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8/2/2019 Grande Marziano - Libretto Verde
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Libretto verdeBreve discorso sul cambiamento
(e sul mondo che vorremmo)
di
Il grande marziano
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Libretto verde, Il grande marziano
Testo rilasciato gratuitamente con licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale -
Condividi allo stesso modo 3.0 Italia (http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/3.0/it/deed.it)
Il testo pu dunque (anzi deve) essere diffuso, condiviso, stampato e regalato senza
restrizioni nella forma presente per scopi non commerciali. Il testo pu anche essere
utilizzato, citato, tradotto in toto, o in parte, modificato e/o integrato, a patto che venga
sempre riportata con chiarezza la paternit originale: "Fonte: Il grande marziano -
http://ilgrandemarziano.blogspot.com".
Eventuali utilizzi di natura commerciale del testo vanno concordati con l'autore.
La silhouette della foglia una grafica tratta dal sito Black Leaf Design
(http://www.blackleafdesign.com/)
Si chiede la cortesia di segnalare eventuali usi, citazioni ecc. Il grande marziano
disponibile a collaborazioni per eventuali ampliamenti, approfondimenti del testo o a
valutare altre proposte. Suggerimenti, correzioni, discussioni e obiezioni, sono i benvenuti
sul sito ufficiale http://ilgrandemarziano.blogspot.com o sulla corrispondente pagina
Facebook.
E-mail: [email protected]
Versione 1.0 - 24 Novembre 2011
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Libretto verdeBreve discorso sul cambiamento
(e sul mondo che vorremmo)
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Il grande marziano
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Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere.
Mahatma Gandhi
Tutti i cambiamenti, anche i pi desiderati, hanno la loro malinconia,
perch ci che lasciamo dietro una parte di noi.
Dobbiamo morire in una vita prima di poter entrare in un'altra.
Anatole France
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Delle nubi all'orizzonte(un po' introduzione e un po' intenzione)
ualcosa sta accadendo. Se ne vedono i profili
all'orizzonte, come una sorta di minacciosa silhouette
d'inchiostro incapace (almeno per ora) di trovare una
forma stabile e dunque una definizione. Non si
capisce ancora di preciso di che cosa si tratti e, soprattutto,
quale portata possa avere, ma da ottusi negare, fare finta di
niente, o affidarsi all'ottimismo, pensando che il vento cambier
e l'allontaner dalla costa, solo per adottare un alibiconfortevole che eviti di pensare al peggio. Del resto non c'
nemmeno bisogno di un occhio esperto per intuire che quelle
avvisaglie non parlano di giornate da gita fuori porta e notti
stellate in riva al mare.
Q
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Libretto verde, Il grande marziano
Qualcosa sta accadendo. Perch questi non sono TempiNormali, sempre che Tempi Normali nella storia ce ne siano
mai stati. Eppure adesso si percepisce nell'aria qualcosa diveramente nuovo, come una vibrazione sottile o come il
profumo di una percezione inedita, che forse molti non hannoancora razionalizzato o assimilato, ma che iniziano a sentirecome istanza che si fa strada, magari non del tutto definita nei
suoi contorni, ma sempre pi pressante e sempre piineludibile. Lo si vede dai movimenti che fioriscono spontanei
in tutto l'occidente, lo si vede dalla partecipazione allemanifestazioni e dalla loro frequenza, lo si capisce dai discorsinei social media. E ogni giorno che passa lo si pu (o meglio losi deve) ignorare sempre meno.
Qualcosa sta accadendo. In Italia e nel mondo. E non ci sonomolti dubbi che abbia ha a che fare con un'esigenza condivisa. probabile che ciascun individuo senta l'urgenza a modo suo,
che la interpreti secondo la sua personale prospettiva di vederela vita, in base alla sua cultura, alle sue tradizioni, alla sua
condizione economica e sociale, ma il dato di fatto, se te ne vaiin giro drizzando le antenne, a osservare e ascoltare, che lagente parla sempre pi di cambiamento, pi della solita e
vetusta speranza illusoria da venditore di almanacchi, figlia deisoliti affanni, delle abituali miserie, delle quotidiane angosce.
un cambiamento in generale, quello di cui si parla, perch
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semplicemente il sistema non ce la fa pi. E la gente con esso.
La gente lo sente, che qualcosa in qualche modo si sta
spezzando. Un semplice equilibrio che comincia a vacillare. E
se la Terra se ne sta accorgendo dal punto di vista ecologico,
coloro che sono dotati di maggiore sensibilit, cominciano a
rendersene conto anche in termini psicologici e sociali,
individuali e collettivi. E in tutto questo il punto difficile da
smentire : Non si potr andare avanti cos ancora a lungo.
Qualcosa sta accadendo. Perch l'impressione che un vento di
cambiamento cos sovranazionale, trasversale e generalizzato
non si sia mai sentito, almeno non in tempi recenti. Forse
davvero mai, non con queste proporzioni planetarie. Non
detto che queste energie remino tutte nella stessa direzione,anzi probabilmente non cos. Spesso queste forze spingono in
direzioni diverse, ognuna inseguendo una propria traccia di
filosofia o di convenienza (o entrambe), con il risultato di non
riuscire a spostare di molto il baricentro della societ. Eppure i
segnali che indicano una strada privilegiata a mio avviso ci
sono, come i funghi colorati che punteggiano i margini di unapista di decollo immersa in una nebbia uniforme.
Qualcosa sta accadendo. Ma la difficolt catalizzare e dare
consapevolezza e orientamento comuni a tutte queste energie,
affinch qualcosa di buono possa accadere sul serio. E questo si
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pu fare solo con la cultura e la conoscenza, l'informazione e lo
stimolo alla riflessione e alla partecipazione. Questo il motivo
per cui nato questo piccolo Libretto verde, che raccoglie una
serie di note monografiche pubblicate a puntate sul blog Il
grande marziano tra ottobre e novembre 2011, in merito alla
cosiddetta filosofia della decrescita, quella che forse l'unica
soluzione, l'unica vera, seria, ragionevole, pratica, attuabile e,
soprattutto, lungimirante rispetto alle inquietudini che stiamovedendo addensarsi all'orizzonte. Il proposito dunque quello
di dare uno strumento informativo agile, semplice, breve,
facilmente distribuibile e, soprattutto, gratuito che contribuisca
a proporre i concetti dell'unico cambiamento possibile,
cercando di alimentarne la riflessione a riguardo. Perch solo
dalla cultura che questo cambiamento potr cominciare ediffondersi, perch si tratta di un cambiamento che non pu
prescindere dal rinnovamento delle coscienze di chi lo desidera
e lo deve (e lo pu) cominciare a realizzare.
Qualcosa sta accadendo. E se siete qui, forse perch state
cominciando ad accorgervene anche voi. Ma sappiate che quidentro non troverete soluzioni liofilizzate, n presunzione di
completezza o di esaustivit, bens le informazioni minime
necessarie, qualche idea su cui ragionare e, soprattutto (ed
quello che spero), una manciata di stimoli che vi spingano ad
approfondire l'argomento, a pensare che vale la pena rifletterci
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su, perch forse in questa proposta di cambiamento c' davvero
qualcosa di buono, qualcosa che vale la pena di fare proprio,
facendolo diventare qualcosa di pi dei buoni propositi e delle
belle parole che svaniscono sempre insieme con la chiusura del
libro, come nuvole di un profumo inebriante al fiuto, ma che
non vi sognereste mai di spruzzarvi dietro alle orecchie.
Qualcosa sta accadendo. Qualcosa accadr, presto o tardi, suquesto potete giurarci. E sar comunque un cambiamento
sociale forte, radicale, epocale, globale. Sta dunque a noi capire
se esserne soggetti attivi e provare a farlo controllandolo
secondo le modalit nostre, o lasciare invece che le cose
vadano per conto loro e il sistema ci travolga secondo i capricci
suoi, lasciandoci in bala di un destino che non abbiamo volutoe che dovremo subire, probabilmente - a quel punto - senza
poterci fare granch.
Qualcosa sta accadendo. Siamo ancora in tempo.
Facciamolo accadere noi.
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2. La condanna del frigorifero
curioso (e molto interessante) scoprire che i teorici
della decrescita hanno fatto partire il lororagionamento sull'insostenibilit di una societ basata
sulla crescita illimitata da un presupposto di pura
fisica. In genere, quando si sente spiegare la decrescita, si
ascolta invariabilmente il seguente ragionamento intuitivo: un
mondo finito non pu avere crescita infinita, ovvero prima o
poi lo sviluppo esaurir le risorse. Okay, la riflessione pare
piuttosto evidente, ai limiti dell'ovvio. Eppure non tutti sono
d'accordo. Nella fattispecie c' chi contesta questa logica
sostenendo che ci non necessariamente vera, giacch la
Terra non un sistema chiuso (ovvero "finito"), bens riceve
costantemente energia dal Sole. Questo, a giudizio di coloro
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indisponibilit di un sistema a produrre lavoro, per cui al
termine di un processo fisico la qualit dell'energia utilizzata
peggiora, il che significa che, bench l'energia si conservi, non
si trova pi nelle stesse condizioni di produrre lavoro come
all'inizio.
Fu l'economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen all'inizio
degli anni '70 ad avere per primo l'intuizione di applicarequesto concetto ai sistemi economici, diventando cos il padre
della moderna idea di decrescita e il suo massimo caposcuola.
Il punto, invero piuttosto semplice, che siccome tutti i
processi produttivi industriali e sociali sono processi bio-fisici,
e dunque di fatto assoggettabili anch'essi alle medesime leggi
della fisica di cui sopra, in pratica qualsiasi "lavoro" chefacciamo fare a un processo o a una macchina, ha un suo
rendimento che, per quanto massimo, non sar mai il 100%.
Ci significa che tutto ci che facciamo (costruiamo,
produciamo ecc.) ha sempre una ricaduta, un prezzo da pagare
in termini energetici, anche per il solo fatto di volerlo fare
(costruire, produrre ecc.), pertanto
"qualsiasi processo economico che produce merci
materiali diminuisce la disponibilit di energia nel
futuro e quindi la possibilit futura di produrre altre
merci e cose materiali.
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Inoltre, nel processo economico anche la materia si
degrada ("matter matters, too"), ovvero diminuisce
tendenzialmente la sua possibilit di essere usata in
future attivit economiche: una volta disperse
nell'ambiente le materie prime precedentemente
concentrate in giacimenti nel sottosuolo, queste
possono essere reimpiegate nel ciclo economico solo in
misura molto minore ed a prezzo di un alto dispendiodi energia.
Materia ed energia, quindi, entrano nel processo
economico con un grado di entropia relativamente
bassa e ne escono con un'entropia pi alta. Da ci
deriva la necessit di ripensare radicalmente la scienzaeconomica, rendendola capace di incorporare il
principio dell'entropia e in generale i vincoli ecologici."
(fonte: Wikipedia)
Da queste considerazioni Nicholas Georgescu-Roegen invoc
la necessit di creare un approccio radicalmente nuovoall'economia, una filosofia (lui la chiam bioeconomia) che
tornasse a far dialogare il sistema produttivo con il pianeta che
lo ospita e ne destina le risorse, un binomio che l'economia
postbellica di stampo neoclassico aveva negato, disgiungendo
in maniera netta e senza possibilit di appello i processi
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produttivi dall'ambiente in cui essi avvengono, in nome della
corsa ultraliberista allo sviluppo, al benessere e - soprattutto - al
profitto.
Ebbene, se non ora, quando?
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Figli di noia
oi facile che in questo periodo ti capiti di parlare
della crisi. Tipo qualche giorno fa, al lavoro, conalcuni colleghi (ci sono testimoni pronti a giurarlo).
Parte tutto da una trattativa in corso per dei nuovi
contratti collettivi. I sindacalisti ti hanno anche dato il classico
volantino con le tabelle. Si parla di una proposta di aumenti di
una manciata di decine di euro spalmati su tre anni, come un
cucchiaino di Nutella su una fetta di pane di un metro quadrato.
E mentre, manco a dirlo, commentate disincantati la sostanziale
irrisoriet dell'incremento degli stipendi, tu butti l (apposta) un
piccolo sasso nello stagno: Invece di aumentarci lo stipendio,
potrebbero diminuirci le ore di lavoro. Al che tutti smettono di
parlare e tu vieni guardato dai colleghi come se fossi un
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marziano, cosa che, date le circostanze, potrebbe anche essere
considerato un complimento.
La statistica suggerisce la probabilit che in quel frangente di
colleghi ce ne fossero un po' di tutte le et, vicino a te,
giovanissimi neolaureati, di quelli che magari vivono ancora
coi genitori, meno giovani, sposati da poco, alcuni con figli
piccoli che la notte li fanno andare fuori di zucca, e impiegati -chiamiamoli - "maturi", di quelli che non vedono ancora il
traguardo della pensione, ma che sono ormai fuori dalle logiche
dei pannolini o della discoteca, uomini potenzialmente
tranquilli, insomma. Eppure tutti, giovani, vecchi, uomini,
donne, invariabilmente tutti quanti, ti guardano e fanno segno
di no con la testa. Figurati! dice uno. Lo sguardo al marzianodi poco fa diventato l'espressione che si riserva a uno che non
capisce un accidente, la qual cosa in effetti non esclude la
prima. No, no! esclama un'altra, quasi con il terrore che le
tue parole possano essere prese sul serio da qualcuno. E poi
cosa cazzo faccio se rimango a casa? aggiunge un terzo,
sgomento. Spendo! si risponde da solo un istante dopo,dando voce al traguardo di un ragionamento tutto suo. Eh s
annuisce quella di prima. Se stai a casa, cosa fai? alza le
spalle, finisce che vai a farti un giro al Centro
Commerciale... e da l a tirare fuori il bancomat per portarti a
casa qualcosa che non ti serve, anzi, di cui fino a mezzo minuto
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fa non sapevi neanche l'esistenza, non niente di pi di un
battito di farfalla che vola di fronte alla borsa di Hong Kong.
Dice eloquentemente Paolo Cacciari nel suo Pensare la
decrescita:
"[il lavoratore si riduce a essere un] biodigestore che
metabolizza il salario con le merci e le merci con ilsalario, transitando dalla fabbrica all'ipermercato e
dall'ipermercato alla fabbrica."
E non forse questa l'altra faccia dello stesso perverso circuito
di (dis)valori responsabile, nei contesti finanziari, della
dipendenza dal profitto a tutti i costi come (unica) virt daperseguire, e tutto il resto intorno a fare da semplice accidente
collaterale, quando non ostacolo da cercare di rimuovere a
qualunque prezzo? Vivere-Per-Essere-Ricchi e Vivere-Per-
Comprare sono due aspetti complementari della realizzazione
individuale nell'avere. Solo che in questo caso la spirale - se
possibile - tremendamente pi triste e prosaica e, per questo,tragica, perch testimoniata da individui che, pur subendola in
toto, l'hanno fatta propria come normale (anzi ovvio) stile di
vita, abituale modo di essere e di vedere le cose, anzi
addirittura l'unico possibile, in quanto nella loro prospettiva
non ha alcun senso prendere in considerazione alcunch di
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diverso, tipo sedersi e provare piacere dal leggere un libro,
realizzare un lavoro a maglia, dipingere in riva al mare, fare del
bricolage, giardinaggio, trekking, piuttosto che dal sentire il
brivido del rumore della strisciata di una carta di credito o
dall'accarezzare con lo sguardo la pendenza positiva del grafico
dei guadagni dell'ultima speculazione in borsa che hai fatto.
La percezione del tempo libero dunque non (pi) vista comeun'inestimabile ricchezza a credito dell'individuo in quanto
fonte di arricchimento e di potenziale realizzazione sociale,
culturale, familiare, personale, bens come una voce a debito
nel bilancio dell'esistenza personale in quanto portatrice di
spese (per lo pi inutili, ma - ahim - inevitabili!), meglio
ancora se in comode rate mensili a un tasso speciale1
fattoapposta per te (prima rata a partire da gennaio 2012).
1(offerta valida solo fino al 31 ottobre 2011)
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Tossicodipendenza da tassi
el capitolo scorso si parlava da un lato della perversa
equazione desiderio = consumo = soldi = lavoro cheimplica la necessit da parte dei cittadini di adeguarsi
a una societ iperlavorativa che ha svilito il termine
ozio connotandolo negativamente quando invece il suo
significato vero
"(derivato dal latino otium) indica un'occupazioneprincipalmente votata alla ricerca intellettuale, attivit
di fatto riservata alle classi dominanti, ed
contrapposto al concetto di negotium, occuparsi (pi
per necessit che per scelta) dei propri affari." (da
Wikipedia);
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dall'altro della dipendenza dal profitto (ovvero dall'accumulo
parossistico di ricchezza) che l'economia di mercato
ultraliberista ha sviluppato e consolidato nella prospettiva di chi
fa impresa a tutti i livelli, dal piccolo commerciante al grande
industriale. Ebbene, sulle prime i due aspetti possono sembrare
questioni diverse e separate, almeno nella misura in cui da un
lato gli impiegati e gli operai, dall'altro gli imprenditori, sitrovano in effetti su sponde opposte di un confine sociale
marcato con l'inchiostro delle buste paga. Eppure per come la
vedo io, la radice filosofica e psicologica individuale dei due
approcci esattamente la stessa. L'istinto che porta la
popolazione a picchiarsi per entrare per prima all'inaugurazione
di un nuovo Centro Commerciale della capitale, ovvero asentirsi felice nella soddisfazione di desideri inoculati dalla
pubblicit soddisfatti acquistando cose, possibilmente
battezzate dall'incentivo di un'offerta speciale, semplicemente
la gratificazione del possesso, ovvero in pratica, ancorch su
scale diverse, lo stesso imperativo morale che porta la casta
politica e quella imprenditoriale a voler arricchirsi senza misurae a non voler rinunciare ai propri privilegi.
Perch dunque si dovrebbe pretendere da loro quello che non
vogliamo fare neanche noi? Lo so, lo sento fin da quass lo
scricchiolio dei vostri nasi che si storcono. Loro (prendiamo in
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questo caso i politici) sono dei ricchi privilegiati del cazzo, che
vanno in pensione dopo pochi anni di lavoro (lavoro per modo
di dire) e vivono da nababbi a spese dei contribuenti. Per non
parlare di uno come Marchionne il cui stipendio annuale vale lo
stipendio annuale di qualche migliaio di operai (dunque se
Marchionne rinunciasse al 90% del suo stipendio resterebbe
comunque molto ricco e nel contempo potrebbe evitare la cassa
integrazione a un'intera fabbrica per un anno). Perch, diretevoi (lo sapete che percepisco i vostri pensieri), non cominciano
loro a ridursi i loro privilegi, visto che siamo noi quelli che se
lo prendono sempre sotto la coda? Vi capisco, il vostro
ragionamento non fa una piega. Quello che per mi interessa
evidenziare qui, che la molla psicologica che anima loro e voi
la stessa, perch se voi foste al posto loro (o comunque lamaggioranza di coloro che non sono al posto loro) vi
comportereste n pi n meno come loro. Un po' come
ritrovarsi nel bel mezzo di una sorta di intifada della cupidigia.
Per questo nell'ambito della filosofia della decrescita, che poi
non solo una dottrina teorica, bens anche un programma
sociale e politico molto pratico, quello che viene richiesto aisingoli individui a tutti i livelli (sociale, politico, economico,
individuale) un salto generale di visione, che deve partire
innanzitutto dalla comprensione e dalla consapevolezza che
questo non l'unico mondo possibile, che questo non il
migliore mondo possibile. Ed proprio questo che intende
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Serge Latouche quando parla di decolonizzazione
dell'immaginario, ovvero la disintossicazione mentale da quel
sistema consolidato (autorafforzativo e autocelebrativo) dicredenze in base alle quali gli individui della societ
occidentale vengono educati, crescono, vivono e muoionoall'interno di un modello di esistenza non inevitabile, n inveropi auspicabile di altri. dunque una rivoluzione culturale
generale quella che prima di ogni altra cosa deve diffondersicome una mutazione positiva, affinch il cambiamento possa
davvero avere qualche possibilit, una rivoluzione che pupartire solo dal diffondersi di una coscienza sociale criticaverso se stessa e conduca cos le persone innanzitutto alriconoscimento che si pu (anche) vivere diversamente da cos,
senza che questo debba significare per forza peggio di cos.
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Pensieri nei dintorni dell'utopia
on faccio fatica a riconoscere che vista cos sulla
superficie del pelo dell'acqua, distante dalla spiaggia,tutta questa faccenda della decrescita suona un po'
come un'inutile pazzia, come l'imbarcarsi in una lotta
contro i giganti, un'impresa folle, persa in partenza, destinata a
fallire miseramente nella polvere e nelle lacrime della
frustrazione, un'azione buona solo per l'autoreferenzialit che
esprime e dunque per la gratificazione psicologica che regala achi la fa, a prescindere dai risultati finali che pu raggiungere.
Perch in questo caso il nemico non ha un volto preciso. Non
puoi andarlo a prendere di notte, tendergli un'imboscata,
nemmeno lanciargli dei pomodori marci quando passa col suo
corteo di auto blu, n puoi mettere un cecchino sul tetto,
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aspettando che esca allo scoperto. Perch in questo caso il
nemico ovunque, diffuso, frammentato e, per questo,
onnipresente. Ma, soprattutto, in questo caso molta parte del
nemico annidata dentro ciascuno di noi e chi disposto a fare
piazza pulita di se stesso, ammettendo dunque cos per certi
versi di avere fin qui sbagliato?
Eppure, come ho avuto spesso modo di dire, sono convinto che
se l'occidente non sar capace di cambiare il suo modo diintendere il mondo, istruendo cos anche l'oriente che con il
ritardo di qualche decade sta ormai rincorrendo
vertiginosamente lo stesso modello, sar il mondo che decider
per l'occidente - ma anche per l'oriente - e li affonder entrambi
nel giro di poche decadi. A quel punto il cambio di visione non
sar pi scelto, controllato, programmato, ma imposto dallacasualit e dalla bala degli eventi, come una tempesta di neve
epocale che vi ha colto in cima a un monte, dopo che avete
ignorato l'alzarsi del vento tagliente, l'abbassamento drastico
della temperatura e il rannuvolamento cupo del cielo a partire
dall'orizzonte delle creste e poi, via via, sempre pi sulle vostre
teste indifese e presuntuose.
Ma non ci si pu aspettare che siano i politici a prendere
l'iniziativa. Essi non avranno mai il coraggio di mettersi a
cavallo di argomentazioni elettoralmente penalizzanti presso i
cittadini come quelle che parlano di cose che hanno a che fare
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con il concetto di rinuncia. Quindi siete voi a dover cominciare
a dimostrare a parole (ovvero parlandone il pi possibile) e nei
fatti (comportamenti ed esempi), che le nuove istanze sono
forti, condivisibili e auspicabili, e che esiste un desiderio
autentico di uscire da quello che Cornelius Castoriadis chiama
onanismo consumistico televisivo2, attuando un nuovo tipo di
educazione ecologica a tutto tondo, difendendosi dalla
manipolazione aggressiva della pubblicit e rinnovando i valoridella quotidianit da quelli del consumo, a quelli della
relazione, della convivialit, della cultura e della creativit.
Questa la conditio sine qua non, la triangolazione morale
necessaria a individuare la rotta e catalizzare l'energia per
intraprendere il viaggio verso una societ rinnovata. Dopodichi cambiamenti di paradigma potranno cominciare a essere
portati avanti anche a livello politico, economico e sociale. Ma
non crediate che, come sempre succede con la politica, ci si
fermi agli slogan, belli e suggestivi, ma vuoti e inutili. La
filosofia della decrescita ha individuato una manciata di
obiettivi ben precisi da perseguire.
2Cornelius Castoriadis, Une socit la drive
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Ingredienti per un mondo nuovo
a decrescita dunque non si limita alla masturbazione
filosofica, non segue le orme dei discorsi che puzzanodi campagna elettorale tipo pi lavoro per tutti,
bisogna investire nella scuola, le pensioni non si
toccano, la salute il bene primario, citt pi sicure,
salvaguardare il territorio a tutti i costi, eccetera. Non si
ferma al distillato della teoria, insomma. E non vuole (n forse
pu) nemmeno essere demagogia. Perch la decrescita richiedeimpegno, sia nell'individualit che nella collettivit nel
perseguimento degli obiettivi che si propone di raggiungere. In
linea generale si tratta di otto azioni suggerite da Serge
Latouche necessarie a suo giudizio per mettere in moto un
circolo virtuoso di decrescita sociale. Permettetemi il
L
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didascalismo, e lasciate che ve le illustri brevemente (per i
dettagli vi rimando alle sue pubblicazioni). Credo sia
importante dare loro un'occhiata, se non altro per farsi almeno
un'idea di quali siano le direzioni complessive, individuali,
sociali, politiche ed economiche che la filosofia della decrescita
propone di seguire per cercare di innescare un circolo virtuoso
che cambi davvero il mondo o almeno che ci provi. Magari per
invogliarvi ad approfondire il tema.
1. Rivalutare
Qui si parla di valori e in parte Latouche si riferisce a quanto ho
gi esposto nei capitoli precedenti. Le scale di valori (ovvero di
non-valori) oggi dominanti vanno cambiate, l'immaginario
consumistico va demitizzato a favore di una (ri)appropriazioneconsapevole di valori sociali autentici. "L'altruismo dovrebbe
prevalere sull'egoismo, la collaborazione sulla competizione
sfrenata, il piacere del tempo libero e l'ethos del gioco
sull'ossessione del lavoro l'importanza della vita sociale sul
consumo illimitato, il locale sul globale, l'autonomia
sull'eteronomia, il gusto della bella opera sull'efficienzaproduttivistica, il ragionevole sul razionale, il relazionale sul
materiale"3.
3Serge Latouche,Breve trattato sulla decrescita serena (Einaudi)
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2. Riconcettualizzare
il diretto corollario della rivalutazione. Le coordinate di
nuovi valori tracciano una diversa mappa del mondoconosciuto, del mondo auspicato, un mondo che si deve fare
proprio. La riconcettualizzazione dunque appannaggio peresempio del binomio ricchezza/povert o rarit/abbondanza,quest'ultimo "binomio infernale, fondatore dell'immaginario
economico, che necessario decostruire con la massimaurgenza"4. Infatti "l'economia trasforma l'abbondanza naturale
in rarit con la creazione artificiale della mancanza e delbisogno attraverso l'appropriazione della natura e la suamercificazione"5. Inutile dire che questo uno dei paradigmi dadepotenziare.
3. Ristrutturare
evidente che l'apparato produttivo e i rapporti sociali vannoadeguati alla rivalutazione e alla riconcettualizzazione: questa
la ristrutturazione, sebbene non detto che essa debba perforza discendere come conseguenza dai primi, bens pu
anch'essa concorrere al consolidamento dei primi, come in unprocesso di retroazione positiva che diventa cos circolovirtuoso. Di certo la ristrutturazione implica la fuoriuscita dal
4 Serge Latouche, Op.cit.5 Paul Dumouchel e J.-P. Dupuy,L'Enfer des choses
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capitalismo. Questo tuttavia non deve far pensare che la
decrescita sia espressione di una societ schierata compatta a
sinistra, tant' che a tutt'oggi tutte le forze di sinistra si
esprimono, pur con i loro distinguo, sempre in termini del solito
mantra bipartisan: crescita-crescita-crescita. A tale proposito
infatti, Latouche rivendica il fatto che il programma della
decrescita sia "in primo luogo un programma di buon senso" e
che " altrettanto poco condiviso sia a sinistra che a destra"
6
. Equesto, aggiungo io, d la misura delle profonde contraddizioni
in cui versa la sinistra di oggi. Del resto su questo punto
Latouche ha ragione e giustamente approfitta della situazione
per smarcare intelligentemente la decrescita dalla diatriba
politica. Tuttavia, lo spirito non cambia e, a mio modo di
vedere, i valori propugnati dalla decrescita dovrebberocorrispondere ai valori classici della sinistra, ancorch
traghettati dentro la modernit del XXI secolo. Potete
immaginare valori di questo genere promossi da forze - anche
moderate - di destra?
4. Ridistribuire
Qui lascio parlare direttamente Latouche, non saprei dirlo
meglio. "La ristrutturazione dei rapporti sociali gi ipso facto
una ridistribuzione. Questa riguarda la ripartizione delle
6Serge Latouche, op. cit.
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ricchezze e dell'accesso al patrimonio naturale tanto tra il Norde il Sud, quanto all'interno di ciascuna societ, tra le classi, le
generazioni, gli individui. La ridistribuzione avr un dupliceeffetto sulla riduzione del consumo. Direttamente,
ridimensionando il potere e i mezzi di consumo della 'classeconsumatrice mondiale' e in particolare dell'oligarchia deigrandi predatori. Indirettamente, diminuendo lo stimolo al
consumo vistoso"
7
.
5. Rilocalizzare
naturale che la decrescita faccia della deglobalizzazione unodei suoi punti cardinali. Pertanto tutto ci che producibilelocalmente, va prodotto localmente. In quest'ottica gli
spostamenti di merci e di capitali vanno ridottiall'indispensabile. C' davvero bisogno di fragole cilene aNatale o di ninnoli cinesi tutto l'anno? Ma anche la politica, lacultura, l'economia, fino addirittura al senso della vita, "devono
ritrovare un ancoraggio territoriale"8 e le relative decisionidevono essere prese localmente tutte le volte che possibile. Le
Societ Mutue per l'Autogestione9
per esempio sono realtsociali ed economiche territoriali che vanno esattamente inquesta direzione, per questo soluzioni del genere dovrebbero
7 Serge Latouche, op. cit.8 Serge Latouche, op. cit.9
http://www.magverona.it/
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essere promosse e incentivate. Allora da questo punto di vistala decrescita potrebbe addirittura rendere felici i leghisti?
6. Ridurre
una societ, quella odierna occidentale, che fa del "troppo" lasua cifra esistenziale. Dunque esistono numerosi ambiti in cui necessario ridurre, ridimensionare, senza che questo significhi
vivere da pezzenti. Ridurre i sovraconsumi e il loro impattosulla biosfera, anche attraverso una moratoria della pubblicit,
in maniera da disincentivare la creazione di bisogni inesistenti.Ridurre gli sprechi (perch mai si deve vendere un tubetto didentifricio dentro una scatola di cartone?). Ridurre il turismo dimassa. Ridurre - come gi detto - gli orari di lavoro e
incentivare la flessibilit dando la possibilit, per esempio, a unoperaio che lavora in una fabbrica automobilistica, di fare altronei periodi in cui la fabbrica non lavora per penuria didomanda. Da questo punto di vista, Latouche sostiene che il
sistema interinale pu essere un passo nella direzione giusta,anche se il sistema ovviamente va concepito con una
prospettiva del tutto diversa.
7. Riutilizzare
Il concetto dell'uso e della sostituzione degli oggetti nellasociet dei consumi ha innumerevoli sfaccettature, ma che si
riducono soprattutto al fatto che gli oggetti hanno una vita d'uso
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molto pi breve di quella che potrebbero ragionevolmente
avere a causa di quella che Brooks Stevens chiam
obsolescenza pianificata e che in estrema sintesi pu essere
duplice. Da un lato c' l'obsolescenza progettuale, ovvero
quella in base al quale si costruiscono e si mettono sul mercato
degli oggetti che deliberatamente durano poco, hanno una
scarsa affidabilit, o si consumano (o si rovinano) in fretta, in
modo da costringere gli utenti alla loro frequente sostituzione.Dall'altro c' l'obsolescenza indotta, ovvero quella realizzata
attraverso per lo pi la pubblicit e il marketing che instillano
nel consumatore il bisogno del rinnovo dell'oggetto
proponendone uno che fa il medesimo uso, solo pi
bello/potente/veloce/ecologico, anche quando quello che avete
gi potrebbe andare avanti ancora per molto, molto tempo.
8. Riciclare
Questo ovvio, direte voi. Certo. Ma il riciclaggio deve andare
oltre la semplice raccolta differenziata dei rifiuti (bench questa
non sia ancora diffusa ed entrata nelle mentalit dei cittadini sututto il territorio come dovrebbe, e prova ne l'ormai celebre,
fantomatico tizio che butta via una bottiglia di vetro o un
giornale nel bidone dell'immondizia comune, quando proprio di
fianco, a solo un metro di distanza, ci sono i rispettivi
contenitori per la raccolta differenziata), ma essere
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implementata industrialmente nelle macchine, ovvero nella loro
progettazione, nei materiali con cui sono costruite, e nella
filosofia del loro utilizzo e della loro dismissione una volta
esaurito il loro compito.
Ebbene, ci che davvero interessante (e bello) di queste
regole, che se da una parte, dal punto di vista pubblico,
ovvero politico e sociale, sembrano uscite da un'autenticautopia moderna, dall'altra la maggioranza di esse di fatto
perseguibile anche su piccola scala, localmente, addirittura
individualmente. E per questo dunque sono davvero tutto il
contrario dell'utopia. Magari in quest'ultimo caso la loro
efficacia potr risultare di minore impatto di quanto non
potrebbe essere se fossero istituzionalizzate ufficialmente nelsistema, eppure sono convinto che, a condizione di essere tanti
(e quando dico tanti, intendo TANTI), anche solo l'adozione
personale di questi stili di vita pu contribuire a cambiare la
societ in maniera significativa. Ci che davvero interessante
(e bello) di queste regole, che fanno piazza pulita di tutti gli
alibi che la gente adduce per rimanere nella soffice comoditdel lamento e trovare cos il modo per non passare mai
all'azione.
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Decrescita? No, grazie!
onostante le argomentazioni e i propositi, che
qualsiasi essere umano sano di mente dovrebbetrovare condivisibili, almeno a livello concettuale, la
filosofia della decrescita a mio avviso afflitta da due
vizi, uno in qualche modo evitabile, l'altro purtroppo
connaturato alla filosofia stessa, che agiscono come attriti
profondi alla sua diffusione presso i cittadini del mondo
occidentale. Il primo di ordine puramente rappresentativo e,non tenendo in considerazione il fatto che comunque la societ
occidentale una sorta di mediamondo, in cui dunque le idee
non possono (pi) prescindere dai mezzi di comunicazione con
cui vengono diffuse e dalla forma con cui vengono diffuse, il
N
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termine "decrescita" quanto di pi deleterio e
controproducente ci possa essere.
La gente superficiale, la gente non approfondisce, la gente
pigra e presuntuosa e dunque si convince sempre di avere
capito tutto alla prima impressione. La gente per lo pi
costruisce le proprie opinioni di un'esistenza intera solo per
sentito dire. Dunque quale pu essere il destino di una filosofia,che anche uno stile di vita, imperniata su una parola chiave
come "decrescita"? Come convincere la gente anche a
interessarsi a una cosa che se ne va in giro a dire come prima
cosa che "meno meglio" (come dal titolo dell'ultimo libro di
Maurizio Pallante, uno dei maggiori promotori italiani del
"decrescita felice" e fondatore dell'omonimo Movimento)?
Crescere un termine che prima di ogni altra cosa l'istinto
associa ai processi biologici e normalmente, se le cose vanno
per il verso giusto, a meno dunque di circostanze patologiche,
la crescita quello che sempre ci si auspica. Basti pensare ai
bambini che se non crescono un guaio, ma lo stesso succedeai germogli del grano, o ai pulcini, o ai vitelli. Dunque, per
converso, il termine decrescita evoca qualcosa che non
funziona, ovvero che non desiderabile. Perch dunque farlo
diventare il termine di riconoscimento rappresentativo del
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nuovo mondo che vorremmo? Da un punto di vista memetico
non potr mai funzionare.
Ma c' anche un'ulteriore svista semantica da considerare, nella
quale a mio avviso sono inciampati i vari filosofi e promotori di
questo ambizioso programma di rinnovamento sociale globale.
Ed il fatto che se senti la necessit di associare alla decrescita
un aggettivo positivo come "felice" o "serena", confermiimplicitamente la negativit della prima e questo messaggio
quasi subliminale, nell' immaginario sempre superficiale e un
po' rozzo di chi ascolta, non fa altro che acuire per reazione
l'attitudine al rifiuto e in questo modo ad allontanare il
destinatario anche solo dalla voglia di fare un tentativo per
capire qualcosa di pi della visione che vi sta dietro, abortendocos fin dal principio la possibilit che vi possa trovare dentro
qualcosa di buono e, magari, condivisibile.
Il secondo, quello intrinseco, di natura mentale o, se
vogliamo, psicologica.
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La ri(e)voluzione della specie
altro aspetto (forse il peggiore di tutti) che penalizza
la filosofia della decrescita il suo essere in
controtendenza rispetto alle inclinazioni (animali)
insite nella natura umana. Difatti come nonriconoscere che queste ultime sono quelle maggiormente
assecondate dal sistema ultraliberista dell'economia di mercato,
dello sviluppo, del profitto, della ricchezza oltre misura,
dell'iperbenessere e del Tutto-Intorno-A-Te? Come pu
dunque, in condizioni pi o meno normali, la decrescita
competere con un sistema che, seppure mostrando preoccupanti
segni di cedimento, riesce ancora (almeno nel breve o
brevissimo periodo) a propinare con una qualche vaga
credibilit, complice il sistema autoreferenziale dei media,
miraggi luccicanti di un futuro fatto di automobili volanti,
L'
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divani antigravitazionali, merendine neurotoniche, televisioni
inebrianti e biancheria intima autocarrozzante?
Ma quel che peggio, non tanto il fatto che la decrescita
predichi una sobriet e una lungimiranza a un mondo in cui la
sobriet stata gettata a marcire negli abissi fetidi delle
discariche di rifiuti del Terzo Mondo, e la lungimiranza stata
svenduta alle compagnie che sfruttano e vessano i lorodipendenti (anche minorenni) rendendoli di fatto gli schiavi
10
del nuovo millennio. No. Il peggio il fatto che la decrescita
richiede impegno, attivit e partecipazione. La decrescita
impone all'individuo di tornare innanzitutto a essere cittadino e
dunque individuo responsabile che fa parte di una comunit che
potr avere un futuro non tanto a partire dalle iniziativeindividualistiche, quanto dalle scelte condivise. La decrescita
sollecita il singolo ad alzarsi dalla comoda poltrona di una vita
fatta di abbonamenti e punti premio, di partite di calcio e di
grandi fratelli, e di fare propria la lungimiranza di pensare che
il futuro proprio e dei propri figli stavolta dipende solo e
soltanto, pi di ogni altra cosa, da quello che far lui oggi.
10http://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2011/11/01/news/schiavitu_mod
erna-24252461/
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La decrescita chiede innanzitutto all'individuo di lasciare da
parte le pantofole e mettersi in marcia per farsi parte attiva del
cambiamento, perch da l che tutto deve cominciare. Quando
si parla di decrescita, il cittadino deve smetterla di demandare il
suo futuro alla X su una scheda elettorale, pensando di aver
cos esaurito il suo compito all'interno della comunit: la
politica non ha mai aggiustato le cose (a meno - forse - di non
aver toccato veramente il fondo) e tantomeno potr farlo oggi(a meno - forse - di non toccare veramente il fondo). Ed da
questo punto di vista che il cambiamento della decrescita pu
davvero essere chiamato "rivoluzione", l'unica auspicabile,
l'unica pacifica, l'unica possibile, ma solo e soltanto dentro una
condivisione il pi allargata possibile. Perch il cambiamento
invocato dalla "decrescita serena" chiede alle persone dirimboccarsi le maniche e di diventare, a tutti i livelli, ciascuno
nel suo piccolo ambito, ciascuno con il suo impegno, ciascuno
con il suo esempio, uno che ci mette del suo, uno che agisce per
cambiare le cose, dunque - di fatto - un rivoluzionario.
La difficolt (e parte della mia mancanza di ottimismo ariguardo, o forse dovrei chiamarlo semplicemente realismo?)
risiede nel fatto che se una volta bastava una sola, grande
personalit rivoluzionaria per coinvolgere la massa
nell'inseguimento di un ideale forte di cambiamento, oggi la
rivoluzione della decrescita funzioner solo se ciascuno si far
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rivoluzionario nella consapevolezza consolatoria che, mal che
vada, la raggiunta maggiore sostenibilit della propria vita gli
potr essere motivo di salvezza se (quando?) il sistema croller
imponendo comunque con la forza (ovvero tutta d'un colpo)
quella medesima decrescita che la comunit non avr saputo
scegliersi in maniera ragionevole e programmata.
La Filosofia della Decrescita chiede dunque all'uomo di farequalcosa di equivalente a un vero e proprio salto evolutivo di
pensiero, un salto che nell'azione sar capace di premiarlo in
termini di selezione naturale e dunque in termini di maggiori
capacit di sopravvivenza in quello che sar l'ambiente sociale
di domani e, soprattutto, di maggiore felicit.
Voi la state prendendo la rincorsa?
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