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  1 Fine del mondo o fine di un mondo? Tratto da G. Silei, Le radici dell  incertezza.  Storia della paura tra Otto e Novecento Manduria-Bari-Roma, Lacaita 2008 Un fremito scosse il suo dolore. Pensò che quel che ancora restava della propria carne si era trasmesso, senza sosta, fin dalle origini. Qualcosa che era vissuto nel mare  primitivo, sui limi nascenti, nelle paludi, nelle foreste, nel folto delle savane, e fra le città innumerevoli dell’uomo, e non si era mai interrotto fino a lui… Ed ecco! Era il solo uomo che palpitasse sulla faccia, ritornata immensa, della terra!... Joseph-Henri Rosny aîné  La morte della Terra (1910)  Anche in un secolo apparent emente caratterizzato dalla imperante fiducia nel progresso e dallaffermazione della cultura scientifica, del razionalismo e del materialismo, il senso di attesa tipico di unepoca di passaggio come quella tra Otto e Nov ecento ispirò allinterno della letteratura fantastica una vera e propria corrente “catastrofico-apocalittica”  che raggiunse il suo acme tra gli anni Novanta e la vigilia della G rande Guerra 1 . Già allinizio dellOttocento nel un romanzo scritto da un sacerdote cattolico, Cousin de Grainville, pubblicato postumo,  L’ultimo uomo, si affrontavano temi che sarebbero divenuti dei classici per la letteratura di questo genere, su tutti la descrizione 1  Cfr. Warren Wagar, Terminal Visions: The Literature of Last Things, Bloomington, Indiana University Press 1982.

G.Silei, Fine Del Mondo o Fine Di Un Mondo?

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Estratto dal capitolo 8 del libro G. Silei, Le radici dell’incertezza. Storia della paura tra Otto e Novecento Manduria-Bari-Roma, Lacaita 2008.

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Fine del mondo o fine di un mondo? 

Tratto daG. Silei, Le radici dell ’ incertezza. Storia della paura tra Otto e Novecento 

Manduria-Bari-Roma, Lacaita 2008 

Un fremito scosse il suo dolore. Pensò chequel che ancora restava della propria carnesi era trasmesso, senza sosta, fin dalleorigini. Qualcosa che era vissuto nel mare

  primitivo, sui limi nascenti, nelle paludi,nelle foreste, nel folto delle savane, e fra lecittà innumerevoli dell’uomo, e non si eramai interrotto fino a lui… Ed ecco! Era il solo uomo che palpitasse sulla faccia,ritornata immensa, della terra!...

Joseph-Henri Rosny aîné

 La morte della Terra (1910)

  Anche in un secolo apparentemente caratterizzato dallaimperante fiducia nel progresso e dall‟affermazione della culturascientifica, del razionalismo e del materialismo, il senso di attesatipico di un‟epoca di passaggio come quella tra Otto e Nov ecento

ispirò all‟interno della letteratura fantastica una vera e propriacorrente “catastrofico-apocalittica” che raggiunse il suo acme tra glianni Novanta e la vigilia della Grande Guerra1.

Già all‟inizio dell‟Ottocento nel un romanzo scritto da unsacerdote cattolico, Cousin de Grainville, pubblicato postumo,

 L’ultimo uomo, si affrontavano temi che sarebbero divenuti deiclassici per la letteratura di questo genere, su tutti la descrizione

1 Cfr. Warren Wagar, Terminal Visions: The Literature of Last Things,Bloomington, Indiana University Press 1982.

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delle angoscianti atmosfere generate dal calare della notte su unmondo ormai morente per il progressivo esaurimento del Sole:

Sembrava che un nuovo sole salisse all‟orizzonte o che il giorno dellosconvolgimento finale fosse giunto. Era il sorgere della luna a causare questospettacolo terribile. Essa si levava sanguinante, con la forma di una grande

  bocca aperta dalla quale scaturivano ininterrottamente dei torrenti di fuoco.Di fronte a questo spettacolo, gli animali, spaventati, lanciavano delle urlaspaventose; tutti i popoli, tremanti, attendevano la morte e nascondevano il

 viso a terra […] Il Sole dava sempre più segno di vecchiaia: il suo disco impallidiva ed i

suoi raggi si raffreddavano. Il nord della terra temette di perire, i suoi abitantisi affrettarono ad abbandonare un clima che si raffreddava ogni giorno di più,raccolsero i loro averi e si affollarono sotto il sole nelle zone torride2.

Il peregrinare del personaggio di Omégare, alla ricerca “dellasola donna che, come lui, possa trasmettere la vita e perpetuare gliuomini”3 è però destinato ad un tragico insuccesso. Anzichéaccettare la scellerata proposta di del potente Ormus e generareuna stirpe di mostruosi cannibali destinati a vivere nelle tenebreperenni (descrizione che sarebbe tornata per i Morlock di Wells),Omégare sceglie il suicidio, condannando l‟umanità all‟estinzione.

Il regno del tempo è finito, i secoli eterni stanno per cominciare; ma nellostesso momento, gli inferni lanciano dei gridi di rabbia, il sole e le stelle sispengono. La cupa notte del caos copre la terra; dalle montagne, dalle rocce edalle caverne escono dei suoni lamentosi, la natura geme. Nell‟aria si ode una

 voce gridare: il genere umano è morto4.

La vicenda immaginata da Grainville ebbe un notevole successo, alpunto che il personaggio di Omégare e il suo universo narrativofurono oggetto dei racconti di altri scrittori5. In Inghilterra, dove il

2 Jean Baptiste François Xavier Cousin de Grainville,  Le dernier homme,Paris, Deterville 1805, pp. 93-94 e p. 110.

3  Ibidem, tomo I, p. 71.4  Ibidem, cit., tomo II, p. 167.5 Il primo fu quello di Auguste-François Creuzé de Lesser,   Le Dernier 

 Homme. Poème imité de Grainville (1832) in cui si descrivono con dovizia diparticolari le civiltà che popolano la terra di Omégare e si riporta il tentativodell‟uomo di colonizzare altri pianeti. Seguì poi il lavoro di Paulin Gagne,

  L’Unitéide ou la Femme Messie, 1858, in cui il personaggio principale(divenuto Omégar ) riesce invece a salvare l‟umanità e a generare deidiscendenti per intercessione di Dio. Infine, fu la volta di Omégar ou Le

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libro fu tradotto già nel 1806, l‟angoscia della fine dei tempi ispiròad esempio Byron, che in un componimento poetico del 1816,

 Darkness, descrisse una terra morente, inghiottita dalle tenebredopo la morte del Sole. In uno scritto di poco successivo, ThomasCampbell fornì una visione analoga della fine dei tempi6. Ladisperata solitudine di una umanità impotente, in attesa della suadefinitiva distruzione, priva persino del conforto di una vita dopola morte, fu poi l‟argomento di un dramma di Thomas LovellBeddoes, scritto tra il 1823 e il 1825 e mai ultimato. Questo temaavrebbe trovato una delle sue sintesi più efficaci con L’ultimo uomo di Mary Shelley. Anche se si tratta di un romanzo a chiave, dietro ilquale si nascondono luoghi, episodi e persone appartenenti al

  vissuto dell‟autrice, il romanzo narra il viaggio verso l‟ignotodell‟unico superstite di una terribile pestilenza che, in un‟epocafutura, ha spazzato via l‟umanità. Lionel, il protagonista, è unnuovo Adamo, il simbolo della incessante lotta dell‟uomo per la suaesistenza, ma anche del suo perenne rinnovamento. L‟apocalitticapandemia che infuria sulla Terra, è del resto, un simbolo dellamodernità, dello scontro tra vecchio e nuovo, e contiene anchequello che, secondo l‟autrice, sarà l‟esito finale a cui questa stessamodernità porterà l‟uomo: distruggendo la natura, l‟uomo

distruggerà anche se stesso7.Questo filone era una rivisitazione, sulla base della nuova

sensibilità di inizio Ottocento, dalle numerose storie sulla fine deitempi e dell‟umanità prodotte nelle epoche passate. Il temadell‟Ultimo uomo, tipico del romanticismo, era però anche unriflesso, in chiave artistica, della percezione del cambiamento che sipaventava all‟orizzonte, un cambiamento radicale, irreversibile chesi apprestavano a realizzare i “figli” della Rivoluzione industriale8.

 Dernier Homme, 1859 opera di Elise Gagne, moglie dell‟autore della  Donna Messìa.

6 Cfr. Ornella De Zordo, La revisione dell’utopia romatica: Mary Shelleye la sua prospettiva apocalittica, Introduzione a Mary Shelley, L’ultimo uomo,Firenze, Giunti 1997 [1a ed. 1826], pp. XVIII-XIX.

7 Giovanna Franci, Visione e apocalisse in “The Last Man” di Mary Shelley, in   L’Utopia e le sue forme, a cura di Nicola Matteucci, Bologna, IlMulino 1982, pp. 189-190.

8 Cfr. A. James Sambrook, A Romantic Theme: The Last Man, in “Forum

for Modern Languages Studies”, 2, 1966, pp. 25-33 e il più recente FionaStafford, The Last of the Race; The Growth of a Myth from Milton to Darwin,Oxford, Clarendon Press 1994.

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In questa produzione di inizio Ottocento, l‟Apocalissecostituiva un espediente narrativo per avanzare considerazioni dicarattere filosofico o teologico non soltanto sul senso della fine maanche e soprattutto sul cambiamento dei tempi. L‟  Apocalisse el‟“Ultimo uomo” simboleggiavano la fine di un sistema sociale, lamorte del “vecchio mondo” e l‟avvento di una società nuova e diuna nuova umanità. Le lacrime di Chingachgook sulla tomba delgiovane Uncas nell‟Ultimo dei Mohicani di Fenimore Cooper – nona caso pubblicato in questi stessi anni – vanno lette anche inquesto contesto. Nelle parole di Chingachgook riecheggia ladisperata solitudine di chi sa di essere l‟ultimo sopravvissuto diun‟epoca destinata a f inire:

Sono un pino schiantato, in una radura di visi pallidi. La mia razza èscomparsa dalle sponde del lago salato e dalle colline dei delaware9.

Come in tutte le epoche di passaggio, in questa fase la fine venne interpretata come “lenta degenerazione a partire da unpunto iniziale, l‟aetas aurea”, l‟età dell‟oro10. Il senso didisorientamento associato all‟idea di aver imboccato uninarrestabile declino era provocato dal venir meno dei tradizionali

punti di riferimento, di un mondo conosciuto e perciò rassicurante.Lo “spaesamento tragico”, lo stupore provocato dalla fine di unequilibrio (reale o presunto) fu rappresentato spesso, in anticiposui tempi, dalla sensibilità artistica. Nel racconto L’ultimo suicidio, lo scrittore russo Odòevskij descrive una sorta di “mondo allarovescia” alle soglie dell‟Apocalisse, in cui i suicidi sono consideratieroi e coloro che mettono al mondo figli sono messi all‟indice comedei folli o dei criminali. Di fronte all‟abisso indistinto del f uturo,l‟autodistruzione risulta l‟ultima, terribile e tuttavia più sensata

soluzione11.L‟angosciosa sensazione di stare vivendo nell‟imminenza di un 

mutamento di portata epocale, emerge anche in molterappresentazioni delle arti figurative. Fra il 1834 e il 1836, ThomasCole fissò il susseguirsi di nascita-crescita-morte che

9 James Fenimore Cooper,   L’ultimo dei Mohicani , Torino, Einaudi 1976[1a ed. 1826], p. 369.

10 Ernesto De Martino,   La fine del mondo. Contributo all’analisi delleapocalissi culturali , a cura di Clara Gallini, Torino, Einaudi 2002, p. 241.

11  Vladimir Fedorevič Odòevskij, L’ultimo suicidio, cit., p. 183.

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contraddistingue le stagioni della vita umana – ma anche delleciviltà – nel Ciclo dell’Impero, una serie di tele nelle quali lamontagna, simbolo della natura immutabile, assiste silenziosa altrascorrere delle epoche: da quella selvaggia a quella pastorale; daquella imperiale fino al crollo e alla desolazione finale12. WilliamTurner dipinse il terribile manifestarsi dell‟Arcangelo Michele. Difronte all‟imminenza del Giudizio finale, l‟uomo, simboleggiatodalle figure tremanti di Adamo ed Eva, ritratti sopra il corpo di  Abele, e da Giuditta con il corpo di Oloferne, è solo, debole,indifeso13. Ancora più cupe furono certe ambientazioni di JohnMartin, che, dopo aver illustrato il   Paradiso Perduto di Milton,evocò a più riprese nelle sue opere ispirate alla Bibbia il tema

dell‟ultimo uomo e dell‟Apocalisse14

. A questa visione del giorno del Giudizio se ne andò ben prestoaffiancando un‟altra, frutto di una influenza più prettamentescientifica. Inserendosi nel dibattito avviato dalle teorie di Cuvier,che all‟inizio dell‟Ottocento aveva spiegato l‟esistenza di fossili dianimali estinti con eventi catastrofici avvenuti in passato, l‟inglese   William Buckland, conciliò il rigido rispetto delle Sacre scrittureimposto dalla religione anglicana con il pensiero scientifico,affermando che le analisi geologiche attestavano come in epoche

remote, le terre erano state ricoperte dall‟acqua15. La scienza – macon la diffusione delle teorie evoluzionistiche questa comunanza di vedute sarebbe ben presto sfumata – sembrava dunque avvalorarequanto sostenuto da secoli dalla religione. Il Diluvio, che ThomasCole e William Turner avrebbero di lì a poco immortalato nelle lorotele, era dunque davvero esistito16.

12  Il ciclo dell’Impero di Thomas Cole, si compone di cinque tele, ultimate

nel 1836,:   Lo stato selvaggio,   L’età arcadica, Apoteosi dell’Impero, Distruzione e Desolazione, conservati presso la New York Historical Society.

13 William Turner, The Angel Standing in the Sun (1846), olio su tela,Tate Gallery, Londra.

14 Cfr. John Martin,   L’ultimo uomo (1849), olio su tela, Walker ArtGallery, Liverpool; Id., The Last Judgement (1853), olio su tela, Tate Gallery,Londra.

15 William Buckland,   Reliquiae Diluvianae or Observations on theOrganic Remains attesting the Action of a Universal Deluge, New York, ArnoPress 1978 [1a ed. 1823].

16 Thomas Cole,   Il ritiro delle acque dopo il diluvio (1829), Chicago,Museum of Anerican Art; William Turner, Ombra e tenebre. La sera del  Diluvio (1843), Londra, Tate Gallery.

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  Ad alimentare paure e visioni millenaristiche contribuironoinoltre alcuni particolari eventi che, soprattutto nell‟immaginariopopolare, furono colti come i segnali dell‟imminente fine dei tempi: tra questi, il passaggio di “Re Colera”, alcune bizzarrie climatiche(inverni rigidi e precoci, tempeste particolarmente intense),disastri naturali (terremoti, strani brontolìi euna particolareattività dei vulcani, inondazione e alluvioni) e persino astronomici(il passaggio della cometa di Halley, eclissi e fenomeni meteorici).

Con il processo di industrializzazione, anche il temadell‟Apocalisse, che a lungo, anche nelle dinamiche, era rimastofedele alla lettura biblica, si modernizzò. Nel 1873, l‟ex magistratopoi divenuto popolare collaboratore del  Figaro ed apprezzato

scrittore di letteratura avventurosa e fantastico-satirica, EugèneMouton, che si firmava con lo pseudonimo Mérinos, fornì unapropria visione della fine del mondo: 

Presto comincerà la fase tremenda in cui l‟eccesso di produzione porteràad un eccesso dei consumi, L‟ECCESSO DI CONSUMI AD UN ECCESSO DI CALORE, E

L‟ECCESSO DI CALORE ALLA COMBUSTIONE SPONTANEA DELLA TERRA E DI TUTTI I SUOI

 ABITANTI [...].Per un decina di secoli, tutto andrà di meglio in meglio. L‟industria farà

passi da gigante. All‟inizio si sfrutteranno tutti i giacimenti di carbone; poi le

fonti di petrolio, poi si abbatteranno tutte le foreste; quindi si bruceràdirettamente l‟ossigeno dell‟aria e l‟idrogeno dell‟acqua […]. 

Ogni lavoro fisico sarà fatto da macchine o dagli animali: l‟uomo non loconoscerà più che sotto forma di ginnastica volontaria, praticata unicamentecome igiene […]. 

Il termometro sale, il barometro scende, l‟igrometro viaggia verso lo zero.I fiori avviziscono, le foglie ingialliscono, le pergamene si accartocciano: ognicosa secca e diventa fragile. Gli animali diminuiscono per effetto del calore edell‟evaporazione. A sua volta, l‟uomo si farà secco e smagrito […]  

La fine comincia.

Sotto la tripla influenza del calore, dell‟asfissia e della disseccazione, laspecie umana si annienterà poco a poco […] Poi verrà l‟ultimo giorno. Non sono più di trentasette, erranti come spettri in mezzo ad una

spaventosa popolazione di mummie che li guardano con occhi simili ad uva diCorinto.

E si prendono per mano, iniziano un girotondo furioso, e i danzatori, auno ad uno, barcollano e cadono morti con un rumore secco. E finito iltrentaseiesimo giro, l‟ultimo sopravvissuto rimarrà solo di fronte a questocumulo miserabile in cui sono ammucchiati gli ultimi resti della razza umana!

Egli lancia un ultimo sguardo alla Terra, le dice addio a nome di tutti noi,e dai suoi poveri occhi bruciati cade una lacrima, l‟ultima lacrimadell‟umanità. La raccoglie nelle sue mani, la beve e muore, guardando il cielo. 

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Puff!Una piccola fiamma bluastra si alza tremolante; poi due, poi tre, poi mille.

Il globo intero si avvampa, brucia in un istante, si spegne.È finita: la Terra è morta.

Buia e gelida, essa ruota tristemente nei deserti silenziosi dell‟infinito; edi tanta bellezza, di tanta gloria, di tante gioie, di tante lacrime, di tantoamore, non resta che una piccola pietra polverosa, errante, miserabile,attraverso le sfere luminose di nuovi mondi17.

Dietro questa terribile profezia si celava una violenta criticaagli eccessi dell‟industrializzazione, un monito alle nuovegenerazioni ad usare con parsimonia e saggezza i doni delprogresso. Era questa la nuovo età dell‟oro? E se lo era, era lecito

attendersi una nuova “fine dei tempi”? In un passo di un suo celebre romanzo, pubblicato alla finedegli anni Sessanta dell‟Ottocento, Jules Verne descrivel‟incredibile scoperta che il personaggio del professor Arronax,imbarcato a bordo del sottomarino  Nautilus del capitano Nemo,effettua durante una esplorazione subacquea:

Proprio là, sotto i miei occhi, distrutta e in rovina, giaceva una città, coitetti crollati, i templi abbattuti, gli archi spostati, le colonne sparse per terra,là, dove ancora si intravedevano le linee massicce di una sorta di architetturatoscana. Più lontano, i resti di un gigantesca acquedotto; qui l‟alta base di unaacropoli, con il profilo fluttuante di un Partenone; là le vestigia di un molo,come se un antichissimo porto si fosse un tempo affacciato, con i suoimercantili o le sue triremi da guerra, sulle rive di un oceano scomparso.

 Ancora più in là le linee di mura crollate, di larghe strade deserte: una speciedi Pompei sommersa che il capitano Nemo metteva di fronte ai miei occhi!

Dov‟ero? Dove? Volevo saperlo ad ogni costo.   Avrei voluto parlare,togliermi lo scafandro di rame che mi imprigionava la testa.

Ma il capitano Nemo si avvicinò e mi fermò con un gesto. Poi,raccogliendo un pezzo di pietra calcarea, si avvicinò ad una roccia basaltica

nera, scrivendo una sola parola: ATLANTIDE18.

 Affrontato in altri scritti soprattutto di argomento fantastico-utopico19, il mito di quell‟isola o continente perduto che Platone

17 Mérinos [Pierre Martin Désiré Eugène Mouton],   La fin du monde, in Nouvelles et fantaisies humoristiques, Paris, Librairie générale, 1872, pp. 47-

57. 18 Jules Verne, Vingt Mille Lieues sous les mers, Paris, Hetzel 1871 [1a ed.1869], pp. 297-298.

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aveva narrato nei dialoghi, incompiuti, Timeo e Crizia, tornò più volte di attualità nel corso dell‟Ottocento. Quando aveva scrittoVentimila leghe sotto i mari , Verne si era probabilmente ispiratoad un fatto reale, in particolare al dibattito accesosi nel 1855all‟indomani di alcuni ritrovamenti archeologici nei pressi diSantorini. Il confronto ruotava attorno all‟ipotesi che proprioquest‟isola greca, sconvolta anticamente da una tremenda eruzione  vulcanica, potesse aver ospitato un tempo quella ricca e fiorenteciviltà atlantidea che tutti cercavano da secoli. Proprio mentre Verne dava alle stampe le avventure del capitano Nemo, lo studiosodelle civiltà precolombiane, Brasseur de Beaubourg, nell‟affermare(sbagliando) di aver trovato la chiave per decifrare i caratteri maya,

credette di trovare la conferma dell‟esistenza di un continente tral‟America e l‟Africa chiamato  Mu. L‟antiquario e archeologodilettante inglese Augustus Le Plongeon, prosecutore dell‟opera diBrasseur de Beaubourg, non solo ne confermò le tesi, ma neaggiunse ulteriori particolari, proponendo una datazione dimassima. L‟ipotesi di  Mu cominciò ben presto a vivere di vitapropria, in numerose ricostruzioni “alternative” in cui fantasioseipotesi geologiche, zoologiche ed archeologiche si mescolavano acredenze esoteriche e filosofiche. che, partendo dalla  Dottrina

segreta della sensitiva Blavatsky, culminarono in una serie dilavori di James Churchward pubblicati tra il 1926 e i primi anniTrenta20. 

Il mito di Atlantide fu invece alimentato e per certi versi“codificato” ad usum delle generazioni successive da un avvocato euomo politico americano: Ignatius Donnelly. In   Atlantide: il mondo prima del Diluvio e nel successivo  Ragnarok21, Donnelly rilesse attentamente le parole di Platone e dalla moleimpressionante di dati ed informazioni raccolte trasse delleconclusioni, a suo parere, incontrovertibili:

19 Cfr., ad esempio, Vittorio Imbriani,  Naufragazia (1866), in “La Nuova  Antologia”, 1 agosto 1934, pp. 370-381, in cui il tema è quello dell‟isolaperduta e Carlo Dossi, La colonia felice. Utopia, Milano, Perelli 1874.

20 Helena Petrovna Blavatsky,  La Dottrina segreta [1888-1936], Milano,

 Armenia 1986.21 Ignatius Donnelly, Atlantis: the Antideluvian World , New York, Harper1882; Id., Ragnarok. The Age of Fire and Gravel , New York, Appleton 1883.

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1. Che un tempo, nell‟Oceano Atlantico, dall‟altra parte dello stretto che  conduce al Mediterraneo, è esistita una grande isola, che fu ciò che restava diun continente atlantico, nota nel mondo antico come Atlantide;

2. Che la descrizione che Platone ha fornito di quest‟isola non è, come si

erroneamente ritenuto, una leggenda ma verità storica;3. Che Atlantide fu il luogo dove per la prima volta la civiltà umana uscìdallo stato di barbarie;

4. Che Atlantide divenne, con il trascorrere delle epoche, una potenzaforte e popolosa, che colonizzò e diffuse la civiltà lungo le coste del Golfo delMessico, del Mississippi e del Rio delle Amazzoni, la costa del Pacifico del Sud

  America, il Mediterraneo, le sponde occidentale dell‟Europa e dell‟Africa, ilBaltico, il Mar Nero e del Caspio.

5. Che è esistito il mondo antidiluviano. Il Giardino dell‟Eden, i giardinidelle Esperidi, i Campi Elisi, il giardino di Alcinoo, l‟Olimpo, Asgard delletradizioni dei popoli antichi rappresentano una sorta di memoria universale diun grande territorio dove il genere umano visse per generazioni in pace eprosperità;

6. Che gli dèi e le dee degli antichi Greci, Fenici, Indù e Scandinavi eranosemplicemente i re, le regine e gli eroi di Atlantide, e che le imprese che sonolo attribuite dalla mitologia sono un‟eco confusa di eventi realmente accaduti;  

7. Che le mitologie delle civiltà egizia e peruviana riflettono l‟anticareligione di Atlantide basata sull‟adorazione del dio-Sole;

8. Che la più antica colonia fondata dagli atlantidei fu probabilmente inEgitto, dove di formò una civiltà che ricalcava quella dell‟isola atlantica;

9. Che il passaggio all‟età del Bronzo in Europa fu dovuto ad Atlantide. Gli

atlantidei furono inoltre i primi a lavorare il ferro;10. Che l‟alfabeto fenicio, alla base di tutti gli alfabeti europei, derivavadall‟antico alfabeto di Atlantide, che fu influenzò inoltre quello dei Maya in

 America Centrale;11. Che Atlantide fu il luogo dove ebbero origine le popolazioni Ariane o

Indo-europee e quelle Semitiche, e probabilmente anche le razze Turaniche;12. Che Atlantide fu distrutta da una terribile catastrofe naturale, a

seguito della quale l‟intera isola si inabissò nell‟Oceano insieme a quasi tutti isuoi abitanti;

13. Che pochi sopravvissuti fuggirono su navi e piroghe e portarono ai

popoli a est e a ovest la notizia della tremenda catastrofe, che è sopravvissutafino ai nostri tempi nei miti del Diluvio presenti nella tradizione dei popoli del vecchio e del nuovo mondo22.

La fortuna della leggenda di Atlantide, che negli anni successiviinfluenzò innumerevoli scritti, dal romanzo, all‟utopia letteraria,dal racconto di avventura per ragazzi alle dissertazionipseudoscientifiche23, si spiega in parte anche perché nel destino di

22 Ignatius Donnelly, Atlantis, cit.23 Tra questi, a puro titolo di riferimento, si veda  Atlantis (1895) di AndréLaurie, dove la “razza perduta” degli atlantidei vive sotto l‟Oceano al largo

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questo mondo paradisiaco molti colsero un possibile epilogo dellasocietà contemporanea. Atlantide evocava la paura strisciantedell‟uomo moderno di assistere impotente alla f ine della propriaciviltà.

La storia di Atlantide diventava dunque una sorta di “versionelaica” del Diluvio biblico, un evento che, al pari di quello citato nel  Vecchio Testamento, lasciava aperta la speranza di un “nuovoinizio”. Il termine Apocalisse riacquistava perciò il suo significatopiù consono, quello proprio della tradizione ebraico-cristiana, chelo considera sinonimo non tanto di “fine dei tempi” quanto di“Riv elazione”, dis velamento di misteri e di conoscenze da parte diDio ad un profeta. L‟Apocalisse di Giovanni (non a caso il  Libro

della Rivelazione) contenuta nella Bibbia ne rappresenta l‟esempioclassico. Tuttavia, proprio le terribili immagini che sono evocatenella profezia dei tempi futuri di San Giovanni hanno spesso messoin secondo piano il suo significato principale e ha fatto sì che iltermine “Apocalisse” sia passato ad indicare, genericamente la “catastrofe finale”, la “fine del mondo”. Ma la visione profetica diGiovanni non si esaurisce affatto nella fine del mondo e nelGiudizio Universale. La “fine dei tempi” non significa “la fine ditutto” ma, al contrario, la premessa per un nuovo mondo.

L‟Apocalisse, insomma, è sinonimo di palingenesi, ovvero di unevento finale anche catastrofico e violento, che comporta ungiudizio divino nei confronti della superbia dell‟uomo, ma chetuttavia prelude ad una rigenerazione. L‟Apocalisse è dunqueEcpirosi, (ekpyrosis) e, nel contempo, Apocatastasi,(apokatastasis). Ecpirosi in quanto conflagrazione in cui il mondo,dopo aver percorso il suo ciclo, si dissolverà. Apocatastasi inquanto al fuoco (o all‟acqua, nel caso del Diluvio) purif icatoriseguirà la rinascita24.Ecpirosi e Apocatastasi, Morte e rinascita, sono dunque due dueaspetti di una renovatio mundi  presente anche in molti mitiprecristiani. Una simile visione dell‟Apocalisse come susseguirsi dimolteplici “fini del mondo”, sottende l‟idea di una ciclica e

delle Azzorre,  Atlantide.   I figli dell’abisso (1902), un classico della narrativaper ragazzi scritto da Yambo (e ispirato a Verne), o il romanzo di PierreBillaume e Pierre Hégine, Voyage aux Iles Atlantides (1914).

24 Alcune suggestioni sul rituale del mundus, sulle differenti “apocalissi”(ecpirosi, apocatastasi, palingenesi ecc.) e sul tema dell‟eterno ritorno inErnesto De Martino, La fine del mondo, cit., pp. 212 e ss.

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progressiva decadenza, una progressiva degenerazione da un‟etàdell‟oro iniziale ad una catastrofe, dalla quale seguirà una nuovaetà dell‟oro. È una visione, questa, che induce al continuo vagheggiamento dell‟età degli Eroi, dei Giganti, dei Titani che untempo popolavano la Terra o, più in generale, di un passatoidilliaco e idealizzato25. 

La visione di una Apocalisse come renovatio mundi  fu fornitada Ghislanzoni in chiusura del suo romanzo fantastico

 Abrakadabra. Le parole pronunciate dall‟astronomo Deladromoalla folla terrorizzata di fronte allo scatenarsi dell‟ Armageddon sono infatti un terribile atto di accusa nei confronti delle miserieumane e, insieme, l‟annuncio di una nuova genesi:

- Mentecatti, buffoni e bricconi della razza superiore, alla quale non mison mai gloriato di appartenere, ascoltate bene ciò che sta per dirvi chi non viha mai ingannati. Questa mattina, alle ore sette antimeridiane precise, ilpianeta Osiride ha cominciato la sua corsa di precipitazione verso il nostroglobo. Questa corsa periodica, che suole effettuarsi ad ogni scadenza didiecimila anni, si compie inevitabilmente nello spazio di quindici giorni. Laqual cosa significa, badate bene, o mamalucchi, che allo spirare di quindicigiorni, tutta la superficie del nostro globo sarà sconvolta e rinnovata dalleacque. Io vi annunzio il fenomeno; voi, se le forze vi bastano, provvedete!Ohimè! le vostre forze non basteranno. La superficie terrestre esige dirinnovarsi ad epoche fisse; ciò è nell'ordine indeclinabile della natura. Qualitrasformazioni subirà la razza umana nella nuova genesi che sta per iniziarsi?Mistero. Questo solo apparisce evidente, che l'umanità vissuta sin qui, periscenella completa ignoranza della sua missione fisica ed intellettuale, perisceattestando la sua incapacità a migliorarsi. Tutti i nostri sforzi per giungere almeglio hanno sempre abortito; qualche cosa di abberrato era in noi percondurci costantemente sul cammino dell'errore e della infelicità.Consoliamoci! Fra quindici giorni la nostra generazione sarà spenta, e i nostrisuccessori dovranno ignorare che noi abbiamo esistito, come noi ignorammola vita delle epoche a noi precedenti. E sarà pel loro meglio; poiché almeno i

 venturi non erediteranno i nostri errori, le nostre follie, e forse...Ma una scossa di terremoto che fece traballare il gran monte, impose un

termine alle parole dell'astronomo26.

L‟apocalisse di Ghislanzoni lascia però aperta la strada ad unaflebile speranza per l‟umanità, che pur mantenendo la sua naturasuperficiale, la sua presunzione, l‟incapacità di ricordare ed

25 Lucian Boia,   La fin du monde. Une histoire sans fin, Paris, LaDécouverte 1999, p. 23.26 Antonio Ghislanzoni, Abrakadabra, cit., pp. 254-255.

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apprendere realmente dai propri errori, è comunque destinata,dalla immutabile ciclicità della storia, alla rigenerazione:

Di là a quindici giorni, giusta la profezia del Deladromo, la superficie delglobo terrestre era sparita sotto uno strato di acque.

E al sedicesimo giorno, il pianeta Osiride ricominciò il suo motoascendente, e le piogge cessarono, e uno splendido sole sfolgorò sulla mutasolitudine.

E in appresso spuntarono dalle acque le cime dei nuovi monti; e dueesseri umani, forniti di ali, uscendo dall'ultimo battello di scampo, dovel'Albani, fratello Consolatore e Glicinia erano periti, drizzarono il volo ad unoscoglio...

E su quello scoglio, i due alati, che si chiamavano Rondine e Lucarino, conassicelle e fogliami depositati dalle acque edificarono la loro capanna e vissero

parecchi mesi di pescagione. E Rondine, di là a un anno, concepì...E Lucarino si rallegrava pensando: nostro figlio avrà le ali come noi, e cosìsarà dei nostri discendenti,

E il figlio di Rondine nacque senza ali, perché l'uomo alato sarebbe unmostro; e Lucarino, turbato da gravi sospetti, pianse amaramente.

E in seguito, Rondine e Lucarino ebbero degli altri figliuoli d'ambo i sessi,i quali crebbero e si moltiplicarono sulla faccia della terra, per rinnovare lestravaganze e le follie delle generazioni ignorate che li avevano preceduti 27.

Una sorta di “nuovo inizio”, stavolta più cupo in quanto il

mondo, dopo una terribile catastrofe, torna alla barbarie, e adessere dominato dalla natura selvaggia fu anche al centro di  After 

 London, romanzo fantastico di John Richard Jefferies28. E ilritorno alla barbarie è anche l‟epilogo del  Morbo scarlatto di Jack London:

Da sessant‟anni questo mondo non esiste più […]. So che esistono luoghiquali New York, l‟Europa, l‟Asia e l‟Africa, eppure da essi non è più giunto unsolo messaggio da sessant‟anni. Con l‟avvento del Morbo Scarlatto, la civiltà è

crollata, definitivamente, irreparabilmente. Diecimila anni di cultura e distoria sono scomparsi in un batter d‟occhio, sciolti come la schiuma29.

Come sarebbe giunta l‟Apocalisse? Il Diluvio, per quantodescritto nella Bibbia, non era l‟unico strumento attraverso il qualesi sarebbe potuta manifestare la collera divina.

27  Ibidem, p. 256. 28 John Richard Jefferies, After London, cit.29 Jack London, Il Morbo Scarlatto, cit., p. 34.

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Nel 1894, dissertando su una Apocalisse futura, CamilleFlammarion, cercò di fornire una risposta a questo interrogativo e,da buon conoscitore del dibattito scientifico del suo tempo, fornìun panorama dettagliato di alcune delle principali teorie di fineOttocento sul destino finale della Terra e dunque dell‟umanità.L‟unica certezza che ne scaturisce è che il pianeta è inevitabilmentedestinato, come ogni cosa, a morire. Le cause, tuttavia, potrebberoessere le più disparate: avverrà forse tra quattro milioni di anni pereffetto della completa erosione delle terre emerse, e dunque ilpianeta sarà un unico immenso globo acquatico? Oppure laprogressiva evaporazione delle acque, prodotta dall‟aumento delletemperature, causerà una progressiva siccità, riducendo la terra ad

un deserto desolato come il pianeta Marte? O, ancora, sarà unanuova e più terribile glaciazione a coprire di ghiacci eterni l‟interoglobo?

Quel che è certo, sostiene Flammarion per bocca delpersonaggio del cancelliere dell‟Accademia delle Scienzecolombiana è che, se non verrà distrutta da questi accadimenti, lafine dei tempi coinciderà con la morte del sole, “tra una ventina dimilioni di anni o forse il doppio”: 

Il Sole finirà col perdere il suo calore; la sua massa si condenserà e sicompatterà, la sua fluidità diminuirà. Verrà un tempo in cui la circolazione chealimenta la fotosfera e che regolarizza la sua radiazione facendovi parteciparequasi interamente l‟intera massa, sarà difficoltosa e comincerà a rallentare.

  Allora la radiazione della luce e del calore diminuiranno, la vita vegetale edanimale sarà sempre più confinata attorno all‟equatore terrestre. Quandoquesta circolazione sarà cessata, la brillante fotosfera sarà sostituita da unacrosta opaca ed oscura che sopprimerà ogni radiazione luminosa. Il Solediverrà una palla rosso cupo e poi nero, e la notte sarà eterna. La Luna, chenon brilla che per la luce riflessa del sole, non rischiarerà più le notti solitarie.

Il nostro pianeta non riceverà che la luce delle stelle. Essendosi estinto ilcalore solare, l‟atmosfera sarà di una calma assoluta, senza alcun vento chesoffi in qualche direzione. I mari, qualora esistessero ancora, sisolidificheranno per il freddo; nessuna evaporazione formerà le nubi, nessunapioggia cadrà più […] 

E la Terra, sfera nera, cimitero ghiacciato, continuerà a ruotare attorno alSole nero e a vagare nella notte infinita, insieme a tutto il sistema solare,nell‟abisso immenso30.

30 Camille Flammarion, La fin du monde, cit., pp. 122-123.

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Il destino della terra è quello, un giorno, di assumere quelloscenario di desolazione e morte che si mostra agli occhi del viaggiatore del tempo di Wells quando, a bordo della sua fantasticainvenzione, giunge in un futuro lontano dove ogni traccia diumanità è ormai scomparsa da eoni:

Infine, a più di trenta milioni d‟anni da oggi, l‟immensa cupola infuocatadel sole era arrivata a nascondere quasi la decima parte dei cieli tenebrosi. Mifermai ancora una volta […] la spiaggia rossastra sembrava senza vita ed eraricoperta di un leggero strato bianco. Sentii un freddo intenso; di tanto intanto rari fiocchi bianchi cadevano turbinando. Verso nord-est vedevo ilriverbero della neve sotto le stelle che brillavano in un cielo color sabbia e lecreste ondulate delle collinette bianco-rosato. Le rive del mare erano bordate

di ghiaccio, ed enormi massi di ghiaccio galleggiavano più lontano, ma quasitutta la distesa del mare salato, color sangue sotto l‟eterno tramonto, non eraancora gelata31. 

Nel 1896 uscì  Le Cataclysme di Rosny, dove la causa di gravisconvolgimenti era individuata in una misteriosa forzaelettromagnetica proveniente dallo spazio32. In quello stesso anno,il sociologo Gabriel Tarde pubblicò sulla  Revue Internationale de

 Sociologie un racconto ambientato nel XXV secolo, nel quale,

rifacendosi alle teorie di Kelvin, si immaginava la fine del pianetaper effetto di una anemia solare, cioè un progressivoraffreddamento del Sole33. In taluni casi, questa ipotesi si fuse conl‟idea di una progressiva decadenza, fisica oltre che morale, delmondo. In un suo romanzo pubblicato nel 1912, William HopeHodgson si spinse in un avvenire lontano miliardi di anni edescrisse un pianeta Terra morto, immerso nelle tenebre dopo lospegnimento del sole. In questo desolante scenario egli immaginauna umanità amorfa e terrorizzata, costretta a vivere all‟interno di

31 Herbert George Wells, La macchina del tempo, cit., pp. 61-62.32 Joseph-Henri Rosny Aîné [Joseph-Henri Honoré Boex],   Il cataclisma

(1896), in “ Nova SF”, 9, 1987. 33 Gabriel Tarde, Fragment d’Histoire Future, Paris, Giard & Brière 1896.

Lo scritto di Tarde è tuttavia più incentrato sulla descrizione dell‟età dell‟oroche precede l‟Apocalisse che sulla descrizione di quest‟ultima. Su questi

aspetti cfr. Claudio De Boni,   Scienza e utopia in Francia dopo Comte, in Patologie della politica. Crisi e critica della democrazia tra Otto e Novecento ,a cura di Maria Donzelli e Regina Pozzi, Roma, Donzelli 2003, pp. 261-263.

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una enorme piramide assediata da forze demoniache e misterioseche popolano il buio circostante34.

La morte del sole era dunque una eventualità terribile, anche setalmente remota da non risultare neppure angosciante. La finedella civiltà poteva invece giungere in modo più repentino e inepoche assai meno lontane nel futuro. Sul finire dell‟Ottocento,grazie al moltiplicarsi dei ritrovamenti fossili dei grandi sauri,paleontologi ed evoluzionisti furono indotti ad ipotizzare chel‟estinzione di questi giganteschi abitatori della preistoria potesseessere stata provocata da un evento catastrofico tanto improvvisoquanto violento: l‟impatto con un asteroide.

Nel gennaio del 1874 il   New York World fece circolare la

notizia, secondo la quale alcune osservazioni astronomicheavevano individuato delle profonde fratture sulla crosta lunare.C‟era dunque il pericolo che la Luna si spezzasse in più frammentie che questi precipitassero, come degli enormi meteoriti, sullaTerra, seminando morte e distruzione. Traendo spunto da questa  beffa clamorosa, Mark Twain si divertì ad immaginare di poteraffittare “in società con il signor Barnum” (il noto impresario delCirco omonimo dove si esponeva ogni meraviglia e stranezza dellanatura) una cometa ed utilizzarla come strumento di

intrattenimento per quei volenterosi turisti dello spazio cheintendessero volare sopra di essa per visitare stelle, pianeti,meteore e altre meraviglie35.

Ma la fine dei grandi sauri poteva essere stata provocataproprio da una cometa. Sin dall‟alba dei tempi, il passaggio diquesti oggetti era considerato una circostanza funesta o comunqueforiera di eventi di portata straordinaria. Nonostante la siesorcizzasse attraverso l‟umorismo, come nella storia di Mark Twain, questa paura restava assai viva e si ripresentò quandoquesti corpi celesti furono visibili dall‟emisfero nord: nel 1858, in

34 William Hope Hodgson, The Night Land , Maryland, Wildside Press2001 [1a ed. 1912].

35 Mark Twain [Samuel Langhorne Clemens],   A Curious Pleasure Excursion, in “New York Herald Tribune”, July, 6th 1874, in David Ketterer(ed.), The Science Fiction of Mark Twain, Hamden Conn., Archon Books1984. Mark Twain, nacque nel 1835, proprio nell‟anno del passaggio dellacometa di Halley. Con il suo consueto senso dell‟umorismo, ebbe a dichiarare

in più di un‟occasione che sarebbe morto quando la cometa fosse ripassatadalla Terra. Non si sbagliava. Morì infatti nel 1910, quando, puntualmente, lacometa di Halley tornò ad incrociare i cieli del nostro pianeta.

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occasione del passaggio della cometa di Donati (la più luminosa ditutto l‟Ottocento), nel 1858, e poi nel 1861 e nel 1882. Nel suo giàcitato romanzo di anticipazione sulla fine del mondo, Flammarionincentra buona parte della narrazione proprio su una minacciaproveniente dallo spazio. Nonostante il suo enorme livello disviluppo, la società futura ipotizzata da Flammarion accoglie conprogressivo sgomento la notizia di un imminente impatto con unacometa, previsto (né non poteva essere diversamente, per unoscrittore francese) per il 14 luglio. Sebbene di fantasia, la storia diFlammarion ricorre a dati, notizie ed informazioni reali, trattedagli scritti di Newton, Halley, Maupertuis, Lalande, Laplace,  Arago e da tutti i più eminenti studiosi contemporanei,

contribuendo a fornire alla narrazione un taglio verosimile e,dunque, più coinvolgente per il lettore. In un crescendo ditensione, egli descrive, per bocca di uno dei tanti esperti chiamati atrovare delle soluzioni alla tremenda minaccia, le conseguenzedell‟impatto del corpo celeste con la Terra: 

La fine del mondo arriverà attraverso l‟incendio dell‟atmosfera. In circasette ore, o forse in un periodo più lungo, poiché la resistenza della cometanon può essere nulla, ci sarà la trasformazione del movimento in calore.Idrogeno ed ossigeno bruceranno combinandosi con il carbonio della cometa.L‟aria raggiungerà la temperatura di oltre un centinaio di gradi; i boschi, igiardini, le piante, le foreste, le case, gli edifici, le città ed i villaggi, tutto verràrapidamente consumato. Il mare, i laghi, i fiumi bolliranno. Gli uomini e glianimali, investiti da questo alito infuocato, moriranno asfissiati prima ancoradi essere bruciati, poiché i polmoni non respireranno che fuoco.

Subito dopo i cadaveri saranno carbonizzati, inceneriti e, nell‟immensoincendio celeste solo l‟Angelo incombustibile dell‟Apocalisse farà udire,attra  verso il suono straziante della sua tromba, l‟antico canto funebre che sispanderà lentamente dal cielo come una campana a morto36.

Facendo leva sulla paura associata al passaggio delle cometeFlammarion descrisse l‟angoscia degli abitanti della Terra di frontea questo evento:

Già molte notti erano trascorse insonni, poiché il terrore dell‟ignoto avevatenuto tutti desti. Nessuno aveva osato dormire: sembrava che si sarebbe

36 Camille Flammarion,  La fin du monde, cit., pp. 70-71. Nel 1931, Abel

Gance, autore del classico del cinema muto sulla figura di Napoleone, adattò iltesto di Flammarion per la sceneggiatura di quello che sarebbe stato il primofilm sonoro della storia del cinema francese.

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potuto dormire l‟ultimo sonno e non conoscere più l‟incanto del risveglio. I  volti erano di un pallore livido, le orbite incavate, i capelli incolti, gli occhistralunati, i denti lividi, marcati dai segni della più terribile angoscia cheavesse mai pesato sui destini umani.

  A Parigi, a Londra, a Roma, a Berlino, a San Pietroburgo, in tutte lecapitali, in tutte le città, in tutti i villaggi, la popolazione agitata errava per lestrade, come corrono sperdute le formiche attorno ai loro formicai distrutti.Gli affari di ogni giorno erano trascurati, abbandonati, dimenticati; i progettiannientati. Non si teneva più a niente: né alla propri casa, né ai propri parenti,né alla propria vita. Era una depressione morale assoluta, più completa ancoradi quella prodotta dal mal di mare. Le chiese cattoliche, quelle protestanti, lesinagoghe, le cappelle greche e ortodosse, le moschee, le cupole cinesi

  buddiste, i santuari degli evocatori spiritici, le sale di studio dei gruppiteosofici, occultistici, psicosofici e antroposofici, le navate della nuovareligione gallicana, tutti i più diversi luoghi di riunione di culto nei qualiancora si divideva l‟umanità erano invasi dai fedeli37.

L‟epilogo immaginato del romanzo è però a sorpresa: il bolideceleste attraversa infatti l‟atmosfera senza produrre gravi danni.Semmai, sottolinea l‟autore, un numero straordinario di vittime(150.000) è causato da un nemico ben più insidioso: la Paura38.

La minaccia di una collisione cosmica tra il pianeta terra e unoggetti proveniente dallo spazio fu al centro anche di un racconto

 breve pubblicato da Griffith nel 1897. In The Great Crellin Comet ,secondo un consolidato cliché narrativo, la scienza e la tecnica simobilitano per scongiurare l‟impatto proprio con una cometa e,quindi, evitare che l‟umanità si estingua come era avvenuto milionidi anni prima ai dinosauri39.

Un affresco inquietante del mondo dopo l‟Apocalisse, vistodagli occhi dell‟ultimo uomo rimasto sulla terra è invece contenutonel romanzo di Matthew Shiel La nube purpurea, pubblicato per laprima volta nel 190140. Più che sulle scene di distruzione, il

37  Ibidem, pp. 205-206.38  Ibidem, p. 226.39 George Griffith, The Great Crellin Comet , in “Peaeson‟s Weekly”,

Christmas 1897. Nel racconto, Griffith “inventò”, per accentuare il  pathos della narrazione il countdown, in conto alla rovescia prima di un lanciospaziale, anticipando, senza volerlo, quanto sarebbe effettivamente accadutomolti anni più tardi. Questo stesso scritto costituì il punto di partenza per ilgià citato romanzo The World Peril of 1910, pubblicato all‟inizio del

Novecento.40 Matthew Phipps Shiel, La nube purpurea, Milano, Adelphi 1991 [1a ed.1901].

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racconto gioca sull‟atmosfera inquietante e visionaria didesolazione, vuoto e morte provocata dagli effetti di unagigantesca nube di gas velenosi. Le uniche descrizioni di questoevento sono indirette, attraverso la lettura – a disastro avvenuto – di alcune copie di giornale abbandonate in strada. È appena l‟iniziodi un dramma che scatenerà il panico in tutto il pianeta,trasformando gli ultimi istanti del mondo civilizzato in una sorta digirone dantesco:

Non c‟è più posto ormai per altre navi nel porto di New York, e se qui,tra noi, gli uomini muoiono a centinaia di migliaia per le privazioni,oltreoceano, in altri continenti, essi periscono a milioni: dove i ricchi sono allestrette, possono vivere gli indigenti? Ormai 850 milioni, dei 1500 milioni di

uomini che compongono la nostra razza, sono deceduti e gli imperi delleciviltà sono crollati, come castelli di sabbia, in un ammasso di anarchie.Migliaia di morti insepolti, come ad anticipare l‟altra condanna, più lenta esicura, che si avvicina fumante, e incalza e arriva e non si stanca, cospargonole strade di Londra e di Manchester; i capi del Paese sono fuggiti; il maritoaccoltella la moglie per un tozzo di pane; i campi sono abbandonati; le follefanno gazzarra nelle nostre chiese, università, palazzi, banche, ospedali; ciinformano che la notte scorsa, a tarda ora, tre reggimenti territoriali, iFucilieri di Munster, e i reggimenti di Lothian ed East Lancashire,disordinatamente si sono disciolti e dispersi, due ufficiali sono rimasti uccisi;

la malattia, come sappiamo, finalmente regna; in diverse città la poliziasembra sia scomparsa, e scomparsa è dappertutto ogni traccia di decenza;sembra che l‟ordine di liberare tutti i carcerati abbia avuto nei vari circondari,conseguenze mostruose; si direbbe che in soli tre mesi l‟Inferno abbiaconquistato questo pianeta, sguinzagliandovi l‟Orrore come un lupo, e laDisperazione, come un cielo disastroso, perché lo divorino e lo distruggano.

  Ascoltaci, dunque, o Signore, e perdona la nostra iniquità! O Signore, tisupplichiamo: abbassa su di noi il Tuo sguardo, o Signore, e risparmiaci!41 

L‟abulìa e il senso di impotenza che pervade il mondo di

Flammarion in attesa dell‟impatto con la cometa nell‟immaginariodi Shiel diventa anarchia, disordine, disperato e cieco furore. Dopoche il dramma si è compiuto, l‟unico sopravvissuto, Adam (nomenomen) Jeffson vaga per Londra, fino a poco prima simbolo delprogresso e della modernità, affollata, caotica e in perennerombante movimento, adesso fattasi orribilmente silenziosa:

Uscii dalla stazione: i miei orecchi, ne è testimone il cielo, si aspettavanoancora il solito rumore cittadino […] fui sopraffatto da un nuovo terrore e mi

41  Ibidem, pp. 112-113.

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smarrii in una disperazione ancor più sconfinata, quando invece di lampioni edi ruote in movimento, vidi davanti a me la lunga strada che conoscevo bene,immersa in un mutismo lugubre, come fossi in un una Babilonia secolarein  vasa dall‟erba; quando invece della consueta confusione, non udii che un

silenzio sconvolgente, un silenzio che si innalzava al cielo, fino ad altezzefinora mai sentite, per congiungersi lassù al silenzio di quelle luci di eternità42.

Il passaggio della nube venefica ha trasformato il centro diLondra come una sorta di nuova Pompei a cielo aperto, ed è inquesto scenario che si muove il protagonista:

Presi Farringdon Street, e arrivato a Piccadilly Circus, dove quattro stradesi incontrano, scorsi a perdita d‟occhio quattro campi di cadaveri, cadaveri

  vestiti come da uno straccivendolo in ogni sfumatura dello stinto; o vestiti ametà, o del tutto svestiti, alle volte persino ammucchiati gli uni sugli altri,come avevo già osservato a Reading; ma qui il loro aspetto scheletrico era piùappariscente: vedevo le spalle gonfie, le ossa dell‟anca sporgenti, i ventrisvuotati e gli arti rigidamente ossuti come di uomini morti di fame; l‟insiemepreservava un‟aria bizzarra di un macabro campo di battaglia di marionettecadute; e mescolati alle salme, una moltitudine di veicoli di ogni genere43.

Questo scenario di morte prelude però ad una nuova edinaspettata rinascita. Dopo un lungo peregrinare per il pianeta,

  Adam, che alterna angoscia e disperazione ad una sorta di follìadistruttrice che lo porta ad incendiare e radere al suolo conl‟esplosivo le più grandi città del mondo44, incontrerà una giovanemiracolosamente scampata all‟Apocalisse. Grazie a lei, di nuovo, sicompirà il miracolo della rigenerazione e una nuova progenieumana popolerà il mondo. Anche se al momento passòpraticamente inosservata, la storia ottenendo una crescentefortuna alcuni anni dopo. In ambito letterario, Arthur Conan Doylee Rosny Aîné utilizzarono questa stessa idea per due loro racconti,

42  Ibidem, p. 132.43  Ibidem, p. 141.44 “Incendiare città” – afferma il protagonista del romanzo – “è diventato

ormai per me un vizio che mi incatena – e mi degrada – più di quanto l‟oppiopossa incatenare e degradare il fumatore: è il mio bisogno, la mia acquavite, ilmio baccanale, il mio peccato segreto. Ho bruciato Calcutta, Pechino e San

Francisco […] ho bruciato e bruciato… trecento città e province. Come ilLeviatano che gioca nel mare, così ho gozzovigliato sulla terra” ( Ibidem, p.209).

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peraltro tragicamente anticipatori dell‟uso di gas venefici durantela Grande Guerra45.

L‟impatto di un corpo celeste con la terra, è anche l‟evento dacui si dipana il filo narrativo del romanzo di Wells del 1906,  Nei giorni della cometa. In questo caso, tuttavia, l‟analisi di Wells èprevalentemente incentrata sui temi del progresso tecnologico-scientifico e sul nodo del superamento del capitalismo a vantaggiodell‟umanitarismo socialista. La cometa, in questo contesto, resta alungo sullo sfondo, quasi in secondo piano, per un occidenteripiegato sui suoi problemi sociali interni e su eventi internazionalifutili, ma ritenuti talmente importanti da scatenare la guerra: 

La cometa era passata in seconda linea. L‟articolo cominciava così:“Illustri scienziati dicono che la cometa urterà la terra. Che cosaimporta?”soggiungevano46.

La guerra e la minaccia spaziale, come i messaggeri cheannunciano l‟Apocalisse, cavalcano fianco a fianco sul pianeta inuno spettacolare crescendo di orrore:

- Guardate! – esclamò uno accennando il cielo.Sollevai gli occhi anch‟io e guardai. Il cielo era solcato da luminose strisce

  verdi. Irradiavano da un punto posto a metà fra la parte occidentaledell‟orizzonte e lo zenit, e dall‟interno delle splendenti nubi della cometa erainiziato un movimento come di corrente, che sembrava lanciarle verso ovest epoi indietro verso est, con uno scoppiettio, come se nel cielo si sparassero daogni parte colpi di rivoltella. Mi sembrava che la cometa venisse in mio aiuto,

45 Arthur  Conan Doyle,   La nube avvelenata, Roma, Newton Compton

1994 [1a ed. 1913] e Joseph-Henri Rosny Aîné [Joseph-Henri Honoré Boex],  La force mystèrieuse, Paris, Plon 1914. Le atmosfere da “Alba del giornodopo” contenute nella Nube purpurea non potevano inoltre non influenzare ilmondo del cinema. Non è infatti difficile riscontrare gli echi di questeatmosfere angoscianti in molte pellicole del genere catastrofico-horror , acominciare dalla Notte dei morti viventi ( Night of the Living Dead ) di George

  A. Romero (non a caso apparsa sugli schermi nel 1968, in occasione di unadelle varie “riscoperte” del libro di Shiel da parte del grande pubblico) fino a

 28 giorni dopo, pellicola del 2002 del regista Danny Boyle (dove ritorna unaLondra spettrale, completamente svuotata da una misteriosa epidemia) o del

genere apocalittico, ambientato in un futuro post atomico, della fine deglianni Ottanta.46 Herbert George Wells, Nei giorni della cometa, cit., p. 84.

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calando con quelle migliaia di rivoltelle come un sipario per pararequell‟insensato combattimento in mare47.

Lo sconvolgimento prodotto dalla cometa non produce tuttavia

la tanto temuta Apocalisse ma il suo esatto opposto. I vapori verdiportati dal corpo celeste nell‟atmosfera determinano unastraordinaria “trasformazione” dalla quale nasce una nuova era:“Cominciamo di nuovo!” è la frase che prelude ad una nuova etàdell‟oro in cui regna la pace e la fratellanza universale.

Nel 1910, in occasione del nuovo passaggio della cometa diHalley vicino all‟orbita terrestre, questa nutrita letteraturafantastico-apocalittica, che trovò larga diffusione anche tra i cetipopolari, unitamente ai toni allarmistici usati dalla stampa, creòquel particolare clima emotivo che favorì l‟esplosione di numerosicasi di panico collettivo. Appena due anni prima, nei pressi delfiume siberiano Tunguska, era stata udita (e registrata persino daisismografi di mezzo mondo) una violentissima esplosione. Milionidi alberi erano stati abbattuti ad opera di un meteorite,  verosimilmente esploso in aria dopo essere entratonell‟atmosfera48. L‟evento fu accolto con curiosità e qualche timorema fu presto dimenticato.

Nel settembre del 1909, l‟astronomo tedesco Max Wolf annunciò che la cometa di Halley si stava nuovamente avvicinandoalla Terra. Man mano che i calcoli si facevano più precisi, emerseche la coda del corpo celeste sarebbe probabilmente passata vicinissima al nostro pianeta. L‟annuncio che tale evento sarebbeavvenuto nel maggio 1910, creò un clima di attesa crescente che,per effetto di notizie esagerate ed allarmistiche, generò ancheepisodi di panico tra la popolazione. Il 17 gennaio 1910, l‟arrivodella cometa di Halley fu preceduto dalla “Grande cometa”, un

altro oggetto celeste, estremamente brillante e ben visibile adocchio nudo, che fu accolto con curiosità ma anche con una certaapprensione. In febbraio, la stampa diffuse la notizia che la codadella cometa – che verosimilmente avrebbe incrociato l‟orbitaterrestre – conteneva gas velenosi. La fine del mondo stava

47  Ibidem, pp. 125-126.48  L‟esplosione, di una potenza che è stata calcolata superiore di dieci

 volte alla bomba di Hiroshima, avvenne in una zona disabitata e difficilmenteaccessibile. Fu infatti solo all‟inizio degli anni Venti che vennero approntate leprime spedizioni scientifiche per indagare sul misterioso evento.

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arrivando? Nonostante le rassicurazioni da parte di scienziati edastronomi, la tensione crebbe esponenzialmente. In tutto il mondo,l‟attesa si trasformò ben presto in ansia e l‟ansia in paura. Il 20aprile, la notizia che la cometa stava per essere visibile ad occhionudo provocò un boom di vendite di telescopi nella città di New   York. Tre giorni dopo cominciarono ad essere segnalati i primiepisodi di isteria collettiva. Il 6 maggio, l‟annuncio della morte dire Edoardo VII d‟Inghilterra fu da alcuni interpretato – come giàera avvenuto in età medievale – come un segno divinodell‟imminente Giudizio universale. Il 16 maggio, due giorni primache la Terra attraversasse la coda della cometa, gli scienziatiribadirono che non c‟era motivo di temere alcunché: fu tutto

inutile, poiché tutti gli appelli sembrarono cadere nel vuoto. Tuttiaspettavano la cometa. Nel preciso momento del passaggio, tra il18 e il 19 maggio, la paura raggiunse il massimo. Molti decisero diassistere all‟evento scrutando il cielo, altri si raccolsero inpreghiera aspettando l‟Apocalisse e chiedendo perdono dei loropeccati, altri si abbandonarono per l‟ultima volta ai piaceri dellacarne. Non mancarono coloro che, in un momento di disperatasolitudine, scelsero addirittura di suicidarsi. I delitti e le violenzeaumentarono. La cometa di Halley passò vicina alla Terra senza

provocare nulla di tutto ciò che si era temuto nei mesi precedenti.Il mondo, che fino al giorno prima aveva trattenuto il fiato in attesadi un evento catastrofico, tornò alla normalità e, ben presto, lacometa divenne un semplice ricordo, talvolta persino indistinto49.

  Anche se le visioni dell‟Apocalisse tendevano sempre più adassumere un carattere laico-scientifico, non mancarono neppurequelle frutto di una riflessione di carattere religioso. In effetti, nelcorso dell‟Ottocento, le grandi religioni non avevano affattoabbandonato il ricorso a toni millenaristici. Anzi, molte volte si eraricorso al tema della fine del mondo e del Giudizio universaleproprio come memento della caducità dell‟esistenza umana, comerichiamo a non seguire la strada del materialismo che pareva

49 Come dimostrarono le rievocazioni avvenute sulla stampa in occasionedel nuovo passaggio della Cometa di Halley, avvenuto nel 1986, molti di coloroche avevano assistito agli eventi del 1910 confondevano la cometa apparsa ingennaio, più luminosa e meglio visibile, con quella di Halley, transitata in

maggio. Nello stesso errore incorse anche Giovanni Pascoli, che nel gennaio1910, quindi in concomitanza con il manifestarsi della “Grande cometa”compose la sua ode Alla Cometa di Halley.

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sempre più caratterizzare l‟esistenza moderna. Nel corso delleepidemi che colpirono l‟Occidente nel corso dell‟Ottocento, adesempio, la Chiesa cattolica si richiamò sistematicamenteall‟interpretazione del morbo come manifestazione della colleradivina di fronte all‟ateismo dilagante, alla dissolutezza dei costumie, in generale, all‟allontanamento della popolazione dal rispetto edalle tradizioni cristiane. I richiami alla preghiera, all‟astinenza ealla preparazione spirituale in vista della fine furono accolti inmodo differente a seconda del contesto sociale: nella campagneriemerse, sia pure celata sotto un‟apparente devozione, l‟aspettopiù pagano e superstizioso della religiosità, mentre nei centriurbani si moltiplicarono le grandi cerimonie, spesso collettive, di

devozione e di preghiera. Oltre al culto dei santi, si andòparticolarmente rafforzando il culto mariano, tornato a radicarsinella società dopo il parziale declino verificatosi durante l‟epoca deiLumi50.

I richiami, in chiave mistico-religiosa ad una imminente finedel mondo, giunsero da parte di sette e gruppi religiosi che,soprattutto negli Stati Uniti, si costituirono nel corsodell‟Ottocento.  All‟inizio degli anni Trenta, William Miller, che dauna lettura biblica aveva ricavato la convinzione che Cristo sarebbe

tornato sulla terra tra il 1843 e il 1844, dette vita a un movimentoche ottenne rapidamente un nutrito seguito. Dal movimentoMillerita, scioltosi nel 1844 dopo il fallimento della predizione delsuo fondatore, nacquero gli Avventisti sabatisti, che nel 1863fondarono la Chiesa cristiana avventista del settimo giorno. Nel1872, a Pittsburgh, si costituirono i Russelliti. Anche per loro, lafine dei tempi, fissata per il 1914, costituiva un elemento centraledella dottrina. A differenza di quanto era avvenuto per i Milleriti,però, per i Russelliti – che nel 1931 modificarono il loro nome inTestimoni di Geova, scattarono i meccanismi di quella che lasociologia delle religioni chiama la “sindrome di Festinger”: ilfallimento della profezia non portò alla fine del movimento ma lorafforzò51. Il 1914, l‟anno dello scoppio della prima guerramondiale, anche se non era l‟Apocalisse, la Chiesa russellita loconsiderò comunque un evento di straordinaria portata epocale (e

50 Sugli aspetti di devozione religiosa durante l‟epidemia di colera in Italia

cfr. Eugenia Tognotti, Il mostro asiatico, cit., pp. 112-125.51 Leon Festinger, Henry W. Riecken, Stanley Schachter, When Prophecy Fails, Minneaopolis, University of Minnesota Press 1956.

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in parte lo era). Esso venne così interpretato come l‟inizio degli“ultimi giorni”, un periodo indefinito a seguito del quale iniziavauna fase nuova, che si sarebbe presto conclusa con il GiudizioUniversale.

Man mano che il passaggio del secolo si andava avvicinando simoltiplicarono le profezie e i “segni” che indicavano la fine delmondo. Ovunque compariva l‟Anticristo: gli anglosassoni lo v ideronel Mahdi che strappava Khartoum (e la testa) a Gordon Pascià, ipolacchi nello zar, i Russi negli ebrei estensori dei Protocolli deiSavi di Sion52. Nel 1900, Vladimir Solov‟ëv, scrisse I tre dialoghi eil racconto dell’Anticristo53. Nel racconto di Solov‟ë v, l‟Anticristo èun asceta e un filantropo che opera ed agisce sulla base di principi

universali. L‟Anticristo, l‟iniziatore dell‟Apocalisse non ha affatto lesembianze e l‟atteggiamento del demonio. Egli, per usare un lessicoattuale, è descritto come un pacifista, un ecologista, perfino unecumenista. Proprio grazie a queste sue qualità viene elettopresidente degli Stati Uniti d‟Europa, è acclamato imperatore aRoma e finisce con l‟impadronirsi del mondo intero, fino adassumere il controllo della stessa Chiesa. In questa sua visione,Solov‟ëv (cristiano ortodosso) intendeva attaccare il “nuovocristianesimo” di Tolstoj e il cristianesimo macchiato da venature

laiche tipico della modernità, in nome di un rispetto della Chiesa edelle sue decisioni. Quello contenuto nella   Breve storiadell’Anticristo  è un dunque millenarismo “antimodernista” chepunta essenzialmente a ribadire l‟obbedienza ai dettami dei verticiecclesiali.

Il moltiplicarsi della letteratura catastrofico-apocalittica,l‟isteria collettiva coincisa con il passaggio della cometa di Halley, ilsenso di angoscioso millenarismo alimentato dalla religioneconfermava il paradosso di una società come quella di inizio secolo,ancora combattuta tra sentimento e ragione, affascinata dalprogresso e dalla conoscenza ma nel contempo, forse proprio per

52 Cfr. Lucian Boia, La fin du monde, cit., pp. 141-146.53 Lo scritto di Solov‟ëv è tornato al centro del dibattito non solo filosof ico

e teologico in  L’ammonimento profetico di Vladimir S. Solovev, meditazionedell'arcivescovo emerito di Bologna, cardinale Giacomo Biffi, tenuta il 27febbraio 2007 durante gli esercizi spirituali quaresimali alla Curia romana e a

papa Benedetto XVI e pubblicata sul quotidiano "Il Foglio" del 15 marzo 2007.Su questi aspetti cfr. Giacomo Biffi,   Le cose di lassù. Esercizi spirituali con Benedetto XVI , Siena, Edizioni Cantagalli 2007.

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questo, timorosa del suo futuro perché sempre più cosciente dellanaturale fragilità e caducità della condizione umana di fronteall‟avanzare dell‟uomo-massa.

Il senso di degenerazione, di crisi della civiltà, che sembravapervadere la società occidentale all‟inizio del nuovo secolo e che sisarebbe compiutamente manifestato dopo la Grande Guerra54 fucolto con anticipo dalla sensibilità artistica di molti autori, inletteratura come nelle arti figurative55. L‟invasione di animaliselvaggi e di insetti, la “disgregazione” delle abitazioni e delle  bizzarre suppellettili che compongono il Regno del Sogno, ladecomposizione dei cibi, cui seguiranno le grottesche sceneorgiastiche cui si abbandonerà la popolazione e fino al folle

dilagare delle follìa omicida e della rivoluzione, rappresentano ilmomento culminante del romanzo fantastico   L’altra parte. La visionaria ed allegorica “danza maca bra” che Kubin descrive è unasorta di ultimo folle baccanale cui si abbandona una umanità il cuidestino è ormai segnato:

Dall‟altura del quartiere francese fluiva lentamente, come un torrente dilava, una massa di sporcizia, di rifiuti, di sangue coagulato, di interiora, dicadaveri e di carogne. In quest‟amalgama iridato di tutti i colori delladecomposizione, arrancavano qua e là gli ultimi abitanti del Sogno. Ormairiuscivano solo a balbettare: non erano più in grado di farsi capire, avevanoperduto la facoltà di parlare. Erano quasi tutti nudi, gli uomini più robusti,spingevano le fragili donne nel flusso del putridume, in cui si spendevano leultime forze per strangolarsi e mordersi a vicenda fino all‟ultimo sangue.  

Dai vani delle finestre pendevano rigidi i corpi di spettatori esanimi, i cuisguardi spenti riflettevano quel regno della morte.

Braccia e gambe contorte, dita aperte e rigide, e pugni serrati, ventri gonfidi animali, crani di cavalli con la lingua tumefatta e bluastra protesa fra ilunghi denti gialli, così si faceva inarrestabile, la falange dello sfacelo56. 

Persino il movimento futurista, che invece proprio nellarivoluzione del progresso intravedeva un fattore di mutamentopositivo, fornì una propria visione dell‟Apocalisse, che a questopunto era interpretata proprio nel suo significato più vero, ossia di

54 Cfr. Romolo Runcini,   Apocalisse e crisi della civiltà, in “La RicercaFolklorica”, No. 13,   Ernesto De Martino. La ricerca e i suoi percorsi , (Apr.,1986), pp. 77-80.

55 Cfr. Jolanda Nigro Covre,   Il tema dell’Apocalisse nella pittura in Europa alle soglie della prima guerra mondiale, cit.

56 Alfred Kubin, L’altra parte, cit., p. 294.

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distruzione e rigenerazione. Vincenzo Fani Ciotti, in arte Volt , fornìuna sua interpretazione di questo tema nel romanzo “futurfascista” 

 La fine del mondo. La catastrofe incombente sull‟intea umanità del2247 è frutto di una serie di concause tali da rendere inabitabile ilpianeta: 

Gli ultimi sommovimenti tellurici avevano grandemente impressionato lacoscienza popolare. Particolarmente terribile era stato il maremoto del 2235.In una sola notte l‟Atlantico aveva sommerso l‟intiera penisola Iberica edallagato poi gran parte del Sahara, trasformando il Marocco inun‟isola.Un‟isola grande come un continente –  l‟Antica A tlantide? – eraapparsa poco ad ovest del gruppo delle Canarie, risommergendosi unasettimana dopo con la missione archeologica che si era recata colà per

procedere a degli scavi.Più grave ancora era il fenomeno della cosiddetta “corruzionedell‟atmosfera terrestre”. Vaste zone irrespirabili si erano formate nel Tibet,nel Cile, nell‟Africa Orientale ed in genere nelle prossimità delle regioni

 vulcaniche. Per centinaia di chilometri quadrati, la terra diveniva inabitabile.Ciò era dovuto ad esalazioni di gas sotterranei. La vegetazione ingialliva, glianimali morivano a schiere. Gli uomini avevano appena il tempo di emigraretrasportando seco le loro masserizie. Coloro che si attardavano tropporestavano afflitti per tutta la vita da malattie strane ed incurabili.

Infine, le risorse organiche e la fertilità del pianeta terrestre sembravanoprossime ad esaurirsi rapidamente57.

Parafrasando il credo futurista, questa catastrofe planetaria sirivela una sorta di “igiene del mondo” elevata all‟ennesimapotenza: “la parte migliore della razza umana” trova infatti nellospazio e nella “conquista” di Giove il suo futuro, scampando quindiall‟estinzione e “fecondando le stelle” con il suo “rosso seme”.Tuttavia, per il pianeta Terra e per la maggioranza dei suoi abitanti– compreso il Pontefice – la fine è tuttavia inevitabile:

 Attendevano, forse l‟alba. Papa Silvestro, prostrato su la spiaggia, pregava. Sopra il suo capo i cieli

impallidivano lentamente.Una brezza gelida spazzolava ora le erbe ingemmate dalla brina. Qua e là,

per le erbe e i cespugli, guizzavano i primi fremiti di una vita che si ridesta.Dalle cripte sotterranee suonarono campanelle gracili e freddolose. I

fedeli incappucciati uscivano dai loro antri, avviandosi in lunghe file, nelloscialbora antelucano.

Le stelle si spegnevano ad una ad una nel cielo di perla. Il maretrascolorava tutto, palpitando, come sotto una invisibile carezza. A oriente, al

57 Volt [Vincenzo Fani Ciotti], La fine del mondo, cit., pp. 29-30.

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dentatura nera dell‟Appennino mordeva in una bianchezza di latte. Poi, unadopo l‟altra, le vette coperte di neve si arroventarono.  

Uccellini nascosti tra i cespugli cinguettarono una loro piccola orazione inonore al Sole, che rinasce ogni giorno. E allora, dalla più alta cima dei monti, il

Sole scoppiò58

.

Sempre più conscio che il definitivo passaggio dal vecchio alnuovo si stesse definitivamente realizzando, l‟Occidente siinterrogava sul suo futuro. “La fine di „un‟ mondo” – ha scrittoErnesto De Martino nelle sue note attorno al tema delle apocalissiculturali – “è nell‟ordine della storia culturale umana: è la fine „del‟mondo, in quanto esperienza attuale del finire di qualsiasi mondopossibile, che costituisce il rischio radicale”59.

Il mondo non stava finendo. Più semplicemente era in procintodi sparire un‟epoca.

58  Ibidem, p. 139.59 Ernesto De Martino, La fine del mondo, cit., p. 630.