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G. FIGÀ-TALAMANCA - A. GENOVESE RIFORMA DEL DIRITTO SOCIETARIO E GRUPPI DI SOCIETÀ (Parere pro veritate) SOMMARIO. I - GENERALITÀ. 1) Introduzione. 2) Adempimenti relativi alle società unipersonali. 3) Soggetti esercenti l’attività di direzione e coordinamento. II - GLI ADEMPIMENTI INFORMATIVI. 4) L’indicazione negli atti e nella corrispondenza. 5) L’iscrizione nel registro delle imprese. 6) L’informazione di bilancio. 7) La relazione sui rapporti con le società del gruppo. III - LE INCOMPATIBILITÀ. 8) I componenti degli organi di controllo. 9) I revisori contabili. IV - LA RESPONSABILITA’ DA DIREZIONE E COORDINAMENTO. 10) La responsabilità principale della società o dell’ente capogruppo. 11) Segue. La condotta. 12) Segue. La natura della responsabilità e l’onere della prova. 13) Segue. La mancanza di responsabilità alla luce del risultato complessivo della direzione e del coordinamento. Vantaggi compensativi e operazioni dirette a eliminare il danno. 14) La responsabilità solidale degli amministratori e dei componenti l’organo di vigilanza della capogruppo. 15) La responsabilità solidale degli amministratori e componenti gli organi di vigilanza della sottoposta. 16) La responsabilità solidale del socio di controllo e delle altre società del gruppo. 17) I soggetti che possono vantare pretese risarcitorie. I soci esterni della società diretta e coordinata. 18) Segue. I creditori della società diretta e coordinata. 19) Segue. La società diretta e coordinata. V - CONFLITTO DI INTERESSI NEI GRUPPI. 21) Generalità. 22) Operazioni infragruppo e conflitto di interessi degli amministratori. 23) Il conflitto di interessi del socio. 24) L’infedeltà patrimoniale degli amministratori di società capogruppo o appartenenti a un gruppo. Il vantaggio compensativo come scriminante. VI DOVERI SPECIFICI DI AMMINISTRATORI E SINDACI DI SOCIETA’ CAPOGRUPPO E APPARTENENTI A UN GRUPPO. 25) Doveri specifici degli amministratori e dei componenti l’organo di vigilanza della capogruppo. 26) Doveri specifici degli amministratori e dei componenti l’organo di vigilanza della sottoposta. VII - IL RECESSO. 27) Le cause di recesso. VIII - I FINANZIAMENTI INTRAGRUPPO. 28) La postergazione dei crediti per finanziamenti intragruppo. I – GENERALITÀ 1) Introduzione. La nuova disciplina dei gruppi di società è uno dei tratti salienti della riforma del diritto societario di cui al d.lgs. n. 6 del 2003. Il legislatore ha introdotto con gli articoli 2497 ss. un complesso organico di norme riferite alla “direzione e coordinamento di società”, che prevedono adempimenti pubblicitari e informativi nonché specifici strumenti di tutela dei soci “esterni” e dei creditori delle società controllate. 1

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G. FIGÀ-TALAMANCA - A. GENOVESE

RIFORMA DEL DIRITTO SOCIETARIO E GRUPPI DI SOCIETÀ(Parere pro veritate)

SOMMARIO. I - GENERALITÀ. 1) Introduzione. 2) Adempimenti relativi alle società unipersonali. 3) Soggetti esercenti l’attività di direzione e coordinamento. II - GLI ADEMPIMENTI INFORMATIVI. 4) L’indicazione negli atti e nella corrispondenza. 5) L’iscrizione nel registro delle imprese. 6) L’informazione di bilancio. 7) La relazione sui rapporti con le società del gruppo. III - LE INCOMPATIBILITÀ. 8) I componenti degli organi di controllo. 9) I revisori contabili. IV - LA RESPONSABILITA’ DA DIREZIONE E COORDINAMENTO. 10) La responsabilità principale della società o dell’ente capogruppo. 11) Segue. La condotta. 12) Segue. La natura della responsabilità e l’onere della prova. 13) Segue. La mancanza di responsabilità alla luce del risultato complessivo della direzione e del coordinamento. Vantaggi compensativi e operazioni dirette a eliminare il danno. 14) La responsabilità solidale degli amministratori e dei componenti l’organo di vigilanza della capogruppo. 15) La responsabilità solidale degli amministratori e componenti gli organi di vigilanza della sottoposta. 16) La responsabilità solidale del socio di controllo e delle altre società del gruppo. 17) I soggetti che possono vantare pretese risarcitorie. I soci esterni della società diretta e coordinata. 18) Segue. I creditori della società diretta e coordinata. 19) Segue. La società diretta e coordinata. V - CONFLITTO DI INTERESSI NEI GRUPPI. 21) Generalità. 22) Operazioni infragruppo e conflitto di interessi degli amministratori. 23) Il conflitto di interessi del socio. 24) L’infedeltà patrimoniale degli amministratori di società capogruppo o appartenenti a un gruppo. Il vantaggio compensativo come scriminante. VI  DOVERI SPECIFICI DI AMMINISTRATORI E SINDACI DI SOCIETA’ CAPOGRUPPO E APPARTENENTI A UN GRUPPO. 25) Doveri specifici degli amministratori e dei componenti l’organo di vigilanza della capogruppo. 26) Doveri specifici degli amministratori e dei componenti l’organo di vigilanza della sottoposta. VII - IL RECESSO. 27) Le cause di recesso. VIII - I FINANZIAMENTI INTRAGRUPPO. 28) La postergazione dei crediti per finanziamenti intragruppo.

I – GENERALITÀ

1) Introduzione.La nuova disciplina dei gruppi di società è uno dei tratti salienti della riforma del diritto societario di cui al d.lgs. n. 6 del 2003. Il legislatore ha introdotto con gli articoli 2497 ss. un complesso organico di norme riferite alla “direzione e coordinamento di società”, che prevedono adempimenti pubblicitari e informativi nonché specifici strumenti di tutela dei soci “esterni” e dei creditori delle società controllate. Tuttavia l’attenzione per il fenomeno dei gruppi di società da parte del legislatore della riforma emerge anche da numerose altre disposizioni: da quelle disciplinanti i doveri degli organi sociali a quella relativa alla denuncia di gravi irregolarità; disposizioni tutte dalle quali è facile desumere una legittimazione della direzione unitaria di gruppo.Oltre alle disposizioni espressamente riferite alla direzione unitaria di gruppo o alle società controllanti e controllate, si può osservare che gli stessi principi di fondo del diritto societario hanno subito modifiche assai significative per quanto concerne la prospettiva del gruppo.

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Si pensi innanzitutto alla nuova disciplina delle società unipersonali: sino ad oggi l’unico azionista assumeva responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, quasi che la regola basilare della responsabilità limitata fosse del tutto incompatibile con il controllo totalitario; anche nella s.r.l. il beneficio delle responsabilità limitata veniva concesso solo al socio persona fisica, che non fosse socio unico di più società. Nella prospettiva tradizionale allora lo svolgimento di attività imprenditoriali attraverso società controllate non era sufficiente a realizzare l’obiettivo della segmentazione del rischio relativo ai diversi settori di attività, quando alle singole società non partecipassero azionisti esterni. Questo significa che sino ad oggi l’organizzazione dell’impresa nella forma del gruppo di società era idoneo a realizzare politiche di leverage finanziario a carico degli azionisti esterni. Ma in mancanza di soci esterni lo strumento non poteva realizzare l’obiettivo di un’articolazione del regime di responsabilità, per le obbligazioni assunte dalle varie società di cui la controllante socio unico assumeva una sorta di garanzia ex lege.Con la riforma viene a mutare la stessa identità funzionale della società di capitali, che si presta ad essere impiegata non solo come istituto al servizio di iniziative collettive per la condivisione del rischio di impresa, ma anche come strumento al servizio della mera separazione patrimoniale del patrimonio dell’impresa con riferimento a diverse iniziative facenti capo ad un unico centro imprenditoriale: è escluso che la controllante, in quanto unico socio, sia chiamata a rispondere dei debiti della controllata, purché provveda al versamento integrale dei conferimenti e agli adempimenti pubblicitari previsti dalla legge. È così intervenuta una modificazione a livello di principi, laddove di fatto si ricorreva spesso ad intestazioni di comodo di piccole partecipazioni sociali al fine di non incorrere nella responsabilità dell’unico azionista. Ma la conseguenza pratica di tale nuova impostazione non si limita al superamento della necessità di valersi di espedienti per mantenere il regime della responsabilità limitata: come si vedrà si tratta di una espressa opzione del legislatore per rimedi di natura diversa: rimedi operanti non a livello di garanzia per le obbligazioni sociali ma piuttosto a livello di risarcimento per i danni da scorretta gestione imprenditoriale del gruppo. Sul presupposto, appunto, che il gruppo sia una forma di organizzazione dell’attività di impresaIn altre parole il nuovo principio di fondo che emerge dalla riforma sancisce il riconoscimento del gruppo quale tecnica di delimitazione del rischio di impresa che si avvale del controllo societario, anche totalitario; tecnica alla quale vengono poi affiancate nuove modalità alternative di separazione patrimoniale. Soppressa la sanzione indiscriminata della responsabilità illimitata per le obbligazioni, vengono introdotte sanzioni specifiche incentrate sulla responsabilità danni. In particolare si prospetta una responsabilità della società capogruppo per i danni procurati nell’esercizio della direzione unitaria. È dubbio tuttavia se dall’assetto complessivo della nuova disciplina consegua un vero e proprio dovere di buona amministrazione del gruppo, con conseguente responsabilità contrattuale per inadempimento, oppure una responsabilità extracontrattuale che sorge solo in caso di abuso del potere di direzione e coordinamento. Sul tema si tornerà più avanti.

2) Adempimenti relativi alle società unipersonali.Come accennato, la riforma ha profondamente inciso sulla disciplina della società per azioni con unico azionista. La sanzione della responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali (ma esclusivamente in caso di insolvenza) è sancita solamente per il caso in cui non siano stati

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integralmente eseguiti i conferimenti o non si sia provveduto agli adempimenti pubblicitari richiesti.Specificamente l’art. 2342 c.c. richiede all’unico azionista di provvedere al versamento dei conferimenti ancora dovuti entro 90 giorni. Il termine decorre dal momento in cui viene meno la pluralità dei soci. Tuttavia per le società le cui azioni sono intestate ad un unico socio al momento dell’entrata in vigore della riforma, si deve ritenere che il termine decorra dal 1 gennaio 2004. Stando al tenore della disposizione, si direbbe che il socio non assume responsabilità illimitata sino a quando non scade il termine per provvedere ai versamenti.Inoltre l’art. 2362 c.c. richiede che sia depositata al registro delle imprese una dichiarazione indicante le generalità dell’unico azionista: al deposito sono legittimati sia gli amministratori della società con unico azionista sia l’azionista stesso. La dichiarazione va depositata entro trenta giorni dall’iscrizione nel libro soci dell’atto in conseguenza del quale si è determinata la concentrazione di tutte le azioni in mano ad un socio (per le società che risultano unipersonali all’entrata in vigore della riforma, il termine si ritiene decorra dal 1 gennaio 2004).L’unico azionista assume responsabilità illimitata per le obbligazioni sorte sino al momento in cui avvenga il deposito al registro delle imprese della dichiarazione. Sicché è suo interesse che vi si provveda al più presto anche prima del termine di 30 giorni. In realtà non sono previste sanzioni specifiche per il ritardo nel deposito, che sembra configurare per il socio un onere necessario ad accedere alla responsabilità limitata piuttosto che un obbligo. In effetti per non rischiare, in caso di insolvenza della società, di essere chiamato a rispondere illimitatamente per le obbligazioni sorte nel periodo tra l’acquisto di tutte le azioni e l’iscrizione della dichiarazione, il socio dovrebbe adoperarsi perché la dichiarazione venga depositata presso il registro delle imprese contestualmente al venir meno della pluralità dei soci. Peraltro si potrebbe ritenere che l’iscrizione della dichiarazione relativa all’unico azionista sia comunque doverosa per gli amministratori; in effetti la disposizione recita: “gli amministratori devono...”, mentre: “il socio... può provvedere”. Agli amministratori inadempienti potrebbe applicarsi la sanzione amministrativa di cui all’art. 2630 c.c. (da 206 a 2.065 euro). Mentre è dubbio se il socio unico possa pretendere dagli amministratori il risarcimento del danno che gli sia derivato dal mancato deposito della dichiarazione nel registro delle imprese.Infine l’art. 2362 c.c. prevede che i contratti tra la società e l’unico socio e le operazioni a favore dell’unico socio non siano opponibili ai creditori se non risultanti da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento o dal libro delle adunanze e deliberazioni del consiglio di amministrazione. La disposizione concerne evidentemente in primo luogo atti di disposizione del patrimonio sociale a favore del socio unico. L’inopponibilità dei contratti tuttavia sembra investire anche il credito che ne derivi a favore del socio unico, che non potrebbe dunque essere fatto valere nelle procedure esecutive attivate dai creditori sociali o nel fallimento. Quanto all’annotazione dell’operazione nel libro delle adunanze e deliberazioni del consiglio di amministrazione, si potrebbe ritenere possa provvedervi eventualmente anche l’amministratore unico, nonché, per quanto di sua competenza, l’amministratore delegato (salvo quanto si dirà più avanti sulla rimessione al consiglio di amministrazione in caso di conflitto di interessi).Per completezza si segnala che, a differenza di quanto si dispone per le società a responsabilità limitata nell’art. 2250 c.c., le società per azioni con unico socio non devono indicare tale circostanza negli atti e nella corrispondenza. Salvo quanto previsto dal nuovo art. 2497-bis c.c. in ordine all’obbligo per le controllate di indicazione negli atti e nella

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corrispondenza la propria soggezione all’altrui direzione e coordinamento, di cui si dirà più avanti. Solo per le s.r.l. occorrerà dunque indicare negli atti e nella corrispondenza le generalità dell’unico azionista, oltre a quelle della capogruppo.

3) Soggetti esercenti l’attività di direzione e coordinamento.La nuova disciplina dei gruppi di società si incentra sull’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento. È dunque necessario innanzitutto identificare i soggetti che, in base alle definizioni di legge, si considerano esercenti attività di direzione e coordinamento. In primo luogo si rileva che tutte le disposizioni si riferiscono a “società o enti” che esercitano attività di direzione e coordinamento di società (tale attività non si imputa dunque a persone fisiche). Si parla inoltre di attività svolta in funzione di un interesse imprenditoriale. Per quanto interessa in questa sede, si osserva che una società cooperativa può certamente essere soggetto esercente attività di direzione e coordinamento, ancorché la relativa disciplina sia collocata sotto un Capo del Titolo V del Libro V del codice civile.A sensi dell’art. 2497-sexies c.c. “si presume salvo prova contraria l’attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalle società o enti tenuti al consolidamento dei loro bilanci, o che comunque le controllano ai sensi dell’art. 2359”.Dunque la società che redige il bilancio consolidato si presume eserciti l’attività di direzione e coordinamento su tutte le società incluse nel consolidato. L’ulteriore richiamo all’art. 2359 c.c. si ritiene valga ad includere, tra le società soggette a direzione e coordinamento, quelle su cui l’influenza dominante deriva da “particolari vincoli contrattuali” (c.d. controllo esterno, art. 2359 n. 3): infatti le fattispecie dei numeri 1) e 2) dell’art. 2359 (c.d. controllo interno di diritto e di fatto) sono già incluse nella fattispecie del consolidamento. E in effetti la direzione e coordinamento potrebbe darsi anche nei confronti di società non partecipate, sulle quali appunto si eserciti un’influenza dominante in base a rapporti contrattuali, società escluse invece dall’area del consolidamento. La presunzione di direzione e coordinamento collegata alla redazione del bilancio consolidato pone comunque taluni interrogativi in relazione alla possibilità di una duplicazione di soggetti cui potrebbe imputarsi l’attività di direzione e coordinamento.In particolare ai sensi dell’art. 25 del d.lgs. n. 127 del 1991 è tenuta alla redazione del bilancio consolidato la società controllante. La nozione di controllo di cui al successivo art. 26 include come si è detto le ipotesi dell’art. 2359 n. 1) e 2) (società che dispone della maggioranza dei voti, o dei voti sufficienti ad esercitare influenza dominante, nell’assemblea ordinaria). Comprende inoltre l’influenza dominante che si fonda su un “contratto di dominio” o su apposite clausole statutarie (ove previsto dall’ordinamento applicabile), nonché il controllo della maggioranza dei diritti di voto in base a patti parasociali.Sicché ogni società controllante sarebbe, in linea di principio, tenuta alla redazione del consolidato: e conseguentemente si presumerebbe che ogni società controllante sia in quanto tale titolare dell’attività di direzione e coordinamento. Tuttavia l’art. 27 dello stesso d.lgs. n. 127 del 1991 prevede l’esonero dall’obbligo di redazione del consolidato per le società a loro volta controllate, a meno che il consolidato non sia richiesto dai soci che rappresentano almeno il 5% del capitale almeno sei mesi prima della fine dell’esercizio. L’esonero presuppone che il consolidato sia redatto dall’impresa a sua volta controllante: da tale disposizione consegue che il bilancio consolidato, in caso di controllo a catena, è redatto solo dalla società al vertice (capogruppo). Peraltro l’esonero non vale per le società quotate in

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borsa, che comunque, anche quando siano a loro volta controllate, sono obbligate a redigere il consolidato relativo alle loro controllate.Risulta evidente la volontà del legislatore di individuare il soggetto che esercita l’attività di direzione e coordinamento risalendo al vertice della catena di società controllate: in questo senso di deve intendere il richiamo nell’art. 2497-sexies alla disciplina del bilancio consolidato. Infatti altre fattispecie di controllo di società, e in particolare quella di cui all’art. 2357 c.c., si realizzano cumulativamente in capo alle varie controllanti a catena, laddove di norma è solo la capogruppo a consolidare.Tuttavia vi è da chiedersi cosa avvenga quando per ragioni varie (quotazione in borsa, richiesta da parte delle minoranze) una controllante a sua volta controllata debba redigere il consolidato. Al proposito si dovrebbe quantomeno ritenere che la presunzione di esercizio di direzione e coordinamento in capo alla società che redige il consolidato possa essere superata quando essa sia a sua volta inclusa nel consolidato della controllante. In particolar modo nell’ipotesi in cui sia quotata in borsa una sub-holding del gruppo, soggetta a controllo “di diritto” da parte della holding non quotata, si potrà ritenere acquisita la “prova contraria” alla presunzione di cui all’art. 2497-sexies c.c., e imputare correttamente l’attività di direzione e coordinamento alla sola capogruppo.Tutt’al più potrebbe ammettersi che, ai fini dell’informazione di bilancio di cui all’art. 2497-bis c.c. (di cui si dirà più avanti) possano cumulativamente includersi i dati della subholding che redige il consolidato; ma tale soluzione, ancorché apparentemente più prudente e ispirata al principio di completezza dell’informazione, appare inopportuna perché rischia di dare luogo a confusione nell’identificazione del soggetto che esercita l’attività direzione e coordinamento. Più opportuno allora indicare esplicitamente le ragioni per le quali il prospetto riepilogativo riporta i dati essenziali del bilancio della capogruppo e non quelli della subholding quotata, ancorché anche quest’ultima rediga il consolidato.Qualche ulteriore considerazione merita la definizione di società soggetta all’altrui direzione e coordinamento, rispetto a situazioni di controllo congiunto. La nozione di influenza dominante adottata nella disciplina dei bilanci consolidati viene intesa in generale come influenza esclusiva o “solitaria”, escludendo dunque i casi di controllo congiunto. Tuttavia l’art. 37 del d.lgs. n. 127 del 1991 prevede, in via opzionale e non obbligatoria, il consolidamento delle società sulle quali vi sia controllo congiunto in base ad accordi con altri soci. Si potrebbe ritenere che qualora queste società vengano effettivamente incluse nel consolidato debbano considerarsi anche esse soggette a direzione e coordinamento. Tuttavia, la presunzione opera solo per le società “tenute” alla redazione del consolidato: si tratta dunque del consolidamento obbligatorio. Ciò non esclude peraltro che la direzione e coordinamento operi in concreto, indipendentemente dalla presunzione di legge. Infine si devono considerare ipotesi in cui, pur mancando la possibilità di esercitare un’influenza dominante sulla società, da soli o d’accordo con altri soci, si disponga tuttavia di una partecipazione idonea a condizionarne le scelte imprenditoriali, almeno “in negativo”: vale a dire partecipazioni che consentano l’esercizio di diritti di veto, ad esempio quando lo statuto richiede maggioranze qualificate. In questo caso di dovrebbe tendenzialmente escludere l’esercizio di direzione e coordinamento in capo al socio minoritario, che non è in grado di determinare le scelte gestionali della partecipata. Salvo che si possa dimostrare, al di là della presunzione di cui all’art. 2497-sexies c.c., che attraverso il condizionamento derivante dal diritto di veto si è in concreto realizzato un asservimento della società alle politiche del gruppo.

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Un caso limite è quello della partecipazione paritetica, in cui ciascun socio subisce il veto dell’altro. Tale situazione sembra peraltro assimilabile a quella del controllo congiunto, nella misura in cui tutte le scelte imprenditoriali presuppongono un accordo con l’altro socio: piuttosto che un reciproco diritto di veto sembrerebbe trattarsi di un influenza dominante congiunta.Le situazioni di controllo congiunto e quelle in cui clausole statutarie consentano di fatto l’esercizio di attività di direzione e coordinamento, pur non rientrando nella presunzioni di cui all’art. 2497-sexies, c.c. possono comunque dar luogo all’applicazione della nuova disciplina dei gruppi, come confermato dall’art. 2497-septies c.c. [aggiunto dal d.lgs. in procinto di essere adottato]. L’onere della prova in tali casi grava interamente su cu chi agisce, salvo quanto si dirà sugli effetti degli adempimenti pubblicitari.

II – GLI ADEMPIMENTI INFORMATIVI

4) L’indicazione negli atti e nella corrispondenza.L’art. 2497-bis prescrive che le società soggette all’altrui direzione e coordinamento debbano indicarlo negli atti e nella corrispondenza. Tale indicazione va ad integrare quelle previste dall’art. 2250, e come si è detto non sostituisce quella relativa al socio unico della s.r.l. L’obbligo di indicare l’appartenenza al gruppo negli atti e nella corrispondenza decorre dall’entrata in vigore della riforma, 1 gennaio 2004.La legge non prevede specifiche espressioni da usare per indicare la soggezione all’altrui direzione e coordinamento, né prevede espressamente che debba essere indicato negli atti e nella corrispondenza il soggetto che esercita l’attività di direzione e coordinamento.Tuttavia non sembra plausibile un’interpretazione della disposizione che consideri sufficiente l’indicazione “società soggetta ad altrui direzione e coordinamento” senza indicare chi svolga tale attività. Del resto è interesse di chi entra in contatto con la società non solo apprendere che si tratta di una società appartenente ad un gruppo, ma soprattutto avere elementi per identificare la capogruppo. E’ pur vero che tale informazione sarebbe comunque accessibile nel registro delle imprese (v. infra) ma sarebbe reticente l’indicazione negli atti e nella corrispondenza che non consentisse in alcun modo di identificare il soggetto che esercita l’attività di direzione e coordinamento.In conclusione si ritiene che, pur nella libertà di forme espressive, l’indicazione negli atti e nella corrispondenza debba includere la denominazione della capogruppo, in modo da consentirne univocamente l’identificazione. Si ritiene poi che le parole “gruppo” o “capogruppo” possano essere considerate, ai fini dell’indicazione negli atti e nella corrispondenza, sinonimi equivalenti delle locuzioni codicistiche ove si parla di “direzione e coordinamento di società” e di “società che esercita attività di direzione e coordinamento”. Tale equivalenza è attestata tra l’altro anche a livello legislativo, non solo nel testo unico bancario (art. 61, che si riferisce all’attività di direzione e coordinamento svolta dalla capogruppo nel gruppo bancario), ma anche nella stessa legge delega per la riforma del diritto societario, da cui la disciplina della “direzione e coordinamento” trae origine: l’art. 10 della legge delega infatti prevede l’istituzione di “forme di pubblicità dell’appartenenza al gruppo”. Anzi a ben vedere l’espressione “gruppo”, oltre che attestata nel linguaggio legislativo, corrisponde più puntualmente al linguaggio comune e dunque risulta più

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immediatamente intelligibile della circonlocuzione “soggezione ad attività di direzione e coordinamento”. Sicché le società controllate potranno semplicemente inserire negli atti e nella corrispondenza, oltre ai dati di cui all’art. 2250 c.c., indicazioni quali “Appartenenente al gruppo XXX” o “Capogruppo XXX”. Si direbbero ammissibili anche espressioni in lingua inglese quali “XXX Group”, di immediata evidenza anche nei confronti di un pubblico italofono. L’uso della lingua inglese in particolare si giustifica nella prospettiva di un’uniformazione che investa anche le controllate estere. Fermo restando tuttavia che l’obbligo di tale indicazione grava solo sulle controllate con sede in Italia. Si ritiene comunque necessario indicare l’esatta denominazione sociale della capogruppo, quale risultante nel suo statuto. Può infine essere utile sottolineare che non è richiesta dalla legge alcuna indicazione relativa alla eventuale controllante diretta che non sia la capogruppo (società holding del gruppo, a sua volta controllata dalla capogruppo). Ciò neppure in caso di controllo totalitario, salvo quanto detto per l’indicazione del socio unico nella s.r.l. unipersonale. La disposizione infatti richiede esclusivamente che sia indicata la soggezione all’attività di direzione e coordinamento, che fa capo alla capogruppo, e non i rapporti di controllo societario attraverso i quali la direzione unitaria di gruppo si esplica.Quanto alle conseguenze della mancata o inesatta indicazione dell’appartenenza al gruppo negli atti e nella corrispondenza, la nuova disciplina prevede la responsabilità degli amministratori della società che omette tale indicazione (o che la mantengono quando l’appartenenza al gruppo è cessata) per i danni che i terzi abbiano subito in conseguenza della mancata conoscenza del fatto (ad esempio: danno derivante dal mancato tempestivo esercizio del recesso di cui all’art. 2497-quater c.c.).C’è da dubitare comunque che in relazione a questo obbligo informativo possano configurarsi i reati di false comunicazioni sociali (artt. 2621-2622 c.c.); infatti, l’attuale formulazione di tali disposizioni sembra rendere irrilevanti violazioni di obblighi informativi che non determino “una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento”.

5) L’iscrizione nel registro delle imprese.L’art. 2497-bis prevede inoltre che le società soggette all’altrui direzione e coordinamento si iscrivano in una apposita sezione del registro delle imprese, “nella quale sono indicati i soggetti che esercitano attività di direzione e coordinamento e quelle [imprese] che vi sono soggette”. La disposizione prevede, pur se implicitamente, una simmetrica iscrizione quando venga meno la soggezione alla direzione e coordinamento. L’obbligo di chiedere l’iscrizione nella sezione speciale grava sugli amministratori delle società controllate, mentre nessun adempimento è richiesto alla capogruppo. L’iscrizione va effettuata da parte di ciascuna società controllata presso il registro delle imprese dove essa è iscritta.Anche questa previsione entra in vigore il 1 gennaio 2004, pur richiedendo probabilmente adeguamenti regolamentari per l’organizzazione del registro delle imprese. Non essendo previsti espressamente termini per l’iscrizione, si deve ritenere applicabile il termine generale di trenta giorni desumibile dagli articoli 2196 e 2296 c.c. Decorso inutilmente tale termine, gli amministratori saranno responsabili dei “danni che la mancata conoscenza abbia recato ai soci o ai terzi” (art. 2497-bis comma 3 c.c.). Sarà inoltre applicabile agli amministratori della

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società controllata la sanzione amministrativa di cui all’art. 2194 per omissione di un’iscrizione richiesta dalla legge (da 10 a 516 euro).Quanto agli effetti dell’iscrizione nel registro delle imprese, si deve sottolineare che essa non incide sulla responsabilità della capogruppo: la pubblicità non è un requisito in mancanza del quale si assume responsabilità illimitata per le obbligazioni della controllante (come era nella disciplina della s.r.l. anteriore alla riforma). Né meno che mai si potrebbe immaginare che dalla pubblicità possa derivare un affidamento giuridicamente tutelato dei terzi nei confronti della capogruppo. La responsabilità della capogruppo concerne solo i danni derivanti dalla violazione dei principi di corretta gestione societaria nell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, e non può ritenersi in alcun modo condizionata dagli adempimenti pubblicitari che la legge pone a carico delle controllate.Si deve piuttosto ritenere che l’iscrizione nel registro delle imprese dell’appartenenza al gruppo possa avere un’efficacia dichiarativa con riguardo all’inizio e alla cessazione della soggezione all’altrui direzione e coordinamento. In altri termini l’appartenenza della società al gruppo o l’uscita dal gruppo se non iscritte nel registro delle imprese non potranno essere opponibili ai terzi se non dimostrando che questi ne erano a conoscenza.Ciò potrebbe essere particolarmente significativo in relazione al diritto di recesso, che spetta ai soci delle controllate, come si dirà, all’inizio e alla cessazione dell’attività di direzione e coordinamento. Sicché il termine per l’esercizio del diritto di recesso decorrerà dall’iscrizione del registro delle imprese, ove non si possa dimostrare che il socio era a conoscenza del fatto. Ancora sul piano degli effetti degli adempimenti pubblicitari, si potrebbe ritenere che essi costituiscono una presunzione di assoggettamento all’attività di direzione e coordinamento anche nei casi in cui non opera la presunzione di cui all’art. 2497-sexies c.c. (controllo congiunto o coordinamento contrattuale in base a clausole statutarie).

6) L’informazione di bilancio.L’art. 2497-bis c.c. prevede che le società soggette a direzione e coordinamento espongano in apposita sezione della nota integrativa un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell’ultimo bilancio della società che esercita l’attività di direzione e coordinamento.Si è già osservato che, anche a questi fini, deve considerarsi esercente l’attività di direzione e coordinamento la capogruppo, anche nei casi in cui vi sia una subholding tenuta alla redazione del consolidato. La nota integrativa del resto è la sede ideale per esporre le ragioni per cui l’attività di direzione e coordinamento deve imputarsi alla società i cui dati essenziali di bilancio vengono indicati nel prospetto riepilogativo.Può essere opportuno precisare che il bilancio della capogruppo da cui sono tratti i dati è l’ultimo, intendendosi l’ultimo approvato. Sicché di norma si tratterà del bilancio dell’esercizio precedente. Quanto al contenuto del “prospetto riepilogativo dei dati essenziali” del bilancio, si può fare riferimento a quanto oggi previsto per le società collegate (e controllate) nell’art. 2429, terzo comma, c.c. (prospetto riepilogativo dei dati essenziali del bilancio delle società collegate).La mancanza, l’incompletezza o l’inesattezza del prospetto riepilogativo dei dati essenziali del bilancio della capogruppo sembra configurare un vero e proprio vizio del bilancio della controllata. Ciò certamente quando i dati non sono stati riportati correttamente; ma probabilmente anche quando i dati, pur corrispondendo a quanto risulta dal bilancio della capogruppo, non sono veritieri e corretti; in questo senso l’irregolarità del bilancio della

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capogruppo potrebbe dar luogo ad irregolarità a catena dei bilanci delle controllate, che ne riportano un riepilogo dei dati essenziali in nota integrativa. Ovviamente solo nella misura in cui l’irregolarità si rifletta su tali dati essenziali.Si deve ritenere tuttavia che la lacunosità o finanche la falsità dei dati della capogruppo, riportati nel prospetto riepilogativo, possano dar luogo, quanto al bilancio della controllata, solo a vizi di annullabilità della deliberazione assembleare, e non già di nullità. Si tratta infatti di mera irregolarità informativa, che non incide in alcun modo sui saldi di bilanci (risultato dell’esercizio e patrimonio netto); una lettura rigorosa infatti dovrebbe condurre a ritenere che tali saldi costituiscono propriamente l’oggetto della deliberazione di approvazione.All’eventuale invalidità della deliberazione si aggiunge la responsabilità degli amministratori per i danni nei confronti dei soci e dei terzi; ovviamente solo quando sia a loro imputabile la mancanza, incompletezza o l’inesattezza dei dati di bilancio della capogruppo.Infine anche in questa ipotesi potrebbero configurarsi i reati di false comunicazioni sociali (art. 2621-2622 c.c.). Tuttavia l’esclusione della punibilità quando “le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, non superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto non superiore all'1 per cento” finisce per rendere penalmente irrilevante la violazione di un precetto informativo privo di incidenza sul risultato di esercizio e sul patrimonio netto della società.Una questione particolare si pone con riguardo all’entrata in vigore della disposizione in esame. Infatti l’art. 223-undecies delle disposizioni di attuazione e transitorie prevede che i bilanci relativi ad esercizi chiusi entro il 31 dicembre 2003 siano redatti secondo le leggi anteriormente vigenti. Tale disposizione potrebbe essere interpretata estensivamente, rinviando al bilancio dell’esercizio successivo anche l’inclusione in nota integrativa del prospetto riepilogativo dei dati essenziali di bilancio della capogruppo.

7) La relazione sui rapporti con le società del gruppo.Infine l’art. 2497-bis richiede che gli amministratori delle società sottoposte a direzione e coordinamento di gruppo indichino nella relazione sulla gestione (di cui all’art. 2428 c.c.) i rapporti intercorsi con la capogruppo e con le altre società del gruppo, nonché l’effetto che la direzione unitaria di gruppo ha avuto sull’esercizio dell’impresa sociale e sui suoi risultati. La relazione degli amministratori deve inoltre dare adeguato conto delle decisioni influenzate dalla direzione unitaria di gruppo; decisioni che ai sensi dell’art. 2497-ter devono essere analiticamente motivate con l’indicazione puntuale delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione. I suddetti adempimenti informativi relativi alle operazioni intragruppo e alle decisioni influenzate dall’attività di direzione e coordinamento di gruppo risultano strettamente connessi alla disciplina della responsabilità della capogruppo di cui all’art. 2497. Si rinvia pertanto alla successiva trattazione.In questa sede ci si limita a rilevare che falsità e omissioni nella relazione sulla gestione, per quanto riguarda le operazioni intragruppo, l’influenza della capogruppo sulle decisioni e gli effetti dell’attività di direzione e coordinamento sull’esercizio dell’impresa sociale e sui suoi risultati, potrebbero integrare i reati di false comunicazioni sociali di cui agli articoli 2621-2622 c.c., quando ne risulti sensibilmente alterata la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene,

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determinandosi una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto superiore all'1 per cento.Anche per le disposizioni relative alla relazione degli amministratori, si può porre il dubbio se esse entrino in vigore dal 1 gennaio 2004 ovvero successivamente, con il bilancio del primo esercizio chiuso successivamente all’entrata in vigore della riforma. È pur vero che la relazione degli amministratori si riferisce a fatti (operazioni intragruppo, influenza della capogruppo sulle decisioni) avvenuti nel corso di un esercizio anteriore all’entrata in vigore della legge. Tuttavia è dubbio che la disposizione dell’art. 223-undecies, che si riferisce ai bilanci, possa essere estesa alla relazione sulla gestione.

III – LE INCOMPATIBILITÀ

8) I componenti degli organi di controllo.L’art. 2399 c.c. è stato riformulato ampliando le cause di ineleggibilità e decadenza dei sindaci connesse alla realtà di gruppo. Le stesse disposizioni si applicano, per espresso rinvio, ai componenti del comitato per il controllo sulla gestione del sistema c.d. “monistico” e del consiglio di sorveglianza nel sistema c.d. “dualistico” (ma per quest’ultimo non è richiamata la disposizione sui rapporti di parentela).Con la riforma divengono causa di ineleggibilità alla carica di sindaco non solo i rapporti continuativi di prestazione d'opera retribuita con la società o con le sue controllate, ma anche i rapporti con le controllanti e con le società sottoposte a comune controllo. Si precisa inoltre dettagliatamente che sono incompatibili i rapporti di lavoro, quelli continuativi di consulenza o prestazione d’opera retribuita, e gli altri rapporti di natura patrimoniale che compromettano l’indipendenza. Del pari i rapporti di parentela incompatibili con la carica di sindaco non sono più solo quelli intercorrenti con gli amministratori della società, ma anche con gli amministratori delle società controllante, controllanti o sottoposte a comune controllo.Si osserva che i rapporti incompatibili riguardano cumulativamente tutte le società del gruppo. Il che significa che: (a) un dipendente o collaboratore continuativo della capogruppo o di qualsiasi altra società del gruppo non potrà essere nominato sindaco in nessuna società del gruppo, laddove sino ad oggi i soggetti legati a società “a monte” o consorelle erano eleggibili; (b) sarà possibile assumere la carica di sindaco in una sola società del gruppo, laddove sino ad oggi era ammesso assumere la carica in più società consorelle.Tale disposizione entra in vigore il 1 gennaio 2004. Sicché si determinerà a quella data la decadenza immediata dei sindaci che si trovano in condizioni di incompatibilità, con il subentro dei supplenti, i quali restano in carica sino alla prima assemblea, che provvederà alla nomina dei nuovi sindaci effettivi e supplenti necessari per integrare il collegio. L’entrata in vigore della nuove norme sulle incompatibilità potrebbe peraltro essere rinviata al 30 settembre 2004 qualora vi fosse, alla data del 31.12.2003, una clausola statutaria che riproducesse le disposizioni dell’attuale art. 2399. Infatti l’art. 223-bis delle disposizioni transitorie prevede che le clausole statutarie contrarie a nuove norme imperative conservino la loro efficacia sino al 30 settembre 2004, termine ultimo per provvedere all’adeguamento degli statuti.. In tal caso la decadenza dei sindaci che ricoprano l’incarico in più società del gruppo si verificherebbe, al più tardi, il 1 ottobre 2004.

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Qualora l’incompatibilità derivi dal cumulo di più cariche di sindaco in diverse società del gruppo, si deve ritenere che la decadenza si verifichi nelle società nelle quali il sindaco è stato nominato in un tempo successivo: il sindaco può restare in carica nella società che lo ha nominato per prima perché non sussisteva il cumulo di cariche. Ovviamente il sindaco può mantenere l’incarico nella società di sua scelta se rinunzia agli altri incarichi in società del gruppo entro il 31 dicembre 2003.

9) I revisori contabiliLa riforma ha introdotto una specifica disciplina del controllo contabile, in principio affidato per tutte le s.p.a. ad un revisore o ad una società di revisione (salvo che lo statuto non preveda che esso sia demandato al collegio sindacale). Ai sensi dell’art. 2409-quinquies c.c., ai soggetti incaricati del controllo contabile si applicano le stesse incompatibilità previste per i sindaci. Dunque un soggetto preposto al controllo contabile di una società del gruppo non potrà intrattenere rapporti continuativi con nessun altra società del gruppo. Quando si tratti di società di revisione la disposizione si applica ai soci della società di revisione e ai soggetti incaricati della revisione.Alla considerazione dell’interesse del gruppo nella determinazione dell’interesse sociale è dedicato l’art. 2497 ter c.c. che richiede la motivazione delle decisioni della società influenzate dalla direzione e dal coordinamento, si applica a società di gruppo indipendentemente dal tipo, e punta a rendere trasparente l’esercizio della direzione e del coordinamento. L’osservanza di questa previsione, consente alla società che esercita la direzione e il coordinamento un modo corretto e illuminato di precostituirsi le prove per dimostrare che l’azione intentata dal socio ex art. 2497 c.c. è infondata perché - essendo difficile provare che non c’è esercizio di direzione e coordinamento se c’è controllo (cfr. l’art. 2497 sexies c.c.) - sia possibile provare che il danno o non c’è alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento (vedi supra), o, se c’è, non è stato causato da condotta ispirata a un interesse imprenditoriale proprio o altrui, contraria ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale. E’ piuttosto da ascrivere ai risultati di una gestione di gruppo esperta e oculata ma sfortunata; oppure troppo rischiosa.

IV - LA RESPONSABILITA’ DA DIREZIONE E COORDINAMENTO

10) La responsabilità principale della società o dell’ente capogruppo.L’art. 2497 c.c., intitolato “Responsabilità” stabilisce che le società o gli enti che esercitando attività di direzione e coordinamento di società agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime sono responsabili per il danno direttamente nei confronti dei soci esterni e dei creditori della società diretta e coordinata.I presupposti di applicazione della disciplina sulla pubblicità e sulla trasparenza della direzione e del coordinamento di gruppo (vedi supra) e quelli di applicazione della disciplina sulla responsabilità da direzione e coordinamento di gruppo qui considerata, sono diversi perché diverse, benché coordinate, sono le finalità di queste discipline.La disciplina sulla responsabilità della capogruppo è volta a regolare dinamiche di potere, soggezione e rischio che caratterizzano l’attività di una società capogruppo, o appartenente a

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un gruppo, diversamente da quella di una società isolata. Per l’applicazione di queste disposizioni, la direzione e il coordinamento rilevano per essere state veicolo di una determinata scelta d’impresa, non per il fatto di poterlo essere. La responsabilità della capogruppo si aggiunge e non sostituisce quella ordinaria degli amministratori e dei sindaci delle società sottoposte a direzione e coordinamento, e ciò contribuisce all’esercizio concertato ed efficiente del potere di direzione e del coordinamento di gruppo (vedi infra). La responsabilità da direzione e coordinamento scaturisce da valutazioni in fatto, ma muove da una presunzione iuris tantum (art. 2497 sexies, comma 1, c.c.). Si presume che l’attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalle società o enti tenuti al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controllano ai sensi dell’art. 2359 c.c.Si è già precisato il significato della presunzione, anche in relazione alle ipotesi che vi ricadono (vedi supra). Qui preme sottolineare che la presunzione, di cui all’art. 2497 sexies c.c., non è decisiva ai fini della individuazione del soggetto su cui grava la responsabilità principale della direzione e del coordinamento. L’esistenza del controllo societario non impedisce alla controllante di contestare l’avvenuto esercizio dell’attività di direzione e coordinamento e il nesso di causalità fra direttive impartite, coordinamento espletato e pregiudizio. In particolare, sarà possibile dimostrare che, pur essendoci controllo, non c’è stata direzione e coordinamento di gruppo e quindi non c’è responsabilità. La responsabilità di cui all’art. 2497 c.c., infatti, è ancorata all’abuso di direzione e coordinamento e non all’esercizio inefficiente o all’abuso dei poteri di controllo su una società: presuppone cioè un’attività imprenditoriale che investa le società controllate.Superare la presunzione di cui all’art. 2497 sexies c.c. è possibile anche provando che in una fattispecie di controllo societario a catena, una impresa di gruppo esiste perché esiste la direzione e il coordinamento unitario, ma non fa capo alla società all’ente al vertice della catena partecipativa, ma ad una società holding da questa controllata. Per dimostrare questo, tuttavia, sarà necessario provare che la detenzione delle partecipazioni della società holding del gruppo, da parte di un’altra società o di un altro ente, ha solo scopi finanziari o di godimento. Così ad esempio le fondazioni bancarie, pur al vertice della catena partecipativa, non possono considerarsi titolari dell’attività di direzione e coordinamento, imputabile invece alla società bancaria capogruppo.Ai fini dell’imputazione della responsabilità, l’accertamento dell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, è un accertamento in fatto, per il quale è significativa la conformazione data in concreto al gruppo. In questo senso, le norme sulla trasparenza della direzione e del coordinamento (motivazione delle decisioni a norma dell’art. 2497 ter c.c.) contribuiscono a rendere palese e opponibile ai terzi la conformazione del gruppo e i processi attraverso i quali si realizza la direzione e il coordinamento. A livello di statuti delle società appartenenti a un gruppo è possibile favorire ulteriormente l’emersione delle caratteristiche organizzative del gruppo per aree, comparti di attività e categorie di scelte gestionali. Questo può fare emergere le decisioni che sono accentrate e quelle che sono demandate a società controllate o direttamente agli organi di gestione della società posta “terminale”.In ragione della conformazione del gruppo sarà possibile provare che la capogruppo non è responsabile ex art. 2497 c.c. perché: 1) la decisione da cui deriva il danno esula dalla sfera della direzione e del coordinamento; 2) la scelta gestionale da cui dipende la sottrazione della decisione alla sfera della direzione e del coordinamento è da giudicare corretta sotto il profilo gestionale.

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D’altro canto, però, la prova della condotta antigiuridica causativa del danno comprende e sopravanza la prova dell’esercizio della direzione e coordinamento (ogni singolo atto di influenza della capogruppo può essere fonte di responsabilità). E’ sicuro, in tal senso anche che, ai fini della responsabilità, l’esercizio della direzione e del coordinamento rileva indipendentemente dalla valutazione della posizione del soggetto che la svolge, legittimamente o illegittimamente, o per perseguire interessi meritevoli o immeritevoli di tutela.

11) Segue. La condotta.Nell’art. 2497 c.c. la condotta che è fonte di responsabilità della capogruppo è descritta in modo piuttosto vago: la responsabilità consegue all’agire nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui, in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime.I dubbi interpretativi (che succederebbe se la capogruppo agisse nell’interesse altrui “non imprenditoriale”?) che alimenta la previsione, tuttavia, si superano se ad essa si riconosce una portata prescrittiva positiva. Vale a dire se l’organizzazione imprenditoriale del gruppo di società si considera fonte di un preciso dovere di gestione di gestione delle società nell’interesse imprenditoriale del gruppo e nell’osservanza dei principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria delle società controllate.In altre parole, la formula usata nell’art. 2497 c.c. sta a significare che la società o l’ente che esercitano l’attività di direzione e coordinamento non sono responsabili vero i soci e i creditori della società sottoposta solo se dimostrano che i propri amministratori, nell’esercizio della direzione e del coordinamento, hanno agito nell’interesse imprenditoriale del gruppo unitariamente inteso e nel rispetto dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società. Rileva come fonte di responsabilità, pertanto, anche l’agire nell’interesse proprio o altrui non imprenditoriale. Non sembra invece che la norma imponga alla holding di adottare politiche che abbiano come obbiettivo prioritario la creazione di valore in senso tecnico per i soci di ogni società del gruppo: di improntare cioè la gestione della controllate al principio della c.d. shareholder value. La salvaguardia della “redditività e valore della partecipazione” di cui alla norma sulla responsabilità della capogruppo non impone di orientare la gestione a obiettivi e finalità da quelli che presiedono in generale la gestione delle società commerciali.L’inosservanza del dovere di corretta gestione del gruppo va accertata in capo agli amministratori della capogruppo, che in forza della previsione della diretta responsabilità della capogruppo verso i soci e i creditori della società sottoposta, risultano, in via mediata, preposti anche alla salvaguardia degli interessi del gruppo e delle società che ne fanno parte. Per accertare la negligenza degli amministratori della capogruppo dovrebbero valere gli stessi criteri di valutazione della condotta utilizzati per accertare se c’è negligente gestione (della società amministrata) un una singola società. E’ stato tuttavia convincentemente sostenuto che la discrezionalità gestoria degli amministratori debba essere verificata con maggiore rigore nei rapporti infragruppo che non essendo mediati dalla formazione del prezzo sul mercato implicano maggiore rischio di comportamenti opportunistici. Si tratterà allora di sindacare le scelte degli amministratori non soltanto in termini di diligenza ma anche in termini di “fedeltà” agli interessi di tutti gli azionisti.

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Come vedremo, i termini di questo accertamento sono condizionati, su piani peraltro molto diversi, anche: 1) dalla qualificazione della responsabilità in questione come contrattuale o extracontrattuale (vedi infra); 2) dalle valutazioni da operare, per escludere o affermare al responsabilità, in ordine alla sussistenza del danno, alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento e di operazioni dirette a eliminarlo (vedi infra).

12) Segue. La natura della responsabilità e l’onere della prova.Nella Relazione ministeriale al d.lgs n. 6 del 2003 la responsabilità della capogruppo a norma dell’art. 2497 c.c. è qualificata aquiliana. La dottrina prevalente però tende a qualificarla contrattuale, o come concretizzazione del dovere di comportamento in buona fede, che sussiste a carico dei soci, attesa la natura contrattuale del fenomeno (art. 1175 e 1374 c.c.), oppure, “identificando l’esercizio del potere di indirizzo e coordinamento alla stregua di esercizio di fatto di un potere diretto alla gestione di un interesse non solo proprio ma anche altrui – di tutti gli altri soci – tale allora da generare una vera e propria obbligazione a contenuto gestorio” (così A.Pavone La Rosa; conf. V.Cariello e G.Guizzi).Chi ritiene che il comma 2 dell’art. 2497 sexies c.c. abbia legittimato i contratti di dominio sostiene che in tal caso l’esercizio della direzione rappresenti un vero e proprio obbligo contrattuale. La portata di tale previsione però è tutt’altro che univoca (vedi supra).Per quanto riguarda l’esercizio della direzione e del coordinamento nelle ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 2497 sexies c.c., le conseguenze della disputa sulla natura della responsabilità della capogruppo riguardano la possibilità di applicazione dell’art. 1225 c.c. (risarcibilità dei soli danni prevedibili all’epoca della conclusione del contratto) e l’onere della prova, oltre che il trattamento delle situazioni in cui la capogruppo o le società controllate sono di nazionalità estera. In ogni caso, invece, e cioè sia che la responsabilità si qualifichi contrattuale, sia che la si qualifichi extracontrattuale, per l’azione risarcitoria in esame vale la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2949 c.c.Le più rilevanti conseguenze dell’alternativa qualificazione della responsabilità in discorso attengono ai presupposti della responsabilità e ai soggetti su cui grava l’onere di dimostrare che sussistono o non sussistono.In particolare, se la direzione e il coordinamento si considerano esercitate nell’ambito di un rapporto giuridico, cioè nell’adempimento di un dovere, si potrebbe giungere a ipotizzare la responsabilità della capogruppo anche per omesso esercizio di una attività che inerisce alla direzione e al coordinamento.Sembra, peraltro, che a prescindere dalla qualificazione della responsabilità in discorso, sia possibile ascrivere alla società capogruppo un dovere di corretto esercizio della direzione e del coordinamento che, sulla base delle circostanze concrete del caso, può comportare la responsabilità anche per comportamenti omissivi (portare all’imputazione della responsabilità); seppure sulla base di un diverso onere di prova da parte di chi agisce.Precisamente, se si accoglie la tesi della natura contrattuale della responsabilità, una omissione di direzione e coordinamento potrà essere qualificata come inadempimento solo alla luce della conformazione economica e dell’organizzazione giuridica del gruppo in concreto. Tuttavia, l’attore che chieda il risarcimento e adduca come condotta colpevole della capogruppo un’omissione di vigilanza, monitoraggio o intervento, dovrebbe limitarsi a provare, potendo peraltro avvalersi della presunzione di cui all’art. 2497 sexies c.c., che la società chiamata in giudizio esercita la direzione e il coordinamento della società partecipata

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(se agisce il socio) o debitrice (se agisce il creditore). La società convenuta, dal canto suo, però potrà sottrarsi alla responsabilità, o dimostrando di non essere centro di direzione e coordinamento della società coinvolta nella vicenda, oppure eccependo che l’operazione dannosa si è realizzata nonostante la presenza di controlli efficienti; o, in altri termini, che non vi è stata un’omissione di vigilanza monitoraggio o intervento valutabile come carenza organizzativa, amministrativa o contabile nella gestione del gruppo.D’altro canto, anche ove si accolga la tesi che qualifica la responsabilità della capogruppo come responsabilità extracontrattuale, non può comunque escludersi che l’omissione di intervento, in particolari circostanze, possa rilevare come condotta antigiuridica.Nella prospettiva della natura extracontrattuale della responsabilità, però, l’onere della prova gravante sull’attore sarà assai più gravoso: egli dovrà dimostrare, oltre che l’esercizio della direzione e del coordinamento (ma vedi l’art. 2497 sexies comma 1, c.c.) che, in presenza di un adeguato esercizio dei poteri della capogruppo, l’operazione dannosa non sarebbe stata intrapresa; in altri termini, che l’omissione di adeguato controllo rappresenta, in relazione alle circostanze, un esercizio scorretto del potere di direzione e coordinamento.

13) Segue. La mancanza di responsabilità alla luce del risultato complessivo della direzione e del coordinamento. Vantaggi compensativi e operazioni dirette a eliminare il danno.L’art. 2497 c.c. stabilisce che ci può essere imputazione di responsabilità alla capogruppo solo se il danno sussiste con riferimento al risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento: se sussiste, cioè, anche tenuto conto dei vantaggi compensativi che possono derivare dall’appartenenza al gruppo, e delle operazioni eventualmente intraprese per eliminarlo.Relativamente ai vantaggi compensativi derivanti dall’appartenenza al gruppo, ancor prima della riforma, tendeva a prevalere fra gli interpreti la convinzione che questi potessero escludere la gestione pregiudizievole della società sottoposta a direzione e coordinamento. Per vantaggi compensativi si intendevano sia i ristori specificatamente diretti ad “indennizzare” la società in un primo momento danneggiata, sia i benefici che alla società fossero derivati dall’appartenenza al gruppo; non solo, quindi, gli effetti remoti dell’operazione in prima battuta pregiudizievole, ma anche benefici derivanti su piani e ambiti diversi da quelli inerenti all’operazione imposta dalla capogruppo.Vantaggi compensativi rilevanti ora, a norma di legge, per escludere la responsabilità da direzione e coordinamento verso soci e creditori della società sottoposta, sono quelli che fanno mancare il danno alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento. Per escludere la responsabilità, quindi, si può tenere conto sia dei vantaggi riconosciuti alla società in primo tempo pregiudicata, sia di quelli conseguiti dal gruppo (c.d. “vantaggi di gruppo”), nella misura in cui ne possa beneficiare la società, in misura equivalente al pregiudizio risentito.Da parte dei primi commentatori della riforma, si è dubitato se il tempo rilevante per l’accertamento dei risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento sia la chiusura dell’esercizio nel corso del quale il pregiudizio si è verificato, oppure il momento dell’uscita dal gruppo della società, oppure il tempo dell’esercizio dell’azione di responsabilità. E’ possibile superare tali incertezze ritenendo che, la sussistenza del danno alla luce dei risultati complessivi dell’attività di direzione e coordinamento, debba essere giudicata

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in base ai tempi di attuazione del progetto in cui si inserisce l’operazione o la strategia che, se isolatamente considerata, appare dannosa. L’accertamento, dunque, dovrà aver riguardo agli eventi trascorsi e a quelli attesi, sulla base dal progetto complessivo in cui si inserisce la decisione che ha dato luogo al pregiudizio, quale si evince dalle motivazioni fornite a norma dell’art. 2497 ter c.c., nonché dalla relazione degli amministratori stesa a norma dell’art. 2497 bis c.c.Non peraltro necessario attendere di verificare l’esito finale della strategia di gruppo nella quale si inserisce l’operazione contestata. La sussistenza del danno sulla base dei risultati complessivi dell’attività di direzione e coordinamento dovrà, dunque, essere valutata quando viene instaurato il giudizio, tenuto conto però dello stato di avanzamento e dei tempi di attuazione del progetto in questione.In giudizio, l’onere di dimostrare che il danno non sussiste, in base a come è formulato l’art. 2497 c.c., sembra gravare sulla capogruppo quale dimostrazione dei fatti sui quali si fonda l’eccezione che porta al rigetto dell’azione di responsabilità. La possibilità di portare a compensazione i vantaggi derivanti dall’appartenenza al gruppo, dunque, premia come modello di impresa, il gruppo efficiente, coordinato e trasparente. Infatti, solo se le politiche di gruppo sono trasparenti, organiche e oculate sarà possibile identificare il vantaggio compensativo ottenuto o preventivato, idoneo in relazione alle circostanze o ad escludere la responsabilità civile della capogruppo, o ad escludere quella civile e penale degli amministratori della capogruppo e della controllata (vedi infra).Alla considerazione della strategia di gruppo nelle decisioni sociali è dedicato l’art. 2497 ter c.c. che richiede la motivazione delle decisioni influenzate dalla direzione e dal coordinamento. Questa disposizione si applica a società di gruppo indipendentemente dal tipo, e punta a rendere trasparente l’esercizio della direzione e del coordinamento.L’osservanza di questa previsione, consente alla società che esercita la direzione e il coordinamento un modo corretto e illuminato di precostituirsi le prove per dimostrare che l’azione intentata dal socio ex art. 2497 c.c. è infondata perché - essendo difficile provare che non c’è esercizio di direzione e coordinamento se c’è controllo (cfr. l’art. 2497 sexies c.c.) - sia possibile provare che il danno o non c’è alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento (vedi supra), o, se c’è, non è stato causato da condotta ispirata a un interesse imprenditoriale proprio o altrui, contraria ai principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale. E’ piuttosto da ascrivere ai risultati di una gestione di gruppo esperta e oculata ma sfortunata; oppure troppo rischiosa.Da questo punto di vista, le tracce dell’esercizio della direzione e del coordinamento motivazione delle decisioni influenzate, a norma dell’art. 2497 ter c.c.), non servono a chi è legittimato ad agire per il risarcimento del danno (che non ha accesso a tali documenti): servono a chi vuole eccepire che la responsabilità non c’è perché non c’è il danno o non c’è la condotta antigiuridica. Peraltro, la responsabilità della capogruppo non sussiste solo se, tenuto conto dello stato di avanzamento e dei tempi di attuazione del progetto di gruppo, il danno risulta mancante; solo se, dunque, il saldo del risultato complessivo del segmento di attività di direzione e coordinamento in cui la decisione dannosa si iscrive, è neutro o positivo a vantaggio della società inizialmente pregiudicata. L’ottenimento di vantaggi non compensativi, o il mancato ottenimento di alcun vantaggio originariamente previsto non esclude la responsabilità della capogruppo, e quella solidale dei suoi amministratori. Può escludere, invece, la responsabilità

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diretta degli amministratori della controllata, e dei componenti gli organi di controllo della stessa, nei confronti della società a norma dell’art. 2392 c.c., nella misura in cui la ragionevole previsione di un vantaggio compensativo, poi non ottenuto, non integri negligenza di gestione o di vigilanza.Diversi accertamenti sono richiesti dalla previsione, sempre contenuta al primo comma dell’art. 2497 c.c., secondo cui la responsabilità non sussiste se il danno è venuto meno a seguito di operazioni poste in essere a tale scopo. In questa ipotesi dovrà essere dimostrata l’eliminazione storica e integrale del danno, vale a dire l’effettivo e storico ripianamento del danno sociale da cui è derivato il danno del socio o del creditore; o dall’effettivo e diretto ripianamento del danno del socio o del creditore.Nell’esclusione della responsabilità, peraltro, si intersecano valutazioni su diversi piani: il piano dell’incidenza dell’attività di direzione e coordinamento e delle operazioni dirette ad eliminare il danno, che coinvolge la società soggetta alla direzione e al coordinamento; e il piano del pregiudizio che legittima all’azione e che tocca il socio o il creditore. Potrebbero allora verificarsi situazioni nelle quali il socio o il creditore non beneficia in concreto – se socio perché, ad esempio, ha alienato la partecipazione a un prezzo vile, se creditore perché, ad esempio, ha subito contraccolpi dalla temporanea difficoltà ad adempiere della società debitrice - dei positivi risultati complessivi dell’attività di direzione e coordinamento o degli effetti di operazioni che abbiano, in un secondo momento, eliminato il danno delle società. L’esistenza di questi diversi piani di valutazione tuttavia non è idonea a dare esiti divergenti in ordine al giudizio sui risultati complessivi dell’attività di direzione e coordinamento e sulla sussistenza della responsabilità. Infatti, alla capogruppo che sia in grado di dimostrare risultati dell’attività di direzione e coordinamento, maturati o attesi, complessivamente positivi, anche per la società controllata, difficilmente potrà essere contestato di non avere agito nell’interesse imprenditoriale del gruppo o di avere violato i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società.In casi di questo genere, solo scelte che mettono la società controllata in situazioni di grave, seppure temporanea, difficoltà operativa o patrimoniale potrebbero giustificare una responsabilità nei confronti del socio o del creditore che per le ragioni più diverse non hanno beneficiato dei risultati positivi successivamente derivanti dalla direzione e dal coordinamento.

14) La responsabilità solidale degli amministratori e dei componenti l’organo di vigilanza della capogruppo.Nell’art. 90 del d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 si stabilisce che gli amministratori della società che ha abusato della direzione unitaria delle imprese del gruppo cui appartiene la società dichiarata insolvente rispondono dei danni cagionati a quest’ultima in conseguenza delle direttive impartite. Alla luce della riforma, tale responsabilità sussiste anche quando la società non arriva ad essere dichiarata insolvente. A norma dell’art. 2497 c.c., infatti, rispondono in solido con la capogruppo tutti coloro che “hanno comunque preso parte al fatto lesivo”.Presupposto di questa responsabilità solidale, per gli amministratori della società capogruppo, in termini di “partecipazione al fatto lesivo” è il comportamenti attivo o omissivo in cui si esplica la direzione e il coordinamento. Nel giudicare se gli amministratori della capogruppo hanno preso parte al fatto lesivo, andrà accertata la correttezza e la ponderatezza della valutazione gestionale in cui, con atti commissivi o omissivi, si esplica la direzione e il

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coordinamento del gruppo da parte della capogruppo (vedi supra). In altri termini, non ci può essere condotta antigiuridica e responsabilità principale della capogruppo ex art. 2497 c.c., senza che ci sia condotta di antigiuridica e responsabilità solidale di tutti o di parte dei suoi amministratori.Diverso può essere, invece, quanto al giudizio sulla condotta, il criterio sulla base del quale si stabilisce se c’è responsabilità della capogruppo e dei suoi amministratori ex art. 2497 c.c. verso i soci e i creditori della società sottoposta a direzione e coordinamento, e quello sulla base del quale si stabilisce se, in relazione al compimento della stessa operazione, c’è responsabilità degli amministratori verso la stessa società capogruppo, i suoi soci esterni e i suoi creditori.A tal fine rilevano le previsioni sui doveri specifici degli amministratori di una capogruppo, che possono essere significative anche al fine di differenziare, fra più amministratori, se ve ne siano che restano immuni dalla responsabilità solidale di cui all’art. 2497 c.c. (vedi infra).Anche i componenti l’organo di vigilanza della capogruppo possono essere chiamati alla responsabilità solidale con la capogruppo se non dimostrano di non avere preso parte al fatto lesivo. Per sottrarsi alla responsabilità potranno dimostrare o che hanno correttamente adempiuto ai doveri di vigilanza, anche in relazione alla posizione di capogruppo rivestita dalla società (vedi infra), o che la direzione e il coordinamento pregiudizievoli si sarebbero avuti anche se essi avessero adempiuto in modo ineccepibile ai propri doveri di vigilanza.Si ricordi a tal proposito che i soggetti preposti al controllo devono vigilare sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, e in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile, e sul suo concreto funzionamento (cfr. gli artt. 2403, per i sindaci; l’art. 2409 terdecies c.c. per il consiglio di sorveglianza; l’art l’art. 2409 octiesdecies c.c. che per il comitato per il controllo sulla gestione sembra stabilire limitati doveri di controllo).Per quanto concerne la possibilità che alcuni amministratori (o alcuni dei soggetti preposti alla vigilanza) si sottraggano alla responsabilità di cui all’art. 2497 c.c., va tenuto presente l’orientamento interpretativo secondo cui la responsabilità è solidale di tutti gli amministratori e i vigilanti nel senso che opera in ragione di un concorso ex titulo nel fatto lesivo, che deriva dalla stessa titolarità della funzione rispettivamente di amministrazione e di controllo. Ciò in quanto, nel diritto giurisprudenziale in tema di responsabilità di amministratori (e sindaci), aver titolo ad amministrare o a controllare equivale a concorrere nell’illecito omissivo o commissivo. Resta salva peraltro l’eventuale differenziazione di responsabilità che può derivare dal regime delle deleghe di poteri gestori (cfr. l’art. 2381 c.c.).

15) La responsabilità solidale degli amministratori e componenti gli organi di vigilanza della sottoposta.La disposizione che stabilire la responsabilità solidale con la capogruppo di chi abbia preso parte al fatto lesivo tende a coinvolgere più soggetti possibili nella responsabilità da direzione e coordinamento di società, al fine di coinvolgere più soggetti possibili nella vigilanza sull’esercizio della direzione e del coordinamento.La responsabilità solidale di chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo chiama in causa innanzitutto gli amministratori e componenti dell’eventuale organo di controllo della capogruppo (vedi supra), ma coinvolge anche gli amministratori e i componenti dell’eventuale organo di vigilanza interna della controllata. Costoro non sono meri esecutori

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della volontà della capogruppo: devono filtrare l’esercizio della direzione e del coordinamento, in quanto, se abdicano alle loro competenze di gestione e vigilanza della società in prestano il loro ufficio, possono trovarsi coinvolti nella responsabilità di cui all’art. 2497 c.c.Il ruolo di filtro demandato agli amministratori della controllata è esaltato dalla previsione secondo cui le decisioni influenzate dalla capogruppo devono essere motivate (art. 2497 ter c.c.). Questa previsione, da un lato legittima gli amministratori della controllata a pretendere informazioni sulla direzione e il coordinamento del gruppo quando c’è in concreto influenza della capogruppo sulle scelte della sottoposta; dall’altro lato consente agli amministratori della società sottoposta di andare esenti da responsabilità se dimostrano che avendo operato, nell’interesse della società, sia pure tenendo presente l’appartenenza al gruppo, non hanno preso parte al fatto lesivo. Da questo punto di vista, le valutazioni che presiedono al giudizio sulla condotta degli amministratori della controllata, e sulla loro eventuale solidarietà nella responsabilità della capogruppo saranno sviluppate quando si tratterà dell’applicabilità agli amministratori della società sottoposta della disciplina sul conflitto di interessi (vedi infra).Peraltro, non dovrebbe essere diverso, quanto al giudizio sulla condotta, il criterio sulla base del quale si stabilisce se c’è responsabilità ex art. 2497 c.c. verso i soci e i creditori della società amministrata o vigilata e quello sulla base del quale si stabilisce se, per gli stessi fatti e le stesse condotte, c’è responsabilità verso la stessa società, i suoi soci e i suoi creditori.Lo stesso vale per il giudizio sulla condotta dei componenti l’eventuale organo di vigilanza della società sottoposta.Per quanto concerne la possibilità che alcuni amministratori (o soggetti preposti alla vigilanza) si sottraggano alla responsabilità di cui all’art. 2497 c.c., orienta alla soluzione negativa l’opinione corrente secondo cui la responsabilità per i fatti di gestione di una società per azioni è solidale di tutti gli amministratori e di tutti i vigilanti, e opera in ragione di un concorso ex titulo nel fatto lesivo nel fatto lesivo che deriva dalla titolarità della funzione rispettivamente di amministrazione e di controllo. Ciò in quanto, come già in precedenza ricordato, nel diritto giurisprudenziale in tema di responsabilità di amministratori (e sindaci), aver titolo ad amministrare o a controllare equivale a concorrere nell’illecito omissivo o commissivo. Resta salva peraltro l’eventuale differenziazione di responsabilità che può derivare dal regime delle deleghe di poteri gestori (cfr. l’art. 2381 c.c.).

16) La responsabilità solidale del socio di controllo e delle altre società del gruppo.A norma dell’art. 2497 c.c. rispondono in solido con la capogruppo anche coloro che abbiano consapevolmente tratto beneficio dal fatto lesivo (danno evento), nei limiti del vantaggio conseguito.Sono sicuramente coinvolte in questa responsabilità le società “sorelle” che hanno beneficiato dell’operazione pilotata dalla capogruppo, e rivelatasi pregiudizievole per i soci o i creditori della società sottoposta.L’estensione di questa responsabilità è incerta e può essere ampia, seppure limitata dalla rilevanza dello stato soggettivo di consapevolezza nell’approfittamento.In relazione e ciò, e per completezza, si segnala il dibattito che concerne la possibilità di imputare una responsabilità solidale (per avere consapevolmente tratto beneficio dal fatto lesivo) anche al socio di maggioranza della capogruppo.

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17) I soggetti che possono vantare pretese risarcitorie. I soci esterni della società diretta e coordinata.La pretesa risarcitoria di cui all’art. 2497 c.c. è riconosciuta innanzitutto ai soci della società sottoposta a direzione e coordinamento. L’azione dei soci è diretta e non surrogatoria di quella che in ipotesi potrebbe spettare alla società. Il risarcimento dei danni deve essere direttamente operato al socio. L’azione deve essere preceduta da una richiesta anche stragiudiziale diretta alla società di appartenenza o debitrice. L’amministratore che da seguito alla richiesta, non può agire in regresso contro la controllata. Può, invece, se ritiene l’accoglimento della richiesta pregiudizievole per l’integrità del patrimonio sociale o per la posizione di altri soci esterni, respingere la richiesta.A livello processuale, su tale previsione, può fondarsi un eccezione pregiudiziale del convenuto.

18) Segue. I creditori della società diretta e coordinata.La pretesa risarcitoria di cui all’art. 2497 c.c., è riconosciuta anche ai creditori, per la lesione all’integrità del patrimonio sociale della controllata. Il danno risarcibile è quello che deriva dalla lesione dell’integrità del patrimonio causata da direzione e coordinamento non conformi all’interesse imprenditoriale del gruppo, o in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della società sottoposta (vedi infra).In caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria della società danneggiata, l’azione spettante ai creditori è esercitata dal curatore o dal commissario (art. 2497, 4 comma, c.c.).

19) Segue. La società diretta e coordinata.La società diretta e coordinata può agire contro chi la controlla ex art. 2043 c.c., o sulla base di altre norme che fondano una responsabilità da controllo della società controllante o dei suoi amministratori che esprimono il potere di direzione; può agire anche ex artt. 2392 e 2393 c.c. verso i propri amministratori, una volta uscita dall’orbita della direzione e del coordinamento. E’ implausibile, tuttavia, che lo faccia fino a quando dura il controllo partecipativo.Fino a che dura il controllo, del pari, anche se non tutti gli interessi dei soci esterni sono stati tacitati, gli amministratori non dovrebbero avere il dovere di agire contro la controllante. La possibilità di azione diretta introdotta dall’art. 2497 c.c. vale ad escludere l’obbligo fiduciario degli amministratori o quello dei sindaci di agire contro la controllante.Il problema si pone anche per il possibile regresso della società che abbia soddisfatto la pretesa del socio ed abbia in questo modo impedito l’azione nei confronti della controllante (vedi supra).

20) Rappresentazione del danno risarcibile e quantificazione del risarcimento.Il danno da risarcire al socio è la perdita di redditività e di valore della partecipazione sociale, quando questa deriva da esercizio della direzione e del coordinamento che non sia stato nell’interesse del gruppo o che sia stato in violazione dei principi di corretta gestione imprenditoriale della società controllata. Nella rappresentazione del pregiudizio come danno

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risarcibile, si deve tenere conto del nesso di causalità materiale e di quello giuridico. La perdita di redditività o di valore della partecipazione sociale che è danno risarcibile è solo quella che deriva, come conseguenza immediata e diretta della condotta lesiva, attiva o omissiva (art. 1223 c.c. applicabile sia al risarcimento del danno contrattuale che extracontrattuale per effetto del richiamo di cui 2056 c.c.).Ciò significa che la rappresentazione del danno risarcibile ex art. 2497 c.c. ha ad oggetto le perdite di redditività o di valore della partecipazione sociale che, per il tempo e il modo in cui si sono verificate, sulla base di uno sviluppo normale degli eventi, si possono considerare, con adeguata probabilità, causate dalla condotta antigiuridica contestata alla capogruppo. Sono incluse in questa rappresentazione le perdite di redditività e di valore che pur non trovandosi in rapporto diretto e immeditato con la condotta, si possono considerare conseguenze normali del processo causale messo in moto dalla condotta. Il giudizio tuttavia sarà probabilistico. D’altro canto, se in tale ambito si chiedesse una verifica puntuale e rigorosa del carattere diretto e immediato del rapporto fra danno e condotta, mai vi sarebbe danno risarcibile. La perdita di redditività e valore della partecipazione del socio, infatti, di regola è l’effetto del danno patrimoniale arrecato alla società sottoposta a direzione e coordinamento. E’ dunque generalmente un danno indiretto. Quanto al nesso di causalità giuridica che deve sussistere fra la perdita e l’antigiuridicità della condotta, nella rappresentazione del danno risarcibile questo rileva al fine di escludere dalle conseguenze risarcibili della condotta, perdite di redditività o valore della partecipazione che si sono verificate a seguito dell’esercizio corretto ma non proficuo della direzione e coordinamento o anche di segmenti legittimi di una attività di direzione e coordinamento che presenti altre caratteristiche di illiceità. Infatti, la perdita subita dal socio si può considerare danno risarcibile solo nella misura in cui sia conseguenza diretta della condotta antigiuridica contemplata dalla disposizione.Se la responsabilità è qualificata contrattuale il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione (art. 1225 c.c.); peraltro anche la responsabilità aquiliana, nella tutela di interessi patrimoniali, non si estende alle conseguenze impreviste e imprevedibili dall’agente del danno. Per quantificare il risarcimento che compensa il danno così rappresentato, potrà aversi riguardo al deprezzamento del valore dell’azienda, alle performances dei titoli operanti nello stesso settore economico della controllata, alle performances della azioni della controllata nel periodo precedente l’acquisto del controllo.Lo stesso vale, mutatis mutandis, per la individuazione e la rappresentazione del danno risarcibile al creditore della società sottoposta. Il danno da risarcire al creditore è la perdita derivante dall’incapacità della società di fare fronte ai propri debiti. La rappresentazione del danno risarcibile, però, deve tenere conto del nesso di causalità materiale e di quello giuridico.Per quantificare il risarcimento che compensa il danno al creditore, invece, si avrà riguardo essenzialmente all’entità del debito insoddisfatto.

V – CONFLITTO DI INTERESSI NEI GRUPPI

21) Generalità.

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La riforma legittima il perseguimento dell’interesse del gruppo, ma regola l’attività di direzione e coordinamento (pubblicità e trasparenza) per salvaguardare gli interessi dei soci esterni e dei creditori; e stabilisce la responsabilità della capogruppo direttamente nei confronti dei soci e dei creditori della società soggetta alla direzione e al coordinamento.L’esistenza di una disciplina dell’attività di direzione e coordinamento non comporta l’inapplicabilità delle norme che in generale presiedono al corretto funzionamento della società; implica piuttosto la ricostruzione dell’interesse sociale in modo da tenere conto dell’appartenenza al gruppo e delle legittimità dell’attività di direzione e coordinamento esercitata dalla capogruppo. Tale ricostruzione dell’interesse sociale nel contesto di gruppo può condurre a riconsiderare il campo di applicazione delle norme sul conflitto di interessi, rispetto a ciò che avverrebbe ove si considerasse isolatamente la singola società. I rimedi di carattere generale volti ad assicurare il corretto funzionamento della società dunque restano operanti anche in caso di soggezione alla direzione e coordinamento di gruppo: per la società per azioni opera il conflitto di interessi dei soci (art. 2373 c.c.), degli amministratori (art. 2391 c.c.), e la responsabilità degli amministratori per i danni da essi arrecati al patrimonio sociale (artt. 2392-2395 c.c.). In relazione a tali rimedi, però, dovrà darsi una interpretazione e una applicazione che tenga conto dell’attività di direzione e coordinamento e dell’esistenza di una peculiare disciplina specificatamente volta a prevenire l’abuso di direzione e coordinamento. Sicché si può affermare che, così come l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento non è di per sé illecito, e l’amministratore che si esegue le direttive della capogruppo non viene meno per ciò solo ai suoi doveri nei confronti della società, allo stesso modo non si ha interesse extrasociale dell’amministratore, né si ha conflitto di interessi del socio, solo perché la decisione amministrativa o assembleare è influenzata dalla direzione e dal coordinamento che promana dalla capogruppo.

22) Operazioni infragruppo e conflitto di interessi degli amministratori.Quanto detto vale anche per le operazioni intragruppo: si è già osservato che non si ha responsabilità dell’amministratore verso la società né verso i creditori quando la società isolatamente considerata venga occasionalmente sacrificata a vantaggio di un’altra società del gruppo, se il sacrifico risulta per la società che lo sopporta compensato dai c.d. vantaggi compensativi (vedi supra). Allo stesso modo non si riscontra interesse extrasociale dell’amministratore e conflitto di interessi del socio quando per il solo fatto di porre in essere una operazione infragruppo, anche quando la società subisca occasionalmente uno svantaggio, se questo è controbilanciato dai vantaggi derivanti dall’appartenenza al gruppo.Si può ritenere, in tal senso, che l’interesse di gruppo – da intendersi quale interesse alla massimizzazione del profitto aggregato del complesso delle società partecipanti e che in quanto tale travalica l’interesse delle singole società senza “umiliarlo”, bensì nel lungo periodo esaltandolo - è anch’ esso interesse sociale. Un illuminato e fisiologico esercizio della direzione di gruppo non comporta dunque conflitto di interessi dell’amministratore o del socio. Tuttavia, chi (socio o creditore) ha rapporti solo con la società controllata, è esposto ai rischi di questa politica gestoria. I vantaggi compensativi possono essere, infatti, erroneamente previsti o quantificati. La stessa nozione normativa di vantaggi compensativi è indeterminata;

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e infine, com’è ovvio, vi può essere direzione di gruppo miope, maldestra, opportunistica o predatoria. Per tutte queste ragioni, così come si dà responsabilità degli amministratori della controllata verso la società e verso i suoi creditori ogni qual volta, a fronte del sicuro sacrifico della società, i vantaggi compensativi siano stati erroneamente previsti e quantificati, nelle stesse ipotesi si può avere applicazione della disciplina sugli interessi degli amministratori e sul conflitto di interessi del socio, volta a prevenire il danno della società sub specie di sacrificio nell’interesse del gruppo, se i vantaggi compensativi non sono previsti o se la loro previsione risulta manifestamente errata per quanto concerne la sussistenza o l’ammontare. In altri termini la disciplina sul conflitto di interessi degli amministratori o dei soci opera come soglia di tutela anticipata rispetto a quella risarcitoria. Entra in gioco però solo quando l’atto richiede ponderazione di interessi e sacrificio dell’interesse della società, isolatamente considerato. La valutazione del danno alla società, peraltro, dovrà essere operata tenendo conto dei vantaggi compensativi prospettati (vedi supra), comunque nella prospettiva di una valutazione prognostica riferita al momento della delibera (fondata previsione di un vantaggio compensativo).In questo senso l’applicazione della disciplina del conflitto di interessi non potrebbe mai condurre a paralizzare l’attività di direzione e coordinamento di gruppo. Si deve ritenere infatti che fra l’art. 2391 e l’art. 2373 da un lato e l’art 2497 ter c.c. dall’altro ci sia un rapporto di specialità. Queste norma di applicano a fattispecie parzialmente diverse.In particolare per le decisioni delle controllate, si applica la tutela preventiva di cui agli artt. 2391 e 2373 (oltre alla tutela successiva rappresentata dalla responsabilità degli amministratori) nei confronti delle operazioni intragruppo in cui vi sia il sacrificio della società, solo quando i vantaggi compensativi non sono argomentati e se in base alla motivazione, data a norma dell’art. 2497 ter c.c., questi vantaggi appaiono ex ante opinabili o insufficienti. Si può peraltro dubitare che la tutela preventiva ex art. 2373 e 2391 c.c. si applichi ad atti diversi dalle operazioni infragruppo, influenzati dalla direzione e dal coordinamento. A questi atti sembrerebbe applicabile la sola norma speciale di cui all’art. 2497 ter c.c. È certo, invece, che stesso modo si applica solo l’art. 2497 ter c.c., e non gli artt. 2391 e 2373 c.c., a tutte le operazioni che non comportino deliberazioni consiliari o assembleari.La possibilità di applicazione concorrente delle norme sulla motivazione degli atti che risentono della direzione e del coordinamento e delle norme in tema di interessi degli amministratori è confermata dalla lettera del nuovo art. 150 del TUF, quale si desume dal progetto di Decreto approvato nei giorni scorsi dal Consiglio dei ministri. In tale disposizione si considerano distintamente da un lato gli atti posti in essere in conflitto di interessi, dall’altro e quelli influenzati dalla direzione e dal coordinamento della capogruppo.In queste ipotesi, la deliberazione del consiglio di amministrazione benché motivata potrebbe essere annullabile qualora si dimostri il potenziale pregiudizio per la società. L’idoneità a danneggiare, però, andrà stabilita tenuto conto della conformazione del danno evento propria della disciplina dei gruppi. Dovrà essere esclusa, dunque, se non sussiste alla luce del prevedibile risultato complessivo del segmento di attività di direzione e coordinamento in cui si iscrive l’operazione (vedi supra).D’altro canto, con la disciplina dei gruppi, il legislatore ha richiesto la motivazione di tutte le decisioni influenzate dalla capogruppo e ha aggiunto la responsabilità della capogruppo, e di

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altri soggetti per i danni, non ha autorizzato le decisioni dannose per la società sottoposta. La possibilità di applicare a queste fattispecie la disciplina sul conflitto di interessi consente di paralizzare l’atto prima che si compia e dopo di fare valere dopo la responsabilità degli amministratori e dei sindaci della controllata da parte di coloro che intrattengono rapporti con la singola società, e non anche con il gruppo.La possibilità di applicazione della disciplina sugli interessi degli amministratori comporta anche che la decisione di una operazione infragruppo non possa essere assunta dall’amministratore delegato. Si ritiene, peraltro, che la limitazione sia superabile qualora il consiglio di amministrazione deliberi linee guide o parametri di riferimento per categorie di operazioni intragruppo; in tal caso l’amministratore delegato potrà, nel quadro di prescrizioni che si ricavano da tali deliberazioni consiliari, assumere autonomamente le decisioni relative alle singole operazioni intragruppo contemplate. Infatti, la limitazione al potere dell’amministratore delegato nelle operazioni intragruppo è funzionale all’esigenza di ponderazione e coinvolgimento di tutti gli amministratori nella decisione e nella responsabilità; e dall’altro alla formalizzazione della motivazione della decisione nel libro dei verbali del consiglio. Ma entrambe le istanze possono essere adeguatamente soddisfate da una deliberazione “quadro”, assunta preventivamente.Per l’ipotesi dell’amministratore unico non vi è una norma generale sul conflitto di conflitto di interessi nell’assunzione della decisione. In relazione alle operazioni infragruppo resta ferma peraltro la necessità di motivazione della decisione anche ai fini del rispetto dell’art. 2497 ter c.c.In generale, infatti, a norma dell’art. 2497 ter c.c., tutte le decisioni amministrative delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate, debbono essere analiticamente motivate e indicare le ragioni e gli interessi che hanno inciso sulla decisione. La mancanza di motivazione, dunque, potrebbe rilevare in sé come vizio del procedimento decisorio, indipendentemente dal danno potenziale e dunque dall’applicabilità della disciplina sul conflitto di interessi dell’amministratore consigliere o delegato.

23) Il conflitto di interessi del socio.Quanto alla possibilità di applicare l’art. 2373 c.c. (conflitto di interessi del socio) alle deliberazioni di una società sottoposta che tengano conto dell’interesse del gruppo, anche essa sussiste quando la decisione assembleare è potenzialmente pregiudizievole per la società. In ogni caso va tenuto presente che il pregiudizio potenziale può non sussistere in ragione dei vantaggi compensativi previsti e che a tutte le decisioni influenzate dalla capogruppo si applica anche l’art. 2497-ter c.c. A norma di questa previsione, le decisioni dell’assemblea delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate, debbono analiticamente motivare e indicare le ragioni e gli interessi che hanno inciso sulla decisione. La mancanza di motivazione, dunque, potrebbe rilevare in sé come vizio del procedimento assembleare, indipendentemente dal danno potenziale e dunque dall’applicabilità della disciplina sul conflitto di interessi del socio.

24) L’infedeltà patrimoniale degli amministratori di società capogruppo o appartenenti a un gruppo. Il vantaggio compensativo come scriminante.L’art. 2634 c.c. stabilisce che gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un

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ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale, sono puniti con la reclusione da sei mesi a tre anni. La norma precisa che il profitto fatto conseguire a società collegata o del gruppo non è ingiusto, quando il danno della società è compensato dai vantaggi - conseguiti o fondatamente prevedibili - derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo. La nuova previsione è più mite della vecchia norma sulla rilevanza penale del conflitto di interessi dell’amministratore, perché: subordina la perseguibilità del reato alla querela di parte; richiede la intenzionalità del danno cagionato alla società; e riconosce l’esimente del vantaggio compensativo.Alla luce della nuova disposizione, si può affermare che non c’è infedeltà patrimoniale, perché non c’è danno alla società, nel favorire una società controllata o una società del gruppo debitrice se l’atto è funzionale a proteggere il valore della partecipazione o le possibilità di recuperare il finanziamento. Ciò vale, sempre che sia congruo il rapporto fra l’entità dei rischi dell’operazione e l’entità dell’esposizione patrimoniale che si vuole salvaguardare.Non c’è infedeltà patrimoniale neppure nel favorire una società “sorella” quando la società che compie l’atto, e che ne sia danneggiata, trae tuttavia dall’appartenenza al gruppo benefici ad altro titolo; sempre che il vantaggio sia idoneo a compensare il pregiudizio sul piano quantitativo.Quanto allo stato soggettivo che qualifica la condotta come illecito penale, ciò che rileva per applicare la scriminante, è che il vantaggio compensativo fosse, all’epoca del compimento dell’operazione, fondatamente prevedibile. La previsione consente di tenere conto anche di vantaggi che poi non sono intervenuti o non hanno eliminato del tutto il pregiudizio.La circostanza che i vantaggi compensativi previsti si rivelino inadeguati vale come scriminante soltanto in relazione alla responsabilità penale, in considerazione del dolo specifico richiesto per l’applicazione la sanzione. Peraltro, qualora i vantaggi compensativi risultino insussistenti o insufficienti resta ferma la responsabilità civile di cui all’art. 2497 c.c. Questa è esclusa solo quando il risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento “fa mancare” il danno: vale a dire quando i vantaggi sono effettivamente compensativi (vedi supra).La fondata previsione di vantaggi compensativi che poi si rivelano “non compensativi” esclude invece l’applicabilità delle disposizioni sul conflitto di interessi degli amministratori o del socio: che come si è detto si basano sulla valutazione prognostica dell’indoneità del vantaggio di gruppo a bilanciare il pregiudizio. Infatti, nel compimento di un’operazione che cagiona un danno al patrimonio della società controllata e un vantaggio alla capogruppo o ad altra società del gruppo, non c’è conflitto di interessi se il danno trova compensazione nei vantaggi fondatamente prevedibili, quali risultano dal progetto complessivo in cui si inserisce l’atto e dalle motivazioni fornite a norma dell’art. 2497 ter c.c., nonché dalla relazione degli amministratori a norma dell’art. 2497 bis c.c.

VI – DOVERI SPECIFICI DI AMMINISTRATORI E SINDACI DI SOCIETA’ CAPOGRUPPO E APPARTENENTI A UN GRUPPO

25) Doveri specifici degli amministratori e dei componenti l’organo di vigilanza della capogruppo.

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La nuova disciplina dell’attività di direzione e coordinamento deve essere tenuta in considerazione anche per stabilire quali siano ora i doveri specifici degli amministratori e dei componenti l’organo di vigilanza di una capogruppo. E d’altro canto il contenuto di questi doveri deve essere tenuto in considerazione per stabilire se qualcuno degli amministratori o dei componenti l’organo di vigilanza della società possa sottrarsi alla responsabilità solidale di cui all’art. 2497 c.c. Per le società azionarie, la diligenza richiesta all’amministratore, è quella propria della natura dell’incarico (art. 2392 c.c.). Ciò significa che gli amministratori devono agire in modo informato con la consapevolezza dei doveri che la gestione della società comporta e degli interessi da perseguire e preservare, tenuto conto se del capo della posizione di capogruppo rivestita dalla società.Specifico rilievo assume anche la prescrizione di cui all’art. 2381 commi 3 e 5, c.c., per gli amministratori della capogruppo. Nelle società azionarie, gli organi delegati nel consiglio di amministrazione hanno il compito di curare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile alla natura e dimensioni dell’impresa, riferendo periodicamente (con la periodicità fissata nello statuto e in ogni caso almeno ogni 180 giorni) sia al consiglio di amministrazione sia al collegio sindacale sul generale andamento della gestione e sulle operazioni di maggior rilievo effettuate dalla stessa società e dalla sue controllate (art. 2381, comma 5, c.c.). Sulla base delle informazioni ricevute, il consiglio di amministrazione, valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta il generale andamento della gestione. Ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società.Analogo rilievo ha l’art. 2403 bis, comma 2, c.c., per quanto riguarda i sindaci della capogruppo. In particolare si dispone che il collegio sindacale di una società azionaria può chiedere agli amministratori notizie sull’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari, anche con riferimento alle società controllate. Il collegio sindacale può altresì scambiare informazioni con i corrispondenti organi delle società controllate in merito ai sistemi di amministrazione e controllo e all’andamento generale dell’attività sociale. La previsione rileva anche per i sindaci delle società controllate. Infatti, comunicazioni di questo tipo, in mancanza di espressa previsione, sarebbero precluse dall’art. 2407, comma 1, c.c.La prescrizione in esame è richiamata nella disciplina del consiglio di sorveglianza (art. 2409 quaterdecies c.c.) e non anche in quella del comitato interno per il controllo sulla gestione.La prescrizione è derogabile dallo statuto per quanto i doveri di sindaci di società non azionarie, che istituiscano l’organo di controllo senza esservi obbligate. Dovrebbe, invece, considerarsi inderogabile la sua applicazione a sindaci di s.r.l. e di s.c.r.l. nominati obbligatoriamente (cfr. l’art. 2477 c.c.). Si ritiene, infatti, che in tal caso l’organo sindacale abbia sia compiti di controllo contabile sia il potere/dovere di esercitare un controllo di legalità sulla società.Per quanto concerne i doveri degli amministratori di una società azionaria capogruppo, si tenga anche il nuovo art. 2409 c.c. Tale norma stabilisce che i soci che rappresentano un decimo del capitale sociale o nelle società che fanno ricorso al capitale di rischio, un ventesimo del capitale sociale, possono denunciare al tribunale gli amministratori che, in violazione dei propri doveri, hanno compiuto gravi irregolarità nella gestione, quando queste possono arrecare danno alla società o a una o più società controllate.

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L’interesse dei soci di minoranza ad evitare il danno delle controllate è funzionale a salvaguardare il patrimonio della società controllante, direttamente partecipata. Questa norma contempla, dunque, il danno che deriva dalla mala gestio delle controllate da parte della controllante, ovvero in caso di gruppo da cattivo esercizio dell’attività di direzione e coordinamento. In situazioni di gruppo, però, il danno alla società controllata, ai fini dei provvedimenti di cui all’art. 2409 c.c. deve valutarsi alla luce del risultato complessivo della direzione e dal coordinamento.Peraltro la legittimazione ad effettuare la denuncia al tribunale, nei casi di cattivo esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, non è riconosciuta anche ai soci di minoranza della società controllata. Questi tuttavia, avendo la quota di capitale necessaria, potranno denunciare gli amministratori della società cui partecipano. Questa denuncia, nella ricorrenza delle condizioni (società che fa ricorso al mercato del capitale di rischio), potrà coinvolgere gli amministratori della società controllante su richiesta del P.M. (art. 2409, ultimo comma, c.c.). Il coinvolgimento degli amministratori della controllante si potrà avere anche per iniziativa del suo organo di controllo (art. 2409, ultimo comma, c.c.).

26) Doveri specifici degli amministratori e dei componenti l’organo di vigilanza della sottoposta.Comportamenti in violazione di taluni doveri specifici degli amministratori della società sottoposta possono rilevare come condotte antigiuridiche degli amministratori della controllata e come fonte sia di responsabilità solidale ex art. 2497 c.c. sia di responsabilità principale verso la società amministrata, i soci e i creditori. Tali sono i comportamenti contrari alle prescrizioni in tema di pubblicità e in tema trasparenza della direzione e del coordinamento (cfr. gli art. 2497 bis c.c. e 2497 ter c.c.).Per quanto riguarda il contenuto e la ratio delle prescrizioni in tema di pubblicità che è fatto obbligo agli amministratori della società sottoposta di rispettare, si rinvia a quanto in precedenza osservato.Qualche considerazione ulteriore, invece, merita il dovere di motivazione degli atti influenzati dalla direzione e dal coordinamento, fermo restando quanto sopra osservato circa la possibilità che la società capogruppo, sulla base di tale motivazione, vada indenne da responsabilità (vedi supra), e circa la possibilità che l’amministratore della società sottoposta che esegue le direttive della capogruppo, non tanto sia “influenzato” dalla capogruppo, quanto versi in conflitto di interessi (vedi supra).Nella disciplina di cui all’art. 2391 c.c., la motivazione di una operazione intragruppo in cui l’interesse della società sia momentaneamente sacrificato attiene alle ragioni e alla convenienza per la società dell’operazione. Nella disciplina di cui all’art. 2497 ter c.c. la motivazione deve essere analitica in merito alla “ragioni e agli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione”. Per cui, nel primo caso è necessario che la motivazione evidenzi il vantaggio della società in contrapposizione all’apparente potenziale pregiudizio. Nel secondo caso è necessario che la motivazione renda trasparenti le ragioni che hanno portato alla decisione, nella misura in cui questa sia stata influenzata dall’attività di direzione e coordinamento, indipendente dalla considerazione dei sacrifici e degli eventuali vantaggi compensativi.L’osservanza dell’art. 2497 ter c.c. per le decisioni che non sono verbalizzate potrà essere fatta risultare solo dalla relazione di cui all’art. 2428 c.c.

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L’inosservanza dell’art. 2497 ter c.c. rileva come violazione di legge che può comportare l’invalidità della deliberazione se si tratta di deliberazione consiliare o assembleare, in quanto vizio del procedimento e quindi indipendentemente dalla valutazione di qualunque pregiudizio. Il contratto, invece, benché influenzato dall’attività di direzione e coordinamento, non deve recare alcuna motivazione.L’inosservanza della prescrizione di cui all’art. 2497 ter c.c., comunque, è fonte sia di responsabilità solidale degli amministratori della sottoposta ex art. 2497 c.c., come partecipazione al fatto lesivo, sia di responsabilità principale degli stessi verso la società amministrata, i suoi soci e creditori.L’inosservanza di tale prescrizione può comportare responsabilità solidale, ex art. 2497 c.c., o principale sulla base delle disposizioni applicabili, anche dei componenti l’organo di vigilanza della società sottoposta.

VII – IL RECESSO

27) Le cause di recesso.Con la riforma sono state introdotte specifiche cause di recesso connesse con la disciplina dei gruppi. All’esercizio del recesso e alla liquidazione della partecipazione sociale si applicano le disposizioni generali.In primo luogo si consente il recesso del socio di società sottoposta a direzione e coordinamento di gruppo in relazione a vicende della capogruppo. In particolare il recesso è consentito: (i) quando la capogruppo deliberi una trasformazione che implica il mutamento dello scopo sociale; la disposizione si riferisce al mutamento dello scopo della capogruppo, non del tipo societario: sicché si applica nei casi di trasformazione eterogenea, da cooperativa a società lucrativa; (ii) quando la capogruppo modifichi il suo oggetto sociale, consentendo attività che alterino in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali della società soggetta alla sua direzione e coordinamento.Tali modificazioni, che incidono direttamente sull’attività della capogruppo e non su quelle delle controllate, sono stata tuttavia ritenute dal legislatore significative, tanto da consentire il recesso ai soci delle controllate, sull’assunto che lo scopo e l’oggetto della capogruppo condizionano gli indirizzi gestionali e le prospettive economico aziendali delle controllate; in tal senso le modificazioni suddette si considerano incidenti sulla posizione dei soci delle controllate: che sullo scopo e sull’oggetto della controllata si suppone facessero affidamento.Il recesso è inoltre consentito al socio della controllata che abbia ottenuto la condanna della capogruppo per i danni derivanti dall’abuso di direzione e coordinamento; la legge in tal caso esclude il recesso parziale.Infine il recesso è consentito all’inizio e alla fine dell’attività di direzione e coordinamento; la situazione presa in considerazione dal legislatore è a ben vedere l’ingresso e l’uscita dal gruppo. Ciò che rileva, si direbbe, più che l’inizio e la cessazione di un’attività (di dubbia identificazione), è l’acquisto e la cessione del controllo societario. Non a caso il diritto di recesso è escluso quando l’ingresso e l’uscita dal gruppo avvengono mediante offerta pubblica di acquisto: in tal caso ciascun socio può valutare la convenienza di cedere all’offerente la sua partecipazione se non ritiene convenienti le prospettive conseguenti all’operazione. Del resto in virtù della presunzione di cui all’art. 2497-sexies inzio e

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cessazione dell’attività di direzione e coordinamento corrispondono ad acquisto e cessione del controllo societario.Il recesso connesso a “inizio e cessazione” dell’attività di direzione e coordinamento è peraltro subordinato alla circostanza che dall’operazione derivi un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento. Ancora una volta dunque il legislatore assume che le prospettive economiche della controllata (e dunque dei suoi soci esterni) sono condizionate dalla direzione e coordinamento di gruppo.Si è già osservato che il termine per l’esercizio del recesso decorre dall’iscrizione nel registro delle imprese dell’indicazione relativa alla soggezione della società all’altrui direzione e coordinamento, salvo che si dimostri che il socio era a conoscenza del fatto che legittima il recesso stesso.Ciò pone una delicata questione di diritto transitorio: poiché le società già soggette a direzione e coordinamento prima della riforma provvederanno dopo il 1 gennaio 2004 all’iscrizione nel registro delle imprese, i soci esterni potrebbero pretendere di recedere in quanto l’inizio della soggezione all’altrui direzione e coordinamento, pur preesistente, è stato reso opponibile solo in un momento successivo: assumendo che il termine per l’esercizio del recesso scade trenta giorni dopo l’iscrizione nel registro delle imprese, iscrizione che, in quanto pubblicità dichiarativa, equivarrebbe alla conoscenza del fatto (art. 2437-bis comma 1 ultima frase).Peraltro sembra agevole conseguire, nel caso di specie, la prova che la conoscenza da parte del socio esterno risale a prima dell’entrata in vigore della riforma: ciò è piuttosto ovvio nelle società del gruppo caratterizzate da una ristretta base azionaria; ma anche nella società quotata in borsa, posto che il controllo su di essa deriva da un’offerta pubblica di acquisto che ha avuto ad oggetto la maggioranza delle azioni. Ciò sembra scongiurare l’ipotesi di recessi opportunistici legati all’iscrizione nel registro delle imprese della soggezione alla direzione di gruppo.

VIII – I FINANZIAMENTI INTRAGRUPPO

28) La postergazione dei crediti per finanziamenti intragruppo.La riforma ha introdotto, con l’art. 2497-quinquies, una speciale disciplina dei finanziamenti concessi alle società soggette a direzione e coordinamento di gruppo dalla capogruppo o da altre società del gruppo, assoggettandoli alla nuova normativa dei prestiti dei soci nella s.r.l., di cui all’art. 2467.Tale disposizione prevede la postergazione del rimborso dei finanziamenti stessi rispetto al soddisfacimento degli altri creditori della società, nonché il recupero dei finanziamenti rimborsati nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento. La disciplina si applica ai finanziamenti, in qualsiasi forma effettuati, concessi in un momento in cui, in considerazione dell’attività esercitata dalla società, risulta uno squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o in una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento. La disposizione riguarda evidentemente il problema della sottocapitalizzazione materiale, intesa come dotazione di mezzi propri inadeguati rispetto all’attività svolta dalla società.

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Per quanto interessa in questa sede, si deve osservare che la formulazione della disposizione, riferita ai finanziamenti “in qualsiasi forma”, può comprendere qualsiasi operazione che abbia una componente finanziaria, e dunque qualsiasi debito nei confronti di società del gruppo. Inoltre si può ritenere che la disposizione si applichi anche alle garanzie prestate a favore della società da altre società del gruppo: nel senso che il credito di rivalsa della società del gruppo garante verrebbe postergato rispetto agli altri creditori sociali.Peraltro la postergazione dei crediti relativi a finanziamenti intragruppo è una misura la cui applicazione presuppone una procedura esecutiva nei confronti della società: è in quella sede infatti che, concorrendo diverse pretese creditorie, se ne potrà privilegiare taluna e postergare talaltra. Potrebbe trattarsi di una procedura esecutiva individuale (pignoramento), ma è evidente che il campo di applicazione della disposizione è essenzialmente quello delle procedure concorsuali. È dunque in caso di insolvenza di una controllata che i finanziamenti concessi dalle altre società del gruppo non potranno essere rimborsati se non dopo che siano stati soddisfatti tutti gli altri creditori. La regola della postergazione in sé non vale allora ad impedire il rimborso dei finanziamenti ricevuti dalle società del gruppo prima che siano stati soddisfatti tutti gli altri creditori, se la società non è soggetta a procedure concorsuali. Non può dirsi insomma che i finanziamenti vengano riqualificati come apporti di capitale, non rimborsabili finché dura la società. Ci si chiede tuttavia se non vi siano limiti e condizioni alla restituzione dei finanziamenti intragruppo: in particolare potrebbe sembrare che la restituzione del finanziamento non sia consentita sino a quando permane la situazione di squilibrio considerata dalla disposizione. Peraltro la disposizione impone che i finanziamenti rimborsati nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento debbano essere restituiti: essi verranno recuperati dagli organi della procedura, poiché su tali somme dovranno essere preventivamente soddisfatti i creditori. Qualora tale restituzione non fosse possibile (ad esempio perché anche la società finanziatrice è divenuta insolvente), potrà configurarsi una responsabilità per danni a carico degli amministratori della società beneficiaria che, rimborsando il finanziamento, hanno pregiudicato la garanzia patrimoniale della società.Stando alla legge la postergazione dei finanziamenti si applica quando essi furono concessi in un momento di squilibrio tra indebitamento e mezzi propri della società beneficiarie, in circostanze in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento. La formulazione della norma è piuttosto generica e risulta difficile attribuirle un significato preciso e univoco. Se la società fallisce prima di rimborsare il finanziamento o poco dopo averlo rimborsato, sarà difficile provare che non sussisteva uno squilibrio fin da quando il finanziamento era stato concesso. Insomma si direbbe che, piuttosto che la situazione al tempo in cui il finanziamento fu concesso, rileva la possibilità di restituirlo senza diventare insolvente. L’insolvenza sopravvenuta finisce per diventare una presunzione di squilibrio finanziario anteriore.Potrebbero darsi peraltro delle ipotesi in cui, pur essendo divenuta la società insolvente prima di restituire il finanziamento concesso o nell’anno successivo alla restituzione, si riesca ad evitare la postergazione, dimostrando che l’insolvenza era del tutto imprevedibile al momento in cui il finanziamento fu concesso o prorogato.D’altro canto si potrebbe forse ritenere che se la società rimborsa il finanziamento ricevuto e non diviene insolvente entro l’anno, lo squilibrio non era tale da giustificare la postergazione. Ma se la nuova disposizione prevede un recupero automatico dei finanziamenti rimborsati solo nell’anno anteriore al fallimento, ciò non esclude che l’applicazione della norma porti a

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configurare nuove ipotesi di revocatoria dei pagamenti, che incidano sui rimborsi di finanziamenti intragruppo avvenuti anche prima dell’anno anteriore al fallimento. Si potrebbe ipotizzare, in particolare, che siano soggetti a revocatoria i rimborsi di finanziamenti eseguiti nel secondo anno anteriore al fallimento: il pagamento potrebbe essere considerato anomalo ove avvenga nella situazione di squilibrio finanziario di cui all’art. 2467, comma 2, c.c.

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