[Guicciardini Francesco] Considerazioni Intorno Ai(BookFi.org)

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    Francesco Guicciardini

    CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI

    SOPRA LA PRIMA DECA DI TITO LIVIO

    LIBRO PRIMO

    CAPITOLO I

    [Quali siano stati universalmente i princpi di qualunque citt, e quale fusse quello di Roma.]

    Nel primo Discorso vera la distinzione che tutte le citt sono edificate o da forestieri o dauomini nativi del luogo, ed in questo secondo membro cade Vinegia ed Atene; cadeci ancora Roma,ma diversamente da Atene e da Vinegia, perch queste furono edificate dagli incoli per necessit diavere o uno ricetto sicuro o uno reggimento commune, ma Roma, sanza alcuna di queste necessit,fu pi presto edificata come colonia di Alba, cio da uomini o albani o sudditi allo imperio di Alba,per amore di quelli luoghi dove erano nutriti, o per ambizione di reggersi per s stessi; n pu Romaper rispetto di Enea applicarsi al membro de' forestieri, perch uno cercare le origine troppo dalontano, le quali non s'hanno a referire a' primi antecessori di chi ha edificato.

    Quanto al membro delle citt edificate da' forestieri, non vero semplicemente che lecolonie mandate per sgravare e' paesi di abitatori dependino sempre da altri, perch molte nazione,come furono e' Galli, e' Cimbri e simili, mandorono per la detta causa parte de' popoli loro acercarsi nuove sede, le quali acquistate non avevano dependenzia o recognizione alcuna da' luoghipatrii; e per era pi vera e pi piena distinzione, che o le citt edificate da' forestieri sono edificatecon tale sorte che hanno a reggersi da per s, n dependere in cosa alcuna etiamdagli autori dellaorigine sua, o sono edificate in modo che hanno a ricognoscere quelli per prncipi; ed in questeseconde vero che da principio non possono fare progresso grande, ma in progresso di tempipossono nascere molti accidenti che le liberino da quella subiezione, ed allora pu accadere chepiglino augumento notabile. E di questa spezie stata Firenze, e tutte le colonie de' romani, che

    doppo la declinazione di Roma molte di loro sono diventate magnifiche e potente citt; e forse chidiscorressi a una a una, non troverrebbe manco di queste salite in potenzia notabile, che di quelleche hanno avuto el principio libero; perch sono cresciute o no secondo el sito, la instituzione efortuna che hanno avuta. vero che ordinariamente queste tali hanno tardato pi a cominciare acrescere, avendo el principio subietto a altri; ma se intratanto per la bont del sito o per la buonainstituzione o altra causa hanno avuto occasione di ingrossare di ricchezze e di popolo, hanno poiavuto facilit di diventare potente.

    El principale fondamento della potenzia e ricchezze della citt avere grosso populo: e malepu ingrossare di populo una citt che sia posta in luogo sterile, se gi non ha la aria moltogenerativa, come Firenze, o la opportunit del mare, come Vinegia; e per meglio porsi in paesefertile, perch pi facilmente vi concorrono gli abitatori; ma quando fussi possibile fermare abitatoriassai in uno sito, io non dico al tutto sterile, ma non grasso, non dubio che pi conferirebbe a farlovirtuoso la necessit del provedersi che le buone legge; perch quelle si possono variare dalla

    volunt degli uomini, ma la necessit una legge ed uno stimulo continuo. E questa indirizz beneRoma, la quale, se bene posta in paese fertile, tamenper non avere contado ed essere cinta di populipotenti, fu forzata allargarsi con la virt delle arme e con la concordia; e questo si discorre non inuna citt che voglia vivere alla filosofica, ma in quelle che vogliono governarsi secondo elcommune uso del mondo, come necessario fare, altrimenti sarebbono, essendo debole, oppresse econculcate da' vicini.

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    CAPITOLO II

    [Di quante spezie sono le republiche, e di quale fu la republica romana.]

    E' non dubio che el governo misto delle tre spezie, principe, ottimati e popolo, migliore epi stabile che uno governo semplice di qualunque delle tre spezie, e massime quando misto in

    modo che di qualunque spezie tolto el buono e lasciato indrieto el cattivo; che el punto a chebisogna avvertire, e dove pu consistere la fallacia di chi gli ordina. E per discorrere tritamentequesto articolo, dico che el frutto del governo regio che molto meglio, con pi ordine, con picelerit, con pi segreto, con pi resoluzione si governano le cose publiche quando dependono dallavolunt di uno solo, che quando sono nello arbitrio di pi. El male che ha , che, se si cade in unapersona cattiva, avendo la potest sciolta di fare male, tutta quella autorit che gli data per farebuoni effetti gli fa pessimi; cos se buono ma insufficiente, nascono per la ignavia sua infinitidisordini. Ed ancora che el re si facessi per elezione, non per successione, non la sicurt intera diquesti pericoli, perch chi elegge pu molte volte ingannarsi, riputando buono o prudente chi sia dialtra sorte, e la grandezza della potest e della licenzia muta spesso la natura di chi eletto, emassime se ha figliuoli, difficile non desideri avergli successori; il che, quando re con potestassoluta, difficilmente gli pu essere proibito, ancora che sia contro alle constituzione del regno, manon lo pu gi conducere se non con arte e mezzi non laudabili.

    Volendo adunche ordinare uno governo che participi el pi che si pu del bene del governoregio, e non participi del male, impossibile participi tutto el bene e fugga tutto el male, e bisognacontentarsi che pi presto abbia manco del bene, che, per volerne troppo, participi anche del male. Eper necessario farlo perpetuo, ma limitargli la autorit, con fare che per s solo non possadisporre di cosa alcuna, o almanco di quelle solo che sono di minore importanza; ed ordinandolocos se ne caverebbe el bene di avere uno occhio che vigilassi continuamente le cose publiche, unocapo a chi le si potessino referire, uno procuratore che le proponessi, sollecitassi e ricordassi.Mancherebbesi di quello bene che ha con seco el potere uno solo deliberare ed eseguire; ma perchquesto non si pu avere sanza el pericolo che non sia in potest sua voltare el regno a tirannide,minore male avere poco bene e sicuro, che molto e con s grave pericolo. Sia adunche el re, cio elcapo che rapresenti quello principe, con la autorit limitata in modo che per s solo non possideliberare le cose importante, e sia per elezione, non per successione; e quando sia cos, meglio sia perpetuo che temporale, e se pure temporale, meglio per lungo tempo che per breve. In che

    hanno fatto meglio e' viniziani, che non feciono e' romani e lacedemni; perch e' re de' lacedemnierano sempre di una famiglia medesima e per successione, e' re romani, se bene avevano el senato equalche immagine di republica, pure ebbono tanta autorit che fu loro facile voltare el regno atirannide, come si vedde qualche principio in Servio Tullio, e poi apertamente in TarquinioSuperbo. E se voglino la autorit de' consoli chiamarla regia, non fu perpetua ma annua; dove elprincipe viniziano perpetuo, eleggesi ed ha la autorit limitatissima.

    Nel governo degli ottimati questo bene, che essendo pi, non possono cos facilmente fareuna tirannide come uno solo; essendo e' pi qualificati uomini della citt, la governano con piintelletto e con pi prudenzia che non farebbe una moltitudine; ed essendo onorati, hanno mancocausa di travagliarla, come essendo mal contenti potrebbono fare facilmente. El male , chetrovandosi la autorit grande, favoriscono quelle cose che sono utile a loro e deprimono el populo; enon avendo termine la ambizione degli uomini, per accrescere le condizione loro, si romponoinsieme e fanno sedizione, donde nasce o per via della tirannide o per altro modo la ruina delle citt;e se sono ottimati per successione e non per elezione, di prudenti e buoni vengono presto le cose inmano di imprudenti e cattivi.

    Bisogna, a trarre di questa spezie di governo quel che si pu di bene e fuggire el male, chegli ottimati non siano sempre le medesime linee e famiglie, ma che di tutto el corpo della citt, ciodi tutti quegli che secondo le legge sono abili a participare de' magistrati, si elegga uno senato che

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    abbia a trattare le cose ardue, cio che sia el fiore degli uomini prudenti, nobili e ricchi della citt;sia perpetuo, o almanco durino per lunghissimo tempo; siano molti in numero acci che pifacilmente siano tollerati dagli altri, e' quali aranno continua speranza che loro o case lorosuccedino in luogo di quelli che alla giornata mancassino; ed anche perch, essendo el numerolargo, si potr sperare vi entri ciascuno che lo meriti, e se bene vi entrerr qualcuno non idoneo, manco inconveniente che se ne fussi escluso qualche sufficiente; non abbino la potest assoluta ditutte le cose pubbliche, acci che non si arroghino troppa autorit, massime di creare magistrati,

    spezialmente quelli che hanno mero e misto imperio, o che sono magistrati di utilit; non di farelegge sanza el consenso del populo, acci che non possino o alterare la forma del governo, o ridurregli ordini della citt a beneficio de' potenti e diminuzione de' minori; ma appartenga a loro elconsultare e deliberare di quelle cose a che pi necessaria la prudenzia degli uomini, cio leguerre, le pace, le pratiche co' prncipi, e tutte le cose sustanziale alla conservazione ed augumentodel dominio. Ebbono e' lacedemni gli ottimati in questo modo, cio non di particulare sorte diuomini, ma di tutto el corpo della citt; ebbongli e' romani ma con distinzione, perch apresso a loroe' patrizi da' princpi erano gli ottimati, gli altri erano plebei, che fu causa di tutte le loro sedizione.

    Nel governo del popolo di buono, che mentre dura non vi tirannide; possono pi le leggeche gli uomini; ed el fine di tutte le deliberazione riguardare al bene universale. Di male vi , cheel popolo per la ignoranzia sua non capace di deliberare le cose importante, e per presto periclitauna republica che rimette le cose a consulta del popolo; instabile e desideroso sempre di cosenuove, e per facile a essere mosso ed ingannato agli uomini ambiziosi e sediziosi; batte volentieri

    e' cittadini qualificati, che gli necessita a cercare novit e turbazione. A fuggire queste cose bisognanon rimettere al popolo alcuna cosa importante, eccetto quelle che se fussino in mano di altri, nonsarebbe la libert sicura, come la elezione de' magistrati, la creazione delle legge, le quali non bene venghino al popolo, se non prima digestite ed approvate da' magistrati supremi e dal senato;ma quelle ordinate da loro non abbino gi vigore se non sono confermate dal popolo; non lasciare leconzione libere, il che grande instrumento delle sedizione, ma che nel consiglio del popolo nonpossa parlare se non chi gli commesso da' magistrati, e sopra quella materia che gli commessa.Ed ordinando cos questo governo s'ar la mistura della quale si fa menzione nel Discorso.

    CAPITOLO III

    [Quali accidenti facessono creare in Roma i tribuni della plebe, il che fece la republica pi perfetta.]

    posto troppo assolutamente che gli uomini non operano mai bene se non per necessit, eche chi ordina una republica gli debbe presupporre tutti cattivi, perch molti sono che, etiamavendofacult di fare male, fanno bene, e tutti gli uomini non sono cattivi. vero che, e nello ordinare unarepublica ed in ogni altra faccenda, si debbe ordinare le cose in modo che chi volessi fare male, nonpossa, non perch sempre tutti gli uomini siano cattivi, ma per provedere a quelli che fussino cattivi;e s'ha a considerare in questa materia, che gli uomini tutti sono per natura inclinati al bene, ed atutti, data paritate terminorum, piace pi el bene che 'l male; e se alcuno ha altra inclinazione, tanto contro allo ordinario degli altri e contro a quello primo obietto che ci porge la natura, che pipresto si debbe chiamare monstro che uomo. adunche ognuno naturalmente inclinato al bene; maperch la natura nostra fragile, e nel vivere umano si riscontra a ogni passo nelle occasione chepossono divertire dal bene, come la volutt, la ambizione, la avarizia, e' savi, prevedendo questopericolo, dove hanno potuto trre agli uomini la facult del fare male, l'hanno fatto; e dove non si potuto fare assolutamente, perch non si pu fare sempre, anzi rare volte, aggiunsono altro rimedio,cio allettare gli uomini al bene co' premi, e spaventargli dal fare male con le pene.

    La causa dello eleggere e' tribuni fu quella che si dice nel Discorso, cio per fare una difesaalla plebe contro alla nobilit cio e' patrizi; el quale effetto risultava in quattro modi: el primo, cheavendo la plebe uno magistrato particulare veniva a avere uno capo publico, col quale si poteva

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    consultare e trattare e' commodi suoi, ed a chi avendo la plebe ricorso, non era disprezzata comecorpo che non avessi capo; el secondo, per la autorit dello intercedere, che era tale che non sipoteva in Roma fare alcuna deliberazione publica contro alla volunt pure di uno solo de' tribuni; elterzo, col potere mettere innanzi al popolo nuove legge; el quarto, col chiamare al giudicio delpopolo quelli cittadini che paressi a ciascuno di loro. Le quali autorit non furono intese daprincipio della loro creazione, ma in processo di tempo o usurpate o ampliate con la interpretazionedella legge con la quale furono creati; le quali autorit non facevano quello che dice el Discorso,

    cio che e' tribuni fussino uno magistrato in mezzo tra 'l senato e la plebe, perch bene eranotemperamento della potenzia de' nobili, ma non, e converso, della licenzia della plebe.

    CAPITOLO IV

    [Che la disunione della plebe e del senato romano fece libera e potente quella republica.]

    Io ho altra volta scritto pi largamente, per ora me ne passer con brevit; ma dico inconclusione che la causa delle disunione di Roma tra patrizi e plebei fu dallo essere divisi gli ordinidella citt, cio che una parte fussino patrizi, l'altra plebei, e che tutti e' magistrati fussino de'patrizi, esclusa la plebe, e tolta a' plebei ogni speranza di potergli conseguire. Ch se da principio onon fussi stata questa distinzione tra patrizi e plebei, o se almanco si fussi data la met degli onori

    alla plebe, come si fece poi, non nascevano quelle divisione, le quali non possono essere laudabile,n si pu negare che non fussino dannose, se bene forse in qualche altra republica manco virtuosaarebbono fatto pi nocumento; non arebbe la plebe desiderato la creazione de' tribuni, n sarebbestato necessario quello magistrato, perch communicati gli onori, era communicata la potenzia, npi pericolo arebbe portato la libert da' patrizi che da' plebei. Ed certo che communicati chefurono gli onori, quello magistrato fu forse di pi danno che di utile, ed almanco negli ultimi tempifu instrumento e colore a chi volle turbare la republica; e massime non si pu a giudicio mio laudarein loro n la autorit di proporre nuove legge n di intercedere.

    Non fu adunche la disunione tra la plebe ed el senato che facessi Roma libera e potente,perch meglio sarebbe stato se non vi fussino state le cagione della disunione; n furono utile questesedizione, ma bene manco dannose che non sono state in molte altre citt, e molto utile allagrandezza sua che e' patrizi pi presto cedessino alla volunt della plebe, che entrassino in pensaremodo di non avere bisogno della plebe; ma laudare le disunione come laudare in uno infermo la

    infermit, per la bont del remedio che gli stato applicato. Questo disordine fu dalla origine diRoma, perch nel principio suo vi fu la distinzione tra patrizi e plebei; ma sotto e' re non noceva,perch essendo la autorit ne' re, non poteva el senato per s medesimo opprimere le plebe; e quelloche non faceva el senato di pensare a' commodi, lo facevano e' re, etiam qualche volta piambiziosamente che non si doveva, come si legge di Servio Tullio, ed usavano ancora di eleggeretalvolta de' plebei ne' patrizi, che faceva che gli altri tolleravano pi facilmente quello grado alquale ancora loro speravano potere pervenire. Le quali ragione tutte cessorono quando e' re furonocacciati, perch e' patrizi diventorono padroni della citt ed arbitri di ogni cosa: non aveva la plebe achi fuggire, n chi pensassi a' commodi suoi; n e' capi della plebe pi speranza di essere eletti ne'patrizi, perch da loro erano fastiditi come ignobili, e pi presto eletti e' forestieri, come fu AppioClaudio. N fu avvertito questo disordine nel cacciare e' re, pensando pi gli uomini al malepresente, che era quello de' re, e perch chi non ha perizia grande delle cose publiche non lecognosce se non per esperienzia; per rare volte, o forse non mai, accaduto che una republicaabbia avuto da principio la sua ordinazione perfetta. Fu adunche utile el rimedio che si pose allesedizione, ma non gi utile el non levare da principio le cause che poi le feciono nascere.

    Quanto alle altre parte del governo romano, dico quanto a quelli ordini che risguardano laforma del governo della republica, non voglio ora discorrere particularmente; ma non credo fussinotali, che chi avessi a ordinare una republica, gli dovessi pigliare per esemplo. Fu eccellentissima la

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    disciplina militare, e la virt sua sostenne tutti gli altri difetti del governo, e' quali importano mancoin una citt che si regge in sulle arme, che in quelle che si governano con la industria, con legirandole e con le arte della pace.

    CAPITOLO V

    [Dove pi sicuramente si ponga la guardia della libert, o nel popolo o ne' grandi; e quali hanno maggiorecagione di tumultuare, o chi vuole acquistare o chi vuole mantenere.]

    Io non intendo el titolo della quistione, cio che voglia dire el porre la guardia della libert onel popolo o ne' grandi; perch altro a dire in chi ha a essere el governo, o ne' grandi o nella plebe,ed a questo serve lo esemplo di Vinegia, perch in modo ne' nobili che la plebe tutta ne esclusa,altro dire, participando ognuno del governo, una autorit o cura particulare per difesa della libertin chi ha a essere, o in magistrato d'uomini plebei o di uomini nobili; ed a questo pu servire loesemplo di Roma dove, participando ed e' nobili e la plebe, el magistrato de' tribuni che pareva cheavessi guardia particulare della libert, fu ne' plebei. Bench per dire meglio, in Roma la guardiadella libert non fu manco ne' patrizi che ne' plebei, perch ed e' consuli ed e' dittatori v'avevanocura ed autorit di difendere la libert, come si vedde ed in Spurio Melio ed in Manlio Capitolinode' quali, per insidiare alla libert, fu l'uno amazzato, l'altro messo in prigione da' dittatori; e negli

    ultimi tempi la sedizione de' Gracchi e la coniurazione di Catilina fu oppressa da' consuli. Laautorit ancora dello accusare era promiscua cos a' patrizi come a' plebei, e cos potevano chiamareuno in giudicio gli altri magistrati come e' tribuni, e' quali non furono creati per difendere la libertcontro a chi volessi opprimere tutta la republica, ma solo per difesa della plebe contro a chi lavoleva opprimere; e se bene e' tribuni chiamavano pi spesso in giudicio e' cittadini, lo facevanoperch essendo magistrato plebeio, avevano pi credito con la plebe, e pareva in uno certo modoche questo fussi proprio lo uficio loro.

    Ma quanto al titolo della quistione, io loder sempre pi che tutti gli altri governi unogoverno misto come di sopra, ed in uno governo simile vorr che la guardia della libert contro achi volessi opprimere la republica appartenga a tutti, fuggendo sempre quanto si possa la distinzionetra nobili e plebei; e per necessit uno governo misto temperato in modo, che in favore dellalibert l'uno ordine guardia dell'altro.

    Ma quando fussi necessitato mettere in una citt o uno governo meramente di nobili o uno

    governo di plebe, crederr sia manco errore farlo di nobili; perch essendovi pi prudenzia edavendo pi qualit, si potr pi sperare si mettino in qualche forma ragionevole, che in una plebe laquale essendo piena di ignoranzia e di confusione e di molte male qualit, non si pu sperare se nonche precipiti e conquassi ogni cosa. N proceder con quella distinzione: o tu vuoi fare unarepublica che acquisti o una che conservi; perch el governo della plebe non n per acquistare nper conservare, ed el governo di Roma era misto, non plebeo. E questa conclusione secondo lasentenzia di tutti quelli che hanno scritto delle republiche, che prepongono el governo degli ottimatia quello della moltitudine.

    CAPITOLO VI

    [Se in Roma si poteva ordinare uno stato che togliesse via le inimicizie intra il popolo ed il senato.]

    Io credo essere vero che volendo e' romani adoperare la plebe alla guerra, come per elpiccolo numero de' patrizi erano necessitati, volendo adoperare le arme proprie, che era necessariotenerla contenta; ed el non volere fare questo e' patrizi, fu causa di tanti tumulti e sedizione, perchn gli volevano ammettere nel governo, n si astenevano da quelle ingiurie che davano causa allaplebe di desiderare di participarne; perch occupavano le possessione publiche ed erano molto rigidi

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    nella esazione de' debiti, e si pu credere che in tutte le altre cose la giustizia fussi inequale infavore di quella parte che aveva in mano tutta la autorit. Ma dico bene, che se nel principio dellalibert non fussi stata, come detto nel quarto Discorso, la distinzione tra patrizi e la plebe; o comesi fece poi per necessit, si fussi da principio communicati gli onori, che non sarebbono stati tra loroquelli tumulti e sedizioni, e' quali cessorono subito che el governo fu communicato, insino al tempode' Gracchi; ne' quali essendo gi corrotta la citt, nacquono le sedizione per nuovi omori e cagione,che non furono pi della plebe contro a' patrizi, ma della gente bassa contro a' pi ricchi e pi

    potenti; nel quale numero si includevano molte famiglie plebee nobilitate gi per gli onori. Dicoancora che se e' patrizi, sanza communicare interamente el governo alla plebe, avessino saputoporre qualche buono ordine alle ingiurie, ed avessino aperta la via per la quale a certi tempi e' plebeiprincipali potessino essere stati fatti patrizi, che forse non sarebbono stati quelli tumulti; perch sivedde per esperienzia che nelle legge proposte da Publio Sestio, la plebe si contentava di provederea' debiti ed a' beni occupati, e degli onori non si curava; se non che e' plebei principali, e' qualiappetivano el governo, n vi potevano entrare per altra via, esclusono la plebe da speranza di potereconseguire l'uno sanza l'altro. Non veggo adunche che a' romani fussi impossibile ordinare elgoverno in modo che tra 'l senato e la plebe non avessino a essere quelli tumulti e sedizione, anzi logiudico molto facile; e poi che si poteva fare, non si possono lodare quelli defetti del governo e'quali furono causa che la citt stessi piena di tumulti e sedizione, e di creare e' tribuni; el qualemagistrato, pacificata che fu la citt, armato di tante autorit, fu pi presto dannoso che utile.

    CAPITOLO VII

    [Quanto siano in una republica necessarie le accuse a mantenerla in libertade.]

    verissimo che molto utile, anzi quasi necessario, che in una citt siano modi facili diopprimere, per via delle legge e de' giudci, e' cattivi cittadini, ed in spezie quelli che machinassinocontro allo stato; ma bisogna anche avvertire che siano ordinati in modo che gli innocenti non sianofacilmente vessati o puniti. Perch, oltre a essere ingiusto anche pernizioso alla citt, perchandando questo pericolo sopra gli uomini nobili e di pi qualit, vivendo loro con questo continuosospetto, diventano di necessit malcontenti, e la mala contentezza de' pi potenti diventa in moltimodi pericolosa alla republica; e se bene lo essere condannato uno cittadino a torto in s di pocaimportanzia, diventa importante per el terrore che d agli altri; ed anche pu essere lui di qualit che

    faccia danno alla citt, come si vedde di Alcibiade e fu per vedersi di Temistocle cacciatoingiustamente da Atene; e lo sent Roma in Coriolano.

    adunche necessario misurare bene questa parte, e secondo la opinione mia, troppopericoloso fare che delle accusazione sia giudice el popolo, el quale non intende n esamina le cosebene, ed [] facile muoversi a' romori e calunnie false. Non sta anche bene in pochi cittadini questaautorit, perch, se sono eletti di numero stretto, diventano troppo potenti, se di largo, procedonotroppo respettivi; ed in fatto e' giudici vogliono essere assai, cio pi di cinquanta. E certo elmodello della quarantia di Firenze non era male considerato, se si fussino moderate molte cose cheerano male disposte. E che non sia bene fare giudice el popolo delle accusazione, oltre alle ragionedette di sopra, s'ha a considerare che spesso e' cittadini che vogliono farsi grandi camminando pervia del popolo, cio proponendo cose che piaciono alla moltitudine; la quale considerando lasuperficie ed e' titoli, non el fine a che si tenda, prima condotta alla servit che si accorga dove siamenata; in modo che impossibile opprimere questi tali per via del popolo: in esemplo ci sono e'Gracchi, e' quali, autori di legge sediziose, e tendendo a cammino di trre la autorit al senato, nonpotettono essere oppressi se non contro alla volunt del popolo; el simile Manlio Capitolino, controal quale bisogn creare el dittatore, perch insino non si scoperse la pratica di farsi re, el popolo loseguit.

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    Bisogna adunche che la republica sia ordinata in modo, o che le accusazione abbino diversigiudici secondo che sono diversi gli ordini e gli omori della citt, o che gli uomini preposti a'giudci siano mescolati in modo che sia uno temperamento da appropriarsi a ogni spezie di mali,avvertendo che col non lo ristrignere in poco numero, siano uomini pi scelti che si possa, e che siaccostino pi alla mediocrit che a alcuno degli estremi.

    CAPITOLO VIII

    [Quanto le accuse sono utili alle republiche, tanto sono perniziose le calunnie.]

    vera conclusione che le calunnie sono detestabili, ma tanto naturale in una citt libera, che difficile e forse impossibile el levarle; perch quando nasce uno carico falso contro a unocittadino, che pu nascere per malignit di chi ne autore ed anche per errore, come si puprovedere che non si allarghi nella moltitudine, la quale pi inclinata a credere el male che elbene? Ed anche non mancano molti che per odio o per invidia fomentino questi romori; e per aRoma nella quale la via dello accusare era s facile e larga, quanti furono e' carichi dati falsamente a'cittadini? In esemplo ci Fabio Massimo e molti altri, n si pu sempre accusare o punire chicalunnia a torto, n si pu altrimenti che per scrittura formare modo di republica che proveda cosprontamente a tutti e' disordini. Per in ogni popolo libero fu e sar sempre abondanzia di

    calunniatori; basta che le calunnie false col tempo e con la verit si spengono spesso per s stesse.N lo sdegno di essere calunniato traporter mai uno cittadino grave a fare disordine contro allarepublica, e se bene ar sdegno contro a chi pensa che sia stato autore della calunnia, ha anchesdegno e molto maggiore contro a chi l'ha accusato falsamente. Ma questi sdegni particulari nonfanno mai disordine importante in una citt che per altro sia bene regolata; come neanche fanno lecalunnie, le quali quando sono scandolose, come fu quella di Manlio Capitolino che tendeva asollevare la plebe contro al senato, si opprimono; se non sono scandolose si lasciano andare, perchda s medesime caggiono. E lo esemplo di Cosimo, figurato nel Discorso suo sanza nominarlo, uno sogno; perch a lui aperse la via alla grandezza non le calunnie, ma la prudenzia, eprincipalmente la ricchezza eccessiva, con le quali, essendo el governo di Firenze disordinatissimoe pieno per sua natura di sedizione, gli fu facile corrompere e' cittadini, e, fomentando le divisionedella citt, camminare, col farsi capo di una parte, alla tirannide. E perch questa materia a provarela conclusione del Discorso stretta di esempli, fu mendicato quello di messer Giovanni

    Guicciardini; el quale vero che fu calunniato ingiustamente, e che per essere e' giudci disordinatinon ebbe modo per mezzo di quegli giustificare la innocenzia sua, ancora che ne facessi ogni opera,insino a rapresentarsi volontariamente in carcere; ma dalla calunnia sua non nacque le divisionedella citt, n da questo si augumentorono, anzi pel contrario le discordie de' cittadini fomentoronoe feciono di pi momento questo caso suo, che per lo ordinario non sarebbe stato.

    CAPITOLO IX

    [Come egli necessario essere solo a volere ordinare una republica di nuovo, o al tutto fuor degli antichi suoiordini riformarla.]

    Non dubio che uno solo pu porre migliore ordine alle cose che non fanno molti, e che unoin una citt disordinata merita laude, se, non potendo riordinarla altrimenti, lo fa con la violenzia ocon la fraude e modi estraordinari. Ma da pregare Dio che le republiche non abbino necessit diessere racconcie per simile via, perch oltre che gli animi degli uomini sono fallaci, e pu uno sottoquesto onesto colore occupare la tirannide, ci anche pericolo che la volont da principio buonanon diventi cattiva; perch chi fa questo, non pu subito constituite le legge, deporre la autorit,perch essendo introdotte per violenzia sarebbono incontinenti annichilate, e per bisogna continui

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    tanto nella autorit che el progresso del tempo e la esperienzia le stabilisca; ed in questo spazio puaccadere che la dolcezza della potenzia e la licenzia del principato gli faccia mutare in mala laintenzione che da principio fussi stata buona. adunche questo uno modo di medicina desiderabilequando non vi sia altra speranza di salute, ma pericoloso e di malo esemplo; ed laudabilesommamente colui che non ritiene in s questa autorit se non quanto necessario a stabilire le coseordinate, come fece Licurgo e se alcuno altro si pu addurre in esemplo. Ma chi ritiene la potenziamentre vive, se bene governa rettamente e lascia doppo s forma buona di reggimento, non so

    quanto sia da essere laudato, perch non si pu interpretare se non che sia mosso per ambizionepropria; e se bene sia utile alla citt quello che ha fatto e non sia detestabile come chi usa male laautorit occupata, pure non manca anche lui di ogni reprensione. A quello che dice el Discorso cheRomolo spett al bene commune e non alla propria ambizione, avendo constituito uno senato, nondico ora altro, perch bisogna prima bene leggere e considerare la vita di Romolo, el quale, se benemi ricordo, si dubit non fussi amazzato dal senato per arrogarsi troppa autorit: bisognaconsiderarla bene.

    CAPITOLO X

    [Quanto sono laudabili i fondatori d'una republica o d'uno regno, tanto quelli d'una tirannide sonovituperabili.]

    El titolo di questo Discorso verissimo, perch somma laude meritano e' fondatori de' regnie delle republiche, sommo biasimo e' fondatori della tirannide. Ma perch e' casi sono vari, e loautore confonde gli esempli, bisogna considerare che rare volte occorre che chi occupa la tirannidenella patria libera abbia tale necessit di farlo, o, se ha necessit, che sia causata sanza colpa sua,talmente che gli resti colore alcuno di giustificazione. E questa sorte di uomini, tra' quali fu Cesare,pieno di molte altre virt, ma oppresso dalla ambizione del dominare, sono certo immanissimi edetestabili. vero che qualche volta le forme delle libert sono s disordinate, e le citt ripiene tantodi discordie civili, che la necessit conduce qualche cittadino, non potendo salvarsi altrimenti, acercare la tirannide o a aderire a chi la cerca. Nel quale caso sarebbe molto laudabile chi preponessil'amore della patria alla salute sua particulare; ma perch questo amore o questa fortezza si desideranegli uomini pi presto che la si truovi, merita essere assai scusato chi mosso da tale cagione, etanto pi se el governo contro al quale va disordinato, perch molte sono chiamate spesso libert

    che non sono. Lo esemplo si pu porre nella nostra citt dove, doppo la mutazione dello stato del'26, sono stati perseguitati e conculcati alcuni cittadini buoni e bene qualificati, ed in ultimo nellavenuta del principe di Oranges, necessitati o disubidire a' comandamenti fatti dalli otto di fermarsiin Firenze sotto pena [di] rebellione, o restare con pericolo di essere amazzati, ed almanco concertezza di essere sostenuti come sospetti. E' quali la necessit ha condotti o a desiderare lamutazione di uno stato che sotto nome di libert tirannico e distruttore della patria, o tacitamentelasciarsi con somma ingiustizia trre la patria e le facult. Chi adunche autore nella patria libera,di una tirannide, e lo fa per appetito di dominare, merita somma reprensione; e di questi fu Cesare,Falari, Pisistrato e simili, de' quali pi infame l'uno che l'altro, secondo che pi o mancocrudelmente la usorono, e secondo che furono pi o meno ornati di altre virt.

    L'altro caso di quegli a chi la tirannide lasciata ereditaria, che meritano manco biasimocontinuando in esso, che non fanno quegli che da principio l'hanno fondata; e lasciandolameriterebbono tanto pi laude, quanto manco sono debitori di cancellare el peccato d'averlausurpata. Di questi si truova pochissimi, o forse nessuno, che sanza necessit l'abbino lasciata; n maraviglia, perch chi nutrito in una tirannide non ha occhi da cognoscere quella gloria che siacquista di mettere la patria in libert, n considera questo caso con quello gusto che fanno gliuomini privati, perch, assuefatto a quello modo di vivere, giudica che el sommo bene sia nellapotenzia, e non cognoscendo el frutto di quella gloria, nessuna altra ragione gli pu persuadere a

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    lasciare la tirannide. Sanza che, el pericolo lo pu ritenere, quando bene n'avessi volunt, perchdifficile che una tirannide si sia potuta acquistare e conservare sanza molte inimicizie e sanzaoffesa di molti; per ridursi privato o lasciare doppo s e' figliuoli privati, pare cosa pericolosa,massime che e' popoli sono ingrati, e le libert nuove sono communemente piene di disordini. E selo fece Silla esemplo rarissimo, e lo potette fare pi sicuramente, perch el governo rest in manodegli uomini della sua fazione, in modo che non solo fu sicuro mentre visse, ma ancora, morto lui,furono conservati gli atti suoi ed avuto reverenzia alla sua memoria.

    altro el caso di quelli che sono re e prncipi, o creati legittimamente, come erano e' re diLacedmone, come furono e' primi re romani, o che per la lunghezza del tempo sono tenutilegittimi. Di questi tali, se hanno la autorit sciolta, si truova pure qualcuno che governagiustamente, in modo che merita el nome di essere buono principe; ma io non so quali che riduchinoel regno a quella perfezione di ordini che meritamente doverrebbe essere, cio a ordinarlo in modoche non e' figliuoli o e' pi prossimi abbino el regno per eredit, ma che si succeda per elezione. Ese in alcuno regno stata questa instituzione, credo che ve l'abbia conservata pi qualche necessitche la volunt di chi ha regnato, perch troppo grande lo amore che e' padri portano a' figliuoli, npiccolo quello che si porta a lasciare illustre la memoria della sua casa.

    Per questi pensieri che e' tiranni deponghino le tirannide, e che e' re ordinino bene e' regni,privando la sua posterit della successione, si dipingono pi facilmente in su' libri e nelleimmaginazione degli uomini, che non se ne eseguiscono in fatto; anzi, quanto e' ragionamenti de'privati ne sono spessi, tanto ne sono rari gli esempli; e per meritano minore reprensione coloro che

    non fanno le cose, simili alle quali si truovano pochissimi e forse nessuno che abbia fatto.

    CAPITOLO XI

    [Della religione de' romani.]

    Certo che e l'arme e la religione sono fondamenti principali delle republiche e de' regni, etanto necessari che mancando ciascuno di questi si pu dire manchino le parte vitale e sustanziali;ma io non so gi se sia vero che se s'avessi a disputare a quale principe Roma sia pi obligata, o aRomulo o a Numa, che Numa meriti la prima laude, n che le difficult di Numa fussino maggiore;anzi io inclinerei pi presto nel contrario, e mi pare si possi mostrare con una ragione assai potente;perch se el primo re di Roma fussi stato Numa e non Romulo, certo la citt era ne' suoi princpi

    oppressa da' vicini, n lasciava Numa a Romulo quel luogo di mettervi le arme che lasci Romulo aNuma di mettervi la religione. Fu adunche a' princpi pi necessario Romulo che Numa. Di poicome anche dice lo scrittore, quelli tempi ed ancora le citt vicine furono piene di religione, inmodo che con lo esemplo e similitudine di quelle fu facile disporvi el popolo romano. E che questosia vero lo mostra che, morto Romulo, el popolo ancora ferocissimo ed assuefatto in su le arme,elesse volontariamente per re non uno uomo bellicoso ed uso a comandare eserciti, ma desideravere uno re venerabile di giustizia, di religione e delle arte della pace, e non l'avendo tale in Romalo and a cavare delle citt vicine; il che dimostra chiaramente che e' romani per s medesimifurono inclinati a volersi ordinare di religione e buone legge spettanti alle arte della pace, in modoche Numa trov gli uomini gi disposti a volere ricevere buoni ordini. E certo o la prudenzia o lafortuna de' romani, o l'uno e l'altro insieme, fu ammirabile che e' primi suoi dua re fussinoeccellentissimi, l'uno nelle arte della guerra, l'altro in quelle della pace; e che el primo fussi quellodella guerra, perch colle arme dette tanta vita alla nuova citt che potette aspettare Numa e chi laordinassi con la religione.

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    CAPITOLO XII

    [Di quanta importanza sia tenere conto della religione, e come la Italia, per esserne mancata mediante laChiesa romana, rovinata.]

    Non si pu dire tanto male della corte romana che non meriti se ne dica pi, perch unainfamia, uno esemplo di tutti e' vitupri ed obbrobri del mondo. Ed anche credo sia vero che la

    grandezza della Chiesa, cio la autorit che gli ha data la religione, sia stata causa che Italia non siacaduta in una monarchia; perch da uno canto ha avuto tanto credito che ha potuto farsi capo, econvocare quando bisognato prncipi esterni contro a chi era per opprimere Italia, da altro essendospogliata di arme proprie, non ha avuto tante forze che abbia potuto stabilire dominio temporale,altro che quello che volontariamente gli stato dato da altri. Ma non so gi se el non venire in unamonarchia sia stata felicit o infelicit di questa provincia, perch se sotto una republica questopoteva essere glorioso al nome di Italia e felicit a quella citt che dominassi, era all'altre tuttecalamit, perch oppresse dalla ombra di quella, non avevano facult di pervenire a grandezzaalcuna, essendo el costume delle republiche non participare e' frutti della sua libert ed imperio aaltri che a' suoi cittadini propri.

    E se bene la Italia divisa in molti domni abbia in vari tempi patito molte calamit che forsein uno dominio solo non [ar]ebbe patito, bench le inundazione de' barbari furono pi a tempo delloimperio romano che altrimenti, nondimeno in tutti questi tempi ha avuto al riscontro tante citt

    floride che non arebbe avuto sotto una republica che io reputo che una monarchia gli sarebbe statapi infelice che felice. Questa ragione non milita in uno regno el quale pi commune a tutti e'sudditi; e per veggiamo la Francia e molte altre provincie viversi felici sotto uno re; pure, o sia perqualche fato di Italia, o per la complessione degli uomini temperata in modo che hanno ingegno eforze, non mai questa provincia stata facile a ridursi sotto uno imperio, eziandio quando non ci erala Chiesa; anzi, sempre naturalmente ha appetito la libert, n credo ci sia memoria di altro imperioche l'abbia posseduta tutta, che de' romani, e' quali la soggiogarono con grande virt e grandeviolenzia; e come si spense la republica e manc la virt degli imperadori, perderono facilmente loimperio di Italia. Per se la Chiesa romana si opposta alle monarchie, io non concorro facilmenteessere stata infelicit di questa provincia, poi che l'ha conservata in quello modo di vivere che pisecondo la antiquissima consuetudine ed inclinazione sua.

    CAPITOLO XIV

    [I romani interpretavano gli auspizi secondo la necessit, e con la prudenza mostravano di osservare lareligione, quando forzati non la osservavano; e se alcuno temerariamente la dispregiava, punivano.]

    Non ho per certo che e' capitani degli eserciti usassino astutamente la autorit degli auspci edegli augri, ma credo che massime ne' primi tempi fussino gli animi loro occupati da questareligione; n mi repugna lo esemplo di Papirio, el quale avendo avuto la relazione da' Pullari di chiera lo officio, non aveva a attendere a quello che gli fussi referito da terze persone.

    CAPITOLO XVI

    [Uno popolo, uso a vivere sotto uno principe, se per qualche accidente diventa libero, con difficult mantienela libert.]

    Io fo in questo Discorso grandissima differenzia da uno popolo che non abbia maicognosciuto libert, a uno popolo che qualche volta sia stato libero, ma per qualche accidente abbiaperduto la libert; perch in questo caso si possono ripigliare pi facilmente gli ordini della libert,

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    vivendo ancora chi l'ha veduta e restando molte memorie della antica republica. ancora pi accesonel petto degli uomini el desiderio della libert avendo provato e' mali della tirannide, e tanto pi senon caduta loro in mano per essere mancata la linea de' tiranni, ma perch sospinti dalla acerbitdella servit, l'abbino recuperata con le arme. Costoro ed amano pi la libert che quello popolo chenon l'ha mai cognosciuta, e sono pi facili a ripigliare gli ordini delle republiche; ed anche lamateria pi disposta, perch in una citt che sempre abbia avuto principato grande inequalit dauno cittadino all'altro, che tutto contrario alle libert sotto le quale sono gli uomini assai equali.

    Ma sotto el principato alcuni sono grandissimi, altri piccoli, perch el principe o per bisogno o perconformit di animo ha uno cerchio di uomini che si accostano quasi pi al principe che al privato. adunche questa inequalit molto disproporzionata alla libert in uno popolo che sempre

    abbia avuto principato, la quale non pu essere in una citt che non sia stata in molto lunghissimaservit; perch communemente chi occupa le libert, per disperare manco el popolo, per violentaremanco le cose, ritiene quanto pu la immagine della libert, e secondo la superficie delle cose, siingegna governare la tirannide a uso di republica, e per non si spegne al tutto la equalit de'cittadini. N mi siano allegati in contrario e' romani che si accommodorono bene alla libert ancorache mai non l'avessino cognosciuta, perch dal transferire la potest de' re a' consuli in fuora, nonmutorono niente degli ordini che erano sotto e' re; e' quali se furono buoni, non nacque tanto daprudenzia loro, quanto da buona fortuna, da essere stati gli ordini del regno tali che servirono anchealla libert; e la creazione de' consuli si crede non fussi invenzione loro ma imparata de' commentaridi Servio Tullio. Mostrasi questo essere vero, perch gli altri ordini che furono necessari alla

    conservazione della libert ed alla quiete della citt, ma gli feciono in progresso di tempo strettidalla necessit ed ammaestrati dalla esperienzia. N manc a' romani quell'altro aculeo a desiderarela libert, cio l'avere provato le ingiurie della tirannide, perch non occasione o altro accidente glimosse, che l'avere sentito sotto Tarquinio acerbissima servit. Ed anche minore maraviglia chefussino inclinati alla libert, perch in quelli tempi quasi tutti e' popoli vicini erano liberi; e' qualiesempli muovono ed infiammano gli uomini assai.

    adunche difficile conservare una libert acquistata di nuovo, e molto pi difficile a unopopolo stato in continua servit, che a quello che qualche volta stato libero; n ci el miglioreremedio a poterla conservare, che ordinare uno governo in modo temperato, che da uno canto abbiavivacit a opprimere chi machinassi contro alla libert, da altro sia sicuro per quelli che voglionovivere bene, e non inclinato a battere e' ricchi e potenti quando non ne diano causa, e facile aricevere quelli cittadini che sono stati amici della tirannide, quando o e' portamenti loro o lecondizione che hanno, diano speranza che non abbino a essere inimici della libert. Perch accademolte volte, e n'abbiamo visto la esperienzia in Firenze, che quando el governo che succede allatirannide ragionevole, bene ordinato e sicuro per ognuno, che quelli che hanno potuto co' tirannivi si contentano drento, massime in quelle citt che hanno naturale lo appetito della libert; perchtrovandosi buone facult come ha el pi delle volte chi stato favorito, ed avendo forse pid'apresso che gli altri cognosciuto e' fastidi della servit, volentieri, quando truovano sicurt econdizione equale agli altri cittadini, si riposano e godono el suo. E lo assicurare gli uomini diquesta sorte, pacifica ed unisce la citt; dove l'avergli a sospetto ed el travagliargli non la lascianoriposare, n se si tengono drento n se si cacciano fuora.

    Sia adunche ordinata in modo la republica che abbia prontezza a punire chi machina controallo stato, ed in questo sia rigida ed inesorabile, ripigliando per peccati gravissimi etiamquelli chepaino leggieri; ma non perseguiti alcuno per semplice sospetto, n abbia per sospetti tanto quelli chehanno avuto condizione sotto el tiranno, quanto gli uomini che sono di natura inquieti, quelli che

    sono caduti in povert, o che sono di qualit che non possono sperare condizione se non sotto eltiranno. Guardisi sopra tutto che nella citt non nasca divisione, le quali nascono ogni volta che elgoverno non bene ordinato, perch nelle divisione quella parte che pu manco, si gettano altiranno ancora che fussino stati inimici suoi. Queste furono le cagione che feciono rimettere e'Medici in Firenze nel '12, non dagli antichi amici loro, ma da molti che erano stati inimici; ed elperseguitare doppo el '26 acerbamente sanza distinzione quelli che erano stati amici loro, hanno

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    fatto desiderare da molti la ritornata loro, che altrimenti l'arebbono aborrita non manco che gli altri.Non desideri la nuova libert che vi sia figliuoli di Bruto, cio chi machini contro allo stato, peravere causa di acquistare riputazione e terrore con la severit, perch se bene in simili casi necessario mettere mano nel sangue, sarebbe stato meglio non avere avuto necessit, e che Brutonon avessi figliuoli, che averne per averli amazzare. N abbi in concetto de' figliuoli di Bruto altriche quelli che sono inquieti per natura, rapaci, e che non hanno qualit d'avere luogo nella libert,perch questi sono quelli che sono pericolosi, non coloro che, accommodati di facult e di qualit,

    possono sperare di sentire e' frutti della libert insieme cogli altri.Quanto a uno principe che abbia inimico el popolo, poi che questo anche tcco nelDiscorso, dico che se gli inimico per le oppressione ed acerbit della servit, facile aprovedergli, levando via le ingiurie e governando giustamente ed umanamente; ma se la radice dellainimicizia el desiderio della libert, come abbiamo visto nel nostro di Firenze, che desideravaessere libero per participare degli onori, per avere mano nel governo, allora nessuna dolcezza,nessuna mansuetudine, nessuno buono trattamento del tiranno atto a eradicare questo desiderio, nmai el tiranno con tutti e' buoni trattamenti se ne pu fidare. bene vero che quando gli uominioltre ad essere privati della libert sono anche male trattati, vengono in disperazione, e chi disperato non aspetta le occasione, ma le cerca, e per liberarsi si mette a ogni pericolo; dove coloroche non hanno altro tormento che el desiderio della libert, non si precipitano ma aspettano leoccasione; le quali quando vengono, non giova al tiranno essersi portato bene ed avere governatodolcemente, ed avere fatto come Clearco; del quale puerile credere che amazzassi gli ottimati per

    satisfare al popolo, perch se fussino stati amici suoi arebbe fatto poco guadagno, ma che avendolisospetti e volendoli opprimere dessi colore di farlo per compiacere al popolo. El remedio aduncheche ha el principe, , o farsi partigiani di qualit che siano potenti a opprimere el popolo, overo colbattere ed annichillare el popolo di sorte che non possa muoversi, introducere nuovi abitatori e diqualit che non abbino a avere causa di desiderare la libert.

    CAPITOLO XXIII

    [Che non si debbe mettere a pericolo tutta la fortuna e non tutte le forze; e per questo, spesso il guardare ipassi dannoso.]

    Io non credo che dalla conclusione che fa el Discorso, ancora che sia verissima, si possa

    riprendere el partito che d'accordo feciono gli albani ed e' romani; perch se bene ognuno di loroaventur tutta la fortuna e non tutte le forze, s'ha a considerare che quello che ciascuno diminu a stolse ancora al compagno, in modo che la perdita ed el guadagno furono pari; e quando e' partitisono equali si possono male riprendere. Se e' romani verbigrazia, con parte delle forze loro avessinocombattuto contro a tutte le forze degli albani, sarebbe stato imprudenzia; ma avendone diminuitealtante agli albani, restorono cos potenti combattendo con parte delle forze loro contro a equaleparte delle forze degli inimici, come se con tutte avessino combattuto contro a tutte. Ed hassi aconsiderare che se bene la consanguinit che si reputava tra l'uno popolo e l'altro, gli condusse adisputare lo imperio con modo s mansueto, per non si distruggere totalmente e perch l'uno nonaspettava mala compagnia dall'altro; pure credibile che la ragione principale fussi el cognoscersipari di forze, in modo che fussi difficile fare giudicio a chi, facendo guerra ordinaria, fussi perinclinare la vittoria. Che se uno di loro avessi cognosciuto avere vantaggio, pare verisimile che nonfussi stato n s buono n s imprudente che avessi accettato quello partito; e presupposta questaequalit, io non veggo che questa deliberazione, non solo tra popoli congiunti, ma etiamtra popoliestranei, si possa biasimare, di volere che sanza tante uccisione e destruzione che fanno le guerre,fare pruova di chi ha a essere el dominio. E se bene pare troppo resoluto el mettersi a s prestosbaraglio, el trsi la facult di potersi rifare, di potere contendere la fortuna, ci el contrapeso che

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    tutte le medesime condizione sono nell'altra parte, in modo che se ti fa pi facile la perdita, ti faanche pi facile la vittoria.

    Quanto al non si opporre allo inimico in su' passi delle Alpe, credo sia cosa che abbiabisogno di buona considerazione e di buono occhio; perch el sito pu essere tale che con ragione sipu sperare tenere el passo, o almanco perderlo con poco danno tuo e con molto danno degliinimici; pu anche essere lo inimico condizionato in modo che el torgli tempo importi assai, e loopporsi al passo de' monti faccia questo effetto, che almanco lo costringa a dimorarvi molti giorni,

    come si legge di Tito Quinzio in Macedonia, e di altri capitani. Ed in ciascuno di questi casi credosia laudabile chi tenti questa difesa, la quale si legge uomini grandi avere fatto in su' monti ed in su'fiumi, ne' quali quasi la medesima ragione; ed a' tempi nostri Consalvo Fernando per mettersi insul passo del Garigliano roppe e' franzesi; ed in Livio, Scipione riprese Antioco che non avessi fattopruova di proibire a' romani el transito dello Ellesponto. Bisogna che el capitano sia perito, econsideri bene el sito e le qualit degli inimici e le forze sue; e certo gli facile a considerare se elluogo di qualit che possa esservi urtato, e se capace di gente grosse a offesa e difesa, perch lemedesime difficult e del non potere molti stare ne' luoghi stretti e del mancamento del vivere, pumilitare a chi tenta passare come a chi tenta proibire. E quando pure passi per altri luoghi, comefeciono e' franzesi nel 1515, sanza danno di chi difende, perch non viene a incontrarsi in loro, ngli toglie le occasione di fare nel piano le medesime difese che arebbe potuto fare prima, comefeciono e' svizzeri, a' quali non questo disfavore che pu poco apresso a uomini militari, non losbigottimento che non muove chi non ha collocato tutta la speranza sua in su' monti, ma altri

    disordini, e disordini tra loro, feciono che non tutti, ma parte, feciono la giornata col re aMarignano; nella quale s'avessino combattuti tutti, forse non erano perdenti.

    Vegga adunche uno capitano, se ha modo da sperare di potere tenere el passo allo inimico,perch sicurissimo partito con parte delle tue forze potere impedire tutte le forze contrarie. Veggase almanco gli importa el fargli perdere tempo, e sperando o l'uno o l'altro come facilmente puaccadere, e credo che in ogni parte si truovino esempli, sar laudato a opporsi a' passi de' monti.Consideri ancora se alla campagna confidi pi nelle forze sue che tema in quelle delli inimici, esecondo queste considerazione si risolva, n tenga conto dello esemplo de' romani allegato nelDiscorso; perch oltre alle altre ragione che gli arebbono forse potuto fare risolvere a non tentarequesta difesa, ci concorse anche la impossibilit, perch non erano signori di quelle Alpe dondepass Annibale, n del piano anche circumiacente per lungo spazio; e sarebbe stato partitoimprudentissimo conducere lo esercito in luogo che avessino avuto a combattere con gli uomini delpaese e con gli inimici, e dove mancassi loro da vivere ed avanzassino tutte le altre difficult. Anziquesto esemplo si pu ritorcere in contrario, perch avendo Annibale nel transito delle Alpericevuto tanto danno per le molestie de' paesani, quanto pi n'arebbe verisimilmente ricevuto, se viavessi anche trovato la resistenzia de' romani!

    Non la ragione che pochi capitani si siano messi a proibire e' passi de' monti, perch nonabbino voluto aventurare parte delle forze con tutta la fortuna, il che non da fuggire quandoconcorrono tanti altri vantaggi che sono per supplire alle forze che mancano, ma perch difficile elfarlo.

    CAPITOLO XXIV

    [Le republiche bene ordinate costituiscono premi e pene a' loro cittadini n compensono mai l'uno conl'altro.]

    Si pu dire forse di Orazio che fu assoluto non tanto per la considerazione de' meriti suoi,quanto perch non paressi errore amazzare una sorella che si lamentava di quello che era causa dellasalute e libert della patria, ed insultava al fratello autore di tanto bene; ed intendendola cos, non maraviglia fussi chiamato in giudicio, perch di necessit l'omicidio aveva bisogno di assoluzione,

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    fatta non da' privati ma dal publico. Nondimeno la verit pare che sia che lo amazzarla fussi delitto,perch se lei aveva fallato, non spettava a' privati ma a' magistrati punirla, e che la memoria de'meriti causassi la assoluzione di Orazio, concorrendo massime che lei pareva glien'avessi datoqualche causa poi che con pianti e querele era andato turbandogli s bella vittoria. Ed in tal casoconcorrendo tutte queste circunstanzie di essere l'omicidio fatto non pesatamente, ma con iraprovocata ed assai giusta da uno giovane irritato nella gratulazione di s bella vittoria, di avereoffeso non altri che el padre e loro medesimi, di essere e' meriti di Orazio s grandi e s freschi,

    sarebbe stato pi reprensibile el popolo romano d'averlo condannato, che non fu d'averlo assoluto.Non perch sia bene fare regola di potere compensare el male col bene, che, come dice el Discorso,saria pernizioso, ma perch dove concorrono tante circunstanzie sia molto conveniente partirsi dallaregola e fare esemplo non a chi vuole indistintamente compensare e' meriti co' peccati, ma a chi ha agiudicare, di poterlo compensare, concorrendo tante cagione quante concorsono nel caso di Orazio.

    CAPITOLO XXV

    [Chi vuole riformare uno stato anticato in una citt libera, ritenga almeno l'ombra de' modi antichi.]

    La conclusione del Discorso pi necessaria a chi non muta spezie di governo, ma loriforma, verbigrazia a chi vuole introdurre nuovi ordini in una citt libera, che a chi muta spezie di

    governo; perch se di uno regno io introduco una libert come feciono e' romani, essendo gi nellaopinione degli uomini che quello vivere non sia buono, non accade conservare s esattamente gliordini antichi. E lo esemplo de' littori e del re sacrificulo non sono di molto momento; perchnell'uno s'ebbe rispetto alla superstizione che potevano avere gli uomini nella religione, nell'altronon sarebbe stato tollerabile che mutando la potest regia come troppa, si armassino e' consuli coninsegne di maggiore potest.

    CAPITOLO XXVI

    [Uno principe nuovo, in una citt o provincia presa da lui, debbe fare ogni cosa nuova.]

    Sono alcune citt o regni e' quali tengono poco conto delle mutazione del principe, n sono

    anche solite a essere governate s legittimamente che non possino comportare uno principe chedomini poco politicamente. In quelle che sono di questa sorte non sono necessari remedi s forti, afondare el principato, e se vi alcuno particulare non contento della mutazione, uno principe savioha molti modi di guadagnarlo, pure che questa displicenzia sia fondata in sul rispetto dello interesseproprio, perch non gli mancano modi a contentare gli uomini collo utile e con l'onore. Ma ladifficult dove la inclinazione del popolo tutta contraria al nuovo governo, come sono le cittsolite a essere libere, quando vengono sotto uno tiranno; come e' regni che sono statilunghissimamente sotto una progenie, che amano communemente quello nome e quella memoria;bench questi si potria sperare di guadagnare co' buoni trattamenti, e' quali al fine potrebbono faredimenticare la memoria de' prncipi passati. Ma a quelli che hanno per inclinazione la libert, non sufficiente remedio el trattarli bene, perch non si pu con alcuna dolcezza eradicare del petto loroquello desiderio di [non] ricognoscere superiore, di governare; e per in simile caso bisogna usarede' rimedi forti, avendo per innanzi agli occhi che quella parte che si pu guadagnare co' benefci,di guadagnarli; perch e' remedi violenti, se da uno canto ti assicurano, dall'altro, massime a unoprincipe che non sia fondato in sulle arme proprie, fanno in mille modi debolezza. Per bisogna cheel principe abbia animo a usare questi estraordinari quando sia necessario, e nondimeno sia sprudente che non pretermetta qualunque occasione se gli presenti di stabilire le cose sue con la

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    umanit e co' benefci, non pigliando cos per regola assoluta quello che dice lo scrittore, al qualesempre piacquono sopra modo e' remedi estraordinari e violenti.

    CAPITOLO XXVIII

    [Per quale cagione i romani furono meno ingrati contro agli loro cittadini che gli ateniesi.]

    Se Roma non avessi mai doppo la cacciata de' re perduta la sua libert, si potria forseapprovare la ragione considerata nel Discorso, dello essere stati pi pronti gli ateniesi a battere e'suoi cittadini che non furono e' romani; ma chi considera che e' dieci occuporono la tirannide e latennono occupata insino che la necessit gli strinse a deporla, dir che da altro fondamento sia nataquesta differenzia, e massime ricordandosi che nel tempo ancora della recuperazione, nel quale peressere pi fresca la memoria delle ingiurie si suole procedere pi atrocemente, Roma contro a' diecie contro agli aderenti loro proced umanissimamente e con somma circunspezione. Per bisognadire che o sia nato dalla natura de' romani, ne' quali non fu quella leggerezza che negli ateniesi,conformi in questo alla propriet degli altri greci; overo, come io credo, che la diversit del governone fussi causa, perch el governo ateniese fu meramente populare, e nelle concione del popolo sitrattavano le guerre, le pace e le altre deliberazione importante; ma in Roma, se bene el popolo ebbela parte sua, vi fu grande la autorit del senato, ed alla plebe fu el contrapeso della potenzia della

    nobilit, e communemente dalla creazione de' magistrati in fuora, e constituzione della nuova legge,le cose grave si trattavano nel senato, e se bene e' tribuni avevano autorit portarle al populo,nondimeno non fu usata se non dove fu o temerit grande, o urgente cagione.

    Donde nacque che in Atene e' cittadini potettono molto pi facilmente con le arte popularefarsi grandi che in Roma, e nel governo meramente populare potettono pi facilmente venire insospetto, e con pi leggerezza e manco considerazione essere oppressi. Ma in Roma fu pimoderata la grandezza de' cittadini, avendo bisogno a continuarvi dentro non solo del favorepopulare, ma etiamdel consenso del senato; e dove minore grandezza de' cittadini, minore causadi sospettare di loro; e dove el governo misto, non n tanta inclinazione, n tanta facilit dibattere e' potenti; e' quali, se bene in Roma potevano essere accusati al populo da uno tribuno,poteva anche un altro tribuno opporsi alla accusazione, e l'arebbe forse fatto vedendola calunniosa.La qualit adunche del governo de' romani, pi grave per sua natura, pi temperato, pi prudenteche quello degli ateniesi, fu causa che e' cittadini ebbono manco aperta la via alla tirannide; ed in

    consequenzia vi fu minore ragione di sospettare di loro, ed anche non vi potette essere tanta facilitdi battere e' potenti.

    CAPITOLO XXIX

    [Quale sia pi ingrato, o uno popolo o uno principe.]

    Se bene la ingratitudine si usa qualche volta per avarizia, qualche volta per sospetto, si usaanche per altra cagione, come per ignoranzia e per malignit, che ha per radice la invidia; econsiderando bene tutte queste origine sua, non credo ne sia pi alieno uno popolo che uno principe,anzi tutto el contrario. Parliamo, come dice lo scrittore, di quella ingratitudine che si usa contro acoloro che si sono maneggiati in faccende publiche, la quale in dua modi: o non gli premiandocome meritano, o offendendogli in cambio del remunerargli; questa pi perniziosa, quella pifrequente, e ne l'una e l'altra chi esaminer diligentemente troverr el popolo non errare manco che'l principe, anzi a giudicio mio pi. E prima, quanto alla avarizia, la quale rarissime volte causaingratitudine in altro che in remunerare, credo che se poco ci pecca el populo, el quale per instintosuo raro e piccolo remuneratore, che anche non molto ci pecchi el principe, perch ha infinite

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    occasione di remunerare gli uomini sanza toccare la borsa sua, e di cose ancora che non ritengono ins ma sono soliti dare agli altri. E sanza dubio, se bene e' prncipi lascino spesso per avarizia o peressere di natura ingrati, che un'altra cagione che si pu aggiugnere alle preallegate, di premiare chiha bene servito, sono anche, a comparazione delle remunerazione de' popoli, infiniti gli esempli de'prncipi che hanno remunerato. N mi si alleghi in questa parte e' magistrati, che el popolo spessod successivamente a' suoi cittadini quando si sono portati bene, perch lo fa pi per opinione osperanza di esserne bene servito, che per gratitudine de' benefci ricevuti.

    Quanto al sospetto, credo che per lo ordinario molto pi leggermente e con minorifondamenti insospettisca uno populo che uno principe, perch usa manco diligenzia ed ha minoremodo di riscontrare una calunnia falsa; e come comincia a insospettire, disonora sanza rispetto dichi ha sospetto, sanza usarci drento arte o circunspezione alcuna; dove uno principe che non sia altutto imprudente va qualche volta simulando, e se si astiene di confidarsi di lui in quelle cose che glipotrebbono fare pericolo, non si guarda dalle [altre], avendo avvertenzia di non lo disperare. E certoinfiniti sono gli esempli e delle republiche e de' prncipi che per sospetto hanno usato ingratitudine;e se [Roma] err in questo manco che le altre republiche, ci err molto pi che non dice el Discorso,come di sotto si dir; n gli esempli di Camillo e di Scipione sono escusabili per quella via.Confesso bene che in questo caso sono pi gagliardi e' morsi de' prncipi, perch pi facilmenteassai vengono al coltello ed alle esecuzione forte, che non fa el popolo.

    Quanto agli altri duoi capi della ignoranzia e della malignit fondata in su la invidia, credoche sanza comparazione el popolo sia pi ingrato, perch e per essere distratti gli uomini a varie

    faccende, e per altre cagione, manco intende, manco distingue e manco cognosce, che non fa unoprincipe; e quanto alla invidia, cade pi facilmente negli uomini popolari, a' quali ogni grandezzapunto eminente o di nobilit o di ricchezze o di virt o di riputazione ordinariamente molesta; ncosa alcuna dispiace loro che vedere altri cittadini che abbino pi qualit di loro, e questi sempredesiderano abbassare. Non interviene cos in uno principe, che non gli accade avere invidia a chi inferiore di lui; e per dove la grandezza degli altri non sia tale che gli generi sospetto, non gli sarmolesta n la batter per questa malignit.

    Restano gli esempli allegati nel Discorso; perch quello che fece Muziano contro AntonioPrimo non esemplo di ingratitudine di uno principe verso el suddito, ma di dua che vivono sottouno principe, de' quali ciascuno cerca tirare a s proprio la riputazione delle cose fatte; ed el nonv'avere provisto Vespasiano non nacque da sospetto che avessi di Antonio Primo, ma daldispiacergli la natura insolente di Antonio, e molto pi dal rispetto grande che aveva a Muziano.Non serve ancora al discorso nostro lo esemplo di Consalvo Ferrante, al quale el re Don Ferrandonon si potette chiamare ingrato, avendolo remunerato in modo che di povero cavaliere aveva statiper trentamila scudi; e se gli tolse el governo del regno, ne fu causa che per molte ragione ebbegiusto sospetto di lui per le differenzie che nella successione del regno potevano nascere tra lui e glieredi del re Filippo; ed inoltre certo che Consalvo governava el regno con tanta autorit, che al renon ne restava altro che el nome regio. In modo che non si chiama ingrato quello principe cheprovede che chi l'ha beneficato non lo possa offendere, e di godersi lui quello che ha acquistato permezzo suo, faccendolo con quello modo che fece el re Don Ferrando; perch Consalvo visse di poisempre in Spagna ricco ed onoratissimo tra gli altri grandi.

    Quanto agli esempli della ingratitudine di Roma, se in quella se ne truova manco chenell'altre republiche, ne causa che ebbe el governo pi ordinato che molte altre, bench anchequella non manca degli esempli suoi; come in Camillo, lo esilio del quale si pu male scusare, comein Fabio Massimo che per avere preso el vero modo di difendere Roma da Annibale, fu con tanta

    ignominia fatto pari al maestro de' cavalieri, come in Cicerone oppressore della coniurazione diCatilina, come in Metello, Publio Rutilio ed in molti altri uomini clari ed innocenti che furono invari tempi condannati o mandati in esilio. E mi maraviglio che el Discorso scusi el caso di Scipione,volendo attribuire al sospetto quello che nacque meramente da invidia e da ignoranzia; perch neltempo suo Roma si reggeva in modo che non aveva da temere di alcuno cittadino, n la grandezzadi Scipione fu spaventosa, non essendo fondata in su stte n sguito di uomini, ma in quella

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    autorit che gli dava nella citt la virt ed e' meriti suoi. La quale non fu mai tale n che fussipadrone delle deliberazioni publiche, n che a modo suo si creassino e' magistrati; in modo che mainon dispiacquono agli uomini savi e' progressi suoi, e se Catone gli fu opposito, nacque o dainimicizia particulare, o da quella inclinazione che lui ebbe sempre contro alla nobilit, non dautilit publica; la santit di chi, non scusa questa ingratitudine, perch e' costumi di Catone furonosanti, per essere pieno di quella antica severit ed austerit, ma non manc gi di nota di ambizioso,di persecutore della nobilit, di lingua immoderata e di acerbit di natura, e lo mostr in questa

    cosa, che morto ancora Scipione e cos cessato ogni colore di potere allegare el sospetto, fu piacerbo contro a Asiatico suo fratello.N voglio pretermettere che quello che dica el Discorso molto alieno dalla verit, che in

    una republica non ancora corrotta sia utile alla libert che el popolo qualche volta offenda chidoverrebbe premiare, e sospetti di chi doverrebbe confidare; perch ogni ingratitudine, ogniingiustizia sempre perniziosa, e la republica debbe essere temperata in modo che sempre e' buonisiano onorati e gli innocenti non spaventati. Confesso bene questo essere minore errore, lo astenersiqualche volta per sospetto di confidare de' buoni, che non el rimettersi in mano de' cattivi; maquesta ragione non fa che el minore male sia bene, quando non s'ha necessit di eleggere o l'uno ol'altro.

    CAPITOLO XXX

    [Quali modi debbe usare uno principe o una republica per fuggire questo vizio della ingratitudine; e qualiquel capitano o quel cittadino per non essere oppresso da quella.]

    Io laudo che uno principe vadia nelle espedizione personalmente, perch procedono conaltra riputazione; ed altrimenti servito da tutti e' suoi che quando le amministra per capitani; ecredo che el ricordo del Discorso sia forse necessario a uno tiranno o a chi non abbia bene fermo lostato suo, ma di poco frutto a uno re grande e naturale. E ne vediamo tuttod lo esemplo de' prncipinostri, e' quali se bene communemente fanno le guerre per capitani, non gli accade per, o rarissimevolte, uno di questi sinistri.

    CAPITOLO XXXII

    [Una republica o uno principe non debbe differire a beneficare gli uomini nelle sue necessitadi.]

    Altro con nuovi benefci nel tempo della necessit cercare di farsi pi amico uno che per loordinario ti sia amico, altro cercare di guadagnarsi uno che totalmente ti sia inimico. Nel primo molto pi facilit, come intervenne a' romani, el secondo difficillimo; e nondimeno nel primoancora sanza comparazione pi utile averlo fatto innanzi al bisogno. Ma nell'uno caso e l'altro nonbiasimo chi stato imprudente a non vi provedere prima, se condotto alla necessit tenta questorimedio, el quale se bene ha poca speranza di giovare, non ha con seco pericolo di nuocere.

    CAPITOLO XXXIX

    [In diversi popoli si veggano spesso i medesimi accidenti.]

    Io non credo che la querela de' fiorentini contro al magistrato de' dieci fussi al tutto sanzaragione; perch secondo gli ordini antichi della citt fatti in diversa spezie di governo, quellomagistrato aveva pi autorit che non comportava una libert bene ordinata, essendo in potest lorofare sanza participazione di altri, pace, guerre, triegue, leghe, soldare capitani chi e quanti e come

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    volevono, spendere tutti e' danari sanza alcuno stanziamento o freno, ed avendo generalmente nellecose appartenenti alla guerra tanta autorit, quanta el popolo fiorentino. Dalla quale autorit troppoassoluta nacquono in buona parte le opinione populare di non volere servire pi quello magistrato;ma avendo mostrato la esperienzia che se bene la troppa autorit era perniziosa, era anchedannosissimo alla citt mancare ne' tempi difficili di uno magistrato di uomini prudenti che vigilassied indirizzassi le cose, cognoscendo con le bastonate quello di che non erano stati capaci con laragione, creorono di nuovo el magistrato de' dieci sopra la guerra, limitandogli la autorit in quelle

    cose che erano giudicate pericolose, alle quali ordinorono bisognassi la participazione degli ottanta.E fu questa deliberazione tale che mai pi poi, eziandio in tempo di pace, si fece difficult di crearequello magistrato, chiamandoli non dieci di bala come prima per la autorit assoluta che avevano,ma dieci di libert e pace.

    Non simile lo esemplo di Terentillo, perch la autorit de' consuli, quando non erano nelleespedizione, non era in parte alcuna assoluta, ma sottoposta alla provocazione al populo, impeditadalla intercessione de' tribuni, ed in tutte le cose gravi pi tosto esecutrice de' pareri del senato chepadrona, e per vi era manco cagione di moderarla, anzi era moto tutto sedizioso ed a fine diintroducere uno governo interamente populare e licenzioso. Donde nacque che ancora che in quellitempi la plebe potessi assai e fussi molto volta a battere e' magistrati patrizi, si difese pi facilmentela autorit consulare come autorit non troppa, ma moderata e conveniente.

    CAPITOLO XL

    [La creazione del decemvirato in Roma, e quello che in essa da notare: dove si considera, intra molte altrecose, come si pu o salvare, per simile accidente, o oppressare una republica.]

    Io mi persuado che el principale errore che facessi Appio ed e' compagni fussi el persuadersidi potere fondare in quelli tempi una tirannide nella citt di Roma, la quale era allora ordinata diottime legge, piena di santissimi costumi ed ardentissima del desiderio della libert, e la quale, peressere el popolo militare, era troppo difficile a violentare; e per dur quella tirannide mentre checon qualche colore, cio dell'avere a finire le legge, potettono allegare che el magistrato lorodurassi; ma come questo inganno fu scoperto, el primo accidente bench piccolo distrusse la lorotirannide, la quale non credo fussi stata pi stabile, se bene si fussino vlti a battere col favore dellaplebe la nobilit, perch quello populo era troppo amicissimo del nome della libert. E si vede lo

    esemplo di Manlio Capitolino, el quale ancora che procedessi contro al senato e con arte meramentepopulare, pure fu oppresso dal popolo medesimo, subito che fu fatto capace che lui cercavaoccupare la libert.

    E quanto alla dottrina generale, quale sia meglio a chi vuole occupare la tirannide, oprocedere col favore del popolo o farsi amica la nobilit, gli esempli si truovano diversi; perch eSilla occup la tirannide a Roma e la stabil con le spalle della nobilit, ed a Firenze el duca d'Atenefu fatto tiranno col favore de' nobili, e' quali per la sua imprudenzia e levit non si seppe mantenere,il che fu causa di farnelo cadere presto. Cos nell'una parte e nell'altra si truovano molti esempli, edanche ciascuna parte ha le sue ragione; perch chi ha el popolo dal suo, ha pi numero di seguaci, epi facilmente comporta el popolo una grandezza che non comportano e' nobili; e nondimeno chi haseco la nobilit ha uno fondamento pi nervoso, pi efficace e pi gagliardo, e che non varia dianimo s facilmente e spesso per cagione leggiere come fa el popolo. Sono partiti che non sipossono pigliare con una regola ferma, ma la conclusione s'ha a cavare dagli umori di quella citt,dallo essere delle cose che si varia secondo la condizione de' tempi, ed altre occorrenzie che girano.

    CAPITOLO XLVII

    [Gli uomini, come che s'ingannino ne' generali, nei particulari non s'ingannono.]

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    Quello che dice el Discorso, che pi facilmente gli uomini si ingannano ne' generali che ne'particulari, si pu dire in uno altro modo, che la esperienzia sganna molte volte gli uomini di quelloche s'hanno immaginato innanzi mettino mano nella piaga; perch non maraviglia che chi nonsapeva e' particulari delle cose, muti sentenzia quando poi gli ha saputi e veduti in viso; ed a questotende lo esemplo de' fiorentini, e' quali non avendo nelle piazze quella notizia, n vedendo quegliavisi che poi vedevano in palazzo, erano facilmente di opinione diversa dalla verit. Si pu anche

    nello esemplo de' romani considerare, che al popolo pareva cosa indegna e vituperosa chegeneralmente tutti fussino incapaci degli onori, e che parendogli avere acquistato assai a conseguiredi potere essere abili al magistrato di potest consulare, restassino in parte sfogati e si astenessinoda eleggere e' non idonei, come quelli che non avessino combattuto per la ambizione particulare diascendere a quello grado, ma solo per levarsi quella infamia che la plebe tutta fussi proibita dallelegge di participare degli onori; e per bene dice Livio: contenta eo quod sui ratio habita esset.L'altra conclusione del Discorso, che manco si inganni el popolo nella distribuzione degli onori ede' magistrati che nell'altre cose, credo sia vera, e la ragione in pronto, perch materia che pifacilmente si cognosce; ed in questo caso el giudicio del popolo fondato non in sulla notizia cheabbia per s stesso del valore di uno cittadino, ma in su quella opinione universale che nasce dallalunghezza del tempo e dalla esperienzia che n'hanno avuto questo e quello particulare. Non accettogi che in questo el popolo non si inganni, o almanco pi rare volte che non fanno e' pochi, perchel popolo si governa in questo giudicio non con la notizia particulare, ma con le opinione

    universale, n esamina o distingue sottilmente, in modo che si inganna spesso, massime in quelleelezione delle quali pochi sono capaci; crede a' romori falsi, muovesi per fondamenti leggieri, ed ineffetto quanto alla ignoranzia molto pi pericoloso che el giudicio di pochi.

    CAPITOLO XLIX

    [Se quelle cittadi che hanno avuto il principio libero, come Roma, hanno difficult a trovare legge che lemantenghino: quelle che lo hanno immediate servo, ne hanno quasi una impossibilit.]

    E questo Discorso e molti altri mostrano quello che io, contro alla opinione dello scrittore,ho detto in altro luogo, che posposta la disciplina militare, el governo romano era in molte partedefettivo; perch, che pi assurda cosa che fussi in potest di uno uomo solo fermare le azione

    publiche, o non lasciare che una deliberazione della citt abbia effetto, come feciono quelli consuli?A' quali se bene vi fu el freno del tribuno, nondimanco al tribuno, quando voleva fare similedisordine, non vi era rimedio alcuno. Fu anche errore che in potest de' dua censori fussi privare delsenato per s buona opera Mamerco Emilio cittadino onoratissimo e tanto benemerito dellarepublica; anzi era in potest di uno solo. N credo che lui vi avessi altro rimedio, che o una leggedel popolo che fussi restituito al senato, la quale non si legge che fussi fatta, o che e' sequenticensori quando legevano el senato, lo restituissino; il che anche non sono certo potessino farebench lo credo.

    CAPITOLO LVIII

    [La moltitudine pi savia e pi costante che uno principe.]

    Difficile impresa e molto aliena dalla opinione degli uomini piglia, sanza dubio, chiattribuisce al popolo la constanzia e la prudenzia, e chi in queste due qualit lo antepone a' prncipi;e' quali quando sono regolati dalle legge, nessuno che ha scritto delle cose politiche dubit mai cheel governo di uno non fussi migliore che quello di una moltitudine eziandio regolata dalle legge,alla quale preposto non solo el governo di uno principe, ma ancora quello degli ottimati. Perch

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    dove minore numero la virt pi unita e pi abile a produrre gli effetti suoi; vi pi ordine nellecose, pi pensiero ed esamine ne' negocii, pi resoluzione; ma dove moltitudine quivi confusione, ed in tanta dissonanzia di cervelli, dove sono vari giudci, vari pensieri, vari fini, nonpu essere n discorso ragionevole, n resoluzione fondata, n azione ferma. Muovonsi gli uominileggermente per ogni vano sospetto, per ogni vano romore; non discernono, non distinguono, e conla medesima leggerezza tornano alle deliberazione che avevano prima dannate, a odiare quello cheamavano, a amare quello che odiavano; per non sanza cagione assomigliata la moltitudine alle

    onde del mare, le quale secondo e' venti che tirano vanno ora in qua ora in l sanza alcuna regola,sanza alcuna fermezza. In somma e' non si pu negare che uno popolo per s medesimo non sia unaarca di ignoranzia e di confusione; per e' governi meramente populari sono stati in ogni luogo pocodurabili, ed oltre a infiniti tumulti e disordini, di che mentre hanno durato sono stati pieni, hannopartorito o tirannide o ultima ruina della loro citt.

    Gli esempli sono tanti e s noti che non accade replicargli, e tali che meritamente hannopartorito quella opinione antichissima e commune di tutti gli scrittori, che nella moltitudine non sian prudenzia n constanzia. Alla quale non repugnano, chi bene considera, n le ragione n gliesempli allegati per lo autore del Discorso; perch in quanto lui allega che in uno popolo regolatodalla legge non manco virt o prudenzia che in uno principe regolato dalle legge, ed adduce peresemplo el popolo romano, io dico principalmente che n la ragione n lo esemplo suo fa aproposito del caso, perch altro considerare una moltitudine che per s stessa deliberi, altro unogoverno populare ordinato in modo che le deliberazione grave ed importante abbino a essere fatte

    da' pi prudenti. Nel primo caso sar spesso variet, ignoranzia e confusione, e sia la moltitudineregolata dalle legge quanto vuole; nel secondo caso se le cose si deliberano prudentemente estabilmente, non procede perch nella moltitudine non siano quelli difetti, ma perch non sono inquelli pi prudenti. Tale fu el popolo romano, nel quale le cose pi importanti si deliberavano dalsenato, da' consuli e da' principali magistrati, e nel quale se la moltitudine avessi avuto a deliberare,ancora che fussi regolata da buone legge, piena di costumi santi ed amantissimi della sua libert,sarebbe nelle sue deliberazione apparita molte volte, con danno gravissimo della sua republica,quella imprudenzia e variet che nelle altre moltitudine riprendono gli scrittori.

    Di poi quando bene noi chiamassimo le deliberazione de' romani deliberazione dellamoltitudine, piglisi al rincontro uno principe che sia tra gli altri prncipi in quello grado di virt chefu el popolo romano tra gli altri popoli: credo sanza dubio proceder in tutte le sue cose conmaggiore prudenzia e con maggiore constanzia che non procedeva el popolo romano; perch per leragione dette di sopra, dove e' termini siano pari, pi ordine, pi distinzione, pi resoluzione, pifermezza in uno che in molti. E pel contrario se si piglia uno popolo sciolto dalle legge ed unoprincipe libero e sciolto, quali sono quasi tutti, e quegli di Francia ancora, che lo autore chiamalegati, in potest de' quali nel regno suo fare ci che vogliono, dico che in uno principe si potrtrovare forse pi altri vizi che in uno populo, e pi prontezza a esequirli che non ha uno popolo, e'quali quando lo autore discorre si parte da' termini della sua quistione, ma communemente sitroverr pi prudenzia e pi constanzia, che proprio el titolo dell'autore, che non si troverr in unamoltitudine, nella quale, quando sia sciolta, non si vedr mai se non imprudenzia ed inconstanzia,appetito di cose nuove, sospetto immoderato, invidia infinita contro a tutti quelli che hanno faculto qualit. E se bene de' prncipi se ne truova imprudentissimi, e la imprudenzia loro quando inquella ultima spezie, forse pi perniziosa che quella della moltitudine, dico che pigliandoverbigrazia dugento anni di uno regno, si troverr de' re prudenti ed imprudenti; ma pigliandodugento anni di una moltitudine si troverr una continuazione di imprudenzia e di variet.

    N sono a proposito gli esempli per e' quali si mostra che in uno principe sono molti pidifetti che in uno populo, perch lo assunto non disputare degli altri vizi, ma solo se ne' popoli pi imprudenzia ed inconstanzia che ne' prncipi. Cos impertinente el dire che pi augumento fauna citt sotto uno governo populare che sotto uno principe, perch nasce da altre cagione; ma se tumi dessi cinquanta anni di uno governo populare buono ed altanti di uno principe parimente buono,non dubito che maggiore augumento farebbe sotto uno principe. Ma non essere poi sempre e'

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    successori simili, fa che lo augumento del governo populare va pi continuando che quello di unoprincipato; e pu molto bene stare insieme, che sia migliore fortuna di una citt a cadere in governopopulare che sotto e' prncipi, la quale considerazione fuora della disputa nostra, e nondimeno cheordinariamente sia pi imprudenzia e pi inconstanzia in uno populo che in uno principe.

    CAPITOLO LX

    [Come il consolato e qualunque altro magistrato in Roma si dava sanza rispetto di et.]

    Non si ricorda el Discorso, che Scipione Africano minore non potette essere fatto consule seper legge particulare non gli fu prima levato el divieto della et; non che Cicerone nel . . . . . dice,che a chi di et di trentatr anni manca el tempo di dieci anni a essere consule; e se in ValerioCorvino fu altrimenti, bisogna dire, e cos con verit, che altri furono gli ordini nel principio dellarepublica, altri nacquono in progresso di tempo. Come ancora fu del tempo de' magistrati, perchne' princpi non vi era proibizione che non si potessi continuare el consulato, ed almanco chi eraconsule ora, poteva fra poco tempo essere di nuovo eletto consule; ma di poi fu fatta una legge chetra l'uno consulato e l'altro dovessi essere almanco intervallo di dieci anni. Le quali due legge, ciodel divieto della et e del tempo, se sono utile alle republiche o no, si tratter in altro luogo, perchin questo non nostra considerazione non essendo trattate nel Discorso.

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    LIBRO SECONDO

    NEL PROEMIO DEL SECONDO LIBRO

    La conclusione verissima, che spesso e' tempi antichi sono laudati pi che el debito, e le

    ragione sono bene considerate dallo scrittore; alle quali se ne potrebbe aggiugnere qualcun'altra male pretermetto. Non concordo gi seco in quello che dice, che sempre nel mondo fu tanto del buonoin una et quanto in una altra, bench si variino e' luoghi; perch si vede essere verissimo che, o perinflusso de' cieli o per altra occulta disposizione, corrono talvolta certe et nelle quali non solo inuna provincia, ma universalmente in tutto el mondo pi virt o pi vizio che non stato in unaaltra et, o almanco fiorisce pi una arte o una disciplina che non fiorita in qualunque parte delmondo in altro tempo. E per cominciare a quelle meccaniche di che fa menzione lo scrittore, chinon sa in quanta eccellenzia fussino a tempo de' greci e poi de' romani la pittura e la scultura, equanto di poi restassino oscure in tutto el mondo, e come doppo essere state sepolte molti secolisiano da centocinquanta o dugento anni in qua ritornate in luce? Chi non sa quanto a' tempi antichifior non solo apresso a' romani, ma in molte provincie la disciplina militare, della quale e' tempinostri e quelli de' nostri padri ed avoli non hanno veduto in qualunque parte del mondo se nonpiccoli ed oscuri vestigi? El medesimo si pu dire delle lettere, della religione, che sanza dubio in

    alcune et sono state sepolte per tutto, in altre sono state in molti luoghi eccellente ed in sommoprezzo. Ha visto qualche et el mondo pieno di guerre, un'altra ha sentito e goduto la pace; dallequali variazione delle arte, della religione, de' movimenti delle cose umane, non maraviglia sianoanche variati e' costumi degli uomini, e' quali spesso pigliano el moto suo dalla instituzione, dalleoccasione, dalla necessit. adunche vera conclusione che non sempre e' tempi antichi sono daessere preferiti a' presenti, ma non gi vero el negare che una et sia qualche volta pi corrotta opi virtuosa che l'altre.

    CAPITOLO X

    [I danari non sono il nervo della guerra, secondo che la comune opinione.]

    Chi fu autore di quella sentenzia che e' danari siano el nervo della guerra, e chi l'ha poiseguitata, non intese che e' danari soli bastassino a fare la guerra, n che e' fussino pi necessari chee' soldati, perch sarebbe stata opinione non solo falsa, ma ancora molto ridicula; ma intese che chifaceva guerra aveva bisogno grandissimo di danari, e che sanza quelli era impossibile a sostenerla,perch non solo sono necessari per pagare e' soldati, ma per provedere le arme, le vettovaglie, lespie, le munizione e tanti instrumenti che si adoperano nella guerra; e' quali ne ricercano tantoprofluvio, che a chi non l'ha provato impossibile a immaginarlo. E