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Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali Direttore: Gino Massullo ([email protected]) Comitato di redazione: Rossella Andreassi, Antonio Brusa, Oliviero Casacchia, Renato Cavallaro, Alberto Mario Cirese, Raffaele Colapietra, Gabriella Corona, Massimiliano Crisci, Marco De Nicolò, Norberto Lombardi, Sebastiano Martelli, Massimiliano Marzillo, Gino Massullo, Giorgio Palmieri, Roberto Parisi, Rossano Pazzagli, Edilio Petrocelli, Antonio Ruggieri, Saverio Russo, Ilaria Zilli Segreteria di redazione: Marinangela Bellomo, Maddalena Chimisso, Michele Colitti, Antonello Nardelli, Bice Tanno Direttore responsabile: Antonio Ruggieri Progetto grafico e impaginazione: Silvano Geremia Traduzioni in Inglese: Roberto Ratti e Martine Vanhèe Questa rivista è andata in stampa grazie al contributo di: Provincia di Campobasso Molise Unioncamere Unioncamere Molise Redazione e amministrazione: c/o Il Bene Comune, viale Regina Elena, 54 – 86100 Campobasso, tel. 0874 979903, fax 0874 979903, [email protected] Abbonamento annuo (due numeri): € 25,00. Per abbonamenti internazionali: paesi comunitari, due numeri, € 37,00; paesi extracomunitari, due numeri, € 43,00. I ver- samenti in conto corrente postale devono essere effettuati sul ccp n. 25507179 inte- stato a Ass. Il Bene Comune, Campobasso Garanzia di riservatezza per gli abbonati. L’editore fornisce la massima riservatezza nel trattamento dei dati forniti agli abbonati. Ai sensi degli artt. 7, 8, 9, D. lgs. 196/2003 gli interessati possono in ogni momento esercitare i loro diritti rivolgendosi a: Il Bene Comune, viale Regina Elena, 54 – 86100 Cam- pobasso, tel. 0874 979903, fax 0874 979903, [email protected] Il garante per il trattamento dei dati stessi ad uso redazionale è il direttore responsabile

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Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali Direttore: Gino Massullo ([email protected]) Comitato di redazione: Rossella Andreassi, Antonio Brusa, Oliviero Casacchia, Renato Cavallaro, Alberto Mario Cirese, Raffaele Colapietra, Gabriella Corona, Massimiliano Crisci, Marco De Nicolò, Norberto Lombardi, Sebastiano Martelli, Massimiliano Marzillo, Gino Massullo, Giorgio Palmieri, Roberto Parisi, Rossano Pazzagli, Edilio Petrocelli, Antonio Ruggieri, Saverio Russo, Ilaria Zilli Segreteria di redazione: Marinangela Bellomo, Maddalena Chimisso, Michele Colitti, Antonello Nardelli, Bice Tanno Direttore responsabile: Antonio Ruggieri Progetto grafico e impaginazione: Silvano Geremia Traduzioni in Inglese: Roberto Ratti e Martine Vanhèe Questa rivista è andata in stampa grazie al contributo di:

Provincia di Campobasso

MoliseUnioncamere

Unioncamere Molise Redazione e amministrazione: c/o Il Bene Comune, viale Regina Elena, 54 – 86100 Campobasso, tel. 0874 979903, fax 0874 979903, [email protected] Abbonamento annuo (due numeri): € 25,00. Per abbonamenti internazionali: paesi comunitari, due numeri, € 37,00; paesi extracomunitari, due numeri, € 43,00. I ver-samenti in conto corrente postale devono essere effettuati sul ccp n. 25507179 inte-stato a Ass. Il Bene Comune, Campobasso Garanzia di riservatezza per gli abbonati. L’editore fornisce la massima riservatezza nel trattamento dei dati forniti agli abbonati. Ai sensi degli artt. 7, 8, 9, D. lgs. 196/2003 gli interessati possono in ogni momento esercitare i loro diritti rivolgendosi a: Il Bene Comune, viale Regina Elena, 54 – 86100 Cam-pobasso, tel. 0874 979903, fax 0874 979903, [email protected] Il garante per il trattamento dei dati stessi ad uso redazionale è il direttore responsabile

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In copertina: Cristiano Carotti, Whales in the sky, acriclico, 150x120, 2007 © 2011 Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali, Edizioni Il Bene Comune Tutti i diritti riservati Registrazione al Tribunale di Campobasso 5/2009 del 30 aprile 2009

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Indice 11 Economie

IN ITALIA 21 Economia e conoscenza. Scuola e agricoltura nel Mezzogiorno a

cavallo dell’Unità di Rossano Pazzagli

37 Fabbriche e territorio: il ruolo dell’industria edilizia nel Mezzogiorno

di Roberto Parisi

1. Produzione edilizia e paesaggi dell’industria 2. Prodromi edilizi della “questione meridionale” 3. Acque e cemento. Percorsi edilizi verso la modernizzazione assistita 4. L’edilizia “organizzata” per la costruzione totale del paesaggio e delle

comunità 59 Gli urbanisti, l’ambiente e la città. Tecnica e politica in Italia negli

ultimi quarant’anni del Novecento di Gabriella Corona

1. La pianificazione contro le implicazioni distruttive del mercato 2. Il recupero dei centri storici 3. Urbanistica e austerità 4. La città come ecosistema

IN MOLISE

73 Questioni agricole

di Gino Massullo

1. Dalla ripresa settecentesca alla crisi agraria 2. Novecento 3. Oggi e domani: la questione agricola come questione glocale

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91 L’industria alimentare di Rosa Maria Fanelli

1. Il sistema agroalimentare molisano 2. Il tessuto produttivo del settore agricolo 3. Struttura, importanza e dinamiche dell’industria alimentare 4. La dimensione territoriale quale leva strategica di sviluppo dell’industria

alimentare 5. Una lettura di sintesi delle principali filiere a tipicità regionale

109 Alla ricerca di una vocazione industriale

di Ilaria Zilli

1. Premessa 2. Fra vincoli ambientali e vincoli culturali: pecore, grano ed emigranti 3. L’’industrializzazione assistita: i vantaggi del ritardatario?

125 La modernizzazione del Molise nel secondo dopoguerra attraverso i

documenti della Svimez di Ilenia Pasquetti

1. La realtà socio-economica del Molise negli anni cinquanta 2. L’industrializzazione guidata 3. Alcuni considerazioni in merito al piano di sviluppo

143 I primi passi del turismo molisano: l’epoca fascista

di Marinangela Bellomo

1. Primi intenti 2. Nuovi progetti di sviluppo turistico negli anni trenta 3. La propaganda nella promozione territoriale 4. Qualche riflessione finale

167 Il turismo. Volano per lo sviluppo locale

di Angelo Presenza

1. Competitività: tutto parte da qui 2. Destination building: impianto teorico di riferimento 3. Le condizioni di competitività per la destinazione turistica 4. Pisu di Termoli: un esperimento di sviluppo turistico su base co-evolutiva 5. Conclusioni

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Indice

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185 Rompere l’isolamento: la rete dei trasporti fra Otto e Novecento di Maria Iarossi

1. Una visione d’insieme 2. Tra pubblico e privato: la strada comunale obbligatoria di Castelverrino

203 Vendere patrimoni, consumare luoghi

di Letizia Bindi 213 Il Molise: condizione economico-sociale e prospettive di sviluppo

territoriale di Paolo di Laura Frattura

1. Lo scenario economico 2. Il mercato del lavoro 3. Istruzione e formazione 4. Formazione, ricerca e sviluppo e innovazione 5. Il sistema imprenditoriale 6. Sistema delle infrastrutture 7. Scenari di sviluppo 8. Conclusioni

IERI, OGGI E DOMANI

233 Il Molise e “la cura” della crisi

Tavola rotonda con Giovanni Cannata, Gianfranco De Gregorio, Franco Di Nucci, Norberto Lombardi, Erminia Mignelli, Gianfranco Vitagliano, Ilaria Zilli a cura di Antonio Ruggieri

OSSERVATORIO DEMOGRAFICO

269 La popolazione molisana in età lavorativa: quale futuro?

di Massimiliano Crisci

1. Tendenze recenti dell’occupazione molisana: alcuni cenni 2. La popolazione in età lavorativa: invecchiamento dei lavoratori autoctoni

e inserimento dei migranti stranieri 3. Le migrazioni temporanee dei giovani molisani 4. L’evoluzione futura delle forze di lavoro: invecchiamento e flessione

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STUDI E RICERCHE 279 Critica dell’ “Isola felice”. Il percorso carsico di «Proposte» nella

modernizzazione molisana di Norberto Lombardi

1. Un osservatorio sulla transizione 2. Lettera dalla provincia 3. Ultima generazione 4. «Proposte Molisane» e la crisi della società regionale 5. Vita di contadini 6. «Molise», il confronto sul cambiamento regionale 7. Le nuove «Proposte Molisane» 8. Una diversa modernizzazione

315 Il Molise dopo la crisi del modello di sviluppo degli anni settanta

di Edilio Petrocelli

1. Alcuni settori da rivisitare e riprogrammare 2. L’identità regionale come autoritratto 3. Le indagini e le proposte degli anni sessanta 4. Le scelte programmatiche dopo l’istituzione dell’Ente Regione 5. Gli anni del cambiamento e della congiuntura economica 6. Le infrastrutture europee e i nuovi assetti interregionali 7. Il “complesso” della popolazione e la rottura dei confini territoriali

329 Venticinque anni di narrativa

di Sebastiano Martelli 351 Commercianti di bestiame e agricoltori: note sugli zingari in Molise

tra Sette e Ottocento di Valeria Cocozza

INTERVISTE

367 Il caso de La Molisana: conversazione con l’ing. Carlone

di Maddalena Chimisso 373 Quale turismo? Il caso della Piana dei mulini

di Camillo Marracino 387 Percorsi di internazionalizzazione: il caso Oleifici Colavita s.p.a.

di Andrea Quintiliani

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Indice

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DIDATTICA 395 L’Atlante delle Storie. Intervista ad Antonio Brusa sul suo nuovo

manuale di storia per la scuola secondaria di II grado di Selene Barba

399 Le mani in pasta: mulini e pastifici nella storia del Molise

di Rossella Andreassi e Gianna Pasquale

1. Premessa 2. Scheda descrittiva 3. Finalità, obiettivi e scelte di contenuto 4. Strumenti e materiali utilizzati 5. Attività proposte: fase di apprendimento 6. Laboratori

STORIOGRAFICA

411 Percorsi di storia del libro: l’Abruzzo nell’Ottocento. A proposito di

un recente lavoro di Luigi Ponziani di Giorgio Palmieri

1. Fra luci e ombre: il panorama nazionale 2. L’Abruzzo tipografico 3. Le ricerche sull’Ottocento di Luigi Ponziani

MOLISANA

427 La Società operaia di San Martino in Pensilis

Antonello Nardelli legge Michele Mancini 431 Abstracts 441 Gli autori di questo numero

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Economia e conoscenza. Scuola e agricoltura nel Mezzogiorno a cavallo dell’Unità1

di Rossano Pazzagli

Quando raggiunse l’unificazione politica, l’Italia era ancora un paese es-senzialmente agricolo. Agricolo e rurale. Circa il 60 per cento della popola-zione attiva era addetta all’agricoltura, mentre più della metà degli abitanti viveva in case sparse o in piccoli centri di provincia. Il forte predominio dell’attività primaria restò pressoché invariato nel primo ventennio unitario. Ciò non significa, però, che tutto fosse immobile e che il settore agricolo non venisse attraversato da processi di cambiamento, a volte anche rilevanti.

Tra questi cambiamenti è possibile rilevare una trasformazione del rap-porto tra scienza e attività agricola, un salto di qualità nella circolazione delle conoscenze scientifiche, una riduzione della distanza tra scienza ed economia, tra sapere scientifico e innovazioni. Non a caso la recente e vo-luminosa opera sulla storia delle scienze nel Mezzogiorno dà particolare rilievo, oltre che alle vicende dei diversi ambiti disciplinari, al tema della comunicazione scientifica: una grande questione, soprattutto dall’Illumi-nismo in poi, in tale sede opportunamente ripresa nel contributo di Riccar-do De Sanctis e Fabio De Sio2.

Prima del XIX secolo lo sviluppo dell’agricoltura doveva ben poco alla ri-cerca scientifica e all’istruzione agraria. Le innovazioni nella coltivazione e nella conduzione delle aziende agricole avvenivano prevalentemente su base empirica, grazie alle conoscenze accumulate localmente o all’emulazione di buone pratiche rese note da viaggiatori e mercanti. Certo esistevano i libri e gli scritti, ma questi potevano avere solo un ruolo limitato per la diffusione delle informazioni nel mondo rurale, attanagliato fin ben dentro l’età con-temporanea da elevati livelli di analfabetismo.

1 Questo contributo costituisce una versione modificata e ampliata dell’intervento svolto all’incontro di studio per la presentazione dell’opera La scienza nel Mezzogiorno dopo l’Unità d’Italia, svoltosi a Campobasso, Università degli Studi del Molise, il 28 aprile 2010.

2 Riccardo De Sanctis, Fabio De Sio, Forme e istituzioni della comunicazione scientifica, in La scienza nel Mezzogiorno dopo l’Unità d’Italia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2008, t. I, pp. 271-326.

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A prima vista la distanza tra le élite scientifiche e proprietarie dell’Italia ot-tocentesca e le masse dei contadini che nello stesso periodo popolavano il mondo rurale, sembrerebbe incolmabile, specialmente nel Sud. Eppure le cose erano cominciate a cambiare nel corso del Settecento, in connessione con i fe-nomeni di “rivoluzione agraria” che in diverse parti d’Europa (prima nei Paesi Bassi, poi in Inghilterra e successivamente in Germania e in Francia) segnaro-no il passaggio da una agricoltura tradizionale ad una agricoltura moderna, ca-ratterizzata da una crescita del ruolo del capitale rispetto agli altri due fattori produttivi fondamentali (terra e lavoro), un radicale mutamento energetico, un incremento senza precedenti della produttività, un maggiore legame con il mercato e, appunto, un crescente rapporto con le scienze, fino alla comparsa di nuove discipline: l’agronomia veniva sempre più delineandosi come scienza, mentre la figura dell’agronomo conquistava contorni professionali più chiari3. Questo processo riguardò anche l’Italia, tutta, compreso il Mezzogiorno, che come risulta dalle ricerche più importanti non risulta estraneo ai circuiti italiani ed europei di circolazione delle conoscenze, in primo luogo per quanto riguar-da aratri, avvicendamenti e nuovi metodi di coltivazione4.

Per comprendere questo aspetto, occorre mettere in relazione non solo i termini “scienza, scuole, innovazione”, ma anche “arretratezza, sviluppo, modernizzazione”, riferendosi anche, necessariamente, al tema delle classi dirigenti e del modello di sviluppo nella transizione tra Stati preunitari e Sta-to unitario. Proprio il ruolo dello Stato, cioè delle politiche pubbliche per la conoscenza, è un altro tema che occorre tenere sempre presente nella storia d’Italia e che proprio oggi, nell’ambito di un disimpegno delle politiche pub-bliche o di un impeto riformatore solo apparente, più predicato che praticato, ci chiama ad ulteriori riflessioni e responsabilità.

Ma torniamo all’Ottocento, quando si avverte in Europa e in Italia l’esigenza di un nuovo sapere per una nuova agricoltura, che potesse essere insegnata e spiegata su un piano scientifico (agraria come scienza e arte insieme) e non più secondo un concetto di semplice “arte del coltivare”. In questo senso è be-ne sottolineare come proprio agli inizi del secolo XIX si assista ad un arric-chimento semantico della parola agricoltura e al definitivo inserimento nel vocabolario e nell’uso comune di termini come agronomia, agraria, agrono-mo. Nell’edizione del 1806 del Vocabolario della Crusca troviamo infatti il solo termine agricoltura, definito in modo immutato rispetto alle edizioni pre-cedenti come «l’arte del coltivare»; nell’edizione del 1863 agricoltura ha as-sunto un significato più articolato («l’arte di lavorare e rendere più fruttifera la

3 Rossano Pazzagli, Dall’agricoltore istruito all’agronomo: la lunga genesi di un’identità professionale, «AF. Agronomi & Forestali», 2005, n. 5, pp. 22-24.

4 Gabriella Corona, Gino Massullo, La terra e le tecniche. Innovazioni produttive e lavoro agricolo nei secoli XIX e XX, in a cura di Piero Bevilacqua (a cura di) Storia dell’agricoltura italiana in età contemporanea, vol. I, Spazi e paesaggi, Marsilio, Venezia 1989, pp. 362 ss.

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terra, come pure di migliorarne i prodotti»), mentre compaiono anche i termini agronomia («Dottrina e scienza che riguarda l’amministrazione e la cultura della campagna»), agronomo («colui che attende all’agronomia») e agraria («l’arte e la scienza dell’agricoltura»). Una evoluzione di questo tipo è ancora più evidente in opere più settoriali, come il Vocabolario agronomico italiano del Gagliardo, pubblicato in tre edizioni successive tra 1804 e 1822, nel quale il termine agronomo (che non figura nella prima edizione) acquisisce una cre-scente autonomia da quello di agricoltore5.

Scienza, economia, istituzioni, politica. L’Ottocento è un secolo di grandi dibattiti, nei quali non è difficile rintracciare uno degli assi principali della costruzione unitaria, quasi di una comunità scientifica nazionale prima anco-ra di una comunità politica.

Nel Regno delle Due Sicilie, come negli Stati italiani del centro-nord, si cercò di affrontare il problema dell’istruzione superiore, della formazione professionale e della divulgazione agraria: nacquero così istituti agrari, scuo-le pratiche di agricoltura, scuole speciali, colonie agricole, comizi agrari e cattedre ambulanti. Si tratta di un fenomeno che nel suo complesso signifi-cava un grande sforzo culturale a servizio dell’innovazione e del migliora-mento dell’agricoltura italiana; un processo a cui non fu estraneo il progresso delle scienze e il contributo dello Stato e in particolare del Ministero di agri-coltura industria e commercio, ricostituito nel 1860 e potenziato nel 1868 con l’istituzione del Consiglio superiore di agricoltura.

Con la nascita della Scuola superiore di agricoltura di Milano nel 1870 e di quella di Portici nel 1872, che andavano ad aggiungersi all’Istituto agrario esi-stente all’Università di Pisa dal 1840, e l’istituzione delle prime stazioni spe-rimentali si inaugurò un periodo di continue iniziative da parte dello Stato. Le nuove scuole erano lo specchio delle scienze agrarie che si andavano consoli-dando, intese al plurale, come insieme di discipline che tendevano ciascuna a conquistare un proprio status e a formare lentamente le prime comunità disci-plinari, staccandosi dal carattere misto dei profili dei singoli scienziati.

In questo modo un’attività pratica per eccellenza, come è considerata l’agricoltura, diventava anche oggetto e materia di insegnamento, mentre il paesaggio fisico con le sue trasformazioni diventava anche un paesaggio cul-turale, un paesaggio della conoscenza che ci pone di fronte al tema del com-plesso rapporto tra istruzione e sviluppo ed al processo di formazione del ca-pitale umano. Speriamo che a questo aspetto siano dedicate varie e valide i-niziative e ricerche nell’ambito delle celebrazioni in corso sul centocinquan-tesimo dell’Unità. Per ora non sembra.

5 Cfr. Marino Berengo, Le origini settecentesche della storia dell’agronomia italiana, in L’età dei lumi. Studi storici sul settecento europeo in onore di Franco Venturi, Jovene, Napoli 1985, II, pp. 865-866.

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Ma il 1861 non è una cesura netta. Per capire cosa è avvenuto nei primi de-cenni dell’Italia unita è necessario rifarsi alla lunga fase di preparazione (non un decennio, parlando di queste tematiche, ma almeno un secolo che com-prenda l’illuminismo, l’età napoleonica e i complessi movimenti e contatti degli uomini di scienza nell’età della restaurazione).

Il tentativo di trarre vantaggio dell’esperienza inglese ed europea per pro-muovere un’agricoltura capitalistica fu alla base della crescita della speri-mentazione e dell’istruzione agraria a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, nel quadro di un allargamento dei confini applicativi della scienza e della fondazione di società ed accademie agrarie. Queste ultime dettero sen-za dubbio un contributo vitale alla circolazione su scala europea delle idee di progresso economico ed accrebbero a livello locale un fenomeno crescente di sperimentazione e di applicazione di nuove tecniche agricole.

Sull’onda di questo fenomeno generale, forme di istruzione tecnica riguar-danti diversi settori (dalla medicina all’attività militare, dalla veterinaria all’ingegneria, ecc.) nacquero in alcune parti dell’Europa settecentesca, ma si era ancora lontani da una visione dell’istruzione superiore inquadrata nelle università, a loro volta articolate in facoltà scientifiche autonome e separate. Ancora nel secolo dei Lumi e nell’età della Restaurazione l’Università aveva prevalentemente il compito di formare teologi, giuristi e medici, e solo nel corso dell’Ottocento essa verrà pian piano trasformandosi in direzione della ricerca e della formazione scientifica superiore. Così anche la scienza e l’istruzione agraria, prima di approdare all’Università, conobbero una genesi alquanto complessa, passando per strade differenziate, toccando i vari livelli dell’istruzione (elementare, pratica, teorica, speciale) e interessando soggetti diversi (proprietari, contadini, agenti rurali, parroci, maestri, ecc.)6.

Nell’età napoleonica si possono rintracciare le basi di un cambiamento di mentalità: l’avvio di estese indagini statistiche, per esempio, determinò un nuovo rapporto tra gli uomini dotti ed il mondo delle campagne, rendendo e-vidente la specificità dell’agricoltura italiana: se a Bologna Filippo Re, autore della prima inchiesta agraria sul Regno d’Italia,7 già nel 1808 metteva in guar-dia dalla semplice imitazione delle esperienze straniere nel campo agronomi-co,8 una ventina d’anni dopo il molisano Raffaele Pepe di formazione illumi-nista, ex repubblicano, segretario della Società economica di Campobasso nonché socio dell’Accademia dei Georgofili, faceva un ragionamento molto

6 Per una visione d’insieme del fenomeno, e anche per la descrizione di alcune esperienze spe-cifiche richiamate in seguito, mi sia consentito di rimandare a Rossano Pazzagli, Il sapere del-l’agricoltura. Istruzione, cultura, economia nell’Italia dell’800, Franco Angeli, Milano 2008.

7 Maria Maddalena Butera, Le campagne italiane nell’età napoleonica. La prima inchiesta agraria dell’Italia moderna, Franco Angeli, Milano 1982.

8 Filippo Re, Dizionario ragionato di libri d‘agricoltura, veterinaria e di altri rami d‘eco-nomia campestre, Venezia 1808-1809, vol. I, p. 53.

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chiaro: in Italia l’agricoltura è l’attività economica di gran lunga prevalente, ma è divisa in tanti contesti regionali che hanno bisogno di comunicare tra di loro per scambiarsi esperienze e trasferire conoscenze, richiedendo un lin-guaggio comune e reciprocamente comprensibile, socialmente e geografica-mente; da qui scaturiva la sua proposta, formulata nel 1827, di un Dizionario agrario italiano, in cui affrontare in modo integrato i problemi dell’agricoltura e quelli della lingua9. La proposta, che venne resa nota anche nella fiorentina Accademia dei Georgofili, non si concretizzò, ma dette luogo ad un certo di-battito, ottenendo il prudente consenso di altre Società economiche e le riserve dell’Istituto di incoraggiamento di Napoli, dove negli stessi anni si dava alle stampe una nuova traduzione italiana del Dictionnaire dell’abate Rozier, usci-to in Francia a partire dal 1781 e già tradotto in italiano10.

Intorno al 1830 la questione del rapporto tra scienza e tecnica e tra tecnica e attività produttiva, così come la progettazione di scuole e di istituti di agricol-tura, diventò centrale nel dibattito sullo sviluppo dell’agricoltura italiana e nel 1834 fu creata la prima vera e propria scuola teorico-pratica d’agricoltura ita-liana: l’Istituto agrario di Meleto aperto in Toscana da Cosimo Ridolfi, a cui accedettero anche allievi provenienti dal Mezzogiorno11, come dimostrano le richieste di ammissione giunte da varie parti, tra cui quella del sardo Luigi Spano che nel 1840 scriveva a Ridolfi per chiedere l’iscrizione all’Istituto di un suo nipote, o di Filippo Delfico da Teramo che l’anno successivo si dichia-rava interessato a collocare a Meleto uno dei propri figli12.

Nel 1842 lo stesso Ridolfi fu chiamato ad organizzare e a dirigere il primo istituto agrario italiano in ambito universitario, quello di Pisa, istituito con decreto granducale nel 1840 e aperto nel 1843, da cui nascerà la prima Fa-coltà di agraria. La fondazione dell’Istituto Agrario Pisano rappresentava, vent’anni prima dell’Unità, il primo sostanziale impegno dello Stato nella promozione dell’insegnamento agrario superiore in Italia, l’effettivo ingresso delle discipline agrarie nell’università, un punto di contatto reale tra agricol-

9 Pompilio Petitti, Raffaele Pepe, Accademia de’ Georgofili di Firenze, «Giornale economi-co rustico di Molise», 1827, pp. 74-81.

10 Jean Baptiste Francois Rozier, Corso completo di agricoltura teorico e pratica contenen-te la grande e piccola coltivazione l’economia rurale e domestica, la medicina veterinaria, ecc. ossia dizionario ragionato ed universale di agricoltura, Minerva, Napoli 1827-1833. Sul dibattito scaturito dalla proposta di Raffaele Pepe cfr. G. Faralli, Il Giornale economico rusti-co del Molise (1820-1837). Una lettura critica, «Almanacco del Molise», 2000-2001, pp. 138, ss.; Renata De Lorenzo, Società economiche e istruzione agraria nell’Ottocento meridionale, Franco Angeli, Milano 1998, p. 71.

11 Rossano Pazzagli, L’Istituto agrario di Meleto. Un caso di istruzione e innovazione agra-ria nell’Italia del primo Ottocento, «Rassegna storica toscana», 1996, XLII, n. 2, pp. 319-329.

12 Archivio Ridolfi di Meleto Val d’Elsa (Firenze), Lettere, F, ins. 1, Luigi Spano a Cosi-mo Ridolfi, Oristano 22 settembre 1840; ivi, ins. 2, Filippo Delfico a Cosimo Ridolfi, Tera-mo, 28 giugno 1841.

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tura e ricerca scientifica, il passaggio dall’iniziativa privata all’intervento pubblico in questo settore.

In pochi anni le esperienze di Meleto e di Pisa ebbero una grande eco in quasi tutta l’Italia. Dal centro, dal nord e dal sud della penisola, gli apprez-zamenti per tale esperienza si tradussero in tentativi di creare nuove strutture per la formazione e la sperimentazione agraria. Il quadro culturale generale registra in questo periodo lo svolgimento dei congressi degli scienziati ita-liani, dei quali uno si svolse a Napoli nel 184513, e la nascita di nuove società ed associazioni agrarie, che si distinguono nettamente dal vecchio accademi-smo di impianto settecentesco. Nei numerosi giornali, comparsi soprattutto a partire dagli anni venti, si accentua la specificità delle sezioni riservate al-l’agricoltura ed ai suoi aspetti tecnici e scientifici. Ma soprattutto si moltipli-carono in questa fase le scuole teorico-pratiche di agricoltura, i poderi spe-rimentali e le riunioni agrarie.

È un processo che nel Mezzogiorno dette luogo alle esperienze di Palermo, dove nel 1847 nacque l’Istituto Agrario Castelnuovo diretto da Giuseppe In-zenga, e della Basilicata che vide nel 1853 la nascita dell’Istituto agrario teo-rico-pratico di Melfi, chiuso nel 1865 e trasformato in scuola per periti agri-mensori14. Con uno sguardo più ravvicinato si possono poi scoprire altre e-sperienze, minori ma diffuse sul territorio, anche se in molti casi esse furono probabilmente prive di efficacia strategica se nell’anno dell’Unità Achille Bruni, il botanico pugliese docente di agricoltura nella Facoltà di Scienze na-turali dell’Università di Napoli, si trovava costretto a registrare che nel Re-gno delle Due Sicilie «non vi sono veri agronomi». Eppure anche nell’Italia meridionale il problema della diffusione delle conoscenze agrarie era stato certamente avvertito a livello teorico e istituzionale15: dai «gentiluomini-filosofi» del Settecento, alle politiche degli anni francesi, fino alla nascita nel 1847 dell’Istituto agrario Castelnuovo, il primo di questo genere in tutto il Regno delle Due Sicilie. Lo stesso Bruni fu il curatore della Nuova enciclo-pedia agraria, una delle prime enciclopedie italiane in questo campo, stam-pata proprio a Napoli in quattro volumi tra il 1858 e il 185916.

Le tesi di Genovesi, secondo cui il sapere doveva diventare il fulcro dello sviluppo economico e civile, erano state alla base della proposta avanzata da Domenico Grimaldi nel 1780 per la creazione di una scuola d’agricoltura, so-stenendo «la necessità dell’istruzione, e dell’esempio, per sapere quali sieno le

13 Edvige Schettino, La VII Adunanza degli scienziati italiani tenuta in Napoli dal 20 di set-tembre a’ 5 di ottobre 1845, in La scienza nel Mezzogiorno dopo l’Unità, cit., t. I, pp. 327-350.

14 Giuseppe Inzenga, Descrizione dell’Istituto agrario di Castelnuovo, «Giornale di agricol-tura, industria e commercio del Regno d’Italia», III, 1865, pp. 205 ss.

15 R. De Lorenzo, Società economiche e istruzione agraria, cit., p. 104. 16 Achille Bruni (a cura di) Nuova enciclopedia agraria, ossia Raccolta delle migliori monogra-

fie su’ terreni, le piante, gli animali domestici e l’economia rurale, Marghieri, Napoli 1858-1859.

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pratiche sperimentate più utili»17. Ma furono soprattutto gli anni quaranta e cinquanta dell’Ottocento il periodo di una più matura consapevolezza delle re-sponsabilità dello Stato nella promozione della formazione in agricoltura.

Sul piano storiografico la realtà del Mezzogiorno continentale è stata a lungo descritta – come è noto – secondo uno schema polarizzante: Napoli e le province. In effetti se noi guardiamo alla presenza delle istituzioni stori-che, emergono Napoli e la Sicilia per ciò che concerne le sedi universitarie, e soprattutto Napoli se mettiamo in fila le varie istituzioni di istruzione supe-riore: università, scuola per gli ingegneri, scuola veterinaria, scuola agraria, osservatorio astronomico, stazione zoologica, e così via. Ma ad una analisi più attenta, che si liberi un po’ dallo sguardo napolicentrico, e specialmente nel settore rurale, non è impossibile trovare casi di vitalità anche nel territo-rio delle province.

Gli studi sulla circolazione delle conoscenze, così come l’esame dei car-teggi ottocenteschi, indicano insomma che non vi fu un isolamento della cul-tura agraria del Mezzogiorno, ma piuttosto una sua integrazione con quella europea ed italiana, in particolare con quella sviluppatasi in Toscana18. Si potrebbero fare diversi esempi in cui il sapere si trasforma in tentativi di ap-plicazione della scienza alla realtà agricola meridionale: tecniche e uomini nuovi fanno la loro comparsa in Sicilia, Sardegna, Terra d’Otranto, Salerni-tano, Abruzzo e altre zone. Tra tutti spiccano coloro che si dettero da fare per promuovere l’istruzione professionale ai vari livelli e che si impegnarono in pubblicazioni a carattere agronomico.

Oltre che all’Università, l’impegno di Nicola Columella Onorati per l’inse-gnamento dell’agricoltura si concretizzò dalla fine del Settecento anche in qualche altra istituzione napoletana, come le Regie Scuole di Salerno e l’Ac-cademia militare di Napoli, e nella pubblicazione di varie opere nelle quali si combinavano la circolazione degli studi agrari europei con la conoscenza del territorio regionale19. All’Onorati possiamo aggiungere diversi altri autori: dall’abruzzese Francesco De Blasiis al barese E. Mola, da Luigi Granata, che cercò di trasformare un latifondo pastorale in azienda agraria, a Francesco Cirio, a Paolo Balsamo. Senza dimenticare che due tra i maggiori professori italiani di agricoltura del secondo Ottocento, entrambi operanti all’Università di Pisa, erano siciliani: Pietro Cuppari e Girolamo Caruso. Giustamente è stato osservato che, smentendo le tesi storiografiche che vogliono il Mezzo-

17 Domenico Grimaldi, Piano di riforma per la pubblica economia delle provincie del Re-gno di Napoli, e per l’agricoltura delle Due Sicilie, Porcelli, Napoli 1780, p. CII.

18 Giuseppe De Gennaro, La diffusione delle conoscenze agrarie nel Mezzogiorno: Puglia, Basilicata, provincia di Salerno, 1800-1915, Sergio Zaninelli (a cura di), Le conoscenze agra-rie e la loro diffusione in Italia nell’ottocento, Giappichelli, Torino 1990.

19 Su questa fase cfr. Pasquale Villani, Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione, Bari, Laterza, 1973, in particolare pp. 233-248.

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giorno assente dal discorso scientifico europeo anche nel campo dell’agri-coltura, numerosi studiosi meridionali come quelli appena citati partecipano fattivamente alla circolazione delle idee, alla pubblicistica e alla diffusione della cultura scientifica e delle innovazioni20.

La circolazione di idee e di uomini favoriva la definizione di nuove disci-pline, legate alle professioni e ai mestieri: non solo l’agronomia, ma anche la veterinaria iniziò a conoscere in questo periodo un percorso di professiona-lizzazione. La scuola veterinaria fu effettivamente aperta nel 1798 con 12 allievi. Chiusa sotto la Repubblica partenopea, fu riaperta nell’autunno del 1802 e successivamente potenziata nel periodo murattiano prima che. Ferdi-nando di Borbone, tornato sul trono, desse continuità al progetto. Qui come in altre città (Torino, Padova, Milano, Bologna, Modena, Ferrara e Parma), con l’istituzione delle prime scuole, la medicina degli animali veniva così acquisendo la dignità di scienza veterinaria21.

Una traiettoria simile fu seguita anche per l’agronomia; la stessa Regia Scuola di veterinaria di Napoli, inizialmente limitata alle discipline zooiatri-che, dopo il 1815 venne allargata ad altri insegnamenti, tra cui l’agricoltura teorico-pratica. Vi sarebbe poi l’ampio capitolo, non propriamente di storia della scienza, ma alla scienza connesso, di creazione delle società di agricol-tura: nate nel 1810, trasformate in “società economiche” nel 1812 e mante-nute dalla restaurata monarchia borbonica. Esse rappresentano un tratto spe-cifico nella storia dell’800 meridionale, costituendo al tempo stesso un im-portante momento di contatto tra élites e cultura popolare ed un luogo d’incontro tra gruppi sociali di vecchia e nuova formazione22.

Al loro interno si svilupparono, in particolare, le discussioni sulle possibili-tà di combinare le conoscenze teoriche con i problemi pratici dell’agricoltura meridionale, secondo un approccio già coltivato da Columella Onorati e fatto proprio dal molisano Paolo Nicola Giampaolo, che negli anni successivi alla Restaurazione pubblicò un volume di Lezioni di agricoltura e altri scritti a-grari, proponendo l’apertura di scuole pratiche per la diffusione delle cono-scenze tra gli agricoltori23. Si cercava così di uscire dallo sterile accademi-smo che non avrebbe prodotto effetti sulla realtà agricola dei territori e che un po’ ovunque veniva denunciato come ostacolo allo sviluppo delle disci-pline agrarie: «Delle cattedre di agricoltura, come quella nella Università di

20 Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, L’agricoltura e le scienze agrarie nel Mezzogiorno nei 150 anni dall’Unità d’Italia, in La scienza nel Mezzogiorno dopo l’Unità, cit., t. III, pp. 1150-1151.

21 Rossano Pazzagli, Vecchie e nuove professioni: maniscalchi e veterinari tra età moderna e contemporanea, «Ricerche storiche», XXVI, 2006, n. 2, pp. 219-236.

22 Sulle società economiche cfr. Marta Petrusewicz, Agromania: innovatori agrari nelle pe-riferie europee dell’Ottocento, in Storia dell’agricoltura italiana, cit., vol. III, pp. 303-334; R. De Lorenzo, Società economiche e istruzione agraria, cit., 1998.

23 Paolo Nicola Giampaolo, Lezioni di agricoltura, De Bonis, Napoli 1819.

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Napoli, nel Conservatorio d’arti e mestieri, e nel Giardino delle piante a Pa-rigi, potranno servir di diletto e passatempo agli amatori, ma non produrran-no mai né un coltivatore, né un agricoltore, né un agronomo»24.

Con lo sviluppo di questa consapevolezza applicativa, emerse intanto an-che l’importanza del ruolo degli ingegneri come vettori di conoscenza presso gli agricoltori e i proprietari, specialmente in relazione alla loro funzione di tecnici in grado di affrontare i problemi idrogeologici del territorio del re-gno. Su queste basi, una cattedra di fisica, chimica e agronomia fu introdotta, sempre a Napoli, nella Scuola di applicazione per gli ingegneri di Acque e strade e affidata a Luigi Granata, un altro personaggio centrale nella cultura agronomica napoletana dell’Ottocento e autore di un diffuso Catechismo a-grario per le scuole comunali25.

Le società economiche, che nella quasi totalità cesseranno di esistere dopo l’Unità, quando saranno generalmente sostituite dai comizi agrari, ebbero il loro periodo più attivo proprio tra la fine degli anni venti e la fine degli anni cinquanta del XIX secolo. Intorno al 1840 ne esistevano quattordici nella so-la parte continentale del Regno delle Due Sicilie e la loro presenza significò una proliferazione di strumenti di base per la divulgazione delle conoscenze, come almanacchi, calendari, catechismi agrari e istruzioni pratiche di agri-coltura; ma esse insistettero sempre sulla adozione di nuove tecniche e sulle scuole come elementi decisivi del progresso agrario, che non si otteneva solo «colla diligenza e la cura necessaria, ma colla lettura de’ libri e colla istru-zione … per mezzo delle scuole di agricoltura».

L’opera delle società economiche si inseriva anche in un più vasto processo di conoscenza delle condizioni delle agricolture regionali, avviato con le rilevazio-ni statistiche dell’epoca napoleonica e qui concretizzatosi a partire dall’inchiesta murattiana del 1811, fino alla statistica del 1853 sui progressi delle manifatture, dell’agricoltura della pastorizia e delle industrie nelle provincie continentali del Regno, i cui risultati furono pubblicati nel 1855-56 negli Annali civili del Regno delle Due Sicilie26. Attraverso la raccolta di dati statistici esse si fecero interpreti di un bisogno conoscitivo che è peculiare dell’Ottocento, mosso da motivazioni che oscillavano tra desiderio di imitazione delle innovazioni e sensibilità per le tradizione e le circostanze locali dell’agricoltura. Fu portata avanti, in particolare

24 Antonio Ciccone, Dell’utilità della unione della scienza agronomica coll’arte agricola, «Giornale dell’Associazione agraria degli Stati sardi», III, 1852, p. 336.

25 Luigi Granata, Catechismo agrario ad uso delle scuole elementari stabilite nelle comuni del Regno di Napoli, Tip. Vanspandoch, Napoli 1841. Sul Granata cfr. Renata De Lorenzo, Sperimentazione e istruzione agraria nel Mezzogiorno preunitario, in Giuliana Biagioli, Ros-sano Pazzagli (a cura di), Agricoltura come manifattura. Istruzione agraria, professionalizza-zione e sviluppo agricolo nell’Ottocento, Olschki, Firenze 2004, vol. II, pp. 515-517.

26 Domenico Demarco, Statistica del Regno di Napoli nel 1811, Accademia dei Lincei, Roma 1988; Rosario Villari, Mezzogiorno e contadini nell’età moderna, Laterza, Barim1977, pp. 191-214.

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in Capitanata e in Molise, una politica di premi agli agricoltori per incoraggiare l’introduzione di miglioramenti tecnici nelle aziende.

Dal punto di vista organizzativo emerge, all’interno di ciascuna società e-conomica, il ruolo centrale del segretario: in Molise, dove probabilmente era più forte che altrove il legame tra cultura agraria e contesto rurale, con una forte consapevolezza delle specificità locali, spicca la figura, già richiamata, di Raffaele Pepe, socio dell’Accademia dei Georgofili e in stretti rapporti con l’ambiente toscano, erede della tradizione economica che da Francesco Longano e Giuseppe Maria Galanti, passando per Vincenzo Cuoco, arriva a Zurlo e a Giampaolo. Al Pepe successe Nicola De Luca, un avvocato che tra i vari incarichi di rilievo ricoprì nel 1840 anche quello di docente di agricol-tura teorico-pratica a Campobasso27.

In certi casi le società economiche rappresentarono, in effetti, significativi punti di contatto con la cultura agraria del resto d’Italia e i loro presidenti en-trarono a pieno titolo nel circuito dei modernizzatori agrari che si venne pro-filando nel corso della prima metà del secolo. Oltre al Molise, era il caso del-la Società economica di Terra d’Otranto, il cui presidente Vincenzo Balsa-mo, come abbiamo ricordato, aveva instaurato un legame diretto con Cosimo Ridolfi, giungendo ad assumere un allievo della scuola di Meleto come diret-tore della sua azienda agraria a San Pancrazio. Ma in questa parte estrema della Puglia gli sforzi della Società, che conobbe il suo periodo più fruttuoso tra 1835 e 1845, si concentrarono anche sull’olivicoltura e l’oleificio, sulla gelsicoltura e sull’introduzione di colture industriali28.

Un ramo importante dell’attività delle società economiche è costituito dal fiorire di una pubblicistica economico-agraria, che non fu solo locale, ma anche italiana ed europea, specializzata nel settore agrario e tendente a forni-re modelli di sperimentazione positiva. Le società, seppure più tardi rispetto alla loro fondazione, avvertirono il bisogno di avere un proprio giornale. In Basilicata, nella Capitanata e nel Principato Ultra queste esperienze editoriali per l’agricoltura restarono attive grosso modo tra la metà degli anni trenta e la metà dell’Ottocento. In Molise, dove già si pubblicavano altri giornali, la Società economica avviò prima, fin dal 1820, la stampa di un proprio organo con il titolo Giornale economico-rustico del Sannio, modificato dal 1822 in Giornale economico-rustico ad uso dei coltivatori del Molise, redatto princi-palmente dal Pepe che già collaborava alla Biblioteca di campagna29.

27 Sull’attività, l’assetto e i soci della Società molisana cfr. Ilaria Zilli, La “Società Econo-mica di Molise” fra accademia e realtà, Quaderni di studi storici del Dipartimento Seges, U-niversità degli Studi del Molise, Campobasso 1995.

28 Franco Antonio Mastrolia, Istituzioni e conoscenze agrarie in Terra d’Otranto, (1810-1910), Edizioni scientifiche italiane, Napoli 2000, pp. 35-57.

29 G. Faralli, Il “Giornale economico rustico del Molise”, cit., pp. 113-155; Renato Lalli, La stampa preunitaria in Molise, Nocera, Campobasso 1977.

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Le innovazioni predicate, per concretizzarsi, avevano bisogno di terreni mo-dello e sperimentali, che rappresentarono un altro settore di impegno delle so-cietà economiche. Diversi furono i proprietari che si mossero in tale direzione, sia pure con risultati molto differenziati da un luogo ad un altro, come testi-moniano gli stessi periodici a stampa: tra il 1844 e il 1846, ad esempio, il Giornale economico-letterario della Basilicata elencava le aziende di questa regione che avevano introdotto i prati artificiali, mentre negli Abruzzi spiccava l’impegno di Ignazio Rozzi per la promozione di poderi modello30.

Ma l’argomento principe, al quale quasi sempre finiva per approdare il di-battito sulla diffusione delle conoscenze e delle innovazioni, era quello del-le scuole di agricoltura. A tale proposito possiamo dire che nel Sud non mancò, nel primo Ottocento, una spinta per la promozione capillare dell’in-segnamento agrario, non tanto in funzione della formazione di agronomi o di tecnici agrari, ma con una prevalente attenzione alla pratica contadina, come dimostra la vicenda dell’inserimento dell’agricoltura nelle “seconda-rie”, cioè nelle scuole di livello comunale che seguivano l’istruzione prima-ria e che impartivano un insegnamento oscillante tra il livello elementare a quello superiore, secondo quanto previsto dalla riforma della pubblica istru-zione del 1811, rimasta sostanzialmente in vigore anche dopo la restaura-zione borbonica31. Il fenomeno, che assunse varie forme, si verificò un po’ ovunque nelle regioni meridionali, ma ebbe particolare intensità nel Molise dove le cattedre di agricoltura pratica erano ben dieci già nel 1818 (Campo-basso, Isernia, Larino, Agnone, Trivento, Guglionesi, Frosolone, Morcone, Riccia, Civitacampomarano). Talvolta erano scuole di nuova istituzione, e allora il carattere agrario dell’insegnamento era più spiccato, mentre in altri casi le lezioni di agricoltura venivano semplicemente aggiunte alle materie già esistenti. In generale, comunque, si trattava di insegnamenti non siste-matici, che si interrompevano e si riaprivano secondo le circostanze locali e la possibilità di trovare docenti idonei. Stabili o calanti negli anni venti, le cattedre di agricoltura nelle scuole secondarie del Regno passarono da sette nel 1830 a quindici nel 184032.

Insegnamenti di agraria vennero attivati nelle scuole di Barletta dal 1835 e in varie altre località della provincia di Bari durante gli anni quaranta, esperienze

30 Ignazio Rozzi, Proposta per la istituzione di un podere-modello in Abruzzi presentata al R. Istituto d’incoraggiamento il 5 novembre 1846, Napoli 1846.

31 Sull’istruzione nel Mezzogiorno cfr. Maurizio Lupo, Tra le provvide cure di Sua Maestà. Stato e scuola nel Mezzogiorno tra Settecento e Ottocento, Il Mulino, Bologna 2005, in parti-colare per la riforma del 1811 e le scuole secondarie le pp. 78-88.

32 Renata De Lorenzo, Le scuole secondarie e gli insegnamenti di agricoltura nel Mezzo-giorno borbonico, in Lucia Romaniello (a cura di), Storia delle istituzioni educative in Italia tra Ottocento e Novecento, atti del Convegno di Alghero, 14-15 ottobre 1994, Quaderni de «Il Risorgimento», 8, Milano 1996, pp. 37-61.

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che anche qui si rivelarono quasi sempre discontinue di breve durata, general-mente basate sull’adozione come unico testo di base del Catechismo di agri-coltura del Granata33. Analogamente in Capitanata le cattedre istituite ebbero una vita stentata, senza la pretesa di formare veri e propri agronomi, ma limita-te alla diffusione di pratiche più razionali, con difficoltà a reclutare gli esperti per le lezioni; nel 1844 le scuole comunali vennero addirittura abolite, tranne che nei capoluoghi di circondario e nei grandi centri agricoli di Lucera e Ceri-gnola34. Proprio nella campagna di Cerignola possiamo riscontrare un caso di innovazione agraria legato ai circuiti europei di circolazione delle conoscenze e di formazione degli agronomi: subito dopo la metà del secolo nelle masserie dell’ex feudo, passate ai duchi Larochefoucauld de Deaudeville, divenne am-ministratore Leone Maury, che era stato allievo della Scuola francese di Gri-gnon e compagno di corso di Giuseppe Antonio Ottavi, a sua volta figura chiave nel decollo dell’istruzione agraria in Piemonte; il Maury aveva comple-tato la sua formazione presso alcune fattorie sperimentali in Francia e dopo il suo arrivo a Cerignola si impegnò in una consistente opera di riorganizzazione produttiva e di miglioramento infrastrutturale negli oltre cinquemila ettari del possedimento, introducendovi macchine e aratri moderni, in parte acquistati in occasione della grande Esposizione universale di Parigi nel 185535.

Le ricerche sulla storia della scuola nel Mezzogiorno hanno consentito di rilevare che durante gli anni trenta e quaranta lo Stato cercò di promuovere la modernizzazione delle campagne proprio nell’ambito dell’istruzione agra-ria, «diffondendo le conoscenze agronomiche sia tra i proprietari, da familia-rizzare coi nuovi metodi di coltivazione, coi nuovi macchinari e con le nuove opportunità di commercializzazione, sia tra la manodopera agricola, per ren-derla più ricettiva alle innovazioni introdotte dai proprietari stessi»36.

In generale possiamo dire che nel Regno borbonico, dal punto di vista della diffusione delle conoscenze agrarie, gli anni quaranta sembrano segnare una svolta, sia in rapporto alla riforma della pubblica istruzione, che alla creazione, nel 1847, del Ministero di Agricoltura industria e commercio. Nel corso degli anni cinquanta si ebbero iniziative più decentrate, tra cui varie cattedre di ma-

33 G. De Gennaro, La diffusione delle conoscenze agrarie nel Mezzogiorno: Puglia e Basili-cata (1800-1915), cit., pp. 445-472.

34 Cfr. Antono Muscio e Costantina Altobella (a cura di), Il progresso agricolo nella Capi-tanata dell’Ottocento. Il sostegno pubblico, l’istruzione agraria, le tecniche e la divulgazione scientifica, Università degli Studi di Foggia, Foggia 2001, pp. 42-72; Ernesto Bosna, L’istruzione agraria nell’età ferdinandea con particolare riferimento alla Puglia, in Atti del 4° Convegno di Studi sul Risorgimento in Puglia. L’età ferdinandea (1830-1859), Braccidieta, Bari 1985, pp. 215-229.

35 Saverio Russo, Alcune osservazioni sulla diffusione dell’innovazione agricola nella Capi-tanata del primo Ottocento, in Agricoltura come manifattura, cit., vol. II, pp. 557-563.

36 M. Lupo, Tra le provvide cure di Sua Maestà, cit., p. 177.

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terie professionali nelle scuole di secondo grado, come avvenne a Lecce, Fog-gia, Chieti e Campobasso, che andavano ad aggiungersi a quella già esistente nel liceo di Salerno37. Il quadro era completato dalle scuole o insegnamenti di agricoltura presso gli orfanatrofi, tra cui quello di Giovinazzo in Puglia dove insegnò anche Achille Bruni. Si trattava di scuole di agricoltura gratuite, spes-so unite alla proposta di colonie agricole per affrontare i problemi della men-dicità, ma tese anche ad infrangere il tradizionalismo contadino.

Certo, in tutto questo c’erano dei limiti. Uno di non poco conto era connes-so ai profili professionali richiesti dall’agricoltura meridionale, consistenti prevalentemente in figure intermediarie, amministratori, fattori e massari, scelti più sulla base di caratteristiche familiari o di fedeltà piuttosto che su criteri di competenza tecnico-scientifica; generalmente la loro formazione non passava attraverso la scuola, ma da meccanismi di riproduzione sociale interni alle famiglie e alle aziende latifondistiche, con il mescolarsi e l’acca-vallamento di ruoli e competenze38.

Queste prime esperienze di istruzione agraria teorico-pratica, e sullo sfondo l’attività delle società economiche, consentono comunque di cogliere come an-che nell’Italia del Sud e in Sicilia si fosse ormai verificato il passaggio dall’ac-cademismo elitario settecentesco ad iniziative e interventi sul mondo agricolo aperte a diversi ceti sociali e al territorio, con una crescente considerazione del ruolo dello Stato e delle politiche pubbliche per l’agricoltura ed un certo colle-gamento con tecnici e imprenditori stranieri, come del resto è stato accertato anche per il pur timido settore industriale del Sud39. È in questa evoluzione di lungo periodo che possiamo inquadrare la principale iniziativa di istruzione a-graria superiore che si realizzerà nel Mezzogiorno dopo l’Unità e che costituirà un duraturo punto di riferimento anche a livello nazionale, cioè la Scuola supe-riore di agricoltura di Portici aperta nel 1872 e frutto di una proposta di Carlo Ohlsen, che nel 1866 suggerì all’amministrazione provinciale di Napoli di de-stinare a scuola agraria la vecchia reggia dei Borboni. Come è stato osservato, essa nacque nel contesto di quella filosofia modernizzatrice contrassegnata dall’idea di progresso e dalla fiducia nell’esempio e nella sperimentazione, ope-rante in Italia da molto prima dell’Unità e adottata poi dallo stato liberale40. La

37 Alfonso Scirocco, Collegi e licei nel Mezzogiorno (1806-1860), in Storia delle istituzioni educative, cit., pp. 7-21.

38 R. De Lorenzo, Sperimentazione e istruzione agraria, cit., pp. 542-543. 39 Daniela Luigia Caglioti, Dalla scuola alla fabbrica: percorsi educativi e training profes-

sionale di alcuni imprenditori stranieri nel Mezzogiorno dell’Ottocento, in Ilaria Zilli (a cura di), Risorse umane e Mezzogiorno. Istruzione, recupero e formazione tra ’700 e ’800, Edizio-ni Scientifiche Italiane, Napoli 1999, pp. 127-174.

40 Luigi Musella, La Scuola superiore di Portici tra questione agraria e questione meridio-nale, in Agricoltura come manifattura, cit., vol. II, p. 658; Id., Da Oreste Bordiga a Manlio Rossi Doria. L’agricoltura meridionale nell’analisi della Scuola Agraria di Portici, Calice,

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Scuola di Portici rappresentò al tempo stesso un approdo e un punto di partenza nel processo mirante a mettere a disposizione del settore agrario nuove compe-tenze tecniche e scientifiche, attraverso l’istruzione, ma anche cercando di ana-lizzare e comprendere i caratteri economici e sociali dell’agricoltura meridiona-le. Nello stesso periodo si riorganizzava a Napoli anche la Scuola di applica-zione degli ingegneri, creata nel 1811 da Gioacchino Murat.

Ma che ne fu di queste esperienze nei decenni successivi? Mentre si avvici-nava alla realtà agricola, la questione dell’insegnamento agrario divenne anche oggetto delle politiche pubbliche. Intorno alla metà del secolo e subito dopo, un po’ in tutta Europa, si assiste ad uno sforzo di intervento da parte dei go-verni nel settore dell’istruzione agraria. Anche in Italia il tema venne affronta-to dai governi di alcuni stati preunitari prima e dello stato nazionale poi.

Questo passaggio non avvenne all’improvviso e non ci fu uno stacco netto tra il ruolo dei privati e quello dello Stato, come dimostrano le carriere dei primi agronomi (tra gli altri: Ridolfi, Codelupi, Botter) che avevano diretto alcune delle prime scuole di agricoltura e che ottennero a partire dagli anni cinquanta crescenti riconoscimenti a livello statale. Si delineava insomma un intervento pubblico a favore dell’istruzione agraria. Come ha scritto Lacaita, nell’arco di alcuni decenni ci fu un sensibile spostamento dell’asse formativo nazionale in senso tecnico scientifico e professionale41.

La Scuola di Portici, aperta nel 1872, nasceva appena due anni dopo la Scuola superiore di agricoltura di Milano. Con essa e con l’istituzione delle prime stazioni sperimentali, si apre – come abbiamo accennato all’inizio – un periodo di concreto intervento dello Stato, che si rafforza ulteriormente negli anni della sinistra al pote-re e della crisi agraria, quando venne finalmente approvata la legge che stabiliva l’istruzione agraria pubblica in Italia. Il fenomeno dell’istruzione non era disgiunto dal progresso delle scienze. Teniamo conto, ad esempio, che il primo direttore del-la Scuola agraria di Portici fu Alfonso Cossa, uno dei fondatori della chimica agra-ria in Italia. Un altro scienziato, Italo Giglioli, passato ancora giovane dall’impiego di assistente presso il Museo industriale di Torino alla cattedra di chimica agraria della Scuola superiore di agricoltura di Portici e poi a quella dell’Università di Pi-sa, non aveva alcun dubbio nel riconoscere «la chimica e la meccanica [come] le scienze che hanno dato un nuovo aspetto alla pratica dei campi»42.

Pisa, Milano e Portici divennero i primi poli dell’istruzione agraria superiore nell’Italia unita. Erano anche il segno di un’epoca nuova, scientifica e indu- Rionero in Vulture 1990. Cfr. anche M. Rossi Doria, La Facoltà di Agraria di Portici nello sviluppo dell’agricoltura meridionale, «Quaderni storici», 36, 1977, pp. 836-853.

41 Carlo G. Lacaita, Formazione politecnica e infrastrutture meridionali in età liberale, in La scienza nel Mezzogiorno dopo l’Unità, cit., t. I, p. 153.

42 Italo Giglioli, La chimica agraria, in Sergio Zaninelli (a cura di), Scritti teorici e tecnici di agricoltura, vol. III, Dall’Ottocento agli inizi del Novecento, Il Polifilo, Milano 1992, vol. III, pp. 475-476.

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Pazzagli, Economia e conoscenza. Scuola e agricoltura nel Mezzogiorno a cavallo dell’Unità

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striale, e confermavano che le scienze agrarie e gli agronomi avevano ormai acquisito un’identità scientifica e professionale autonoma. Lo stesso stava av-venendo per altri ambiti, comunque collegati al mondo rurale: nell’Italia unita-ria, sotto l’egida del Ministero di agricoltura industria e commercio, crescono anche nel Sud scuole agrarie, minerarie, stazioni sperimentali e altre più setto-riali: Chimica agraria a Portici, Tabacchicoltura a Scafati, Frutticoltura ad Aci-reale, Istituto zooprofilattico a Portici (1908), Istituto zootecnico della Basili-cata (1911). Come si vede, siamo ormai agli albori del nuovo secolo, l’inquie-to, impetuoso e per vari aspetti drammatico Novecento.

Era un paesaggio della conoscenza che incideva, inevitabilmente, anche sul paesaggio fisico e sull’ambiente. Dei due fattori che Stefano Jacini riteneva essenziali per far decollare una agricoltura intensiva e perfezionata, cioè l’in-telligenza e il capitale, era piuttosto il secondo a difettare. La presenza di un’intelligenza, sia “naturale” che indotta dal sapere scientifico, era invece data per certa nella Relazione finale dell’inchiesta agraria43. Dunque, nella parte centrale dell’ottocento non mancò all’agricoltura italiana una cultura agronomica scientifica e di base, né l’organizzazione di canali necessari a veicolare le conoscenze verso le campagne e la pratica agraria, specialmente attraverso l’istruzione superiore e la formazione professionale di tecnici e quadri intermedi.

La loro ricaduta sulla realtà produttiva resta in gran parte da misurare, ma l’apporto più rilevante al complesso dello sviluppo economico italiano fu, probabilmente, un contributo di ordine culturale, che andò ad accrescere il capitale umano e il capitale sociale, entrambi elementi non sufficienti ma ne-cessari di ogni processo di sviluppo.

Forse non mancavano del tutto le basi culturali e scientifiche dello svilup-po. Mancavano altre cose. Come sottolinea Giovanni Paoloni nella già citata storia delle scienze meridionali, non mancarono risorse umane e idee, ma c’era una inadeguatezza del tessuto politico e istituzionale.

43 Stefano Jacini, I risultati dell’inchiesta agraria (1884), Einaudi, Torino 1976.

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