaglia me la sonoguadagnata e me la tengo.

    Peppone tentenn il testone:Ti rendi conto esattamente di quello che dici?.S: ci ho pensato e ripensato tutta la notte. Io non posso vergognarmi di essere stato un bravo

    soldato. Io allora ero convinto di servire il mio Paese e quelli contro i quali combattevo erano perme i nemici del mio Paese.

    Peppone lo guard severamente:Tu dunque non ti vergogni, oggi che hai aperto gli occhi e sai come stavano e stanno le cose,

    non ti vergogni di aver fatto fuori quei tre poveretti che difendevano il loro Paese invaso?.Me ne dispiace, ma non posso vergognarmene spieg Comunque.Ci gravissimo.Sarebbe pi grave se mi vantassi di essere stato disertore.Se tu fossi stato disertore oggi non ti sentiresti la colpa di aver partecipato attivamente a una

    guerra ingiusta.Se una guerra giusta o ingiusta lo si sa soltanto quando finita. Se la si perde ingiusta, se

    la si vince giusta. Io allora sapevo soltanto che il mio dovere era quello di andare a combatterecome gli altri.

    Bene concluse Peppone. Se tu mi fossi venuto a dire che accettavi di stracciare il brevettodella medaglia ti avrei cacciato via a calci.

    Non c'era pericolo: piuttosto di stracciare quel foglio straccio la tessera del Partito.Puoi tenere tranquillamente l'uno e l'altra lo rassicur Peppone. Vedr io di mettere a posto

    ogni cosa per il resto.Appena entrato in canonica, Peppone mise senza tante storie la faccenda sul tappeto:Reverendo, caso mai non lo sapeste ancora, vi avverto che il cosiddetto Comunque, quello

    che adesso fa la rclame alla Russia, ha preso una medaglia d'argento per un eroico fatto d'armecompiuto combattendo contro i russi.

    Lo so gi rispose don Camillo.Lo immaginavo. Sono quindi certo che, se non l'avete gi fatto, provvederete a mandare la no-

    tizia al giornale in modo da poter in un certo senso mettere in imbarazzo lo stesso Comunque.Me ne guardo bene replic don Camillo. Gli affari interni del vostro partito non m'interes-

    sano.Peppone arross di rabbia:Capisco, reverendo, a voi interessano soltanto i fatti disonorevoli che accadono nel mio Parti-

    to. Se a uno dei miei riconoscono il merito di essere stato un bravo soldato, questo non vi interessa. uno strano modo di fare il corrispondente del cosiddetto "giornale indipendente". Se foste un uo-mo onesto, mettereste sul giornale non soltanto il brutto ma anche il bello.

    Don Camillo si alz, and nell'angolo dello stipo, cav la penna infissa nel legno, rabberci ilpennino e, sedutosi al tavolo verg rapidamente alcune righe: A riconoscimento di una eroica a-zione di guerra nel corso della quale, da solo, riusciva a raggiungere e a distruggere un nido dimitragliatrici tenuto saldamente da tre soldati nemici, stata concessa al caporale dei bersaglieriCesare Delfosso la Medaglia d'argento al Valor Militare.

    Mostr il foglietto a Peppone che lesse attentamente la notizietta.Se si trattasse di uno dei vostri, avreste fatto un romanzo! comment alla fine.Don Camillo allarg le braccia:Se Dio ti porge un dito non afferrarGli la mano sentenzi.Non sapevo che adesso vi avessero promosso addirittura Padreterno comment Peppone.

    Volete che vi paghi subito il disturbo o aspetto che mi mandiate la nota a casa?Aspetta la nota: ma non te la mander io. Te la presenter il Padreterno quando sar ora.Speriamo che sarete tanto gentile da farmi fare uno sconto.Peppone usc ed era molto soddisfatto.

  • 156 MENELIK

    Giarn il carrettiere era conosciuto come la betonica e, in paese, si sapeva tutto su Giarn ec-cettuata una cosa soltanto: se fosse pi bestia lui o il suo cavallo.

    In generale, alla gente grossolana scappa, quando parla, qualche bestemmia: Giarn, al contra-rio, era un tipo al quale, nel parlare, scappava qualche parola perch il suo vocabolario era compo-sto esclusivamente di bestemmie, e le bestemmie non sono parole.

    Giarn aveva conosciuto tempi splendidi e s'era trovato ad avere nove magnifiche bestie da ti-ro: sei cavalli e tre figli. Allora, quando uno del paese o dei dintorni si metteva in strada con un bar-roccio, una bicicletta, una moto o una automobile, doveva ogni volta pregare il Padreterno che nonlo facesse incocciare in qualche Giarn.

    Salvo la provinciale, le strade della Bassa erano tutte poco pi di grossi sentieri e ogni Giarnragionava cos: Se la strada basta appena appena per me, perch pretenderesti di servirtene anchetu? Lasciami dormire e arrangiati!.

    Brutto affare svegliare un Giarn quando dormiva bocconi sul colmo del carico di ghiaia osabbia del suo barroccio. Brutto affare perch tutti i Giarn erano fabbricati della stessa stramale-detta pasta e non ci mettevano niente a tirar gi legnate col manico della frusta o sventole col badi-le.

    Del resto, a quei tempi, non soltanto i Giarn la pensavano cos: la faccenda di andar gi distrada e cedere il passo a qualcuno era una questione d'onore per tutti i carrettieri in genere. E non sitrattava neanche di cattiveria o di prepotenza; quando il carrettiere tornava su dal fiume dopo avercaricato un cassone di roba, si sentiva in diritto d'esser lasciato tranquillo: si buttava con la panciasulla sabbia fresca e, mentre il sole gli arrostiva la schiena, si addormentava e lasciava che il cavallose la sbrigasse. E il cavallo tirava avanti e si arrangiava da solo fin dove poteva.

    I cavalli dei carrettieri erano brave bestie, le pi brave bestie del mondo, e la gente si trovavad'accordo nel dire che erano meno bestie dei loro padroni. Salvo nel caso del cavallo di Giarn pa-dre la gente aveva qualche perplessit. Perch il cavallo di Giarn padre non si limitava a tirare a-vanti per la sua strada quando il padrone dormiva: ma, ogni volta che passava davanti a una osteria,si fermava e rimaneva l fino a quando Giarn non si fosse svegliato.

    No diceva sempre don Camillo per me Giarn pi bestia del suo cavallo perch stato luiad abituare il cavallo a fermarsi davanti a ogni osteria. Il cavallo si limita a fare quello che gli hannoinsegnato.

    Per me, invece, pi bestia il cavallo che Giarn replicava qualcuno. Perch un cavallo,bestia che sia, avrebbe il dovere morale di ragionare lui quando il ragionamento del suo padronenon funziona. Un cavallo che non fosse pi bestia di Giarn non si fermerebbe davanti alle osteriecostringendo il padrone a svegliarsi e a scendere per riempirsi di vino.

    Discussioni peregrine, baggianate se si vuole, ma che servono a spiegare che arnese fosse Gia-rn e che razza di arnesi potessero essere i figli di uno stramaledetto del genere.

    Giarn, dunque, aveva conosciuto tempi splendidi poi, una bella volta, era scoppiato il guaiogrosso. Rincasando, una sera, Giarn trov che i suoi tre figli avevano un'aria differente dal solito.Mangiarono in silenzio, poi il pi vecchio dei figli vuot il sacco:

    Qui non si va pi avanti disse. Qui bisogna venire a una decisione o si crepa di fame.Giarn sfoder una bestemmia con intonazione interrogativa. inutile che vi scaldiate esclam cupo il figlio. Guardatevi d'attorno e vedrete che noi sia-

    mo gli unici in tutta la plaga a insistere nel nostro mestiere. Tutti gli altri hanno capito gi da unpezzo che coi cavalli non si pu fare concorrenza ai camion. Il camion carica dieci volte tanto e fadieci volte pi strada di un cavallo. E mentre al cavallo bisogna dar da mangiare anche quando nonc' lavoro, il camion, quando sta fermo, non consuma niente.

  • Giarn domand dove il figlio volesse arrivare con questo suo discorso. E il figlio glielo spie-g:

    Abbiamo sei bestie e un po' di quattrini da parte: vendiamo le bestie e compriamo un camion.C' un'occasione buona e non bisogna lasciarla perdere.

    Giarn si guard attorno e si accorse che tutt'e tre i figli erano d'accordo: allora la sua ira esplo-se e ne salt fuori una scena spaventosa.

    Alla fine Giarn url:Chi vuol cambiare, se ne vada. La roba mia e ne faccio quel che voglio io!.La roba nostra! replic il figlio pi vecchio perch anche noi abbiamo lavorato come voi.

    I diritti sono uguali.Giarn spar la sua pi orrenda bestemmia poi concluse:Voi fate come volete: io mi tengo Menelik e la Bionda e continuo il mio mestiere.Tre sere dopo, rincasando carico di vino, Giarn trov sotto il portico un grosso camion. Era

    una bella macchina, e i tre figli di Giarn se la stavano rimirando come se fosse il panorama di Na-poli.

    Giarn lo guard con odio e sput per terra.Gli passer! borbott ridacchiando il figlio pi vecchio rivolto agli altri due.Non gli pass e anche quando, un mese dopo, i figli gli mostrarono i conti e gli spiegarono il

    guadagno di trenta giorni di lavoro, Giarn non si smosse.I conti non si fanno dopo un mese afferm. I conti si fanno in ultimo.Non volle neppure toccare quei soldi.Puzzano di petrolio disse. il petrolio che ha rovinato il mondo. Da quando in questa casa

    si sente puzzo di petrolio non va pi bene niente.Il figlio maggiore salt su imbestialito:In questa casa non va bene niente quando voi puzzate di vino come adesso! replic.Giarn si scagli su di lui per picchiarlo ma il figlio lo respinse con una manata. Giarn era

    gonfio di vino fino agli occhi e fin per terra lungo disteso.Si rialz faticosamente e la sua ira era diventata furore perch sentiva che riusciva a malapena

    a reggersi in piedi.Avete avuto tutto quello che vi spettava e anche di pi! url ai figli. Andatevene via di qui

    e portatevi via quel canchero perch se io me lo trovo domani ancora fra i piedi gli do fuoco! Viatutti, porci vigliacchi!

    I tre se ne andarono la notte stessa: caricarono le loro carabattole sul camion e partirono senzadir niente.

    In casa rimasero soltanto Giarn e la vecchia e fu una vita schifosa perch tutti i discorsi fra idue erano costituiti dalle furibonde bestemmie di Giarn e dal silenzio cupo di sua moglie.

    Giarn continu a fare il carrettiere: non aveva rinunciato a niente. Era l'unico di tutta la Bassache continuasse a portare la fascia di lana rossa e verde attorno alla vita, le camicie a quadroni, ilgil a doppiopetto col catenone del grosso Roskoff d'argento, il cappello alla socialista buttato intesta alla diotifulmini.

    Giarn continu a fare il carrettiere senza rinunciare a niente anche se a un bel momento dovet-te rinunciare alla Bionda e accontentarsi di tirare avanti alla bell'e meglio con Menelik.

    Non rinunci alla sua fascia rossa e verde, non rinunci al suo vino, non rinunci alle sue or-rende bestemmie. E la volta in cui in una stradetta solitaria don Camillo gli arriv alle spalle in bici-cletta e gli grid che si facesse da parte perch la strada non era sua e anche gli altri avevano dirittodi passare, Giarn url con voce roca cose da far drizzare i capelli a un ateo calvo.

    Don Camillo, abbandonata la bicicletta, lo agguant per una gamba e lo tir gi dal barroccio.Giarn rugg don Camillo sbatacchiando il carrettiere contro una sponda del barroccio.

    Questa volta io te le faccio pagare tutte.Siete un vigliacco uguale a mio figlio che mi ha messo le mani addosso approfittando che a-

    vevo bevuto un po' rispose Giarn afflosciandosi come uno straccio tra le mani di don Camillo.Picchiatemi quando sono giusto, se avete il coraggio!

  • Don Camillo moll il carrettiere e risal sulla sua bicicletta.Giarn disse don Camillo chi semina vento raccoglie tempesta. Tutti ti abbandoneranno se

    continui questa tua porca vita. Un giorno sarai solo come un cane.Non me ne importa un accidente replic Giarn. A me basta che non mi abbandoni il mio

    cavallo.Ti abbandoner anche lui!I cavalli sono pi galantuomini dei cristiani! url Giarn. I cavalli non tradiscono.Fu la stessa sera che, rincasando, Giarn non trov pi sua moglie. Trov un bigliettino sulla

    tavola apparecchiata: Vado coi miei figli: ho sopportato anche troppo.Giarn spacc tutto quello che gli capit sottomano, ma quello sfogo non gli bastava e allora

    and nella stalla e, urlando come un pazzo, si scagli su Menelik.Tu no, porco maledetto! urlava mentre furibondo riempiva di pugni la testa del cavallo. Tu

    non mi pianterai come gli altri! Tu non mi tradirai! Tu non ti ribellerai!Giarn era pieno di vino e le sue mani non riuscivano a colpire bene la bestia: allora afferr la

    corta frusta per la parte sottile e incominci a menar legnate a Menelik. Sulla testa, sulla schiena,sul ventre: legnate feroci come se, invece di picchiare un cavallo, stesse picchiando un uomo.

    Menelik nitr e prese ad agitarsi atterrito ma Giarn continu a pestarlo sempre pi ferocemen-te. A un tratto la cavezza si spezz e, con un balzo, il cavallo si scagli verso la porta della stalla.

    Giarn fu travolto e cadde. Quando si rialz il cavallo era gi scomparso in mezzo ai campi.Ti abbandoner anche lui! Giarn s ricord le parole di don Camillo e grid ancora una

    orrenda bestemmia.Poi si sent spossato e con la testa vuota e and a buttarsi sul letto.Si svegli che il sole era gi alto: si trov ancora vestito e con le ossa peste. Nel fuggire Mene-

    lik col ferro di uno zoccolo gli aveva ferito uno stinco.Scese zoppicando e la casa era silenziosa e deserta: in cucina i cocci delle stoviglie che nel suo

    furore Giarn aveva spaccato occupavano il pavimento.Sulla tavola devastata c'era ancora il bigliettino della donna: Vado coi miei figli.Poco male se gli fosse rimasto Menelik: ma anche il cavallo se ne era andato. Giarn entr nel-

    la stalla vuota. Guard la cavezza spezzata.Il furore lo riprese e voleva urlare chi sa cosa: ma per la prima volta nella sua vita non ebbe la

    forza di bestemmiare.Usc a testa bassa dalla stalla e and dietro la casa per dare un'occhiata al barroccio sotto il por-

    tico.Il barroccio era l e, fra le stanghe, stava fermo, ad aspettare pazientemente, Menelik.Giarn rimase un istante perplesso, poi si avvicin lentamente al cavallo e, buttatigli addosso i

    finimenti che erano appesi al muro, glieli affibbi. Nel mettergli il sottopancia si accorse che Mene-lik aveva una scorticatura. Chi sa quante altre ne aveva sulla schiena e sul muso.

    Hiup! grid Giarn mettendo un piede su un raggio di una delle due alte ruote del cassone eaggrappandosi con le mani alla fiancata. Hiup!

    Il cassone si mosse, la ruota gir sollevando il carrettiere che salt al momento giusto dentro ilcassone.

    *

    Giarn rivide due dei suoi figli un anno dopo.Era un pomeriggio pieno di sole e il cassone di Giarn stava rollando sui sassi della Strada

    Quarta mentre Giarn dormiva con la pancia sul colmo del carico di sabbia fresca.Un suono prepotente di clacson lo svegli: si volse e vide che un grosso camion era dietro il bi-

    roccio e domandava il passo.Riconobbe nei due uomini che stavano dentro la cabina i primi due dei suoi tre figli, i pi an-

    ziani.

  • Non disse bai. Riprese a dormire e lasci che Menelik continuasse a camminare nel bel mezzodella strada.

    Quelli del camion non insistettero col clacson: avevano riconosciuto Giarn e seguirono zittizitti il barroccio per sei chilometri, fino al quadrivio della Pioppaccia: qui il cassone svolt a destrae il camion tir diritto.

    Passarono altri due anni e Giarn ricevette la notizia che sua moglie era morta. Non and al fu-nerale perch non voleva incontrarsi coi figli. Ma con due dei figli doveva incontrarsi sette od ottomesi pi tardi.

    Fu sulla provinciale vicino al bivio del Molinetto. Giarn dormiva come al solito in cima al suocassone carico di sabbia e, a un tratto, qualcuno ferm il cavallo e url qualcosa. Giarn si trovdavanti a un gruppo di gente che stava discutendo. C'erano anche i carabinieri.

    Giarn scese e and a curiosare anche lui. Niente di straordinario.Un camion finito dentro il canale gli spieg qualcuno. Uno degli autisti dormiva nella

    cuccetta della cabina, l'altro deve aver preso sonno per il caldo e la stanchezza. Sono morti tutt'e duesul colpo.

    I due cadaveri stavano sul ciglio della strada coperti da un telone: Giarn si appress e, china-tosi, sollev un lembo della tela.

    Lo sapeva anche prima di sollevare la tela: erano Diego e Marco, i suoi due ragazzi pi vecchi.Allora Giarn bestemmi come non aveva mai bestemmiato:Era meglio se lo bruciavo! urlava. Maledetti stupidi, ve l'avevo detto che il petrolio la ro-

    vina.Scese nel canale per sputare sui rottami del camion. Voleva incendiare tutto e dovettero tirarlo

    via per forza.Risal sul cassone e riprese la sua strada. E la gente lo vide agitarsi e lo sent bestemmiare fino

    a quando Menelik non svolt per la stradetta del Mulino Vecchio.Gli rimaneva il terzo figlio e gli dissero che adesso abitava a Fiumetto dove faceva servizio di

    corriere con un motocarro veloce. Un anno dopo lo vennero ad avvertire che anche il terzo figlioaveva raggiunto gli altri due. Un autotreno lo aveva appiccicato a un muro assieme al motocarro.

    Giarn bestemmi come un pazzo e il giorno in cui incontr don Camillo e don Camillo scesedalla bicicletta per venirgli a parlare e fargli animo e convincerlo a sopportare con animo sereno lesue disgrazie, Giarn agguant la frusta per la parte sottile e url:

    Prete maledetto: se hai il coraggio di parlare ti ammazzo a legnate!.Le bestemmie del vecchio fecero impallidire don Camillo che non ebbe la forza di farlo tacere.Una volta che il vecchio tacque perch il fiato gli mancava, don Camillo gli parl con dolcez-

    za:Giarn, il dolore vi rende pazzo: che Dio vi faccia rinsavire e vi protegga.Dio! url Giarn. Non voglio aver niente a che fare col tuo Dio! Il tuo Dio mi ha tradito!

    Tutti mi hanno tradito: soltanto il mio cavallo non mi ha tradito e non mi tradir!

    *

    Continu mesi e anni a girare per le stradette della Bassa il biroccio di Giarn e, quando la gen-te lo incontrava, aveva l'idea di veder passare la carretta del Demonio perch Giarn era tanto gon-fio di odio verso Dio e verso il suo prossimo che le sue bestemmie non soltanto orrore facevano, mapaura.

    Continu mesi e anni a navigare tra i campi della Bassa la carretta del Demonio e a incontrarlaveniva fatto alla gente di segnarsi. Giarn non parlava pi con nessuno, parlava soltanto con Mene-lik: sdraiato sulla sabbia del cassone, Giarn parlava con Menelik e ci fu una ragazza che, un gior-no, arriv spaventata da don Camillo e gli giur di aver sentito lei, con le sue orecchie, che Menelikrispondeva a Giarn.

    Ho sentito un cavallo parlare come un cristiano! gemette la ragazza.

  • Io ho sentito di peggio replic don Camillo. Ho sentito adesso una ragazza parlare comeuna gallina. Cerca di dire delle cose meno stupide!

    Menelik continu a trascinare il biroccio del vecchio Giarn per un sacco di tempo ancora, e ilvecchio Giarn continu a parlare con Menelik: o urlava come un ossesso, o parlava sottovoce conMenelik. Ma una sera d'autunno accadde qualcosa che fece rimanere perplesso Menelik.

    Il vecchio Giarn, dopo aver parlato a lungo con Menelik, tacque e non prese a urlare: inco-minci a gemere e quel lamento appunto fece drizzare le orecchie a Menelik.

    Era oramai buio e le strade deserte e silenziose: Menelik si ferm e lanci un nitrito. Ma gli ri-spose soltanto il gemito di Giarn. Allora Menelik riprese il cammino e, arrivato al fontanile, l do-ve la strada si allargava, lentamente gir e ritorn indietro, verso il paese.

    Don Camillo s'era appena messo a tavola per cenare quando ud il rumore e, siccome il rumorenon finiva, and a dare un'occhiata per vedere cosa stesse succedendo davanti alla canonica e si tro-v davanti a Menelik che scalpitava fermo davanti alla porta. Ud il gemito venire dall'alto del bi-roccio e, fattosi scaletta della ruota, sal.

    Si trov con la faccia a pochi centimetri dalla faccia dell'uomo sdraiato sul colmo del carico disabbia.

    Giarn! esclam don Camillo sono io, don Camillo!Che Dio mi perdoni sussurr con un filo tenue di voce il vecchio Giarn.Poi il vecchio Giarn non disse pi niente di niente. Non gemette pi.Ma oramai Dio l'aveva perdonato.Don Camillo si trov gi, e sent il fiato caldo di Menelik.Menelik sussurr don Camillo accarezzando il muso del cavallo. Non pu averti guidato lui

    fino a qui. Le redini non le teneva pi lui: gli sono scappate di mano fin da quando s' sentito male equesto deve essere successo tanto tempo fa perch si vede che le redini hanno strusciato a lungo perterra e ti son finite sotto gli zoccoli e tu le hai spezzate. Menelik, come hai fatto per arrivare finqui?

    Don Camillo ebbe paura del silenzio e del buio.Menelik implor ancora con angoscia. Te l'ha detto lui di venire qui o l'hai portato tu di tua

    ispirazione?Menelik non rispose perch i cavalli non possono parlare e allora don Camillo si accorse della

    cosa pazza che stava facendo.Ges gemette. Illuminate la mia mente perch ho la testa piena di nebbia, tanto vero che

    adesso io sto parlando con un cavallo!Don Camillo rispose la voce del Cristo un uomo venuto qui per morire nella grazia di

    Dio. Perch di questo fatto vuoi essere grato a un cavallo mentre tu devi esserne semplicemente gra-to a Dio?

    Don Camillo trasse un sospiro:Ges, perdonatemi: ma non so come sia successo. M' venuta in mente la poesia della cavalli-

    na storna, quella che risponde col nitrito.Don Camillo, non confondere la fede con la poesia.Menelik era nero come la notte e immobile come fosse di marmo.A un tratto nitr e, pi che un nitrito, pareva un singhiozzo.Ma era poesia, solo poesia e don Camillo scoppi a piangere come s'era messo a piangere

    quando, ragazzo, aveva letto l'ultimo verso della Cavallina storna. Poesia, solo poesia.

  • 157 NEL PAESE DEL MELODRAMMA

    Le galline aspettavano che la campana suonasse il mezzogiorno e, intanto, provavano la voceper il solito coro.

    Quell'estate, il sole ce l'aveva messa tutta e spesso si sentiva dire o si leggeva di gente che,mentre traversava una piazza o camminava per la strada, era cascata per terra come una pera cotta ammazzata dal caldo.

    Tutti si tenevano lontani il pi possibile dall'asfalto e, sulla provinciale, si vedeva soltanto undisgraziato che viaggiava a cavalcioni di una scassata motoleggera. A mezzo chilometro dal paese ilmotore smise di ronzare: starnut e si ferm. L'uomo scese di sella e continu la strada a piedi, spin-gendo il suo motociclo.

    Non si chin neppure a guardare il motore perch sapeva perfettamente dov'era il guasto.Guasto grosso, il pi grosso dei guasti: mancava la benzina e pur se il distributore fosse stato a

    lato della strada, il motociclista avrebbe dovuto continuare pedibus calcantibus ugualmente in quan-to non aveva un ghello in saccoccia.

    Mentre sudando procedeva per la strada deserta, l'uomo si guardava attorno per veder di trova-re un'ombra: ma non c'erano piante, ai lati della strada. E anche a poter scavalcare il fosso per entra-re nei campi, di l si sarebbero trovate soltanto stoppie bruciate.

    Era un tratto di strada maledetto, quello l, e, pi avanti, dove cominciavano i campi alberati,avevano messo le siepi di rete metallica.

    L'uomo continu; si sentiva una gran confusione dentro la testa (forse debolezza per via dellefebbri dei due giorni precedenti, forse debolezza per via che non aveva mangiato da quindici ore) eaveva paura che il sole gli azzeccasse una botta sul cervello.

    Arranc disperatamente e allorch, finalmente, riusc a raggiungere la Maest che sorgeva acinquanta metri dalle prime case del paese, gli parve di essere scampato miracolosamente a un gros-so pericolo.

    La cappelletta dava un minimo d'ombra e, per goderla, bisognava rimanere appiccicati al murotanto era stretta: l'uomo si addoss al muro e gli venne in mente di essere un naufrago aggrappato auna magra zattera.

    Una zattera verticale.Oramai il mezzogiorno stava per suonare e incominciava a passar gente per la strada: l'uomo

    pens che non poteva rimanere l, non poteva farsi vedere dalla gente in quella strana situazione.Perfino i ragazzini dell'asilo la sapevano lunga, in fatto di motoleggere, e, poco che fosse rimasto l,qualcuno si sarebbe fermato a domandare che accidente avesse la motoleggera e a dar consigli e aoffrire aiuto.

    Si tolse dall'ombra, tir su la moto e riprese deciso la strada. Ma, fatti pochi passi, si rese contoche, scassato com'era, non doveva neanche sognarselo di arrivare a piedi fino a casa sua. Abitava incitt a trentacinque chilometri di distanza.

    Si trattava di guadagnar tempo e, soprattutto, si trattava di riuscire a sbarazzarsi della moto. Al-lent la valvola del pneumatico anteriore e, quando la copertura fu afflosciata, si rimise in viaggio.

    Suonava la campana del mezzogiorno allorch l'uomo arrivava davanti all'officina di Peppone.Peppone stava ancora smartellando: l'uomo entr con la moto nel grande stanzone affumicato.

    Per cortesia disse gliela lascio qui. Con comodo mi guardi il pneumatico dietro. Non so sesia bucato o se si tratti della valvola che perde. Torner nel pomeriggio, sul tardi perch ho da farein paese.

    Tir fuori dalla borsa del portapacchi una busta di cuoio molto spelacchiata e se ne and.Gli pareva di aver fatto un grosso colpo: "Intanto, fino a stasera alle cinque o alle sei, sono a

    posto. La moto al sicuro, non m'impiccia, non mi mette in imbarazzo e io posso pensare tranquil-lamente al modo di rimediare i quattrini che mi occorrono".

  • In realt aveva aggravato la faccenda perch, se prima occorrevano solo i quattrini per la ben-zina, adesso occorrevano anche i quattrini che bisognava dare al meccanico per il disturbo di avertenuta mezza giornata la moto e di aver controllato il pneumatico. A ogni modo si trattava di pocaroba.

    L'importante, la cosa urgente e necessaria era, adesso, di riuscire a sottrarsi alla curiosit dellagente. Il forestiero, in un paese piccolo, fa spicco, specialmente quando lo si veda gironzolare in sue in gita proprio nell'ora in cui tutti vanno a mangiare.

    Usc dall'abitato e, alla prima carrareccia, svolt deciso e si butt a sedere all'ombra della siepe.C'era un fossetto con un po' d'acqua ferma: si lav le mani e inumidito il fazzoletto, si ripul la

    faccia. Si ravvi i capelli e, strappato un ciuffo d'erba, si tolse la polvere dalle scarpe.La barba se l'era fatta la mattina col rasoio che portava sempre con s, dentro la borsa della mo-

    to: adesso era di nuovo a posto e poteva presentarsi dignitosamente dovunque avesse voluto. Quan-d'era ancora impolverato, spettinato, pieno di sudore e con quella dannata moto da trascinarsi dietrocome una croce, era sicuro che il guaio stava tutto nel disordine della sua persona e nell'impiccioche gli dava la macchina: rimediato al disordine e scomparso l'impiccio, ogni cosa avrebbe ripreso afunzionare perfettamente.

    Adesso si accorgeva che la situazione era peggiorata.A chi presentarsi di bel mezzogiorno?A chi andare a offrire lucido da scarpe e saponette?E poi, anche ammettendo che fosse riuscito a far firmare qualche ordinazione, chi gli avrebbe

    dato dei quattrini d'anticipo su merce di cui aveva visto soltanto il campione?Gi da quattro anni faceva quel mestiere. La guerra l'aveva portato via dalla vita a ventidue an-

    ni e quando, dopo cinque anni, egli era ritornato, non aveva pi trovato nessuno a casa sua.Non aveva pi trovato nessuno e niente: neanche la casa.Un mucchio di calcinacci nudi e crudi perch la gente aveva rubato tutto quello che non era

    calcinaccio, perfino i mattoni rimasti interi.Gli avevano dato quattro soldi di danni di guerra, e con questi e con gli altri quattro soldi che

    aveva avuto dal distretto come liquidazione dei due anni di prigiona in Germania si era compratoqualche vestito, un po' di biancheria e le carabattole necessarie per poter abitare una stanzaccia ri-mediata Dio sa come.

    La motoleggera non era sua; la noleggiava di volta in volta, e gli facevano un buon prezzo: unaditta di quint'ordine lo aveva assunto come produttore. Batteva le piazze attorno alla citt, per unraggio di quaranta chilometri. Da quattro anni andava in giro a offrire cattivo sapone e pessimo lu-cido da scarpe a gente che aveva quasi sempre le botteghe piene zeppe di sapone finissimo e di lu-cido eccellente: faceva dei trattamenti di favore mangiandosi met della provvigione, pur di riuscirea vendere qualcosa. In principio disponeva di una piccola scorta e allora il gioco gli riusciva.

    Se lei fa questa ordinazione diceva ricever una fattura di milleottocento lire. gi un otti-mo affare ma io, siccome voglio farmi una solida clientela, intendo lavorare soltanto per la pubblici-t. Cos, per dimostrare coi fatti che lei incomincia a guadagnare prima ancora di vendere la merce,io le do subito trecento lire in contanti e lei verr a pagare non milleotto ma millecinque.

    L'idea di ricevere dei quattrini da chi le vende roba , per una certa categoria di persone, piutto-sto simpatica, e in principio la faccenda funzion. Poi, quando fu finita la scorta, il lavoro diventancora pi duro e adesso, ogni volta che fermava il macinino davanti a una botteguccia di campa-gna, l'uomo si sentiva mancare il cuore.

    E quando spingeva la maniglia di un uscio a vetri e il campanello suonava, gli veniva la vogliadi saltar sulla macchina e di scappar via.

    E mentre attendeva che qualcuno arrivasse in bottega pensava: "Questa volta non mi andr li-scia. Quando sapranno chi sono e quello che voglio mi cacceranno fuori a calci".

    Nessuno invece lo aveva mai preso a calci: nessuno lo aveva mai maltrattato. Forse perch eraun bell'uomo e con un portamento da signore anche se i suoi abiti non valevano che pochi soldi.

    Forse perch tutti i bottegai erano oramai abituati a ricevere visite di produttori, e rispondevanodi no con l'indifferenza data dalla lunga abitudine. Ma egli avrebbe quasi desiderato che lo insultas-

  • sero, che gli rispondessero di mangiarseli lui il suo schifoso sapone e il suo ripugnante fango perscarpe. Forse allora avrebbe trovato la forza di piantar l e di darsi da fare da qualche altra parte.

    Invece il tran tran era continuato: ma adesso qualcosa di eccezionale stava succedendo. A Ca-stelletto, tre giorni prima, una febbre da cavallo lo aveva costretto a rimanere a letto in un alberguc-cio, e quando si era alzato i pochi quattrini che aveva in saccoccia gli erano appena appena bastatiper pagare la camera e il mangiare.

    Il conto faceva duemilasettanta ed egli ne aveva duemila soltanto: ma la padrona, visti i due bi-glietti da mille, aveva detto che bastava cos.

    Un miracolo. Che per non si era ripetuto quando, a dieci chilometri da Castelletto, il serbatoiodella motoleggera era rimasto vuoto.

    E adesso egli era l, seduto all'ombra della siepe, in riva al fossatello pieno di acqua morta, apensare al modo di riempire il serbatoio e di tornare a casa.

    Di tornare a casa senza una lira e senza aver guadagnato un centesimo di provvigione.Vendere qualcosa? Non possedeva niente: la moto apparteneva al noleggiatore e, anche a im-

    pegnarla soltanto, c'era da andare in galera. Un rimedio peggiore del male.Ripens ai giorni della guerra e della prigiona: come era bella la vita, allora, ancora piena di

    speranze.Guard l'acqua morta del fossatello; lev gli occhi e si ricord di una cosa molto importante:

    oltre l'argine c'era il fiume. Il fiume che l si allargava e pareva immenso.Pens a quell'acqua e gli parve che l'aspettasse. Prov quasi una gioia.Il fiume ampio e profondo.Si alz e la testa prese a girargli. Si incammin verso l'argine lontano, ma c'era qualcosa che

    l'aveva uncinato allo stomaco e lo teneva l.Era fame. Fame disperata. E la fame lo teneva agganciato alla vita."Fin che desiderer di mangiare come lo desidero adesso non trover mai la forza di buttarmi

    nel fiume. Voglio mangiare, inzepparmi lo stomaco di cibo e di vino."Aveva bisogno di mangiare ma soprattutto di bere. Riempirsi di vino.Rientr nella strada e si avvi verso il paese.L'osteria della Frasca era l a duecento metri, una casetta isolata col pergolato davanti."Mangiare e bere va bene, ma pagare?" Quel pensiero lo fece ridere: un uomo che, fra un'ora al

    massimo, sar morto, deve proprio preoccuparsi di una cosa del genere. Un moribondo che si angu-stia: "Chi pagher i miei funerali se sono solo al mondo?".

    E poi l'avventura lo divertiva: non aveva mai fatto una cosa cos, non era mai partito allo sba-raglio in questo modo. Tanta gente aveva avuto mille avventure di tal genere nella vita e se ne glo-riava. Anche lui l'avrebbe avuta la sua avventura e si sarebbe accontentato di raccontarla a se stesso,prima di buttarsi nell'acqua.

    Entr nell'osteria pieno di allegria: lo interessava straordinariamente sapere come sarebbe finitala storia del desinare a sbafo.

    Si sedette ma non si tolse la giacca. Ci teneva a non perdere quota neppure all'ultimo giro.Vorrei mangiare disse con voce sicura all'oste. Datemi tutto quel che c' di pronto.L'oste della Frasca era un omaccio sgraziato dal principio alla fine. Un uomo che non aveva

    mai riso, in vita sua, perch anche se l'avesse voluto, non ci sarebbe mai riuscito tanto aveva duri etirati i muscoli delle mascelle. Lo chiamavano Ganassa, per dir ganascia, e i suoi movimenti eranolenti e tardi. Le volte che lo tiravan