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GRANDANGOLO SCIENZA FISICA, MATEMATICA, CHIMICA PROTAGONISTI E SCOPERTE 11_GrScienza_Cartesio 6.indd 1 06/12/16 16:18

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G R A N D A N G O L O

S C I E N Z A

F I S I C A , M A T E M A T I C A , C H I M I C A

P R O T A G O N I S T I E S C O P E R T E

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CARTESIO LA MATEMATICA INCONTRA

LA GEOMETRIAa cura di Enrico Rogora

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Indice

Grandangolo ScienzaVol. 11 – Cartesio. La matematica incontra la geometria © 2016 RCS MediaGroup S.p.A., Milano

È vietata la riproduzione dell’opera o di parte di essa, con qualsiasi mezzo, compresa stampa, copia fotostatica,microfilm e memorizzazione elettronica, se non espressamente autorizzata dall’editore.Tutti i diritti di copyright sono riservati. Ogni violazione sarà perseguita a termini di legge.Edizione speciale per Corriere della Sera pubblicata su licenza di Out of Nowhere S.r.l.Il presente volume deve essere venduto esclusivamente in abbinamento al quotidiano Corriere della Sera

LE STORIE DEL CORRIERE DELLA SERA n.11 del 11/1/2017Direttore responsabile: Luciano FontanaRCS MediaGroup S.p.A.Via Solferino 28, 20121 MilanoSede legale: via Rizzoli 8, 20132 MilanoReg. Trib. N. 176 del 13/06/2016ISSN 2531-5609 Responsabile area collaterali Corriere della Sera: Luisa SacchiEditor: Martina Tonfoni, Fabrizia Spina Focus e pagine scelte a cura di Enrico RogoraIdeazione e introduzioni di Giorgio RivieccioConcept e realizzazione: Out of Nowhere SrlImpaginazione: Marco Pennisi & C. SrlBiografie a cura di Cristiana PulcinelliCoordinamento editoriale: Michele RivaRedazione: Flavia Fiocchi

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Indice

La matematica universale 7

PANORAMA

Il personaggio 13Il suo tempo 29Cronologia 36

FOCUS

a cura di Enrico RogoraL’importanza di Cartesio xLe opere scientifiche xLa fortuna e gli influssi xPro e contro xLe applicazioni pratiche x

APPROFONDIMENTI

Pagine scelte xGlossario xLeggere, vedere, visitare x

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LA MATEMATICA UNIVERSALE

Considerato uno dei più grandi filosofi dell’età moderna, Cartesio (René Descartes) ebbe un punto di partenza poco usuale nell’avviare la costruzione del suo pensiero: la ma-tematica, quale scienza pura che è al di sopra di tutte le altre. Si propose di usare i suoi strumenti per l’indagine in altri campi dello scibile, affermando: «Nelle matema-tiche ci sono invenzioni molto sottili, che possono servire tanto a soddisfare i curiosi quanto a facilitare tutte le arti e alleviare il lavoro degli uomini». Così, iniziò a prendere forma il suo grande disegno di sviluppare un «Progetto per una scienza universale che possa innalzare la nostra natura al suo grado più alto di perfezione». Vale a dire, riuscire a spiegare scientificamente il grande Piano divino dell’uni-verso. Era quello infatti il titolo che inizialmente avrebbe voluto dare al suo trattato fondamentale, il Discorso sul metodo, opera di lunga gestazione e sottoposta a continui ripensamenti. Ma la condanna per eresia di Galileo, nel

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1633, lo spinse a un mutamento di rotta nel suo lavoro: non più progetto per una «scienza universale», ma «discorso sul metodo», cioè lo sviluppo di un impianto metodologico essenziale, nato dal metodo matematico, e volto a conferire all’indagine filosofica e scientifica il necessario rigore. Così, il suo unico lavoro strettamente matematico, la Geometria, divenne un’appendice del Discorso sul metodo (pubblica-to anonimo in Olanda per i problemi di cui sopra).

Si tratta di un piccolo libro di circa cento pagine, ma tale da rivoluzionare il pensiero matematico. L’approccio di Cartesio era infatti del tutto diverso da quello dei suoi predecessori: mostrare come l’aritmetica, l’algebra e la geo-metria possano essere combinate per risolvere ogni proble-ma, attraverso tecniche algebriche innovative per collegare la costruzione di una curva alla sua equazione algebrica, classificare le curve in relazione alle loro equazioni algebri-che e, una volta fatto ciò, usare esclusivamente la geometria per risolvere i problemi algebrici, molti dei quali all’epoca erano di difficile soluzione con i soli numeri.

La sua Geometria mostra così soltanto costruzioni geo-metriche. Dopo aver stabilito un’unità di lunghezza, Car-tesio mostra le procedure per compiere addizioni, sottrazio-ni, moltiplicazioni, divisioni e altre operazioni matemati-che più complesse (come trovare le radici di equazioni di diverso grado) esclusivamente per via grafica, cioè con i soli riga e compasso. In altri termini, l’algebra dei segmenti. Altra innovazione decisiva dal punto di vista concettuale fu il metodo per scomporre i problemi complessi in parti

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elementari e per generalizzare al massimo le procedure di risoluzione. Tutto ciò rientra chiaramente nel suo disegno di fare della matematica un metodo universale, appunto, che prescinde da accidenti fenomenici come le misure nu-meriche che si riferiscono a realtà materiali. Diceva: «Ogni problema in geometria può essere facilmente ridotto a ter-mini tali che la conoscenza della lunghezza di un certo segmento è sufficiente per la sua costruzione [geometrica]».

La sua algebra dei segmenti non può non portare al con-cetto dell’associazione di ogni elemento geometrico (punto, linea, superficie) con un insieme di numeri che esprimono le sue coordinate su un piano. Tanto che tale piano viene comunemente detto cartesiano. In realtà, Cartesio usò que-sto concetto implicitamente ma senza dargli l’enfasi che noi gli attribuiamo, preferendo parlare di «linee di riferimen-to», sempre in un’ottica universale svincolata da valori con-tingenti (in realtà, il modello di piano cartesiano fu ideato dal matematico francese del XIV secolo Nicola d’Oresme e semmai sviluppato da Fermat, non da Cartesio). Dio non misura, generalizza.G.R.

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PANORAMA

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Copia coeva di un originale perduto del ritratto di Cartesio eseguito dal pittore olandese Frans Hals nel 1649, durante il soggiorno del matematico in Olanda (1628-1649). Louvre, Parigi.

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IL PERSONAGGIO

G racile, pallido, con una tosse secca che non lo la-sciava mai. Il piccolo René, pronosticavano i me-

dici, sarebbe morto giovane. Lo racconta lui stesso ormai cinquantenne in una lettera indirizzata alla principessa Elisabetta di Boemia. Fu probabilmente questa salu-te cagionevole la causa del ritardo con cui iniziò la sua istruzione ufficiale: fino a circa dieci anni studiò in casa, poi entrò in un collegio gesuita. E lì cominciò il viaggio intellettuale di uno dei padri della scienza moderna.

René Descartes (Renatus Cartesius in latino, Renato Cartesio in italiano) era nato il 31 marzo del 1596 a La Haye (oggi chiamata Descartes) in Touraine, un’antica provincia francese situata nel bacino della Loira. Il padre Joachim, figlio del medico Pierre Descartes, era diven-tato consigliere al parlamento di Bretagna. Proveniente da una «nobiltà modesta e non remota»*, Joachim, al

* E. Garin, Vita e opere di Cartesio, Laterza, Bari 1984

Copia coeva di un originale perduto del ritratto di Cartesio eseguito dal pittore olandese Frans Hals nel 1649, durante il soggiorno del matematico in Olanda (1628-1649). Louvre, Parigi.

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momento della nascita di René, aveva avuto già tre figli dalla prima moglie, Jeanne Brochard, ma solo due di essi erano sopravvissuti ai primi anni di vita: Pierre e Je-anne. Nel 1597, la madre muore mentre dà alla luce un quinto figlio che a sua volta non vive che pochi giorni. René, che ha poco più di un anno, viene affidato alle cure della nonna materna, Jeanne Sain, vedova dell’ex luogotenente generale del Poitu, René Brochard. Tra-scorsi due o tre anni dalla morte della moglie, il padre si risposa con Anne Morin, una bretone dalla quale ha altri due figli, Joachim e Anne.

È la Pasqua del 1606 (ma forse del 1605 o del 1607) quando giunge il momento per il piccolo René di lascia-re la casa di famiglia per entrare a La Flèche, un collegio di gesuiti. Lì rimarrà «otto o nove anni consecutivi», come ricorda lui stesso in un’altra lettera della sua ma-turità, studiando soprattutto grammatica, retorica e poi

Dettaglio della prima pagina della Géométrie, unico testo di matematica pubblicato da Cartesio,in cui si poneva il compito di risolvere per via geometrica tutti i problemi algebrici.

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logica, fisica, matematica, morale e metafisica. L’inse-gnamento aveva come base le dottrine di Aristotele.

Cartesio è senz’altro più interessato alle scienze che alle materie letterarie, ma non è contento di come sono insegnate dai gesuiti e quindi si dedica a letture personali, scor-rendo «tutti i libri che mi erano capitati per le mani che trattassero delle scienze più cu-riose e più rare».

Per scienze curiose si intendeva – secondo il dizionario universale del Furetière del 1690 – quelle «scienze note a poche persone, che hanno segreti particolari, come la chimica, una parte dell’ottica, che fa vedere cose straor-dinarie con gli specchi e le lenti, e molte scienze varie in cui si crede di vedere l’avvenire, come l’astrologia giu-

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diziaria, la chiromanzia, la geomanzia, e ci si può unire anche la cabala, la magia». Cartesio è attento a questi temi: «È pacifico che non era questa la direzione del pensiero cartesiano – scrive Garin – ma è altrettanto pacifico che, in quegli anni di formazione, egli non si muoveva solo nell’ambito dei manuali di filosofia scola-stica dei buoni padri della Compagnia di Gesù».*

Una volta finita la formazione dai gesuiti (e recupe-rata finalmente la salute), il giovane Cartesio decide di abbandonare i libri dei filosofi per dedicarsi alla lettu-ra del “libro del mondo”. Ma per alcuni anni di lui si perdono le tracce. Si sa che nel 1616 si laurea in di-ritto canonico e civile. Poi nel 1618, iniziata la guerra dei Trent’anni, lo ritroviamo nei Paesi Bassi, arruolato nell’esercito di Maurizio di Nassau. Ma è alla fine del 1618 che qualcosa cambia nella sua vita, quando incon-* E. Garin, Vita e opere di Cartesio cit.

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tra un olandese: Isaac Beeckman. Beeckman aveva otto anni più di René ed era maestro alla scuola di latino di Dordrecht, ma anche medico e fisico. Uomo di grande cultura, Beeckman tra il 1604 e il 1634 tenne un dia-rio scientifico in cui raccontò anche l’incontro avvenuto con Cartesio il 10 novembre del 1618.

Quel giorno un matematico affigge su un portone di Breda un problema, chiedendo ai cittadini più dotti di provare a risolverlo. Car-tesio, che si trova nella città olandese, nota la gente radunata davanti al cartello e si in-curiosisce, ma poiché il quesito è scritto in fiammingo, non lo comprende.

Chiede così aiuto a uno dei presenti, Beeckman appun-to, che prontamente traduce il problema in latino. Il

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giorno dopo Cartesio gli porta la soluzione e questo gesto dà il via a una frequentazione particolarmen-te intensa almeno fino a gennaio del 1619, quando Beeckman lascia Breda per tornare nella sua città. Lo scambio intellettuale e la collaborazione di ricerca tra i due vive ancora per alcuni mesi attraverso lettere in cui, tra l’altro, Cartesio ha parole di gratitudine per l’ami-co: «Tu solo mi hai svegliato dall’inerzia», scrive e, per dimostrare la sua riconoscenza, gli dedica la sua prima opera, il Compendium musicae, che però verrà pubbli-cato postumo. Poi qualcosa si incrina e per dieci anni non si sentiranno più.

Nella primavera del 1619 Cartesio lascia l’Olanda per girare l’Europa, ma si ferma a Francoforte dove as-siste ai festeggiamenti per l’incoronazione dell’impera-tore Ferdinando II. Ripresa la guerra dei Trent’anni, decide di arruolarsi nell’esercito di Massimiliano di Ba-

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viera. L’inverno lo trascorre in tutta tranquillità in una bella casa riscaldata sulle rive del Danubio, per la pre-cisione a Neuburg, vicino Ulm, in Baviera, dove, come scrive lui stesso, «avevo tutto l’agio d’intrattenermi con i mei pensieri».*

È lì che il 10 novembre (un anno esatto dopo il fortuito incontro con Beeckman) Cartesio, come per un’illuminazione, scopre i «fonda-menti di una scienza meravigliosa».

Durante la notte seguente, in preda a una grande ecci-tazione, fa tre sogni particolarmente significativi («Lo spirito della verità» gli avrebbe «voluto schiudere con questo sogno i segreti di tutte le scienze») e li annota in un quaderno di appunti redatto in quegli anni che * R. Descartes, Discorso sul metodo, trad. di xxx, editore, luogo anno

Frontespizio della prima edizione del Discorso sul metodo, stampato per la prima volta a Leida nel 1637 da Jan Maire.

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andò perso dopo la sua morte, ma il cui contenuto è stato descritto dal suo biografo Adrien Baillet alla fine del Seicento.

Non sappiamo bene a cosa si riferisse Cartesio quando parlava della “scienza meravigliosa” di cui avrebbe scoperto i fondamenti, ma probabilmente si riferiva alle sue riflessioni sull’unità del sapere e del metodo, la mathesis universalis: «Descartes veniva ren-dendosi consapevole del carattere unitario del sapere umano, nella cui prospettiva le varie scienze venivano a unificarsi».* Sembra che a Ulm ebbe modo di cono-scere anche il matematico Faulhaber e qualche biogra-fo sostiene che fu lui il tramite per gli eventuali rap-porti di Cartesio con i Rosa-Croce. Non ci sono prove del fatto che Cartesio fosse affiliato a questa comunità, ma fu «certamente attratto dagli aspetti escatologici * G. Crapulli, Introduzione a Descartes, Laterza, Roma-Bari 1988

Disegno di Cartesio che illustra la formazione degli arcobaleni, tratto dal saggio Les Météores (I fenomeni atmosferici) pubblicato all’interno del Discorso sul metodo.

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e millenaristici presenti nei seguaci del misterioso Rosenkreutz».*

«Per tutti i nove anni seguenti non feci altro che gi-rare qua e là per il mondo».** Così riassume lo stesso Cartesio il periodo dopo il soggiorno sul Danubio. Ven-dute alcune proprietà il cui ricavato gli permise di vivere serenamente per il resto della sua vita, tornò a Parigi e poi nel 1623 venne in Italia, soggiornando a Roma e Firenze. L’Italia non gli piace.

“ IO NON CAPISCO COME POSSIATE

AMARE TANTO L’ARIA D’ITALIA – SCRIVE

A UN AMICO NEL 1631 – CON LA QUALE COSÌ

SPESSO SI RESPIRA LA PESTE.

DOVE IL CALDO DEL GIORNO È SEMPRE

* P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Laterza, Roma-Bari 1997** R. Descartes, Discorso sul metodo cit.

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INSOPPORTABILE, MALSANO IL FRESCO

DELLA SERA, E DOVE L’OSCURITÀ DELLA

NOTTE NASCONDE RAPINE E ASSASSINII.”

E, quando passa per Firenze, non incontra Galilei. Tor-na a Parigi, dove si occupa principalmente di matemati-ca e ricerche sull’ottica, e poi si ferma per alcuni mesi in Bretagna per scrivere le Regulae ad directionem ingenii, un’opera che sarà pubblicata solo dopo la sua morte. In questi anni si dedica anche alla stesura di un trattato sulla scherma andato perduto.

È il 1628 quando si reca a Dordrecht dove incontra il vecchio amico Beeckman, e dove – probabilmente – matura l’idea di trasferirsi definitivamente in Olanda. Dall’anno successivo e fino quasi alla fine dei suoi gior-ni, infatti, vivrà nei Paesi Bassi, girando varie città: Am-sterdam, Franeker, Leida, Deventer, Utrecht, Alcmaer,

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Santpoort, Endgeest, Egmond op den Hoef, Egmond Binnen. Tra il 1630 e il 1633 si dedica alla stesura di Le Monde ou Traité de la lumière, prima esposizione si-stematica di filosofia naturale su basi meccanicistiche che però si rifiuta di pubblicare quando apprende della condanna del Dialogo di Galilei nel 1633. Come ricor-da Paolo Rossi, Cartesio

“ FU UN RIVOLUZIONARIO CHE NON VOLEVA

ESSERE QUALIFICATO TALE, ERA DESIDEROSO

DI EVITARE IL CONFLITTO CON LA FILOSOFIA

UFFICIALE E RIUSCIVA BENISSIMO A FARLO

SENZA MAI COMPROMETTERE IL SUO PROPRIO

PUNTO DI VISTA.*”In questi anni scrive anche due saggi: La Dioptrique (La * P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa cit.

Busto di Cartesio, opera dello scultore francese Joseph Sylvestre Brun (1838). Reggia di Versailles.

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diottrica) e Les Météores (Le meteore). Nel frattempo, di-venta padre: nell’estate del 1635 riconosce e fa battezza-re a Deventer in una chiesa protestante Francine, nata dalla sua relazione con Helena Jans Van der Strom, una domestica che non sposerà mai.

Dal febbraio del 1636 si stabilisce a Leida, dove si dedica alla stesura della Geometria e del Discorso sul me-todo e dove frequenta l’anfiteatro di anatomia dell’uni-versità, dando seguito a una passione per le dissezioni anatomiche che lo assorbiva già da qualche anno. Ed è a Leida che l’8 giugno del 1637 esce anonima la sua prima pubblicazione con il titolo: Discours de la métho-de pour bien conduire sa raison et chercher la verité dans les sciences. Plus la Dioptrique, les Météores et la Géome-trie, qui sont des essais de cette Méthode. Anonima per modo di dire: tutti sanno chi è l’autore e ampi stralci dell’opera circolano già da tempo. Il Discorso si pre-

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senta come l’introduzione all’opera, mentre i tre saggi scientifici sono l’esempio di come applicare il nuovo metodo.

Le obiezioni alle idee contenute nel Discorso si ma-nifestano da subito e proseguono negli anni successivi; Cartesio, attraverso lettere e pubblicazioni, risponde punto su punto ai suoi oppositori. Nel 1640 due gravi lutti lo colpiscono: a pochi mesi di distanza muoiono la figlia e il padre. L’anno successivo esce la prima edizio-ne delle Meditationes de prima philosophia (Meditazioni metafisiche) che aveva inutilmente cercato di far appro-vare dalla Sorbona. Nel 1642 l’università di Utrecht fa esplicito divieto di insegnamento della “nova philoso-phia” cartesiana. Nel 1644 escono i Principia philoso-phiae (Principi della filosofia).

Ormai il suo pensiero è conosciuto e discusso in tut-ta Europa e la regina Cristina di Svezia si appassiona

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talmente ai temi da lui trattati che lo invita a raggiun-gerla a Stoccolma. Cartesio tentenna, ma alla fine deci-de di accettare e arriva nella capitale svedese ai primi di ottobre del 1649. Nel frattempo a Parigi esce Les Pas-sions de l’âme (Le passioni dell’anima). Nel suo soggior-no svedese Cartesio compone il testo per un balletto dal titolo La Naissance de la paix, per celebrare la pace di Westfalia, e presenta un progetto per un’accademia delle scienze di Stoccolma. Dai primi di gennaio Cri-stina lo costringe ad alzarsi prestissimo la mattina per impartire le sue lezioni di filosofia. Il freddo e la stan-chezza probabilmente lo debilitano, abituato com’era a svegliarsi non prima di mezzogiorno.*

L’11 febbraio 1650, alle quattro del mattino, Car-tesio muore per una polmonite. I suoi resti, tumulati vicino a Stoccolma, vennero riesumati nel 1666 e por-* B. Russell, Storia della filosofia occidentale, Longanesi, Milano 1977

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tati a Parigi. Tranne il cranio, che non fu trovato e che tornò alla luce solo successivamente, per essere esposto al Museo dell’uomo di Parigi.

La condanna della Chiesa cattolica nei confronti del pensiero cartesiano arrivò con la messa all’Indice delle sue opere nel 1663.

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IL SUO TEMPO

Q uando Cartesio entra al collegio di La Flèche, l’istituto è stato creato da poco. Tra il 1603 e

il 1604 il re Enrico IV decise di erigere una cittadel-la universitaria cattolica in contrapposizione a quella protestante di Saumut e la affidò ai gesuiti. In breve divenne «una delle scuole più celebri d’Europa», come riconosce lo stesso Cartesio, richiamando dopo poco tempo dalla sua fondazione già un migliaio di studenti. La vera novità dei collegi gesuiti, e una delle ragioni del loro successo, era che l’iscrizione prescindeva da ogni distinzione di classe sociale, almeno formalmente, ed era gratuita. Come in tutti i collegi della Compagnia di Gesù, la didattica era strutturata seguendo la Ratio atque institutio studiorum, una serie di regole codificate nel 1599. Il corso durava nove anni: quattro di studi grammaticali, due di retorica e tre di filosofia. La filo-sofia insegnata era quella aristotelica, per lo più nella

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rilettura di San Tommaso. Quello che contava erano la tradizione, i libri, gli antichi.

La situazione non era molto diversa nelle università dell’epoca. E non solo in quelle francesi. In Inghilter-ra Francesco Bacone critica con forza l’arretratezza dei metodi d’insegnamento delle università e l’insufficien-za dei contenuti. E Hobbes nel Leviatano afferma che «nelle università la filosofia si identificava con l’aristo-telismo, la geometria non veniva presa in considerazio-ne, la fisica offriva solo vaniloqui e non spiegazioni».*

Dopo il Concilio di Trento, la presenza della teo-logia nelle aule universitarie europee aumenta, mentre la libertà di espressione delle nuove idee è fortemente limitata dall’Indice dei libri proibiti.

Una situazione un po’ diversa in Europa è quella dei Paesi Bassi, dove Cartesio decide di stabilirsi nel 1629 e di rimanere per vent’anni.

In effetti, il XVII secolo segnò un periodo molto fe-lice per la storia dei Paesi Bassi, tanto da meritarsi il nome di “Gouden eeuw”, secolo d’oro.

Furono questi gli anni in cui l’Olanda domi-nò il commercio mondiale e creò un nuovo sistema coloniale che la rese ricca e potente.

La Compagnia olandese delle Indie orientali venne fon-data nel 1602, ottenendo il monopolio olandese sul * P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa cit.

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commercio asiatico e mantenendolo per duecento anni. La rete commerciale che il Paese creò si estendeva in tut-to il mondo conosciuto e le flotte olandesi «costituivano l’80% di tutta la marineria mercantile europea».*

Le merci trasportate andavano dalle tradizionali spe-zie, come il pepe, ai nuovi prodotti commerciali come zucchero, tè, caffè, rum. Il loro commercio era fiorente e ad Amsterdam si accumulavano ingenti profitti, tanto che nel 1609 fu fondata la Borsa di Amsterdam, ben un secolo prima di quella inglese. Cominciò anche una certa attività produttiva: raffinerie di zucchero, cantieri navali, industria tessile.

La creazione di una ricca classe di mercanti è facili-tata anche dal fatto che «il calvinismo olandese ha fatto prendere in considerazione la possibilità che un mercan-te cristiano potrebbe non essere una contraddizione in termini».** I nuovi ricchi cominciarono a interessarsi di arti, scienza, letteratura.

L’Olanda diventava attraente per gli intellettuali di tutta Europa, anche per il clima di tolleranza che si era cominciato a creare già nel secolo precedente, grazie soprattutto a Erasmo da Rotterdam e alla sua idea di Umanesimo cristiano.

Un’idea che fondeva gli ideali dell’humanitas romana con la pietas cristiana e che si basava su una tolleranza

* R. Villari, Storia modera, Laterza, Roma-Bari 1984** S. Schama, The Embarrassment of Riches: An interpretation of Dutch culture in the Golden Age,

University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1988

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politica e religiosa che non prevedeva la caccia all’eretico, la tortura, la pena di morte. Come ha scritto Bertrand Russell, proprio parlando di Cartesio: «Visse in Olanda per venti anni (1629-49), eccettuate poche brevi visite in Francia e una in Inghilterra, tutta (tutte?) per affari. Non sarà mai abbastanza posta in luce l’importanza dell’Olan-da nel XVII secolo, come unica nazione dove fosse rispet-tata la libertà di pensiero. Hobbes dovette farvi stampare i suoi libri; Locke vi si rifugiò durante i cinque peggiori anni della reazione in Inghilterra, prima del 1688; Bayle (quello del Dizionario) si trovò nella necessità di andare a viverci; e difficilmente sarebbe stato permesso a Spinoza di compiere il suo lavoro in un altro paese».*

Fu sempre grazie a quel clima di tolleranza che i Pa-esi Bassi divennero il luogo in cui i pensatori europei andavano a stampare i loro libri.

Nelle città avevano sede molte case editrici che stampavano libri controversi sulla reli-gione, sulla filosofia e sulla scienza, che al-trove sarebbero stati messi all’indice e che poi venivano esportati segretamente.

Qui, dopo il processo del 1633, Galileo pubbli-cò nel 1638 un grande trattato scientifico dal titolo Di-scorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti la mecanica e i moti locali. Qui, come * B. Russell, Storia della filosofia occidentale cit.

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ricorda Russell, Hobbes dovette stampare l’edizione del 1668 delle sue opere, per la mancata liberatoria della censura inglese sulle sue pubblicazioni.

Cultura e scienza fiorirono. In quegli anni qui visse e lavorò Christiaan Huygens (1629-1695), famoso mate-matico, fisico e astronomo che inventò l’orologio a pen-dolo e fornì una spiegazione per gli anelli di Saturno. E Antoni van Leeuwenhoek, un negoziante di tessuti, che fu il primo a studiare in modo sistematico la vita micro-scopica. Ma i Paesi Bassi in quegli anni furono anche la terra natale di bravissimi artigiani e tecnici.

Qui fu costruito il primo cannocchiale al principio del XVII secolo, probabilmente da due occhialai, ed esi-ste ancora il documento con il quale gli Stati generali del Paesi Bassi accolgono la domanda di brevetto.

Fu con le notizie che giungevano da questo paese che Galileo si dedicò al perfezionamento dello strumento che pensò poi di puntare verso il cielo e non verso le na-vi nemiche, rivoluzionando la scienza. Qui l’invenzione delle segherie permise la costruzione di una grande flotta di navi. Qui l’ingegnere idraulico Jan Leeghwater riuscì a strappare una considerevole quantità di terra alle acque convertendo diversi grandi laghi in polder, pompando tutta l’acqua con i mulini a vento. Qui si gettarono le basi del diritto internazionale grazie agli studi di Ugo Grozio. E fiorì l’arte di pittori come Rubens, Rembrandt e Vermeer, che ci hanno lasciato immensi capolavori.

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MONDO PENSIERO

1584 Guglielmo I d’Orange, che aveva portato i Paesi Bassi all’indipendenza dalla Spa-gna, viene assassinato su istigazione del re di Spagna Filippo II.

1588 L’Invincibile Armata spagnola viene scon-fitta dalla flotta inglese di Elisabetta I. Fallisce il sogno del re Filippo II di con-quistare il trono britannico e l’Inghilterra conferma il suo predominio sui mari.

1594 Enrico di Navarra, convertitosi al catto-licesimo («Parigi val bene una Messa») viene incoronato re di Francia con il nome di Enrico IV. È il primo re Borbone di Francia.

1598 Il re Enrico IV di Francia emana l’Editto di Nantes, che garantisce la libertà di culto agli ugonotti (protestanti calvi-nisti). L’editto pone fine alle guerre di religione in Francia. Sarà revocato da Luigi XIV nel 1685.

1600 Viene fondata la Compagnia britannica delle Indie Orientali, destinata a diventare la più potente della sua epoca, fino ad acquisire funzioni militari e amministra-tive proprie della monarchia inglese nel governo del territorio del subcontinente indiano. Sarà il braccio operativo dell’Im-pero britannico in Asia, fino alla sua dis-soluzione, nel 1874.

1602 Il governo dei Paesi Bassi assegna alla Compagnia Olandese delle Indie Orientali il monopolio sul commercio in Asia.

1603 L’imperatore giapponese Ieyasu trasferi-sce la capitale da Kyoto a Edo (Tokyo).

1607 Prima colonia inglese permanente in America, a Jamestown, Virginia.

1586 Viene pubblicata l’opera completa del De rerum natura iuxta propria principia di Bernardino Telesio, filosofo e natu-ralista, che critica l’aristotelismo dei principi universali, considerando i sensi come unico strumento della conoscen-za. Il naturalismo di Telesio influenzerà fra gli altri Cartesio e Giordano Bruno.

1597 Escono le Disputationes metaphysicae del gesuita e filosofo spagnolo Fran-cisco Suárez, considerato il più impor-tante pensatore della Scolastica dopo Tommaso d’Aquino.

1600 Il frate domenicano Giordano Bruno, fi-losofo e scrittore, viene arso vivo dall’In-quisizione, a Campo de’ Fiori a Roma, con l’accusa di eresia per aver teorizzato la pluralità dei mondi, un universo infini-to ed aver negato la transustanziazione.

1602 Il frate domenicano Tommaso Campa-nella compone La città del Sole, testo utopico su una città ideale governata da un sacerdote fedele al Dio Sole, un dio laico espresso da una religione natura-le, di cui il filosofo stesso è fautore.

1620 Il filosofo inglese Francis Bacon scrive il Novum Organum, che contrasta il metodo sillogistico di Aristotele e la credenza negli “‘idoli” (i pregiudizi anti-scientifici) contrapponendogli il metodo induttivo fondato sull’esperienza e sulla classificazione dei fenomeni.

1637 Il filosofo francese René Descartes (Cartesio) pubblica il Discorso sul me-todo, con il quale sostiene la necessità di dare alla ricerca filosofica e scien-tifica una struttura logica proveniente dalla matematica, e di conseguenza il modello di ragionamento deduttivo, con

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LETTERATURA E ARTI SCIENZA ED ESPLORAZIONI

1581 Esce la prima edizione, autorizzata dall’autore, della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, considerata l’epilogo del poema cavalleresco italiano rinasci-mentale, che però già risente del clima didascalico-educativo della Controrifor-ma nei confronti della religione cattolica.

1590 Viene pubblicato il poema The faerie queene (La regina delle fate), considerato il capolavoro del poeta inglese Edmund Spenser, allegoria delle virtù cristiane e celebrazione della gloria dell’Inghilterra elisabettiana.

1600-1602 William Shakespeare compone Am-leto, uno dei suoi capolavori, parabola sull’incessante lotta fra le forze del bene e del male, nella quale l’essere umano è coinvolto rimanendo disorientato tra pas-sioni e dubbi, desiderio di giustizia e impeti di vendetta, fino alla distruzione sua e del-le persone amate come pure dei nemici.

Michelangelo Merisi da Caravaggio di-pinge alcuni dei suoi capolavori come La conversione di san Paolo e La cena di Emmaus. Il suo stile, rivolto a trasporre sulla tela la fisicità e l’emotività dell’es-sere umano con un drammatico uso della luce, influenzerà non solo la pittura di tutto il secolo, ma anche quella fino ai giorni nostri.

1600-1650 Fiorisce la pittura barocca con i capolavori di Pieter Paul Rubens, Diego Velázquez, El Greco, Annibale Carracci. Lo stile passa dall’armonia rinascimentale all’espressione di sentimenti forti e dalla staticità alla teatralità delle scene. I temi sono prevalentemente religiosi in conse-guenza della controriforma, nella quale l’arte diviene un mezzo di propaganda e di educazione al cattolicesimo. Nei Paesi

1582 Entra in vigore in quasi tutta Europa il Calendario gregoriano, voluto da papa Gregorio XIII per superare il problema dello sfasamento tra anno solare e anno legale causato dagli anni bisestili.

1590 L’olandese Zacharias Jansen inventa il microscopio, strumento destinato a rivoluzionare la medicina e la biologia.

1598 L’astronomo danese Tycho (Tyge) Brahe pubblica Astronomiae instauratae me-chanica che comprende le più accurate osservazioni del cielo in era pre-telesco-pica. In particolare, la sua osservazione di una supernova aiuterà a demolire il dogma dell’immutabilità del cielo.

1600 Il medico inglese William Gilbert pub-blica il De magnete, con il quale rende nota la scoperta del magnetismo della Terra, affermando che l’ago della bus-sola segna il Nord perché attratto dal campo magnetico terrestre.

1604 Galileo Galilei annuncia la legge sul moto dei gravi, che segna la nascita della di-namica e il primo abbozzo della legge di inerzia che sarà poi sviluppata da Newton.

1608 L’ottico fiammingo Hans Lippershey annuncia l’invenzione del telescopio. Lo strumento è destinato con Galileo a rivoluzionare l’astronomia, la scienza e i dogmi della religione.

1609 Viene pubblicato a Wolfenbüttel, in Sas-sonia (Germania), l’Aviso-Relation oder Zeitung, settimanale, considerato il pri-mo giornale a stampa della storia.

1610 Galileo Galilei scopre grazie al telesco-pio i primi quattro satelliti di Giove: Io, Europa, Ganimede e Callisto, che chia-ma “Astri Medicei” in onore di Cosimo II,

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MONDO PENSIERO

1618 Inizia in Germania la Guerra dei Trent’anni, che coinvolgerà le maggiori potenze eu-ropee. Le origini del conflitto risalgono al progressivo potere assunto dal protestan-tesimo dopo la Pace di Augusta (1555), al deciso atteggiamento antiprotestante della Chiesa e dei principi cattolici sotto la spinta della Controriforma. Ma anche alle tensioni politiche e religiose cresciu-te in Europa a causa della posizione cen-trale della Germania. Evento scatenante è la defenestrazione di Praga (1618) quan-do alcuni nobili protestanti, opponendosi al decreto imperiale che proibiva di costi-tuire in Boemia due Chiese protestanti, gettano tre rappresentanti imperiali dalle finestre del castello di Praga.

1619 Una nave olandese porta i primi schiavi africani nel continente americano.

1620 L’imperatore Ferdinando II sconfigge i ribelli boemi nella battaglia della Mon-tagna Bianca, nell’ambito della Guerra dei Trent’anni.

1624-1642 In Francia il cardinale Richelieu, qua-le primo ministro di Luigi XIII, centralizza su di sé il potere. Durante la Guerra dei Trent’anni la sua politica estera riesce a far emergere la Francia come futura na-zione egemonica in Europa.

1642-1661 Guerra civile inglese. Il capo dell’op-posizione puritana al Re Carlo I assume il comando dell’esercito sconfiggendo le forze monarchiche. Carlo I viene decapita-to nel 1649. Nel 1653 Cromwell istituisce la dittatura con il titolo di Lord Protettore. Dopo la sua morte, nel 1660 viene restau-rata la monarchia con Carlo II Stuart.

1644 La dinastia Qing assume il potere in Cina ponendo fine alla dinastia Ming.

il quale è possibile affrontare i proble-mi della certezza della conoscenza e dell’esistenza di Dio.

1640 Viene pubblicato postumo il trattato Augustinus del filosofo olandese Corne-lis Jansen, fondatore del giansenismo, dottrina che esclude totalmente il libero arbitrio e la capacità di aspirare al bene: la grazia rimane dono esclusivo di Dio. A partire dal 1643 il giansenismo, al quale aderirà anche Blaise Pascal, verrà con-dannato come dottrina eretica da parte dei papi Urbano VIII, Innocenzo X e Ales-sandro VII.

1651 Esce il Leviatano, opera del filosofo inglese Thomas Hobbes, concernente la struttura di uno Stato ideale basato su un “contratto sociale” tra uomini razionali, liberi e uguali di fronte alla legge, ma soggetti all’autorità indivisi-bile e illimitata di un sovrano assoluto e autoritario, unico modo per garantire la governabilità.

1665 Il filosofo fiammingo Arnold Geulincx pubblica l’Ethica, sua opera maggiore, nella quale si occupa dell’occasionali-smo, vale a dire il concetto che nega l’e-sistenza di un nesso necessario fra due fenomeni riconducendo il loro rapporto a una semplice successione e ritenendo Dio causa diretta di ogni fenomeno.

1670 Escono postumi i Pensieri del filosofo francese Blaise Pascal.

1677 Viene pubblicata postuma l’Etica del filosofo olandese Baruch Spinoza, nella quale, attraverso una sintesi tra il razio-nalismo scientifico e una metafisica di stampo neoplatonico, viene esposta la sua visione fortemente deterministica e

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LETTERATURA E ARTI SCIENZA ED ESPLORAZIONI

protestanti il barocco si manifesta soprat-tutto con la ritrattistica civile improntata al realismo (Rembrandt, Van Dyck, Vermeer).

1605 Miguel de Cervantes Saavedra pubblica il primo volume del Don Chisciotte, con-siderato uno dei primi romanzi moderni della letteratura spagnola e mondiale, feroce satira tragicomica dei romanzi cavallereschi e della società del Siglo de oro spagnolo.

1607 Il compositore italiano Claudio Montever-di scrive L’Orfeo, favola in musica, ritenu-ta l’opera che segna il passaggio dalla musica rinascimentale a quella barocca.

1609 San Francesco di Sales scrive Introduzio-ne alla vita devota.

1612 Viene pubblicata la prima edizione del Vocabolario degli Accademici della Cru-sca, primo riferimento per la purezza della lingua italiana.

1619 Viene pubblicata a Londra la Istoria del Concilio Tridentino di Paolo Sarpi, il più importante storico italiano del ’600. L’o-pera viene subito messa all’indice dall’In-quisizione.

1623 Il poeta inglese John Donne, ritenuto il massimo esponente della poesia meta-fisica inglese, compone le Meditations, la sua opera più nota.

1630 Il drammaturgo spagnolo Tirso de Molina compone il dramma Il beffatore di Sivi-glia e il convitato di pietra, che introduce la figura di Don Giovanni, personaggio che sarà più volte riutilizzato nella musi-ca (Mozart / Da Ponte) e nella letteratura contemporanea e dei secoli successivi (Molière, Byron, Puškin, Saramago).

granduca di Toscana. Nello stesso anno scopre gli anelli di Saturno.

1614 Il matematico e fisico scozzese John Napier (Nepero) introduce i logaritmi.

1618 L’astronomo tedesco Johannes Kepler (Keplero) completa le sue tre leggi sul moto dei pianeti, destinate a rivoluzio-nare l’astronomia.

1628 Il medico inglese William Harvey ipotiz-za la circolazione del sangue.

1632 Galileo Galilei pubblica il Dialogo sopra i due massimi sistemi, che contiene la divulgazione della teoria copernicana e le prime conferme sperimentali ai movi-menti di rotazione e di rivoluzione della Terra. Dopo la prima condanna avuta il 24 febbraio 1616, Galileo viene sottoposto, in seguito alla pubblicazione del Dialogo, al processo da parte del Sant’Uffizio.

1633 Al termine del processo del Sant’Uffizio, Galileo è costretto ad abiurare la teoria eliocentrica.

1636 1636 Il matematico francese Pierre de Fermat pone le basi della geometria ana-litica mostrando che una curva può essere tradotta in equazioni attraverso le sue co-ordinate in un piano (poi detto cartesiano); delinea le basi del calcolo differenziale e fonda la moderna teoria dei numeri.

1637 1637 Il filosofo francese René Descartes (Cartesio) pubblica il trattato Geometria nel quale mostra come l’aritmetica, l’alge-bra e la geometria possano essere combi-nate per risolvere ogni problema e come si possa usare esclusivamente la geometria per risolvere i problemi algebrici, molti dei quali all’epoca erano di difficile soluzione con i soli numeri. Introduce «linee di ri-

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MONDO PENSIERO

1648 La pace di Vestfalia pone fine alla Guerra dei Trent’anni e segna la fine della Spa-gna e del Sacro Romano Impero come le principali potenze europee. In particolare, la Francia ottiene la Lorena e i territori asburgici dell’Alsazia; i Paesi Bassi e la Svizzera sono riconosciuti sovrani e indipendenti dall’Impero. Viene però sop-presso il Regno d’Italia, considerato parte dell’Impero.

1655-1661 Con una serie di guerre nella penisola scandinava la Svezia si rivela la maggiore potenza del Nord Europa.

1659 Pace dei Pirenei tra Francia e Spagna. Quest’ultima vede ridimensionato il suo potere a favore della Francia che assurge a grande potenza europea, acquisen-do dalla Spagna parte dell’Artois, delle Fiandre, della provincia dell’Hainaut e del Lussemburgo, della Catalogna del Nord e del Rossiglione.

1661 Il re francese Luigi XIV inaugura l’era delle monarchie assolute: alla morte del cardi-nale Mazzarino, suo primo ministro, assu-me personalmente il controllo del governo assumendo su di sé i poteri totali.

1668 Il trattato di pace di Lisbona fra Spagna e Portogallo segna l’indipendenza di quest’ultima nazione.

1683 L’Europa si mobilita contro la minaccia dell’Impero ottomano che sta invadendo il continente. Vienna riesce a resistere all’assedio dei Turchi che vengono scon-fitti; nel 1697, con la battaglia di Zenta, vinta dagli Austriaci comandati da Euge-nio di Savoia-Carignano, inizia la ritirata ottomana dall’Europa centrale.

naturalistica su Dio, il mondo, l’essere umano e la conoscenza, come fonda-menti di una filosofia morale centrata sul controllo delle passioni quale via per la virtù e la felicità. Secondo Spi-noza viviamo nel «migliore dei mondi possibili».

1682 Escono le Meditazioni cristiane e me-tafisiche del filosofo francese Nicolas de Malebranche, esponente dell’occa-sionalismo, secondo il quale il mondo oggettivo non è necessario, poiché tutte le nostre idee sono in Dio.

1684 Viene pubblicata la trattazione di Gottfried Wilhelm Leibniz sul calcolo differenziale e integrale, potentissimo strumento matematico che trasforme-rà la scienza dei numeri e che è stato sviluppato indipendentemente da Isaac Newton, con il quale Lebniz avrà una violenta controversia in relazione alla paternità del metodo.

1686 Viene pubblicata l’opera Conversazioni sulla pluralità dei mondi dello scrittore e filosofo francese Bernard Le Bovier de Fontenelle, anticipatore di molti temi dell’Illuminismo.

1690 Esce il Saggio sull’intelletto umano del filosofo inglese John Locke, massimo esponente dell’empirismo. Il saggio riguarda i limiti dell’intelletto in rela-zione a un ampio spettro di argomenti, soffermandosi su ciò che l’uomo può legittimamente aspirare a conoscere e ciò che invece gli resterà inaccessibile.

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1635 Il drammaturgo spagnolo Pedro Calderón de la Barca, massimo esponente del Siglo de oro, compone La vita è sogno, il suo capolavoro, nel quale affronta il tema del continuo scambio tra realtà e finzione, senza che il protagonista riesca a distinguerle.

1637 Prima dell’opera Chi soffre speri, di Virgi-lio Mazzocchi e Marco Marazzoli, consi-derata la prima opera comica della storia.

1637 Nel teatro San Cassiano di Venezia viene rappresentata l’ Andromeda, di Francesco Manelli e Benedetto Ferrari: è il primo esempio di opera musicale impresa-riale, cioè rappresentata a un pubblico pagante e non più riservata alle corti e all’aristocrazia.

1640-1660 Gian Lorenzo Bernini, ritenuto il mas-simo architetto e scultore dell’epoca ba-rocca, realizza alcuni dei suoi capolavori: il colonnato di Piazza San Pietro, la Fon-tana dei quattro fiumi a Piazza Navona, la Transverberazione di Santa Teresa d’Avila.

1642-1662 L’architetto Francesco Borromini costruisce la chiesa di Sant’Ivo alla Sa-pienza, considerata uno dei capolavori del barocco romano, insieme ad altre sue opere (Sant’Agnese in Agone, San Carlino alle Quattro Fontane).

1656 Il compositore tedesco Johann Jakob Froberger definisce la struttura della suite, composta da quattro danze di base (allemanda, corrente, sarabanda e giga).

1666 Va in scena Il misantropo, capolavoro di Jean-Baptiste Poquelin (Molière), massi-mo esponente della Commedia dell’arte in Francia.

ferimento» in relazione a una curva, che anticipano il concetto di coordinate (in un piano, che verrà poi detto cartesiano).

1637 Pierre de Fermat elabora quello che passerà alla storia come il suo ultimo teorema, ma non ne scrive la dimostra-zione. Il teorema, dopo secoli di studio da parte dei matematici, verrà dimo-strato solo nel 1994 dal matematico inglese Andrew Wiles.

1642 Il filosofo francese Blaise Pascal inven-ta a diciannove anni la prima macchina capace di sommare e sottrarre numeri attraverso la tecnica del riporto auto-matico, chiamata anche Pascalina.

1642 L’esploratore olandese Abel Janszoon Tasman è il primo europeo a raggiun-gere le isole della Nuova Zelanda.

1644 Il fisico Evangelista Torricelli inventa il barometro.

1656 Lo scienziato olandese Christiaan Huy-gens inventa l’orologio a pendolo.

1665 Lo scienziato inglese Robert Hooke pub-blica il libro Micrographia, che contiene le prime esatte descrizioni dell’ana-tomia degli insetti al microscopio e la prima osservazione di una cellula, bat-tezzata così dallo stesso Hooke.

1665 Isaac Newton scrive il primo lavoro sul calcolo differenziale, (detto all’epoca “metodo delle flussioni”), strumento potentissimo che segna la nascita della matematica superiore e gli consentirà di elaborare la rivoluzionaria teoria della gravitazione universale. Scoppia un’aspra controversia con il filosofo e matematico tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz che aveva pubblicato lo stesso procedimento all’insaputa del lavoro di Newton.

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FOCUS

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L’IMPORTANZA DI CARTESIO

L’ALGEBRA DEI SEGMENTI

Cartesio pubblicò un solo scritto matematico, La ge-ometria (Géométrie). Il suo contenuto si può conden-sare come un metodo per ben realizzare le costruzioni geometriche. Non a caso la Geometria è una delle tre appendici, insieme alla Diottrica e a Le Meteore, del Discorso sul metodo per ben condurre la propria ragio-ne e ricercare la verità nelle scienze e la scienza di cui si occupa è quella delle costruzioni geometriche, non solo quelle che si possono fare con riga e compasso, ma tutte quelle che si possono fare con l’ausilio di cur-ve geometriche ben più generali, cioè le curve che si possono descrivere con un’equazione algebrica e di cui questa è un esempio.

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È evidente che il pensiero filosofico e quello matemati-co di Cartesio sono profondamente legati e il carattere principale della Geometria è metodologico. Scrive infatti egli stesso a uno dei suoi numerosi corrispondenti:

“NELLA GÉOMÉTRIE PROVO A DARE UN

METODO GENERALE PER RISOLVERE TUTTI

I PROBLEMI CHE NON SONO MAI STATI

RISOLTI.”Oltre all’importanza sul piano metodologico, la Geome-tria contiene molti risultati tecnici importanti e molte nuove idee. Indicare la scoperta matematica più impor-tante di Cartesio è un compito particolarmente difficile

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da questa premessa
che
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perché dipende fortemente dalla prospettiva da cui si guarda alla sua opera: metodologica, tecnica o della no-vità delle idee. Da quest’ultimo punto di vista, quella che mi sembra più ricca di conseguenze per la matema-tica è questa:

L’idea che sia possibile costruire un’algebra dei segmenti che mette al servizio della ge-ometria la potenza di astrazione e di sem-plificazione dell’algebra senza bisogno dei numeri, che all’epoca di Cartesio non erano ancora ben definiti in tutta la loro generalità.

Oggi siamo così abituati a pensare alla geometria in ter-mini numerici, cioè a identificare un punto della retta con un numero reale, da dimenticare che al tempo di Cartesio i numeri reali non esistevano e i numeri nega-tivi erano ancora considerati con sospetto e di ? sottova-lutare quindi la scoperta dell’algebra dei segmenti.

Cartesio comincia la Geometria mostrando come sia possibile costruire con riga e compasso, a partire da due segmenti qualsiasi, la somma, la differenza, il prodotto, la divisione e la radice quadrata.

Il segmento somma di due segmenti e il segmento differenza di un segmento più grande con uno più pic-colo non sono una novità, ma è Cartesio, per la prima volta nella storia della matematica, a pensare al prodotto e alla divisione come segmenti. Nella matematica greca

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ed ellenistica, e ancora fino ai tempi di Cartesio, il pro-dotto di due segmenti era un rettangolo e la divisione un rapporto tra due grandezze omogenee, cioè, come spiegato da Euclide nel libro quinto degli Elementi, una classe di equivalenza, che non si presta ad essere ma-nipolata agevolmente in maniera algebrica. Pensare al prodotto come un rettangolo, pur offrendo un’inter-pretazione intuitiva e suggestiva, limita fortemente la generalità dell’operazione. Infatti, se il prodotto di due segmenti è un rettangolo, il prodotto di tre è un paral-lelepipedo, ma il prodotto di quattro non ha più senso. Per questa ragione l’algebra geometrica dei greci nasce zoppa e non può diventare uno strumento efficace per la geometria.

L’algebra dei greci interpreta geometricamente le proprietà del prodotto in maniera molto intuitiva; per esempio l’identità (a + b) × (a+ b) = a × a + 2 a × b + b × b si “vede” nella figura dove AB = a e BC = b, ma questa algebra non è abbastanza generale.

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Per definire il prodotto Cartesio fa riferimento alla figu-ra qui sotto, che abbiamo riprodotto dalla prima edizio-ne della Geometria del 1637.

Per moltiplicare BC per BD bisogna innanzitutto ripor-tare sulla semiretta BD il segmento unità BA che, come vedremo, gioca un ruolo cruciale. A questo punto basta, scriveva Cartesio, «unire i punti A e C, poi tracciare DE parallela a CA, e BE è il prodotto di questa moltipli-cazione. Oppure, se occorre dividere BE per BD, con-giunti i punti E e D, traccio AC parallela a DE, e BC è il prodotto di questa divisione».

Questa semplice idea permette di definire il prodotto e la divisione di segmenti come un nuovo segmento e definisce, insieme alla somma e alla differenza, un’alge-bra molto più potente dell’algebra geometrica dei greci, che diventa, nelle mani del suo creatore, uno strumento rivoluzionario per affrontare con metodo le costruzioni geometriche.

Cartesio si lamentava del fatto che le costruzioni dei greci fossero prive di metodo e che ogni volta bisognasse

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che utilizza in manieracruciale il segmento unità
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cercare «la strada» basandosi sull’intuizione geometrica, senza una guida sistematica. Egli pensava che l’algebra di segmenti potesse essere una tale guida. Quanto avesse ragione è dimostrato dal fatto che la geometria analitica, figlia dell’algebra dei segmenti, è per tutti più facile del-la geometria di Euclide.

L’algebra non era considerata, ai tempi di Cartesio, una disciplina rigorosa. Si cercava sistematicamente la dimostrazione dei risultati ottenuti con i suoi metodi per via geometrica. L’interpretazione geometrica delle operazioni data da Cartesio e la dimostrazione geome-trica delle loro proprietà mostra una volta per tutte che le manipolazioni formali che fanno uso delle proprietà delle quattro operazioni forniscono risultati perfetta-mente rigorosi.

Ci possiamo chiedere perché questo modo così sem-plice di interpretare prodotto e divisione non si sia im-posto prima. Io credo che la difficoltà stia nella necessità di fissare un elemento ad arbitrio nella definizione car-tesiana del prodotto e del quoziente. Infatti bisogna fis-sare a priori il segmento unità. Cambiando il segmento unità, cambia il risultato del prodotto. Questo elemento arbitrario è una pulce fastidiosa nell’orecchio di un ge-ometra precartesiano perché è un elemento posticcio, estraneo all’universo euclideo.

Un piccolo passo, come quello di aggiungere l’unità agli elementi fondamentali della geometria, può portare a una rivoluzione concettuale e la difficoltà di compiere

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questo piccolo passo è spesso legata a pregiudizi cultura-li la cui importanza è difficile da valutare propriamente quando questi passi vengono fatti. Si pensi al pregiudizio di voler spiegare i moti dei pianeti con le circonferenze o a quello di considerare gli assiomi della geometria eucli-dea come proprietà oggettive dello spazio fisico.

Nonostante queste premesse indichino chiaramen-te l’importanza degli intrecci tra filosofia e matematica nell’opera di Cartesio, lasceremo poco spazio all’appro-fondimento di questi intrecci per coerenza con la tratta-zione matematica della sua opera.

La scelta di cominciare con l’algebra dei segmenti of-fre anche l’occasione di sgombrare immediatamente il campo dall’idea che Cartesio abbia inventato la geome-tria analitica come la intendiamo oggi [il lavoro pione-ristico in questo campo si deve piuttosto a Fermat, vedi volume in questa collana – ndr], ovvero l’identificazione dei punti del piano con le coppie di numeri reali e di aver sostituito le figure geometriche con equazioni e di-sequazioni. Naturalmente ci sono nell’opera di Cartesio molti fili che si intrecciano con questi sviluppi, ma non è a questo che mira Cartesio.

La sua algebra dei segmenti viene anzi svi-luppata proprio per poter utilizzare l’algebra nella geometria senza usare i numeri e nella sua opera non viene mai introdotta o presen-tata una curva mediante la sua equazione.

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prospettiva di divulgazione
con cui vogliamo guardare alla
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LE OPERE SCIENTIFICHE

L a Geometria è uno dei testi fondamentali della ma-tematica moderna. Introduce molte novità rispet-

to alla tradizione matematica greca ed ellenistica, che si protrae fino a Galileo e alla sua scuola, e prepara la stra-da ai nuovi e impetuosi sviluppi della matematica del XVII secolo. Fu pubblicata nel 1637 come appendice al Discorso sul metodo. Insieme alle altre due appendici, la Diottrica e Le Meteore, illustra l’applicazione dei principi generali del metodo cartesiano alla risoluzione di proble-mi concreti delle scienze naturali. A differenza delle altre appendici e del Metodo stesso, la Geometria non è pensa-ta da Cartesio come lettura per tutti ma presuppone una buona conoscenza della matematica da parte del lettore.

Il giudizio di Cartesio sull’importanza della Geome-tria è espresso magistralmente, con toni tra l’arrogante e lo spaccone, in una lettera del 1637 a padre Marin Mersenne:

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protrasse
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«Non mi piace essere obbligato a parlare favorevol-mente di me stesso, ma, dal momento che sono pochi coloro che possono intendere la mia Geometria e poiché desiderate che vi scriva la mia opinione a riguardo, ritengo opportuno dirvi che è tale che non desidero nulla di più. Con la Diottrica e le Meteore ho solo cercato di persuadere che il mio metodo è migliore di quello comune, mentre con la mia Geometria pretendo di averlo dimostrato. In-fatti già al principio vi risolvo una questione che, come at-testa Pappo, non ha potuto essere trovata da nessuno degli antichi: e si può dire che non ha potuto esserlo nemmeno da nessuno dei moderni, perché nessuno ne ha scritto e […] nessuno di loro ha saputo far nulla che gli antichi avessero ignorato. Dopo questo, ciò che dico nel secondo libro, dico sulla natura, le proprietà delle linee curve e il modo per esaminarle, mi sembra che sia tanto al di là della geometria comune quanto la retorica di Cicerone è al di là dell’abc dei bambini». E aggiungeva:

“ PER IL RESTO, AVENDO DETERMINATO

COME HO FATTO IN OGNI GENERE DI

QUESTIONI TUTTO CIÒ CHE VI SI PUÒ FARE,

E AVENDO MOSTRATO I MEZZI PER FARLO,

PRETENDO CHE SI DEBBA NON SOLTANTO

CREDERE CHE HO FATTO QUALCOSA DI PIÙ

DI QUELLI CHE MI HANNO PRECEDUTO, MA

ANCHE CHE CI SI DEBBA CONVINCERE CHE I

NOSTRI NIPOTI NON TROVERANNO MAI NIENTE

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IN QUESTA MATERIA CHE NON POTREI AVER

TROVATO QUANTO LORO, SE SOLO AVESSI

VOLUTO FARE LO SFORZO DI CERCARLO.*”LA GEOMETRIA

La Geometria apparve in un momento cruciale della transizione dalla matematica antica a quella moderna. Il recupero dell’antica geometria delle sezioni coniche e del calcolo delle aree e dei volumi di particolari figure curvilinee si era diffuso rapidamente grazie alla stampa delle traduzioni di Archimede e di Apollonio e di altre opere di valore matematico intrinseco inferiore, ma fon-damentali per il recupero della matematica antica, quali l’opera di Pappo di Alessandria, che visse quasi mezzo millennio dopo Euclide.

Queste opere, sconosciute in Occidente, erano por-tate in Europa dagli intellettuali in fuga dopo la caduta dell’impero bizantino nel 1453. Il recupero dei risultati di Archimede e di Apollonio, più avanzati di quelli con-tenuti nei libri di Euclide, che erano già ben conosciuti dai matematici europei, andò di pari passo con lo svi-luppo dell’algebra che, stimolato dai contatti con la ma-tematica araba nel XII e nel XIII secolo, aveva prodotto in Italia un’importante scuola di algebristi (tra cui Nic-colò Tartaglia, Gerolamo Cardano e Raffaele Bombelli) * R. Cartesio, Tutte le lettere 1619-1650, a cura di G. Belgioioso, Bompiani, Milano 2005

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furono
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che era stata in grado di trovare le formule risolutive per le equazioni di terzo e di quarto grado. Per ottenere que-sti successi era stato necessario ampliare l’insieme dei numeri e considerare, oltre ai numeri razionali anche i numeri ottenuti con estrazioni di radici quadrate e cu-biche. Su questi numeri i matematici operavano esten-dendo le regole formali delle operazioni aritmetiche, senza preoccuparsi di definirli precisamente.

Accanto ai numeri naturali e ai “numeri rotti” (le fra-zioni), consideravano i “numeri sordi”, risultanti dalle estrazioni di radici, i “numeri falsi”, con cui rappresen-tavano le soluzioni negative di un’equazione e i “nume-ri immaginari”, che furono considerati inizialmente da Cardano e poi, più sistematicamente, da Bombelli (il termine “immaginario” è di Cartesio).

Le proprietà formali delle operazioni venivano estese in maniera sempre meno esitante ai nuovi numeri e la manipolazione delle espressioni numeriche venne este-sa alla manipolazione di quantità simboliche, variabili e parametri, ad opera principalmente del matematico francese François Viéte. La fiducia nei metodi algebrici e nelle manipolazioni simboliche era ancora limitata e si cercava di ricondurre ogni dimostrazione a una co-struzione geometrica. Questo avvicinamento di algebra e geometria suggeriva la possibilità di operare algebri-camente sulle grandezze geometriche e di usare le ma-nipolazioni algebriche per semplificare la ricerca delle soluzioni di un problema geometrico.

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Anche se il valore dimostrativo dell’algebra non era ancora pienamente accettato, il suo valore euristico era innegabile. In conseguenza dello sviluppo della notazio-ne simbolica astratta, l’algebra si applicava indifferente-mente alle grandezze geometriche e alle grandezze alge-briche e si andava trasformando da scienza dei numeri a scienza delle grandezze astratte (mathesis universalis).

Fu Viète, il più importante precursore di Cartesio, che sviluppò quasi interamente una notazione simbo-lica per l’algebra e fu tra i primi a utilizzare le vocali per indicare le incognite e le consonanti per indicare i parametri.

Utilizzando l’algebra simbolica, Viète affron-tò il problema della costruzione delle equa-zioni, uno dei temi preferiti da Cartesio.

Si tratta di determinare una costruzione geometrica per ottenere grandezze geometriche che siano radici di un’equazione algebrica, a partire dai coefficienti dell’e-quazione, interpretati a loro volta come grandezze ge-ometriche.

Per esempio, la costruzione dell’equazione, per Viète, significa determinare la costruzione geometrica del segmento a partire da un segmento, in modo ta-le che il quadrato costruito sul segmento sia uguale al triplo del rettangolo costruito sul segmento incognito e sul segmento assegnato. Viète, a differenza di Car-

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sono
x^2=3bx, per Viète significa determinare la costruzione geometrica del segmento x a partire da un segmento b in modo tale che il quadrato costruito sul segmento x sia uguale al triplo del rettangolo costruito sul segmento incognito x e sul segmento assegnato b.
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tesio, interpretava il prodotto di due segmenti come un rettangolo e quindi le sue interpretazioni erano più complicate e non si potevano estendere alle equazioni di grado qualsiasi.

Il trattato di Cartesio si inseriva in un processo già avviato, ma ancora lontano dal suo completamento, che mirava a fondere l’algebra e la geometria. In questo pro-cesso l’opera di Cartesio fu molto importante, ma non risolutiva. Passarono ancora due secoli prima che la sal-datura si completasse. Uno degli indicatori, ancorché su-perficiali, degli elementi di novità contenuti nell’opera di Cartesio, che salta immediatamente all’occhio, è la mo-dernità del linguaggio e dello stile di esposizione. Si trat-ta della prima opera di contenuto algebrico che utilizza un linguaggio, uno stile e una notazione direttamente comprensibili a un matematico contemporaneo (vedi anche il capitolo Pagine scelte).

Possiamo affermare che la Geometria è la pri-ma opera della matematica moderna perché un matematico contemporaneo può leggerla e capirla senza una preparazione specifica.

LA COSTRUZIONE DELLE EQUAZIONI DI PRIMO E SECONDO GRADO

Prima di illustrare il contenuto della Geometria, convie-ne descrivere brevemente il lungo e accidentato percor-

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so di avvicinamento dell’algebra e della geometria prima di Cartesio attraverso la costruzione delle soluzioni delle equazioni di primo e secondo grado. La presentazione non ha carattere storico e non accenna al fondamentale contributo dei matematici arabi alla teoria delle equa-zioni algebriche e il problema delle influenze della ma-tematica araba su quella occidentale.

Equazioni di primo gradoConsideriamo due semplici problemi.

Problema aritmetico: determinare il numero che moltiplicato per tre sia uguale a sei.

Problema geometrico: dato un rettangolo b e un segmento a, determinare un segmento x tale che il ret-tangolo sui lati a e x sia uguale a b (usiamo, qui e nel seguito, il termine uguaglianza nel senso di equivalenza delle aree).

Introducendo la lettera x per denotare l’incognita e il simbolo = per indicare l’uguaglianza, possiamo formula-re il problema aritmetico in forma di equazione: 3x = 6. Anche il problema geometrico si può formulare con l’e-quazione ax = b. La notazione simbolica mette in luce l’analogia formale tra i due problemi, anche se l’inter-pretazione dei simboli è sostanzialmente diversa. Nel primo si tratta di numeri, prodotto di numeri e ugua-glianza di numeri; nel secondo si tratta di segmenti, di costruzioni di rettangoli e di equivalenza di figure.

L’analogia formale suggerisce anche di passare dall’e-

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quazione particolare 3x = 6 a quella generale ax = b anche in aritmetica. Notiamo anche però che, mentre l’analogia formale dei due problemi suggerisce a noi di usare l’algebra per calcolare la lunghezza del segmento incognito, dividendo l’area del rettangolo per la lun-ghezza del segmento assegnato, il suggerimento per i matematici del Rinascimento era ben altro!

Il suggerimento che essi traevano dall’analogia sim-bolica tra i due problemi era quello di usare la geome-tria per dimostrare la formula risolutiva dell’equazione algebrica. Infatti l’antica scoperta dell’esistenza di cop-pie di segmenti incommensurabili e la precisione delle costruzioni con riga e compasso portò a sviluppare una teoria dell’equivalenza delle figure geometriche che non era basata sul concetto numerico di area ma su quel-lo geometrico di equivalenza. Due triangoli non erano equivalenti se avevano la stessa area, in senso numerico, ma se era possibile decomporli in parti congruenti. Per dimostrare l’equivalenza di figure più complicate si uti-lizzava il procedimento di esaustione che, a differenza dei procedimenti di limite, evita il ricorso ai numeri. Poiché non si rappresentava una classe di equivalenza di figure con un numero, la dimostrazione aritmetica non era sufficientemente generale per le applicazioni geometriche.

Una costruzione che risolve il problema geometrico posto più sopra è la seguente:

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Problema: dato il rettangolo b determinare un segmento x tale che il rettangolo sui lati a e x sia uguale a b. Per risolverlo, scegliamo E sul prolungamento di uno dei lati del rettangolo b in maniera tale che CE sia congruente ad a. Costruiamo il rettangolo DCEF. Tracciamo la diagonale FC e la prolunghiamo fino a incontrare il prolungamento del lato AB in G. Costruiamo il rettangolo GAFH. Il segmento cercato è EH.

La costruzione geometrica della soluzione fornisce l’in-terpretazione geometrica della formula risolutiva per le equazioni di primo grado e la dimostrazione, con i metodi della geometria euclidea, della correttezza della costruzione (che omettiamo) fornisce l’unica dimostra-zione rigorosa di tale formula per un matematico del Rinascimento. Questo esempio ci fa percepire la diffe-renza nel modo in cui i matematici guardavano alla ge-ometria, all’algebra e ai loro rapporti rispetto al nostro e l’imbarazzo ad assegnare alle manipolazioni dell’algebra lo stesso valore dimostrativo di quelli della geometria.

Il punto sostanziale di tale imbarazzo è illustrato in

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questo esempio dal fatto che il passo dimostrativo fon-damentale per la formula risolutiva dell’equazione di primo grado, cioè dividere entrambi i membri dell’e-quazione per il coefficiente di x, in modo da ottenere

non aveva, prima di Cartesio, un analogo geo-metrico in quanto, come abbiamo già segnalato, divi-dere due segmenti non produceva un nuovo segmento e quindi, nell’algebra geometrica, l’espressione non poteva essere uguale al segmento x cercato.

Equazioni di secondo gradoAnche per le equazioni di secondo grado si può impo-stare un discorso analogo a quello fatto per le equazio-ni di primo grado. Consideriamo il seguente problema geometrico. Abbiamo una figura F e un segmento b e vogliamo determinare un segmento x tale che la figura formata dal quadrato su x e dal rettangolo su x e b sia uguale ad F.

Assumendo di saper “quadrare” la figura, cioè di saper costruire un quadrato, che per semplicità conti-nueremo a indicare con F, equivalente alla figura data, l’algoritmo si può descrivere come segue:

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Problema: costruire un triangolo rettangolo avente come cateti il lato del quadrato F e la metà del segmento b assegnato. Si riporta sull’ipotenusa di questo triangolo il segmento b/2. Il segmento cercato è l’ipotenusa del triangolo meno b/2.

Osserviamo che, per il teorema di Pitagora, l’ipotenusa del triangolo rettangolo che abbiamo costruito ha lun-ghezza

e quindi il segmento ha lunghezza

Questa non è altro che la formula che calcola la soluzio-ne positiva dell’equazione

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Si costruisce
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che, a sua volta, traduce in linguaggio algebrico il pro-blema geometrico da cui siamo partiti.

L’esempio è tratto dall’opera del grande algebrista italiano del sedicesimo secolo Rafael Bombelli e offre ulteriori spunti di riflessione a complemento di quelli già sviluppati trattando delle equazioni di primo grado.

I coefficienti di un’equazione di secondo grado si interpretano geometricamente come figure e corrispon-dono quindi a numeri positivi. Dal punto di vista geo-metrico esistono quindi quattro equazioni di secondo grado distinte, perché non si può cambiare il segno a una figura:

Esistono quindi tre distinte costruzioni geometriche per le soluzioni (la quarta equazione non ha evidentemente soluzioni geometriche). Algebricamente invece, se si am-mettono i numeri negativi, esiste una sola equazione e una sola formula risolutiva, che può fornire anche solu-zioni negative o immaginarie. Naturalmente si possono interpretare geometricamente solo le soluzioni positive.

La dimostrazione di Bombelli della formula di riso-luzione per le equazioni di secondo grado (che abbiamo omesso) è ingegnosa ma non è meccanica, come lo è in-vece quella che si ottiene manipolando algebricamente l’equazione ax2 + bx + c = 0 per trasformarla nell’equa-zione

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da cui si ottiene immediatamente la formula risolutiva, come viene fatto oggi a scuola.

Per dare rigore a questo metodo, invece di costruire un fondamento solido per l’algebra dei numeri, Cartesio introdusse l’algebra dei segmenti e dimostrò geometricamente le proprietà delle sue operazioni.

In questa maniera poteva manipolare le espressioni alge-briche utilizzando le stesse regole dell’algebra numerica, con la certezza che il risultato di ogni manipolazione si potesse dimostrare geometricamente, ma senza la neces-sità di cercare ogni volta una dimostrazione geometrica.

IL PRIMO LIBRO: PROBLEMI LA CUI COSTRUZIONE RICHIEDE SOLO LA RIGA E IL COMPASSO

L’algebra dei segmentiLa Geometria è divisa in tre libri. Il primo, intitolato Problemi la cui costruzione richiede solo rette e cerchi co-mincia con l’algebra dei segmenti. Si spiega come co-struire la somma, la differenza, il prodotto, la divisione e la radice quadrata di segmenti. Le costruzioni sono fatte

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con riga e compasso e producono sempre un segmento. Come abbiamo già detto, prima di Cartesio il pro-

dotto di due segmenti era visto come un rettangolo e la divisione come un rapporto di grandezze omogenee. Le costruzioni fondamentali dell’algebra dei segmenti godono delle stesse proprietà formali dell’algebra dei numeri. Osserviamo che mentre la radice quadrata di un segmento si può costruire con riga e compasso, le radici di indice maggiore hanno bisogno di altri stru-menti. Nel secondo libro viene introdotto il compasso cartesiano, per inserire un numero qualsiasi di medie proporzionali tra due segmenti assegnati. Quando uno dei segmenti è congruente al segmento unità, il seg-mento cartesiano costruisce le radici di indice qualsiasi dell’altro.

Per definire l’algebra dei segmenti bisogna poter muovere rigidamente un segmento in ogni punto del piano e in ogni direzione in modo da poter sostituire a due segmenti qualsiasi due segmenti congruenti uscenti da un punto fissato.

La costruzione del trasporto di un segmento da un punto a un altro dello spazio è descritta nella seconda proposizione del primo libro degli Elementi di Euclide. Una costruzione più semplice, che però assume proprie-tà che Euclide dimostra successivamente, è la seguente, mostrata nelle figure qui sotto: dato un segmento AB e un punto C basta costruire il parallelogramma ABCD. Il segmento CD è congruente al segmento AB e passa per il

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punto C. Se il punto C appartiene alla retta che contiene il segmento, la costruzione va ripetuta scegliendo un ul-teriore punto C1, esterno alla retta AB, dove trasportare il segmento, per poi trasportare quest’ultimo in C.

La costruzione geometrica della radice quadrata di un segmento GH si ottiene nel modo seguente, come mostrato nella figura qui sotto. Dato il segmento GH prendiamo il punto F sulla retta per G e H, dalla parte opposta di H rispetto a G e in modo tale che FG sia congruente al segmento unitario. Disegniamo poi la circonferenza avente come diametro FH. Intersechiamo la retta perpendicolare a FH passante per G, nel punto

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I. Il segmento GI è la radice richiesta. Per il secondo teorema di Euclide, infatti, l’altezza IG del triangolo ret-tangolo FIH è media proporzionale tra le proiezioni dei cateti sull’ipotenusa, cioè FG : GI = GI : GH e quindi, GI 2 = FG × GH, ma FG è congruente all’unità: quindi, nell’algebra dei segmenti, GI2 = GH.

Ogni costruzione geometrica corrisponde a un sistema di equazioni polinomiali

Per risolvere con l’algebra dei segmenti un problema geometrico, Cartesio utilizza il me-todo analitico secondo cui bisogna conside-rare il problema risolto e procedere a ritroso.

Il metodo analitico è costruttivo, a differenza di quello sintetico, che Cartesio descrive con le seguenti parole: «La sintesi, al contrario, seguendo una via del tutto di-versa, e come esaminando le cause attraverso gli effetti […], dimostra esser chiaramente vero ciò che è contenu-to nelle sue conclusioni, e si serve di una lunga sequenza

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di definizioni, di domande, di assiomi e di teoremi, e di problemi, di modo che se le si negano alcune conse-guenze, essa fa vedere come esse siano contenute negli antecedenti, e strappa il consenso del lettore, per quanto ostinato e cocciuto egli sia; ma essa non da, come l’altra [cioè l’analisi], l’intera soddisfazione agli spiriti di loro che desiderano apprendere, perché non insegna il meto-do attraverso cui la cosa è stata inventata».*

Utilizzando l’algebra dei segmenti, Cartesio spie-ga come una costruzione geometrica corrisponda alla risoluzione di un sistema di equazioni polinomiali. Se esistono tante equazioni indipendenti quante sono le incognite si ottiene un risultato determinato. Se invece il sistema si riduce a una sola equazione con due incognite, si ottiene un luogo, cioè una curva. A illustrare il metodo, consideriamo uno degli esempi di “problemi determinati” proposti dal matematico olandese Frans van Schooten nei suoi commenti all’o-pera di Cartesio.

* R. Cartesio, titolo, editore, luogo anno

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R. Cartesio, Opere 1637 - 1649, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani, 2009
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Prendiamo un punto C sopra un segmento AB. Vo-gliamo prolungare il segmento fino a un punto D in maniera tale che il rettangolo di lati congruenti a AD e DB sia uguale al quadrato costruito su CD. Assumen-do, come richiede l’applicazione del metodo analitico, di aver risolto il problema, poniamo AC = a, CB = b e BD = x. Allora AD = a + b + x, e CD = b + x, di cui

ax + bx + x2 = b 2 + 2bx + x2

e quindi, risolvendo questa equazione di primo grado, otteniamo .

Osserviamo che per Cartesio la formula per la solu-zione non è un numero, ma un algoritmo per costruire, con riga e compasso, il segmento x a partire dai seg-menti a e b. Tale algoritmo si realizza costruendo prima i segmenti a-b e b2 e poi costruendo la loro divisione, come spiegato nel capitolo iniziale.

Cartesio si rese conto che l’algebra dei seg-menti permetteva di risolvere problemi geo-metrici senza bisogno di operare costruzioni esplicite.

Inoltre, poiché le proprietà formali delle operazioni dell’algebra si possono dimostrare geometricamente, ogni identità algebrica simbolica corrisponde all’equi-valenza di due costruzioni geometriche.

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Come esempio di “problema indeterminato”, con-sideriamo il seguente (vedi figura sotto). Dati due seg-menti perpendicolari AB e AC, vogliamo determinare il punto P equidistante dal punto C e dalla retta AB. Seguendo il metodo analitico, indichiamo con c il seg-mento AC, con p il segmento PC, con y il segmento PQ ortogonale alla retta AC e con x il segmento AQ.

Per il teorema di Pitagora p2 = (y – c)2 + x 2. Deve anche essere p = y, per soddisfare le condizioni del problema. Quindi, sostituendo p con y nell’equazione, la posizione di P è determinata dall’equazione

2cy = x2 + c2

che contenendo due incognite (e un parametro) descri-

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ve un luogo geometrico. Si tratta di una parabola, la cui forma dipende dal valore del parametro che si suppone fissato in partenza.

Problemi risolubili con riga e compassoI problemi risolubili con riga e compasso, trattati nella prima parte del primo libro, sono quelli che richiedono la soluzione di equazioni di primo e secondo grado. In-fatti, le costruzioni con riga e compasso vengono effet-tuate combinando le seguenti costruzioni geometriche elementari (in parentesi le corrispondenti operazioni algebriche).

Tracciare una retta per due punti (determinare un’e-quazione della forma ax + by + c = 0). Tracciare una circonferenza di dato centro e raggio (determinare un’e-quazione della forma x2 + y2 + ax + by + c = 0).

Intersecare rette (risolvere un sistema di due equa-zioni di primo grado, che per sostituzione si riduce a risolvere un’equazione di primo grado).

Intersecare una retta con un cerchio (risolvere un si-stema di due equazioni, una di primo e una di secondo grado, che per sostituzione si riduce alla soluzione di un’equazione di secondo grado).

Intersecare due circonferenze (risolvere un sistema del tipo

x2 + y2 + ax + by + c = 0; x2 + y2 + dx + ey + f = 0

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inserire un “a capo”
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che equivale, sottraendo la prima dalla seconda, al si-stema tra un’equazione di secondo grado con una di primo e quindi si riduce alla soluzione di un’equazione di secondo grado). Il sistema si riduce infatti a quello formato dalle due equazioni

x 2 + y2 + ax + ay + c = 0; (d – a)x + (e – b)y + (f – c) = 0

Da quanto detto segue che i punti che si possono ot-tenere da costruzioni con riga e compasso si ricavano risolvendo equazioni di primo e di secondo grado. Pre-cisando queste osservazioni, il sommo matematico te-desco Carl Friedrich Gauss dimostrò che la condizione sufficiente di costruibilità di un poligono regolare con riga e compasso è che il numero N dei lati ammetta una scomposizione in fattori primi del tipo

N = 2k p1 p2 × … × pk

dove k è un intero non negativo e pj sono primi di Fer-mat distinti, cioè numeri del tipo 2(2n) + 1 che siano anche primi. I soli primi di Fermat primi conosciuti a tutt’oggi sono quelli che si ottengono per n = 0, 1, 2, 3, 4 ovvero 3, 5, 17, 257 e 65537.

Dopo aver messo in luce il legame tra le equazio-ni di secondo grado e i problemi costruibili con riga e compasso, Cartesio presenta nel primo libro semplici costruzioni delle soluzioni delle diverse forme a coeffi-

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approfondendo
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cienti positivi delle equazioni di secondo grado

z2 = az + b2, z2 + az = b2, z2 + b2 = az

che tratta naturalmente come problemi di costruzione tra segmenti e non, come aveva fatto Bombelli, come costruzioni relative a quadrati, rettangoli e segmenti. La risoluzione dell’equazione z2 = az + b2 è descritta nella figura seguente.

Costruiamo il triangolo rettangolo NLM con NL uguale ad a e LM uguale a b. Il segmento OM = ON + NM = NL + NM è anche, per il teorema di Pitagora, uguale a e per la formula di risoluzione dell’equazione di 2° grado è soluzione dell’equazione z2 = 2az + b2.

A proposito della caratterizzazione dei problemi con ri-ga e compasso, Cartesio osserva:

«Si possono costruire tutti i problemi della geome-tria ordinaria senza fare null’altro se non quel poco che è compreso nelle quattro figure che ho spiegato. Ciò

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che non ritengo che gli antichi abbiano notato, poiché altrimenti non si sarebbero presi la pena di scrivere tanti libri così voluminosi, in cui già solo l’ordine delle pro-posizioni ci fa capire che essi non possedevano affatto il vero metodo per trovarle tutte, ma si sono limitati a mettere assieme quelle in cui si sono imbattuti».*

IL PROBLEMA DI PAPPO

Cartesio, con il suo approccio algebrico, non voleva limitarsi a mettere ordine e metodo nel campo delle costruzioni con riga e compasso, ma voleva scoprire «nuove verità». L’occasione per testare la bontà del suo metodo gli venne offerta dal matematico olandese Jacob Gool che, nel 1631, gli fece conoscere il “Problema di Pappo”.

Nel settimo libro delle Mathematicae collectiones, Pappo di Alessandria proponeva una generalizzazione di un problema che circolava fin dai tempi di Euclide e che, secondo Cartesio, i matematici antichi non ave-vano saputo affrontare in maniera metodica né avevano saputo generalizzare adeguatamente e che ben si presta-va quindi a verificare la potenza del metodo cartesiano. In realtà, sul “Problema di Pappo” gli antichi geometri conoscevano molto più di quanto Cartesio attribuisce loro. Secondo la brillante ricostruzione del matematico * R. Cartesio, titolo, editore, luogo anno

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R. Cartesio, Opere 1637 - 1649, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani, 2009
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e storico della matematica danese dell’Otto-Novecento Hyeronimus Georg Zeuthen, Aristeo di Crotone, allievo di Pitagora, in un libro sui luoghi solidi andato perduto, aveva fornito l’analisi completa del problema di Pappo utilizzando la costruzione geometrica delle equazioni di terzo e di quarto grado. I cenni di Pappo, matematico di modesta levatura vissuto cinque secoli dopo il tracollo della grande scienza ellenistica, sono oscuri e facilmente travisabili, come li travisò Cartesio.

Il caso più semplice del problema di Pappo è quello di determinare il luogo dei punti equidistanti da due rette. La soluzione è ben nota: si tratta delle bisettrici (in tratteggio nella figura) degli angoli formati dalle due rette (f e g nella figura). Anche in questo caso semplice, il luogo è riducibile in due componenti. Nella soluzione generale Cartesio non considerò mai il luogo completo, ma solo una sua componente.

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e così
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Il caso successivo è quello di determinare, date quattro rette f, g, h, i, il luogo dei punti tali che il prodotto delle distanze da f e g sia uguale al prodotto delle distanze da h ad i. Il luogo si compone ancora di due componenti che sono entrambe due coniche, raffigurate in tratteggio nella figura

La dimostrazione con la moderna geometria delle coor-dinate è la seguente: la distanza del punto P di coordi-nate (x, y)dalla retta r di equazione y = mx + q è

Se ci sono quattro rette, di equazioni

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la condizione che il prodotto della distanza dalle prime due sia uguale al prodotto delle distanze dalle altre due si esprime quindi con l’equazione

Togliendo i moduli abbiamo le due equazioni

e

Entrambe sono di secondo grado e quindi descrivono due coniche.

Questi due problemi ammettono una generalizzazio-ne ovvia. Date 2m rette, determinare il luogo dei pun-ti tali che il prodotto delle distanze dalle prime m sia uguale al prodotto delle distanze dalle altre m. È anche immediato generalizzare il calcolo precedente e ottenere che tale luogo si compone di due curve di grado m.

Anche per risolvere il problema di Pappo, Cartesio usa l’approccio analitico, supponendo il problema risol-to e procedendo a ritroso (vedi figura qui sotto nell’edi-zione originale della Geometrie di Cartesio).

Pur non introducendo esplicitamente l’idea di un si-stema di coordinate, il suo modo di procedere ha molti

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punti in contatto con l’approccio moderno già accenna-to nel caso relativo alle quattro rette. Innanzitutto sce-glie una delle rette fissate, per esempio AB, come fonda-mentale (asse delle ascisse) e fissa su di essa un punto A (punto origine), a partire dal quale considera i segmenti. Assume che c sia uno dei punti della soluzione e sceglie una seconda retta fondamentale tra quelle passanti per c e che intervengono nella soluzione del problema (asse delle y).

Chiama x e y i segmenti BA e BC che, insieme agli as-si, identificano il punto C e cerca le relazioni tra questi segmenti (le cui lunghezze sono le coordinate di C ) e gli altri segmenti fissati dal problema, per determinare il luogo di C. A tal fine osserva che ognuna delle altre rette assegnate (AD, EF, GH) determina due triangoli: uno con l’asse x e l’asse y, l’altro con l’asse y e la retta uscente da C sulla quale si prende la distanza. Esprimendo tutti

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i segmenti in funzione di quelli staccati sugli assi fonda-mentali (cioè dei segmenti x e y) e dei rapporti fissati dai dati del problema, Cartesio dimostra che ogni distanza è lineare nelle coordinate e e di qui procede come ab-biamo già visto.

L’osservazione di Cartesio sulla forma dell’espressio-ne per le distanze è equivalente al fatto che una retta è descritta da una equazione lineare.

Cartesio non dimostra il viceversa e non in-daga sistematicamente le proprietà della ret-ta come conseguenza della forma della sua equazione. Tutto ciò verrà fatto indipenden-temente, ed esteso alle equazioni di secondo grado, cioè alle coniche, da Pierre de Fermat, il grande antagonista matematico di Cartesio.

Il carattere costruttivo della soluzione cartesiana del problema di Pappo non appare evidente da quanto det-to fin qui. Il fatto che il luogo di Pappo è descritto da un’equazione algebrica fra i segmenti x e y significa che per ogni segmento AB = x, i punti del luogo di Pappo che stanno sulla retta BR passante per B e parallela alla direzione fissata dal problema, sono soluzione di una equazione algebrica in y. Per Cartesio questo significa che i segmenti che risolvono l’equazione possono essere costruiti con i metodi indicati nel Libro III.

Se tale equazione è di secondo grado, come nel caso

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di tre o quattro rette, i segmenti sulla retta si posso-no costruire addirittura con riga e compasso e quindi la forma dell’equazione determina per Cartesio un’esplici-ta costruzione con riga e compasso dei punti del luogo che appartengono ad una retta BR fissata. Al variare del-la retta, questi punti descrivono il luogo richiesto.

Se invece l’equazione è di grado superiore, la costru-zione “retta per retta” non può più essere fatta con riga e compasso ma sono necessari strumenti più complessi, che Cartesio introdusse nel Libro II e che applicò nel Libro III alla costruzione delle soluzioni delle equazioni algebriche e su cui torneremo.

Ci interessa per ora soltanto ribadire che Cartesio ha del problema di Pappo una visione completamente costruttiva. Per lui la soluzione si può costruire “retta per retta” intersecando la retta variabile con una curva geometrica e il luogo soluzione viene generato facendo variare la retta e la curva geometrica in maniera ben de-terminata.

In questo modo possiamo costruire per esempio una parabola. Partiamo da una retta r e da un punto P fis-sati (vedi figura sotto). Sia X un punto di r, tracciamo la perpendicolare s ad r per X (prima costruzione con riga e compasso). Sia D il punto di intersezione di que-sta perpendicolare con l’asse del segmento PX (seconda costruzione con riga e compasso). Al variare di X su r il luogo descritto da D su s è una parabola avente come vertice P e come direttrice r.

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La “generazione dinamica delle curve” in generale è de-scritta da Cartesio stesso con le seguenti parole: «E non vi è bisogno di supporre null’altro, per tracciare tutte le linee curve che voglio introdurre qui, se non che due o più linee possano essere mosse l’una per mezzo dell’al-tra, e che le loro intersezioni ne determinino altre».*

La soluzione cartesiana del problema di Pappo passa attraverso la definizione di una intera nuova classe di curve. Nel tentativo di precisare la classe delle nuove curve che si possono utilizzare nelle costruzioni della geometria, Cartesio compie un deciso passo nella dire-zione dell’elaborazione moderna del concetto di curva.

Mentre per gli antichi esistevano tante curve diverse, da studiare ognuna per sé, Cartesio

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contribuì a definire l’oggetto generale “curva geometrica” di cui si possono studiare ma-tematicamente alcune proprietà generali co-muni a tutti i casi particolari.

Questa idea di introdurre concetti generali e di studiare le proprietà comuni a tutti i casi particolari, è una carat-teristica tipica della matematica moderna che ha origine nel Diciassettesimo secolo e che si era già manifestata nell’approccio dei matematici italiani Luca Valerio e Bonaventura Cavalieri ai problemi del calcolo delle aree e dei volumi.

Cartesio fornì una soluzione del problema di Pappo introducendo una nuova classe di curve ed elaborando una nuova idea generale di curva.

Nel secondo libro Cartesio discute anche approfon-ditamente il criterio di accettazione di una curve al fine di operare una costruzione geometrica e ciò lo porta a suggerire una classificazione dei problemi di costruzio-ne più fine di quella considerata dai geometri antichi e riportata nelle Mathematicae collectiones di Pappo, dove l’autore divide i problemi, riprendendo una tradizione antica, in piani, solidi e lineari.

IL SECONDO LIBRO: SULLA NATURA DELLE LINEE CURVE

Il primo libro della Geometria si conclude con le parole

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«Occorre che dica qualcosa sulla natura delle linee cur-ve» e questo sarà il motivo principale della prima parte del secondo libro. Cartesio si pone il problema di ca-ratterizzare le curve geometriche, cioè le curve che si possono utilizzare in una costruzione geometrica. Egli critica come troppo grossolana la tradizione che classi-fica i problemi geometrici in: piani, quando è sufficien-te l’uso della riga e del compasso; solidi, quando sono necessarie anche sezioni coniche; ma lineari (o, meglio, problemi “curvilinei”) quando bisogna utilizzare curve più generali. Vediamo alcuni esempi.

Problemi pianiEsempi di problemi piani sono la costruzione della me-dia proporzionale tra due segmenti a e b (cioè la costru-zione di un segmento tale che a : x = x : b; quando a è il segmento unitario, la costruzione fornisce la radice quadrata di b) e la bisezione di un angolo qualsiasi. Le soluzioni, con riga e compasso, di questi due problemi, sono riportate brevemente nelle figure.

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è l’argomento
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Si noti che la media proporzionaletra il segmento unità e b è la radicequadrata di b
nel commento alle
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Dati i segmenti a e b scegliamo un segmento AB e un punto C in modo che CA = a e AB = b. Tracciamo la perpendicolare ad AB e la circonferenza per C e B. Le intersezioni E, E ' della circonferenza con la perpendi-colare determinano i segmenti AE ed AE ' che risolvono il problema.

Intersechiamo con una circonferenza centrata nel verti-ce A l’angolo dato, nei punti B e C. Costruiamo il punto medio E del segmento BC. La congiungente AE divide l’angolo in due parti congruenti.

Problemi solidi (cioè con potenze e radici cubiche)Esempi di problemi solidi sono la determinazione di due medie proporzionali tra due segmenti a e b (cioè la costruzione di due segmenti x e y tali che a : x = x : y; quando a è il segmento unitario, x è la radice cubica di b), e la trisezione di un angolo qualsiasi. Entrambe le costruzioni sono descritte nella Geometria. Nella prima figura viene illustrata la costruzione della parabola con

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la media proporzionale AE tra a e b
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asse e latus rectum assegnato, che viene applicata nella successiva costruzione delle due medie proporzionali. In un sistema di coordinate cartesiane ortogonali di origi-ne uguale al vertice della parabola, asse delle y uguale all’asse della parabola e asse delle x uguale alla perpendi-colare per il vertice all’asse, la parabola di latus rectum a ha equazione y = IaI x 2, dove è la lunghezza di a rispetto al segmento unità fissato.

Costruzione della parabola di asse a e di latus rectum L. Prendiamo sull’asse a due punti E ed F a distanza L/2. V è il punto medio di EF, d la perpendicolare per E ad a e v la perpendicolare per V ad a. Per ogni X su v conduciamo la parallela q per X ad a. Chiamiamo G l’intersezione di q con d e H l’intersezione dell’asse del

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Per costruire la
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segmento FG con q. Il luogo di H è la parabola di latus rectum L. V è il vertice e d la direttrice della parabola.

Una costruzione delle due medie proporzionali tra due segmenti dati che può sembrare più semplice di quella proposta da Cartesio è quella che si ottiene intersecan-do la parabola di equazione ay = x2 con la parabola di equazione by = x2. Cartesio predilige la prima, in quan-to utilizza, invece di due parabole, una parabola e una circonferenza, che lui riteneva, sulla scorta della tradi-zione, più semplice. Questa idea di semplicità fu messa in discussione da molti matematici, tra cui, Newton e Leibniz e oggi appare completamente superata.

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Per costruire le due medie proporzionali EC ed FL tra a e b Cartesio propone di intersecare una circonferenza con una parabola.
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Problemi lineari (relativi a potenze e radici di qualsiasi indice)Esempi di problemi lineari sono la determinazione di tre (o più) medie proporzionali tra due segmenti a e b (e quindi la costruzione delle radici di indice qualsiasi) e la divisione di un angolo qualsiasi in cinque (o più) parti congruenti. Cartesio escogitò due meccanismi per costruire le curve necessarie per risolvere questi proble-mi: il compasso cartesiano e il meccanismo cartesiano. Questi meccanismi, scoperti da Cartesio in gioventù, producono curve algebriche, cioè curve definite da equa-zioni polinomiali. Cartesio si rese conto che le sue curve geometriche erano algebriche, ma preferì definirle come «intersezioni di linee che possono essere mosse l’una per mezzo dell’altra». I problemi di costruzione considerati da Cartesio divennero ben presto obsoleti ma le curve al-gebriche si rivelarono tra gli oggetti più interessanti della matematica e della geometria algebrica in particolare.

Soluzioni complicate di problemi sempliciAd un problema piano è possibile dare una soluzione “solida” e ad un problema solido è possibile dare una soluzione “lineare”. Per esempio il matematico greco Nicomede, che visse nel secondo secolo avanti Cristo, mostrò come fosse possibile risolvere il problema della determinazione della radice cubica di un segmento con l’introduzione della concoide.

Tale curva si costruisce nel modo seguente. Si fissa-no un punto P, una retta r e una lunghezza a. Su ogni

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retta s per P si sceglie il punto F, dalla parte opposta di P rispetto ad r, che dista a dall’intersezione X di s con r. Al variare della retta s si ottiene un ramo della concoide, rappresentato in figura dalla linea tratteggiata. Il secon-do ramo della concoide si ottiene scegliendo il punto E dalla stessa parte di P rispetto ad r. La forma di questo secondo ramo dipende dalla relazione tra a e la distanza b del punto P dalla retta r. In figura è mostrato il caso a>b. Se a<b il cappio scompare. Se a=b appare una cuspide. La concoide è una curva algebrica. In un opportuno si-stema di riferimento ha equazione

(y – b)2 (x 2 + y 2) = a2 y 2

Oltre a risolvere il problema della duplicazione del cubo la concoide permette anche la trisezione dell’angolo.

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Il metodo cartesiano per «ben costruire in geometria» prescrive che per ogni problema si debba cercare la solu-zione più semplice. L’estrazione della radice cubica con la concoide è per Cartesio sbagliata perché la costruzio-ne si può fare anche con due coniche. La soluzione con una parabola e un cerchio è in questo senso la migliore.

Cartesio affronta il problema di misurare la complessità di una curva rispetto alle costru-zioni geometriche, ma i suoi tentativi non lasceranno un segno duraturo nella matema-tica.

Questa verrà invece profondamente influenzata da altri aspetti, secondari rispetto al suo metodo per le costru-zioni geometriche, ma più legati allo sviluppo impetuo-so della matematica nel diciassettesimo secolo, e spesso sviluppati indipendentemente anche da altri matemati-ci, meno ambiziosi dal punto di vista della creazione di un metodo universale, ma altrettanto abili nel cercare nuovi problemi e nuove strade per la risoluzione di vec-chi problemi, come ad esempio il notissimo matemati-co francese Pierre de Fermat [vedi volume su Fermat in questa collana].

Gli antichi, pur avendo correttamente distinto tre classi di problemi (piani, solidi e lineari) erano stati troppo superficiali, secondo Cartesio, nella considera-zione dei problemi della terza classe, non accorgendosi

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della possibilità di una classificazione più fine, basata sulle caratteristiche delle curve che si possono utilizzare nelle costruzioni.

Cercò di definire queste curve, che chiamò “geo-metriche”, utilizzando, senza mai dimostrarne l’equi-valenza, due criteri: quello di generazione dinamica e quello di descrivibilità attraverso un’equazione algebri-ca. Osservò che le curve geometriche potevano essere classificate in funzione del loro grado e ciò suggeriva classificare i problemi di costruzione secondo un nuovo schema. Le curve geometriche potevano essere utilizzate liberamente nella teoria delle costruzioni geometriche perché nella geometria è ricercata solo la precisione del ragionamento, che può essere senza dubbio ugualmente perfetto, sia trattando delle rette e dei cerchi sia trattan-do delle curve geometriche.

Le altre curve, che chiamò “meccaniche”, dovevano essere escluse non perché gli strumenti per tracciarle sia-no meno precisi, ma perché sono descritte da due movi-menti separati e che non hanno fra loro alcun rapporto che si possa misurare esattamente, ovvero perché non sono definite da equazioni algebriche. L’esclusione delle curve meccaniche, che Leibniz chiamò “trascendenti” coniando il termine che utilizziamo ancor oggi, è com-prensibile dal punto di vista dell’analisi dei problemi geometrici, ma limita la generalità dell’approccio carte-siano allo studio delle sole curve algebriche. Restavano infatti escluse curve come le la catenaria, la cicloide, le

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Virgolettare. Lacitazione è di Cartesio
fossero
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spirali e molte altre che gli studi di statica e di dinamica dei moti stavano portando alla ribalta.

Il criterio di generazione dinamica di una cur-va, che significa che la curva è descritta dalle intersezioni di due o più curve che si muovo-no l’una per mezzo dell’altra, viene illustrato nella Geometria con due costruzioni: il com-passo cartesiano e il meccanismo di Cartesio.

Il compasso e il meccanismo di CartesioIl compasso cartesiano, ben descritto in uno dei brani proposti nel capitolo Pagine scelte, è uno strumento che genera curve algebriche le quali, in un opportuno siste-ma di riferimento, hanno equazione

(x2 + y 2)2n-1 = x4n

Utilizzando queste curve si possono facilmente costru-ire quante medie proporzionali tra due segmenti dati si vogliono e quindi permettono la costruzione del-le radici di indice qualsiasi di un segmento qualsiasi. Per calcolare l’equazione della prima delle curve prodot-te con il compasso di Cartesio (figura qui sotto), sceglia-mo un sistema di riferimento in cui l’origine coincida con Y, l’asse delle ascisse con YA e l’asse delle ordinate sia perpendicolare a quello delle ascisse in Y. Scegliamo inoltre come segmento unitario il segmento YA. Per ogni

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di Cartesio
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punto B sulla circonferenza per Y di raggio YA prendia-mo la retta ortogonale a YB per B. Tale retta interseca in C l’asse delle ascisse. Il punto D ottenuto intersecando la perpendicolare per C con la semiretta YB genera, al variare di B sulla circonferenza il luogo cercato.

Cerchiamo l’equazione del luogo. Chiamiamo YC = x e CD = y. Allora, per il teorema di Pitagora, YD2 = x2 + y 2. D’altra parte, dalla similitudine dei triangoli YBC e YCD si ha la proporzione

YD : YC = YC : YB

da cui YB × YD = YC2 e quindi YB 2 × YD2 = YC 4. Ma YB = YA e YA è il segmento unità e quindi l’equazione del luogo è

x 2 + y2 = x4.

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Il meccanismo di Cartesio genera invece in maniera ite-rativa una curva geometrica da un’altra nella maniera seguente.

Consideriamo un piano fisso, in cui sono scelte co-ordinate cartesiane x, y, e un piano mobile, in cui sono scelte coordinate cartesiane X, Y legate alle precedenti dalle trasformazione X = x – a, Y = y - t. Possiamo im-maginare che il secondo piano venga traslato nella dire-zione parallela all’asse delle y, di una quantità t variabile, mentre a è un parametro fissato. Supponiamo che sul piano che stiamo traslando sia assegnata una curva di equazione f (X,Y ) = 0. Intersechiamo questa curva con la retta che congiunge l’origine del piano fisso con quella del piano variabile. Al variare del parametro t, il punto di intersezione genera una curva, che ha equazione

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Questa è la curva ottenuta applicando il meccanismo di Cartesio alla curva di equazione f (X,Y ) = 0. Per esem-pio, applicando il meccanismo di Cartesio:

alla retta di equazione Y = X + 1, otteniamo l’iperbole di equazione

disegnata con un tratteggio a lineette nella figura

alla circonferenza di equazione X 2 + Y 2 = r 2, otteniamo la concoide di equazione

disegnata con un tratteggio a pallini nella figura;

alla parabola di equazione Y = X 2, otteniamo la “parabo-la di Cartesio”, di equazione

disegnata con un tratteggio misto nella figura.

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;
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Dopo la discussione sulle curve geometriche, Cartesio ritorna a considerare il problema di Pappo, sviluppando quanto osservato nel primo libro e analizzando in detta-glio il caso di tre e quattro rette e alcuni casi speciali del problema relativo a cinque rette. Scrive l’equazione del luogo nel caso di quattro rette in funzione dei parametri del problema e studia quando la conica risultante è una iperbole, quando una parabola e quando un’ellisse.

Dimostra così che la soluzione del problema di Pappo relativo a cinque rette, di cui quat-tro parallele e una quinta perpendicolare alle precedenti, è una curva che si può costruire con il meccanismo di Cartesio.

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La normale a una curva algebrica

Con Cartesio si precisa per la prima volta un concetto generale di curva e quindi un nuovo oggetto di studio per la matematica.

Per comprendere appieno il significato rivoluzionario della definizione cartesiana di curva geometrica, consi-deriamo il suo approccio al problema di determinare la normale, o equivalentemente la tangente, a una curva piana in un punto. Dice Cartesio:

“ RITERRÒ DI AVER FORNITO QUI TUTTO CIÒ

CHE SERVE PER GLI ELEMENTI DELLE LINEE

CURVE, QUANDO AVRÒ DATO GENERALMENTE

IL MODO DI TRACCIARE LINEE RETTE CHE

CADONO AD ANGOLI RETTI IN UNO QUALSIASI

DEI LORO PUNTI. E OSO DIRE CHE QUESTO

È IL PROBLEMA PIÙ UTILE E PIÙ GENERALE,

NON SOLO FRA QUELLI CHE CONOSCO,

MA ADDIRITTURA FRA QUELLI CHE HO MAI

DESIDERATO CONOSCERE IN GEOMETRIA.*”L’approccio cartesiano è ben diverso da quello dei ma-tematici che l’anno preceduto. Non si preoccupa di cal-colare la normale o la tangente a una parabola, a una concoide, o a una qualsiasi altra “curva nominata” ma * R. Cartesio, titolo, editore, luogo anno

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R. Cartesio, Opere 1637 - 1649, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani, 2009
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di dare un metodo generale per calcolare la normale o la tangente a una curva geometrica qualsiasi.

Il segreto del successo dell’approccio carte-siano è quello di cercare la soluzione genera-le a un problema generale, spogliandolo da tutti gli aspetti particolari per concentrarsi sulla sostanza del problema.

Gli antichi sapevano costruire la tangente a una circon-ferenza, a una parabola, a una ellisse ma non avevano concepito l’idea generale di curva e non avevano quindi sviluppato un metodo generale per definre e costruire la tangente a una curva.

A differenza degli altri temi trattati nella Geometria, che influenzarono profondamente ma solo indiretta-mente lo sviluppo della matematica, il problema della determinazione della tangente ad una curva sollevò un grande interesse e un’aspra polemica con Fermat, Étien-ne Pascal e Gilles Personne de Roberval. Questa polemi-ca e la riflessione dei matematici sull’idea di tangente fu uno dei semi da cui germogliò, alla fine del diciassettesi-mo secolo, il calcolo infinitesimale di Newton e Leibniz.

L’idea di Cartesio per caratterizzare la retta normale a una curva in un suo punto P è abbastanza semplice da poter essere illustrata geometricamente senza alcun rife-rimento al calcolo differenziale. Data la curva e il punto P per cui si vuole tracciare la normale, scegliamo una

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retta qualsiasi e fissiamo su essa un punto X. Traccia-mo quindi la circonferenza di centro X e passante per P. Questa circonferenza interseca la curva in un un certo numero di punti A, B, C, … oltre a P (prima figura). Muovendo X sulla retta si può fare in modo che una del-le intersezioni, distinte da P, vada a cadere su P (seconda figura). Il cerchio diventa allora tangente alla curva e la retta PX è la normale cercata (terza figura). La tangente è semplicemente la perpendicolare in P alla normale

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Cartesio mostrò come tradurre questa idea intuitiva in una definizione precisa e in un metodo di calcolo. A tal fine è necessario fissare un sistema di riferimento e associare alla curva l’equazione che supporremo, come faceva Cartesio, algebrica.

Eliminando una delle variabili nel sistema tra l’equa-zione del cerchio variabile e quella della curva, si ottiene una equazione algebrica in una variabile, contenente il parametro che identifica la posizione del punto X. Im-ponendo che questa equazione abbia una radice doppia in corrispondenza della coordinata non eliminata del punto P (evitiamo di entrare nei dettagli su questo pun-to), si determina la posizione del punto X che identifica il cerchio tangente e quindi la normale.

Il metodo di Cartesio dà luogo a calcoli algebrici complicati anche nei casi più semplici. Il metodo si può semplificare in maniera essenziale determinando in mo-do analogo, invece del cerchio tangente tra quelli con centro su una determinata retta (come nelle tre figure so-

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pra) la retta tangente tra quelle che passano per il punto P come nelle due figure qui sotto. Per questo basta im-porre la condizione che l’equazione risultante tra la curva e le rette abbia una radice doppia in P. Questa semplifi-cazione fu suggerita dal matematico francese Florimond de Beaune e fu ulteriormente semplificata dall’olandese Jan Hudde, e dal belga René-François de Sluse.

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L’ovale di CartesioL’ultimo argomento del secondo libro, cui sono dedicate una quindicina di pagine, concerne le proprietà di una nuova classe di curve geometriche che Cartesio intro-duce per la progettazione di strumenti ottici. Lo scopo dello studio delle proprietà di queste curve è quello di realizzare superfici di vetro attraverso cui i raggi rifratti, provenienti da sorgenti opportune, convergano in un unico punto. Tale studio si basa sulla legge di rifrazione, enunciata da Cartesio nella Diottrica e scoperta indi-pendentemente dal matematico e astronomo olandese Willebrord Snell.

Queste considerazioni mostrano l’interesse di Cartesio alle applicazioni tecnologiche e testimoniano l’importanza che Cartesio asse-gna alla matematica come linguaggio della fisica.

Gli ovali di Cartesio (figura sotto) si possono caratteriz-zare come il luogo dei punti P del piano le cui distanze da due punti fissi F e G verificano una relazione del tipo

a × d(P, F ) + b × d(P, G ) = c

dove a, b e c sono opportune costanti.

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Cartesio, coerente con la sua visione costruttiva della matematica, descrive queste curve assegnando per una qualsiasi retta una costruzione con riga e compasso dei punti della curva che stanno su quella retta.

Le applicazioni di queste curve all’ottica richiede la conoscenza delle loro tangenti, che Cartesio determi-na con il metodo descritto nel paragrafo precedente. Il contributo di questa parte della Geometria è molto im-portante sia da un punto di vista applicativo sia meto-dologico, per le strette connessioni con le altre parti del pensiero di Cartesio.

IL TERZO LIBRO: LA COSTRUZIONE DEI PROBLEMI SOLIDI O PIÙ CHE SOLIDI

Il terzo libro è meno complicato del secondo, dal punto

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di vista dei calcoli e delle difficoltà matematiche. Car-tesio suggerì ripetutamente ai suoi corrispondenti di leggerne il contenuto prima di affrontare la lettura del secondo libro. Il contenuto del terzo libro è il prere-quisito fondamentale del «metodo per ben costruire in geometria».

Tratta infatti della costruzione delle soluzioni delle equazioni algebriche in una variabile a cui si deve ri-durre, secondo Cartesio, ogni costruzione geometrica. Come abbiamo già detto, infatti, per determinare il luo-go che risolve un problema geometrico indeterminato, Cartesio considera le rette di una opportuna famiglia (algebrica) e su ognuna di queste rette determina l’in-tersezione con il luogo cercato costruendo le soluzioni di un’equazione in una variabile.

All’inizio del terzo libro, Cartesio premette una di-gressione metodologica fondamentale. Egli afferma che è necessario scegliere attentamente quali curve utilizzare per operare una costruzione geometrica in modo da evi-tare due tipi di errori, che sono in un certo senso specu-lari. Il primo errore consiste nel cercare la soluzione di un problema geometrico utilizzando curve troppo sem-plici, per esempio cercare di risolvere un problema soli-do con cerchi e rette. Il secondo errore consiste, all’op-posto, nell’utilizzare curve troppo complicate. Questo secondo errore è di carattere metodologico. Anche se conduce alla soluzione del problema, è considerato par-ticolarmente grave dall’autore del Metodo.

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Secondo Cartesio esiste, per ogni problema geome-trico di costruzione, un livello di complessità, misurabi-le con l’algebra, e di conseguenza una ben determinata classe di curve che si possono utilizzare per risolverlo da cui non è lecito discostarsi.

L’algebra delle equazioni algebriche in una variabile e la regola dei segniMolti dei risultati riportati nella prima parte del libro terzo, relativi alle equazioni algebriche in una variabile, erano già noti, del tutto o in parte a Cardano, Bombel-li, Herriot, Girard e Viète, ma Cartesio non diede mai alcun credito ai matematici che lo avevano preceduto e dai cui lavori aveva certamente tratto ispirazione.

La sua esposizione ha comunque il pregio di essere sistematica e chiara e utilizza per la prima volta la stessa notazione e lo stesso linguaggio che utilizziamo oggi. Contiene inoltre numerosi elementi originali, molti dei quali vennero ripresi ed approfonditi da Isaac Newton nel suo famoso trattato sull’aritmetica universale.

Cartesio basa molte delle sue considerazioni su una versione debole del teorema fondamentale dell’algebra, considerata anche da Albert Girard nelle Invention nou-velle en algèbre del 1629, secondo cui un’equazione al-gebrica p(x) = 0 di una variabile, dove p(x) è un polino-mio di grado n, può avere al massimo n radici distinte, cioè possono esistere al più n numeri (o segmenti) che sostituiti nel primo membro dell’equazione lo rendono

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uguale a zero.Per esempio, l’equazione x 2 – 5x + 6 ammette le radi-

ci 2 e 3 e nessun’altra. Cartesio osserva poi l’equivalenza tra l’essere a una radice di un’equazione algebrica p(x)=0 e l’essere il polinomio p(x) divisibile per x – a, e enuncia la proposizione, anch’essa nota a Girard, secondo cui una radice intera a di un polinomio p(x) a coefficien-ti interi deve essere un divisore del suo termine noto. Enuncia poi la sua famosa regola dei segni.

Questa regola stabilisce un limite superiore al nume-ro di radici positive e di radici negative di un’equazione algebrica p(x) = 0, dove p è un polinomio a coefficienti reali (come diciamo oggi; la nozione di numero reale era ignota a Cartesio). Precisamente, dato il polinomio, bisogna espanderlo in una somma di monomi e scriver-lo ordinando i monomi in ordine decrescente. Bisogna quindi contare il numero delle permanenze di segno e il numero delle variazioni nella lista ordinata dei coef-ficienti (trascurando i termini che hanno coefficiente zero). Per esempio, se il polinomio è

p(x) = x 3 + x 2 – x – 1

la successione dei segni dei coefficienti è ++ – –. In que-sta successione c’è quindi una permanenza (++) poi una variazione (+ –) e infine una permanenza (– –). L’altra possibile variazione (– +) non compare.

Il criterio di Cartesio afferma che il numero massimo

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Usare il carattere inclinato
secondo il grado
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delle radici positive è pari al numero delle variazioni. Inoltre, se il numero delle radici positive è inferiore al massimo possibile, deve differire da esso per un nume-ro pari. Da notare che ogni radice di molteplicità m va contata come m radici distinte.

Infine, il numero massimo delle radici negati-ve è uguale al numero delle variazioni di segno nella successione dei coefficienti che si ottiene da quella di p(x) moltiplicando i coefficienti dei termini dispari per -1 e se il numero effettivo è inferiore al massimo possibile, deve differire da esso per un numero pari. Poiché il polinomio che abbiamo considerato nell’e-sempio presenta una variazione, dal criterio segue che deve necessariamente ammettere una radice positiva. Cambiando il segno ai coefficienti dei termini dispa-ri, otteniamo la successione dei segni –++–, che pre-senta due variazioni. Il numero delle radici negative è allora due o zero. In effetti p(x) = (x + 1)2(x – 1) e ammette quindi una radice positiva e due negative (o meglio una negativa di molteplicità uguale a due). Si noti che, i numeri negativi non erano ancora univer-salmente accettati dai matematici del seicento. Mentre Viète rifiutava categoricamente di considerarli, Cartesio (come Girard) li accettava come radici di un’equazione (le radici false) ma non li interpretava geometricamente.

Trasformare per semplificareCartesio prestò particolare attenzione alle trasformazio-

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ni di un polinomio indotte da una sostituzione lineare, ovvero quelle che trasformano un polinomio p(x) nel polinomio q(x) = p(ax + b). Queste trasformazioni per-mettono di semplificare un polinomio, e quindi un’e-quazione algebrica, in maniera che dalle soluzioni dell’e-quazione trasformata si possano calcolare facilmente le soluzioni dell’equazione di partenza, e viceversa.

In Cartesio si distingue molto chiaramente l’idea di trasformare per semplificare, una delle idee fondamentali della teoria degli invarianti e del programma di Erlangen del matematico tedesco Felix Klein che si affermarono nel XIX secolo. Non si trattava di un’idea originale ma, accompagnata alla sua maestria nell’uso della notazione simbolica, si affermò come uno dei metodi caratteristici dell’algebra.

Oggi le osservazioni di Cartesio possono ap-parire elementari, ma egli fu il primo a trat-tare le equazioni con spirito moderno e a rendere elementari alcune proprietà generali difficili da esprimere fino a quel momento.

Consideriamo, a titolo d’esempio, uno dei risultati ge-nerali contenuti nella Geometria. Egli osserva che, per togliere il secondo termine di un’equazione di grado n qualsiasi,

xn + a1 xn–1 + a2 xn – 2 + … + an –1x + an

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basta sostituire alla variabile x la variabile . Anche se si tratta di una semplice verifica, pochissimi, ai tempi di Cartesio, erano in grado di padroneggiare le manipo-lazioni formali necessarie per dimostrare il risultato in generale. Della massima generalità è anche l’osservazio-ne che se si sostitusce la variabile x in un’equazione con la variabile x – a si ottiene una nuova equazione le cui radici sono esattamente quelle della precedente equazio-ne aumentate di a.

La costruzione delle equazioni di terzo e quarto gradoGià nel 1621 Cartesio aveva scoperto come costruire le soluzioni delle equazioni di terzo e di quarto grado, intersecando una parabola con un cerchio. Usando la geometria analitica si possono costruire le soluzioni dell’equazione

x4 + ax3 + bx2 + cx + d = 0

intersecando una parabola con una conica qualsi-asi. Basta infatti intersecare la conica di equazione y2 + axy + by + cx + d = 0 con la parabola di equazione y = x 2. Sostituendo l’equazione della parabola in quella della conica si ottiene l’equazione che vogliamo costru-ire e quindi le ascisse dei punti di intersezione sono le soluzioni dell’equazione assegnata.

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facilmente
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Cartesio non si accontentava però di ottenere le soluzio-ni intersecando una parabola con una conica qualsiasi e cercò di scegliere la seconda conica della forma più sem-plice possibile, che per lui voleva dire una circonferen-za. Egli riuscì a dimostrare che, dopo aver trasformato l’equazione con una sostituzione lineare che annulla il termine di terzo grado, è sempre possibile scegliere una circonferenza per costruire, insieme a una parabola, le soluzioni dell’equazione di partenza. Ecco la costruzio-ne per l’equazione x4 = +px 2 + qx + r, (p, q ed r positivi).

Costruiamo come già spiegato in precedenza, la pa-rabola con asse verticale, concavità verso l’alto, vertice A e latus rectum 1. Nel sistema di assi cartesiani in cui l’asse y coincide con l’asse della parabola (orientato dal

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basso in alto), il punto origine con A, l’asse x con la perpendicolare all’asse y passante per A (orientata da si-nistra a destra) e il segmento unità con il latus rectum, l’equazione di questa parabola è y – x2 = 0.

Scegliamo B sull’asse a distanza da A.Scegliamo C sulla perpendicolare all’asse per B, a di-

stanza , e tracciamo un cerchio di centro C e raggio . Tale cerchio ha, nel sistema di riferimento

già descritto, equazione e quindi, eliminando la y tra l’equazione della parabola e quella del cerchio, si verifica che le ascisse dei punti di intersezione della parabola con il cerchio sono le solu-zioni dell’equazione x4 = px2 + qx + r.

Secondo Cartesio questa costruzione delle soluzioni dell’equazione di quarto grado è la più semplice possibi-

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le. Non è possibile infatti risolvere l’equazione generale di quarto grado con riga e compasso ed è necessario uti-lizzare almeno una conica che non sia un cerchio. Con questa costruzione, a differenza di quella che abbiamo visto in precedenza, Cartesio utilizza una sola conica di-versa dalla circonferenza e tale conica è una parabola, che è la conica più semplice dopo la circonferenza, se-condo l’idea, non ben esplicitata per altro, di Cartesio.

Osserviamo che la costruzione delle radici dell’e-quazione di quarto grado ci fornisce anche quella delle radici dell’equazione di terzo grado. Infatti, possiamo sempre trasformare l’equazione generale di terzo grado nella forma x3 = ±px ±q. Moltiplicando per x otteniamo l’equazione di quarto grado x 4 = ±px 2 ±q, che differisce da quella che abbiamo già costruito solo per il fatto che r = 0. Queste particolari equazioni ammettono sempre la radice nulla, eliminata la quale, si hanno esattamen-te le radici dell’equazione di terzo grado che volevamo costruire.

Riduzione dei problemi solidiI problemi solidi sono quelli che dopo semplificazio-ni ed eventuali fattorizzazioni che mettano in evidenza fattori a coefficienti interi, contengono al più fattori ir-riducibili di terzo e quarto grado che, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, si possono risolvere con rette, cerchi e parabole. Tra questi Cartesio ne conside-ra due fondamentali, che abbiamo già incontrato nel

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paragrafo sui problemi solidi: il problema della ricerca delle due medie proporzionali tra a e q, che corrispon-de alla ricerca della soluzione dell’equazione z3 = a2q e il problema della trisezione dell’angolo che stacca sulla circonferenza unitaria una corda congruente a q, che corrisponde alla ricerca della più piccola soluzione posi-tiva dell’equazione z3 = 3z – q.

Dimostra poi che tutti i problemi solidi si possono ridurre a questi. La dimostrazione si basa sulle conside-razione delle diverse formule risolutive per le equazioni di terzo grado, scoperte dagli algebrisiti italiani del Cin-quecento (la risoluzione delle equazioni di quarto grado si piò ridurre alla risoluzione di un’equazione di terzo grado e all’estrazione di radici).

Cartesio osserva che nelle formule risolutive si pre-sentano sostanzialmente due casi. Nel primo caso biso-gna estrarre radici quadrate di quantità positive, che si costruiscono con riga e compasso, e radici cubiche, che richiedono la costruzione di due medie proporzionali. Nel secondo caso bisogna estrarre la radice quadrata di una quantità negativa.

Cartesio non introduce i numeri complessi e riduce questo caso alla trisezione di un angolo. Oggi sappia-mo che la radice cubica di un numero complesso si può calcolare, prendendo la radice cubica del suo modulo, ovvero costruendo due medie proporzionali, e dividen-do per tre il suo argomento, cioè trisecando un angolo.

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Problemi supersolidiDopo aver ridotto la costruzione dei problemi piani alla costruzione delle soluzioni delle equazioni di primo e di secondo grado e la costruzione di quelli solidi alla costruzione delle soluzioni delle equazioni di terzo e quarto grado, Cartesio indica come estendere il suo ap-proccio ai problemi lineari. Basandosi sul grado dell’e-quazione distingue gradi diversi nei problemi lineari, cosa che nessun altro prima di lui aveva immaginato di fare. Accorpa i problemi di grado 2n+1 con quelli di grado 2n+2 in analogia con quello che succede nel caso dei problemi piani e solidi.

Il caso successivo, dopo quello dei problemi solidi, è quello dei problemi che si possono ricondurre alla costruzione delle soluzioni delle equazioni di quinto e sesto grado.

Si può verificare che la costruzione di un’equazione di sesto grado si può ottenere intersecando una parabola con una cubica (vedi figura sotto). Infatti, per costruire le soluzioni dell’equazione

x6 + a1x5 + a2x4 + a3x3 + a4x2 + a5x + a6 = 0

basta intersecare la parabola y = x2 con la cubica

y3 + a1y 2x + a2y 2 + a3xy + a4y + a5x + a6 = 0

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Ma non è questa la soluzione che cerca Cartesio! Infatti a lui preme trovare la soluzione più semplice e più facil-mente costruibile. Per la semplicità, vorrebbe sostituire la parabola con un cerchio e, per quanto riguarda la costruibilità, vorrebbe sostituire la nostra cubica con una curva costruibile con i suoi meccanismi, e precisa-mente questo riesce a fare. Costruisce infatti la cubica che gli serve applicando il meccanismo di Cartesio alla parabola. Questa costruzione, di cui non mostriamo i dettagli, è, dal punto di vista tecnico, la più complicata del terzo libro, ma diede a Cartesio la certezza di aver imboccato la strada giusta: «Oso infatti assicurare che non ve n’è di più semplice in natura, che possa servire a questo stesso scopo, e voi avete visto come essa segua immediatamente le sezioni coniche, in quel problema,

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tanto studiato dagli antichi, la cui soluzione ci indica, nell’ordine tutte le linee curve che devono essere accol-te in geometria».*

Dall’analisi dei problemi supersolidi, Cartesio col-se immediatamente uno schema plausibile per iterare la definizione delle curve necessarie a costruire le solu-zioni delle equazioni algebriche di grado qualsiasi, ma questo schema si rivelò sbagliato. Egli pensava che la procedura che aveva funzionato per la costruzione delle soluzioni delle equazioni di quinto e di sesto grado si potesse estendere facilmente ai gradi superiori e che le curve necessarie per queste costruzioni si potessero otte-nere iterando l’applicazione del meccanismo di Cartesio a partire dalla parabola.

A conclusione della Geometria annunciò la risoluzio-ne completa dei problemi di costruzione attraverso que-sto metodo basando la sua fiducia su un uso ingenuo del principio di induzione: «il mio scopo non è di scrivere un voluminoso trattato, e cerco piuttosto di compren-dere molto in poche parole, come si giudicherà forse da quello che ho fatto, se si considera che, avendo ridotto ad una stessa costruzione tutti i Problemi di uno stesso genere, ho fornito nello stesso tempo il modo per ridurli ad un’infinità di altri diversi, e così di risolvere ognuno in un’infinità di modi; poi, oltre a ciò, avendo costruito tutti quelli che sono piani, intersecando un cerchio con una linea retta, e tutti quelli che sono solidi, intersecan-* R. Cartesio, titolo, editore, luogo anno

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R. Cartesio, Opere 1637 - 1649, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani, 2009
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do un cerchio con una parabola, e infine tutti quelli che sono di un grado più composti, sempre intersecando un cerchio con una linea che è solo di un grado più composta della parabola; bisogna solo seguire la stessa via per seguire quelli più composti e così all’infinito. Infatti, in materia di progressioni matematiche, quando abbiamo i primi due o tre primi termini, non è difficile trovare gli altri. E spero che i nostri posteri mi saranno riconoscenti, non solo per le cose che ho appena spiega-to, ma anche per quelle che ho omesso volontariamente per lasciare loro il piacere di scoprirle».*

Le speranze di Cartesio erano invece mal riposte. Non fu possibile trovare una classe semplice e uniforme di curve con cui costrui-re tutte le equazioni algebriche e il program-ma di Cartesio divenne presto obsoleto.

Si impose invece il problema di studiare le proprietà ge-nerali delle curve definite da equazioni polinomiali. Si tratta di una problematica ben diversa da quella cui era interessato Cartesio, che si è rivelata estremamente inte-ressante e feconda. Lo studio delle proprietà delle curve algebriche e più in generale delle varietà definite da un sistema di equazioni polinomiali è infatti l’oggetto della geometria algebrica, uno dei campi più vitali dell’intera matematica.* R. Cartesio, titolo, editore, luogo anno

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R. Cartesio, Opere 1637 - 1649, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani, 2009
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LA FORTUNA E GLI INFLUSSI

L a Geometria fu considerata dai contemporanei di Cartesio un libro di difficile lettura. In parte ciò era

dovuto a una scelta precisa del suo autore, che non vo-leva essere troppo dettagliato nella trattazione dei suoi esempi per evitare che i suoi avversari potessero troppo facilmente capire i suoi risultati e impadronirsi dei suoi metodi, con il rischio che cercassero di appropriarsene. Le difficoltà di comprensione furono mitigate da nu-merosi commenti. Nella traduzione in latino a cura di van Schooten, oltre alle note del traduttore vennero incluse anche quelle di altri matematici che avevano studiato l’opera, tra cui quelle inviate allo stesso Carte-sio da Florimond de Beaune, un fervente ammiratore della Geometria, subito dopo la sua pubblicazione. Alle difficoltà di lettura del testo concorse anche la novità dell’esposizione. Cartesio introdusse sistematicamente una notazione simbolica molto più vicina a quella mo-

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derna di quella di Viète, che stava appena comincian-do ad imporsi.

La Geometria ha esercitato senza dubbio una gran-de influenza sullo sviluppo della matematica del di-ciassettesimo secolo, ma non per quello che era lo scopo principale del suo autore, quello cioè di fornire il metodo migliore per ben eseguire le costruzioni ge-ometriche.

Questo programma perse rapidamente di interesse a causa della difficoltà di definire correttamente quali fossero le curve “più semplici” per risolvere un dato pro-blema geometrico ovvero per la difficoltà di dare una nozione soddisfacente di complessità di una costruzione geometrica.

Produsse invece l’effetto immediato di sdoganare l’algebra come teoria capace di fornire dimostrazioni esatte, quindi affidabili come quelle della geometria, ma più di essa capace di meccanizzare i calcoli e di suggerire e dimostrare risultati generali.

La Geometria contribuì anche a collegare l’algebra e la geometria fino ad arrivare, se-guendo percorsi diversi da quelli immaginati da Cartesio, alla creazione della geometria delle coordinate, che è lontana per molti aspetti da quella cartesiana.

Innanzitutto le coordinate di un punto non sono per

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Cartesio numeri ma segmenti e la sua algebra dei seg-menti è decisamente meno versatile di quella dei nume-ri. Una delle ragioni è che l’algebra dei segmenti non prende in considerazione quantità negative, come farà invece per la prima volta in maniera sistematica John Wallis nel De sectionibus conicis del 1655. Una conse-guenza della mancanza dei segmenti negativi è che spes-so Cartesio considera una sola componente di un luogo geometrico, come nel caso degli ovali. Per questo non è in grado di cogliere la completezza di una costruzio-ne, analogamente a quanto succede, per esempio, se si considera una sola delle componenti di un’iperbole, co-me già aveva osservato Apollonio. Un’altra conseguenza che abbiamo già osservato è che le equazioni di grado n danno luogo a 2n tipi distinti se vogliamo considerare solo coefficienti positivi.

Cartesio infine non fissa generalmente due assi ortogonali per l’analisi di un problema, come diventerà prassi con la geometria del-le coordinate per meccanizzare il metodo e semplificare l’interpretazione dei risultati.

Un uso sistematico dei sistemi ortogonali di riferi-mento e delle coordinate positive e negative fu fatto da Newton nella sua trattazione delle curve algebriche di terzo grado, pubblicata nel 1704 ma probabilmente composta nel 1676.

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Una delle grandi idee di Cartesio, anche se esposta in maniera oscura, è la corrisponden-za tra curve ed equazioni.

All’oscurità dell’esposizione contribuisce il tentativo di seguire due approcci diversi senza mai decidersi in favo-re dell’uno piuttosto che dell’altro.

Nella Geometria è asserito chiaramente che ogni cur-va geometrica generata dinamicamente è descritta da una equazione algebrica: «In qualunque altro modo si immagini la descrizione di una linea curva, purché essa sia nel novero di quelle che chiamo geometriche, si po-trà sempre trovare un’equazione per determinare tutti i suoi punti in questo modo».*

Ma l’equivalenza delle due descrizioni non è dimo-strata e si dovette attendere fino al 1876 per veder-ne pubblicata una dimostrazione. Questa ambiguità è una delle ragioni che precluse alla Geometria quel carattere di sistematicità che ci si aspetta da un testo fondazionale di un nuovo punto di vista, che è invece presente nel trattato di Fermat Ad locos planos et solidos isagoge (introduzione ai luoghi piani e solidi), scritto intorno al 1629, dove anche si tratta dell’equivalenza tra curve ed equazioni e dove viene studiata in det-taglio questa corrispondenza per i primi gradi: rette ed equazioni di primo grado; coniche ed equazioni di secondo grado. * R. Cartesio, titolo, editore, luogo, anno

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A Fermat e a Cartesio è giusto attribuire uguale importanza nel processo che porterà alla moderna geometria delle coordinate.

Se in Fermat si trova più chiaramente che in Cartesio la consapevolezza della assoluta identità tra equazione e curva e si trova indicato più chiaramente il program-ma dello studio delle proprietà geometriche delle cur-ve a partire dalla considerazione e dalla manipolazione algebrica delle loro equazioni, è indubbiamente Carte-sio a introdurre la notazione simbolica e lo stile espo-sitivo che usiamo ancor oggi e ad abbandonare defini-tivamente lo stile retorico degli algebristi italiani, che ancora ritroviamo parzialmente in Viète e in Fermat, e che, soprattutto, ha piena coscienza dell’algebra come strumento metodologico per affrontare i problemi ge-ometrici da un punto di vista generale.

La Geometria giocò un ruolo fondamentale anche nello stimolare un approfondito dibat-tito sulle problematiche connesse alla defini-zione generale di curva e di tangente a una curva e per questo contribuì significativa-mente alla nascita del calcolo differenziale.

L’opera di Cartesio divenne lettura comune per tutti i matematici nella seconda metà del Seicento e modificò per sempre lo stile della ricerca matematica, introdu-

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cendo la caratteristica attenzione alla generalizzazione e all’astrazione. Tra i matematici che lessero con mag-giore attenzione critica la Geometria ricordiamo i due padri del calcolo differenziale, Isaac Newton e Gottfried Wilhelm von Leibniz. A proposito dell’influenza di Cartesio sulla sua opera, Newton ebbe a dire, in una let-tera a Robert Hooke: «Se ho visto più lontano è perché stavo sulle spalle di giganti».

La Geometria è il punto di arrivo degli studi matema-tici di Cartesio. Dopo la pubblicazione, egli non tornò più ad occuparsi sistematicamente di matematica, pur continuando a discutere i problemi matematici propo-sti dai suoi numerosi corrispondenti, considerando an-che problemi molto distanti da quelli considerati nella Geometria, come lo studio delle proprietà della cicloide, una delle prime curve trascendenti a mostrare la neces-sità di ampliare l’universo delle curve geometriche per poter applicare proficuamente la matematica alle esi-genze della nuove scienze che si stavano sviluppando.

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PRO E CONTRO

Claude Mydorge (1585-1647) nacque in una famiglia ricca e influente che gli permise di coltivare la passione per la matematica e per l’ottica senza problemi, garan-tendogli la possibilità di occupare posizioni di prestigio ma di impegno limitato, quale quella di tesoriere della generalità di Amiens. Non ancora trentenne si legò di stretta amicizia con Cartesio. Disegnò con grande peri-zia ed esattezza le forme dei vetri parabolici, iperbolici e ovali di cui Cartesio aveva investigato teoricamente le proprietà ottiche e li fece tagliare a sue spese da valenti artigiani per sostenere le ricerche dell’amico. Prese le difese di Cartesio nelle polemiche che lo opposero a Fermat e nella controversia contro i Gesuiti, riuscendo ad impedire che fossero condannate alcune proposizio-ni tratte dalle sue opere.

Scrisse un’opera sulle sezioni coniche, dove semplifi-cò molte dimostrazioni di Apollonio e introdusse molti

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esempi e molte idee che vennero ampiamente utilizzate da altri matematici, come l’idea di trasformare un’ellis-se in una circonferenza per studiarne alcune proprietà. L’idea verrà ampiamente sviluppata da Poncelet e Cha-sles all’inizio del secolo diciannovesimo dando origine alla geometria proiettiva. Si interessò anche dei metodi per determinare la longitudine e uno dei suoi risultati più famosi riguarda la misurazione accurata della lati-tudine di Parigi.

Marin Mersenne (1588-1648) studiò al collegio dei gesuiti di La Flèche, lo stesso che frequentò Cartesio, di otto anni più giovane. I due non si incontrarono al collegio ma divennero amici solo più tardi.

Entrò nell’ordine dei frati minimi nel 1611 e si tra-sferì a Parigi dove cominciò a interessarsi di matema-tica e a stringere rapporti con numerosi studiosi. In-segnò per due anni filosofia a Nevers prima di tornare a Parigi, dove rimase per il resto della vita. Scrisse di teologia, di matematica, di teoria musicale e sostenne che la causa della scienza è la causa di Dio. Tra il 1620 e il 1630 mutò la sua opposizione iniziale alle idee di Galileo in fervido sostegno e si adoperò per diffondere le sue idee in Francia.

In quegli anni, un nutrito gruppo di scienziati, filo-sofi e matematici francesi, olandesi e inglesi, composto tra gli altri da Nicolas-Claude Fabri de Peiresc, Pierre Gassendi, Cartesio, Gilles Personne de Roberval, Isaac

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Beeckman, Jean Baptiste van Helmont, Pierre de Fer-mat, Thomas Hobbes, Étienne Pascal e suo figlio Blaise si raccolse intorno a padre Mersenne per dar vita a una sorta di accademia scientifica che favorì la circolazione delle idee attraverso la fitta corrispondenza tra i suoi membri. Mersenne, l’animatore principale di questa accademia, svolse, in assenza dei moderni canali di dif-fusione delle scoperte scientifiche, un ruolo insostitu-ibile per la nascita e lo sviluppo della scienza moderna.

Le reazioni alla pubblicazione della Geometria e delle altre appendici al Discorso sul Metodo furono im-mediate tra i membri dell’accademia di Mersenne e innescarono violente polemiche tra i sostenitori e gli oppositori delle idee di Cartesio, favorite dal carattere del grande matematico filosofo, sempre pronto a ri-vendicare, con toni che sfioravano l’arroganza, la supe-riorità del proprio pensiero sopra quello di chiunque altro. A distanza di dieci anni dalla pubblicazione del-la Geometria, le polemiche non erano ancora sopite. In una lettera a Mersenne, Cartesio scriveva: «Fino a questo momento non ritengo proprio che [la Geome-tria] contenga qualcosa che vorrei avervi cambiato, o in cui pensi di essere manchevole quanto all’ordine o alla verità delle cose che ho scritto. Solo, vi ho omesso parecchie cose che avrebbero potuto servire a renderla più chiara, e l’ho fatto di proposito e non vorrei non averlo fatto.

Quanto al resto, riguardo al fatto che ho notato, da

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qualcuna delle vostre lettere precedenti, che ve ne aveva-no parlato con disprezzo, vi ripeterò qui che non credo che il Signor Roberval, o qualcuno di coloro che sono meno abili di lui siano in grado, vi dedicassero anche tutta la vita, di apprendere tutto ciò che essa contiene; e pertanto vi ripeto che non ho bisogno di riscriverla, né di aggiungervi niente di più, per renderla consiglia-bile alla posterità. Ciò che tempo fa mi aveva indotto a riscriverla, era solo il desiderio di renderla più chiara a vantaggio dei lettori; ma vedo che sono in maggioranza così maligni, che ne sono totalmente disgustato».*

Mersenne studiò a lungo la cicloide, cercando, sen-za riuscirvi, di calcolarne l’area. Propose il problema all’attenzione di Roberval, di cui riconobbe immedia-tamente le capacità, che lo risolse. In matematica il suo nome rimane legato ai numeri primi di Mersenne, che sono i numeri primi della forma 2p – 1. Se un numero di questa forma è primo, non è difficile dimostrare che p deve essere primo.

Nel 1644 Mersenne ritenne di aver dimostrato che se p = 2, 3, 5, 7, 13, 17, 19, 31, 67, 127 e 257, allora è primo, mentre non lo è per gli altri 44 primi p minori di 257. Successivamente si scoprì che le affermazioni di Mersenne erano errate in cinque casi: 267 – 1 e 2257 – 1 non sono primi mentre 261 – 1, 289 – 1 e 2107 – 1 lo sono.

Mersenne si interessò molto ai lavori di Galileo sul

* Tutte le citazioni sono tratte da R. Cartesio, Tutte le lettere 1619-1650, a cura di G. Belgio-ioso, Bompiani, Milano 2005

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moto dei gravi, che cercò di confutare seguendo le idee di Cartesio, e agli esperimenti di Torricelli sulla pressione dell’aria che tentò di ripetere invano, ma che furono finalmente replicati, dopo la sua morte, nei fa-mosi esperimenti del Puy-de-Dome – che contribuì a progettare – con cui Pascal dimostrò che, all’aumentare dell’altitudine, il peso dell’aria sovrastante, cioè la pres-sione, diminuisce.

Pierre de Fermat (1601-1665), figlio di un ricco mer-cante, studiò a Tolosa e a Bordeaux nella seconda metà degli anni venti del diciassettesimo secolo. A Bordeaux iniziò le sue ricerche matematiche. Nel 1629 comple-tò il manoscritto sul tentativo di ripristinare il testo De locis planis di Apollonio sulla base delle indicazioni contenute negli scritti di Pappo. Si laureò in legge ad Orléans e divenne magistrato a Tolosa. Secondo la testi-monianza di Jean Baptiste Colbert, non sempre riuscì a conciliare l’esercizio della sua professione con la passio-ne per la matematica. Nel 1636 il suo amico Pierre de Carcavi lo pose in contatto epistolare con Mersenne e attraverso di lui con i membri dell’Accademia di Mer-senne. I suoi manoscritti vennero divulgati tra i mem-bri del circolo e gli valsero rapidamente la reputazione di essere uno dei maggiori matematici dell’epoca.

Fermat cominciò ad entrare in polemica con Car-tesio quando Mersenne gli chiese un giudizio sulla Diottrica. Egli rispose dicendo che l’opera «sembrava

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procedere a tentoni nell’ombra» e che la derivazione di Cartesio della legge di rifrazione non era corretta. Questo e la pubblicazione del trattato sui massimi e i minimi, che offuscava la novità della sua Geometria, mandò su tutte le furie Cartesio, che cercò di demolire in tutti i modi il metodo di Fermat per calcolare la tangente ad una curva, basato sul suo metodo dei mas-simi e dei minimi, ed era un’alternativa più generale al metodo algebrico cartesiano. Alla fine di una dura polemica con Fermat e i suoi seguaci, Cartesio fu ob-bligato ad ammettere che il matematico di Tolosa aveva ragione e scrisse: «avendo visto l’ultimo metodo che voi utilizzate per trovare le tangenti alle curve, non posso replicare in altro modo che dicendo che è ottimo e che se l’aveste spiegato in questa maniera fin dall’inizio non avrei avuto ragione alcuna per contraddirlo».

Nonostante questo riconoscimento, Cartesio non esitò a mettere in cattiva luce Fermat presso Mersenne, affermando che i suoi risultati relativi alla cicloide era-no errati, avanzando dubbi sulle sue capacità matema-tiche e danneggiando la sua reputazione.

L’originalità del pensiero di Fermat e la sua influenza sullo sviluppo della matematica fu offuscata dalla scelta di utilizzare il simbolismo obsoleto di Viète invece di quello moderno di Cartesio. I limiti di questa scelta sono meno evidenti nel campo della teoria dei numeri, l’argomento prediletto di Fermat, che però non susci-tava l’entusiasmo dei contemporanei.

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Gilles Personne de Roberval (1602-1675), di umi-li natali, nulla conosciamo della sua infanzia e della sua giovinezza. Arrivò a Parigi nel 1620 in possesso di un’eccellente formazione in latino, greco, matemati-ca e fisica. Venne subito ammesso al circolo di Padre Mersenne e strinse rapporti di duratura amicizia con Étienne Pascal, padre di Blaise. Insegnò al collegio Gervais prima di ottenere la prestigiosa “Cattedra Ra-mo” di matematica al Collegio reale. La cattedra, isti-tuita in onore del filosofo Pierre de la Ramée [o Pietro Ramo, antiaristotelico e calvinista, ucciso nella strage di San Bartolomeo nel 1572 – ndr] veniva ribandita ogni tre anni per concorso. Roberval la mantenne fino alla morte, evitando di pubblicare i dettagli di molte delle sue scoperte per mantenere un vantaggio deci-sivo sui concorrenti, cui era richiesto, tra l’altro, di risolvere problemi proposti dallo stesso Roberval, che risultava quindi l’unico in grado di affrontarli. Diede importanti contributi in molte aree della matemati-ca, ma il ritardo nella pubblicazione dei suoi risultati, per la maggior parte stampati cinquant’anni dopo la sua morte, impedirono che il suo lavoro influenzasse significativamente lo sviluppo della disciplina. Era di carattere difficile e irascibile e si scontrò ripetutamen-te con Cartesio. I rapporti tra i due furono molto con-trastati. Arrivarono più volte a insultarsi, denigrarsi e riappacificarsi.

Nella lettera a Mersenne del 4 aprile del 1648, Car-

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tesio arrivò a scrivere: «Avete visto molte volte in mo-do chiarissimo, per esperienza, che quanto Roberval diceva contro i miei scritti era falso e impertinente, e tuttavia supponete che io vi debba cambiare qualcosa per il fatto che Roberval dice che manca qualcosa nella mia soluzione del luogo a 3 o 4 linee, quasi che i deliri di un uomo come quello debbano essere presi in con-siderazione: La mia Geometria è come dev’essere per impedire che Roberval e i suoi simili ne possa dir male senza che ciò si rivolti a loro scorno; essi infatti non so-no in grado di intenderla, e io l’ho composta in questo modo del tutto volontariamente, tralasciandovi quel che era più facile, e non ponendovi che le cose che più ne valevano la pena. Ma vi confesso che se non avessi tenuto conto di questi spiriti maligni, l’avrei scritta in modo interamente diverso da come ho fatto, e l’avrei resa molto più chiara; cosa che farò forse ancora un giorno, se vedrò che questi mostri saranno sconfitti o umiliati abbastanza».

Roberval fu tra i membri fondatori dell’Accademia reale delle scienze, alle cui attività partecipò con entu-siasmo, contribuendo decisamente alla sua affermazio-ne. Oltre ai suoi contributi alla matematica, tra i quali spiccano il metodo cinematico per tracciare le tangenti a una curva, lo studio delle proprietà della cicloide, l’introduzione di nuovi metodi per il calcolo degli inte-grali definiti e l’introduzione di metodi algebrici nello studio della geometria (prima di Cartesio), Roberval

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diede importanti contributi alla meccanica, dove sta-bilì la legge di composizione delle forze e inventò la bilancia di Roberval, la bilancia a due piatti, che pre-sentò all’Accademia reale il 21 agosto del 1669 ed è di uso comune ancora oggi.

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LE APPLICAZIONI PRATICHE

I l contributo di Cartesio alla matematica è stato mol-to importante ma non facilmente riconoscibile. Il

suo programma di ricerca sul metodo per ben costruire in geometria, divenne rapidamente obsoleto, ma molte delle sue idee e delle sue intuizioni ebbero seguito al di là dalle sue intenzioni. Possiamo dire che la matema-tica moderna è impregnata di idee cartesiane, ma che non è facile separare queste dalle altre. Un caso tipico riguarda la geometria delle coordinate, dove il fonda-mentale contributo di Cartesio si intreccia indistrica-bilmente con quello di Fermat e di molti altri.

Per esempio, l’idea di identificare un punto con una coppia di numeri non è di Cartesio, che anzi, grazie alla sua algebra dei segmenti, riesce ad evitare sistema-ticamente il ricorso ai numeri, ma è proprio l’accento sull’importanza dell’algebra nella geometria che spro-na i matematici a sviluppare un’algebra più astratta di

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quella cartesiana attraverso l’invenzione, intorno alla metà del diciannovesimo secolo, dei numeri reali. È quindi una forzatura associare il solo nome di Cartesio alle applicazioni della geometria analitica, ma poiché queste sono così importanti, scelgo di parlarne in que-sta sezione, dopo aver premesso le cautele del caso.

Attraverso le coordinate cartesiane si identificano i punti del piano con le coppie di numeri e viceversa. Bi-sogna cominciare dalla retta e spiegare come sia possibi-le associare ad ogni punto di una retta un numero. Per far ciò è necessario fissare due punti, che indicheremo O (per “origine”) e U (per “unità”). Fatto questo, il nu-mero associato ad un altro punto qualsiasi P è sempli-cemente la misura orientata del segmento OP rispetto al segmento OU.

Per esempio, se Y è il punto medio del segmento OU, allora il numero associato a Y nel riferimento cartesiano (O,U), ovvero la coordinata cartesiana di Y è ½. Se inve-ce X è il simmetrico di O rispetto a U, cioè il punto tale che U è il punto medio di OX, allora la sua coordinata cartesiana è 2.

Indichiamo P(a) il punto avente coordinata cartesia-

na uguale ad a. La costruzione ci ha permesso di identi-ficare il punto P(0) con il punto origine O, il punto P(1) con il punto unità U, il punto P(1/2) con Y e il pun-to P(2) con X. A questo punto è possibile determinare esattamente quali sono i punti le cui coordinate sono i numeri interi 3,4,5,… Infatti P(3) è il simmetrico di P(1) rispetto a P(2); P(4) è il simmetrico di P(2) rispetto a P(3), e così via.

Ora che abbiamo costruito i punti a coordinate inte-re positive possiamo costruire quelli a coordinate inte-re negative, semplicemente estendendo la costruzione nell’altro verso.

Oggi questo passaggio di estendere ai nega-tivi ci sembra assolutamente naturale. Stori-camente si è trattato invece di superare una difficoltà enorme.

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na uguale ad a. La costruzione ci ha permesso di identi-ficare il punto P(0) con il punto origine O, il punto P(1) con il punto unità U, il punto P(1/2) con Y e il pun-to P(2) con X. A questo punto è possibile determinare esattamente quali sono i punti le cui coordinate sono i numeri interi 3,4,5,… Infatti P(3) è il simmetrico di P(1) rispetto a P(2); P(4) è il simmetrico di P(2) rispetto a P(3), e così via.

Ora che abbiamo costruito i punti a coordinate inte-re positive possiamo costruire quelli a coordinate inte-re negative, semplicemente estendendo la costruzione nell’altro verso.

Oggi questo passaggio di estendere ai nega-tivi ci sembra assolutamente naturale. Stori-camente si è trattato invece di superare una difficoltà enorme.

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mac
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Analogamente
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Per rappresentare le frazioni bisogna saper dividere ogni segmento in parti uguali. Per esempio se sappiamo di-videre il segmento OP(2) in tre parti uguali, gli estremi di questa divisione saranno i punti P(2/3) e P(4/3). Per dividere un segmento OX in tre parti uguali tracciamo una seconda retta s per O su cui riportiamo, tramite il compasso, i punti P(1), P(2) e P(3), ottenendo i pun-ti P '(1), P '(2), P '(3). Congiungiamo il punto X con P '(3). Tracciamo quindi la parallela per P '(1) a questa congiungente e la parallela per P '(2) alla medesima con-giungente. Intersecando queste parallele con la retta OX e otteniamo i punti X/3 e 2X/3 rispettivamente.

Per dividere in un numero qualsiasi di parti bisogna ripetere una costruzione analoga partendo dall’oppor-tuno punto P(k), per esempio da P(10) se vogliamo di-videre il segmento in 10 parti. Per rappresentare P(m/n) basta quindi prendere il primo punto della suddivisio-ne del segmento OP(m) in n parti uguali e “riportarlo”

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m volte. Nella figura seguente è illustrata la costruzione di P(3/4).

Siamo riusciti a rappresentare tutti i numeri razionali sul-la retta grazie a un sistema di riferimento cartesiano e po-trebbe sembrare, a prima vista, di poter identificare con un numero razionale ogni punto della retta. Infatti tra due punti qualsiasi a coordinate razionali [cioè espresse da numeri razionali – ndr], P(m/n) e P(q/r), c’è sempre alme-no un altro punto a coordinate razionali, e precisamente il punto di mezzo, che ha come coordinate la media aritme-tica delle coordinate dei due punti, cioè il punto

In realtà la proprietà di trovare tra due punti qualsiasi a coordinate razionali un punto a coordinate razionali non equivale al fatto che tutti i punti della retta abbiano coordinate razionali, ma solo al fatto che ogni punto è

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approssimato tanto bene quanto si vuole da un punto a coordinate razionali.

Esistono infatti punti che non possiedono coordina-te razionali. Che questo non sia completamente ovvio è dimostrato dal fatto che la scoperta di tali punti, attri-buita ai matematici della scuola pitagorica, provocò un vero e proprio shock alla comunità dei matematici greci.

L’esempio più noto si costruisce con la diagonale del quadrato. Costruendo un quadrato sul segmento OU e ri-portando l’estremo della diagonale OD sulla retta OU ot-teniamo un punto X che non può avere coordinate razio-nali m/n, altrimenti, per il teorema di Pitagora, si avrebbe

il che produce un assurdo, in quanto, come diceva Ari-stotele, «se si assumesse che m2/n2 è uguale a due si dimostrerebbe che i numeri pari sono uguali ai numeri dispari».

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mac
mac
mac
m^2/n^2
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Oggi ci sembra perfettamente naturale dire che ta-le punto ha coordinata uguale alla radice quadrata di due. Si tratta però, anche in questo caso, di un salto concettuale importante. L’idea che esistano altri numeri oltre a quelli razionali non è affatto scontata e sono stati necessari migliaia di anni prima che potesse affermarsi compiutamente.

Il problema di definire il rapporto tra due segmenti qualsiasi non può essere evitato se si vuole sviluppare una teoria rigorosa della misura per le figure geometri-che, cioè per trattare lunghezze, aree e volumi. La solu-zione moderna di esprimere il rapporto tra due segmen-ti qualsiasi con un numero non fu quella inizialmente prescelta. I matematici greci invece di ampliare l’idea di numero preferirono geometrizzare l’idea di rapporto.

Fu Eudosso, un matematico del quarto secolo a.C., vissuto prima di Euclide, che indicò la strada per tratta-re in maniera puramente geometrica la teoria delle pro-porzioni. Le sue idee sono esposte nel libro quinto degli Elementi di Euclide e costituiscono una delle teorie ma-tematiche più rivoluzionarie e profonde mai concepite dalla mente dell’uomo.

Guardando alla teoria delle proporzioni dal punto di vista moderno ci rendiamo conto di come la definizio-ne di rapporto proposta da Eudosso sia molto vicina a quella aritmetica che oggi utilizziamo.

Perché Eudosso è arrivato tanto vicino alla defini-zione moderna di numero reale senza però arrivarci? Le

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ragioni sono molteplici e complicate. Limitiamoci ad osservare che la definizione numerica di rapporto non è la più naturale per la risoluzione dei problemi geometri-ci a cui erano interessati i greci.

Tornando al problema di coordinatizzare la retta, è facile convincersi che è possibile associare ad ogni punto X di una retta su cui è fissato un riferimento cartesia-no, due insiemi di numeri razionali. Il primo è quello dei numeri razionali che sono coordinate di punti che stanno a sinistra di X e il secondo è quello dei numeri razionali che sono coordinate di punti che stanno a de-stra di X.

Questa coppia di insiemi è quella che il matematico tedesco Richard Dedekind intorno alla metà dell’Otto-cento chiamò “sezione” e che pose a fondamento del-la sua definizione di numero reale. Senza entrare nella discussione di come questo concetto di numero così astratto sia quello giusto, ci accontentiamo di osservare che in questa maniera a ogni punto della retta è possibi-le associare un numero.

Notiamo che non è possibile dimostrare il viceversa, cioè che ad ogni numero reale si può associare un pun-to della retta. Questo fatto deve essere assunto come assioma.

In conclusione: fissando su una retta un’origine e un punto unità possiamo associare ad ogni punto della retta un numero (per quanto astratta sia la nozione di numero di cui abbiamo bisogno) e viceversa. Questo

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numero è la coordinata del punto nel sistema di riferi-mento fissato, e quando è razionale la sua determina-zione si può fare con il procedimento geometrico che abbiamo presentato.

Se consideriamo nel piano due rette r ed s che si in-tersecano, possiamo associare ad ogni punto P del pia-no due punti Pr e Ps su r ed s rispettivamente, ottenuti proiettando P su r parallelamente ad s e P su s paralle-lamente ad r.

Viceversa, ad ogni coppia di punti Pr e Ps su r ed s ri-spettivamente possiamo associare un unico punto P del piano intersecando la parallela ad s per Pr con la paral-lela ad r per Ps . Se quindi sono fissati su r ed s due rife-rimenti cartesiani, è possibile associare ad ogni punto P del piano una coppia di numeri reali, e precisamente la coordinata di Pr rispetto al sistema di riferimento fissato su r e la coordinata di Ps rispetto al sistema di coordina-te fissato su s. Inoltre vale il viceversa e quindi ad ogni

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coppia di numeri reali è possibile associare uno e un solo punto del piano.

Normalmente per definire le coordinate cartesiane di un punto si scelgono le rette r ed s perpendicolari e inoltre, detto O il punto di intersezione delle due ret-te, si assume che O sia l’origine comune di entrambi i riferimenti. Detti U e U ' i due punti unità, si assume solitamente anche che OU e OU ' siano congruenti. Il sistema di riferimento O, U, U ' si dice allora cartesiano ortogonale monometrico.

Si tratta di una costruzione semplice, ma ricca di conseguenze. È la chiave per tra-sformare un problema geometrico in un pro-blema numerico e poter applicare i metodi dell’algebra dei numeri e del calcolo per ri-solverli. Grazie alle coordinate infatti ogni figura geometrica corrisponde a un insieme di numeri e quindi è possibile utilizzare fun-zioni, equazioni e altri strumenti analitici per definire gli oggetti geometrici.

Per esempio, la costruzione della perpendicolare con-dotta da un punto P ad una retta r, che Euclide insegna a fare con riga e compasso, corrisponde alle seguenti operazioni algebriche:

Scegliere un sistema di coordinate (cartesiane orto-gonali) in cui il punto P abbia coordinate (a, b) e la retta

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r abbia equazione y = mx + q. Allora tra tutte le rette passanti per il punto P, cioè le rette di equazione y – b = w(x – a), quella cercata è quella per cui il coefficiente angolare w è uguale a ovvero

DALLA GEOMETRIA DELLE COORDINATE AI VIDEOGIOCHI

La descrizione numerica degli oggetti geometrici e la possibilità di operare su di essi con il calcolo algebrico permette numerosissime applicazioni grazie all’impie-go del calcolatore, che è in grado di memorizzare e di strutturare lunghe sequenze di informazioni numeriche e compiere velocemente le operazioni aritmetiche fon-damentali su di esse. Per esempio, è facile memorizzare una matrice di numeri interi come la seguente:

0 0 1 0 00 1 1 1 01 1 1 1 10 1 1 1 00 0 1 0 0

Se coloriamo di nero le caselle con 1 e di bianco quelle con zero otteniamo un piccolo disegno.

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0 0 1 0 00 1 1 1 01 1 1 1 10 1 1 1 00 0 1 0 0

Se invece di 5x5 caselle ne immaginiamo 2880x1800 possiamo descrivere, con una tabella di zero e uno, disegni in bianco e nero molto dettagliati, esattamen-te come quelli dello schermo ad alta definizione di un moderno computer. Infatti ogni casella della matrice corrisponde a un pixel dello schermo, cioè una piccola zona rettangolare che può essere resa bianca, nera o co-lorata a secondo dell’informazione numerica contenuta nella corrispondente posizione della matrice. Se invece di limitarci a zeri e uno assegniamo un numero ad ogni colore di un insieme fissato, possiamo memorizzare in formato digitale anche i disegni colorati. Per esempio, se usiamo la codifica:

0 Bianco1 Nero2 Rosso3 Blu4 Verde

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alla tabella

0 0 1 0 00 2 2 2 03 3 3 3 30 2 2 2 00 0 4 0 0

corrisponde un disegno colorato.È chiaro come procedere se vogliamo gestire una ta-

volozza di colori più ricca. Conviene associare ad un colore non un numero ma una terna di numeri. Ogni colore infatti è combinazione di tre colori fondamentali con diverse intensità relative. I colori fondamentali più convenienti da scegliere sono Rosso (Red), Verde (Gre-en) e Blu (Blue). La codifica RGB di un colore indica quindi l’intensità della componente rossa, della compo-nente verde e della componente blu che, mescolandosi, determina il colore scelto.

È necessario discretizzare (rendere in valori discreti, cioè non continui), anche le intensità dei diversi colori per poterli rappresentare in un computer. La scala che si utilizza nei moderni computer permette 256 gradi di intensità per ognuno dei colori fondamentali. Ze-ro indica l’assenza di una componente, 255 l’intensità massima. In totale è possibile rappresentare con que-sta codifica 2563 =16.277.256 colori. Per esempio, il

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colore bianco si ottiene prendendo l’intensità massima di ogni componente, ed è quindi codificato dalla ter-na (255,255,255), mentre il colore nero corrisponde all’assenza di colore e quindi è codificato dalla terna (0,0,0). Le diverse gradazioni di grigio si ottengono combinando i colori fondamentali con uguale inten-sità. Passando da (0,0,0) a (255,255,255) si ottengo-no 256 toni di grigio, dal più scuro al più chiaro. Il colore avente codifica RGB uguale a (128,128,128) si chiama “Grigio 50%” o semplicemente Grigio. Fin qui si è trattato solo di codificare numericamente un’immagine, ovvero di creare un’immagine digitale e la matematica c’entra poco. Ben diverso è il peso della matematica quando si vogliono manipolare o creare in maniera automatica immagini digitalizzate. Per esem-pio, se utilizziamo la codifica RGB del colore di ogni pixel possiamo convertire ogni immagine colorata in un’immagine in toni di grigio sostituendo la terna che codifica il colore di ogni pixel con la terna composta dalla media aritmetica ripetuta tre volte, cioè la terna

. Possiamo anche rappresentare in ma-niera compatta i poligoni convessi, assegnando solo le posizioni dei vertici e lasciando al software il compito di completare il poligono.

Come esempio di creazione digitale di un’immagine, vediamo come si può digitalizzare l’immagine del gra-fico di una funzione, per esempio della funzione y = x 2. Ovviamente l’immagine digitale potrà solo essere una

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versione discretizzata di una porzione finita del grafico e quindi bisogna subito fissare tale porzione. Tanto più piccola sarà la porzione e tanto più grande è il numero dei pixel a disposizione per discretizzare quella porzio-ne, tanto migliore sarà la qualità dell’immagine. Suppo-niamo, per esempio, di voler rappresentare la porzione del grafico dove le ascisse e le ordinate sono entrambe comprese tra 0 e 1 e supponiamo di avere a disposizio-ne una griglia di 101x101 pixel per disegnare il grafico. Discretizziamo l’intervallo [0,1] scegliendo 101 punti equispaziati, cioè i punti

Per ognuno di questi punti valutiamo la funzione, otte-nendo la sequenza

Abbiamo allora i seguenti punti che appartengono al grafico della funzione nel riquadro scelto:

Ad ognuno di essi dobbiamo associare un pixel da “ac-cendere”. E questo è il risultato.

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Una volta codificata numericamente l’informazione che definisce un oggetto geometrico, una fotografia, o un filmato, si fissano le regole per trasformare tale informa-zione in un oggetto visibile sullo schermo, è possibile interagire con lo schermo, tramite un mouse o una ta-voletta grafica o un joystick per modificare, aggiungere o scatenare eventi virtuali.

Anche l’interazione è mediata da operazioni numeri-che e quindi dalla matematica. Per esempio, per muove-re un puntatore con il mouse si procede più o meno co-sì. La posizione del puntatore corrisponde ad una cop-pia di coordinate, che accendono uno o più pixel sullo schermo. Muovendo il mouse si inviano dei segnali al calcolatore che vengono interpretati come una modifica delle coordinate del puntatore, proporzionale all’entità del movimento reale del mouse. In questa maniera il puntatore si sposta sullo schermo seguendo il mouse.

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Cliccando sul mouse si invia un segnale che, a secon-do della posizione del puntatore, ha un significato ope-rativo diverso. Per esempio quando il mouse si trova su una icona che rappresenta un file, un click significa se-lezionare il file e due click in rapida successione, aprirlo. Con un click si possono inviare sofisticati comandi per modificare un’immagine. Per esempio si può selezionare un riquadro su cui applicare un filtro digitale per smor-zare le componenti di un particolare colore eccetera.

I software di elaborazione delle immagine agiscono sostanzialmente applicando operazioni matematiche ai numeri che codificano l’immagine. Dalle operazioni più semplici, che mediano il valore di alcuni attributi nu-merici puntuali (come nell’esempio della trasformazio-ne in bianco e nero di un’immagine) all’applicazione di filtri complicati basati sull’analisi di Fourier, è sempre la matematica che modifica, crea ed elabora le immagini al calcolatore o permette di costruire un videogioco.

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APPROFONDIMENTI

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PAGINE SCELTE

COME IL CALCOLO IN ARITMETICA SI RAPPORTA ALLE OPERAZIONI DI GEO METRIA

Per fare una costruzione geometrica con riga e compasso è sufficiente com-binare cinque costruzioni elementari, che corrispondono alle operazioni dell’aritmetica. Queste definiscono l’algebra dei segmenti grazie a cui si semplifica la geometria di Euclide.

Tutti i problemi di geometria si possono facilmente ridurre a termini ta-li che poi, per costruirli, vi sia bisogno soltanto di conoscere la lunghez-za di alcune linee rette [per “linee rette” Cartesio intende i segmenti – nda].E dal momento che tutta l’aritmetica non si compone se non di quattro o cinque operazioni, che sono l’addizione, la sottrazione, la moltiplicazione, la divisione e l’estrazione di radice, che si può con-siderare come una sorta di divisione, così in geometria, non vi è altro da fare nella ricerca delle linee, al fine di prepararle ad essere note, che aggiungere o sottrarre ad esse delle altre; oppure, data una linea, che chiamerò unità per rapportarla nel modo migliore ai numeri, e che d’ordinario può essere presa a piacere, e date poi altre due linee, trovarne una quarta che stia a una di queste due, come l’altra sta all’u-nità, il che equivale alla moltiplicazione; oppure trovarne una quarta che stia a una di queste due come l’unità sta all’altra, il che equivale alla divisione; o infine trovarne una, o due, o più medie proporzionali fra l’unità e qualche altra linea, il che è lo stesso che estrarre la radi-ce quadrata, o cubica, ecc. Non esiterò a introdurre questi termini dell’aritmetica nella geometria, per rendermi più intelligibile.[…] Ma sovente non c’è necessità di tracciare in questo modo tali linee sulla carta, ed è sufficiente indicarle tramite lettere, ciascuna con una sola lettera. Per cui, per aggiungere la linea BG a GH, chiamo l’u-

na a e l’altra b, e scrivo a + b; e a – b per sottrarre b da a; ab per molti-plicarle; per dividere a per b; e aa oppure a2 per moltiplicare a per se stessa, a3 per moltiplicarla ancora una volta per a e così all’infinito;

per estrarre la radice quadrata di a2 + b2; per estrarre la radice cubica di a3 – b3 + ab2 e così per le altre.Si deve osservare in proposito che, con a2 o b3 o simili, io non con-cepisco d’ordinario altro che linee del tutto semplici, anche se, per servirmi di nomi usati in algebra, li chiamo quadrati, o cubi, ecc.

R. Descartes, “Opere 1637-1649”, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani 2009

IL METODO ANALITICO SECONDO CARTESIO

Il metodo di Cartesio per risolvere un problema geometrico consiste nel ri-durlo a un sistema di equazioni algebriche che ha un numero di soluzioni finito (problema determinato) oppure infinito (problema indeterminato).

Volendo dunque risolvere un problema, si deve innanzitutto consi-derarlo come già risolto e attribuire dei nomi a tutte le linee che si reputano necessarie per costruirlo, sia a quelle incognite, sia alle altre. Poi, senza fare nessuna differenza tra linee note e incognite, si de-ve affrontare la difficoltà secondo quell’ordine che più naturalmente di tutti mostra come esse dipendono mutuamente le une dalle altre, finché non si sia trovato il mezzo per esprimere una stessa quantità in due maniere: e questo è ciò che si chiama una equazione, poiché i termini di una di queste due maniere sono uguali a quelli dell’altra. E si devono ricavare tante equazioni di questo tipo quante sono le linee

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COME IL CALCOLO IN ARITMETICA SI RAPPORTA ALLE OPERAZIONI DI GEO METRIA

Per fare una costruzione geometrica con riga e compasso è sufficiente com-binare cinque costruzioni elementari, che corrispondono alle operazioni dell’aritmetica. Queste definiscono l’algebra dei segmenti grazie a cui si semplifica la geometria di Euclide.

Tutti i problemi di geometria si possono facilmente ridurre a termini ta-li che poi, per costruirli, vi sia bisogno soltanto di conoscere la lunghez-za di alcune linee rette [per “linee rette” Cartesio intende i segmenti – nda].E dal momento che tutta l’aritmetica non si compone se non di quattro o cinque operazioni, che sono l’addizione, la sottrazione, la moltiplicazione, la divisione e l’estrazione di radice, che si può con-siderare come una sorta di divisione, così in geometria, non vi è altro da fare nella ricerca delle linee, al fine di prepararle ad essere note, che aggiungere o sottrarre ad esse delle altre; oppure, data una linea, che chiamerò unità per rapportarla nel modo migliore ai numeri, e che d’ordinario può essere presa a piacere, e date poi altre due linee, trovarne una quarta che stia a una di queste due, come l’altra sta all’u-nità, il che equivale alla moltiplicazione; oppure trovarne una quarta che stia a una di queste due come l’unità sta all’altra, il che equivale alla divisione; o infine trovarne una, o due, o più medie proporzionali fra l’unità e qualche altra linea, il che è lo stesso che estrarre la radi-ce quadrata, o cubica, ecc. Non esiterò a introdurre questi termini dell’aritmetica nella geometria, per rendermi più intelligibile.[…] Ma sovente non c’è necessità di tracciare in questo modo tali linee sulla carta, ed è sufficiente indicarle tramite lettere, ciascuna con una sola lettera. Per cui, per aggiungere la linea BG a GH, chiamo l’u-

na a e l’altra b, e scrivo a + b; e a – b per sottrarre b da a; ab per molti-plicarle; per dividere a per b; e aa oppure a2 per moltiplicare a per se stessa, a3 per moltiplicarla ancora una volta per a e così all’infinito;

per estrarre la radice quadrata di a2 + b2; per estrarre la radice cubica di a3 – b3 + ab2 e così per le altre.Si deve osservare in proposito che, con a2 o b3 o simili, io non con-cepisco d’ordinario altro che linee del tutto semplici, anche se, per servirmi di nomi usati in algebra, li chiamo quadrati, o cubi, ecc.

R. Descartes, “Opere 1637-1649”, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani 2009

IL METODO ANALITICO SECONDO CARTESIO

Il metodo di Cartesio per risolvere un problema geometrico consiste nel ri-durlo a un sistema di equazioni algebriche che ha un numero di soluzioni finito (problema determinato) oppure infinito (problema indeterminato).

Volendo dunque risolvere un problema, si deve innanzitutto consi-derarlo come già risolto e attribuire dei nomi a tutte le linee che si reputano necessarie per costruirlo, sia a quelle incognite, sia alle altre. Poi, senza fare nessuna differenza tra linee note e incognite, si de-ve affrontare la difficoltà secondo quell’ordine che più naturalmente di tutti mostra come esse dipendono mutuamente le une dalle altre, finché non si sia trovato il mezzo per esprimere una stessa quantità in due maniere: e questo è ciò che si chiama una equazione, poiché i termini di una di queste due maniere sono uguali a quelli dell’altra. E si devono ricavare tante equazioni di questo tipo quante sono le linee

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supposte come incognite. Oppure, se non se ne ottengono altrettante e nonostante ciò non si è trascurata nessuna delle condizioni richie-ste dal problema, ciò significa che il problema non è completamente determinato. E in tal caso si possono prendere a piacere linee note per tutte le incognite alle quali non corrisponde alcuna equazione. Dopo di che, se ne restano ancora parecchie, bisogna anche servirsi, nell’ordine, di ciascuna delle equazioni che restano, sia consideran-dola di per sé, sia confrontandola con le altre, in modo da esplicitare ciascuna delle linee incognite, e fare in modo, nel districarle, che non ne rimanga una sola uguale a qualche altra che sia nota, oppure il cui quadrato, o il cubo, o il quadrato quadrato, o il sursolido, o il quadrato del cubo, ecc., sia uguale a ciò che si ottiene con l’addizione o la sottrazione di due o più quantità, l’una delle quale sia nota, e le altre siano composte di medie proporzionali fra l’unità e il quadrato, o cubo, o la quarta potenza, ecc., moltiplicate per altre quantità note. Esprimo ciò nel modo seguente:

z = b,oppure z2 = –az + b2,oppure z3 = +az2 + b2z – c3,oppure z4 = az3 – c3z + d4,ecc.

[…] E tutte le quantità incognite si possono sempre ridurre, in que-sto modo, a una sola, quando il problema si può costruire mediante cerchi e rette, o anche mediante sezioni coniche, o anche mediante qualche altra linea che non sia se non di uno o due gradi più compo-sta. Tuttavia non mi soffermo a spiegare ciò più in dettaglio, poiché vi priverei del piacere di comprenderlo da soli, e dall’utilità di coltivare

la vostra mente, esercitandola in ciò che, a mio parere, è il principale vantaggio che si può ricavare da questa scienza. Tanto più che non rilevo nulla di così difficile da non poter essere trovato da chi è già versato nella geometria ordinaria e nell’algebra e faccia attenzione a tutto ciò che si trova in questo trattato.Per questo mi accontento di avvertirvi che, purché nel risolvere que-ste equazioni ci si serva sempre di tutte le divisioni possibili, si otter-ranno infallibilmente i termini più semplici ai quali il problema si può ridurre. [Cartesio sembra assumere che ogni equazione algebrica in una variabile si possa risolvere combinando le quattro operazioni e l’e-strazione di radice di indice qualsiasi. Questo è falso, già per le equazioni di quinto grado, come fu dimostrato all’inizio del diciannovesimo secolo dal medico e matematico modenese Paolo Ruffini e dal genio matematico norvegese Niels Henrik Abel – nda].

R. Descartes, “Opere 1637-1649”, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani 2009

IL PROBLEMA DI PAPPO

Per vagliare la bontà del suo metodo Cartesio affrontò un problema espo-sto nelle Collezioni matematiche di Pappo, relativo alla costruzione di un luogo determinato da un numero fissato di rette. Grazie alla novità del suo approccio fu in grado di risolvere il problema per un numero qualsiasi di rette.

Il problema dunque, la cui soluzione era stata avviata da Euclide e proseguita da Apollonio, senza essere portata a termine da nessuno,

dell’ ??

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Confermo “dell’”e non “dall’”
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la vostra mente, esercitandola in ciò che, a mio parere, è il principale vantaggio che si può ricavare da questa scienza. Tanto più che non rilevo nulla di così difficile da non poter essere trovato da chi è già versato nella geometria ordinaria e nell’algebra e faccia attenzione a tutto ciò che si trova in questo trattato.Per questo mi accontento di avvertirvi che, purché nel risolvere que-ste equazioni ci si serva sempre di tutte le divisioni possibili, si otter-ranno infallibilmente i termini più semplici ai quali il problema si può ridurre. [Cartesio sembra assumere che ogni equazione algebrica in una variabile si possa risolvere combinando le quattro operazioni e l’e-strazione di radice di indice qualsiasi. Questo è falso, già per le equazioni di quinto grado, come fu dimostrato all’inizio del diciannovesimo secolo dal medico e matematico modenese Paolo Ruffini e dal genio matematico norvegese Niels Henrik Abel – nda].

R. Descartes, “Opere 1637-1649”, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani 2009

IL PROBLEMA DI PAPPO

Per vagliare la bontà del suo metodo Cartesio affrontò un problema espo-sto nelle Collezioni matematiche di Pappo, relativo alla costruzione di un luogo determinato da un numero fissato di rette. Grazie alla novità del suo approccio fu in grado di risolvere il problema per un numero qualsiasi di rette.

Il problema dunque, la cui soluzione era stata avviata da Euclide e proseguita da Apollonio, senza essere portata a termine da nessuno,

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era il seguente. Assegnate in posizione tre, quattro, o un numero maggiore di linee rette, si chiede in primo luogo un punto da cui sia possibile condurre altrettante linee rette, una su ciascuna delle date, che formino con esse degli angoli dati, e tali che il rettangolo formato da due di quelle così tracciate da un medesimo punto, stia nella proporzione data con il quadrato della terza, se non ci sono che tre rette; oppure con il rettangolo delle altre due, se ce ne sono quattro. O ancora, se ve ne sono cinque, che il parallelepipedo composto da tre stia nella proporzione data con il parallelepipedo composto dalle rimanenti due e da un’altra retta data. O, se ve ne sono sei, che il parallelepipedo composto da tre, stia nella propor-zione data con il parallelepipedo composto dalle altre tre. O, se ve ne sono sette, che il risultato della moltiplicazione di quattro di esse abbia la proporzione data con il risultato della moltiplicazione delle altre tre e in più di un’altra linea data. O, se ve ne sono otto, che il prodotto della moltiplicazione di quattro di queste stia nella proporzione data con il prodotto delle altre quattro. In tal modo questo problema si può estendere ad un numero qualsiasi di rette. Poi, siccome vi è sempre un’infinità di punti diversi che possono soddisfare il problema qui posto, si richiede anche di determinare e di tracciare la linea sulla quale tutti devono giacere. E Pappo dice che, quando sono assegnate solo tre o quattro rette, questa linea è una delle tre sezioni coniche, ma quando il problema è proposto per un numero maggiore di linee egli non procede affatto a de-terminarla, né a descriverla, né tanto meno ad esplicitare quelle, su cui tutti questi punti giacciono. Egli aggiunge soltanto che gli antichi ne avevano immaginata una che mostravano essere utile a tale scopo, e che sembrava la più evidente, e che tuttavia non era la prima. Ciò mi ha fornito l’occasione di cercare se, con il metodo di

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cui mi servo, si possa andare altrettanto lontano quanto essi sono giunti.

R. Descartes, “Opere 1637-1649”, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani 2009

LA NATURA DELLE LINEE CURVE

In questo brano Cartesio introduce la celebre suddivisione delle curve in algebriche (che lui chiama geometriche) e trascendenti (che lui chiama meccaniche). La generalità con cui affronta lo studio delle curve spalanca le porte ad una nuova concezione della geometria.

Gli antichi hanno sottolineato molto bene che fra i problemi di Ge-ometria, alcuni sono piani, altri solidi, altri lineari [cfr. Pappo, espli-citare titolo dell’opera? libro III, proposizione IV – nda]: cioè alcuni possono essere costruiti tracciando solo linee rette e cerchi; altri inve-ce non possono essere costruiti se non impiegando almeno qualche sezione conica; altri infine non possono essere costruiti se non impie-gando qualche altra linea più composta. Ma mi stupisco per il fatto che, oltre a ciò, essi non hanno distinto gradi diversi fra queste linee più composte, e non saprei comprendere perché le hanno chiamate meccaniche, piuttosto che geometriche. Infatti, dire che ciò dipende dal fatto che occorre servirsi di qualche macchina per descriverle, si-gnificherebbe escludere, per la stessa ragione, i cerchi e le linee rette, visto che non li si descrive sulla carta, se non con un compasso e con una riga, che possono essere chiamati anch’essi macchine. Ciò non è neppure dovuto al fatto che gli strumenti che servono a tracciarle, essendo più complessi della riga e del compasso, non possono essere

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Pappo di Alessandria, Collezioni matematiche, Libro VII
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altrettanto precisi: infatti, per questa ragione, bisognerebbe escludere quelle linee dalla Meccanica, dove è auspicata la precisione delle opere che escono dalle mani, piuttosto che dalla geometria, dove ad essere ricercata è solo la precisione del ragionamento, che può essere sen-za dubbio ugualmente perfetto, sia trattando le linee di un tipo, sia dell’altro. Neppure direi che ciò sia dovuto al fatto che essi non hanno voluto aumentare il numero dei loro postulati, e si sono accontentati che si accordasse loro di poter unire due punti dati con una linea retta e di poter descrivere un cerchio di centro dato e passante per un pun-to dato: infatti, non si sono fatti scrupoli a supporre, in aggiunta, per poter trattare le sezioni coniche, che si potesse intersecare ogni cono dato con un piano dato. E non vi è bisogno di supporre null’altro, per tracciare tutte le linee curve che voglio introdurre qui, se non che due o più linee possano essere mosse l’una per mezzo dell’altra, e che le loro intersezioni ne determinino altre: cosa che non mi sembra per nulla più difficile. È vero che essi non hanno interamente accolto le sezioni coniche nella loro geometria, e io non voglio mettermi a cambiare i nomi che sono stati sanciti dall’uso; ma è molto chiaro, mi sembra, che assumendo per geometrico – come si fa – ciò che è preci-so ed esatto, e per meccanico ciò che non lo è, e considerando la geo-metria come una scienza che insegna in generale a conoscere le misure di tutti i corpi, non si devono escludere né le linee più composte, né quelle più semplici, visto che le si può immaginare descritte per mez-zo di un movimento continuo, o per mezzo di più movimenti che si susseguono e di cui gli ultimi sono interamente regolati da quelli che li precedono: infatti, in questo modo, si può sempre avere una cono-scenza esatta della loro misura. Ma forse ciò che ha impedito agli an-tichi geometri di ammettere linee più composte delle sezioni coniche è il fatto che le prime che hanno preso in considerazione sono state

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per caso la spirale, la quadratrice e simili, che appartengono in effetti solo alle linee meccaniche, e che non sono affatto nel novero delle linee che io penso debbano essere ammesse qui (dal momento che le si immagina descritte da due movimenti separati e che non hanno fra loro alcun rapporto che si possa misurare esattamente), benché ab-biano successivamente preso in esame la concoide, la cissoide e poche altre curve, tuttavia, poiché forse non hanno analizzato a sufficienza le loro proprietà, non vi hanno dedicato più attenzione che alle prime. Oppure, il fatto è che, vedendo che conoscevano ancora solo poche cose riguardo delle sezioni coniche [piuttosto è Cartesio che mostra di non conoscere quanto i greci sapevano sulle sezioni coniche – nda] e che restavano loro molte cose che ignoravano anche in merito alle costru-zioni con riga e compasso, essi hanno creduto di non dover affrontare una materia più difficile. Ma, siccome spero che d’ora in avanti coloro che avranno l’abilità di servirsi del calcolo geometrico qui proposto, non troveranno motivi sufficienti per arrestarsi di fronte ai problemi piani e solidi, credo che giunga a proposito invitarli ad altre ricerche che non mancheranno mai di materia di esercizio.

R. Descartes, “Opere 1637-1649”, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani 2009

IL COMPASSO DI CARTESIO

Le curve geometriche possono essere tracciate con strumenti ideali diversi dalla riga e dal compasso. Quelle disegnate con il compasso di Cartesio permettono la costruzione geometrica delle radici di indice qualsiasi o l’inserimento di un qualsiasi numero di medie proporzionali tra due segmenti assegnati.

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Osservate le linee AB, AD, AF e simili , che suppongo siano state tracciate per mezzo dello strumento YZ, che è composto di parec-chi regoli, uniti in modo tale che, essendo fermato sulla linea AN quello che è indicato YZ, si può aprire e chiudere l’angolo XYZ, e quando è tutto chiuso i punti B, C, D, E, F, G, H sono tutti riunti nel punto A;

ma man mano che lo si apre, il regolo BC, che è unito ad angolo retto con XY nel punto B, spinge verso Z il regolo CD, che scorre su YZ formando sempre con esso degli angoli retti; e CD spinge DE, che scorre ugualmente su YX mantenendosi parallelo a BC; DE spinge EF; EF spinge FG; quest’ultimo spinge GH; e si possono immagina-re un’infinità di altri regoli, che si spingono consecutivamente nello stesso modo, di cui gli uni formano sempre gli stessi angoli con YX, e gli altri con YZ. Ora, mentre si apre così l’angolo XYZ, il punto B descrive la linea AB, che è un cerchio; e gli altri punti, D, F, H, do-ve si formano le intersezioni degli altri regoli, descrivono altre linee curve AD, AF, AH, di cui le ultime sono, nell’ordine, più composte della prima, e questa lo è più del cerchio. Ma non vedo cosa possa impedire di concepire la descrizione di questa prima linea in modo

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altrettanto netto e distinto che quella del cerchio o, almeno, delle sezioni coniche; né cosa possa impedire di concepire la seconda, e la terza e tutte le altre che si possono descrivere, altrettanto bene della prima; né, per conseguenza, cosa vieti di ammetterle tutte allo stesso modo, per utilizzarle nelle speculazioni della geometria.

R. Descartes, “Opere 1637-1649”, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani 2009

IL MODO DI DISTINGUERE TUTTE LE LINEE CURVE IN DETERMINATI GENERI, E DI RICONOSCERE IL RAPPORTO CHE SUSSISTE FRA TUTTI I LORO PUNTI E QUELLI DELLE LINEE RETTE

Cartesio afferma esplicitamente che una curva geometrica può essere de-scritta da una equazione algebrica e suggerisce una classificazione delle curve algebriche secondo il “genere’’. Successivamente il genere cartesiano viene sostituito dal grado dell’equazione della curva.

Potrei indicare qui molti altri modi per tracciare e concepire delle linee curve che sarebbero più composte di grado, via via all’infinito. Ma per comprendere insieme tutte quelle che si danno in natura, e distinguerle ordinatamente secondo determinati generi, non so trovare una soluzione migliore che quella di dire che tutti i punti delle linee che si possono chiamare geometriche, cioè che cadono su qualche misura precisa ed esatta, hanno necessariamente un qualche rapporto con tutti i punti di una linea retta, che può essere espressa mediante una equazione, e ovunque con la stessa equazione. E che, quando questa equazione non supera il rettangolo di due quantità indeterminate, oppure il quadrato di una stessa quantità indetermi-

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nata, la linea curva è del primo genere, quello più semplice, nel quale sono compresi soltanto il cerchio, la parabola, l’iperbole e l’ellisse [si afferma qui, senza dimostrazione, che le coniche si possono caratterizzare come i luoghi descritti da equazioni algebriche di secondo grado – nda]. Invece quando l’equazione arriva alla terza o alla quarta dimensione di entrambe o di una delle due quantità indeterminate – infatti oc-corrono due quantità indeterminate per esplicitare qui il rapporto fra un punto e l’altro – la linea è del secondo genere. E quando l’e-quazione arriva alla quinta o alla sesta dimensione, è del terzo, e così via all’infinito.

R. Descartes, “Opere 1637-1649”, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani 2009

QUALI SONO I LUOGHI PIANI E SOLIDI E IL MODO DI TROVARLI

Cartesio afferma, senza darne dimostrazione, che le coniche coincidono con le curve algebriche di grado due. Suggerisce anche di studiare le equa-zioni algebriche in tre variabili, ovvero le superfici algebriche.

Del resto, poiché le equazioni che non superano il quadrato sono tut-te comprese in ciò che ho appena spiegato, non solo il problema degli antichi per 3 o 4 linee è qui completamente risolto, ma lo è anche tutto ciò che concerne ciò che essi chiamavano la composizione di luoghi solidi e, di conseguenza, anche quella dei luoghi piani, poiché essi sono compresi fra i solidi. Infatti questi luoghi non sono se non quelli per cui si tratta di trovare qualche punto cui manca una con-dizione per essere interamente determinato, come avviene in questo esempio, in cui tutti i punti di una stessa linea si possono prendere

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per quello cercato. E se questa linea è retta o circolare, la si chiama un luogo piano; mentre, se è una parabola, o un’iperbole o un’ellisse si chiama un luogo solido. E tuttavia, in tutti questi casi, si può arrivare a un’equazione che contiene due quantità incognite ed è del tipo di quelle che ho appena risolto. Se poi la linea, che determina così il punto cercato, è di un grado più composta delle sezioni coniche, si può chiamare, allo stesso modo, un luogo sursolido, e così via. E se mancano due condizioni per la determinazione di questo punto, il luogo dove si trova è una superficie, che può essere a sua volta piana, sferica o più composta. […] Inoltre si vede qui che ciò che ho considerato come il primo genere delle linee curve non può comprenderne altre che il cerchio, la parabola, l’iperbole e l’ellisse: e questo è tutto ciò che io mi ero proposto di dimostrare.

R. Descartes, “Opere 1637-1649”, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani 2009

COSTRUIBILITÀ DELLE CURVE GEOMETRICHE E DIFFERENZA CON LE CURVE MECCANICHE

Data una retta e una conica, è possibile costruire con riga e compasso i punti della conica che stanno sulla retta. Basta saper costruire sulla retta le soluzioni di un’equazione di secondo grado. Utilizzando le curve necessarie a costruire le soluzioni di equazioni di grado maggiore, e va-riando la retta, possiamo costruire un numero finito qualsiasi di punti che appartengono ad una curva geometrica di grado maggiore di due.

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Non mi soffermerò a distinguere per specie le linee che servono per gli altri casi; infatti, non mi sono proposto di essere esaustivo; e, avendo spiegato il modo di trovare un’infinità di punti per cui esse passano, penso di aver già illustrato a sufficienza il modo per descriverle.Parimenti è opportuno notare che vi è una grande differenza fra que-sto modo di trovare parecchi punti per tracciare una linea curva e quello di cui ci si serve per la spirale e curve consimili: infatti, per quest’ultima, non si trovano indifferentemente tutti i punti della li-nea che si cerca, ma soltanto quelli che possono essere determinati da qualche misura più semplice rispetto a quella che è richiesta per comporla; e così, propriamente parlando, non si trova neppure uno dei suoi punti, cioè uno di quei punti che sono talmente propri che non possono essere trovati se non per mezzo di essa. Invece non vi è alcun punto, nelle linee che servono per il problema proposto, che non si possa ritrovare tra quelli che si determinano nel modo appena spiegato. E dato che questo modo di trovare una linea curva, trovan-do indifferentemente parecchi dei suoi punti, si estende solo a quelle curve che possono essere anche descritte da un movimento regolare e continuo, non lo si deve escludere interamente dalla geometria.

R. Descartes, “Opere 1637-1649”, a cura di G. Belgioioso, Milano, Bompiani 2009

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PER COMPRENDERE LA NOVITÀ DEL PENSIERO MATEMATICO DI CARTESIO È NECESSARIO NON SEPARARE IL PENSIERO FILOSOFICO DA QUELLO MATEMATICO

Manca presentazione brano

Il secondo aspetto […] consiste nella sistematica e ostinata dimenti-canza di tutto quanto è stato detto e scritto circa la geometria carte-siana e i suoi rapporti con il resto del pensiero di Descartes, in par-ticolare con la sua filosofia e la sua concezione del metodo, al punto che si ha l’impressione che ogni nuovo contributo ricominci da capo, come se si trattasse della prima cosa mai scritta sull’argomento.[…] A nostro avviso, queste dimenticanze sono una scelta deliberata, coerente con un progetto di isolamento del testo cartesiano, in quanto testo puramente matematico, dal resto del pensiero di Descartes. In breve, esse mirano a una cesura fra filosofia e matematica (o, più in generale, fra filosofia e scienza), di cui l’operazione condotta sui testi cartesiani rappresenta una manifestazione particolare. Alla radice del-la visione di questo progetto vi sono molteplici fattori; l’ostilità nei confronti della storia delle idee; l’antipatia per la filosofia; il desiderio di affermare che la storia della scienza, e soprattutto la storia delle scienze “particolari” o “speciali” sono autosufficienti, che non hanno bisogno di ricorrere ad “altro”, tantomeno alla filosofia, che possono svilupparsi in un contesto completamente interno. Di conseguenza, quella che era un tempo una semplice propensione per la storiografia cumulativa risponde ora a un’esigenza più sofisticata e brutale: sepa-

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Usare il titolo come presentazione e mettere come titolo “Matematica e Filosofia di Cartesio”
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rare la storia delle scienze particolari (in questo caso, la storia della matematica) dalla storia del pensiero e della filosofia.

G. Israel, “Mecanicismo”, Zanichelli, Bologna 2015

CARTESIO E IL METODO DELLE COORDINATE

Cartesio non introdusse i sistemi di riferimento e le coordinate cartesiane che si insegnano a scuola e non cercò un modo per descrivere numeri-camente gli oggetti geometrici. La sua algebra dei segmenti permette di trattare algebricamente i problemi geometrici senza usare i numeri.

Tutti coloro a cui punse vaghezza di conoscere l’opera donde comin-cia la letteratura relativa al metodo delle coordinate, provano una insormontabile delusione, ché “La Géométrie” di Descartes differisce da un trattato moderno di geometria analitica infinitamente di più di quanto si differenzino due esposizioni, l’una antica e l’altra moderna, di qualunque altra disciplina matematica […]. Descartes (e lo stesso può ripetersi relativamente a Fermat) considerò la novella disciplina siccome una semplice metamorfosi prodotta nella geometria degli antichi dall’influenza dell’algebra […]; onde presentasi spontaneo il paragone dell’autore del Discours de la méthode con Cristoforo Co-lombo, sceso nella tomba nell’ignoranza di aver scoperto un nuovo mondo; tale stato di cecità si trasmise da quel sommo ai propri im-mediati discepoli.

G. Loria, “Da Descartes e Fermat a Monge e Lagrange. Contributo alla storia della Geometria analitica”, Memorie della Reale Accademia nazionale dei Lincei. Classe di Scienze, Fisiche, Matematiche e Naturali, S. 5a, XIV, 1924

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METODO SINTETICO E METODO ANALITICO IN CARTESIO

Il metodo cartesiano evita per quanto possibile la dimostrazione per as-surdo (metodo sintetico) e predilige un metodo costruttivo (analitico).

La descrizione che Descartes fa del metodo sintetico si riferisce chia-ramente a certi metodi dimostrativi della geometria dell’antica Gre-cia e, in particolare, della geometria di Euclide, soprattutto quando fa ricorso a procedimenti logici del ragionamento, al ragionamento per assurdo, e non segue una via costruttiva. Questo procedimento, secondo Descartes, riesce a strappare il consenso del lettore proprio in quanto fa uso – a differenza del metodo analitico – dei procedi-menti di coercizione tipici della logica […]. Descartes gli rimprovera l’assenza di costruttivismo: esso «non insegna il metodo attraverso cui la cosa è stata inventata». Il metodo analitico possiede invece questa virtù non disconosciuta dagli antichi, ma da essi tenuta «segreta» e che Descartes ha avuto il merito di riportare alla luce ed esporre in forma di metodo. Secondo Descartes «gli antichi geometri avevano l’abitudine di servirsi soltanto di questa sintesi nei loro scritti, non perché ignorassero interamente l’analisi, ma, a mio avviso, perché ne avevano tanta considerazione che la riservavano solo per sé stes-si come un segreto importante». Quindi egli attribuisce ai geometri antichi il merito di aver scoperto per primi il metodo analitico, sulla cui base egli vuol ricostruire la matematica (e l’intero pensiero scien-tifico) e il demerito di aver fatto ricorso al metodo sintetico in molte delle loro presentazioni.

G. Israel, “Mecanicismo”, Zanichelli, Bologna 2015

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SULLA POLEMICHE TRA FERMAT E CARTESIO E SULLA DIFFERENZA TRA IL LORO MODO DI INTENDERE LA GEOMETRIA ANALITICA

L’approccio di Fermat e di Cartesio alla geometria contiene molti germi del futuro metodo delle coordinate ma ci sono significative differenze sia nelle concezioni generali che nei dettagli.

Nonostante […] le significative differenze nell’approccio alla geome-tria delle coordinate e ai suoi scopi, Cartesio e Fermat si imbarcarono in una controversia sulla priorità della scoperta. Il lavoro di Fermat non venne pubblicato prima del 1679; però la sua elaborazione delle idee fondamentali della geometria delle coordinate nel 1629 anticipa la pubblicazione di Cartesio della Géométrie, del 1637. Cartesio era a quel tempo a completa conoscenza di molte delle scoperte di Fermat, ma negò di aver imparato le sue idee dal grande matematico di To-losa. Le idee di Cartesio sulla geometria delle coordinate, secondo il matematico olandese Isaac Beeckman, avevano avuto inizio nel 1619; inoltre non esistono dubbi sull’originalità di molte delle sue idee sulla geometria delle coordinate.Quando la Géométrie fu pubblicata, Fermat la criticò perché omet-teva idee come quelle di massimo e minimo, tangenti alle curve, e la costruzione dei luoghi solidi, che, lui aveva deciso, meritavano l’at-tenzione di tutti i geometri. Cartesio, d’altra parte, diceva che Fermat aveva fatto poco, infatti non più di quanto si poteva facilmente otte-nere senza industria o conoscenza precedente, dove invece lui aveva fatto uso di una conoscenza completa sulla natura delle equazioni, che aveva esposto nel terzo libro della Géométrie. Roberval, Pascal e altri si schierarono con Fermat. Mydorge e Desar-

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gues con Cartesio.[…] L’enfasi posta dai posteri sulla Géométrie non fu quello che vo-leva intendere Descartes. Mentre l’idea saliente per il futuro della matematica fu l’associazione di un’ equazione a una curva e viceversa, per Cartesio questa idea era solo un mezzo per giungere a uno sco-po, la soluzione di problemi di costruzione geometriche. L’enfasi di Fermat sulle equazione dei luoghi è, dal punto di vista moderno, più appropriata.

M. Kline, “Mathematical Thought from Ancient to Modern Times”, Vol. 1, Oxford University Press, New York 1990

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Argomento (di un numero)Si dice argomento di un numero com-plesso z un angolo Ө per il quale si verifichi la seguente uguaglianza:z = IzI (cosӨ + i senӨ)Dove IzI rappresenta il modulo del nu-mero complesso, ovvero se z = a + i b rappresentazione algebrica di z, sarà IzI = e i è l’unità immagi-naria (v.)Tale rappresentazione di un numero complesso prende il nome di rappre-sentazione polare.

CatenariaSi dice catenaria il luogo geometrico descritto dal fuoco di una parabo-la che rotola, senza strisciare, su di una retta. Numerosi matematici nel XVIII secolo studiarono le catenarie e ne ricercarono l’equazione: fra questi Johann Bernoulli e Gottfried Leibniz. Empiricamente la si può osservare come la curva piana secondo la quale si dispone, a causa della forza di gra-vità, una fune che sia stata fissata alle estremità e lasciata libera lungo tutta la sua estensione.

Coefficiente angolareData una retta r, in un sistema di rife-rimento cartesiano ortogonale, il coef-ficiente angolare di r è il rapporto co-stante fra la differenza delle ordinate e la differenza delle ascisse di due qual-siasi punti giacenti su r e rappresenta la tangente trigonometrica dell’angolo che la retta r forma con la direzione positiva dell’asse delle ascisse.

Congruenza In geometria si dicono congruenti due figure che, mediante un moto di traslazione o di rotazione, possono essere fatte coincidere; la congruen-za si definisce come corrispondenza biunivoca e concorde di tutti i punti appartenenti alle due figure.

Concoide di NicomedeÈ una concoide a base retta, rappre-sentabile come curva algebrica del 4° ordine, simmetrica rispetto all’as-se delle ascisse. Prende il nome dal matematico e filosofo alessandrino, vissuto fra il III e il II secolo a.C., che la individuò nell’ambito dei suoi studi per la risoluzione del problema della trisezione dell’angolo.

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ConicaCurva algebrica piana rappresentata dall’intersezione di un cono circolare con un piano e descritta da un’equa-zione di secondo grado. Sono coniche l’ellissi (di cui la circonferenza è un caso degenere), la parabola e l’iperbo-le. Lo studio delle coniche ha origini antichissime ma solo con lo sviluppo della geometria proiettiva si arrivò, nel XVIII secolo, a una più completa sistematizzazione.

CubicaIn algebra si dice cubica l’equazione algebrica di terzo grado x 3 + ax 2 + bx + c = 0In analisi matematica identifica una curva algebrica del terzo ordine rap-presentabile con:y = x 3 + ax 2 + bx + cDi particolare rilievo lo studio delle cu-biche piane da parte di Isaac Newton.

Equazioni polinomialiSi dicono polinomiali, o algebriche, le equazioni riconducibili a un polinomio eguagliato a zero e rappresentabili dun-que nella forma:anx n + an-1x n-1 + … + a1x + a0 = 0

Equivalenza In geometria due figure si dicono equivalenti quando hanno la stessa estensione superficiale, se sono figure piane, ovvero la stessa area; se sono figure solide, la stessa estensione spaziale, ovvero lo stesso volume, indipendentemente dalla loro forma. Per l’equivalenza, di superficie o di volume, valgono le proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva che sono così rispettivamente rappresentabili:riflessiva: A Asimmetrica: A B → B Atransitiva: A B, B C → A C

Esaustione (metodo di)Metodo noto fin dall’antichità per calco-lare l’area di figure a contorno curvilineo e per dimostrare quando due grandezze geometriche non equiscomponibili (ov-vero non scomponibili in parti mutua-mente congruenti) siano equivalenti. Il metodo in pratica consiste nell’occupare lo spazio compreso fra le figure inscrit-te o fra le figure circoscritte alla figura considerata, ovvero nella creazione di una successione di poligoni convergenti alla figura considerata, la cui area sarà il limite delle aree dei poligoni stessi.

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Immaginari, numeriIn algebra, si dicono immaginari i nu-meri risultanti dalle radici di indice pari di numeri negativi e si rappresen-tano come il prodotto di un numero reale a moltiplicato per l’unità imma-ginaria i =

Modulo (di un numero)Nel campo dei numeri reali il modulo di un numero rappresenta la radice quadrata del quadrato del numero considerato e dunque coincide con il suo valore assoluto. Ad esempio:

Nel campo dei numeri complessi, rap-presentabili come z = a + ib, il modulo è il valore corrispondente alla radice quadrata della somma dei quadrati delle due componenti reali, a e b, del numero complesso z = a + ib, ovvero:

Parabola Si dice parabola il luogo dei punti del piano cartesiano equidistanti da un punto fisso detto fuoco e da una retta fissa detta direttrice; si ottiene geome-tricamente come sezione piana di un

cono di rotazione con un piano paral-lelo alla generatrice del cono.Detto H il piede della perpendicolare condotta dal fuoco F alla direttrice, si indica con V , detto vertice della para-bola, il punto medio del segmento FH. La retta FV è l’asse di simmetria della parabola. La corda passante per F e parallela alla direttrice è detta latus rectum della parabola.

Primi di Fermat, numeriIn aritmetica, si indicano come primi i numeri che non siano rappresentabili come prodotto di due numeri maggiori di 1 e dunque non divisibili se non per 1 o per se stessi. Già Euclide dimostrò che il campo dei numeri primi è infini-to ma la ricerca di un metodo per ge-nerare tutti i numeri primi appassionò molti matematici nel corso dei secoli, fra i quali il francese Pierre de Fermat che nel 1640 indicò la formula: 22n+1come capace di generare tutti i nu-meri primi, ma circa un secolo dopo il matematico svizzero Eulero dimostrò l’inesattezza della congettura, verifi-candola non vera per n = 5.I numeri generati con la formula sopra

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citata sono detti numeri di Fermat, fra questi si ritiene che i numeri primi costi-tuiscano un insieme finito e a oggi sono noti solo i primi cinque, per n=0,1,2,3,4.

Radice Per radice, o soluzione, di un’equazione si intende la quantità nota, numerica o letterale, che, sostituita all’incognita nell’equazione, rende il primo membro uguale al secondo. Un’equazione può avere un numero finito o infinito di ra-dici e la loro identificazione costituisce la soluzione dell’equazione stessa. Una stessa radice si può presentare una o più volte e il numero di radici coin-cidenti viene chiamato molteplicità della radice: si dice che la radice x0 di una data equazione ha molteplicità k se l’equazione data ammette k radici coin-cidenti fra loro.

Razionali, numeriSi dicono razionali tutti i numeri espri-mibili come frazione di coppie di gran-dezze omogenee commensurabili, ov-vero che ammettano un sottomultiplo comune; sono dunque razionali i nu-meri interi, i numeri decimali finiti e i decimali periodici.

Reali, numeriIl loro insieme, indicato con R, è costi-tuito da tutti i numeri razionali, interi o frazionari, e i numeri irrazionali, deci-mali non finiti e non periodici. Si deve a Cartesio la denominazione di numero reale, apparsa nell’opera Geometria nel 1637.

Trascendenti, curveSono dette trascendenti le curve la cui equazione non sia esprimibile median-te le operazioni algebriche. Sono ad esempio trascendenti le curve rappre-sentabili con equazioni logaritmiche, esponenziali o goniometriche.

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LEGGERE, VEDERE, VISITARE

BIBLIOGRAFIA

OPERE DI CARTESIO

Opere 1637-1649 a cura di G. Belgioioso, Bompiani, Milano 2009

Opere postume 1650-2009a cura di G. Belgioioso, Bompiani, Milano 2009

Tutte le lettere 1619-1650a cura di G. Belgioioso, Bompiani, Milano 2005

Opere filosofichea cura di E. Garin, Laterza, Roma-Bari 1967

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TESTI SU CARTESIO

La rivoluzione scientifica: i domini della conoscenza. La nascita della matematica moderna: 1600-1700 di E. Giusti, Treccani, Storia della Scienza [data? È una voce o un volume?]

Dalla Géométrie al calcolo: il problema delle tangentidi E. Giusti, Treccani, Storia della Scienza [data? È una voce o un volume?]

Mecanicismo di G. Israel, Zanichelli, Bologna 2015

Vita e opere di Cartesiodi E. Garin, Laterza, Bari 1984

Introduzione a Descartes di G. Crapulli, Laterza, Roma-Bari 1988

Cartesio. Una biografiadi G. Rodis-Lewis, Editori Riuniti, Roma 1997

Cartesiodi J. Cottingham, Il Mulino, Bologna 1996

Le Meditazioni metafisiche di Cartesio: introduzione alla letturadi S. Di Bella, La Nuova Italia, Firenze 1997

Descartes: la concezione del sistema della filosofia di R. Lauth, Guerini e Associati, Milano 2000

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è una voce
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Il prisma metafisico di Descartes. Costituzione e limiti dell’onto-teo-logia nel pensiero cartesianodi J.-L. Marion, Guerini e Associati, Milano, 1998

Guida alla lettura delle Meditazioni metafisiche di Descartes di E. Scribano, Laterza, Bari 1997

La magia dei numeri e del moto René Descartes e la scienza del Seicentodi W. R. Shea, Bollati Boringhieri, Torino 1994

Lettura delle Meditazioni metafisiche di Descartes di M. Valsania, Utet, Torino 1998

La nascita della scienza moderna in Europadi P. Rossi, Laterza, Roma-Bari 1997

Storia della filosofia occidentaledi B. Russell, Longanesi Milano 1977

Aristotele, Einstein e gli altridi E. P. Fisher, Raffaello Cortina editore, Milano 1997

FILM

Cartesius, di R. Rossellini, miniserie tv, Italia 1973

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SITI

http://www.ville-descartes.fr/index.php?page=article&id_categorieA=6&id_article=17http://www.prytanee-national-militaire.fr/http://www.museedelhomme.fr/en

LUOGHI

DESCARTESL’antico comune di La Haye, ribattezzato in onore del suo più illu-stre cittadino, ospita ancora la casa natale di Cartesio. L’abitazione, situata in Rue Descartes, è stata trasformata nel 1974 nel Museo Descartes. Ampliata e restaurata nel 2005, la struttura ospita un suggestivo percorso pensato per calare i visitatori nel clima dell’epo-ca oltre che nella vita e nel pensiero di Cartesio.

PARIGIL’abbazia di Saint-Germain-des-Prés è uno dei più antichi luoghi di culto di Parigi. Nella chiesa, unico edificio superstite dell’antico complesso, si trova oggi la tomba di Cartesio. Alla morte del filoso-fo, la salma venne tumulata in un piccolo cimitero a nord di Stoc-colma, sino al 1666, anno in cui venne riesumata per essere portata nella chiesa di Sainte Geneviève-du-Mont, a Parigi. Nel 1819 venne definitivamente trasferita nella sua attuale collocazione.

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Sorte diversa è toccata alla testa di Cartesio: separata dal resto del corpo per mano degli svedesi, se ne persero le tracce per qualche tempo finché non ricomparve ad un’asta a Stoccolma. Donato alla Francia dall’acquirente, il teschio è oggi conservato presso il Musée de l’Homme di Parigi. Sul cranio sono leggibili firme e iscrizioni dei vari proprietari che, dalla fine del Seicento al momento della vendita, l’hanno probabilmente esibito sulle proprie scrivanie come memento mori, secondo il costume dell’epoca.

TRE ROMANZI SU CARTESIOCartesio è protagonista del romanzo giallo L’enigma di Cartesio, di F. Serror e H. Saboga, Barbera, Siena 1999. Nel 1648, nella Francia del Cardinale Mazarino, durante le lotte per il potere tra re e parla-mento, avviene un “delitto perfetto”, condotto con le tecniche ma-tematiche più avanzate del tempo. Cartesio è l’investigatore privato che si occupa del caso.Dubbi sulla morte di Cartesio nel giallo-storico Il caso Cartesio, di D. Bondi, Rusconi, Milano, 2011, che indaga ipotesi inquietanti sugli ultimi giorni del filosofo alla corte della regina Cristina di Svezia. Tre personalità femminili ruotano intorno a Cartesio nel romanzo storico Le tre donne di Cartesio, di  T. Moure,  Corbaccio, Milano 2008: la regina Cristina di Svezia, che lo ospitò nel suo castello pochi mesi prima della morte; Hélène Jans, amante olandese di Cartesio, e Inés Andrade, una giovane studiosa dei nostri tempi che sta prepa-rando una tesi sul Cartesio privato.

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Finito di stampare nel mese di dicembre 2016

a cura di RCS MediaGroup S.p.A.

presso Grafica Veneta, Trebaseleghe (PD)

Printed in Italy

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