Grande Marziano - Libretto Verde

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  • 8/2/2019 Grande Marziano - Libretto Verde

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    Libretto verdeBreve discorso sul cambiamento

    (e sul mondo che vorremmo)

    di

    Il grande marziano

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    Libretto verde, Il grande marziano

    Testo rilasciato gratuitamente con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale -

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    Il testo pu dunque (anzi deve) essere diffuso, condiviso, stampato e regalato senza

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    sempre riportata con chiarezza la paternit originale: "Fonte: Il grande marziano -

    http://ilgrandemarziano.blogspot.com".

    Eventuali utilizzi di natura commerciale del testo vanno concordati con l'autore.

    La silhouette della foglia una grafica tratta dal sito Black Leaf Design

    (http://www.blackleafdesign.com/)

    Si chiede la cortesia di segnalare eventuali usi, citazioni ecc. Il grande marziano

    disponibile a collaborazioni per eventuali ampliamenti, approfondimenti del testo o a

    valutare altre proposte. Suggerimenti, correzioni, discussioni e obiezioni, sono i benvenuti

    sul sito ufficiale http://ilgrandemarziano.blogspot.com o sulla corrispondente pagina

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    E-mail: [email protected]

    Versione 1.0 - 24 Novembre 2011

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    Libretto verdeBreve discorso sul cambiamento

    (e sul mondo che vorremmo)

    di

    Il grande marziano

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    Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere.

    Mahatma Gandhi

    Tutti i cambiamenti, anche i pi desiderati, hanno la loro malinconia,

    perch ci che lasciamo dietro una parte di noi.

    Dobbiamo morire in una vita prima di poter entrare in un'altra.

    Anatole France

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    Delle nubi all'orizzonte(un po' introduzione e un po' intenzione)

    ualcosa sta accadendo. Se ne vedono i profili

    all'orizzonte, come una sorta di minacciosa silhouette

    d'inchiostro incapace (almeno per ora) di trovare una

    forma stabile e dunque una definizione. Non si

    capisce ancora di preciso di che cosa si tratti e, soprattutto,

    quale portata possa avere, ma da ottusi negare, fare finta di

    niente, o affidarsi all'ottimismo, pensando che il vento cambier

    e l'allontaner dalla costa, solo per adottare un alibiconfortevole che eviti di pensare al peggio. Del resto non c'

    nemmeno bisogno di un occhio esperto per intuire che quelle

    avvisaglie non parlano di giornate da gita fuori porta e notti

    stellate in riva al mare.

    Q

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    Qualcosa sta accadendo. Perch questi non sono TempiNormali, sempre che Tempi Normali nella storia ce ne siano

    mai stati. Eppure adesso si percepisce nell'aria qualcosa diveramente nuovo, come una vibrazione sottile o come il

    profumo di una percezione inedita, che forse molti non hannoancora razionalizzato o assimilato, ma che iniziano a sentirecome istanza che si fa strada, magari non del tutto definita nei

    suoi contorni, ma sempre pi pressante e sempre piineludibile. Lo si vede dai movimenti che fioriscono spontanei

    in tutto l'occidente, lo si vede dalla partecipazione allemanifestazioni e dalla loro frequenza, lo si capisce dai discorsinei social media. E ogni giorno che passa lo si pu (o meglio losi deve) ignorare sempre meno.

    Qualcosa sta accadendo. In Italia e nel mondo. E non ci sonomolti dubbi che abbia ha a che fare con un'esigenza condivisa. probabile che ciascun individuo senta l'urgenza a modo suo,

    che la interpreti secondo la sua personale prospettiva di vederela vita, in base alla sua cultura, alle sue tradizioni, alla sua

    condizione economica e sociale, ma il dato di fatto, se te ne vaiin giro drizzando le antenne, a osservare e ascoltare, che lagente parla sempre pi di cambiamento, pi della solita e

    vetusta speranza illusoria da venditore di almanacchi, figlia deisoliti affanni, delle abituali miserie, delle quotidiane angosce.

    un cambiamento in generale, quello di cui si parla, perch

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    semplicemente il sistema non ce la fa pi. E la gente con esso.

    La gente lo sente, che qualcosa in qualche modo si sta

    spezzando. Un semplice equilibrio che comincia a vacillare. E

    se la Terra se ne sta accorgendo dal punto di vista ecologico,

    coloro che sono dotati di maggiore sensibilit, cominciano a

    rendersene conto anche in termini psicologici e sociali,

    individuali e collettivi. E in tutto questo il punto difficile da

    smentire : Non si potr andare avanti cos ancora a lungo.

    Qualcosa sta accadendo. Perch l'impressione che un vento di

    cambiamento cos sovranazionale, trasversale e generalizzato

    non si sia mai sentito, almeno non in tempi recenti. Forse

    davvero mai, non con queste proporzioni planetarie. Non

    detto che queste energie remino tutte nella stessa direzione,anzi probabilmente non cos. Spesso queste forze spingono in

    direzioni diverse, ognuna inseguendo una propria traccia di

    filosofia o di convenienza (o entrambe), con il risultato di non

    riuscire a spostare di molto il baricentro della societ. Eppure i

    segnali che indicano una strada privilegiata a mio avviso ci

    sono, come i funghi colorati che punteggiano i margini di unapista di decollo immersa in una nebbia uniforme.

    Qualcosa sta accadendo. Ma la difficolt catalizzare e dare

    consapevolezza e orientamento comuni a tutte queste energie,

    affinch qualcosa di buono possa accadere sul serio. E questo si

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    pu fare solo con la cultura e la conoscenza, l'informazione e lo

    stimolo alla riflessione e alla partecipazione. Questo il motivo

    per cui nato questo piccolo Libretto verde, che raccoglie una

    serie di note monografiche pubblicate a puntate sul blog Il

    grande marziano tra ottobre e novembre 2011, in merito alla

    cosiddetta filosofia della decrescita, quella che forse l'unica

    soluzione, l'unica vera, seria, ragionevole, pratica, attuabile e,

    soprattutto, lungimirante rispetto alle inquietudini che stiamovedendo addensarsi all'orizzonte. Il proposito dunque quello

    di dare uno strumento informativo agile, semplice, breve,

    facilmente distribuibile e, soprattutto, gratuito che contribuisca

    a proporre i concetti dell'unico cambiamento possibile,

    cercando di alimentarne la riflessione a riguardo. Perch solo

    dalla cultura che questo cambiamento potr cominciare ediffondersi, perch si tratta di un cambiamento che non pu

    prescindere dal rinnovamento delle coscienze di chi lo desidera

    e lo deve (e lo pu) cominciare a realizzare.

    Qualcosa sta accadendo. E se siete qui, forse perch state

    cominciando ad accorgervene anche voi. Ma sappiate che quidentro non troverete soluzioni liofilizzate, n presunzione di

    completezza o di esaustivit, bens le informazioni minime

    necessarie, qualche idea su cui ragionare e, soprattutto (ed

    quello che spero), una manciata di stimoli che vi spingano ad

    approfondire l'argomento, a pensare che vale la pena rifletterci

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    su, perch forse in questa proposta di cambiamento c' davvero

    qualcosa di buono, qualcosa che vale la pena di fare proprio,

    facendolo diventare qualcosa di pi dei buoni propositi e delle

    belle parole che svaniscono sempre insieme con la chiusura del

    libro, come nuvole di un profumo inebriante al fiuto, ma che

    non vi sognereste mai di spruzzarvi dietro alle orecchie.

    Qualcosa sta accadendo. Qualcosa accadr, presto o tardi, suquesto potete giurarci. E sar comunque un cambiamento

    sociale forte, radicale, epocale, globale. Sta dunque a noi capire

    se esserne soggetti attivi e provare a farlo controllandolo

    secondo le modalit nostre, o lasciare invece che le cose

    vadano per conto loro e il sistema ci travolga secondo i capricci

    suoi, lasciandoci in bala di un destino che non abbiamo volutoe che dovremo subire, probabilmente - a quel punto - senza

    poterci fare granch.

    Qualcosa sta accadendo. Siamo ancora in tempo.

    Facciamolo accadere noi.

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    2. La condanna del frigorifero

    curioso (e molto interessante) scoprire che i teorici

    della decrescita hanno fatto partire il lororagionamento sull'insostenibilit di una societ basata

    sulla crescita illimitata da un presupposto di pura

    fisica. In genere, quando si sente spiegare la decrescita, si

    ascolta invariabilmente il seguente ragionamento intuitivo: un

    mondo finito non pu avere crescita infinita, ovvero prima o

    poi lo sviluppo esaurir le risorse. Okay, la riflessione pare

    piuttosto evidente, ai limiti dell'ovvio. Eppure non tutti sono

    d'accordo. Nella fattispecie c' chi contesta questa logica

    sostenendo che ci non necessariamente vera, giacch la

    Terra non un sistema chiuso (ovvero "finito"), bens riceve

    costantemente energia dal Sole. Questo, a giudizio di coloro

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    indisponibilit di un sistema a produrre lavoro, per cui al

    termine di un processo fisico la qualit dell'energia utilizzata

    peggiora, il che significa che, bench l'energia si conservi, non

    si trova pi nelle stesse condizioni di produrre lavoro come

    all'inizio.

    Fu l'economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen all'inizio

    degli anni '70 ad avere per primo l'intuizione di applicarequesto concetto ai sistemi economici, diventando cos il padre

    della moderna idea di decrescita e il suo massimo caposcuola.

    Il punto, invero piuttosto semplice, che siccome tutti i

    processi produttivi industriali e sociali sono processi bio-fisici,

    e dunque di fatto assoggettabili anch'essi alle medesime leggi

    della fisica di cui sopra, in pratica qualsiasi "lavoro" chefacciamo fare a un processo o a una macchina, ha un suo

    rendimento che, per quanto massimo, non sar mai il 100%.

    Ci significa che tutto ci che facciamo (costruiamo,

    produciamo ecc.) ha sempre una ricaduta, un prezzo da pagare

    in termini energetici, anche per il solo fatto di volerlo fare

    (costruire, produrre ecc.), pertanto

    "qualsiasi processo economico che produce merci

    materiali diminuisce la disponibilit di energia nel

    futuro e quindi la possibilit futura di produrre altre

    merci e cose materiali.

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    Inoltre, nel processo economico anche la materia si

    degrada ("matter matters, too"), ovvero diminuisce

    tendenzialmente la sua possibilit di essere usata in

    future attivit economiche: una volta disperse

    nell'ambiente le materie prime precedentemente

    concentrate in giacimenti nel sottosuolo, queste

    possono essere reimpiegate nel ciclo economico solo in

    misura molto minore ed a prezzo di un alto dispendiodi energia.

    Materia ed energia, quindi, entrano nel processo

    economico con un grado di entropia relativamente

    bassa e ne escono con un'entropia pi alta. Da ci

    deriva la necessit di ripensare radicalmente la scienzaeconomica, rendendola capace di incorporare il

    principio dell'entropia e in generale i vincoli ecologici."

    (fonte: Wikipedia)

    Da queste considerazioni Nicholas Georgescu-Roegen invoc

    la necessit di creare un approccio radicalmente nuovoall'economia, una filosofia (lui la chiam bioeconomia) che

    tornasse a far dialogare il sistema produttivo con il pianeta che

    lo ospita e ne destina le risorse, un binomio che l'economia

    postbellica di stampo neoclassico aveva negato, disgiungendo

    in maniera netta e senza possibilit di appello i processi

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    produttivi dall'ambiente in cui essi avvengono, in nome della

    corsa ultraliberista allo sviluppo, al benessere e - soprattutto - al

    profitto.

    Ebbene, se non ora, quando?

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    Figli di noia

    oi facile che in questo periodo ti capiti di parlare

    della crisi. Tipo qualche giorno fa, al lavoro, conalcuni colleghi (ci sono testimoni pronti a giurarlo).

    Parte tutto da una trattativa in corso per dei nuovi

    contratti collettivi. I sindacalisti ti hanno anche dato il classico

    volantino con le tabelle. Si parla di una proposta di aumenti di

    una manciata di decine di euro spalmati su tre anni, come un

    cucchiaino di Nutella su una fetta di pane di un metro quadrato.

    E mentre, manco a dirlo, commentate disincantati la sostanziale

    irrisoriet dell'incremento degli stipendi, tu butti l (apposta) un

    piccolo sasso nello stagno: Invece di aumentarci lo stipendio,

    potrebbero diminuirci le ore di lavoro. Al che tutti smettono di

    parlare e tu vieni guardato dai colleghi come se fossi un

    P

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    marziano, cosa che, date le circostanze, potrebbe anche essere

    considerato un complimento.

    La statistica suggerisce la probabilit che in quel frangente di

    colleghi ce ne fossero un po' di tutte le et, vicino a te,

    giovanissimi neolaureati, di quelli che magari vivono ancora

    coi genitori, meno giovani, sposati da poco, alcuni con figli

    piccoli che la notte li fanno andare fuori di zucca, e impiegati -chiamiamoli - "maturi", di quelli che non vedono ancora il

    traguardo della pensione, ma che sono ormai fuori dalle logiche

    dei pannolini o della discoteca, uomini potenzialmente

    tranquilli, insomma. Eppure tutti, giovani, vecchi, uomini,

    donne, invariabilmente tutti quanti, ti guardano e fanno segno

    di no con la testa. Figurati! dice uno. Lo sguardo al marzianodi poco fa diventato l'espressione che si riserva a uno che non

    capisce un accidente, la qual cosa in effetti non esclude la

    prima. No, no! esclama un'altra, quasi con il terrore che le

    tue parole possano essere prese sul serio da qualcuno. E poi

    cosa cazzo faccio se rimango a casa? aggiunge un terzo,

    sgomento. Spendo! si risponde da solo un istante dopo,dando voce al traguardo di un ragionamento tutto suo. Eh s

    annuisce quella di prima. Se stai a casa, cosa fai? alza le

    spalle, finisce che vai a farti un giro al Centro

    Commerciale... e da l a tirare fuori il bancomat per portarti a

    casa qualcosa che non ti serve, anzi, di cui fino a mezzo minuto

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    fa non sapevi neanche l'esistenza, non niente di pi di un

    battito di farfalla che vola di fronte alla borsa di Hong Kong.

    Dice eloquentemente Paolo Cacciari nel suo Pensare la

    decrescita:

    "[il lavoratore si riduce a essere un] biodigestore che

    metabolizza il salario con le merci e le merci con ilsalario, transitando dalla fabbrica all'ipermercato e

    dall'ipermercato alla fabbrica."

    E non forse questa l'altra faccia dello stesso perverso circuito

    di (dis)valori responsabile, nei contesti finanziari, della

    dipendenza dal profitto a tutti i costi come (unica) virt daperseguire, e tutto il resto intorno a fare da semplice accidente

    collaterale, quando non ostacolo da cercare di rimuovere a

    qualunque prezzo? Vivere-Per-Essere-Ricchi e Vivere-Per-

    Comprare sono due aspetti complementari della realizzazione

    individuale nell'avere. Solo che in questo caso la spirale - se

    possibile - tremendamente pi triste e prosaica e, per questo,tragica, perch testimoniata da individui che, pur subendola in

    toto, l'hanno fatta propria come normale (anzi ovvio) stile di

    vita, abituale modo di essere e di vedere le cose, anzi

    addirittura l'unico possibile, in quanto nella loro prospettiva

    non ha alcun senso prendere in considerazione alcunch di

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    diverso, tipo sedersi e provare piacere dal leggere un libro,

    realizzare un lavoro a maglia, dipingere in riva al mare, fare del

    bricolage, giardinaggio, trekking, piuttosto che dal sentire il

    brivido del rumore della strisciata di una carta di credito o

    dall'accarezzare con lo sguardo la pendenza positiva del grafico

    dei guadagni dell'ultima speculazione in borsa che hai fatto.

    La percezione del tempo libero dunque non (pi) vista comeun'inestimabile ricchezza a credito dell'individuo in quanto

    fonte di arricchimento e di potenziale realizzazione sociale,

    culturale, familiare, personale, bens come una voce a debito

    nel bilancio dell'esistenza personale in quanto portatrice di

    spese (per lo pi inutili, ma - ahim - inevitabili!), meglio

    ancora se in comode rate mensili a un tasso speciale1

    fattoapposta per te (prima rata a partire da gennaio 2012).

    1(offerta valida solo fino al 31 ottobre 2011)

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    Tossicodipendenza da tassi

    el capitolo scorso si parlava da un lato della perversa

    equazione desiderio = consumo = soldi = lavoro cheimplica la necessit da parte dei cittadini di adeguarsi

    a una societ iperlavorativa che ha svilito il termine

    ozio connotandolo negativamente quando invece il suo

    significato vero

    "(derivato dal latino otium) indica un'occupazioneprincipalmente votata alla ricerca intellettuale, attivit

    di fatto riservata alle classi dominanti, ed

    contrapposto al concetto di negotium, occuparsi (pi

    per necessit che per scelta) dei propri affari." (da

    Wikipedia);

    N

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    dall'altro della dipendenza dal profitto (ovvero dall'accumulo

    parossistico di ricchezza) che l'economia di mercato

    ultraliberista ha sviluppato e consolidato nella prospettiva di chi

    fa impresa a tutti i livelli, dal piccolo commerciante al grande

    industriale. Ebbene, sulle prime i due aspetti possono sembrare

    questioni diverse e separate, almeno nella misura in cui da un

    lato gli impiegati e gli operai, dall'altro gli imprenditori, sitrovano in effetti su sponde opposte di un confine sociale

    marcato con l'inchiostro delle buste paga. Eppure per come la

    vedo io, la radice filosofica e psicologica individuale dei due

    approcci esattamente la stessa. L'istinto che porta la

    popolazione a picchiarsi per entrare per prima all'inaugurazione

    di un nuovo Centro Commerciale della capitale, ovvero asentirsi felice nella soddisfazione di desideri inoculati dalla

    pubblicit soddisfatti acquistando cose, possibilmente

    battezzate dall'incentivo di un'offerta speciale, semplicemente

    la gratificazione del possesso, ovvero in pratica, ancorch su

    scale diverse, lo stesso imperativo morale che porta la casta

    politica e quella imprenditoriale a voler arricchirsi senza misurae a non voler rinunciare ai propri privilegi.

    Perch dunque si dovrebbe pretendere da loro quello che non

    vogliamo fare neanche noi? Lo so, lo sento fin da quass lo

    scricchiolio dei vostri nasi che si storcono. Loro (prendiamo in

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    questo caso i politici) sono dei ricchi privilegiati del cazzo, che

    vanno in pensione dopo pochi anni di lavoro (lavoro per modo

    di dire) e vivono da nababbi a spese dei contribuenti. Per non

    parlare di uno come Marchionne il cui stipendio annuale vale lo

    stipendio annuale di qualche migliaio di operai (dunque se

    Marchionne rinunciasse al 90% del suo stipendio resterebbe

    comunque molto ricco e nel contempo potrebbe evitare la cassa

    integrazione a un'intera fabbrica per un anno). Perch, diretevoi (lo sapete che percepisco i vostri pensieri), non cominciano

    loro a ridursi i loro privilegi, visto che siamo noi quelli che se

    lo prendono sempre sotto la coda? Vi capisco, il vostro

    ragionamento non fa una piega. Quello che per mi interessa

    evidenziare qui, che la molla psicologica che anima loro e voi

    la stessa, perch se voi foste al posto loro (o comunque lamaggioranza di coloro che non sono al posto loro) vi

    comportereste n pi n meno come loro. Un po' come

    ritrovarsi nel bel mezzo di una sorta di intifada della cupidigia.

    Per questo nell'ambito della filosofia della decrescita, che poi

    non solo una dottrina teorica, bens anche un programma

    sociale e politico molto pratico, quello che viene richiesto aisingoli individui a tutti i livelli (sociale, politico, economico,

    individuale) un salto generale di visione, che deve partire

    innanzitutto dalla comprensione e dalla consapevolezza che

    questo non l'unico mondo possibile, che questo non il

    migliore mondo possibile. Ed proprio questo che intende

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    Serge Latouche quando parla di decolonizzazione

    dell'immaginario, ovvero la disintossicazione mentale da quel

    sistema consolidato (autorafforzativo e autocelebrativo) dicredenze in base alle quali gli individui della societ

    occidentale vengono educati, crescono, vivono e muoionoall'interno di un modello di esistenza non inevitabile, n inveropi auspicabile di altri. dunque una rivoluzione culturale

    generale quella che prima di ogni altra cosa deve diffondersicome una mutazione positiva, affinch il cambiamento possa

    davvero avere qualche possibilit, una rivoluzione che pupartire solo dal diffondersi di una coscienza sociale criticaverso se stessa e conduca cos le persone innanzitutto alriconoscimento che si pu (anche) vivere diversamente da cos,

    senza che questo debba significare per forza peggio di cos.

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    Pensieri nei dintorni dell'utopia

    on faccio fatica a riconoscere che vista cos sulla

    superficie del pelo dell'acqua, distante dalla spiaggia,tutta questa faccenda della decrescita suona un po'

    come un'inutile pazzia, come l'imbarcarsi in una lotta

    contro i giganti, un'impresa folle, persa in partenza, destinata a

    fallire miseramente nella polvere e nelle lacrime della

    frustrazione, un'azione buona solo per l'autoreferenzialit che

    esprime e dunque per la gratificazione psicologica che regala achi la fa, a prescindere dai risultati finali che pu raggiungere.

    Perch in questo caso il nemico non ha un volto preciso. Non

    puoi andarlo a prendere di notte, tendergli un'imboscata,

    nemmeno lanciargli dei pomodori marci quando passa col suo

    corteo di auto blu, n puoi mettere un cecchino sul tetto,

    N

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    aspettando che esca allo scoperto. Perch in questo caso il

    nemico ovunque, diffuso, frammentato e, per questo,

    onnipresente. Ma, soprattutto, in questo caso molta parte del

    nemico annidata dentro ciascuno di noi e chi disposto a fare

    piazza pulita di se stesso, ammettendo dunque cos per certi

    versi di avere fin qui sbagliato?

    Eppure, come ho avuto spesso modo di dire, sono convinto che

    se l'occidente non sar capace di cambiare il suo modo diintendere il mondo, istruendo cos anche l'oriente che con il

    ritardo di qualche decade sta ormai rincorrendo

    vertiginosamente lo stesso modello, sar il mondo che decider

    per l'occidente - ma anche per l'oriente - e li affonder entrambi

    nel giro di poche decadi. A quel punto il cambio di visione non

    sar pi scelto, controllato, programmato, ma imposto dallacasualit e dalla bala degli eventi, come una tempesta di neve

    epocale che vi ha colto in cima a un monte, dopo che avete

    ignorato l'alzarsi del vento tagliente, l'abbassamento drastico

    della temperatura e il rannuvolamento cupo del cielo a partire

    dall'orizzonte delle creste e poi, via via, sempre pi sulle vostre

    teste indifese e presuntuose.

    Ma non ci si pu aspettare che siano i politici a prendere

    l'iniziativa. Essi non avranno mai il coraggio di mettersi a

    cavallo di argomentazioni elettoralmente penalizzanti presso i

    cittadini come quelle che parlano di cose che hanno a che fare

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    con il concetto di rinuncia. Quindi siete voi a dover cominciare

    a dimostrare a parole (ovvero parlandone il pi possibile) e nei

    fatti (comportamenti ed esempi), che le nuove istanze sono

    forti, condivisibili e auspicabili, e che esiste un desiderio

    autentico di uscire da quello che Cornelius Castoriadis chiama

    onanismo consumistico televisivo2, attuando un nuovo tipo di

    educazione ecologica a tutto tondo, difendendosi dalla

    manipolazione aggressiva della pubblicit e rinnovando i valoridella quotidianit da quelli del consumo, a quelli della

    relazione, della convivialit, della cultura e della creativit.

    Questa la conditio sine qua non, la triangolazione morale

    necessaria a individuare la rotta e catalizzare l'energia per

    intraprendere il viaggio verso una societ rinnovata. Dopodichi cambiamenti di paradigma potranno cominciare a essere

    portati avanti anche a livello politico, economico e sociale. Ma

    non crediate che, come sempre succede con la politica, ci si

    fermi agli slogan, belli e suggestivi, ma vuoti e inutili. La

    filosofia della decrescita ha individuato una manciata di

    obiettivi ben precisi da perseguire.

    2Cornelius Castoriadis, Une socit la drive

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    Ingredienti per un mondo nuovo

    a decrescita dunque non si limita alla masturbazione

    filosofica, non segue le orme dei discorsi che puzzanodi campagna elettorale tipo pi lavoro per tutti,

    bisogna investire nella scuola, le pensioni non si

    toccano, la salute il bene primario, citt pi sicure,

    salvaguardare il territorio a tutti i costi, eccetera. Non si

    ferma al distillato della teoria, insomma. E non vuole (n forse

    pu) nemmeno essere demagogia. Perch la decrescita richiedeimpegno, sia nell'individualit che nella collettivit nel

    perseguimento degli obiettivi che si propone di raggiungere. In

    linea generale si tratta di otto azioni suggerite da Serge

    Latouche necessarie a suo giudizio per mettere in moto un

    circolo virtuoso di decrescita sociale. Permettetemi il

    L

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    didascalismo, e lasciate che ve le illustri brevemente (per i

    dettagli vi rimando alle sue pubblicazioni). Credo sia

    importante dare loro un'occhiata, se non altro per farsi almeno

    un'idea di quali siano le direzioni complessive, individuali,

    sociali, politiche ed economiche che la filosofia della decrescita

    propone di seguire per cercare di innescare un circolo virtuoso

    che cambi davvero il mondo o almeno che ci provi. Magari per

    invogliarvi ad approfondire il tema.

    1. Rivalutare

    Qui si parla di valori e in parte Latouche si riferisce a quanto ho

    gi esposto nei capitoli precedenti. Le scale di valori (ovvero di

    non-valori) oggi dominanti vanno cambiate, l'immaginario

    consumistico va demitizzato a favore di una (ri)appropriazioneconsapevole di valori sociali autentici. "L'altruismo dovrebbe

    prevalere sull'egoismo, la collaborazione sulla competizione

    sfrenata, il piacere del tempo libero e l'ethos del gioco

    sull'ossessione del lavoro l'importanza della vita sociale sul

    consumo illimitato, il locale sul globale, l'autonomia

    sull'eteronomia, il gusto della bella opera sull'efficienzaproduttivistica, il ragionevole sul razionale, il relazionale sul

    materiale"3.

    3Serge Latouche,Breve trattato sulla decrescita serena (Einaudi)

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    2. Riconcettualizzare

    il diretto corollario della rivalutazione. Le coordinate di

    nuovi valori tracciano una diversa mappa del mondoconosciuto, del mondo auspicato, un mondo che si deve fare

    proprio. La riconcettualizzazione dunque appannaggio peresempio del binomio ricchezza/povert o rarit/abbondanza,quest'ultimo "binomio infernale, fondatore dell'immaginario

    economico, che necessario decostruire con la massimaurgenza"4. Infatti "l'economia trasforma l'abbondanza naturale

    in rarit con la creazione artificiale della mancanza e delbisogno attraverso l'appropriazione della natura e la suamercificazione"5. Inutile dire che questo uno dei paradigmi dadepotenziare.

    3. Ristrutturare

    evidente che l'apparato produttivo e i rapporti sociali vannoadeguati alla rivalutazione e alla riconcettualizzazione: questa

    la ristrutturazione, sebbene non detto che essa debba perforza discendere come conseguenza dai primi, bens pu

    anch'essa concorrere al consolidamento dei primi, come in unprocesso di retroazione positiva che diventa cos circolovirtuoso. Di certo la ristrutturazione implica la fuoriuscita dal

    4 Serge Latouche, Op.cit.5 Paul Dumouchel e J.-P. Dupuy,L'Enfer des choses

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    capitalismo. Questo tuttavia non deve far pensare che la

    decrescita sia espressione di una societ schierata compatta a

    sinistra, tant' che a tutt'oggi tutte le forze di sinistra si

    esprimono, pur con i loro distinguo, sempre in termini del solito

    mantra bipartisan: crescita-crescita-crescita. A tale proposito

    infatti, Latouche rivendica il fatto che il programma della

    decrescita sia "in primo luogo un programma di buon senso" e

    che " altrettanto poco condiviso sia a sinistra che a destra"

    6

    . Equesto, aggiungo io, d la misura delle profonde contraddizioni

    in cui versa la sinistra di oggi. Del resto su questo punto

    Latouche ha ragione e giustamente approfitta della situazione

    per smarcare intelligentemente la decrescita dalla diatriba

    politica. Tuttavia, lo spirito non cambia e, a mio modo di

    vedere, i valori propugnati dalla decrescita dovrebberocorrispondere ai valori classici della sinistra, ancorch

    traghettati dentro la modernit del XXI secolo. Potete

    immaginare valori di questo genere promossi da forze - anche

    moderate - di destra?

    4. Ridistribuire

    Qui lascio parlare direttamente Latouche, non saprei dirlo

    meglio. "La ristrutturazione dei rapporti sociali gi ipso facto

    una ridistribuzione. Questa riguarda la ripartizione delle

    6Serge Latouche, op. cit.

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    ricchezze e dell'accesso al patrimonio naturale tanto tra il Norde il Sud, quanto all'interno di ciascuna societ, tra le classi, le

    generazioni, gli individui. La ridistribuzione avr un dupliceeffetto sulla riduzione del consumo. Direttamente,

    ridimensionando il potere e i mezzi di consumo della 'classeconsumatrice mondiale' e in particolare dell'oligarchia deigrandi predatori. Indirettamente, diminuendo lo stimolo al

    consumo vistoso"

    7

    .

    5. Rilocalizzare

    naturale che la decrescita faccia della deglobalizzazione unodei suoi punti cardinali. Pertanto tutto ci che producibilelocalmente, va prodotto localmente. In quest'ottica gli

    spostamenti di merci e di capitali vanno ridottiall'indispensabile. C' davvero bisogno di fragole cilene aNatale o di ninnoli cinesi tutto l'anno? Ma anche la politica, lacultura, l'economia, fino addirittura al senso della vita, "devono

    ritrovare un ancoraggio territoriale"8 e le relative decisionidevono essere prese localmente tutte le volte che possibile. Le

    Societ Mutue per l'Autogestione9

    per esempio sono realtsociali ed economiche territoriali che vanno esattamente inquesta direzione, per questo soluzioni del genere dovrebbero

    7 Serge Latouche, op. cit.8 Serge Latouche, op. cit.9

    http://www.magverona.it/

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    essere promosse e incentivate. Allora da questo punto di vistala decrescita potrebbe addirittura rendere felici i leghisti?

    6. Ridurre

    una societ, quella odierna occidentale, che fa del "troppo" lasua cifra esistenziale. Dunque esistono numerosi ambiti in cui necessario ridurre, ridimensionare, senza che questo significhi

    vivere da pezzenti. Ridurre i sovraconsumi e il loro impattosulla biosfera, anche attraverso una moratoria della pubblicit,

    in maniera da disincentivare la creazione di bisogni inesistenti.Ridurre gli sprechi (perch mai si deve vendere un tubetto didentifricio dentro una scatola di cartone?). Ridurre il turismo dimassa. Ridurre - come gi detto - gli orari di lavoro e

    incentivare la flessibilit dando la possibilit, per esempio, a unoperaio che lavora in una fabbrica automobilistica, di fare altronei periodi in cui la fabbrica non lavora per penuria didomanda. Da questo punto di vista, Latouche sostiene che il

    sistema interinale pu essere un passo nella direzione giusta,anche se il sistema ovviamente va concepito con una

    prospettiva del tutto diversa.

    7. Riutilizzare

    Il concetto dell'uso e della sostituzione degli oggetti nellasociet dei consumi ha innumerevoli sfaccettature, ma che si

    riducono soprattutto al fatto che gli oggetti hanno una vita d'uso

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    molto pi breve di quella che potrebbero ragionevolmente

    avere a causa di quella che Brooks Stevens chiam

    obsolescenza pianificata e che in estrema sintesi pu essere

    duplice. Da un lato c' l'obsolescenza progettuale, ovvero

    quella in base al quale si costruiscono e si mettono sul mercato

    degli oggetti che deliberatamente durano poco, hanno una

    scarsa affidabilit, o si consumano (o si rovinano) in fretta, in

    modo da costringere gli utenti alla loro frequente sostituzione.Dall'altro c' l'obsolescenza indotta, ovvero quella realizzata

    attraverso per lo pi la pubblicit e il marketing che instillano

    nel consumatore il bisogno del rinnovo dell'oggetto

    proponendone uno che fa il medesimo uso, solo pi

    bello/potente/veloce/ecologico, anche quando quello che avete

    gi potrebbe andare avanti ancora per molto, molto tempo.

    8. Riciclare

    Questo ovvio, direte voi. Certo. Ma il riciclaggio deve andare

    oltre la semplice raccolta differenziata dei rifiuti (bench questa

    non sia ancora diffusa ed entrata nelle mentalit dei cittadini sututto il territorio come dovrebbe, e prova ne l'ormai celebre,

    fantomatico tizio che butta via una bottiglia di vetro o un

    giornale nel bidone dell'immondizia comune, quando proprio di

    fianco, a solo un metro di distanza, ci sono i rispettivi

    contenitori per la raccolta differenziata), ma essere

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    implementata industrialmente nelle macchine, ovvero nella loro

    progettazione, nei materiali con cui sono costruite, e nella

    filosofia del loro utilizzo e della loro dismissione una volta

    esaurito il loro compito.

    Ebbene, ci che davvero interessante (e bello) di queste

    regole, che se da una parte, dal punto di vista pubblico,

    ovvero politico e sociale, sembrano uscite da un'autenticautopia moderna, dall'altra la maggioranza di esse di fatto

    perseguibile anche su piccola scala, localmente, addirittura

    individualmente. E per questo dunque sono davvero tutto il

    contrario dell'utopia. Magari in quest'ultimo caso la loro

    efficacia potr risultare di minore impatto di quanto non

    potrebbe essere se fossero istituzionalizzate ufficialmente nelsistema, eppure sono convinto che, a condizione di essere tanti

    (e quando dico tanti, intendo TANTI), anche solo l'adozione

    personale di questi stili di vita pu contribuire a cambiare la

    societ in maniera significativa. Ci che davvero interessante

    (e bello) di queste regole, che fanno piazza pulita di tutti gli

    alibi che la gente adduce per rimanere nella soffice comoditdel lamento e trovare cos il modo per non passare mai

    all'azione.

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    Decrescita? No, grazie!

    onostante le argomentazioni e i propositi, che

    qualsiasi essere umano sano di mente dovrebbetrovare condivisibili, almeno a livello concettuale, la

    filosofia della decrescita a mio avviso afflitta da due

    vizi, uno in qualche modo evitabile, l'altro purtroppo

    connaturato alla filosofia stessa, che agiscono come attriti

    profondi alla sua diffusione presso i cittadini del mondo

    occidentale. Il primo di ordine puramente rappresentativo e,non tenendo in considerazione il fatto che comunque la societ

    occidentale una sorta di mediamondo, in cui dunque le idee

    non possono (pi) prescindere dai mezzi di comunicazione con

    cui vengono diffuse e dalla forma con cui vengono diffuse, il

    N

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    termine "decrescita" quanto di pi deleterio e

    controproducente ci possa essere.

    La gente superficiale, la gente non approfondisce, la gente

    pigra e presuntuosa e dunque si convince sempre di avere

    capito tutto alla prima impressione. La gente per lo pi

    costruisce le proprie opinioni di un'esistenza intera solo per

    sentito dire. Dunque quale pu essere il destino di una filosofia,che anche uno stile di vita, imperniata su una parola chiave

    come "decrescita"? Come convincere la gente anche a

    interessarsi a una cosa che se ne va in giro a dire come prima

    cosa che "meno meglio" (come dal titolo dell'ultimo libro di

    Maurizio Pallante, uno dei maggiori promotori italiani del

    "decrescita felice" e fondatore dell'omonimo Movimento)?

    Crescere un termine che prima di ogni altra cosa l'istinto

    associa ai processi biologici e normalmente, se le cose vanno

    per il verso giusto, a meno dunque di circostanze patologiche,

    la crescita quello che sempre ci si auspica. Basti pensare ai

    bambini che se non crescono un guaio, ma lo stesso succedeai germogli del grano, o ai pulcini, o ai vitelli. Dunque, per

    converso, il termine decrescita evoca qualcosa che non

    funziona, ovvero che non desiderabile. Perch dunque farlo

    diventare il termine di riconoscimento rappresentativo del

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    nuovo mondo che vorremmo? Da un punto di vista memetico

    non potr mai funzionare.

    Ma c' anche un'ulteriore svista semantica da considerare, nella

    quale a mio avviso sono inciampati i vari filosofi e promotori di

    questo ambizioso programma di rinnovamento sociale globale.

    Ed il fatto che se senti la necessit di associare alla decrescita

    un aggettivo positivo come "felice" o "serena", confermiimplicitamente la negativit della prima e questo messaggio

    quasi subliminale, nell' immaginario sempre superficiale e un

    po' rozzo di chi ascolta, non fa altro che acuire per reazione

    l'attitudine al rifiuto e in questo modo ad allontanare il

    destinatario anche solo dalla voglia di fare un tentativo per

    capire qualcosa di pi della visione che vi sta dietro, abortendocos fin dal principio la possibilit che vi possa trovare dentro

    qualcosa di buono e, magari, condivisibile.

    Il secondo, quello intrinseco, di natura mentale o, se

    vogliamo, psicologica.

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    La ri(e)voluzione della specie

    altro aspetto (forse il peggiore di tutti) che penalizza

    la filosofia della decrescita il suo essere in

    controtendenza rispetto alle inclinazioni (animali)

    insite nella natura umana. Difatti come nonriconoscere che queste ultime sono quelle maggiormente

    assecondate dal sistema ultraliberista dell'economia di mercato,

    dello sviluppo, del profitto, della ricchezza oltre misura,

    dell'iperbenessere e del Tutto-Intorno-A-Te? Come pu

    dunque, in condizioni pi o meno normali, la decrescita

    competere con un sistema che, seppure mostrando preoccupanti

    segni di cedimento, riesce ancora (almeno nel breve o

    brevissimo periodo) a propinare con una qualche vaga

    credibilit, complice il sistema autoreferenziale dei media,

    miraggi luccicanti di un futuro fatto di automobili volanti,

    L'

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    divani antigravitazionali, merendine neurotoniche, televisioni

    inebrianti e biancheria intima autocarrozzante?

    Ma quel che peggio, non tanto il fatto che la decrescita

    predichi una sobriet e una lungimiranza a un mondo in cui la

    sobriet stata gettata a marcire negli abissi fetidi delle

    discariche di rifiuti del Terzo Mondo, e la lungimiranza stata

    svenduta alle compagnie che sfruttano e vessano i lorodipendenti (anche minorenni) rendendoli di fatto gli schiavi

    10

    del nuovo millennio. No. Il peggio il fatto che la decrescita

    richiede impegno, attivit e partecipazione. La decrescita

    impone all'individuo di tornare innanzitutto a essere cittadino e

    dunque individuo responsabile che fa parte di una comunit che

    potr avere un futuro non tanto a partire dalle iniziativeindividualistiche, quanto dalle scelte condivise. La decrescita

    sollecita il singolo ad alzarsi dalla comoda poltrona di una vita

    fatta di abbonamenti e punti premio, di partite di calcio e di

    grandi fratelli, e di fare propria la lungimiranza di pensare che

    il futuro proprio e dei propri figli stavolta dipende solo e

    soltanto, pi di ogni altra cosa, da quello che far lui oggi.

    10http://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2011/11/01/news/schiavitu_mod

    erna-24252461/

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    La decrescita chiede innanzitutto all'individuo di lasciare da

    parte le pantofole e mettersi in marcia per farsi parte attiva del

    cambiamento, perch da l che tutto deve cominciare. Quando

    si parla di decrescita, il cittadino deve smetterla di demandare il

    suo futuro alla X su una scheda elettorale, pensando di aver

    cos esaurito il suo compito all'interno della comunit: la

    politica non ha mai aggiustato le cose (a meno - forse - di non

    aver toccato veramente il fondo) e tantomeno potr farlo oggi(a meno - forse - di non toccare veramente il fondo). Ed da

    questo punto di vista che il cambiamento della decrescita pu

    davvero essere chiamato "rivoluzione", l'unica auspicabile,

    l'unica pacifica, l'unica possibile, ma solo e soltanto dentro una

    condivisione il pi allargata possibile. Perch il cambiamento

    invocato dalla "decrescita serena" chiede alle persone dirimboccarsi le maniche e di diventare, a tutti i livelli, ciascuno

    nel suo piccolo ambito, ciascuno con il suo impegno, ciascuno

    con il suo esempio, uno che ci mette del suo, uno che agisce per

    cambiare le cose, dunque - di fatto - un rivoluzionario.

    La difficolt (e parte della mia mancanza di ottimismo ariguardo, o forse dovrei chiamarlo semplicemente realismo?)

    risiede nel fatto che se una volta bastava una sola, grande

    personalit rivoluzionaria per coinvolgere la massa

    nell'inseguimento di un ideale forte di cambiamento, oggi la

    rivoluzione della decrescita funzioner solo se ciascuno si far

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    rivoluzionario nella consapevolezza consolatoria che, mal che

    vada, la raggiunta maggiore sostenibilit della propria vita gli

    potr essere motivo di salvezza se (quando?) il sistema croller

    imponendo comunque con la forza (ovvero tutta d'un colpo)

    quella medesima decrescita che la comunit non avr saputo

    scegliersi in maniera ragionevole e programmata.

    La Filosofia della Decrescita chiede dunque all'uomo di farequalcosa di equivalente a un vero e proprio salto evolutivo di

    pensiero, un salto che nell'azione sar capace di premiarlo in

    termini di selezione naturale e dunque in termini di maggiori

    capacit di sopravvivenza in quello che sar l'ambiente sociale

    di domani e, soprattutto, di maggiore felicit.

    Voi la state prendendo la rincorsa?

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