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Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

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Page 1: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

Guida ai temi dell’Ecomuseodella DorsaleAppenninica Umbra

Page 2: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

L'Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra è concepito con l'intento di valorizzare i contesti culturali e ambientali di quest'area montana della regione Umbria attraverso la creazione di un “museo diffuso”, articolato in centri di accoglienza, dedicati alle “parole chiave” che descrivono la zona (Devozione; Ciarlatano; Farro; Norcino; Cardinale; Litotomi; Canapa; Tartufo; Raspa; Olio d'oliva, Opifici idraulici; Blasoni popolari;) e in percorsi tematici, che ricalcano antichi itinerari storici.Centri e percorsi, dedicati ad elementi ed aspetti peculiari della zona, vengono proposti dalla comunità al pubblico come “luoghi della memoria” per fornire i “codici di accesso” al territorio, promuovendone e favorendone la conoscenza attraverso una lettura integrata e attiva dei diversi aspetti ambientali, artistici, produttivi e sociali, che compongono in tal modo l'inestricabile intreccio fra natura e cultura. L'Ecomuseo si propone in questo modo di creare le condizioni per l'esercizio di attività e di antichi mestieri con strutture, attrezzature e modalità tradizionali, al fine non solo di conservare un ricco patrimonio di materiali e manufatti nei contesti culturali ed ambientali in cui sono stati prodotti ed utilizzati fino ai nostri giorni, ma soprattutto di recuperare saperi e tecniche operative ancora presenti nelle comunità locali, quale prezioso patrimonio di competenze da salvaguardare, e che incontrano ora un crescente interesse in visitatori, sempre più attenti alle culture dei luoghi.L'Ecomuseo, diviene quindi incontro con i luoghi reali ed accesso alle conoscenze disponibili sul territorio e costituisce anche l'opportunità di partecipazione ad attività ed esperienze che aprono ai visitatori l'inedita dimensione del fare e dell'interagire rispetto a quella più usuale del solo osservare e del visitare.L'Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra intende anche promuovere un “turismo della conoscenza”, che valorizzi i caratteri dei luoghi percorrendo “le vie dei saperi”, rispetto al “turismo dell'evasione” che, oltre al deleterio carattere abrasivo che lo connota, s i fonda sul la riproposizione di stereotipi e sull'omologazione dell'offerta.

L’ECOMUSEO

La struttura concettuale, la pratica ed il lessico inerenti all'ecomuseo sono creazione di intellettuali francesi degli anni '70 del secolo passato. Soprattutto due meritano di essere citati: Hugues de Varine, il teorico che coniò il nome di “ecomuseo”, e George Henri Rivière, infaticabile promotore ed artefice di ecomusei.A quest'ultimo si deve anche la definizione che è stata ripresa da tutte le istituzioni che hanno operato in questa materia: “l’ecomuseo è uno specchio in cui la popolazione si osserva per riconoscersi, in cui cerca non solo la chiave di comprensione del territorio nel quale vive, ma anche quella delle popolazioni che l’hanno preceduta nello scorrere continuo o discontinuo delle generazioni. Uno specchio che questa popolazione offre ai suoi ospiti per farsi meglio capire nel rispetto del proprio lavoro, dei comportamenti, dell’intimità”.La ricerca dei valori identitari di una popolazione che vuole custodire, valorizzare e sviluppare il proprio territorio è alla base della costruzione di ogni ecomuseo e quindi il prefisso “eco” sta per “propria casa” e non ad indicare un approccio di tipo ambientalista.Altri elementi costitutivi di un ecomuseo sono poi la concezione del tempo e dello spazio: il tempo come dinamica relazione tra passato e presente, per conseguire quella consapevolezza che è alla base dello sviluppo culturale, sociale ed economico; lo spazio come paesaggio, palinsesto della storia, del lavoro e di tutte quelle vicende umane che lasciano segni sul territorio.L'Ecomuseo si dispone come una trama culturale che unisce vari elementi: natura, cultura, tradizione, storia, architettura, religione, economia, lingua, enogastronomia.L'Ecomuseo attua una circolarità del sapere, da chi sa a chi vuol imparare; in questa ottica fondamentale è l'azione laboratoriale intesa come percorso di ricomposizione e rielaborazione della memoria, come momento di trasmissione di saperi e di tecniche tradizionali, legate alle attività artigianali e alla cultura materiale del passato: base per una nuova economia di territori marginali e per una innovazione eco-sostenibile.

L’ECOMUSEO DELLA DORSALEAPPENNINICA UMBRA

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3In copertina: particolare del tessuto di un paramento sacro fatto realizzare dal cardinal Fausto Poli, conservato nella chiesa di san Salvatore di Usigni di Poggiodomo

MUSEO

DIFFERENZE CONCETTUALITRA MUSEO E ECOMUSEO

COLLEZIONEIMMOBILEPUBBLICO

ECOMUSEO

PATRIMONIOTERRITORIO

POPOLAZIONE(COMUNITA’)

L’Ecomuseo è il patrimonio culturaledi una Comunità al servizio dello sviluppo

locale e sostenibile.

Page 3: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

L'Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra è concepito con l'intento di valorizzare i contesti culturali e ambientali di quest'area montana della regione Umbria attraverso la creazione di un “museo diffuso”, articolato in centri di accoglienza, dedicati alle “parole chiave” che descrivono la zona (Devozione; Ciarlatano; Farro; Norcino; Cardinale; Litotomi; Canapa; Tartufo; Raspa; Olio d'oliva, Opifici idraulici; Blasoni popolari;) e in percorsi tematici, che ricalcano antichi itinerari storici.Centri e percorsi, dedicati ad elementi ed aspetti peculiari della zona, vengono proposti dalla comunità al pubblico come “luoghi della memoria” per fornire i “codici di accesso” al territorio, promuovendone e favorendone la conoscenza attraverso una lettura integrata e attiva dei diversi aspetti ambientali, artistici, produttivi e sociali, che compongono in tal modo l'inestricabile intreccio fra natura e cultura. L'Ecomuseo si propone in questo modo di creare le condizioni per l'esercizio di attività e di antichi mestieri con strutture, attrezzature e modalità tradizionali, al fine non solo di conservare un ricco patrimonio di materiali e manufatti nei contesti culturali ed ambientali in cui sono stati prodotti ed utilizzati fino ai nostri giorni, ma soprattutto di recuperare saperi e tecniche operative ancora presenti nelle comunità locali, quale prezioso patrimonio di competenze da salvaguardare, e che incontrano ora un crescente interesse in visitatori, sempre più attenti alle culture dei luoghi.L'Ecomuseo, diviene quindi incontro con i luoghi reali ed accesso alle conoscenze disponibili sul territorio e costituisce anche l'opportunità di partecipazione ad attività ed esperienze che aprono ai visitatori l'inedita dimensione del fare e dell'interagire rispetto a quella più usuale del solo osservare e del visitare.L'Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra intende anche promuovere un “turismo della conoscenza”, che valorizzi i caratteri dei luoghi percorrendo “le vie dei saperi”, rispetto al “turismo dell'evasione” che, oltre al deleterio carattere abrasivo che lo connota, s i fonda sul la riproposizione di stereotipi e sull'omologazione dell'offerta.

L’ECOMUSEO

La struttura concettuale, la pratica ed il lessico inerenti all'ecomuseo sono creazione di intellettuali francesi degli anni '70 del secolo passato. Soprattutto due meritano di essere citati: Hugues de Varine, il teorico che coniò il nome di “ecomuseo”, e George Henri Rivière, infaticabile promotore ed artefice di ecomusei.A quest'ultimo si deve anche la definizione che è stata ripresa da tutte le istituzioni che hanno operato in questa materia: “l’ecomuseo è uno specchio in cui la popolazione si osserva per riconoscersi, in cui cerca non solo la chiave di comprensione del territorio nel quale vive, ma anche quella delle popolazioni che l’hanno preceduta nello scorrere continuo o discontinuo delle generazioni. Uno specchio che questa popolazione offre ai suoi ospiti per farsi meglio capire nel rispetto del proprio lavoro, dei comportamenti, dell’intimità”.La ricerca dei valori identitari di una popolazione che vuole custodire, valorizzare e sviluppare il proprio territorio è alla base della costruzione di ogni ecomuseo e quindi il prefisso “eco” sta per “propria casa” e non ad indicare un approccio di tipo ambientalista.Altri elementi costitutivi di un ecomuseo sono poi la concezione del tempo e dello spazio: il tempo come dinamica relazione tra passato e presente, per conseguire quella consapevolezza che è alla base dello sviluppo culturale, sociale ed economico; lo spazio come paesaggio, palinsesto della storia, del lavoro e di tutte quelle vicende umane che lasciano segni sul territorio.L'Ecomuseo si dispone come una trama culturale che unisce vari elementi: natura, cultura, tradizione, storia, architettura, religione, economia, lingua, enogastronomia.L'Ecomuseo attua una circolarità del sapere, da chi sa a chi vuol imparare; in questa ottica fondamentale è l'azione laboratoriale intesa come percorso di ricomposizione e rielaborazione della memoria, come momento di trasmissione di saperi e di tecniche tradizionali, legate alle attività artigianali e alla cultura materiale del passato: base per una nuova economia di territori marginali e per una innovazione eco-sostenibile.

L’ECOMUSEO DELLA DORSALEAPPENNINICA UMBRA

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3In copertina: particolare del tessuto di un paramento sacro fatto realizzare dal cardinal Fausto Poli, conservato nella chiesa di san Salvatore di Usigni di Poggiodomo

MUSEO

DIFFERENZE CONCETTUALITRA MUSEO E ECOMUSEO

COLLEZIONEIMMOBILEPUBBLICO

ECOMUSEO

PATRIMONIOTERRITORIO

POPOLAZIONE(COMUNITA’)

L’Ecomuseo è il patrimonio culturaledi una Comunità al servizio dello sviluppo

locale e sostenibile.

Page 4: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

II Monastero di san Giacomo fu costruito all'estremità meridionale dell'abitato di Cerreto di Spoleto in prossimità dell'accesso al paese dalla via Cerretana, ancora oggi percorribile, che risaliva il colle da Borgo Cerreto. Le origini del Monastero delle Monache Benedettine di san Giacomo di Cerreto di Spoleto non sono documentate, ma la tradizione vuole che esso sia stato eretto contestualmente al paese, intorno al IX secolo.Sin dalle origini del paese, operò nel luogo anche un ospedale, ritenuto uno dei più antichi della Valnerina, che avendo lo stesso titolo di san Giacomo, quasi sicuramente era unito al Monastero.Nel 1783 il Monastero benedettino, dopo secoli dì intensa attività, venne soppresso e al suo posto si costituì il Conservatorio delle Zitelle per volontà testamentaria dell'organaro cerretano Armodio Maccioni. Per questo motivo il Monastero fu ridenominato Conservatorio, termine con il quale ancora oggi la popolazione dì Cerreto indica il Complesso di san Giacomo.Dal sec. XVIII in poi il complesso ha sempre assolto a funzioni pubbliche che non ne hanno, nella sostanza, compromesso l'aspetto architettonico e le importanti testimonianze storico artistiche presenti in quasi tutto l'edificio. .

IL CEDRAV

Agli inizi degli anni '80, all'indomani del catastrofico terremoto del 1979 che colpì i paesi della Valnerina, fu avvertita da tutti gli organi istituzionali la necessità di dotarsi di un centro di ricerca, avendo sperimentato quanto fosse ancor più difficoltoso il periodo dell'emergenza e le fasi di ripresa senza l'ausilio di documentazioni e di ricerche territoriali. Nel 1986 si costituì per volontà delle istituzioni locali della Valnerina il "Centro di documentazione e ricerca sulle condizioni di vita, il lavoro e le espressioni culturali delle classi popolari in Valnerina", con sede a Cerreto di Spoleto, il quale fu poi riconosciuto con legge regionale n. 24 del 1 aprile 1990 con la definizione di “Centro per la Documentazione la Ricerca Antropologica in Valnerina e nella dorsale appenninica umbra”.II CEDRAV ha iniziato concretamente ad operare nel 1992 con l'approvazione del proprio Statuto da parte del Consiglio Regionale, avvalendosi di personale assegnato dalla Regione dell'Umbria.Le finalità del CEDRAV, in armonia con gli indirizzi della programmazione regionale, sono quelle di: produrre pubblicazioni scientifiche, organizzare archivi cartacei, sonori, fotografici, audiovisuali e oggettuali, dotarsi di una biblioteca specializzata, di strutture espositive per mostre temporanee e permanenti, di sale per convegni e per attività dimostrative e didattiche, allestire esposizioni, organizzare convegni, incontri scientifici e corsi di formazione professionale, stabilire rapporti di collaborazione con altre istituzioni, promuovere iniziative per scuole e associazioni, svolgere funzioni di consulenza scientifica, erogare e gestire servizi.Il CEDRAV è attualmente molto impegnato nella realizzazione dell'Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra, concepito come un "museo diffuso" articolato in centri di visita e percorsi tematici, e dell'Atlante del patrimonio naturale e culturale della Valnerina, che costituisce il supporto informatico dell'Ecomuseo.

LA SEDE DEL CEDRAV

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RS

AL

E A

PP

EN

NIN

ICA

UM

BR

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LA GUIDA

Il presente libretto, come da titolo, non è propriamente una guida dell’ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra, in quanto il progetto è solo in parte avviato ed attuato. Solo alcuni centri di visita sono strutturati ed attivi. Questo breve manualetto tratta i temi dell'Ecomuseo, individuati dopo un lungo periodo di ricerca e di affinamento, in contatto diretto con le popolazioni residenti, con le amministrazioni locali, con la Regione dell'Umbria, con le due provincie di Terni e di Perugia.Dodici parole chiave, esplicitate dai sottotitoli, per comprendere la variegata realtà della vita delle popolazioni della montagna appenninica e per prospettarne possibili situazioni di sviluppo del tipo eco-sostenibile, tanto per utilizzare un termine molto spesso abusato.Lo scopo primario è quindi quello di dare consapevolezza alle popolazioni residenti di non essere isolate, ma di essere ciascuna al centro di relazioni, il cui equilibrio è dato dalla presenza solidale di un territorio che, con ben altre difficoltà incontrate nel corso dei secoli, ha saputo resistere allo spopolamento. I temi in questo senso non sono esaustivi del luogo ove è collocata o prevista l'”antenna”, ma sono trasversali e riguardano tutte le comunità: ogni tema è sussidiario a tutti gli altri.In questo senso, per le postazioni si è scelto il termine di antenna, mutuandolo dal lessico ecomuseale francese, proprio perché concettualmente l'antenna è uno strumento in grado di inviare messaggi e di riceverne al contempo.Ad ogni antenna sono dedicate quattro pagine: la prima per definire il tema; la seconda per contestualizzare il luogo fisico ove si trova l'antenna e dove sono previste le attività laboratoriali; la terza per celebrare il luogo che ospita l'antenna presentandone una eccellenza; la quarta per dare conto di una espressione, a nostro avviso, di eccellenza del tema.La disposizione è quella di un circuito che partendo idealmente dalla antica stazione, ormai dismessa, della linea ferroviaria Spoleto-Norcia, conduce fino a Foligno. Alla partenza ed all'arrivo ci sono così le due grandi città di pianura di riferimento dei paesi montani di questo tratto di Dorsale Appenninica Umbra.Al di là dei trionfalismi e della retorica del linguaggio turistico si è voluto cercare di dare la sensazione ai lettori di stare dentro a ciascun tema.

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Antenna di Spoleto...............................pag. 6

Antenna di Scheggino.........................pag. 10

Antenna di Sant’Anatolia di Narco.......pag. 14

Antenna di Vallo di Nera......................pag. 18

Antenna di Poggiodomo.....................pag. 22

Antenna di Monteleone di Spoleto......pag. 26

Antenna di Cascia...............................pag. 30

Antenna di Norcia...............................pag. 34

Antenna di Preci.................................pag. 38

Antenna di Cerreto di Spoleto.............pag. 42

Antenna di Sellano.............................pag. 46

Antenna di Foligno.............................pag. 48

INDICE

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II Monastero di san Giacomo fu costruito all'estremità meridionale dell'abitato di Cerreto di Spoleto in prossimità dell'accesso al paese dalla via Cerretana, ancora oggi percorribile, che risaliva il colle da Borgo Cerreto. Le origini del Monastero delle Monache Benedettine di san Giacomo di Cerreto di Spoleto non sono documentate, ma la tradizione vuole che esso sia stato eretto contestualmente al paese, intorno al IX secolo.Sin dalle origini del paese, operò nel luogo anche un ospedale, ritenuto uno dei più antichi della Valnerina, che avendo lo stesso titolo di san Giacomo, quasi sicuramente era unito al Monastero.Nel 1783 il Monastero benedettino, dopo secoli dì intensa attività, venne soppresso e al suo posto si costituì il Conservatorio delle Zitelle per volontà testamentaria dell'organaro cerretano Armodio Maccioni. Per questo motivo il Monastero fu ridenominato Conservatorio, termine con il quale ancora oggi la popolazione dì Cerreto indica il Complesso di san Giacomo.Dal sec. XVIII in poi il complesso ha sempre assolto a funzioni pubbliche che non ne hanno, nella sostanza, compromesso l'aspetto architettonico e le importanti testimonianze storico artistiche presenti in quasi tutto l'edificio. .

IL CEDRAV

Agli inizi degli anni '80, all'indomani del catastrofico terremoto del 1979 che colpì i paesi della Valnerina, fu avvertita da tutti gli organi istituzionali la necessità di dotarsi di un centro di ricerca, avendo sperimentato quanto fosse ancor più difficoltoso il periodo dell'emergenza e le fasi di ripresa senza l'ausilio di documentazioni e di ricerche territoriali. Nel 1986 si costituì per volontà delle istituzioni locali della Valnerina il "Centro di documentazione e ricerca sulle condizioni di vita, il lavoro e le espressioni culturali delle classi popolari in Valnerina", con sede a Cerreto di Spoleto, il quale fu poi riconosciuto con legge regionale n. 24 del 1 aprile 1990 con la definizione di “Centro per la Documentazione la Ricerca Antropologica in Valnerina e nella dorsale appenninica umbra”.II CEDRAV ha iniziato concretamente ad operare nel 1992 con l'approvazione del proprio Statuto da parte del Consiglio Regionale, avvalendosi di personale assegnato dalla Regione dell'Umbria.Le finalità del CEDRAV, in armonia con gli indirizzi della programmazione regionale, sono quelle di: produrre pubblicazioni scientifiche, organizzare archivi cartacei, sonori, fotografici, audiovisuali e oggettuali, dotarsi di una biblioteca specializzata, di strutture espositive per mostre temporanee e permanenti, di sale per convegni e per attività dimostrative e didattiche, allestire esposizioni, organizzare convegni, incontri scientifici e corsi di formazione professionale, stabilire rapporti di collaborazione con altre istituzioni, promuovere iniziative per scuole e associazioni, svolgere funzioni di consulenza scientifica, erogare e gestire servizi.Il CEDRAV è attualmente molto impegnato nella realizzazione dell'Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra, concepito come un "museo diffuso" articolato in centri di visita e percorsi tematici, e dell'Atlante del patrimonio naturale e culturale della Valnerina, che costituisce il supporto informatico dell'Ecomuseo.

LA SEDE DEL CEDRAV

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LA GUIDA

Il presente libretto, come da titolo, non è propriamente una guida dell’ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra, in quanto il progetto è solo in parte avviato ed attuato. Solo alcuni centri di visita sono strutturati ed attivi. Questo breve manualetto tratta i temi dell'Ecomuseo, individuati dopo un lungo periodo di ricerca e di affinamento, in contatto diretto con le popolazioni residenti, con le amministrazioni locali, con la Regione dell'Umbria, con le due provincie di Terni e di Perugia.Dodici parole chiave, esplicitate dai sottotitoli, per comprendere la variegata realtà della vita delle popolazioni della montagna appenninica e per prospettarne possibili situazioni di sviluppo del tipo eco-sostenibile, tanto per utilizzare un termine molto spesso abusato.Lo scopo primario è quindi quello di dare consapevolezza alle popolazioni residenti di non essere isolate, ma di essere ciascuna al centro di relazioni, il cui equilibrio è dato dalla presenza solidale di un territorio che, con ben altre difficoltà incontrate nel corso dei secoli, ha saputo resistere allo spopolamento. I temi in questo senso non sono esaustivi del luogo ove è collocata o prevista l'”antenna”, ma sono trasversali e riguardano tutte le comunità: ogni tema è sussidiario a tutti gli altri.In questo senso, per le postazioni si è scelto il termine di antenna, mutuandolo dal lessico ecomuseale francese, proprio perché concettualmente l'antenna è uno strumento in grado di inviare messaggi e di riceverne al contempo.Ad ogni antenna sono dedicate quattro pagine: la prima per definire il tema; la seconda per contestualizzare il luogo fisico ove si trova l'antenna e dove sono previste le attività laboratoriali; la terza per celebrare il luogo che ospita l'antenna presentandone una eccellenza; la quarta per dare conto di una espressione, a nostro avviso, di eccellenza del tema.La disposizione è quella di un circuito che partendo idealmente dalla antica stazione, ormai dismessa, della linea ferroviaria Spoleto-Norcia, conduce fino a Foligno. Alla partenza ed all'arrivo ci sono così le due grandi città di pianura di riferimento dei paesi montani di questo tratto di Dorsale Appenninica Umbra.Al di là dei trionfalismi e della retorica del linguaggio turistico si è voluto cercare di dare la sensazione ai lettori di stare dentro a ciascun tema.

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Antenna di Spoleto...............................pag. 6

Antenna di Scheggino.........................pag. 10

Antenna di Sant’Anatolia di Narco.......pag. 14

Antenna di Vallo di Nera......................pag. 18

Antenna di Poggiodomo.....................pag. 22

Antenna di Monteleone di Spoleto......pag. 26

Antenna di Cascia...............................pag. 30

Antenna di Norcia...............................pag. 34

Antenna di Preci.................................pag. 38

Antenna di Cerreto di Spoleto.............pag. 42

Antenna di Sellano.............................pag. 46

Antenna di Foligno.............................pag. 48

INDICE

Page 6: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

ANTENNA DI

L'olio di oliva rappresenta uno dei principali prodotti agro-alimentari dell'Umbria e particolarmente incisiva nel paesaggio agrario umbro è la coltivazione degli ulivi. Tale coltivazione diventa specifica in aree collinari e nelle zone pedemontane, dove i terreni calcarei, ad elevata permeabilità, lasciano penetrare agevolmente le radici dell'ulivo e non creano ristagni.Il panorama nel complesso è insolito, una coltura specificamente mediterranea nell'unica regione peninsulare che non ha accessi al mare; tale stranezza non è passata inosservata ai viaggiatori del Gran Tour sette-ottocentesco che descrivono il paesaggio umbro.Nelle descrizioni, o meglio nelle rappresentazioni pittoriche, vengono messe in evidenza le sistemazioni degli uliveti disposti a terrazze, lunette e ciglioni costruiti con muratura a secco. Il grande credito di cui gode la dieta mediterranea ha favorito il successo dell'olio umbro anche grazie alla capacità dei numerosi imprenditori oleari locali che sapientemente hanno recuperato il patrimonio olivicolo presente, mantenendo specie e tecniche di coltivazione tradizionali.L'Umbria è collocata nella cosiddetta sottozona fredda, dove le condizioni climatiche comportano rischi di gelate per gran parte delle varietà di ulivi. Per questo motivo poche sono le specie coltivate in Umbria.In particolare il leccino, il moraiolo e il frantoio si sono ben acclimatati e, grazie ad una lenta maturazione del frutto, si ottiene un olio dal tasso di acidità estremamente contenuto, che ne fa la particolarità salutistica del prodotto.

Documentazione medievale attesta una pratica dell'ulivicultura già abbastanza affermata. Ricchi di riferimenti agli ulivi sono gli archivi notarili, dove non mancano, a sottolineare il valore di tale coltivazione, anche atti relativi a dotalizi composti da “chiuse” di uliveti.

Poche sono le testimonianze di antichi mulini ad acqua. Particolarmente interessante è il mulino di Puntugl ia nel comune di Scheggino: in un'ambientazione suggestiva e pressoché intatta spicca la grande macchina per la molitura con la ruota verticale di pietra e i torchi per la premitura, alcuni dei quali, quelli idraulici, rappresentano una grande innovazione nell'ambito delle procedure tradizionali.

SPOLETO

L’ OLIO DI OLIVAL’ OVICOLTURA DISEGNA IL PAESAGGIO

AN

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Spoleto è una antica città posta all'estremità meridionale dell'Umbria, ai margini di una vasta pianura alluvionale derivata dalla presenza di un vasto lago, prosciugato definitivamente nel Medioevo, con grandi opere di bonifica. La città si è sviluppata sul colle Sant'Elia, un promontorio collinare alle falde del Monteluco, e più in basso fino alle rive del torrente Tessino.Fu abitata fin dalla preistoria dagli Umbri, che costruirono le mura poligonali del V-IV secolo a.C., dette “mura ciclopiche” e divenne colonia romana nel 241 a.C. Respinse l'esercito di Annibale nel 217 a.C., fu la capitale dell'omonimo ducato longobardo in epoca medievale e patria di due imperatori del Sacro Romano Impero: Guido II e Lamberto da Spoleto. Nel 1155 fu distrutta da Federico Barbarossa e nel 1198 entrò a far parte dello Stato Pontificio, mantenendo l'autonomia come libero comune, malgrado il cardinal Egidio Albornoz avesse costruito nel 1359 la Rocca, come residenza dei governatori pontifici.Durante l'occupazione francese Spoleto fu capoluogo prima del Dipartimento del Clitunno e poi di quello del Trasimeno; con la restaurazione fu a capo di Delegazione, ma con l'Unità d'Italia perse definitivamente il ruolo di “ Caput Umbriae”.

Scopo dell'antenna è la valorizzazione delle tecniche di conduzione dell'uliveto mantenendo e recuperando, ove possibile, le sistemazioni tradizionali, nel rispetto del paesaggio agrario fortemente connotato nello spoletino dalla presenza di questa pianta. In questo senso gran parte dell'area pedemontana del territorio comunale è interessata già da numerosi percorsi pedonali e secondari che prendono la denominazione di “Sentieri degli ulivi”. L'attenzione ecomuseale è rivolta, nell'ottica di una maggiore consapevolezza alimentare, anche al prodotto finale cioè l'olio. Efficaci in questo senso sono i banchi d'assaggio previsti all'interno dell'Istituto Sperimentale Olivicultura di Spoleto.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

SPOLETO

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A Spoleto, fin dall'anno 1902 è stato istituito un organismo di ricerca e di aggiornamento per gli operatori del settore olivicolo, oggi Istituto Sperimentale per l'Olivicoltura, che attua studi e ricerche soprattutto riguardanti il miglioramento delle varietà di olive da olio e da tavola, nonché la tecnica di coltivazione delle medesime.Presso l'Istituto sono conservate una ricca documentazione d'archivio, una biblioteca specialistica e soprattutto laboratori e attrezzature per il controllo e la sperimentazione della produzione di olio d'oliva.

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ANTENNA DI

L'olio di oliva rappresenta uno dei principali prodotti agro-alimentari dell'Umbria e particolarmente incisiva nel paesaggio agrario umbro è la coltivazione degli ulivi. Tale coltivazione diventa specifica in aree collinari e nelle zone pedemontane, dove i terreni calcarei, ad elevata permeabilità, lasciano penetrare agevolmente le radici dell'ulivo e non creano ristagni.Il panorama nel complesso è insolito, una coltura specificamente mediterranea nell'unica regione peninsulare che non ha accessi al mare; tale stranezza non è passata inosservata ai viaggiatori del Gran Tour sette-ottocentesco che descrivono il paesaggio umbro.Nelle descrizioni, o meglio nelle rappresentazioni pittoriche, vengono messe in evidenza le sistemazioni degli uliveti disposti a terrazze, lunette e ciglioni costruiti con muratura a secco. Il grande credito di cui gode la dieta mediterranea ha favorito il successo dell'olio umbro anche grazie alla capacità dei numerosi imprenditori oleari locali che sapientemente hanno recuperato il patrimonio olivicolo presente, mantenendo specie e tecniche di coltivazione tradizionali.L'Umbria è collocata nella cosiddetta sottozona fredda, dove le condizioni climatiche comportano rischi di gelate per gran parte delle varietà di ulivi. Per questo motivo poche sono le specie coltivate in Umbria.In particolare il leccino, il moraiolo e il frantoio si sono ben acclimatati e, grazie ad una lenta maturazione del frutto, si ottiene un olio dal tasso di acidità estremamente contenuto, che ne fa la particolarità salutistica del prodotto.

Documentazione medievale attesta una pratica dell'ulivicultura già abbastanza affermata. Ricchi di riferimenti agli ulivi sono gli archivi notarili, dove non mancano, a sottolineare il valore di tale coltivazione, anche atti relativi a dotalizi composti da “chiuse” di uliveti.

Poche sono le testimonianze di antichi mulini ad acqua. Particolarmente interessante è il mulino di Puntugl ia nel comune di Scheggino: in un'ambientazione suggestiva e pressoché intatta spicca la grande macchina per la molitura con la ruota verticale di pietra e i torchi per la premitura, alcuni dei quali, quelli idraulici, rappresentano una grande innovazione nell'ambito delle procedure tradizionali.

SPOLETO

L’ OLIO DI OLIVAL’ OVICOLTURA DISEGNA IL PAESAGGIO

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Spoleto è una antica città posta all'estremità meridionale dell'Umbria, ai margini di una vasta pianura alluvionale derivata dalla presenza di un vasto lago, prosciugato definitivamente nel Medioevo, con grandi opere di bonifica. La città si è sviluppata sul colle Sant'Elia, un promontorio collinare alle falde del Monteluco, e più in basso fino alle rive del torrente Tessino.Fu abitata fin dalla preistoria dagli Umbri, che costruirono le mura poligonali del V-IV secolo a.C., dette “mura ciclopiche” e divenne colonia romana nel 241 a.C. Respinse l'esercito di Annibale nel 217 a.C., fu la capitale dell'omonimo ducato longobardo in epoca medievale e patria di due imperatori del Sacro Romano Impero: Guido II e Lamberto da Spoleto. Nel 1155 fu distrutta da Federico Barbarossa e nel 1198 entrò a far parte dello Stato Pontificio, mantenendo l'autonomia come libero comune, malgrado il cardinal Egidio Albornoz avesse costruito nel 1359 la Rocca, come residenza dei governatori pontifici.Durante l'occupazione francese Spoleto fu capoluogo prima del Dipartimento del Clitunno e poi di quello del Trasimeno; con la restaurazione fu a capo di Delegazione, ma con l'Unità d'Italia perse definitivamente il ruolo di “ Caput Umbriae”.

Scopo dell'antenna è la valorizzazione delle tecniche di conduzione dell'uliveto mantenendo e recuperando, ove possibile, le sistemazioni tradizionali, nel rispetto del paesaggio agrario fortemente connotato nello spoletino dalla presenza di questa pianta. In questo senso gran parte dell'area pedemontana del territorio comunale è interessata già da numerosi percorsi pedonali e secondari che prendono la denominazione di “Sentieri degli ulivi”. L'attenzione ecomuseale è rivolta, nell'ottica di una maggiore consapevolezza alimentare, anche al prodotto finale cioè l'olio. Efficaci in questo senso sono i banchi d'assaggio previsti all'interno dell'Istituto Sperimentale Olivicultura di Spoleto.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

SPOLETO

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A Spoleto, fin dall'anno 1902 è stato istituito un organismo di ricerca e di aggiornamento per gli operatori del settore olivicolo, oggi Istituto Sperimentale per l'Olivicoltura, che attua studi e ricerche soprattutto riguardanti il miglioramento delle varietà di olive da olio e da tavola, nonché la tecnica di coltivazione delle medesime.Presso l'Istituto sono conservate una ricca documentazione d'archivio, una biblioteca specialistica e soprattutto laboratori e attrezzature per il controllo e la sperimentazione della produzione di olio d'oliva.

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Page 8: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

Il grande sipario del teatro Nuovo di Spoleto rappresenta la disfatta di Annibale sotto le mura di Spoleto e fu dipinto da Francesco Coghetti di Bergamo alla fine del secolo XIX.

La Torre dell'Olio è uno dei monumenti più caratteristici di Spoleto tanto che si potrebbe definire addirittura come il simbolo della città.La sua costruzione risale al XIII secolo, ma il nome ed il luogo riportano ad un evento mitico di forza ed astuzia degli spoletini in occasione della II Guerra Punica. Pare infatti che Annibale, avendo sferrato un attacco a Spoleto, subito dopo la vittoria della battaglia del Trasimeno, giunto sotto le mura, fosse stato ricacciato dall'olio bollente che gli spoletini versarono dall'alto della torre.L'arma usata dagli spoletini, sta ad indicare, al di là del mito, che già a quel tempo si disponeva di grandi quantità di olio. L'evento ha dato, sempre in un'ottica mitica, anche il nome alla porta romana posta nelle immediate vicinanze della torre che da allora viene chiamata Porta Fuga, in quanto fu quella che vide i Cartaginesi fuggire dalle mura della città e dal pericolo di ustione.

La città di Spoleto, prima della distruzione operata dalle truppe di Federico Barbarossa nel 1155 era chiamata la città delle cento torri.Tale ricchezza di strutture difensive si spiega con l'arrivo in città di numerose famiglie feudali provenienti dal territorio circostante, che dopo aver ceduto i propri domini al comune di Spoleto, acquisivano il diritto ad insediarsi in città: la torre rappresentava, quindi, il simbolo della potenza delle varie famiglie.

UNA ECCELLENZA LOCALE

LA TORRE DELL’ OLIO

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Lungo la strada della Valnerina si incontrano i resti dell'antica abbazia benedettina di santa Maria de Ugonis, costruita nel secolo XI, intorno ad alcune celle eremitiche, abitate sin dal secolo V da eremiti siriani, e rimasta attiva fin al 1653 con monaci dell'ordine di Vallombrosa.Negli spazi agricoli adiacenti gli ambienti monastici vegetano degli ulivi secolari, ancora produttivi, nonostante si trovino già nella parte alta della valle del Nera e quindi al limite della zona climatica utile per tale coltivazione. Le specie presenti nell'uliveto dell'Eremita sono quelle più diffuse in Umbria e cioè il leccino, il moraiolo ed il frantoio.

Il santuario era un tempo meta di pellegrinaggio e nella memoria locale si conserva ancora una preghiera che veniva declamata dai fedeli: “Madonna della Romita, della Romita siete Vostro Figlio in braccio lo tenete con tanta carità e con tanto amorelevateci dal cuor ogni pena e ogni dolore. Madonna della Romita incoronata in cielo e in terra sei nostra avvocataabbiate cura di me e della mia genteMadre del Salvatore giusta e clemente.Dolce Figlio! Dolce Latte! Dolce Petto!Fatemi 'sta grazia che l'aspetto!Madonna me ne vo' se c'arvengo no lo sose ce ve' l'anima miafateje 'na bona compagniaSe ce ve' l'anima e corpo dateje un bon conforto.Addio Madonna!Noi famo partenza la Vostra presenza dobbiamo lasciar!”L'ultima parte si recitava uscendo dalla chiesa camminando all'indietro.

La venerata statua romanica della Madonna, ritrovata dopo 25 anni dalla sua trafugazione, è oggi conservata nel v ic ino centro abitato di Piedipaterno, dove gode di grande venerazione, soprattutto il giorno dell'Annunciazione, il 25 marzo di ogni anno.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

L’ ULIVETO DELL’ EREMITA

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Santa Maria de Ugonis viene anche detta santa Maria dell'Eremita a ricordo dell'insediamento originario. Oggi è diventata la cappella dell'unito cimitero, le cui tombe hanno invaso perfino la navata, mentre all'interno del presbiterio e della cripta si conservano i resti di una decorazione pittorica, più volte saccheggiata, che va dal secolo XIV al secolo XVII. Tra gli affreschi si nota anche quello con il miracolo dell'aquila che riportò un neonato rapito nella culla non appena la mamma invocò l'aiuto della Madonna per riavere la sua creatura. Il luogo nel medioevo era conosciuto in tutta l'Europa in quanto i questuanti cerretani o “ciarlatani” decantavano la santa vita di quei monaci e raccoglievano offerte per far celebrare messe di suffragio nella loro chiesa.

Page 9: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

Il grande sipario del teatro Nuovo di Spoleto rappresenta la disfatta di Annibale sotto le mura di Spoleto e fu dipinto da Francesco Coghetti di Bergamo alla fine del secolo XIX.

La Torre dell'Olio è uno dei monumenti più caratteristici di Spoleto tanto che si potrebbe definire addirittura come il simbolo della città.La sua costruzione risale al XIII secolo, ma il nome ed il luogo riportano ad un evento mitico di forza ed astuzia degli spoletini in occasione della II Guerra Punica. Pare infatti che Annibale, avendo sferrato un attacco a Spoleto, subito dopo la vittoria della battaglia del Trasimeno, giunto sotto le mura, fosse stato ricacciato dall'olio bollente che gli spoletini versarono dall'alto della torre.L'arma usata dagli spoletini, sta ad indicare, al di là del mito, che già a quel tempo si disponeva di grandi quantità di olio. L'evento ha dato, sempre in un'ottica mitica, anche il nome alla porta romana posta nelle immediate vicinanze della torre che da allora viene chiamata Porta Fuga, in quanto fu quella che vide i Cartaginesi fuggire dalle mura della città e dal pericolo di ustione.

La città di Spoleto, prima della distruzione operata dalle truppe di Federico Barbarossa nel 1155 era chiamata la città delle cento torri.Tale ricchezza di strutture difensive si spiega con l'arrivo in città di numerose famiglie feudali provenienti dal territorio circostante, che dopo aver ceduto i propri domini al comune di Spoleto, acquisivano il diritto ad insediarsi in città: la torre rappresentava, quindi, il simbolo della potenza delle varie famiglie.

UNA ECCELLENZA LOCALE

LA TORRE DELL’ OLIO

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Lungo la strada della Valnerina si incontrano i resti dell'antica abbazia benedettina di santa Maria de Ugonis, costruita nel secolo XI, intorno ad alcune celle eremitiche, abitate sin dal secolo V da eremiti siriani, e rimasta attiva fin al 1653 con monaci dell'ordine di Vallombrosa.Negli spazi agricoli adiacenti gli ambienti monastici vegetano degli ulivi secolari, ancora produttivi, nonostante si trovino già nella parte alta della valle del Nera e quindi al limite della zona climatica utile per tale coltivazione. Le specie presenti nell'uliveto dell'Eremita sono quelle più diffuse in Umbria e cioè il leccino, il moraiolo ed il frantoio.

Il santuario era un tempo meta di pellegrinaggio e nella memoria locale si conserva ancora una preghiera che veniva declamata dai fedeli: “Madonna della Romita, della Romita siete Vostro Figlio in braccio lo tenete con tanta carità e con tanto amorelevateci dal cuor ogni pena e ogni dolore. Madonna della Romita incoronata in cielo e in terra sei nostra avvocataabbiate cura di me e della mia genteMadre del Salvatore giusta e clemente.Dolce Figlio! Dolce Latte! Dolce Petto!Fatemi 'sta grazia che l'aspetto!Madonna me ne vo' se c'arvengo no lo sose ce ve' l'anima miafateje 'na bona compagniaSe ce ve' l'anima e corpo dateje un bon conforto.Addio Madonna!Noi famo partenza la Vostra presenza dobbiamo lasciar!”L'ultima parte si recitava uscendo dalla chiesa camminando all'indietro.

La venerata statua romanica della Madonna, ritrovata dopo 25 anni dalla sua trafugazione, è oggi conservata nel v ic ino centro abitato di Piedipaterno, dove gode di grande venerazione, soprattutto il giorno dell'Annunciazione, il 25 marzo di ogni anno.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

L’ ULIVETO DELL’ EREMITA

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Santa Maria de Ugonis viene anche detta santa Maria dell'Eremita a ricordo dell'insediamento originario. Oggi è diventata la cappella dell'unito cimitero, le cui tombe hanno invaso perfino la navata, mentre all'interno del presbiterio e della cripta si conservano i resti di una decorazione pittorica, più volte saccheggiata, che va dal secolo XIV al secolo XVII. Tra gli affreschi si nota anche quello con il miracolo dell'aquila che riportò un neonato rapito nella culla non appena la mamma invocò l'aiuto della Madonna per riavere la sua creatura. Il luogo nel medioevo era conosciuto in tutta l'Europa in quanto i questuanti cerretani o “ciarlatani” decantavano la santa vita di quei monaci e raccoglievano offerte per far celebrare messe di suffragio nella loro chiesa.

Page 10: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

ANTENNA DI

Fra i prodotti alimentari più apprezzati e conosciuti della zona, c'è il tartufo nero, una prelibatezza che figurava sempre nelle tavole dei ricchi e dei potenti, ora utilizzato in tutte le varianti della cucina moderna.La preziosità del tartufo ha fatto sì che esso abbia goduto fin dai tempi più antichi di una particolare attenzione, tanto da essere oggetto di norme statutarie dei comuni medievali. Per la tutela e il mantenimento della produzione si stabiliva tra l'altro che per la raccolta ci fossero addetti specializzati, i “cavatori” o “tartufai”, norma in parte disattesa dalle recenti leggi in materia, che ha causato, a detta dei meglio informati, l'impoverimento della raccolta.Le tartufaie quasi sempre rientravano nell'ambito degli usi civici e come tali venivano appaltate dalla Comunità, che spesso utilizzava i proventi per scopi sociali: sono documentati pagamenti per il medico, per la levatrice e per il veterinario. In ambito nursino titolari dell'appalto erano i parroci che incassavano direttamente, per gli usi della chiesa, i proventiUna consuetudine valida in tutto il territorio ed in parte tuttora viva è quella di stabilire il prezzo dei tartufi il giorno della fiera di Santa Caterina, a Sellano, il 25 novembre.Il tartufo nei tempi passati aveva come limite la difficoltà della conservazione e solo alla fine del secolo XIX furono approntati sistemi di lunga conservazione, che trovarono a Scheggino imprenditori disposti ad investire sul settore delle conserve alimentari.

I Tartufi sono funghi sotterranei, che vivono in simbiosi con altre piante, le quali forniscono le sostanze per il loro sviluppo. Le zone dove crescono i tartufi vengono definite tartufaie e si trovano principalmente al margine fra le aree coltivate e le zone boscose, a contatto con le radici di querce, noccioli, carpini, lecci ed altre essenze arboree o arbusti come il cisto.

SCHEGGINO

IL TARTUFOLA CONSERVAZIONE DEI PRODOTTI ALIMENTARI

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L'apprezzamento del gusto del tartufo da parte del pubblico dei consumatori ha fatto si che il prodotto fosse utilizzato in combinazione con i più disparati ingredienti, nei liquori, nei formaggi, nelle paste alimentari, nel cioccolato.La richiesta di tartufi durante tutto l'arco dell'anno ha fatto si che si sviluppasse una tecnologia di conservazione commerciale fondata sul sottovuoto.

Le varietà di tartufo presenti nel territorio dell'ecomuseo sono: il tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum), prodotto di eccellenza molto ricercato e di difficile reperimento, il tartufo nero estivo (Tuber aestivum) meglio conosciuto con il nome di "scorzone" per la sua scorza ruvida, il tartufo bianchetto o "Marzuolo" (Tuber albidum), il tartufo nero invernale di Norcia (Tuber brumale) e il tartufo Uncinato (Tuber uncinatum Chatin).

Scheggino è un castello di pendio a forma triangolare, con in cima un cassero e una torre di avvistamento, sorto sulla riva sinistra del Nera, a 281 m. s.l.m., a guardia dell'antica strada e di uno dei pochi attraversamenti del fiume. Il suo nome si deve probabilmente alla conformazione del terreno su cui è sorto, con la presenza di molte rocce in forma di schegge.Il suo nucleo originale è del secolo XIII, quando alla preesistente torre si cominciarono ad addossare le case dei rifugiati, provenienti dal distrutto castello feudale di Pozzano, situato nelle vicinanze.Nell'abitato si può individuare la parte più antica, in alto, detta “Capo la terra”, cinta dalla prima cerchia di mura e per la maggior parte diruta, l'espansione dei secoli XIV e XV, più a valle, il borgo del secolo XVI, lungo il canale di adduzione del mulino, e l'espansione al di là del fiume dei secoli successivi.

L'antenna dedicata al tartufo trova spazio in una pertinenza di Villa Poli, una residenza signorile che veniva utilizzata fra l'altro, dal cardinale Fausto Poli e da altri importanti personaggi della corte papale di Urbano VIII, come luogo di sosta nei frequenti spostamenti da Roma alle diverse località della Valnerina.

L'antenna di Scheggino riversa l'attenzione ai temi del tartufo, della tartuficoltura e del mercato dei prodotti alimentari.Le attività laboratoriali sono rivolte alla conoscenza dei modi e dei tempi di raccolta dei prodotti spontanei del bosco e del sottobosco, con particolare attenzioni ai funghi. Inoltre viene sviluppato l 'argomento delle tecniche di conservazione dei prodotti alimentari per uso domestico.Il tematismo dell'antenna di Scheggino è coerente con una tradizione di industria conserviera che ha visto imprenditori locali occupare una posizione di rilievo internazionale nel campo della lavorazione, conservazione e commercializzazione del tartufo.

IL LUOGO DELL’ECOMUSEO

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ANTENNA DI

Fra i prodotti alimentari più apprezzati e conosciuti della zona, c'è il tartufo nero, una prelibatezza che figurava sempre nelle tavole dei ricchi e dei potenti, ora utilizzato in tutte le varianti della cucina moderna.La preziosità del tartufo ha fatto sì che esso abbia goduto fin dai tempi più antichi di una particolare attenzione, tanto da essere oggetto di norme statutarie dei comuni medievali. Per la tutela e il mantenimento della produzione si stabiliva tra l'altro che per la raccolta ci fossero addetti specializzati, i “cavatori” o “tartufai”, norma in parte disattesa dalle recenti leggi in materia, che ha causato, a detta dei meglio informati, l'impoverimento della raccolta.Le tartufaie quasi sempre rientravano nell'ambito degli usi civici e come tali venivano appaltate dalla Comunità, che spesso utilizzava i proventi per scopi sociali: sono documentati pagamenti per il medico, per la levatrice e per il veterinario. In ambito nursino titolari dell'appalto erano i parroci che incassavano direttamente, per gli usi della chiesa, i proventiUna consuetudine valida in tutto il territorio ed in parte tuttora viva è quella di stabilire il prezzo dei tartufi il giorno della fiera di Santa Caterina, a Sellano, il 25 novembre.Il tartufo nei tempi passati aveva come limite la difficoltà della conservazione e solo alla fine del secolo XIX furono approntati sistemi di lunga conservazione, che trovarono a Scheggino imprenditori disposti ad investire sul settore delle conserve alimentari.

I Tartufi sono funghi sotterranei, che vivono in simbiosi con altre piante, le quali forniscono le sostanze per il loro sviluppo. Le zone dove crescono i tartufi vengono definite tartufaie e si trovano principalmente al margine fra le aree coltivate e le zone boscose, a contatto con le radici di querce, noccioli, carpini, lecci ed altre essenze arboree o arbusti come il cisto.

SCHEGGINO

IL TARTUFOLA CONSERVAZIONE DEI PRODOTTI ALIMENTARI

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L'apprezzamento del gusto del tartufo da parte del pubblico dei consumatori ha fatto si che il prodotto fosse utilizzato in combinazione con i più disparati ingredienti, nei liquori, nei formaggi, nelle paste alimentari, nel cioccolato.La richiesta di tartufi durante tutto l'arco dell'anno ha fatto si che si sviluppasse una tecnologia di conservazione commerciale fondata sul sottovuoto.

Le varietà di tartufo presenti nel territorio dell'ecomuseo sono: il tartufo nero pregiato (Tuber melanosporum), prodotto di eccellenza molto ricercato e di difficile reperimento, il tartufo nero estivo (Tuber aestivum) meglio conosciuto con il nome di "scorzone" per la sua scorza ruvida, il tartufo bianchetto o "Marzuolo" (Tuber albidum), il tartufo nero invernale di Norcia (Tuber brumale) e il tartufo Uncinato (Tuber uncinatum Chatin).

Scheggino è un castello di pendio a forma triangolare, con in cima un cassero e una torre di avvistamento, sorto sulla riva sinistra del Nera, a 281 m. s.l.m., a guardia dell'antica strada e di uno dei pochi attraversamenti del fiume. Il suo nome si deve probabilmente alla conformazione del terreno su cui è sorto, con la presenza di molte rocce in forma di schegge.Il suo nucleo originale è del secolo XIII, quando alla preesistente torre si cominciarono ad addossare le case dei rifugiati, provenienti dal distrutto castello feudale di Pozzano, situato nelle vicinanze.Nell'abitato si può individuare la parte più antica, in alto, detta “Capo la terra”, cinta dalla prima cerchia di mura e per la maggior parte diruta, l'espansione dei secoli XIV e XV, più a valle, il borgo del secolo XVI, lungo il canale di adduzione del mulino, e l'espansione al di là del fiume dei secoli successivi.

L'antenna dedicata al tartufo trova spazio in una pertinenza di Villa Poli, una residenza signorile che veniva utilizzata fra l'altro, dal cardinale Fausto Poli e da altri importanti personaggi della corte papale di Urbano VIII, come luogo di sosta nei frequenti spostamenti da Roma alle diverse località della Valnerina.

L'antenna di Scheggino riversa l'attenzione ai temi del tartufo, della tartuficoltura e del mercato dei prodotti alimentari.Le attività laboratoriali sono rivolte alla conoscenza dei modi e dei tempi di raccolta dei prodotti spontanei del bosco e del sottobosco, con particolare attenzioni ai funghi. Inoltre viene sviluppato l 'argomento delle tecniche di conservazione dei prodotti alimentari per uso domestico.Il tematismo dell'antenna di Scheggino è coerente con una tradizione di industria conserviera che ha visto imprenditori locali occupare una posizione di rilievo internazionale nel campo della lavorazione, conservazione e commercializzazione del tartufo.

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La sorgente di Valcasana è una delle tante vene del sistema delle acque della Valnerina. Il bacino imbrifero fa capo ai fiumi Corno, Sordo, Nera, Vigi e Tessino. Le acque dei fiumi, un tempo copiose, erano utilizzate solo per le esigenze locali, ora con le captazioni per gli acquedotti di città umbre, l a z i a l i e m a r c h i g i a n e , i f i u m i v e d o n o continuamente diminuita la loro portata.Rilevante è la quantità di acqua prelevata per rifornire il lago di Piediluco e la sottostante centrale idroelettrica di Galleto a Terni. Importante è anche la captazione di acque minerali per uso commerciale.

Alle porte di Scheggino si trova il parco di Valcasana, una vasta area verde, ricca di acque, dotata di strutture di accoglienza e per il tempo libero, meta di rilassanti passeggiate.La presenza delle acque si deve alle risorgive sfruttate sin da antica epoca per l'allevamento delle trote, tanto che lo Statuto di Scheggino del 1561 menziona tra i prodotti tipici locali i tartufi, le palombe e le trote.A testimoniare questa attività ci sono ancora i resti di un'antica peschiera adibita all'allevamento delle trote, dell'anguille e dei gamberi, che si estendeva dai pressi della “Fiumarella” fino alla parete rocciosa della montagna. Le antiche strutture sono state poi sostituite, nel corso del secolo scorso, da un laghetto per la pesca sportiva e da altre vasche per l'allevamento del pesce.

UNA ECCELLENZA LOCALE

IL PARCO DI VALCASANA

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Il parco di Valcasana è sovrastato dalla torre di Scheggino che fa parte di un ampio sistema di torri di avvistamento di origine feudale poste a sentinella della Valle del Nera e di quelle degli affluenti. Con il sistema della triangolazione visiva da un lato all'atro dei versanti delle valli, si poteva, in pochissimo tempo far correre informazioni difensive e strategiche per tutto il territorio.La presenza delle torri è una testimonianza di reciproca lealtà di tutti i comuni delle valli, che smentisce, almeno in parte, la litigiosità e il fenomeno del campanilismo che ha caratterizzato successivamente, e che in parte ancora oggi caratterizza, i rapporti fra le comunità locali.

Nelle acque dei fiumi della Valnerina e della Valle del Menotre attualmente si pratica la pesca sportiva ed in alcuni tratti quella a basso impatto denominata “no kill”.Nelle epoche passate pescare era considerata una vera e propria professione e veniva effettuata con strumenti appositamente costruiti per la cattura dei pesci e dei gamberi. Particolarmente elaborate erano le nasse, trappole di giunco che imbrigliavano le trote e le arelle, rudimentali bilance con le quali venivano adescati i gamberi.Le acque erano popolate dalla trota fario, ancora presente, e da gamberi, anguille, vaironi, barbi e granchi, tutte specie ora scomparse.

Il cavatore necessita, come unico strumento, di uno “zappetto”, ma il contributo fondamentale nella ricerca lo svolge il cane. E' grazie infatti al fiuto, orientato con un addestramento fin da cucciolo, di questo animale che si può individuare il punto dove scavare per trovare il tartufo maturo.Non esiste una razza di cane specializzata alla ricerca, anzi vengono addestrati soprattutto i “bastardini” cani di piccola taglia che restituiscono al cavatore il prezioso tubero in cambio di una modesta ricompensa alimentare.Prima dell'utilizzo del cane, il tartufo maturo veniva individuato dalla presenza della cosiddetta mosca bianca o del tartufo, l'Anisotoma Cinnamomea, che per depositare le uova predilige i luoghi nelle cui vicinanze si trovano tartufi maturi. Una alternativa nella raccolta del tartufo, nei tempi passati, è stata la ricerca con l'ausilio del maiale, animale ghiotto di questo frutto della terra.

La raccolta con il maiale aveva come limite la difficoltà di addestramento e si correva quindi il rischio che l'animale mangiasse i tartufi. Per questo motivo ai maiali destinati alla ricerca del tartufo veniva messo nel naso un anello di ferro, in modo che l'animale, una volta individuato il tartufo, non potesse grufolare e scavarlo.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

LA RACCOLTA DEI TARTUFI

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In diversi paesi della Valnerina un tempo c'era l'usanza di allevare un maialino detto di sant'Antonio a cui veniva posto un campanello al collo e a cui tutti davano da mangiare, poi in occasione della festa del Santo, il 17 gennaio, il maiale veniva sacrificato e mangiato durante un pranzo rituale.L'immagine di questo maiale, desunta da un affresco di santa Maria di Vallo di Nera, è stata scelta come logo dell'Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra.

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Il maialino è uno degli attributi che identifica sant'Antonio abate, santo particolarmente venerato in tutto il mondo agricolo e riconosciuto protettore degli animali . Quasi sempre, nell'iconografia tradizionale, il santo viene rappresentato in compagnia di un maialino.Nelle rappresentazioni pittoriche della Valnerina, a partire dal secolo XIV, spesso viene effigiato a fianco del santo un maialino nero cintato, razza denominata “cinturino” specifica dell'entroterra umbro. Anacoreta del deserto egiziano, Antonio è considerato santo benedettino, anche se vissuto tre secoli prima di Benedetto da Norcia e protettore del monachesimo in generale.Questo patronato è dato dal fatto che sant'Antonio fu propugnatore del “cenobio” ossia della vita comunitaria e regolata dei monaci. Una delle maggiori rappresentazioni pittoriche della vita di sant'Antonio si trova a Cascia, nell'omonima chiesa, opera di un'equipe di pittori umbri, attivi alla fine del secolo XIV.

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La sorgente di Valcasana è una delle tante vene del sistema delle acque della Valnerina. Il bacino imbrifero fa capo ai fiumi Corno, Sordo, Nera, Vigi e Tessino. Le acque dei fiumi, un tempo copiose, erano utilizzate solo per le esigenze locali, ora con le captazioni per gli acquedotti di città umbre, l a z i a l i e m a r c h i g i a n e , i f i u m i v e d o n o continuamente diminuita la loro portata.Rilevante è la quantità di acqua prelevata per rifornire il lago di Piediluco e la sottostante centrale idroelettrica di Galleto a Terni. Importante è anche la captazione di acque minerali per uso commerciale.

Alle porte di Scheggino si trova il parco di Valcasana, una vasta area verde, ricca di acque, dotata di strutture di accoglienza e per il tempo libero, meta di rilassanti passeggiate.La presenza delle acque si deve alle risorgive sfruttate sin da antica epoca per l'allevamento delle trote, tanto che lo Statuto di Scheggino del 1561 menziona tra i prodotti tipici locali i tartufi, le palombe e le trote.A testimoniare questa attività ci sono ancora i resti di un'antica peschiera adibita all'allevamento delle trote, dell'anguille e dei gamberi, che si estendeva dai pressi della “Fiumarella” fino alla parete rocciosa della montagna. Le antiche strutture sono state poi sostituite, nel corso del secolo scorso, da un laghetto per la pesca sportiva e da altre vasche per l'allevamento del pesce.

UNA ECCELLENZA LOCALE

IL PARCO DI VALCASANA

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Il parco di Valcasana è sovrastato dalla torre di Scheggino che fa parte di un ampio sistema di torri di avvistamento di origine feudale poste a sentinella della Valle del Nera e di quelle degli affluenti. Con il sistema della triangolazione visiva da un lato all'atro dei versanti delle valli, si poteva, in pochissimo tempo far correre informazioni difensive e strategiche per tutto il territorio.La presenza delle torri è una testimonianza di reciproca lealtà di tutti i comuni delle valli, che smentisce, almeno in parte, la litigiosità e il fenomeno del campanilismo che ha caratterizzato successivamente, e che in parte ancora oggi caratterizza, i rapporti fra le comunità locali.

Nelle acque dei fiumi della Valnerina e della Valle del Menotre attualmente si pratica la pesca sportiva ed in alcuni tratti quella a basso impatto denominata “no kill”.Nelle epoche passate pescare era considerata una vera e propria professione e veniva effettuata con strumenti appositamente costruiti per la cattura dei pesci e dei gamberi. Particolarmente elaborate erano le nasse, trappole di giunco che imbrigliavano le trote e le arelle, rudimentali bilance con le quali venivano adescati i gamberi.Le acque erano popolate dalla trota fario, ancora presente, e da gamberi, anguille, vaironi, barbi e granchi, tutte specie ora scomparse.

Il cavatore necessita, come unico strumento, di uno “zappetto”, ma il contributo fondamentale nella ricerca lo svolge il cane. E' grazie infatti al fiuto, orientato con un addestramento fin da cucciolo, di questo animale che si può individuare il punto dove scavare per trovare il tartufo maturo.Non esiste una razza di cane specializzata alla ricerca, anzi vengono addestrati soprattutto i “bastardini” cani di piccola taglia che restituiscono al cavatore il prezioso tubero in cambio di una modesta ricompensa alimentare.Prima dell'utilizzo del cane, il tartufo maturo veniva individuato dalla presenza della cosiddetta mosca bianca o del tartufo, l'Anisotoma Cinnamomea, che per depositare le uova predilige i luoghi nelle cui vicinanze si trovano tartufi maturi. Una alternativa nella raccolta del tartufo, nei tempi passati, è stata la ricerca con l'ausilio del maiale, animale ghiotto di questo frutto della terra.

La raccolta con il maiale aveva come limite la difficoltà di addestramento e si correva quindi il rischio che l'animale mangiasse i tartufi. Per questo motivo ai maiali destinati alla ricerca del tartufo veniva messo nel naso un anello di ferro, in modo che l'animale, una volta individuato il tartufo, non potesse grufolare e scavarlo.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

LA RACCOLTA DEI TARTUFI

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In diversi paesi della Valnerina un tempo c'era l'usanza di allevare un maialino detto di sant'Antonio a cui veniva posto un campanello al collo e a cui tutti davano da mangiare, poi in occasione della festa del Santo, il 17 gennaio, il maiale veniva sacrificato e mangiato durante un pranzo rituale.L'immagine di questo maiale, desunta da un affresco di santa Maria di Vallo di Nera, è stata scelta come logo dell'Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra.

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Il maialino è uno degli attributi che identifica sant'Antonio abate, santo particolarmente venerato in tutto il mondo agricolo e riconosciuto protettore degli animali . Quasi sempre, nell'iconografia tradizionale, il santo viene rappresentato in compagnia di un maialino.Nelle rappresentazioni pittoriche della Valnerina, a partire dal secolo XIV, spesso viene effigiato a fianco del santo un maialino nero cintato, razza denominata “cinturino” specifica dell'entroterra umbro. Anacoreta del deserto egiziano, Antonio è considerato santo benedettino, anche se vissuto tre secoli prima di Benedetto da Norcia e protettore del monachesimo in generale.Questo patronato è dato dal fatto che sant'Antonio fu propugnatore del “cenobio” ossia della vita comunitaria e regolata dei monaci. Una delle maggiori rappresentazioni pittoriche della vita di sant'Antonio si trova a Cascia, nell'omonima chiesa, opera di un'equipe di pittori umbri, attivi alla fine del secolo XIV.

Page 14: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

ANTENNA DI

La canapa, cannabis sativa, molto probabilmente proviene dalla Russia meridionale, zona che gli storici greci identificavano come terra degli Sciiti. I Greci adottarono il nome, e il prodotto, con il suo nome grecizzato, si diffuse alle altre culture.La coltivazione della canapa era diffusa fino alla prima metà del Novecento in tutta l’Umbria, sia nelle zone di fondo valle che in montagna: quasi ogni famiglia di contadini le destinava un piccolo appezzamento di terra ed era in grado di seguire tutte le fasi di coltivazione e di trasformazione.A causa di problemi economici, politici e legali la coltivazione della canapa venne soppressa in Italia a partire dalla metà del XX secolo e solo nel 1998 in Valnerina è stata riseminata a Monteleone di Spoleto.Recuperare e trasmettere queste conoscenze, scomparse dalla memoria storica degli abitanti, legate soprattutto alla tessitura, è una delle finalità che si pone l’antenna di Sant’Anatolia di Narco.In Valnerina l’attività della tessitura, svolta soprattutto in ambito familiare almeno fino alla metà del ‘900, per la realizzazione del corredo e per fornire la casa della biancheria necessaria, era considerata un’integrazione alle altre occupazioni agricole ed artigianali e non era mai riconosciuta come un lavoro vero e proprio, nonostante il grande rilievo che aveva nella vita delle donne.

Il telaio a licci utilizzato per la tessitura domestica è una complessa macchina di legno costituita da due subbi, uno dell'ordito ed uno del tessuto, i licci sostenuti da carrucole e collegati con i pedali, il pettine inserito nella cassa battente, il rastrello e le bacchette d'invergatura. L'elemento mobile atto ad intrecciare l'ordito e realizzare la trama è la navetta o spola. Il telaio costruito artigianalmente era suscettibile di varianti a richiesta del committente.

La tessitura domestica era rivolta soprattutto alla realizzazione di lenzuola, asciugamani, tovaglie e tutta la biancheria necessaria per la casa e per l'abbigliamento. Le tessitrici più abili, utilizzando complessi rimettaggi, erano in grado di realizzare coperte da letto con moduli decorativi che si tramandavano di generazione in generazione, specifici di diverse località e spesso con varianti che permettono di identificare la famiglia di provenienza.

SANT’ANATOLIA DI NARCO

LA CANAPALA COLTIVAZIONE E LA TESSITURA

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L'attuale centro di Sant'Anatolia di Narco sorge a 360 m s.l.m. lungo le pendici occidentali del Monte Coscerno, tra Castel San Felice e Scheggino. Prende il nome da Anatolia, vergine martire della metà del III secolo, il cui culto viene diffuso dai benedettini nel X secolo, e dai Naharki, una tribù proveniente da popolazioni umbro-italiche.Alla fine del XII secolo il duca Corrado di Spoleto infeuda tutta la Valdinarco ed il castello di Narco diventa un feudo ducale. Dopo la fine del ducato svevo il castello viene ricostruito con il nome di Sant'Anatolia e si organizza in comune sotto la sfera di quello più importante di Spoleto, dotandosi di un proprio statuto e, nel periodo Napoleonico, entra a far parte dell'impero francese.Con la Restaurazione post-napoleonica il centro ricade di nuovo sotto il controllo dello Stato Pontificio fino alla creazione del Regno d'Italia. L'impianto urbanistico è di tipo composito, a pianta quadrata e pianeggiante nella sommità, con mura e torrioni angolari a pendio e strada centrale lungo il crinale.

L'ecomuseo della canapa trova collocazione all'interno dell'ex palazzo comunale, un edificio del secolo XVI situato all'interno delle mura del castello, sopra una delle porte di accesso ed in p r o s s i m i t à d e l l a c h i e s a p a r r o cc h i a l e d i Sant'Anatolia. Gli spazi espositivi sono dislocati in un percorso interno ed esterno, dove vengono ben distinte le fasi della coltivazione della canapa, della lavorazione della fibra e della tessitura. Spazio di rilievo è dato alle attività laboratoriali orientate al recupero delle conoscenze tradizionali e alle moderne interpretazioni, utilizzando telai di moderna concezione.

Nell'esposizione ecomuseale trovano collocazione tutti gli strumenti legati al ciclo della lavorazione della canapa ed alla tessitura, dall'alto valore storico documentario. L'attività laboratoriale, concepita con l'utilizzo di moderni telai, assolve la funzione di trasmissione di saperi antichi e di formazione, rivolta a tutti coloro che hanno interesse di tipo professionale, hobbistico o di semplice curiosità.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

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ANTENNA DI

La canapa, cannabis sativa, molto probabilmente proviene dalla Russia meridionale, zona che gli storici greci identificavano come terra degli Sciiti. I Greci adottarono il nome, e il prodotto, con il suo nome grecizzato, si diffuse alle altre culture.La coltivazione della canapa era diffusa fino alla prima metà del Novecento in tutta l’Umbria, sia nelle zone di fondo valle che in montagna: quasi ogni famiglia di contadini le destinava un piccolo appezzamento di terra ed era in grado di seguire tutte le fasi di coltivazione e di trasformazione.A causa di problemi economici, politici e legali la coltivazione della canapa venne soppressa in Italia a partire dalla metà del XX secolo e solo nel 1998 in Valnerina è stata riseminata a Monteleone di Spoleto.Recuperare e trasmettere queste conoscenze, scomparse dalla memoria storica degli abitanti, legate soprattutto alla tessitura, è una delle finalità che si pone l’antenna di Sant’Anatolia di Narco.In Valnerina l’attività della tessitura, svolta soprattutto in ambito familiare almeno fino alla metà del ‘900, per la realizzazione del corredo e per fornire la casa della biancheria necessaria, era considerata un’integrazione alle altre occupazioni agricole ed artigianali e non era mai riconosciuta come un lavoro vero e proprio, nonostante il grande rilievo che aveva nella vita delle donne.

Il telaio a licci utilizzato per la tessitura domestica è una complessa macchina di legno costituita da due subbi, uno dell'ordito ed uno del tessuto, i licci sostenuti da carrucole e collegati con i pedali, il pettine inserito nella cassa battente, il rastrello e le bacchette d'invergatura. L'elemento mobile atto ad intrecciare l'ordito e realizzare la trama è la navetta o spola. Il telaio costruito artigianalmente era suscettibile di varianti a richiesta del committente.

La tessitura domestica era rivolta soprattutto alla realizzazione di lenzuola, asciugamani, tovaglie e tutta la biancheria necessaria per la casa e per l'abbigliamento. Le tessitrici più abili, utilizzando complessi rimettaggi, erano in grado di realizzare coperte da letto con moduli decorativi che si tramandavano di generazione in generazione, specifici di diverse località e spesso con varianti che permettono di identificare la famiglia di provenienza.

SANT’ANATOLIA DI NARCO

LA CANAPALA COLTIVAZIONE E LA TESSITURA

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L'attuale centro di Sant'Anatolia di Narco sorge a 360 m s.l.m. lungo le pendici occidentali del Monte Coscerno, tra Castel San Felice e Scheggino. Prende il nome da Anatolia, vergine martire della metà del III secolo, il cui culto viene diffuso dai benedettini nel X secolo, e dai Naharki, una tribù proveniente da popolazioni umbro-italiche.Alla fine del XII secolo il duca Corrado di Spoleto infeuda tutta la Valdinarco ed il castello di Narco diventa un feudo ducale. Dopo la fine del ducato svevo il castello viene ricostruito con il nome di Sant'Anatolia e si organizza in comune sotto la sfera di quello più importante di Spoleto, dotandosi di un proprio statuto e, nel periodo Napoleonico, entra a far parte dell'impero francese.Con la Restaurazione post-napoleonica il centro ricade di nuovo sotto il controllo dello Stato Pontificio fino alla creazione del Regno d'Italia. L'impianto urbanistico è di tipo composito, a pianta quadrata e pianeggiante nella sommità, con mura e torrioni angolari a pendio e strada centrale lungo il crinale.

L'ecomuseo della canapa trova collocazione all'interno dell'ex palazzo comunale, un edificio del secolo XVI situato all'interno delle mura del castello, sopra una delle porte di accesso ed in p r o s s i m i t à d e l l a c h i e s a p a r r o cc h i a l e d i Sant'Anatolia. Gli spazi espositivi sono dislocati in un percorso interno ed esterno, dove vengono ben distinte le fasi della coltivazione della canapa, della lavorazione della fibra e della tessitura. Spazio di rilievo è dato alle attività laboratoriali orientate al recupero delle conoscenze tradizionali e alle moderne interpretazioni, utilizzando telai di moderna concezione.

Nell'esposizione ecomuseale trovano collocazione tutti gli strumenti legati al ciclo della lavorazione della canapa ed alla tessitura, dall'alto valore storico documentario. L'attività laboratoriale, concepita con l'utilizzo di moderni telai, assolve la funzione di trasmissione di saperi antichi e di formazione, rivolta a tutti coloro che hanno interesse di tipo professionale, hobbistico o di semplice curiosità.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

SANT’ANATOLIA DI NARCO

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Nelle sculture della facciata, al di sotto del rosone, è riportata in forma allegorica, la leggenda della bonifica del territorio paludoso e malarico del fondovalle: i due santi siriani Mauro ed il figlio Felice affrontano e sconfiggono il Drago dando la possibilità agli abitanti di insediarsi nella valle.I terreni bonificati vengono ancora oggi chiamati “canapine” a ricordo della coltura della canapa praticata fino a pochi anni orsono.In prossimità dell'abbazia di San Felice è situato un a p p e z z a m e n t o d i t e r r e n o d i p r o p r i e t à dell'ecomuseo dove è stata reimpiantata una canapina a scopo didattico.

San Felice di Narco è una chiesa abbaziale benedettina costruita nel secolo XII nei pressi del fiume Nera, sulle tombe dei santi anacoreti Felice e Mauro. Sul posto, già nel V secolo, si stanziarono alcuni eremiti siriani e più tardi i benedettini, che furono però ben presto sostituiti da rettori diocesani.La facciata è uno dei migliori esempi del romanico spoletino, con portale lunettato, bifore e rosone sopra un fascione scolpito con le storie di san Felice; sul retro si eleva una possente torre campanaria, che in origine era parte della fortificazioneL'interno è a una sola navata, coperta a capriate, con pavimento in pietra e presbiterio rialzato, delimitato da plutei cosmateschi e terminante con l'abside. Della ricca decorazione pittorica che un tempo doveva ornare tutte le pareti restano un Cristo benedicente nell'abside, un'Adorazione dei Magi, san Felice e san Michele Arcangelo nelle pareti laterali, tutti riferibili al secolo XV.Nella cripta a due navatelle con absidiole, divise da colonna, si conserva il sarcofago in pietra contenente le spoglie dei santi e nella chiesa sono reimpiegate due epigrafi romane.Di fianco alla chiesa si trova l'abbazia benedettina, costruita intorno ad un ampio cortile, con numerosi edifici, successivamente trasformati in residenza commendataria e priorale, attualmente ristrutturata per ospitare una casa di accoglienza religiosa.

UNA ECCELLENZA LOCALE

L’ ABBAZIA BENEDETTINA DI SAN FELICE

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Nella seicentesca chiesa di san Salvatore di Usigni, fatta edificare dal cardinale Fausto Poli, segretario particolare di papa Urbano VIII, sono conservati oggetti artistici di grande pregio voluti e commissionati espressamente dal cardinale stesso per arredare ed abbellire la chiesa.Spiccano in particolare i paramenti sacri ed i numerosi paliotti conservati all'interno della sacrestia in armadi costruiti nel XVII secolo appositamente per contenere tali manufatti.

Con il termine di “tovaglie perugine” o umbre, dette anche “peroscine” o “inoxelade”, si intendono dei manufatti eseguiti su di un telaio controbilanciato mediante la tecnica “dei liccetti”.Queste tovaglie, di prevalente uso liturgico, presentano, solitamente, un'armatura di fondo ad “occhio di pernice”, realizzata in cotone o canapa, ed una decorazione che si svolge in bande orizzontali.Elemento distintivo di questo genere di produzione è l'alternanza di una bicromia bianco-blu, bianco-rossa, bianco-gialla, alla quale può essere associata una tricromia bianco-rosso-blu come si può vedere in alcune rappresentazioni pittoriche. Questa classe di tessuti copre un arco cronologico che va dal XIII al XVI secolo.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

I PARAMENTI LITURGICI DEL CARDINAL FAUSTO POLI

La maggior parte dei tessuti, utilizzati per la realizzazione dei paramenti del Cardinale, diversificati nei colori in base ai diversi cicli liturgici, presentano un motivo decorativo ad impostazione verticale estremamente articolato e complesso, dal quale emergono due querce incrociate.Tale motivo si può rintracciare nello stemma del Poli che, ricamato, campeggia su tutti i paramenti: è composto da tre monti allineati e sulla sommità dei laterali spiccano due querce con i rami intrecciati e ghiande. In alto sono riportate tre api riprese dal motivo araldico della famiglia Barberini.

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1716

Pianete, piviali, tonacelle, dalmatiche, stole e manipoli coordinati con i paliotti, che ancora oggi si trovano davanti agli altari, furono confezionati con tessuti fatti realizzare appositamente dal Poli.

Page 17: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

Nelle sculture della facciata, al di sotto del rosone, è riportata in forma allegorica, la leggenda della bonifica del territorio paludoso e malarico del fondovalle: i due santi siriani Mauro ed il figlio Felice affrontano e sconfiggono il Drago dando la possibilità agli abitanti di insediarsi nella valle.I terreni bonificati vengono ancora oggi chiamati “canapine” a ricordo della coltura della canapa praticata fino a pochi anni orsono.In prossimità dell'abbazia di San Felice è situato un a p p e z z a m e n t o d i t e r r e n o d i p r o p r i e t à dell'ecomuseo dove è stata reimpiantata una canapina a scopo didattico.

San Felice di Narco è una chiesa abbaziale benedettina costruita nel secolo XII nei pressi del fiume Nera, sulle tombe dei santi anacoreti Felice e Mauro. Sul posto, già nel V secolo, si stanziarono alcuni eremiti siriani e più tardi i benedettini, che furono però ben presto sostituiti da rettori diocesani.La facciata è uno dei migliori esempi del romanico spoletino, con portale lunettato, bifore e rosone sopra un fascione scolpito con le storie di san Felice; sul retro si eleva una possente torre campanaria, che in origine era parte della fortificazioneL'interno è a una sola navata, coperta a capriate, con pavimento in pietra e presbiterio rialzato, delimitato da plutei cosmateschi e terminante con l'abside. Della ricca decorazione pittorica che un tempo doveva ornare tutte le pareti restano un Cristo benedicente nell'abside, un'Adorazione dei Magi, san Felice e san Michele Arcangelo nelle pareti laterali, tutti riferibili al secolo XV.Nella cripta a due navatelle con absidiole, divise da colonna, si conserva il sarcofago in pietra contenente le spoglie dei santi e nella chiesa sono reimpiegate due epigrafi romane.Di fianco alla chiesa si trova l'abbazia benedettina, costruita intorno ad un ampio cortile, con numerosi edifici, successivamente trasformati in residenza commendataria e priorale, attualmente ristrutturata per ospitare una casa di accoglienza religiosa.

UNA ECCELLENZA LOCALE

L’ ABBAZIA BENEDETTINA DI SAN FELICE

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Nella seicentesca chiesa di san Salvatore di Usigni, fatta edificare dal cardinale Fausto Poli, segretario particolare di papa Urbano VIII, sono conservati oggetti artistici di grande pregio voluti e commissionati espressamente dal cardinale stesso per arredare ed abbellire la chiesa.Spiccano in particolare i paramenti sacri ed i numerosi paliotti conservati all'interno della sacrestia in armadi costruiti nel XVII secolo appositamente per contenere tali manufatti.

Con il termine di “tovaglie perugine” o umbre, dette anche “peroscine” o “inoxelade”, si intendono dei manufatti eseguiti su di un telaio controbilanciato mediante la tecnica “dei liccetti”.Queste tovaglie, di prevalente uso liturgico, presentano, solitamente, un'armatura di fondo ad “occhio di pernice”, realizzata in cotone o canapa, ed una decorazione che si svolge in bande orizzontali.Elemento distintivo di questo genere di produzione è l'alternanza di una bicromia bianco-blu, bianco-rossa, bianco-gialla, alla quale può essere associata una tricromia bianco-rosso-blu come si può vedere in alcune rappresentazioni pittoriche. Questa classe di tessuti copre un arco cronologico che va dal XIII al XVI secolo.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

I PARAMENTI LITURGICI DEL CARDINAL FAUSTO POLI

La maggior parte dei tessuti, utilizzati per la realizzazione dei paramenti del Cardinale, diversificati nei colori in base ai diversi cicli liturgici, presentano un motivo decorativo ad impostazione verticale estremamente articolato e complesso, dal quale emergono due querce incrociate.Tale motivo si può rintracciare nello stemma del Poli che, ricamato, campeggia su tutti i paramenti: è composto da tre monti allineati e sulla sommità dei laterali spiccano due querce con i rami intrecciati e ghiande. In alto sono riportate tre api riprese dal motivo araldico della famiglia Barberini.

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Pianete, piviali, tonacelle, dalmatiche, stole e manipoli coordinati con i paliotti, che ancora oggi si trovano davanti agli altari, furono confezionati con tessuti fatti realizzare appositamente dal Poli.

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ANTENNA DI

Vallo di Nera è una località conosciuta nei paesi circostanti per alcuni blasoni popolari che enfatizzano la presunta dabbenaggine e la semplicità degli abitanti, dando vita ad una serie di racconti, tramandati oralmente, che vanno sotto il nome di “vallanate”.Per questo motivo il luogo è stato scelto come depositario della tradizione orale, soprattutto quella che si tramanda da generazioni e che contiene i miti, le leggende, i racconti e le satire, che costituiscono il bagaglio culturale delle popolazioni locali.I racconti della tradizione orale, in prosa o in poesia, affrontano temi tratti da un naturalismo fantastico o realistico, senza pretese letterarie. Dominano le esperienze autobiografiche, le passioni amorose, i ricordi delle guerre, i grandi avvenimenti di cui si è stati testimoni e lo sberleffo per gli antagonisti.L'antenna di Vallo di Nera è orientata nella raccolta, conservazione e rielaborazione della tradizione letteraria orale della Dorsale Appenninica Umbra.

VALLO DI NERA

I BLASONI POPOLARILA TRADIZIONE ORALE.

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Nella tradizione orale un posto di assoluta rilevanza lo hanno i poeti a braccio, compositori dell'ottava rima, dal grande intuito e prontezza nell'elaborare il soggetto del racconto. Le capacità interpretative dipendono dalla naturale vivacità creativa del poeta e dal repertorio poetico memorizzato con la lettura degli autori classici.

I poeti a braccio attingevano e attingono tuttora generosamente al repertorio poetico classico, in particolare al Tasso e all'Ariosto, ma fonti di primaria importanza sono poemi di autori locali come “Il Medoro Coronato” di Gaetano Palombi da Chiavano di Cascia, “La Pastoral Siringa” di Angelo Felice Maccheroni da Leonessa, “L'Eneide travestita” di Giovan Battista Lalli da Norcia o i componimenti del poeta pastore Francesco Rosi da Ussita di Visso.

Un modo vivace e coinvolgente di raccontare è quello dei canti popolari, che hanno repertori specifici legati ad alcuni periodi dell'anno. Particolarmente ricchi sono i repertori dei canti delle Pasquarelle e del Cantamaggio.Le Pasquarelle sono canti rituali e di questua che vengono portati di casa in casa fra il Capodanno e l'Epifania. La tradizione del Cantamaggio è legata ai riti di risveglio della primavera e della fertilità, spesso con accenti licenziosi.

Vallo di Nera è un castello fondato a seguito di una concessione della città di Spoleto nel 1217, nei pressi di un insediamento feudale preesistente denominato Flezano. Si erge a circa 400 m. di quota s.l.m., sopra un colle a dominio della valle del Nera. Il toponimo è di derivazione incerta, forse riferito alla denominazione della sottostante valle o al vallum romano o alla definizione longobarda del bosco: vald.Lo stemma attuale raffigura tre castelli riuniti e ricorda l'unione ottocentesca con i castelli di Meggiano e Paterno. L'impianto urbano è assai compatto, caratterizzato da un nucleo originario circolare, con una strada anulare pianeggiante e ripide risalite verso il fulcro centrale costituito dalla piazza di san Giovanni Battista, dal borgo quattrocentesco di santa Maria, ricompreso nella seconda cerchia muraria, e dal successivo borgo cinque-seicentesco dei Casali, sorto lungo le diverse strade di accesso al paese.

L'antenna di Vallo di Nera, in un suggestivo armadio della memoria, mette a disposizione del pubblico un ricco patrimonio di ricerche demo-etno-antropologiche, in particolare registrazioni d'epoca di canti e racconti popolari, e promuove, di concerto con l'Università degli Studi di Perugia, campagne di ricerca audio-visuali a testimonianza di fenomeni ancora esistenti.Il centro promuove inoltre rassegne rivolte a scrittori che rielaborano l'antica tradizione orale della dorsale appenninica e laboratori di scrittura creativa.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

VALLO DI NERA

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La Casa dei Racconti è un centro di ricerca e documentazione sulla letteratura orale, situato nell'ex palazzo comunale di Vallo di Nera, edificio del secolo XV sorto sopra una delle porte di accesso del castello.Il sottostante portico, antica sede del mercato, era anche un luogo di ritrovo degli abitanti, dove poter raccontare e farsi raccontare le storie. All'occasione era anche il luogo privilegiato per poeti e cantastorie.

1918

Tra le numerose vestigia medievali sono degne di nota molti tratti della cerchia muraria, il torrione principale ed altre torri lungo le mura, le due porte di accesso, alcune caratteristiche vie coperte denominate “Buchi”, le chiese e gran parte dei suoi edifici.

Page 19: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

ANTENNA DI

Vallo di Nera è una località conosciuta nei paesi circostanti per alcuni blasoni popolari che enfatizzano la presunta dabbenaggine e la semplicità degli abitanti, dando vita ad una serie di racconti, tramandati oralmente, che vanno sotto il nome di “vallanate”.Per questo motivo il luogo è stato scelto come depositario della tradizione orale, soprattutto quella che si tramanda da generazioni e che contiene i miti, le leggende, i racconti e le satire, che costituiscono il bagaglio culturale delle popolazioni locali.I racconti della tradizione orale, in prosa o in poesia, affrontano temi tratti da un naturalismo fantastico o realistico, senza pretese letterarie. Dominano le esperienze autobiografiche, le passioni amorose, i ricordi delle guerre, i grandi avvenimenti di cui si è stati testimoni e lo sberleffo per gli antagonisti.L'antenna di Vallo di Nera è orientata nella raccolta, conservazione e rielaborazione della tradizione letteraria orale della Dorsale Appenninica Umbra.

VALLO DI NERA

I BLASONI POPOLARILA TRADIZIONE ORALE.

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Nella tradizione orale un posto di assoluta rilevanza lo hanno i poeti a braccio, compositori dell'ottava rima, dal grande intuito e prontezza nell'elaborare il soggetto del racconto. Le capacità interpretative dipendono dalla naturale vivacità creativa del poeta e dal repertorio poetico memorizzato con la lettura degli autori classici.

I poeti a braccio attingevano e attingono tuttora generosamente al repertorio poetico classico, in particolare al Tasso e all'Ariosto, ma fonti di primaria importanza sono poemi di autori locali come “Il Medoro Coronato” di Gaetano Palombi da Chiavano di Cascia, “La Pastoral Siringa” di Angelo Felice Maccheroni da Leonessa, “L'Eneide travestita” di Giovan Battista Lalli da Norcia o i componimenti del poeta pastore Francesco Rosi da Ussita di Visso.

Un modo vivace e coinvolgente di raccontare è quello dei canti popolari, che hanno repertori specifici legati ad alcuni periodi dell'anno. Particolarmente ricchi sono i repertori dei canti delle Pasquarelle e del Cantamaggio.Le Pasquarelle sono canti rituali e di questua che vengono portati di casa in casa fra il Capodanno e l'Epifania. La tradizione del Cantamaggio è legata ai riti di risveglio della primavera e della fertilità, spesso con accenti licenziosi.

Vallo di Nera è un castello fondato a seguito di una concessione della città di Spoleto nel 1217, nei pressi di un insediamento feudale preesistente denominato Flezano. Si erge a circa 400 m. di quota s.l.m., sopra un colle a dominio della valle del Nera. Il toponimo è di derivazione incerta, forse riferito alla denominazione della sottostante valle o al vallum romano o alla definizione longobarda del bosco: vald.Lo stemma attuale raffigura tre castelli riuniti e ricorda l'unione ottocentesca con i castelli di Meggiano e Paterno. L'impianto urbano è assai compatto, caratterizzato da un nucleo originario circolare, con una strada anulare pianeggiante e ripide risalite verso il fulcro centrale costituito dalla piazza di san Giovanni Battista, dal borgo quattrocentesco di santa Maria, ricompreso nella seconda cerchia muraria, e dal successivo borgo cinque-seicentesco dei Casali, sorto lungo le diverse strade di accesso al paese.

L'antenna di Vallo di Nera, in un suggestivo armadio della memoria, mette a disposizione del pubblico un ricco patrimonio di ricerche demo-etno-antropologiche, in particolare registrazioni d'epoca di canti e racconti popolari, e promuove, di concerto con l'Università degli Studi di Perugia, campagne di ricerca audio-visuali a testimonianza di fenomeni ancora esistenti.Il centro promuove inoltre rassegne rivolte a scrittori che rielaborano l'antica tradizione orale della dorsale appenninica e laboratori di scrittura creativa.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

VALLO DI NERA

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La Casa dei Racconti è un centro di ricerca e documentazione sulla letteratura orale, situato nell'ex palazzo comunale di Vallo di Nera, edificio del secolo XV sorto sopra una delle porte di accesso del castello.Il sottostante portico, antica sede del mercato, era anche un luogo di ritrovo degli abitanti, dove poter raccontare e farsi raccontare le storie. All'occasione era anche il luogo privilegiato per poeti e cantastorie.

1918

Tra le numerose vestigia medievali sono degne di nota molti tratti della cerchia muraria, il torrione principale ed altre torri lungo le mura, le due porte di accesso, alcune caratteristiche vie coperte denominate “Buchi”, le chiese e gran parte dei suoi edifici.

Page 20: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

La chiesa di santa Maria è un edificio del secolo XIII, realizzato dopo l'arrivo dei frati francescani a Vallo, con uno stile che viene definito gotico francescano o moderato.L'interno conserva una decorazione pittorica che riveste quasi tutte le pareti con cicli di affreschi che vanno dal secolo XIV al secolo XVII. Di particolare rilevanza è il ciclo pittorico dell'abside, con storie di Gesù, della Madonna e di san Francesco, realizzato da Cola di Pietro da Camerino e Francesco di Antonio di Ancona nel 1384.

Nella chiesa di santa Maria di Vallo di Nera è raffigurato un episodio realmente accaduto alla fine del secolo XIV, che impressionò talmente gli abitanti del posto, tanto da spingerli a chiamare, per dipingerlo, un pittore di grido come Cola di Pietro da Camerino.L'episodio è il passaggio a Vallo di Nera della processione dei Bianchi, un movimento penitenziale sviluppatosi in preparazione del secondo anno santo della storia, con l'intento di far fermare le lotte, promuovere preghiere e penitenze e far riconciliare fazioni e nemici.L'affresco raffigura, come in un racconto, l'arrivo dei penitenti, provenienti da un lungo percorso iniziato dal nord Italia, vestiti con saio bianco e croci rosse sulle spalle e sul cappuccio, ed accolti dai frati francescani davanti alla chiesa di santa Maria, dove erano convenuti personaggi del posto con insegne che ancora sono conservate a Vallo di Nera. In primo piano campeggia il bacio della pace scambiato tra i due capifazione.

UNA ECCELLENZA LOCALE

LA PROCESSIONE DEI BIANCHI

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La Regina Sibilla, incontrastata signora e padrona di queste montagne e di queste leggende, assume di volta in volta i tratti caratteriali di un'indovina classica, di una maga, di una dea pagana, di un'eroina barbara diabolica e lasciva, di una veggente cristiana. In questa veste viene quasi santificata ed è molto raffigurata nei cicli pittorici quattro-cinquecenteschi delle chiese locali, come rivelatrice delle promesse messianiche e annunziatrice della nascita della Madonna e del Salvatore.

Il “Guerin Meschino” è un personaggio dell'epica cavalleresca immortalato da Andrea di Barberino in un poema del 1510, in cui si raccontano tutte le sue vicissitudini alla ricerca dei propri genitori, che lo conducono da Costantinopoli alla Grotta della Sibilla. Ne “La battaglia del Pian Perduto”, poema popolare noto tra i pastori delle montagne della dorsale appenninica, vengono raccontate in versi le gesta degli eserciti Vissano e Nursino per la supremazia del Piano di Castelluccio, tuttora diviso fra i due comuni di Norcia e Visso.Vincente, in quel caso, fu la strategia dei vissani che misero in campo le più avvenenti fanciulle del posto e disorientarono così i nursini, tanto da fargli perdere la battaglia e quella parte di Piano ancora oggi denominato “Perduto”.

La catena dei Monti Sibillini, con i Piani di Castelluccio, il Lago di Pilato e la Grotta della Sibilla, per la loro caratteristica morfologica e per la loro bellezza naturale, evocano una serie di miti e leggende che affondano le radici tra le popolazioni arcaiche.I racconti si sono tramandati per secoli, di generazione in generazione, tra le popolazioni locali ed i pastori transumanti, che salivano verso questi monti per pascolare i loro greggi durante la stagione estiva.Queste leggende sono anche entrate ufficialmente a far parte della letteratura epica cavalleresca, di carattere colto, in quasi tutte le nazioni europee, grazie a degli scrittori che in rima o in prosa l'hanno immortalate nei secoli XV e XVI.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

LE LEGGENDE DEI MONTI SIBILLINI

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Le “Fate” erano le ancelle e cortigiane della Regina Sibilla, che molto spesso scendevano nei paesi circostanti per ammaliare i giovani pastori del luogo, senza far capire che sotto la loro apparente bellezza nascondevano un aspetto demoniaco, dato dai piedi caprini, con i quali potevano rientrare velocemente nella loro dimora.Una volta essendosi attardate con gli amanti a Castelluccio, per la fretta percorsero il fianco del Monte Vettore, tracciando quella che ancora oggi è chiamata la “Strada delle Fate".

2120

Il Lago di Pilato prende il nome dal procuratore romano Ponzio Pilato, reo per i cristiani di aver lasciato mettere a morte Gesù Cristo, lavandosi le mani per la sua ultima sorte. Il suo cadavere, trainato da buoi, fu scaraventato in fondo al lago e per questo motivo è diventato luogo magico per incontri e convegni di maghi e negromanti.

Page 21: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

La chiesa di santa Maria è un edificio del secolo XIII, realizzato dopo l'arrivo dei frati francescani a Vallo, con uno stile che viene definito gotico francescano o moderato.L'interno conserva una decorazione pittorica che riveste quasi tutte le pareti con cicli di affreschi che vanno dal secolo XIV al secolo XVII. Di particolare rilevanza è il ciclo pittorico dell'abside, con storie di Gesù, della Madonna e di san Francesco, realizzato da Cola di Pietro da Camerino e Francesco di Antonio di Ancona nel 1384.

Nella chiesa di santa Maria di Vallo di Nera è raffigurato un episodio realmente accaduto alla fine del secolo XIV, che impressionò talmente gli abitanti del posto, tanto da spingerli a chiamare, per dipingerlo, un pittore di grido come Cola di Pietro da Camerino.L'episodio è il passaggio a Vallo di Nera della processione dei Bianchi, un movimento penitenziale sviluppatosi in preparazione del secondo anno santo della storia, con l'intento di far fermare le lotte, promuovere preghiere e penitenze e far riconciliare fazioni e nemici.L'affresco raffigura, come in un racconto, l'arrivo dei penitenti, provenienti da un lungo percorso iniziato dal nord Italia, vestiti con saio bianco e croci rosse sulle spalle e sul cappuccio, ed accolti dai frati francescani davanti alla chiesa di santa Maria, dove erano convenuti personaggi del posto con insegne che ancora sono conservate a Vallo di Nera. In primo piano campeggia il bacio della pace scambiato tra i due capifazione.

UNA ECCELLENZA LOCALE

LA PROCESSIONE DEI BIANCHI

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La Regina Sibilla, incontrastata signora e padrona di queste montagne e di queste leggende, assume di volta in volta i tratti caratteriali di un'indovina classica, di una maga, di una dea pagana, di un'eroina barbara diabolica e lasciva, di una veggente cristiana. In questa veste viene quasi santificata ed è molto raffigurata nei cicli pittorici quattro-cinquecenteschi delle chiese locali, come rivelatrice delle promesse messianiche e annunziatrice della nascita della Madonna e del Salvatore.

Il “Guerin Meschino” è un personaggio dell'epica cavalleresca immortalato da Andrea di Barberino in un poema del 1510, in cui si raccontano tutte le sue vicissitudini alla ricerca dei propri genitori, che lo conducono da Costantinopoli alla Grotta della Sibilla. Ne “La battaglia del Pian Perduto”, poema popolare noto tra i pastori delle montagne della dorsale appenninica, vengono raccontate in versi le gesta degli eserciti Vissano e Nursino per la supremazia del Piano di Castelluccio, tuttora diviso fra i due comuni di Norcia e Visso.Vincente, in quel caso, fu la strategia dei vissani che misero in campo le più avvenenti fanciulle del posto e disorientarono così i nursini, tanto da fargli perdere la battaglia e quella parte di Piano ancora oggi denominato “Perduto”.

La catena dei Monti Sibillini, con i Piani di Castelluccio, il Lago di Pilato e la Grotta della Sibilla, per la loro caratteristica morfologica e per la loro bellezza naturale, evocano una serie di miti e leggende che affondano le radici tra le popolazioni arcaiche.I racconti si sono tramandati per secoli, di generazione in generazione, tra le popolazioni locali ed i pastori transumanti, che salivano verso questi monti per pascolare i loro greggi durante la stagione estiva.Queste leggende sono anche entrate ufficialmente a far parte della letteratura epica cavalleresca, di carattere colto, in quasi tutte le nazioni europee, grazie a degli scrittori che in rima o in prosa l'hanno immortalate nei secoli XV e XVI.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

LE LEGGENDE DEI MONTI SIBILLINI

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Le “Fate” erano le ancelle e cortigiane della Regina Sibilla, che molto spesso scendevano nei paesi circostanti per ammaliare i giovani pastori del luogo, senza far capire che sotto la loro apparente bellezza nascondevano un aspetto demoniaco, dato dai piedi caprini, con i quali potevano rientrare velocemente nella loro dimora.Una volta essendosi attardate con gli amanti a Castelluccio, per la fretta percorsero il fianco del Monte Vettore, tracciando quella che ancora oggi è chiamata la “Strada delle Fate".

2120

Il Lago di Pilato prende il nome dal procuratore romano Ponzio Pilato, reo per i cristiani di aver lasciato mettere a morte Gesù Cristo, lavandosi le mani per la sua ultima sorte. Il suo cadavere, trainato da buoi, fu scaraventato in fondo al lago e per questo motivo è diventato luogo magico per incontri e convegni di maghi e negromanti.

Page 22: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

ANTENNA DI

Il Cardinale cui fa riferimento il tematismo è Fausto Poli, nato ad Usigni di Poggiodomo sul finire del secolo XVI. Questo prestigioso personaggio, segretario di papa Urbano VIII, testimonia un fenomeno socio-economico specifico del secolo XVII che ha improntato in maniera decisiva l'aspetto urbanistico e paesaggistico della dorsale appenninica umbra.Il secolo XVII è delimitato, in questa area montana, da due forti terremoti, quello del 1599 e quello del 1703, che stabiliscono l'inizio e la fine di questo periodo di forti trasformazioni, noto anche come reinfeudamento.I grandi aggregati urbani, sconvolti dalla crisi economica creata dai metalli preziosi provenienti dalle Americhe e dalle continue pestilenze, si spopolano a favore di queste aree montane, sicuramente più salubri, e dove si può investire nell'unico bene certo a prova di inflazione: la terra. L'arrivo di facoltosi personaggi, perlopiù oriundi, cambia l'aspetto di quasi tutti i paesi che costellano questa area: le antiche abitazioni si ristrutturano in palazzetti, altri se ne costruiscono ex novo, tutti improntati ad un gusto tardo rinascimentale. Gran parte delle chiese vengono ampliate, restaurate ed arricchite da opere d'arte in coerenza con i dettati del Concilio di Trento.Il fenomeno si riverbera anche sul miglioramento viario soprattutto nei collegamenti verso Roma. Il cardinale Fausto Poli, forte del suo prestigio presso il Vaticano, fu instancabile e munifico esponente di questo rinnovamento utilizzando architetti, artisti e maestranze che al tempo operavano presso la Fabbrica di San Pietro.

Le maggiori trasformazioni urbanistiche interessarono soprattutto i territori di Norcia, Cascia, Monteleone di Spoleto, Poggiodomo, Preci, Cerreto di Spoleto e Sellano. I centri storici di queste cittadine subiscono un profondo cambiamento di fisionomia che ne cancella quasi gli aspetti medievali.I successivi rifacimenti, quasi sempre dovuti a terremoti, hanno comunque mantenuto gli assetti urbanistici mutuati in questo secolo XVII. Un esempio per tutti il prospetto di Palazzo Acicca a Norcia.

Il rinnovamento edilizio del secolo XVII interessò gran parte delle chiese, che furono adeguate ai nuovi stili liturgici secondo i dettami del Concilio di Trento.Dalle famiglie nobili e borghesi furono realizzati numerosi altari che mostravano, con i loro arredi, la ricchezza e la potenza della famiglia.La chiesa parrocchiale di San Procolo di Avendita di Cascia è un paradigma: altare maggiore, altari laterali, pale d'altare, ricchezza di arredi lignei, sono tutti segnali che testimoniano il grande ed improvviso mutamento socio-economico.

POGGIODOMO

IL CARDINALEL’ EVOLUZIONE URBANISTICA DEL SECOLO XVII

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Fausto Poli (Usigni 1581-Orvieto 1653) fu Maggiordomo della Camera Apostolica e Prefetto del Palazzo del Laterano, con l’incarico di dirigere il cerimoniale di corte.In qualità di segretario privato del papa Urbano VIII, ebbe tra i suoi incarichi più importanti anche quello dell’acquisto di antiche opere d'arte e commissione di nuove opere, stando a stretto contatto con i maggiori artisti e pensatori dell’epoca.

Usigni è una piccola frazione del comune di Poggiodomo, posta su uno sperone roccioso della valle del Tessino, a quota 1000 m. s. l. m., il cui nucleo centrale è costituito da un castello feudale di poggio del secolo XI, appartenuto alla famiglia Barattali, che lo cedette a Spoleto nel 1276.Nei secoli successivi fu lungamente conteso dai comuni di Spoleto e Cascia e quindi più volte distrutto e restaurato.Rimase sotto il Comune di Cascia, come tutto il territorio circostante, fino alla costituzione, in epoca napoleonica, del comune di Poggiodomo. Del nucleo originario evidente è la porta medievale restaurata nel 1580, un nucleo di espansione cinquecentesca, a cui fa seguito la costruzione di palazzi e della chiesa parrocchiale, voluti dal cardinale Fausto Poli nel secolo XVII. Il Cardinale voleva trasformare, secondo il gusto umanistico, Usigni in una cittadina moderna importando modelli e stili in voga a Roma.

Lo scopo dell'antenna è quello di documentare gli assetti urbanistici dei centri della dorsale appenninica e le loro trasformazioni nei secoli.Filo conduttore è anche la figura e l'operato del cardinale Fausto Poli che proprio ad Usigni, nella chiesa di san Salvatore, ha lasciato una sorprendente quantità di arredi e suppellettili, paramenti sacri, argenterie, che testimoniano insieme il gusto del tempo e la dovizia di risorse economiche che furono investite in questi territori.

Fra i compiti dell'antenna di Usigni vi è quello di raccolta e documentazione della cartografia storica e moderna riguardante l'ampio territorio della dorsale appenninica umbra.L'attività laboratoriale connessa riguarda, oltre gli aspetti storici ed urbanistici, la capacità di lettura delle carte, il senso di orientamento e la individuazione di itinerari tematici, coerentemente alla vocazione di educazione ambientale che il comune di Poggiodomo ha da tempo avviato.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

USIGNI DI POGGIODOMO

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Poggiodomo è un antico castello di pendio a quota 974 m. s.l.m., risalente al secolo XIII, in gran parte distrutto dallo sfaldamento del terreno, con un borgo cinque-seicentesco, sorto fuori le mura, e successivamente ampliato fino ai nostri giorni. Il suo nome sta ad indicare la posizione elevata e l'attitudine alla coltivazione.Nel borgo si trovano case signorili usate come residenze estive per oriundi cittadini, che anticipano la vocazione turistico-ambientale di questo piccolo comune montano.

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Page 23: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

ANTENNA DI

Il Cardinale cui fa riferimento il tematismo è Fausto Poli, nato ad Usigni di Poggiodomo sul finire del secolo XVI. Questo prestigioso personaggio, segretario di papa Urbano VIII, testimonia un fenomeno socio-economico specifico del secolo XVII che ha improntato in maniera decisiva l'aspetto urbanistico e paesaggistico della dorsale appenninica umbra.Il secolo XVII è delimitato, in questa area montana, da due forti terremoti, quello del 1599 e quello del 1703, che stabiliscono l'inizio e la fine di questo periodo di forti trasformazioni, noto anche come reinfeudamento.I grandi aggregati urbani, sconvolti dalla crisi economica creata dai metalli preziosi provenienti dalle Americhe e dalle continue pestilenze, si spopolano a favore di queste aree montane, sicuramente più salubri, e dove si può investire nell'unico bene certo a prova di inflazione: la terra. L'arrivo di facoltosi personaggi, perlopiù oriundi, cambia l'aspetto di quasi tutti i paesi che costellano questa area: le antiche abitazioni si ristrutturano in palazzetti, altri se ne costruiscono ex novo, tutti improntati ad un gusto tardo rinascimentale. Gran parte delle chiese vengono ampliate, restaurate ed arricchite da opere d'arte in coerenza con i dettati del Concilio di Trento.Il fenomeno si riverbera anche sul miglioramento viario soprattutto nei collegamenti verso Roma. Il cardinale Fausto Poli, forte del suo prestigio presso il Vaticano, fu instancabile e munifico esponente di questo rinnovamento utilizzando architetti, artisti e maestranze che al tempo operavano presso la Fabbrica di San Pietro.

Le maggiori trasformazioni urbanistiche interessarono soprattutto i territori di Norcia, Cascia, Monteleone di Spoleto, Poggiodomo, Preci, Cerreto di Spoleto e Sellano. I centri storici di queste cittadine subiscono un profondo cambiamento di fisionomia che ne cancella quasi gli aspetti medievali.I successivi rifacimenti, quasi sempre dovuti a terremoti, hanno comunque mantenuto gli assetti urbanistici mutuati in questo secolo XVII. Un esempio per tutti il prospetto di Palazzo Acicca a Norcia.

Il rinnovamento edilizio del secolo XVII interessò gran parte delle chiese, che furono adeguate ai nuovi stili liturgici secondo i dettami del Concilio di Trento.Dalle famiglie nobili e borghesi furono realizzati numerosi altari che mostravano, con i loro arredi, la ricchezza e la potenza della famiglia.La chiesa parrocchiale di San Procolo di Avendita di Cascia è un paradigma: altare maggiore, altari laterali, pale d'altare, ricchezza di arredi lignei, sono tutti segnali che testimoniano il grande ed improvviso mutamento socio-economico.

POGGIODOMO

IL CARDINALEL’ EVOLUZIONE URBANISTICA DEL SECOLO XVII

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Fausto Poli (Usigni 1581-Orvieto 1653) fu Maggiordomo della Camera Apostolica e Prefetto del Palazzo del Laterano, con l’incarico di dirigere il cerimoniale di corte.In qualità di segretario privato del papa Urbano VIII, ebbe tra i suoi incarichi più importanti anche quello dell’acquisto di antiche opere d'arte e commissione di nuove opere, stando a stretto contatto con i maggiori artisti e pensatori dell’epoca.

Usigni è una piccola frazione del comune di Poggiodomo, posta su uno sperone roccioso della valle del Tessino, a quota 1000 m. s. l. m., il cui nucleo centrale è costituito da un castello feudale di poggio del secolo XI, appartenuto alla famiglia Barattali, che lo cedette a Spoleto nel 1276.Nei secoli successivi fu lungamente conteso dai comuni di Spoleto e Cascia e quindi più volte distrutto e restaurato.Rimase sotto il Comune di Cascia, come tutto il territorio circostante, fino alla costituzione, in epoca napoleonica, del comune di Poggiodomo. Del nucleo originario evidente è la porta medievale restaurata nel 1580, un nucleo di espansione cinquecentesca, a cui fa seguito la costruzione di palazzi e della chiesa parrocchiale, voluti dal cardinale Fausto Poli nel secolo XVII. Il Cardinale voleva trasformare, secondo il gusto umanistico, Usigni in una cittadina moderna importando modelli e stili in voga a Roma.

Lo scopo dell'antenna è quello di documentare gli assetti urbanistici dei centri della dorsale appenninica e le loro trasformazioni nei secoli.Filo conduttore è anche la figura e l'operato del cardinale Fausto Poli che proprio ad Usigni, nella chiesa di san Salvatore, ha lasciato una sorprendente quantità di arredi e suppellettili, paramenti sacri, argenterie, che testimoniano insieme il gusto del tempo e la dovizia di risorse economiche che furono investite in questi territori.

Fra i compiti dell'antenna di Usigni vi è quello di raccolta e documentazione della cartografia storica e moderna riguardante l'ampio territorio della dorsale appenninica umbra.L'attività laboratoriale connessa riguarda, oltre gli aspetti storici ed urbanistici, la capacità di lettura delle carte, il senso di orientamento e la individuazione di itinerari tematici, coerentemente alla vocazione di educazione ambientale che il comune di Poggiodomo ha da tempo avviato.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

USIGNI DI POGGIODOMO

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Poggiodomo è un antico castello di pendio a quota 974 m. s.l.m., risalente al secolo XIII, in gran parte distrutto dallo sfaldamento del terreno, con un borgo cinque-seicentesco, sorto fuori le mura, e successivamente ampliato fino ai nostri giorni. Il suo nome sta ad indicare la posizione elevata e l'attitudine alla coltivazione.Nel borgo si trovano case signorili usate come residenze estive per oriundi cittadini, che anticipano la vocazione turistico-ambientale di questo piccolo comune montano.

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Page 24: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

Nelle decorazioni della chiesa, sui tessuti e nelle argenterie compaiono frequentemente le api che il Cardinale mutua dallo stemma della famiglia Barberini alla quale fu particolarmente legato. Il rapporto del cardinale Poli con il papa Urbano VIII ebbe il suo esordio fin dal 1610 quando, Maffeo Barberini, allora vescovo di Spoleto, lo chiamò come segretario particolare.Quando il Barberini divenne papa, da Spoleto si portò dietro un folto gruppo di personaggi che poi furono occupati nelle più svariate attività della Curia romana e tra questi, naturalmente, il suo segretario Fausto Poli. Il Poli quando divenne cardinale poté inserire nel proprio stemma le tre api dei Barberini in omaggio al suo protettore. La chiesa di san Salvatore, esempio di barocco romano, fu costruita nel

1644 grazie alla munificenza del cardinale Fausto Poli, su progetto di Gian Lorenzo Bernini. La facciata a due ordini è ancora di stile cinquecentesco. L'interno è a navata unica con cappelle laterali entro arconi e presbiterio rialzato.Negli altari sono collocati dipinti di Salvi Castellucci, Guidobaldo Abbatini e altri pittori seguaci di Pietro da Cortona, che in tale periodo erano attivi presso la corte papale e che il cardinale Fausto Poli e il nipote Sisinio invitarono ad operare in queste zone.

In uno spazio adiacente alla chiesa parrocchiale ed al palazzo del Cardinale si trova la cisterna fatta realizzare dal cardinale Fausto Poli, impreziosita dai parapetti modanati e dallo stemma della famiglia Poli scolpito sul fronte.Le cisterne erano un tempo le uniche fonti di approvvigionamento idrico per i centri abitati che non disponevano di acqua corrente entro le mura; vi si canalizzavano le acque piovane dei tetti e costituivano una riserva di acqua utilizzata per lo più a scopi domestici e per provvedere agli animali.

UNA ECCELLENZA LOCALE

LA CHIESA DI SAN SALVATORE

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Il castello di Preci per ben due volte, nel corso del secolo XVI, fu distrutto da Norcia, onde piegare le sue mire autonomistiche.Contemporaneamente la fama dei chirurghi preciani si andava diffondendo praticamente in tutta Europa ed il loro intervento era richiesto fin dalle più importanti corti reali rendendoli, presumibilmente, molto facoltosi.Fu quindi abbastanza facile per questi chirurghi, appartenenti ad una trentina di famiglie, finanziare la ricostruzione del paese, che tra la fine del secolo XVI e per tutto quello successivo si arricchì anche di numerose residenze di pregio, dotando il paese di un patrimonio edilizio la cui qualità difficilmente si riscontra in altri centri cittadini circostanti.

L'opulenza dei chirurghi preciani era motivo di vanto tanto che una certa tradizione locale vuole che il chirurgo Cesare Scacchi affermasse di aver costruito la propria casa con solo tre pietre, intendendo con ciò che non si riferiva ai materiali di costruzione, ma ai proventi derivati probabilmente dall'aver estratto, con successo, tre calcoli dalla vescica di qualche facoltoso paziente.

Le famiglie di chirurghi che nel corso del secolo XVII hanno rinnovato e abbellito la propria residenza a Preci sono: Accoramboni, Amici, Alessi, Angelucci, Arcangeli, Bachetoni, Benevoli, Bitozzi, Blasi, Bonajuti, Brunetti, Bonini, Buonaggiunti, Carocci, Catani, Colantoni, Corradi, Coramboni, Isoldi, Lapi, Marini, Mattioli, Mensurati, Montani, Pedoni, Petrazzi, Petrucci, Salimbeni, Scacchi e Serantoni.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

I PALAZZETTI DI PRECI

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Le abitazioni dei chirurghi, tutte caratterizzate da importanti portali di pietra, si distinguono per la ricchezza di stemmi, cornici di porte e finestre con iscrizioni e motti classici. 2524

Ricchissimi sono anche gli arredi e le suppellettili appartenenti a questa chiesa donate dal cardinale Poli e dai suoi congiunti. Spicca per la qualità e la quantità la collezione di manufatti tessili e quella delle argenterie, per la maggior parte attualmente conservate nel Museo Arcivescovile di Spoleto.

Page 25: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

Nelle decorazioni della chiesa, sui tessuti e nelle argenterie compaiono frequentemente le api che il Cardinale mutua dallo stemma della famiglia Barberini alla quale fu particolarmente legato. Il rapporto del cardinale Poli con il papa Urbano VIII ebbe il suo esordio fin dal 1610 quando, Maffeo Barberini, allora vescovo di Spoleto, lo chiamò come segretario particolare.Quando il Barberini divenne papa, da Spoleto si portò dietro un folto gruppo di personaggi che poi furono occupati nelle più svariate attività della Curia romana e tra questi, naturalmente, il suo segretario Fausto Poli. Il Poli quando divenne cardinale poté inserire nel proprio stemma le tre api dei Barberini in omaggio al suo protettore. La chiesa di san Salvatore, esempio di barocco romano, fu costruita nel

1644 grazie alla munificenza del cardinale Fausto Poli, su progetto di Gian Lorenzo Bernini. La facciata a due ordini è ancora di stile cinquecentesco. L'interno è a navata unica con cappelle laterali entro arconi e presbiterio rialzato.Negli altari sono collocati dipinti di Salvi Castellucci, Guidobaldo Abbatini e altri pittori seguaci di Pietro da Cortona, che in tale periodo erano attivi presso la corte papale e che il cardinale Fausto Poli e il nipote Sisinio invitarono ad operare in queste zone.

In uno spazio adiacente alla chiesa parrocchiale ed al palazzo del Cardinale si trova la cisterna fatta realizzare dal cardinale Fausto Poli, impreziosita dai parapetti modanati e dallo stemma della famiglia Poli scolpito sul fronte.Le cisterne erano un tempo le uniche fonti di approvvigionamento idrico per i centri abitati che non disponevano di acqua corrente entro le mura; vi si canalizzavano le acque piovane dei tetti e costituivano una riserva di acqua utilizzata per lo più a scopi domestici e per provvedere agli animali.

UNA ECCELLENZA LOCALE

LA CHIESA DI SAN SALVATORE

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Il castello di Preci per ben due volte, nel corso del secolo XVI, fu distrutto da Norcia, onde piegare le sue mire autonomistiche.Contemporaneamente la fama dei chirurghi preciani si andava diffondendo praticamente in tutta Europa ed il loro intervento era richiesto fin dalle più importanti corti reali rendendoli, presumibilmente, molto facoltosi.Fu quindi abbastanza facile per questi chirurghi, appartenenti ad una trentina di famiglie, finanziare la ricostruzione del paese, che tra la fine del secolo XVI e per tutto quello successivo si arricchì anche di numerose residenze di pregio, dotando il paese di un patrimonio edilizio la cui qualità difficilmente si riscontra in altri centri cittadini circostanti.

L'opulenza dei chirurghi preciani era motivo di vanto tanto che una certa tradizione locale vuole che il chirurgo Cesare Scacchi affermasse di aver costruito la propria casa con solo tre pietre, intendendo con ciò che non si riferiva ai materiali di costruzione, ma ai proventi derivati probabilmente dall'aver estratto, con successo, tre calcoli dalla vescica di qualche facoltoso paziente.

Le famiglie di chirurghi che nel corso del secolo XVII hanno rinnovato e abbellito la propria residenza a Preci sono: Accoramboni, Amici, Alessi, Angelucci, Arcangeli, Bachetoni, Benevoli, Bitozzi, Blasi, Bonajuti, Brunetti, Bonini, Buonaggiunti, Carocci, Catani, Colantoni, Corradi, Coramboni, Isoldi, Lapi, Marini, Mattioli, Mensurati, Montani, Pedoni, Petrazzi, Petrucci, Salimbeni, Scacchi e Serantoni.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

I PALAZZETTI DI PRECI

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Le abitazioni dei chirurghi, tutte caratterizzate da importanti portali di pietra, si distinguono per la ricchezza di stemmi, cornici di porte e finestre con iscrizioni e motti classici. 2524

Ricchissimi sono anche gli arredi e le suppellettili appartenenti a questa chiesa donate dal cardinale Poli e dai suoi congiunti. Spicca per la qualità e la quantità la collezione di manufatti tessili e quella delle argenterie, per la maggior parte attualmente conservate nel Museo Arcivescovile di Spoleto.

Page 26: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

ANTENNA DI

Il farro è uno dei più antichi cereali utilizzati dall'uomo. Esistono varie specie di farro e quella che si coltiva a Monteleone di Spoleto, denominata Triticum dicoccum è la più pregiata.La diffusione del farro nella zona di Monteleone di Spoleto è attestata anche dagli appellativi di "mangiafarre" o "farrari de san Nicola" con cui gli abitanti dei comuni vicini indicavano un tempo i monteleonesi. Quest'ultima denominazione fa riferimento al caratteristico rituale del "Farro di san Nicola", che si svolge da tempo immemorabile il 5 dicembre, in occasione della vigilia della ricorrenza del Santo patrono del paese.I luoghi di media ed alta montagna, abitati fin dall'antichità, sono stati profondamente scalfiti dal lavoro dell'uomo che ha strappato alla natura gran parte del territorio boschivo, addomesticandolo e rendendolo compatibile all'agricoltura e all'allevamento.

Il farro di Monteleone di Spoleto, che ha ottenuto il riconoscimento DOP, viene coltivato su terreni di montagna, spesso poco fertili, in quanto ha un notevole accrescimento e i terreni troppo ricchi ne provocherebbero l'allettamento.Viene seminato in primavera e raccolto durante il mese di agosto, perché ha un periodo di maturazione più lungo di quello del grano. Le innovazioni tecnologiche in campo agricolo non hanno modificato sostanzialmente, data l'asperità dei terreni, l'aspetto del paesaggio.

Il 5 dicembre, il parroco prepara nella canonica della chiesa di san Nicola una minestra di farro con sugo di magro, in un grande caldaio appeso sul focolare e distribuita a mezzogiorno agli abitanti di Monteleone, a cominciare dai bambini, destinatari privilegiati.Il rituale vuole ricordare il miracolo che la tradizione attribuisce al vescovo san Nicola che, passando per Monteleone, impressionato dalla indigenza dei suoi abitanti, avrebbe regalato del farro per sfamare i poveri. Proprio la permanenza di questo singolare rituale ha favorito la continuità della sua coltura a Monteleone.

MONTELEONE DI SPOLETO

IL FARROIL PAESAGGIO AGRARIO E LE PRODUZIONI AGRICOLE DI QUALITA’

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Monteleone di Spoleto è costituito da un castello di poggio sovrastante la valle del Corno, edificato a 978 m. s. l. m. e risalente al 1265, quando fu fondato al posto di alcune rocche feudali circostanti, attualmente distrutte.Il paese ha avuto poi una successiva espansione con il borgo, iniziata nel secolo XV e caratterizzata da edifici a schiera delimitati da strade ortogonali, poi inglobati nella seconda cerchia di mura, quando fu diviso nei rioni di san Nicola, santa Maria e san Giacomo. La denominazione gli deriva dalla morfologia che ricorda un leone accovacciato, animale presente anche nello stemma comunale.La leggenda attribuisce la sua fondazione ad alcuni nobili componenti della famiglia dei Tiberti, antichi feudatari dei territori del gastaldato longobardo Equano; divenne in breve libero comune, in posizione strategica ai confini con il regno di Napoli.La sua importanza si deve alla presenza di alcuni giacimenti minerari di ferro, con conseguenti attività estrattive ed opifici per la lavorazione, unici un tempo in tutto lo Stato Pontificio.

La chiesa conventuale di san Francesco è la più importante di Monteleone; la sua origine si fa risalire alla fine del secolo XIII, ad opera dei frati francescani che la edificarono sopra un insediamento benedettino già dedicato alla Madonna, inserita in un complesso che comprende i locali dell'ex convento e le due cappelle della Madonna della Concezione e di sant'Antonio.La facciata è ornata da un portale ogivale; l'interno conserva affreschi dei secoli XIV, XV e XVI, tele seicentesche, sculture, lapidi varie ed un organo del secolo XVII.

All'interno del complesso di san Francesco trova la sua collocazione l'antenna dell'Ecomuseo della Valnerina dedicata al farro, al paesaggio agrario e alle produzioni agricole di qualità della dorsale appenninica umbra.L'attività laboratoriale è rivolta all'analisi del paesaggio agrario, delle sue trasformazioni e soprattutto alla coltivazione, conservazione ed utilizzo dei prodotti tipici locali.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

MONTELEONE DI SPOLETO

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Questo paesaggio “artificiale” mantiene ben evidente gli antichi castellieri italici, le centuriazioni romane, i disboscamenti e le recinzioni medievali, il tutto collegato con una straordinaria ramificazione di sentieri, molti dei quali ancora perfettamente percorribili.L'insieme delle sovrapposizioni storiche e delle zone climatiche costituiscono il variegato paesaggio agrario.

Page 27: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

ANTENNA DI

Il farro è uno dei più antichi cereali utilizzati dall'uomo. Esistono varie specie di farro e quella che si coltiva a Monteleone di Spoleto, denominata Triticum dicoccum è la più pregiata.La diffusione del farro nella zona di Monteleone di Spoleto è attestata anche dagli appellativi di "mangiafarre" o "farrari de san Nicola" con cui gli abitanti dei comuni vicini indicavano un tempo i monteleonesi. Quest'ultima denominazione fa riferimento al caratteristico rituale del "Farro di san Nicola", che si svolge da tempo immemorabile il 5 dicembre, in occasione della vigilia della ricorrenza del Santo patrono del paese.I luoghi di media ed alta montagna, abitati fin dall'antichità, sono stati profondamente scalfiti dal lavoro dell'uomo che ha strappato alla natura gran parte del territorio boschivo, addomesticandolo e rendendolo compatibile all'agricoltura e all'allevamento.

Il farro di Monteleone di Spoleto, che ha ottenuto il riconoscimento DOP, viene coltivato su terreni di montagna, spesso poco fertili, in quanto ha un notevole accrescimento e i terreni troppo ricchi ne provocherebbero l'allettamento.Viene seminato in primavera e raccolto durante il mese di agosto, perché ha un periodo di maturazione più lungo di quello del grano. Le innovazioni tecnologiche in campo agricolo non hanno modificato sostanzialmente, data l'asperità dei terreni, l'aspetto del paesaggio.

Il 5 dicembre, il parroco prepara nella canonica della chiesa di san Nicola una minestra di farro con sugo di magro, in un grande caldaio appeso sul focolare e distribuita a mezzogiorno agli abitanti di Monteleone, a cominciare dai bambini, destinatari privilegiati.Il rituale vuole ricordare il miracolo che la tradizione attribuisce al vescovo san Nicola che, passando per Monteleone, impressionato dalla indigenza dei suoi abitanti, avrebbe regalato del farro per sfamare i poveri. Proprio la permanenza di questo singolare rituale ha favorito la continuità della sua coltura a Monteleone.

MONTELEONE DI SPOLETO

IL FARROIL PAESAGGIO AGRARIO E LE PRODUZIONI AGRICOLE DI QUALITA’

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Monteleone di Spoleto è costituito da un castello di poggio sovrastante la valle del Corno, edificato a 978 m. s. l. m. e risalente al 1265, quando fu fondato al posto di alcune rocche feudali circostanti, attualmente distrutte.Il paese ha avuto poi una successiva espansione con il borgo, iniziata nel secolo XV e caratterizzata da edifici a schiera delimitati da strade ortogonali, poi inglobati nella seconda cerchia di mura, quando fu diviso nei rioni di san Nicola, santa Maria e san Giacomo. La denominazione gli deriva dalla morfologia che ricorda un leone accovacciato, animale presente anche nello stemma comunale.La leggenda attribuisce la sua fondazione ad alcuni nobili componenti della famiglia dei Tiberti, antichi feudatari dei territori del gastaldato longobardo Equano; divenne in breve libero comune, in posizione strategica ai confini con il regno di Napoli.La sua importanza si deve alla presenza di alcuni giacimenti minerari di ferro, con conseguenti attività estrattive ed opifici per la lavorazione, unici un tempo in tutto lo Stato Pontificio.

La chiesa conventuale di san Francesco è la più importante di Monteleone; la sua origine si fa risalire alla fine del secolo XIII, ad opera dei frati francescani che la edificarono sopra un insediamento benedettino già dedicato alla Madonna, inserita in un complesso che comprende i locali dell'ex convento e le due cappelle della Madonna della Concezione e di sant'Antonio.La facciata è ornata da un portale ogivale; l'interno conserva affreschi dei secoli XIV, XV e XVI, tele seicentesche, sculture, lapidi varie ed un organo del secolo XVII.

All'interno del complesso di san Francesco trova la sua collocazione l'antenna dell'Ecomuseo della Valnerina dedicata al farro, al paesaggio agrario e alle produzioni agricole di qualità della dorsale appenninica umbra.L'attività laboratoriale è rivolta all'analisi del paesaggio agrario, delle sue trasformazioni e soprattutto alla coltivazione, conservazione ed utilizzo dei prodotti tipici locali.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

MONTELEONE DI SPOLETO

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Questo paesaggio “artificiale” mantiene ben evidente gli antichi castellieri italici, le centuriazioni romane, i disboscamenti e le recinzioni medievali, il tutto collegato con una straordinaria ramificazione di sentieri, molti dei quali ancora perfettamente percorribili.L'insieme delle sovrapposizioni storiche e delle zone climatiche costituiscono il variegato paesaggio agrario.

Page 28: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

La storia del ritrovamento della biga ha assunto via via contorni leggendari. Dati certi sono l'anno del rinvenimento, il 1902, il luogo, l'aia di casale Colle del Capitano e il fortuito scopritore, il contadino Isidoro Vannozzi.Quest'ultimo, dovendo realizzare un'aia davanti al casale, mentre procedeva nei lavori di scavo, si trovò, a causa di un improvviso crollo, alla presenza di un grande ambiente, che subito individuò come tomba.L'interno era stracolmo di oggetti, alcuni dei quali la famiglia del contadino cercò maldestramente di riutilizzare come teglie da forno, che essendo di bronzo fondevano. Su tutto spiccava un carro a due ruote con delle belle scene che alla luce del sole mandavano riflessi d'oro.Altrettanto leggendari sono i successivi passaggi di mano della biga, da Monteleone a New York. Isidoro Vannozzi dette notizia del ritrovamento e della sua disponibilità ad una eventuale vendita alla fiera di “Sienti 'n può'” a Norcia.Il giorno dopo il rigattiere Petrangeli di Norcia andò a Colle del Capitano e acquistò tutto il materiale rinvenuto. Isidoro Vannozzi con il ricavato poté sistemare il casale e provvedere il tetto di nuovi coppi. Una parte dei materiali furono esposti per diverso tempo presso la bottega di un barbiere di via del Corso a Roma. La notizia del ritrovamento giunse fin in Parlamento, dove l'onorevole Carlo Schanzer, deputato per l'Umbria, fece una interpellanza per l'acquisto. Il crollo del campanile di san Marco a Venezia dirottò tutti i fondi ministeriali e l'acquisto non venne più effettuato. Bruschi, antiquario fiorentino ne approfittò, acquistando i materiali archeologici e rivendendoli ad un antiquario di Lione e questi al procuratore del Metropolitan Museum.I p r e z i o s i m a t e r i a l i , c o m p r e s a l a b i g a , opportunamente smontata, arrivarono in America dentro barili di grano. Il comune di Monteleone ha da alcuni anni intrapreso una causa internazionale contro il Museo americano per esportazione illegale.

La biga di Monteleone di Spoleto è un antico reperto del VI secolo a. C., tornato alla luce nel 1902, in località Colle del Capitano e ritrovato all'interno di una tomba a tumulo. Essa fu rinvenuta insieme ad altri oggetti rituali ed ai corpi di un uomo e di una donna. La biga è realizzata in legno di noce, interamente ricoperto di lamine in bronzo dorato e decorata con raffinate figurazioni a sbalzo, principalmente nei tre pannelli arrotondati del corpo centrale, dove si vedono alcune scene della vita di Achille.L'importante reperto presenta tratti assimilabili alla cultura greca ed etrusca anche se l'ambito del ritrovamento attiene alla cultura umbro-italica, che proprio in queste zone ha avuto il suo sviluppo.Il carro rientra in quella serie di oggetti di tipo sontuoso che avevano una funzione puramente rappresentativa; carri del genere erano infatti utilizzati solamente nelle parate e nei cortei trionfali ed accompagnavano nella tomba i loro possessori.L'importante reperto è attualmente conservato presso Metropolitan Museum of Art di New York , mentre a Monteleone di Spoleto è esposta una copia, realizzata in epoca recente, nei locali del complesso architettonico di san Francesco.

UNA ECCELLENZA LOCALE

LA BIGA DI MONTELEONE

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La coltivazione di alcuni prodotti tipici della Valnerina avviene principalmente negli altopiani di montagna, dove la povertà della terra ed il clima difficile conferiscono a questi alimenti un valore aggiunto dato dalle straordinarie qualità climatiche e dalla sapienza dei metodi di coltivazione.

Una varietà di fagioli che è stata riscoperta solo recentemente e che comincia ad avere una buona produzione e mercato, anche per sue ottime qualità, è quella de “le monichelle”. Si tratta di un rarissimo fagiolo di origine andina, dal pigmento bianco con macchie scure che ricordano l'abito di alcuni ordini di religiosi. Di facile cottura e di molto buon gusto è stato rinvenuto fortunosamente nella zona del vissano ed è stato reimpiantato grazie a ricercatori del CEDRAV.

La roveja è un pisello selvatico molto raro la cui coltivazione può avvenire in alta montagna in aree al disopra dei mille metri.Questa inerzia alimentare si è conservata in quanto cibo rituale della comunità di Castelluccio nel periodo quaresimale. L'utilizzo tradizionale, nella pietanza della “farrecchiata” è sotto forma di farina cotta a polenta condita con olio, aglio e acciughe, ma si fa apprezzare, nelle moderne rielaborazioni, anche cucinata intera.Il nome locale del legume è quello di “roveja”, ma è detto anche “rubilia” o “corvello” ed è ora coltivato anche nel territorio di Cascia; recentemente è divenuto presidio Slow Food.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

I PRODOTTI TIPICI

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In tutto il territorio della Valnerina viene prodotta la lenticchia di alta qualità, anche se la più conosciuta è quella di Castelluccio di Norcia. La qualità di questo legume dipende dalle caratteristiche pedologiche dei terreni, ma soprattutto dalle condizioni climatiche derivanti dall'altezza sul livello del mare.La lenticchia di Castelluccio, riconosciuta con il marchio IGP, coltivata a 1400 metri di altezza, origina semi la cui caratteristica è quella di essere piccoli, inattaccabili dai parassiti e che hanno conquistato una larga rinomanza per il sapore e la facilità di cottura. Riconosciuto simbolo di abbondanza, la lenticchia viene tradizionalmente consumata la sera di Capodanno.

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Lo zafferano di Cascia, zafferano purissimo dell'Umbria, è una spezia inserita nell'elenco dei prodotti tradizionali della regione. La coltivazione di questa spezia viene svolta interamente a mano su terreni particolarmente drenati. Nel mese di ottobre si raccolgono i fiori dai quali mediante la sfioratura si ricavano gli stimmi che, essiccati alla brace, costituiscono la spezia. Da sempre lo zafferano è stato equiparato, per la preziosità ed il valore economico, all'oro.

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La storia del ritrovamento della biga ha assunto via via contorni leggendari. Dati certi sono l'anno del rinvenimento, il 1902, il luogo, l'aia di casale Colle del Capitano e il fortuito scopritore, il contadino Isidoro Vannozzi.Quest'ultimo, dovendo realizzare un'aia davanti al casale, mentre procedeva nei lavori di scavo, si trovò, a causa di un improvviso crollo, alla presenza di un grande ambiente, che subito individuò come tomba.L'interno era stracolmo di oggetti, alcuni dei quali la famiglia del contadino cercò maldestramente di riutilizzare come teglie da forno, che essendo di bronzo fondevano. Su tutto spiccava un carro a due ruote con delle belle scene che alla luce del sole mandavano riflessi d'oro.Altrettanto leggendari sono i successivi passaggi di mano della biga, da Monteleone a New York. Isidoro Vannozzi dette notizia del ritrovamento e della sua disponibilità ad una eventuale vendita alla fiera di “Sienti 'n può'” a Norcia.Il giorno dopo il rigattiere Petrangeli di Norcia andò a Colle del Capitano e acquistò tutto il materiale rinvenuto. Isidoro Vannozzi con il ricavato poté sistemare il casale e provvedere il tetto di nuovi coppi. Una parte dei materiali furono esposti per diverso tempo presso la bottega di un barbiere di via del Corso a Roma. La notizia del ritrovamento giunse fin in Parlamento, dove l'onorevole Carlo Schanzer, deputato per l'Umbria, fece una interpellanza per l'acquisto. Il crollo del campanile di san Marco a Venezia dirottò tutti i fondi ministeriali e l'acquisto non venne più effettuato. Bruschi, antiquario fiorentino ne approfittò, acquistando i materiali archeologici e rivendendoli ad un antiquario di Lione e questi al procuratore del Metropolitan Museum.I p r e z i o s i m a t e r i a l i , c o m p r e s a l a b i g a , opportunamente smontata, arrivarono in America dentro barili di grano. Il comune di Monteleone ha da alcuni anni intrapreso una causa internazionale contro il Museo americano per esportazione illegale.

La biga di Monteleone di Spoleto è un antico reperto del VI secolo a. C., tornato alla luce nel 1902, in località Colle del Capitano e ritrovato all'interno di una tomba a tumulo. Essa fu rinvenuta insieme ad altri oggetti rituali ed ai corpi di un uomo e di una donna. La biga è realizzata in legno di noce, interamente ricoperto di lamine in bronzo dorato e decorata con raffinate figurazioni a sbalzo, principalmente nei tre pannelli arrotondati del corpo centrale, dove si vedono alcune scene della vita di Achille.L'importante reperto presenta tratti assimilabili alla cultura greca ed etrusca anche se l'ambito del ritrovamento attiene alla cultura umbro-italica, che proprio in queste zone ha avuto il suo sviluppo.Il carro rientra in quella serie di oggetti di tipo sontuoso che avevano una funzione puramente rappresentativa; carri del genere erano infatti utilizzati solamente nelle parate e nei cortei trionfali ed accompagnavano nella tomba i loro possessori.L'importante reperto è attualmente conservato presso Metropolitan Museum of Art di New York , mentre a Monteleone di Spoleto è esposta una copia, realizzata in epoca recente, nei locali del complesso architettonico di san Francesco.

UNA ECCELLENZA LOCALE

LA BIGA DI MONTELEONE

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La coltivazione di alcuni prodotti tipici della Valnerina avviene principalmente negli altopiani di montagna, dove la povertà della terra ed il clima difficile conferiscono a questi alimenti un valore aggiunto dato dalle straordinarie qualità climatiche e dalla sapienza dei metodi di coltivazione.

Una varietà di fagioli che è stata riscoperta solo recentemente e che comincia ad avere una buona produzione e mercato, anche per sue ottime qualità, è quella de “le monichelle”. Si tratta di un rarissimo fagiolo di origine andina, dal pigmento bianco con macchie scure che ricordano l'abito di alcuni ordini di religiosi. Di facile cottura e di molto buon gusto è stato rinvenuto fortunosamente nella zona del vissano ed è stato reimpiantato grazie a ricercatori del CEDRAV.

La roveja è un pisello selvatico molto raro la cui coltivazione può avvenire in alta montagna in aree al disopra dei mille metri.Questa inerzia alimentare si è conservata in quanto cibo rituale della comunità di Castelluccio nel periodo quaresimale. L'utilizzo tradizionale, nella pietanza della “farrecchiata” è sotto forma di farina cotta a polenta condita con olio, aglio e acciughe, ma si fa apprezzare, nelle moderne rielaborazioni, anche cucinata intera.Il nome locale del legume è quello di “roveja”, ma è detto anche “rubilia” o “corvello” ed è ora coltivato anche nel territorio di Cascia; recentemente è divenuto presidio Slow Food.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

I PRODOTTI TIPICI

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In tutto il territorio della Valnerina viene prodotta la lenticchia di alta qualità, anche se la più conosciuta è quella di Castelluccio di Norcia. La qualità di questo legume dipende dalle caratteristiche pedologiche dei terreni, ma soprattutto dalle condizioni climatiche derivanti dall'altezza sul livello del mare.La lenticchia di Castelluccio, riconosciuta con il marchio IGP, coltivata a 1400 metri di altezza, origina semi la cui caratteristica è quella di essere piccoli, inattaccabili dai parassiti e che hanno conquistato una larga rinomanza per il sapore e la facilità di cottura. Riconosciuto simbolo di abbondanza, la lenticchia viene tradizionalmente consumata la sera di Capodanno.

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Lo zafferano di Cascia, zafferano purissimo dell'Umbria, è una spezia inserita nell'elenco dei prodotti tradizionali della regione. La coltivazione di questa spezia viene svolta interamente a mano su terreni particolarmente drenati. Nel mese di ottobre si raccolgono i fiori dai quali mediante la sfioratura si ricavano gli stimmi che, essiccati alla brace, costituiscono la spezia. Da sempre lo zafferano è stato equiparato, per la preziosità ed il valore economico, all'oro.

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ANTENNA DI

I temi della devozione cadenzano l'intero ciclo dell'anno e quello della vita. L'antenna ecomuseale di Cascia trova questa specializzazione per il fatto di essere, da centinaia di anni, meta di devoti pellegrini che rivolgono a santa Rita richieste di grazie. La devozione si esplicita con manifestazioni collettive, appunto come il pellegrinaggio, le processioni, le celebrazioni e con momenti assolutamente intimi ed individuali, ma sempre legati ad una pratica che trova nella tradizione la propria liturgia.La devozione molto spesso implica l'offerta di un dono, alcune volte “propiziatorio” altre volte “per grazia ricevuta”. Gli oggetti devozionali raccontano in maniera sublime la consapevolezza delle scelte religiose, il sincretismo e la cultura materiale, che si esplicita nella scelta delle forme degli oggetti e della materia utilizzata.

Molto viva è stata la pratica devozionale del donare ex voto figurativi nei quali veniva rappresentata la scena dell'evento tragico da dove emergeva, quasi sempre in un nimbo, il patrono che ha dispensato il m i r a c o l o d e l l a s a l v e z z a , a cc o m p a g n a t o dall'acronimo PGR (Per Grazia Ricevuta).Nel solco di questa tradizione, ovviamente con il linguaggio dell'arte contemporanea, si colloca l'ex voto di Yves Klein che si reca alla fine degli anni '50 a Cascia e dona a santa Rita un cofanetto di plexiglass che sinteticamente racconta i suoi periodi artistici: il rosso, il blu e l'oro.

Caratteristica di ogni santuario è la presenza delle “bancarelle”, piccoli bazar stracolmi di oggetti devozionali, realizzati perlopiù in maniera industriale, secondo moduli standard che vengono adattati all'oggetto del culto locale.

CASCIA

LA DEVOZIONEPELLEGRINAGGIO E CULTO POPOLARE

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Fin dall'antichità il pellegrinaggio comportava anche il riportare nella propria dimora un ricordo del luogo sacro, molto spesso un elemento naturale raccolto nei pressi del santuario.Questa pratica ha nel corso del tempo sviluppato una vera e propria industria del “ricordino” prodotto, in maniera seriale, anche a notevole distanza dal luogo della devozione. Nell'epoca della globalizzazione gran parte di questi oggetti-ricordo proviene dai nuovi luoghi di produzione, distanti sia nello spazio che nella cultura.

La città sorge su di un colle in prossimità di un'ansa del fiume Corno, a quota 653 m. s. l. m., contornata interamente da rilievi montuosi, con una tipologia di castello di pendio.Di origini italiche fu un importante centro romano, come documentato da numerose testimonianze archeologiche. Sin dal secolo XII, Cascia fu libero comune e batté moneta propria, in seguito fece parte dello Stato Pontificio, conservando tuttavia una certa autonomia amministrativa.I secoli XIV e XV furono funestati da diverse lotte interne e nel 1465 il papa Paolo III fece erigere sulla sommità del Colle di Sant'Agostino una poderosa rocca che per alcuni decenni tenne a bada le belligeranti fazioni della città; la rocca fu poi distrutta nel 1517 per ordine del papa Leone X, dopo essere stata espugnata dai ribelli.Cascia fu infine elevata, nel 1596, al rango di città dal papa Clemente VIII. Nello stemma è rappresentata una donna, che stringe nelle mani un giglio ed una serpe.

Santa Margherita è un importante complesso monastico benedettino, composto dalla chiesa e dal monastero, retto da monache fino al secolo XIX. Con l'Unità d'Italia passò alle proprietà comunali e fu impropriamente usato anche come mattatoio. Restaurato recentemente è stato destinato a sede della locale raccolta etnografica e dell'antenna dell'Ecomuseo. Nel corso del restauro sono venuti alla luce, nel coro monastico interno, i resti di un ciclo di affreschi del secolo XV, con le storie della santa titolare.

Nella collezione etnografica di Giuseppe Bellucci, conservata presso il Museo Archeologico di Perugia, vi è un antico amuleto denominato “Diaspro di Cascia”, che testimonia l'antichità di questa vocazione territoriale. L'attenzione dell'antenna di Cascia è pertanto rivolta alla raccolta, catalogazione e riproposizione degli oggetti della devozione popolare, con una a t t e n z i o n e p a r t i c o l a r e , a g l i e x v o t o e a l l ' o g g e t t i s t i c a c o m m e r c i a l e . L' a t t i v i t à laboratoriale è concepita come ideazione di nuovi modelli degli oggetti della devozione, in sintonia con la cultura locale.

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ANTENNA DI

I temi della devozione cadenzano l'intero ciclo dell'anno e quello della vita. L'antenna ecomuseale di Cascia trova questa specializzazione per il fatto di essere, da centinaia di anni, meta di devoti pellegrini che rivolgono a santa Rita richieste di grazie. La devozione si esplicita con manifestazioni collettive, appunto come il pellegrinaggio, le processioni, le celebrazioni e con momenti assolutamente intimi ed individuali, ma sempre legati ad una pratica che trova nella tradizione la propria liturgia.La devozione molto spesso implica l'offerta di un dono, alcune volte “propiziatorio” altre volte “per grazia ricevuta”. Gli oggetti devozionali raccontano in maniera sublime la consapevolezza delle scelte religiose, il sincretismo e la cultura materiale, che si esplicita nella scelta delle forme degli oggetti e della materia utilizzata.

Molto viva è stata la pratica devozionale del donare ex voto figurativi nei quali veniva rappresentata la scena dell'evento tragico da dove emergeva, quasi sempre in un nimbo, il patrono che ha dispensato il m i r a c o l o d e l l a s a l v e z z a , a cc o m p a g n a t o dall'acronimo PGR (Per Grazia Ricevuta).Nel solco di questa tradizione, ovviamente con il linguaggio dell'arte contemporanea, si colloca l'ex voto di Yves Klein che si reca alla fine degli anni '50 a Cascia e dona a santa Rita un cofanetto di plexiglass che sinteticamente racconta i suoi periodi artistici: il rosso, il blu e l'oro.

Caratteristica di ogni santuario è la presenza delle “bancarelle”, piccoli bazar stracolmi di oggetti devozionali, realizzati perlopiù in maniera industriale, secondo moduli standard che vengono adattati all'oggetto del culto locale.

CASCIA

LA DEVOZIONEPELLEGRINAGGIO E CULTO POPOLARE

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Fin dall'antichità il pellegrinaggio comportava anche il riportare nella propria dimora un ricordo del luogo sacro, molto spesso un elemento naturale raccolto nei pressi del santuario.Questa pratica ha nel corso del tempo sviluppato una vera e propria industria del “ricordino” prodotto, in maniera seriale, anche a notevole distanza dal luogo della devozione. Nell'epoca della globalizzazione gran parte di questi oggetti-ricordo proviene dai nuovi luoghi di produzione, distanti sia nello spazio che nella cultura.

La città sorge su di un colle in prossimità di un'ansa del fiume Corno, a quota 653 m. s. l. m., contornata interamente da rilievi montuosi, con una tipologia di castello di pendio.Di origini italiche fu un importante centro romano, come documentato da numerose testimonianze archeologiche. Sin dal secolo XII, Cascia fu libero comune e batté moneta propria, in seguito fece parte dello Stato Pontificio, conservando tuttavia una certa autonomia amministrativa.I secoli XIV e XV furono funestati da diverse lotte interne e nel 1465 il papa Paolo III fece erigere sulla sommità del Colle di Sant'Agostino una poderosa rocca che per alcuni decenni tenne a bada le belligeranti fazioni della città; la rocca fu poi distrutta nel 1517 per ordine del papa Leone X, dopo essere stata espugnata dai ribelli.Cascia fu infine elevata, nel 1596, al rango di città dal papa Clemente VIII. Nello stemma è rappresentata una donna, che stringe nelle mani un giglio ed una serpe.

Santa Margherita è un importante complesso monastico benedettino, composto dalla chiesa e dal monastero, retto da monache fino al secolo XIX. Con l'Unità d'Italia passò alle proprietà comunali e fu impropriamente usato anche come mattatoio. Restaurato recentemente è stato destinato a sede della locale raccolta etnografica e dell'antenna dell'Ecomuseo. Nel corso del restauro sono venuti alla luce, nel coro monastico interno, i resti di un ciclo di affreschi del secolo XV, con le storie della santa titolare.

Nella collezione etnografica di Giuseppe Bellucci, conservata presso il Museo Archeologico di Perugia, vi è un antico amuleto denominato “Diaspro di Cascia”, che testimonia l'antichità di questa vocazione territoriale. L'attenzione dell'antenna di Cascia è pertanto rivolta alla raccolta, catalogazione e riproposizione degli oggetti della devozione popolare, con una a t t e n z i o n e p a r t i c o l a r e , a g l i e x v o t o e a l l ' o g g e t t i s t i c a c o m m e r c i a l e . L' a t t i v i t à laboratoriale è concepita come ideazione di nuovi modelli degli oggetti della devozione, in sintonia con la cultura locale.

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Luogo ritiano per eccellenza è il moderno Santuario realizzato negli anni a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, affrescato da importanti pittori degli anni '50: Ferrazzi, Filogamo, Ceracchini, Montanarini e Consadori; la sistemazione del presbiterio è di Giacomo Manzù, realizzata nel 1981, in occasione del centenario della nascita della Santa.Nella Basilica inferiore si conservano con la Reliquia di un Miracolo Eucaristico, i resti del beato Simone Fidati di Cascia e della beata Madre Maria Teresa Fasce, grande promotrice del culto di santa Rita a partire dalla sua santificazione; in un ampio spazio attrezzato sono collocati migliaia di ex voto.La Penitenzieria costituisce un itinerario penitenziale in quattro tappe, dall'accoglienza alla riconciliazione, ispirato alle nuove direttive penitenziali dettate dal Concilio Vaticano II. Mantiene l'originario aspetto l'annesso monastero, dove dimorano tutt'ora le suore agostiniane di clausura.

L'Umbria, nell'immaginario collettivo, è considerata terra di Santi, non tanto per la quantità pure considerevole di Santi e Beati di cui anche piccolissimi centri si fregiano di aver dato i natali, quanto piuttosto perché in Umbria sono nati rispettivamente san Benedetto, san Francesco e santa Rita. Rita da Cascia, nata a Roccaporena nel 1381 è la mistica taumaturga, alla quale da sempre si rivolgono i devoti perché interceda nei “casi impossibili”. Appartenente all'ordine Agostiniano, è il paradigma della condizione femminile, essendo stata sposa, madre di due figli a lei premorti, vedova, suora. Considerata donna di pace per aver perdonato gli uccisori del marito, ha un particolare ascendente nella vita famigliare.Fin dalla morte, avvenuta nel 1457, fu oggetto di appassionata devozione; nonostante ciò la sua canonizzazione ha avuto un percorso molto lungo: la beatificazione avviene nel 1628 per volontà di Urbano VIII già vescovo di Spoleto e del suo segretario cardinale Fausto Poli; la santificazione soltanto nel 1900 con la bolla promulgata da Leone XIII, fervente devoto di santa Rita già dal tempo in cui era vescovo di Perugia.Il corpo incorrotto della Santa, conservato in un'urna all'interno del Santuario di Cascia, attrae devoti e pellegrini da tutte le parti del mondo.

UNA ECCELLENZA LOCALE

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I LUOGHI RITIANI

I santuari terapeutici sono luoghi di culto dove, individualmente o in gruppo, ci si reca per ottenere guarigioni, per prevenire malattie e per propiziare la salute attraverso rituali, efficaci solo nel contesto del luogo. Molto frequentati e conosciuti nel passato, mantengono, soprattutto tra le popolazioni locali, la loro aurea di sacralità, per la presenza di edifici di culto, elementi naturali, reliquie e simulacri di santi.Fra gli elementi naturali un posto di rilievo spetta alla presenza dell'acqua impiegata con funzioni terapeutiche come alla Madonna del Riparo, già Eremo di sant'Angelo, a Roviglieto (Foligno), alla Madonna delle Grazie a Rasiglia (Foligno), nell'edicola della Madonna di sant'Arcangelo a Trevi, a san Claudio di Serravalle (Norcia), alla Madonna della Peschiera di Preci, nella Grotta del beato Giolo a Forfi (Sellano) e nel convento di San Nicolò d'Acqua Premula a Sellano.La pietra costituisce un altro importante elemento di valore terapeutico: nelle abbazie di Sant’Eutizio a Piedivalle (Preci), di San Felice a Castel San Felice (Sant’Anatolia di Narco) e di San Pietro in Valle a Macenano (Ferentillo), nei santuario di San Salvatore a Verchiano (Foligno) e di San Paterniano a Cammoro (Sellano).

Il Santuario della Madonna di Rasiglia è posto sul confine tra le diocesi di Spoleto e Foligno ed è stato realizzato, nel secolo XV, a seguito del miracoloso ritrovamento nel fosso Terminara di una immagine della Madonna che in ginocchio adora il Bambino.Il Santuario, posto su una via di passaggio, è meta di devoti e pellegrini provenienti dai paesi circostanti, che in maniera rituale bevono e si aspergono con l'acqua della vicina sorgente.

Il santuario di san Paterniano, nel territorio di Cammoro di Sellano, è un eremo dove, secondo la tradizione locale, sostava il santo vescovo di Fano nei suoi spostamenti verso Roma.La chiesa, del secolo XVI, è coperta all'ingresso da un portico a trasanna sotto al quale è conservata una grossa pietra con le impronte delle ginocchia, del gomito e del bastone del santo, nelle cui cavità i fedeli, che vi si recano in pellegrinaggio nella giornata del 10 luglio e della domenica successiva, si inginocchiano per prevenire e curare le malattie delle ossa.All'interno della chiesa, sono conservati numerosi ex-voto appesi alle pareti, a testimonianza della grande venerazione verso il santo.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

I SANTUARI TERAPEUTICI

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Roccaporena, luogo dove santa Rita è nata, ha saputo conservare importanti testimonianze, segni, tracce della vita laicale della Santa.Su tutto spicca lo scoglio, luogo mistico di antica vocazione, dove Rita si ritirava in solitaria preghiera. L'aspetto paesaggistico ed evocativo di Roccaporena rappresenta un forte richiamo di pellegrini che devotamente ripercorrono l'itinerario ritiano.Particolare raccoglimento si pratica nel cosiddetto “Orto del miracolo”, dove si è soliti lasciare un segno della propria presenza, un fazzoletto legato alla statua della Santa morente o un bigliettino con la richiesta di grazia da conficcare nelle crepe della roccia.

Singolare in questo variegato contesto è il caso di Cancelli (Foligno), dove la chiesa dei santi Pietro e Paolo fu costruita per celebrare la facoltà dei membri della famiglia Cancelli di guarire i malati di sciatica con l’imposizione delle mani. Questa facoltà terapeutica fu concessa, secondo una leggenda, alla famiglia Cancelli dagli stessi apostoli come segno di riconoscenza per l’ospitalità loro riservata, e fu più volte confermata da bolle papali e vescovili.

Page 33: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

Luogo ritiano per eccellenza è il moderno Santuario realizzato negli anni a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, affrescato da importanti pittori degli anni '50: Ferrazzi, Filogamo, Ceracchini, Montanarini e Consadori; la sistemazione del presbiterio è di Giacomo Manzù, realizzata nel 1981, in occasione del centenario della nascita della Santa.Nella Basilica inferiore si conservano con la Reliquia di un Miracolo Eucaristico, i resti del beato Simone Fidati di Cascia e della beata Madre Maria Teresa Fasce, grande promotrice del culto di santa Rita a partire dalla sua santificazione; in un ampio spazio attrezzato sono collocati migliaia di ex voto.La Penitenzieria costituisce un itinerario penitenziale in quattro tappe, dall'accoglienza alla riconciliazione, ispirato alle nuove direttive penitenziali dettate dal Concilio Vaticano II. Mantiene l'originario aspetto l'annesso monastero, dove dimorano tutt'ora le suore agostiniane di clausura.

L'Umbria, nell'immaginario collettivo, è considerata terra di Santi, non tanto per la quantità pure considerevole di Santi e Beati di cui anche piccolissimi centri si fregiano di aver dato i natali, quanto piuttosto perché in Umbria sono nati rispettivamente san Benedetto, san Francesco e santa Rita. Rita da Cascia, nata a Roccaporena nel 1381 è la mistica taumaturga, alla quale da sempre si rivolgono i devoti perché interceda nei “casi impossibili”. Appartenente all'ordine Agostiniano, è il paradigma della condizione femminile, essendo stata sposa, madre di due figli a lei premorti, vedova, suora. Considerata donna di pace per aver perdonato gli uccisori del marito, ha un particolare ascendente nella vita famigliare.Fin dalla morte, avvenuta nel 1457, fu oggetto di appassionata devozione; nonostante ciò la sua canonizzazione ha avuto un percorso molto lungo: la beatificazione avviene nel 1628 per volontà di Urbano VIII già vescovo di Spoleto e del suo segretario cardinale Fausto Poli; la santificazione soltanto nel 1900 con la bolla promulgata da Leone XIII, fervente devoto di santa Rita già dal tempo in cui era vescovo di Perugia.Il corpo incorrotto della Santa, conservato in un'urna all'interno del Santuario di Cascia, attrae devoti e pellegrini da tutte le parti del mondo.

UNA ECCELLENZA LOCALE

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I LUOGHI RITIANI

I santuari terapeutici sono luoghi di culto dove, individualmente o in gruppo, ci si reca per ottenere guarigioni, per prevenire malattie e per propiziare la salute attraverso rituali, efficaci solo nel contesto del luogo. Molto frequentati e conosciuti nel passato, mantengono, soprattutto tra le popolazioni locali, la loro aurea di sacralità, per la presenza di edifici di culto, elementi naturali, reliquie e simulacri di santi.Fra gli elementi naturali un posto di rilievo spetta alla presenza dell'acqua impiegata con funzioni terapeutiche come alla Madonna del Riparo, già Eremo di sant'Angelo, a Roviglieto (Foligno), alla Madonna delle Grazie a Rasiglia (Foligno), nell'edicola della Madonna di sant'Arcangelo a Trevi, a san Claudio di Serravalle (Norcia), alla Madonna della Peschiera di Preci, nella Grotta del beato Giolo a Forfi (Sellano) e nel convento di San Nicolò d'Acqua Premula a Sellano.La pietra costituisce un altro importante elemento di valore terapeutico: nelle abbazie di Sant’Eutizio a Piedivalle (Preci), di San Felice a Castel San Felice (Sant’Anatolia di Narco) e di San Pietro in Valle a Macenano (Ferentillo), nei santuario di San Salvatore a Verchiano (Foligno) e di San Paterniano a Cammoro (Sellano).

Il Santuario della Madonna di Rasiglia è posto sul confine tra le diocesi di Spoleto e Foligno ed è stato realizzato, nel secolo XV, a seguito del miracoloso ritrovamento nel fosso Terminara di una immagine della Madonna che in ginocchio adora il Bambino.Il Santuario, posto su una via di passaggio, è meta di devoti e pellegrini provenienti dai paesi circostanti, che in maniera rituale bevono e si aspergono con l'acqua della vicina sorgente.

Il santuario di san Paterniano, nel territorio di Cammoro di Sellano, è un eremo dove, secondo la tradizione locale, sostava il santo vescovo di Fano nei suoi spostamenti verso Roma.La chiesa, del secolo XVI, è coperta all'ingresso da un portico a trasanna sotto al quale è conservata una grossa pietra con le impronte delle ginocchia, del gomito e del bastone del santo, nelle cui cavità i fedeli, che vi si recano in pellegrinaggio nella giornata del 10 luglio e della domenica successiva, si inginocchiano per prevenire e curare le malattie delle ossa.All'interno della chiesa, sono conservati numerosi ex-voto appesi alle pareti, a testimonianza della grande venerazione verso il santo.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

I SANTUARI TERAPEUTICI

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Roccaporena, luogo dove santa Rita è nata, ha saputo conservare importanti testimonianze, segni, tracce della vita laicale della Santa.Su tutto spicca lo scoglio, luogo mistico di antica vocazione, dove Rita si ritirava in solitaria preghiera. L'aspetto paesaggistico ed evocativo di Roccaporena rappresenta un forte richiamo di pellegrini che devotamente ripercorrono l'itinerario ritiano.Particolare raccoglimento si pratica nel cosiddetto “Orto del miracolo”, dove si è soliti lasciare un segno della propria presenza, un fazzoletto legato alla statua della Santa morente o un bigliettino con la richiesta di grazia da conficcare nelle crepe della roccia.

Singolare in questo variegato contesto è il caso di Cancelli (Foligno), dove la chiesa dei santi Pietro e Paolo fu costruita per celebrare la facoltà dei membri della famiglia Cancelli di guarire i malati di sciatica con l’imposizione delle mani. Questa facoltà terapeutica fu concessa, secondo una leggenda, alla famiglia Cancelli dagli stessi apostoli come segno di riconoscenza per l’ospitalità loro riservata, e fu più volte confermata da bolle papali e vescovili.

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ANTENNA DI

Nella lingua italiana i termini norcino, che identifica chi lavora le carni di maiale, e norcineria, come l'insieme dei saperi e delle pratiche connesse, derivano da Norcia. Per estensione i termini indicano anche chi vende i prodotti del maiale ed il negozio di vendita.Il mestiere del norcino, rigorosamente maschile, trasmesso empiricamente di padre in figlio, trova nelle recenti leggi igienico-sanitarie un grande ostacolo nel perpetuarsi con le modalità tradizionali, che pure ponevano grandissima attenzione e rigore per quanto riguarda la conservazione soprattutto degli insaccati e dei prosciutti.L'abilità dei norcini veniva particolarmente apprezzata nei contesti urbani, soprattutto Roma e Firenze, dove questi esperti macellai si recavano stagionalmente e dove esercitavano alle dipendenze di commercianti locali.La perizia di questi straordinari artigiani, spesso accomunati ai chirurghi, era riposta nel sezionamento delle varie parti del maiale, nella scelta accurata delle carni per gli insaccati, nella sapienza del dosaggio dei principali condimenti, in particolare del sale e del pepe, dal quale dosaggio derivava il sapore ma soprattutto la conservazione.

Ancora oggi a Norcia e nel suo territorio si producono, oltre a un ottimo prosciutto crudo, riconosciuto come IGP, capocolli, spallette, lonze, pancette e guanciali; tra gli insaccati ci sono poi i salami, i ciauscoli, le coppe e le salsicce.

Il norcino rientra in uno studio che il CEDRAV ha condotto sugli antichi mestieri, che in una ottica di sostenibilità potrebbero ancora avere una valenza operativa ed economica. Gli altri mestieri indagati sono: il casaro, il pastore, la tessitrice, il mularo, il rasparo ed il faber lignarius o intagliatore.

NORCIA

IL NORCINOGLI ANTICHI MESTIERI

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La figura del norcino è stata spesso associata a quella del medico chirurgo; in questa stampa, tratta da un'opera di Galeno, sul tavolo anatomico è posto un maiale e ad assistere sono medici, cerusici e norcini che, con analoga attenzione, osservano la dissezione del cadavere.Il norcino ha avuto rinomanza anche nella commedia dell'arte come persona di grossolane maniere, molto astuto, assimilato al bergamasco Zanni.

Norcia posta a 604 m. s.l.m., al margine del Piano di santa Scolastica, è considerata città primaria dei Sabini, ed i primi insediamenti umani risalgono al periodo paleolitico.La romanizzazione fu ampia e profonda e Gregorio Magno la chiama "Vetusta Nursia". Il Cristianesimo vi si diffuse verso il secolo III originando una diocesi. In epoca medievale si costituì in comune autonomo in continua espansione, principalmente a discapito del feudo dell'Abbazia benedettina di sant'Eutizio. Nel 1569 a Norcia venne istituita la Prefettura della Montagna con giurisdizione su Cascia, Cerreto, Monteleone, Montemonaco, Montegallo, Arquata e Labro.La città era divisa in 8 guaite, che corrispondevano al numero delle porte di accesso ed erano amministrate autonomamente; il suo territorio era invece suddiviso in “Castelli”, ossia centri fortificati, e “Ville”, insediamenti aperti. La città è ancora oggi interamente circondata da mura, dalla caratteristica forma di cuore.A Norcia sono nati: Ufente, mitico condottiero nemico di Enea, Quinto Sertorio, eroe repubblicano, la madre dell'imperatore Vespasiano, Vespasia Polla, san Benedetto e santa Scolastica i due santi gemelli della famiglia Anicia, nati nel 480 e fondatori dell'ordine monastico Benedettino.

L'Ecomuseo si colloca negli spazi del Centro di Commercializzazione Prodotti Tipici alle spalle della Castellina. La struttura è stata concepita per ospitare grandi manifestazioni di promozione e di formazione sui temi del ricchissimo paniere alimentare della Valnerina. In occasione della Mostra Mercato del Tartufo, presso il Centro di Commercializzazione trovano spazi espositivi, i più i m p o r t a n t i l a b o r a t o r i e s t a b i l i m e n t i d i trasformazione delle carni suine.

L'attività del norcino è documentata, mediante l'esposizione di attrezzi e strumenti, dalla fase arcaica in cui la professione veniva effettuata in maniera ambulante fino alla attuale forma di artigiano del settore alimentare. L'attività laboratoriale è rivolta a chi vuole in maniera consapevole affrontare i temi della sana alimentazione, a chi vuole dare una risposta alla curiosità sulla preparazione dei salumi e anche a chi, dei saperi del norcino, vuole farne attività lavorativa. Con lo stesso criterio si propone l'attualizzazione dei mestieri tradizionali.

IL LUOGO DELL’ECOMUSEO

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ANTENNA DI

Nella lingua italiana i termini norcino, che identifica chi lavora le carni di maiale, e norcineria, come l'insieme dei saperi e delle pratiche connesse, derivano da Norcia. Per estensione i termini indicano anche chi vende i prodotti del maiale ed il negozio di vendita.Il mestiere del norcino, rigorosamente maschile, trasmesso empiricamente di padre in figlio, trova nelle recenti leggi igienico-sanitarie un grande ostacolo nel perpetuarsi con le modalità tradizionali, che pure ponevano grandissima attenzione e rigore per quanto riguarda la conservazione soprattutto degli insaccati e dei prosciutti.L'abilità dei norcini veniva particolarmente apprezzata nei contesti urbani, soprattutto Roma e Firenze, dove questi esperti macellai si recavano stagionalmente e dove esercitavano alle dipendenze di commercianti locali.La perizia di questi straordinari artigiani, spesso accomunati ai chirurghi, era riposta nel sezionamento delle varie parti del maiale, nella scelta accurata delle carni per gli insaccati, nella sapienza del dosaggio dei principali condimenti, in particolare del sale e del pepe, dal quale dosaggio derivava il sapore ma soprattutto la conservazione.

Ancora oggi a Norcia e nel suo territorio si producono, oltre a un ottimo prosciutto crudo, riconosciuto come IGP, capocolli, spallette, lonze, pancette e guanciali; tra gli insaccati ci sono poi i salami, i ciauscoli, le coppe e le salsicce.

Il norcino rientra in uno studio che il CEDRAV ha condotto sugli antichi mestieri, che in una ottica di sostenibilità potrebbero ancora avere una valenza operativa ed economica. Gli altri mestieri indagati sono: il casaro, il pastore, la tessitrice, il mularo, il rasparo ed il faber lignarius o intagliatore.

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IL NORCINOGLI ANTICHI MESTIERI

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La figura del norcino è stata spesso associata a quella del medico chirurgo; in questa stampa, tratta da un'opera di Galeno, sul tavolo anatomico è posto un maiale e ad assistere sono medici, cerusici e norcini che, con analoga attenzione, osservano la dissezione del cadavere.Il norcino ha avuto rinomanza anche nella commedia dell'arte come persona di grossolane maniere, molto astuto, assimilato al bergamasco Zanni.

Norcia posta a 604 m. s.l.m., al margine del Piano di santa Scolastica, è considerata città primaria dei Sabini, ed i primi insediamenti umani risalgono al periodo paleolitico.La romanizzazione fu ampia e profonda e Gregorio Magno la chiama "Vetusta Nursia". Il Cristianesimo vi si diffuse verso il secolo III originando una diocesi. In epoca medievale si costituì in comune autonomo in continua espansione, principalmente a discapito del feudo dell'Abbazia benedettina di sant'Eutizio. Nel 1569 a Norcia venne istituita la Prefettura della Montagna con giurisdizione su Cascia, Cerreto, Monteleone, Montemonaco, Montegallo, Arquata e Labro.La città era divisa in 8 guaite, che corrispondevano al numero delle porte di accesso ed erano amministrate autonomamente; il suo territorio era invece suddiviso in “Castelli”, ossia centri fortificati, e “Ville”, insediamenti aperti. La città è ancora oggi interamente circondata da mura, dalla caratteristica forma di cuore.A Norcia sono nati: Ufente, mitico condottiero nemico di Enea, Quinto Sertorio, eroe repubblicano, la madre dell'imperatore Vespasiano, Vespasia Polla, san Benedetto e santa Scolastica i due santi gemelli della famiglia Anicia, nati nel 480 e fondatori dell'ordine monastico Benedettino.

L'Ecomuseo si colloca negli spazi del Centro di Commercializzazione Prodotti Tipici alle spalle della Castellina. La struttura è stata concepita per ospitare grandi manifestazioni di promozione e di formazione sui temi del ricchissimo paniere alimentare della Valnerina. In occasione della Mostra Mercato del Tartufo, presso il Centro di Commercializzazione trovano spazi espositivi, i più i m p o r t a n t i l a b o r a t o r i e s t a b i l i m e n t i d i trasformazione delle carni suine.

L'attività del norcino è documentata, mediante l'esposizione di attrezzi e strumenti, dalla fase arcaica in cui la professione veniva effettuata in maniera ambulante fino alla attuale forma di artigiano del settore alimentare. L'attività laboratoriale è rivolta a chi vuole in maniera consapevole affrontare i temi della sana alimentazione, a chi vuole dare una risposta alla curiosità sulla preparazione dei salumi e anche a chi, dei saperi del norcino, vuole farne attività lavorativa. Con lo stesso criterio si propone l'attualizzazione dei mestieri tradizionali.

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Le marcite di Norcia, ora considerate a giusta ragione parte essenziale del paesaggio naturale, in realtà sono il risultato delle antiche sapienze nel trattare il suolo e renderlo utile all'agricoltura. Sfruttando la naturale azione risorgiva dell'acqua, con canalizzazioni e drenaggi, si è bonificata una zona paludosa rendendola fertile fino al punto di realizzarci anche dieci sfalci l'anno. Artefici di tali opere idrauliche furono, secondo una tradizione accreditata, i benedettini che delle pratiche agricole, in periodo medievale, furono grandi conoscitori.

San Benedetto nacque nel 480 da un'agiata famiglia patrizia e trascorse gli anni dell'infanzia e della fanciullezza a Norcia, avvertendo l'influsso di eremiti e monaci siriani che vivevano nella valle del Campiano.Appena adolescente fu mandato a Roma a compiere i suoi studi, ma sconvolto dalla vita dissoluta della città, si ritirò nella valle dell'Aniene, ad Affile, a fare vita eremitica per circa tre anni. Divenne poi monaco in un ritiro cenobitico presso Vicovaro e a Subiaco, accogliendo discepoli sempre più numerosi, fino a creare una vasta comunità di tredici monasteri.Ciascun monastero aveva dodici monaci ed un proprio abate, tutti sotto la sua guida spirituale. Intorno al 529, in seguito a dissapori con il clero locale, abbandonò Subiaco e andò a Montecassino, dove fondò il famoso monastero e scrisse la Regola dell'Ora et Labora. San Benedetto fu quindi il fondatore del movimento monastico occidentale, che ebbe tanta importanza dopo il crollo dell'Impero Romano, in quanto i monasteri benedettini furono l'unico rifugio delle popolazioni stremate dalle invasioni barbariche.Ai monaci si devono anche la conservazione della cultura greca e romana e la salvaguardia delle conoscenze agricole e di bonifica.

Il luogo, ove un tempo era situata la casa paterna dei santi gemelli Benedetto e Scolastica, fu considerato subito sacro e gli ambienti domestici, che furono trasformati in chiesa, si possono ancora visitare nella cripta della Basilica.L'attuale chiesa è di epoca tardo trecentesca con una facciata ricca di sculture; l'intero edificio ha subìto nel corso dei secoli diversi rimaneggiamenti, in particolar modo nell'abside poligonale e nel maestoso campanile a torre.L'interno, a croce latina, si presenta con un aspetto di stile barocco; il presbiterio con il relativo arredo, l'ingresso alla cripta ed il pavimento della chiesa sono stati rinnovati in occasione del grande giubileo del 2000.

UNA ECCELLENZA LOCALE

SAN BENEDETTO DA NORCIA

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A Norcia la tradizione locale fa risalire la pratica dell’allevamento dei maiali all’epoca dell’imperatore Vespasiano, che in questa zona aveva vasti possedimenti e che avrebbe impiegato alcuni ebrei deportati da Gerusalemme per la custodia dei suoi maiali, in quanto per motivi di divieto religioso, non avrebbero sottratto i preziosi capi allevati.Agli ebrei si attribuisce anche l'idea di stagionare le carni di maiale per commercializzarle durante la buona stagione, soprattutto con i pastori della transumanza che in estate portavano i loro greggi nei pascoli di montagna. La grande disponibilità di bestiame suino sul territorio regionale favorì anche lo sviluppo di una particolare perizia nella mattazione e nella lavorazione delle carni che, in ambito sia rurale che urbano, veniva svolta dai norcini.

Il prosciutto di Norcia, che ha ottenuto, il riconoscimento IGP, si ricava dalla coscia del maiale adulto, di circa un anno, che viene salata a secco. La salagione avviene con reiterate immissioni di sale per la durata di un mese, in ambiente fresco; al termine di questa fase lo si lascia stagionare in spazi arieggiati per almeno tre mesi. Con la “sugnatura”, ovvero con lo spalmare la coscia con grasso di maiale e pepe, inizia la stagionatura vera e propria, non inferiore a 12 mesi.

L'Indicazione Geografica Protetta (IGP) garantisce prosciutti lavorati nei territori comunali di Norcia, Cascia, Preci , Monteleone di Spoleto e Poggiodomo, dove si sono insediati numerosi prosciuttifici che, secondo un rigoroso protocollo, pur con l'ausilio di sofisticati accorgimenti tecnologici, rispettano, nella sostanza, il procedimento tradizionale. Ne deriva un prodotto di alto valore nutritivo e proteico, con pochi grassi e quindi leggero e molto indicato in diverse diete alimentari: gusto ed aroma decisi derivanti dall'alchimia dei tre unici componenti, carne, sale e pepe.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

IL PROSCIUTTO

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Prosciutto, spalletta, guanciale, pancetta, capocollo, lardo, salami e salsicce sono i prodotti di questa specialistica lavorazione che coniuga tradizione e processi produttivi innovativi.

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Le marcite di Norcia, ora considerate a giusta ragione parte essenziale del paesaggio naturale, in realtà sono il risultato delle antiche sapienze nel trattare il suolo e renderlo utile all'agricoltura. Sfruttando la naturale azione risorgiva dell'acqua, con canalizzazioni e drenaggi, si è bonificata una zona paludosa rendendola fertile fino al punto di realizzarci anche dieci sfalci l'anno. Artefici di tali opere idrauliche furono, secondo una tradizione accreditata, i benedettini che delle pratiche agricole, in periodo medievale, furono grandi conoscitori.

San Benedetto nacque nel 480 da un'agiata famiglia patrizia e trascorse gli anni dell'infanzia e della fanciullezza a Norcia, avvertendo l'influsso di eremiti e monaci siriani che vivevano nella valle del Campiano.Appena adolescente fu mandato a Roma a compiere i suoi studi, ma sconvolto dalla vita dissoluta della città, si ritirò nella valle dell'Aniene, ad Affile, a fare vita eremitica per circa tre anni. Divenne poi monaco in un ritiro cenobitico presso Vicovaro e a Subiaco, accogliendo discepoli sempre più numerosi, fino a creare una vasta comunità di tredici monasteri.Ciascun monastero aveva dodici monaci ed un proprio abate, tutti sotto la sua guida spirituale. Intorno al 529, in seguito a dissapori con il clero locale, abbandonò Subiaco e andò a Montecassino, dove fondò il famoso monastero e scrisse la Regola dell'Ora et Labora. San Benedetto fu quindi il fondatore del movimento monastico occidentale, che ebbe tanta importanza dopo il crollo dell'Impero Romano, in quanto i monasteri benedettini furono l'unico rifugio delle popolazioni stremate dalle invasioni barbariche.Ai monaci si devono anche la conservazione della cultura greca e romana e la salvaguardia delle conoscenze agricole e di bonifica.

Il luogo, ove un tempo era situata la casa paterna dei santi gemelli Benedetto e Scolastica, fu considerato subito sacro e gli ambienti domestici, che furono trasformati in chiesa, si possono ancora visitare nella cripta della Basilica.L'attuale chiesa è di epoca tardo trecentesca con una facciata ricca di sculture; l'intero edificio ha subìto nel corso dei secoli diversi rimaneggiamenti, in particolar modo nell'abside poligonale e nel maestoso campanile a torre.L'interno, a croce latina, si presenta con un aspetto di stile barocco; il presbiterio con il relativo arredo, l'ingresso alla cripta ed il pavimento della chiesa sono stati rinnovati in occasione del grande giubileo del 2000.

UNA ECCELLENZA LOCALE

SAN BENEDETTO DA NORCIA

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A Norcia la tradizione locale fa risalire la pratica dell’allevamento dei maiali all’epoca dell’imperatore Vespasiano, che in questa zona aveva vasti possedimenti e che avrebbe impiegato alcuni ebrei deportati da Gerusalemme per la custodia dei suoi maiali, in quanto per motivi di divieto religioso, non avrebbero sottratto i preziosi capi allevati.Agli ebrei si attribuisce anche l'idea di stagionare le carni di maiale per commercializzarle durante la buona stagione, soprattutto con i pastori della transumanza che in estate portavano i loro greggi nei pascoli di montagna. La grande disponibilità di bestiame suino sul territorio regionale favorì anche lo sviluppo di una particolare perizia nella mattazione e nella lavorazione delle carni che, in ambito sia rurale che urbano, veniva svolta dai norcini.

Il prosciutto di Norcia, che ha ottenuto, il riconoscimento IGP, si ricava dalla coscia del maiale adulto, di circa un anno, che viene salata a secco. La salagione avviene con reiterate immissioni di sale per la durata di un mese, in ambiente fresco; al termine di questa fase lo si lascia stagionare in spazi arieggiati per almeno tre mesi. Con la “sugnatura”, ovvero con lo spalmare la coscia con grasso di maiale e pepe, inizia la stagionatura vera e propria, non inferiore a 12 mesi.

L'Indicazione Geografica Protetta (IGP) garantisce prosciutti lavorati nei territori comunali di Norcia, Cascia, Preci , Monteleone di Spoleto e Poggiodomo, dove si sono insediati numerosi prosciuttifici che, secondo un rigoroso protocollo, pur con l'ausilio di sofisticati accorgimenti tecnologici, rispettano, nella sostanza, il procedimento tradizionale. Ne deriva un prodotto di alto valore nutritivo e proteico, con pochi grassi e quindi leggero e molto indicato in diverse diete alimentari: gusto ed aroma decisi derivanti dall'alchimia dei tre unici componenti, carne, sale e pepe.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

IL PROSCIUTTO

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Prosciutto, spalletta, guanciale, pancetta, capocollo, lardo, salami e salsicce sono i prodotti di questa specialistica lavorazione che coniuga tradizione e processi produttivi innovativi.

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ANTENNA DI

Nel X secolo nell'Abbazia di sant'Eutizio, come in tutti i maggiori centri benedettini dell'epoca, esisteva una ricchissima biblioteca, dove tra i numerosi testi religiosi e scientifici erano presenti trattati di medicina. Inoltre esistevano sia l'orto dei semplici che il laboratorio, dove venivano conservate le piante medicinali e preparate pozioni medicamentose.Nella stessa abbazia c'era poi la pratica di intervenire chirurgicamente sui corpi umani, con delle tecniche che si possono far risalire all'epoca della sua fondazione da parte dei monaci siriani, territorio in cui la chirurgia si praticava da sempre. Infatti i protettori dei medici e dei farmacisti sono i santi Cosma e Damiano, che erano siriani e chirurghi, che praticavano la loro arte in maniera gratuita, girando di casa in casa, ovunque veniva richiesta la loro benefica opera.La tesi più plausibile per cui la chirurgia fino ad allora praticata in prevalenza dai religiosi, passò ad essere esercitata dagli abitanti della vicina Preci e di località circostanti, é da attribuire alle decisioni prese dal Concilio Lateranense del 1215, in cui si stabilì che i monaci non potessero più intervenire sui corpi umani. Gli abitanti della zona, già espertissimi, come del resto lo sono ancora oggi, nella mattazione dei suini, appresero nell'abbazia l'arte chirurgica senza troppe difficoltà.I “preciani” pur essendo in possesso di una buona cultura medica generale, erano specializzati quasi esclusivamente in tre particolari tipi di intervento, quali la rimozione delle cataratte, l'ernia inguinale e la litotomia, ovvero la rimozione dei calcoli vescicali, dove risultavano veramente insuperabili, tant'è che nel XVI secolo la percentuale di riuscita in questo intervento era sorprendentemente del 90%.

Le attuali farmacie hanno origini dalla farmacia monastica e conventuale del medioevo, anche se la figura del farmacista viene riconosciuta per la prima volta nel 1240 da Federico II re di Sicilia ed imperatore del Sacro Romano Impero, che gli attribuisce l'esclusiva della preparazione e dispensazione dei medicamenti che dovevano però essere sottoposti alla supervisione del protofisico.Tuttavia la conoscenza e l'uso di rimedi naturali, soprattutto legati alle erbe era retaggio delle popolazioni locali che si tramandavano questi saperi medici di generazione in generazione.

I chirurghi empirici trasferirono il loro sapere in primo luogo ai propri figli e nipoti cosicché, in breve tempo, si originarono delle vere e proprie dinastie dei chirurghi, una trentina, che nel loro insieme costituirono la “scuola chirurgica di Preci”.Ancora oggi è possibile vedere i ferri, i libri e gli strumenti della “scuola chirurgica”, presso l'Abbazia di sant'Eutizio e presso la ex chiesa di santa Caterina dove è stata sistemata l'antenna dell'Ecomuseo che si occupa della chirurgia e della medicina popolare.

PRECI

I LITOTOMILA SCUOLA CHIRURGICA E LA MEDICINA POPOLARE

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Preci è un castello di pendio costruito a 596 m. s. l. m. e risalente al secolo XIII, che si trova lungo la valle Campiana o Castoriana, nelle vicinanze dell'abbazia di sant'Eutizio, al cui feudo appartenne prima di entrare a far parte del territorio del Comune di Norcia.L'origine del suo nome è alquanto incerta, potrebbe derivare da praeceps ossia luogo a precipizio, o da preces ossia preghiera per la presenza della pieve o ancora per la sottomissione al potente Comune di Norcia, quest'ultima ipotesi è avvalorata dallo stemma comunale che raffigura il leone nursino che domina sopra la quercia, rappresentante Preci.

L'antenna della Scuola chirurgica di Preci è situata all'interno dell'ex chiesa di santa Caterina, un edificio del secolo XIII, che conserva in facciata il portale romanico ed il campanile a vela della stessa epoca.L'interno, più volte trasformato, conserva tracce di affreschi cinquecenteschi e l'altare barocco. Il piano superiore, già ex Monte Frumentario e Sala Consiliare del Comune, è destinato a spazi per incontri ed attività laboratoriali.

La scuola chirurgica ha attivato una particolare attenzione, che ancora resiste, per i saperi di medicina popolare e di conoscenza di rimedi fitoterapici.Le attività laboratoriali sono pertanto rivolte alla ricerca nel campo della medicina popolare, indagando anche sugli aspetti magico-religiosi. Altro aspetto delle attività laboratoriali è riservato a l l ' e r b o r i s t e r i a , o r i e n t a n d o l ' a t t e n z i o n e soprattutto nella ricerca, conoscenza ed utilizzo delle piante medicinali presenti nell'area della dorsale appenninica.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

PRECI

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Durante le lotte del secolo XVI il castello fu distrutto per ben due volte, ma la definitiva pacificazione con Norcia, avvenuta nel 1555, ne permise il restauro e ciò coincise anche con l'affermarsi dei chirurghi che operavano in diversi paesi d'EuropaPreci fu comune autonomo, staccandosi da Norcia, solo nel 1814 in seguito alla restaurazione pontificia. L'insediamento arroccato è caratterizzato dalla presenza di numerosi palazzetti gentilizi, riferibili perlopiù ai secoli XVI e XVII.

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ANTENNA DI

Nel X secolo nell'Abbazia di sant'Eutizio, come in tutti i maggiori centri benedettini dell'epoca, esisteva una ricchissima biblioteca, dove tra i numerosi testi religiosi e scientifici erano presenti trattati di medicina. Inoltre esistevano sia l'orto dei semplici che il laboratorio, dove venivano conservate le piante medicinali e preparate pozioni medicamentose.Nella stessa abbazia c'era poi la pratica di intervenire chirurgicamente sui corpi umani, con delle tecniche che si possono far risalire all'epoca della sua fondazione da parte dei monaci siriani, territorio in cui la chirurgia si praticava da sempre. Infatti i protettori dei medici e dei farmacisti sono i santi Cosma e Damiano, che erano siriani e chirurghi, che praticavano la loro arte in maniera gratuita, girando di casa in casa, ovunque veniva richiesta la loro benefica opera.La tesi più plausibile per cui la chirurgia fino ad allora praticata in prevalenza dai religiosi, passò ad essere esercitata dagli abitanti della vicina Preci e di località circostanti, é da attribuire alle decisioni prese dal Concilio Lateranense del 1215, in cui si stabilì che i monaci non potessero più intervenire sui corpi umani. Gli abitanti della zona, già espertissimi, come del resto lo sono ancora oggi, nella mattazione dei suini, appresero nell'abbazia l'arte chirurgica senza troppe difficoltà.I “preciani” pur essendo in possesso di una buona cultura medica generale, erano specializzati quasi esclusivamente in tre particolari tipi di intervento, quali la rimozione delle cataratte, l'ernia inguinale e la litotomia, ovvero la rimozione dei calcoli vescicali, dove risultavano veramente insuperabili, tant'è che nel XVI secolo la percentuale di riuscita in questo intervento era sorprendentemente del 90%.

Le attuali farmacie hanno origini dalla farmacia monastica e conventuale del medioevo, anche se la figura del farmacista viene riconosciuta per la prima volta nel 1240 da Federico II re di Sicilia ed imperatore del Sacro Romano Impero, che gli attribuisce l'esclusiva della preparazione e dispensazione dei medicamenti che dovevano però essere sottoposti alla supervisione del protofisico.Tuttavia la conoscenza e l'uso di rimedi naturali, soprattutto legati alle erbe era retaggio delle popolazioni locali che si tramandavano questi saperi medici di generazione in generazione.

I chirurghi empirici trasferirono il loro sapere in primo luogo ai propri figli e nipoti cosicché, in breve tempo, si originarono delle vere e proprie dinastie dei chirurghi, una trentina, che nel loro insieme costituirono la “scuola chirurgica di Preci”.Ancora oggi è possibile vedere i ferri, i libri e gli strumenti della “scuola chirurgica”, presso l'Abbazia di sant'Eutizio e presso la ex chiesa di santa Caterina dove è stata sistemata l'antenna dell'Ecomuseo che si occupa della chirurgia e della medicina popolare.

PRECI

I LITOTOMILA SCUOLA CHIRURGICA E LA MEDICINA POPOLARE

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Preci è un castello di pendio costruito a 596 m. s. l. m. e risalente al secolo XIII, che si trova lungo la valle Campiana o Castoriana, nelle vicinanze dell'abbazia di sant'Eutizio, al cui feudo appartenne prima di entrare a far parte del territorio del Comune di Norcia.L'origine del suo nome è alquanto incerta, potrebbe derivare da praeceps ossia luogo a precipizio, o da preces ossia preghiera per la presenza della pieve o ancora per la sottomissione al potente Comune di Norcia, quest'ultima ipotesi è avvalorata dallo stemma comunale che raffigura il leone nursino che domina sopra la quercia, rappresentante Preci.

L'antenna della Scuola chirurgica di Preci è situata all'interno dell'ex chiesa di santa Caterina, un edificio del secolo XIII, che conserva in facciata il portale romanico ed il campanile a vela della stessa epoca.L'interno, più volte trasformato, conserva tracce di affreschi cinquecenteschi e l'altare barocco. Il piano superiore, già ex Monte Frumentario e Sala Consiliare del Comune, è destinato a spazi per incontri ed attività laboratoriali.

La scuola chirurgica ha attivato una particolare attenzione, che ancora resiste, per i saperi di medicina popolare e di conoscenza di rimedi fitoterapici.Le attività laboratoriali sono pertanto rivolte alla ricerca nel campo della medicina popolare, indagando anche sugli aspetti magico-religiosi. Altro aspetto delle attività laboratoriali è riservato a l l ' e r b o r i s t e r i a , o r i e n t a n d o l ' a t t e n z i o n e soprattutto nella ricerca, conoscenza ed utilizzo delle piante medicinali presenti nell'area della dorsale appenninica.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

PRECI

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Durante le lotte del secolo XVI il castello fu distrutto per ben due volte, ma la definitiva pacificazione con Norcia, avvenuta nel 1555, ne permise il restauro e ciò coincise anche con l'affermarsi dei chirurghi che operavano in diversi paesi d'EuropaPreci fu comune autonomo, staccandosi da Norcia, solo nel 1814 in seguito alla restaurazione pontificia. L'insediamento arroccato è caratterizzato dalla presenza di numerosi palazzetti gentilizi, riferibili perlopiù ai secoli XVI e XVII.

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Di rilevante importanza fu nell'abbazia la grande biblioteca e la produzione di codici.Gli “scriptoria” erano laboratori comuni dove amanuensi copisti e miniatori erano impegnati nella produzione di nuove opere e nella conservazione dei testi latini e greci.La biblioteca rimase intatta in loco fino al 1605 quando l'abate Crescenzi, con l'approvazione di papa Clemente VIII, ne donò una parte alla Biblioteca Vallicelliana di Roma. Altri codici sono custoditi nella Pinacoteca di Spoleto, nell'Archivio Storico Diocesano di Spoleto e nella biblioteca dell’abbazia di Montecassino.

L'origine dell'insediamento è certamente di epoca romana, come lasciano supporre alcuni reperti; a partire dal secolo V vi si stanziarono alcuni eremiti siriani, che si insediarono nei ruderi romani e nelle vicine grotte naturali. Successivamente fu costruito un oratorio dedicato alla Madonna e furono scavate altre grotte che vennero utilizzate come abitazioni dei primi eremiti e monaci benedettini.La chiesa ebbe un primo ampliamento in stile bizantino, quindi ne seguì un altro in stile romanico e da ultimo furono costruiti la cripta ed il presbiterio in stile gotico, mentre si venivano costruendo all'intorno gli ambienti monastici dei quali rimangono importanti elementi architettonici come le due eleganti bifore gotiche.Alla fine del secolo XVI sia la chiesa che l'abbazia ebbero un grande rinnovamento edilizio, dovuto all'abate commendatario Giacomo Crescenzi: appartiene a questo periodo l'ardito campanile costruito a strapiombo su una roccia. La facciata della chiesa è romanica, in levigata cortina bianca, dove si aprono il portale lunettato ed il rosone con i simboli degli evangelisti. Nell'interno si stratificano stili architettonici ed elementi liturgici a partire dal paleocristiano per giungere al barocco.Di rilievo il maestoso monumento sepolcrale dei santi Eutizio e Spes, al quale si riconosce una valenza terapeutica nell'attraversarlo carponi per la cura delle malattie delle ossa.

Nelle abbazie del medioevo sorsero le prime spezier ie che col passare del tempo s i trasformarono in officine farmaceutiche.Ciascun monastero possedeva un “giardino dei semplici” cioè delle piante medicinali di base utili per curare le malattie più diffuse.

UNA ECCELLENZA LOCALE

L’ ABBAZIA DI SANT’ EUTIZIO

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Baronio Vincenzi fu un illustre medico ed un esperto chirurgo originario di Foligno, che in età avanzata si trasferì a Borgo Cerreto dove sposò Delia Nobili. A Borgo Cerreto, attiguo alla sua dimora, fece allestire un ospedale dove prestava la sua opera di medico e di chirurgo; inoltre fece realizzare la chiesa di Gesù e Maria, che divenne il mausoleo della famiglia e dove fu sepolto nel 1659. Nella cripta della chiesa, dove probabilmente sono ancora conservati i corpi del medico e della moglie, furono deposte, a più riprese, e almeno fino alla realizzazione del locale cimitero avvenuta dopo l'Unità d'Italia, numerose altre salme.Le particolari condizioni ambientali locali hanno favorito la conservazione dei corpi con un processo di mummificazione naturale. Nella cripta sono state rinvenute le testimonianze dell'attività anatomica del chirurgo: si tratta di alcuni crani che presentano tracce di trapanazioni, forse realizzate come esperimenti, uno dei quali presenta evidenti segni di rimarginazione, facendo pensare che l'individuo sopravvisse di molto all'intervento riuscito.

La chiesa di Gesù e Maria fu edificata in stile tardorinascimentale all'interno del paese di Borgo Cerreto, con bel portale in pietra e campanile a vela a doppio fornice. Il Comune di Cerreto di Spoleto ha recentemente restaurato l'immobile per esporre e documentare l'attività del chirurgo Baronio Vincenzi.

Il fenomeno della mummificazione naturale trova la sua massima evidenza a Ferentillo.Nella cripta di santo Stefano, nel sobborgo di Precetto, si sono conservate uno straordinario numero di mummie, probabilmente per la particolarità del microclima dei locali.I l processo avveniva in maniera rapida, mantenendo così inalterati i tratti somatici e gli indumenti dei morti. Nella stessa cripta è stato allestito il “Museo delle mummie”.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

IL CHIRURGO BARONIO VINCENZI

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Le mummie ritrovate nella cripta della chiesa di Gesù e Maria di Borgo Cerreto sono conservate in alcuni locali annessi alla chiesa, dove un tempo il chirurgo Baronio Vincenzi aveva allestito un piccolo ospedale.Il processo di mummificazione ha permesso la conservazione anche degli indumenti, dando una rarissima testimonianza del modo di abbigliarsi nei secoli passati.

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Di rilevante importanza fu nell'abbazia la grande biblioteca e la produzione di codici.Gli “scriptoria” erano laboratori comuni dove amanuensi copisti e miniatori erano impegnati nella produzione di nuove opere e nella conservazione dei testi latini e greci.La biblioteca rimase intatta in loco fino al 1605 quando l'abate Crescenzi, con l'approvazione di papa Clemente VIII, ne donò una parte alla Biblioteca Vallicelliana di Roma. Altri codici sono custoditi nella Pinacoteca di Spoleto, nell'Archivio Storico Diocesano di Spoleto e nella biblioteca dell’abbazia di Montecassino.

L'origine dell'insediamento è certamente di epoca romana, come lasciano supporre alcuni reperti; a partire dal secolo V vi si stanziarono alcuni eremiti siriani, che si insediarono nei ruderi romani e nelle vicine grotte naturali. Successivamente fu costruito un oratorio dedicato alla Madonna e furono scavate altre grotte che vennero utilizzate come abitazioni dei primi eremiti e monaci benedettini.La chiesa ebbe un primo ampliamento in stile bizantino, quindi ne seguì un altro in stile romanico e da ultimo furono costruiti la cripta ed il presbiterio in stile gotico, mentre si venivano costruendo all'intorno gli ambienti monastici dei quali rimangono importanti elementi architettonici come le due eleganti bifore gotiche.Alla fine del secolo XVI sia la chiesa che l'abbazia ebbero un grande rinnovamento edilizio, dovuto all'abate commendatario Giacomo Crescenzi: appartiene a questo periodo l'ardito campanile costruito a strapiombo su una roccia. La facciata della chiesa è romanica, in levigata cortina bianca, dove si aprono il portale lunettato ed il rosone con i simboli degli evangelisti. Nell'interno si stratificano stili architettonici ed elementi liturgici a partire dal paleocristiano per giungere al barocco.Di rilievo il maestoso monumento sepolcrale dei santi Eutizio e Spes, al quale si riconosce una valenza terapeutica nell'attraversarlo carponi per la cura delle malattie delle ossa.

Nelle abbazie del medioevo sorsero le prime spezier ie che col passare del tempo s i trasformarono in officine farmaceutiche.Ciascun monastero possedeva un “giardino dei semplici” cioè delle piante medicinali di base utili per curare le malattie più diffuse.

UNA ECCELLENZA LOCALE

L’ ABBAZIA DI SANT’ EUTIZIO

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Baronio Vincenzi fu un illustre medico ed un esperto chirurgo originario di Foligno, che in età avanzata si trasferì a Borgo Cerreto dove sposò Delia Nobili. A Borgo Cerreto, attiguo alla sua dimora, fece allestire un ospedale dove prestava la sua opera di medico e di chirurgo; inoltre fece realizzare la chiesa di Gesù e Maria, che divenne il mausoleo della famiglia e dove fu sepolto nel 1659. Nella cripta della chiesa, dove probabilmente sono ancora conservati i corpi del medico e della moglie, furono deposte, a più riprese, e almeno fino alla realizzazione del locale cimitero avvenuta dopo l'Unità d'Italia, numerose altre salme.Le particolari condizioni ambientali locali hanno favorito la conservazione dei corpi con un processo di mummificazione naturale. Nella cripta sono state rinvenute le testimonianze dell'attività anatomica del chirurgo: si tratta di alcuni crani che presentano tracce di trapanazioni, forse realizzate come esperimenti, uno dei quali presenta evidenti segni di rimarginazione, facendo pensare che l'individuo sopravvisse di molto all'intervento riuscito.

La chiesa di Gesù e Maria fu edificata in stile tardorinascimentale all'interno del paese di Borgo Cerreto, con bel portale in pietra e campanile a vela a doppio fornice. Il Comune di Cerreto di Spoleto ha recentemente restaurato l'immobile per esporre e documentare l'attività del chirurgo Baronio Vincenzi.

Il fenomeno della mummificazione naturale trova la sua massima evidenza a Ferentillo.Nella cripta di santo Stefano, nel sobborgo di Precetto, si sono conservate uno straordinario numero di mummie, probabilmente per la particolarità del microclima dei locali.I l processo avveniva in maniera rapida, mantenendo così inalterati i tratti somatici e gli indumenti dei morti. Nella stessa cripta è stato allestito il “Museo delle mummie”.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

IL CHIRURGO BARONIO VINCENZI

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Le mummie ritrovate nella cripta della chiesa di Gesù e Maria di Borgo Cerreto sono conservate in alcuni locali annessi alla chiesa, dove un tempo il chirurgo Baronio Vincenzi aveva allestito un piccolo ospedale.Il processo di mummificazione ha permesso la conservazione anche degli indumenti, dando una rarissima testimonianza del modo di abbigliarsi nei secoli passati.

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ANTENNA DI

Il termine cerretano, nell'accezione di questuante e venditore d'indulgenze, significa propriamente: “di Cerreto, che viene da Cerreto, uno dei tanti castelli della Valnerina, lungo l'Appennino umbro - marchigiano”, da cui viene anche il termine Ciarlatano.A Cerreto, l'arte della questua fu forse appresa dai pellegrini, essendo tale località posta lungo uno degli itinerari di visita di importanti santuari cristiani. I cerretani affinarono la loro arte di questuanti a Spoleto nel secolo XIV, a servizio della locale organizzazione ospitaliera, che per quell'epoca era all'avanguardia.E' attestato che nei secoli XV e XVI, i ciarlatani o cerretani, questuanti girovaghi, prendevano in appalto da grandi istituzioni religiose la licenza per lucrare le indulgenze in tutti gli stati d'Europa: anticipavano una cospicua somma di denaro per ottenere la licenza e vendevano nelle piazze e nei mercati le indulgenze cercando, con mille stratagemmi, di trarne il maggior guadagno con il sistema dell'imbonitura.La perfetta conoscenza di strade e città d'Europa spinse questi personaggi al commercio, soprattutto di oggetti preziosi, spezie e medicamenti miracolosi, venduti tutti mettendo in pratica abili artifici retorici e plateali azioni dimostrative.Il termine “ciarlatano” è poi divenuto anche sinonimo di “saltimbanco”, in quanto tali personaggi, per attirare l'attenzione spesso salivano su sgabelli di legno che si portavano dietro, in modo così da richiamare il pubblico e vendere le loro mercanzie.

Con l'arte della questua e della vendita è collegata anche l'arte della drammatizzazione che ha come soggetto principale il ciarlatano e le sue avventure svolte nei diversi luoghi d'Europa. Molte delle gesta di questi personaggi sono state raccolte nello “Speculum Cerretanorum”, un libro che Mons. Teseo Pini scrisse alla fine del '400, approfittando di un periodo di soggiorno passato in Valnerina e che lo studioso Piero Camporesi ha di recente riportato all'attenzione del pubblico.

Al tema del ciarlatano si legano molte attività che vanno sotto il nome di spettacoli di strada: teatro dell'arte, giochi di strada e varie manifestazioni popolari quali infiorate ed opere realizzate da madonnari e artisti di piazza. Di particolare rilevanza in Umbria sono le infiorate che si svolgono in occasione delle processioni del Corpus Domini, realizzando dei veri e propri tappeti di petali di fiori che durano solo lo spazio di poche ore, dal loro allestimento fino al passaggio della processione.Le più note sono quelle di Spello e Cannara, ma esse vengono realizzate in tutti i centri dove si svolge la processione. In Valnerina sono degne di nota le infiorate di Norcia che vengono allestite lungo tutto il tragitto.

CERRETO DI SPOLETO

IL CIARLATANOIL TEATRO POPOLARE E GLI SPETTACOLI DI STRADA

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Cerreto di Spoleto è un castello di origine medievale sorto sul colle di san Sebastiano, a circa 600 m. s.l.m., in posizione panoramica, a dominio della confluenza delle valli del Nera e del Vigi. Il suo nome deriva dalla diffusa presenza delle piante di cerro e fino al secolo scorso si poteva ammirare una quercia centenaria nella piazza principale; il cerro è pure presente nello stemma comunale, insieme a due orsi e ad un ponte romano. Durante il periodo tra i secoli XIII e XVI il castello fu sottomesso, in diversi periodi, ai comuni di Spoleto e Norcia ed al Ducato di Camerino, ma successivamente riottenne la propria indipendenza, che conservò gelosamente fino all'Unità d'Italia.Tra le vestigia medievali presenti nel paese sono ancora individuabili alcuni tratti della cerchia muraria, la torre civica ed alcune porte di accesso al castello.Dei secoli XVII e XVIII si conservano invece alcuni bei palazzetti di edilizia privata, con eleganti prospetti, appartenuti alle maggiorenti famiglie del luogo, per lo più trasferitesi in altre località a causa delle lotte interne e dei danni provocati dai terremoti.

L'allestimento dell'antenna del Ciarlatano trova la sua sede nel complesso di san Nicola, un ex insediamento monastico agostiniano ridotto allo stato di rudere e di recente restaurato.Il complesso, di origine romanica, ha avuto un notevole sviluppo edilizio nei secoli successivi, grazie ai finanziamenti dei “ciarlatani”. La chiesa, dedicata al santo patrono di Cerreto, ospitava al suo interno numerose cappelle e tombe delle più importanti e ricche famiglie del posto.L'area, un tempo occupata dalla chiesa, attualmente è stata sistemata a teatro all'aperto, l'antico chiostro e alcuni ambienti monastici sono destinati a spazi laboratoriali ed espositivi.

L'antenna si propone di illustrare la figura del ciarlatano e di documentare le manifestazioni del teatro popolare e degli spettacoli di strada, con rielaborazioni e riproposizioni. Le attività laboratoriali sono rivolte alla conoscenza del folclore e a chi intende riproporre il ricco repertorio coreutico e folclorico della dorsale appenninica umbra.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

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ANTENNA DI

Il termine cerretano, nell'accezione di questuante e venditore d'indulgenze, significa propriamente: “di Cerreto, che viene da Cerreto, uno dei tanti castelli della Valnerina, lungo l'Appennino umbro - marchigiano”, da cui viene anche il termine Ciarlatano.A Cerreto, l'arte della questua fu forse appresa dai pellegrini, essendo tale località posta lungo uno degli itinerari di visita di importanti santuari cristiani. I cerretani affinarono la loro arte di questuanti a Spoleto nel secolo XIV, a servizio della locale organizzazione ospitaliera, che per quell'epoca era all'avanguardia.E' attestato che nei secoli XV e XVI, i ciarlatani o cerretani, questuanti girovaghi, prendevano in appalto da grandi istituzioni religiose la licenza per lucrare le indulgenze in tutti gli stati d'Europa: anticipavano una cospicua somma di denaro per ottenere la licenza e vendevano nelle piazze e nei mercati le indulgenze cercando, con mille stratagemmi, di trarne il maggior guadagno con il sistema dell'imbonitura.La perfetta conoscenza di strade e città d'Europa spinse questi personaggi al commercio, soprattutto di oggetti preziosi, spezie e medicamenti miracolosi, venduti tutti mettendo in pratica abili artifici retorici e plateali azioni dimostrative.Il termine “ciarlatano” è poi divenuto anche sinonimo di “saltimbanco”, in quanto tali personaggi, per attirare l'attenzione spesso salivano su sgabelli di legno che si portavano dietro, in modo così da richiamare il pubblico e vendere le loro mercanzie.

Con l'arte della questua e della vendita è collegata anche l'arte della drammatizzazione che ha come soggetto principale il ciarlatano e le sue avventure svolte nei diversi luoghi d'Europa. Molte delle gesta di questi personaggi sono state raccolte nello “Speculum Cerretanorum”, un libro che Mons. Teseo Pini scrisse alla fine del '400, approfittando di un periodo di soggiorno passato in Valnerina e che lo studioso Piero Camporesi ha di recente riportato all'attenzione del pubblico.

Al tema del ciarlatano si legano molte attività che vanno sotto il nome di spettacoli di strada: teatro dell'arte, giochi di strada e varie manifestazioni popolari quali infiorate ed opere realizzate da madonnari e artisti di piazza. Di particolare rilevanza in Umbria sono le infiorate che si svolgono in occasione delle processioni del Corpus Domini, realizzando dei veri e propri tappeti di petali di fiori che durano solo lo spazio di poche ore, dal loro allestimento fino al passaggio della processione.Le più note sono quelle di Spello e Cannara, ma esse vengono realizzate in tutti i centri dove si svolge la processione. In Valnerina sono degne di nota le infiorate di Norcia che vengono allestite lungo tutto il tragitto.

CERRETO DI SPOLETO

IL CIARLATANOIL TEATRO POPOLARE E GLI SPETTACOLI DI STRADA

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Cerreto di Spoleto è un castello di origine medievale sorto sul colle di san Sebastiano, a circa 600 m. s.l.m., in posizione panoramica, a dominio della confluenza delle valli del Nera e del Vigi. Il suo nome deriva dalla diffusa presenza delle piante di cerro e fino al secolo scorso si poteva ammirare una quercia centenaria nella piazza principale; il cerro è pure presente nello stemma comunale, insieme a due orsi e ad un ponte romano. Durante il periodo tra i secoli XIII e XVI il castello fu sottomesso, in diversi periodi, ai comuni di Spoleto e Norcia ed al Ducato di Camerino, ma successivamente riottenne la propria indipendenza, che conservò gelosamente fino all'Unità d'Italia.Tra le vestigia medievali presenti nel paese sono ancora individuabili alcuni tratti della cerchia muraria, la torre civica ed alcune porte di accesso al castello.Dei secoli XVII e XVIII si conservano invece alcuni bei palazzetti di edilizia privata, con eleganti prospetti, appartenuti alle maggiorenti famiglie del luogo, per lo più trasferitesi in altre località a causa delle lotte interne e dei danni provocati dai terremoti.

L'allestimento dell'antenna del Ciarlatano trova la sua sede nel complesso di san Nicola, un ex insediamento monastico agostiniano ridotto allo stato di rudere e di recente restaurato.Il complesso, di origine romanica, ha avuto un notevole sviluppo edilizio nei secoli successivi, grazie ai finanziamenti dei “ciarlatani”. La chiesa, dedicata al santo patrono di Cerreto, ospitava al suo interno numerose cappelle e tombe delle più importanti e ricche famiglie del posto.L'area, un tempo occupata dalla chiesa, attualmente è stata sistemata a teatro all'aperto, l'antico chiostro e alcuni ambienti monastici sono destinati a spazi laboratoriali ed espositivi.

L'antenna si propone di illustrare la figura del ciarlatano e di documentare le manifestazioni del teatro popolare e degli spettacoli di strada, con rielaborazioni e riproposizioni. Le attività laboratoriali sono rivolte alla conoscenza del folclore e a chi intende riproporre il ricco repertorio coreutico e folclorico della dorsale appenninica umbra.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

CERRETO DI SPOLETO

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Presso la sede comunale di Cerreto di Spoleto sono conservate l'effige del Pontano, realizzata solo qualche anno dopo la sua morte ed una edizione che raccoglie tutte le sue opere stampata a Basilea nel 1556, presso la casa editrice Officina Henricpetrina.

Giovanni Gioviano Pontano nacque a Cerreto di Spoleto il 7 maggio 1429 da una famiglia probabilmente originaria di Ponte, frazione di Cerreto di Spoleto, molto importante per essere stata la sede di un gastaldato longobardo e per avere tra i suoi monumenti la pieve romanica di santa Maria Assunta. Pontano è riconosciuto come uno dei più grandi umanisti e politici del secolo XV.Lasciata da giovane la patria, studiò presso l'Università di Perugia e si mise al servizio degli Aragonesi che scendevano alla conquista del Regno di Napoli, vivendo presso la loro corte per tutto il periodo del loro dominio e ottenendo onorificenze, fino al grado di viceré.Nell'ultima parte della sua vita si dedicò completamente alla cultura e compose diverse opere sia in rima che in prosa; fu direttore dell'Accademia Porticus Antoniana, ora Accademia Pontaniana, fino alla sua morte avvenuta a Napoli il 17 settembre 1503.Cerreto di Spoleto ha dato i natali a numerosi personaggi di rilievo nel campo giuridico, che hanno esercitato la loro attività in disparati luoghi d'Italia e d'Europa. Meritano menzione Lisimaco Alberici, Carlo Giuseppe Bonifazi, Mizio Gradi, Serafino Leali, Pietro Morelli, Giovanni Maria Nobili, Sigismondo Filogenio Paoluzi, Giovan Battista Salicetti, Giovanni Battista Scarduzzi, Romolo ed Emilio Toni, Giovanni Battista Taurelli, Marino e Pier Mattia Totti, Ludovico ed Ottaviano Pontano.

UNA ECCELLENZA LOCALE

L’ UMANISTA GIOVANNI GIOVIANO PONTANO

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La chiesa di santa Maria Assunta di Ponte, luogo di origine del Pontano, è un'antica pieve in stile romanico, con facciata a terminazione piana, nella quale si apre un bellissimo rosone, con doppio ordine di archetti ed un portale lunettato.L'interno, a croce latina, con navata laterale aggiunta successivamente, è coperto a capriata e termina con abside semicircolare preceduto da un massiccio tiburio con cupola semisferica.Tra i numerosi arredi che arricchiscono l'edificio, sono da notare il fonte battesimale costituito da una vasca di basalto romana, il progetto del rosone inciso nella parete destra ed i resti della decorazione pittorica risalenti ai secoli XIV, XV e XVI.

Particolarmente interessanti in Umbria sono fiere e mercati che si svolgono nelle principali località del territorio.Le fiere e i mercati sono luoghi deputati alle vendite ed agli acquisti, ma soprattutto sono frequentate per incontri e scambi tra abitanti locali e mercanti ed acquirenti provenienti da diversi luoghi e da regioni limitrofe.In Valnerina, da qualche tempo si sono affermate delle Mostre-mercato dei prodotti del territorio, che da un lato facilitano il commercio di tali prodotti e dall'altro ne accrescono la notorietà.

La Mostra Mercato “Diamante nero” di Scheggino si svolge nel fine settimana centrale del mese di marzo, in concomitanza con la chiusura della raccolta stagionale del tartufo nero, ed ha come scopo la celebrazione del prodotto che in tale località ha per primo conosciuto la conservazione e la commercializzazione.Durante la manifestazione viene realizzata la frittata al tartufo più grande del mondo.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

LE FIERE E LE MOSTRE MERCATO

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La Mostra Mercato del Tartufo nero e dei prodotti tipici della Valnerina si svolge a Norcia tra la fine di febbraio ed i primi di marzo, dove, tra montagne di salsicce e di insaccati e assaggi di formaggi e tartufi, i visitatori hanno l'opportunità di prendere parte a m o m e n t i d i r i f l e s s i o n e s u l l e t e m a t i c h e dell'economia locale e a degustazioni delle eccellenze territoriali.

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La Mostra Mercato dello zafferano di Cascia si svolge nell'ultimo fine settimana di ottobre, il periodo in cui avviene la fioritura del croco, con lo scopo di far conoscere questa spezia, coltivata sin dall'epoca medievale e che sta conoscendo una nuova stagione di produzione e di utilizzo.

Una fiera di antica consuetudine è quella che si tiene a Norcia il 16 agosto di ogni anno, nota come la “Fiera de sienti ‘n può”. Durante tale fiera si contrattava il lavoro stagionale di norcino e i lavoranti venivano interpellati con il classico richiamo “sienti ‘n può’”.

La Mostra Mercato “Fior di Cacio” di Vallo di Nera si svolge nel mese di giugno, per valorizzare le produzioni locali del formaggio pecorino, che viene esaltato anche con giochi, degustazioni guidate ed escursioni territoriali.

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Presso la sede comunale di Cerreto di Spoleto sono conservate l'effige del Pontano, realizzata solo qualche anno dopo la sua morte ed una edizione che raccoglie tutte le sue opere stampata a Basilea nel 1556, presso la casa editrice Officina Henricpetrina.

Giovanni Gioviano Pontano nacque a Cerreto di Spoleto il 7 maggio 1429 da una famiglia probabilmente originaria di Ponte, frazione di Cerreto di Spoleto, molto importante per essere stata la sede di un gastaldato longobardo e per avere tra i suoi monumenti la pieve romanica di santa Maria Assunta. Pontano è riconosciuto come uno dei più grandi umanisti e politici del secolo XV.Lasciata da giovane la patria, studiò presso l'Università di Perugia e si mise al servizio degli Aragonesi che scendevano alla conquista del Regno di Napoli, vivendo presso la loro corte per tutto il periodo del loro dominio e ottenendo onorificenze, fino al grado di viceré.Nell'ultima parte della sua vita si dedicò completamente alla cultura e compose diverse opere sia in rima che in prosa; fu direttore dell'Accademia Porticus Antoniana, ora Accademia Pontaniana, fino alla sua morte avvenuta a Napoli il 17 settembre 1503.Cerreto di Spoleto ha dato i natali a numerosi personaggi di rilievo nel campo giuridico, che hanno esercitato la loro attività in disparati luoghi d'Italia e d'Europa. Meritano menzione Lisimaco Alberici, Carlo Giuseppe Bonifazi, Mizio Gradi, Serafino Leali, Pietro Morelli, Giovanni Maria Nobili, Sigismondo Filogenio Paoluzi, Giovan Battista Salicetti, Giovanni Battista Scarduzzi, Romolo ed Emilio Toni, Giovanni Battista Taurelli, Marino e Pier Mattia Totti, Ludovico ed Ottaviano Pontano.

UNA ECCELLENZA LOCALE

L’ UMANISTA GIOVANNI GIOVIANO PONTANO

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La chiesa di santa Maria Assunta di Ponte, luogo di origine del Pontano, è un'antica pieve in stile romanico, con facciata a terminazione piana, nella quale si apre un bellissimo rosone, con doppio ordine di archetti ed un portale lunettato.L'interno, a croce latina, con navata laterale aggiunta successivamente, è coperto a capriata e termina con abside semicircolare preceduto da un massiccio tiburio con cupola semisferica.Tra i numerosi arredi che arricchiscono l'edificio, sono da notare il fonte battesimale costituito da una vasca di basalto romana, il progetto del rosone inciso nella parete destra ed i resti della decorazione pittorica risalenti ai secoli XIV, XV e XVI.

Particolarmente interessanti in Umbria sono fiere e mercati che si svolgono nelle principali località del territorio.Le fiere e i mercati sono luoghi deputati alle vendite ed agli acquisti, ma soprattutto sono frequentate per incontri e scambi tra abitanti locali e mercanti ed acquirenti provenienti da diversi luoghi e da regioni limitrofe.In Valnerina, da qualche tempo si sono affermate delle Mostre-mercato dei prodotti del territorio, che da un lato facilitano il commercio di tali prodotti e dall'altro ne accrescono la notorietà.

La Mostra Mercato “Diamante nero” di Scheggino si svolge nel fine settimana centrale del mese di marzo, in concomitanza con la chiusura della raccolta stagionale del tartufo nero, ed ha come scopo la celebrazione del prodotto che in tale località ha per primo conosciuto la conservazione e la commercializzazione.Durante la manifestazione viene realizzata la frittata al tartufo più grande del mondo.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

LE FIERE E LE MOSTRE MERCATO

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La Mostra Mercato del Tartufo nero e dei prodotti tipici della Valnerina si svolge a Norcia tra la fine di febbraio ed i primi di marzo, dove, tra montagne di salsicce e di insaccati e assaggi di formaggi e tartufi, i visitatori hanno l'opportunità di prendere parte a m o m e n t i d i r i f l e s s i o n e s u l l e t e m a t i c h e dell'economia locale e a degustazioni delle eccellenze territoriali.

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La Mostra Mercato dello zafferano di Cascia si svolge nell'ultimo fine settimana di ottobre, il periodo in cui avviene la fioritura del croco, con lo scopo di far conoscere questa spezia, coltivata sin dall'epoca medievale e che sta conoscendo una nuova stagione di produzione e di utilizzo.

Una fiera di antica consuetudine è quella che si tiene a Norcia il 16 agosto di ogni anno, nota come la “Fiera de sienti ‘n può”. Durante tale fiera si contrattava il lavoro stagionale di norcino e i lavoranti venivano interpellati con il classico richiamo “sienti ‘n può’”.

La Mostra Mercato “Fior di Cacio” di Vallo di Nera si svolge nel mese di giugno, per valorizzare le produzioni locali del formaggio pecorino, che viene esaltato anche con giochi, degustazioni guidate ed escursioni territoriali.

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ANTENNA DI

La zona del sellanese è da tempo rinomata per la produzione delle lime e delle raspe, prodotte a mano con un sistema di lavorazione che si tramanda da secoli; quest'attività è documentata fin dal settecento ed impegnava gran parte degli abitanti delle frazioni di Villamagina, Casale, Ottaggi e San Martino. Il deschetto di legno utilizzato per l'intaglio (“la picchettatura”) delle lime e delle raspe era presente in quasi tutte le case e tutti i componenti della famiglia lo adoperavano.Nella metà dell'Ottocento si contavano nella zona una ventina di imprese artigiane che forgiavano e commercializzavano i manufatti, con una produzione di oltre 12.000 dozzine di lime e raspe e circa 24.000 dozzine di altri attrezzi metallici per lavori agricoli. Un tempo nella zona si svolgeva l'intero ciclo di produzione: dall'estrazione del ferro nelle miniere di Monte Birbone e di altre zone circostanti, ad una prima lavorazione nelle ferriere di Monteleone o di Scheggino, chiuse dopo il disastroso terremoto del 1703, alla forgiatura e produzione degli utensili nel sellanese.La tradizione vuole che siano stati alcuni religiosi ad insegnare agli abitanti della zona quest'arte, i quali preoccupati che la ricchezza ricavata potesse allontanarli dalla fede, invocarono anche la maledizione per cui nessuno potesse arricchirsi con tale attività.

Le barrette di ferro dolce, prodotte in fonderia, vengono riscaldate alla forgia in modo da essere sagomate nella dimensione e nella forma voluta.La successiva “arricciatura”, realizzata con uno scalpello di acciaio, richiede una particolare abilità; viene eseguita su un deschetto ricavato da un tronco d'albero su cui viene infisso un blocco di piombo, rivestito con strisce di cuoio, per appoggiare le raspe e tenerle ferme, senza rovinare i denti già formati quando si lavora l'altra faccia.La lavorazione manuale distribuisce in modo irregolare le punte sulla superficie delle raspe e questo costituisce il maggior pregio dell'utensile, perché garantisce una perfetta levigatura dei m a t e r i a l i , r i s p e t t o a l l e r a s p e p r o d o t t e meccanicamente che, presentando tutte le cuspidi disposte in f i la, lasciano invece i segni dell'abrasione.

SELLANO

LE RASPEARTIGIANATO ED USO DELLE RISORSE

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Sellano è un castello di poggio del secolo XII, a quota 640 m. s. l. m., in posizione dominante sulla valle del Vigi, le cui origini, che si perdono nella leggenda, sono dovute forse alla tribù romana dei Syllinates ricordata da Plinio o addirittura ai seguaci di Lucio Cornelio Silla, che sembra lo fondarono nell'84 a. C., dandogli il nome del loro capo.Fu comunque certamente un vicus romano, documentato dal rinvenimento di alcune epigrafi; successivamente una curtis longobarda con intorno alcune celle monastiche benedettine, poi possedimento feudale ed infine libero comune, sebbene sotto la sudditanza della città di Spoleto, lungamente conteso dalla Curia imperiale.Sellano, insieme con altri castelli del zona, appartenne quindi al distretto di Spoleto ed il suo territorio era diviso in tre “vaite”: Pieve, San Pietro e San Silvestro.Lo stemma del comune raffigura san Michele Arcangelo in piedi sopra una sella, che molto semplicemente dà una spiegazione sull'origine del suo nome, in quanto il paese si trova costruito sopra la sella di un colle. Negli ultimi anni del governo pontificio a Sellano vennero uniti anche i territori di Apagni, Postignano, Cammoro, Orsano e Montesanto, i quali non avevano abitanti sufficienti a mantenere la propria autonomia.

La frazione di Villamagina che si incontra lungo la strada statale per Foligno è retaggio di una villa fortificata anche se non c'è nessuna traccia di mura, porte e fortificazioni.L'insediamento, originario del sec. XVI, è raggruppato in due distinti nuclei, il primo nella collinetta che sovrasta l'abitato, il secondo, più recente, si trova intorno alla chiesa parrocchiale di san Silvestro.E' in questa frazione che i tanti lavoranti domestici delle lime e delle raspe hanno costituito una vera e propria industria.

La Cooperativa di Villamagina è rimasta l'unica impresa italiana ad operare in questo campo e produce raspe tonde, piane, birolere e raspe speciali per ebanisti, orafi, mobilieri, scultori, calzolai, vetrai, maniscalchi, lavagnari, che ancora oggi richiedono prodotti artigianali di alta qualità.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

SELLANO

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L'attività laboratoriale dell'antenna di Sellano è orientata alla salvaguardia delle tecniche di produzione, per non mandare dispersi dei saperi che si sono tramandati da secoli e che tutt'ora, ben orientati, hanno una importante valenza economica.Inoltre assolve il compito di ricercare, documentare e classificare l'insieme degli utensili in uso nel mondo agricolo ed artigianale, raccolti spesso in improbabili mostre sulla “civiltà contadina”.

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Nel 1945 nel Comune di Sellano è stata fondata la Società Cooperativa Artigiana di Villamagina, che ha cercato di salvaguardare la produzione ed il commercio delle lime e delle raspe. Fino ad epoca recente contava 11 soci ed impegnava 19 dipendenti, ma le difficili condizioni di lavoro e l ' a g g u e r r i t a c o n c o r r e n z a d e l m e r c a t o internazionale hanno da tempo provocato la crisi di questa attività, che un tempo era un'integrazione economica di rilievo per gran parte delle famiglie della zona.

Page 47: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

ANTENNA DI

La zona del sellanese è da tempo rinomata per la produzione delle lime e delle raspe, prodotte a mano con un sistema di lavorazione che si tramanda da secoli; quest'attività è documentata fin dal settecento ed impegnava gran parte degli abitanti delle frazioni di Villamagina, Casale, Ottaggi e San Martino. Il deschetto di legno utilizzato per l'intaglio (“la picchettatura”) delle lime e delle raspe era presente in quasi tutte le case e tutti i componenti della famiglia lo adoperavano.Nella metà dell'Ottocento si contavano nella zona una ventina di imprese artigiane che forgiavano e commercializzavano i manufatti, con una produzione di oltre 12.000 dozzine di lime e raspe e circa 24.000 dozzine di altri attrezzi metallici per lavori agricoli. Un tempo nella zona si svolgeva l'intero ciclo di produzione: dall'estrazione del ferro nelle miniere di Monte Birbone e di altre zone circostanti, ad una prima lavorazione nelle ferriere di Monteleone o di Scheggino, chiuse dopo il disastroso terremoto del 1703, alla forgiatura e produzione degli utensili nel sellanese.La tradizione vuole che siano stati alcuni religiosi ad insegnare agli abitanti della zona quest'arte, i quali preoccupati che la ricchezza ricavata potesse allontanarli dalla fede, invocarono anche la maledizione per cui nessuno potesse arricchirsi con tale attività.

Le barrette di ferro dolce, prodotte in fonderia, vengono riscaldate alla forgia in modo da essere sagomate nella dimensione e nella forma voluta.La successiva “arricciatura”, realizzata con uno scalpello di acciaio, richiede una particolare abilità; viene eseguita su un deschetto ricavato da un tronco d'albero su cui viene infisso un blocco di piombo, rivestito con strisce di cuoio, per appoggiare le raspe e tenerle ferme, senza rovinare i denti già formati quando si lavora l'altra faccia.La lavorazione manuale distribuisce in modo irregolare le punte sulla superficie delle raspe e questo costituisce il maggior pregio dell'utensile, perché garantisce una perfetta levigatura dei m a t e r i a l i , r i s p e t t o a l l e r a s p e p r o d o t t e meccanicamente che, presentando tutte le cuspidi disposte in f i la, lasciano invece i segni dell'abrasione.

SELLANO

LE RASPEARTIGIANATO ED USO DELLE RISORSE

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Sellano è un castello di poggio del secolo XII, a quota 640 m. s. l. m., in posizione dominante sulla valle del Vigi, le cui origini, che si perdono nella leggenda, sono dovute forse alla tribù romana dei Syllinates ricordata da Plinio o addirittura ai seguaci di Lucio Cornelio Silla, che sembra lo fondarono nell'84 a. C., dandogli il nome del loro capo.Fu comunque certamente un vicus romano, documentato dal rinvenimento di alcune epigrafi; successivamente una curtis longobarda con intorno alcune celle monastiche benedettine, poi possedimento feudale ed infine libero comune, sebbene sotto la sudditanza della città di Spoleto, lungamente conteso dalla Curia imperiale.Sellano, insieme con altri castelli del zona, appartenne quindi al distretto di Spoleto ed il suo territorio era diviso in tre “vaite”: Pieve, San Pietro e San Silvestro.Lo stemma del comune raffigura san Michele Arcangelo in piedi sopra una sella, che molto semplicemente dà una spiegazione sull'origine del suo nome, in quanto il paese si trova costruito sopra la sella di un colle. Negli ultimi anni del governo pontificio a Sellano vennero uniti anche i territori di Apagni, Postignano, Cammoro, Orsano e Montesanto, i quali non avevano abitanti sufficienti a mantenere la propria autonomia.

La frazione di Villamagina che si incontra lungo la strada statale per Foligno è retaggio di una villa fortificata anche se non c'è nessuna traccia di mura, porte e fortificazioni.L'insediamento, originario del sec. XVI, è raggruppato in due distinti nuclei, il primo nella collinetta che sovrasta l'abitato, il secondo, più recente, si trova intorno alla chiesa parrocchiale di san Silvestro.E' in questa frazione che i tanti lavoranti domestici delle lime e delle raspe hanno costituito una vera e propria industria.

La Cooperativa di Villamagina è rimasta l'unica impresa italiana ad operare in questo campo e produce raspe tonde, piane, birolere e raspe speciali per ebanisti, orafi, mobilieri, scultori, calzolai, vetrai, maniscalchi, lavagnari, che ancora oggi richiedono prodotti artigianali di alta qualità.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

SELLANO

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L'attività laboratoriale dell'antenna di Sellano è orientata alla salvaguardia delle tecniche di produzione, per non mandare dispersi dei saperi che si sono tramandati da secoli e che tutt'ora, ben orientati, hanno una importante valenza economica.Inoltre assolve il compito di ricercare, documentare e classificare l'insieme degli utensili in uso nel mondo agricolo ed artigianale, raccolti spesso in improbabili mostre sulla “civiltà contadina”.

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Nel 1945 nel Comune di Sellano è stata fondata la Società Cooperativa Artigiana di Villamagina, che ha cercato di salvaguardare la produzione ed il commercio delle lime e delle raspe. Fino ad epoca recente contava 11 soci ed impegnava 19 dipendenti, ma le difficili condizioni di lavoro e l ' a g g u e r r i t a c o n c o r r e n z a d e l m e r c a t o internazionale hanno da tempo provocato la crisi di questa attività, che un tempo era un'integrazione economica di rilievo per gran parte delle famiglie della zona.

Page 48: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

Postignano fa parte di un nutrito gruppo di paesi che, a causa di avverse condizioni naturali, come terremoti, smottamenti, frane o per posizioni impervie, difficilmente raggiungibili, hanno subito un progressivo spopolamento fino al completo abbandono.I “paesi abbandonati” nel loro ins ieme costituiscono un fenomeno che pur essendo stato più volte analizzato, andrebbe ulteriormente approfondito per poter mettere in atto azioni di tutela, in quanto i tessuti urbanistici, per quanto ridotti allo stato di rudere, mantengono intatte caratteristiche che si sono perse, a causa delle continue ristrutturazioni, nei centri maggiori. Per citare quelli più significativi basta ricordare: Biselli, Onde, Argentigli e Belvedere a Norcia, Chiavano, Castel Santa Maria e Civita a Cascia, Roccagelli e Forca a Vallo di Nera, Castel del Monte, Raischio e Sensati a Spoleto.

Un fenomeno che si è sviluppato su tutta la dorsale appenninica, in età comunale, è quello dei paesi inerpicati, che costituiscono tutt'ora lo schema base del paesaggio. Si assiste, a partire dal secondo millennio, ad una specializzazione urbanistica e sociale degli insediamenti che assumono una diversa forma a seconda che si tratti di castelli o di ville. I primi con funzione di protezione del territorio, posti in luoghi di difficile accesso, cinti di mura con strette porte d'ingresso, dove gli abitanti si dedicano prevalentemente ad attività silvo-pastorali. Generalmente i castelli erano arroccati in posizioni dominanti ed erano definiti di poggio, se occupavano la sommità di un colle, e di pendio, se invece erano addossati alla china di un rilievo.Le ville, al contrario, sono disposte nelle pianure o negli altopiani, al centro di aree agricole intensamente coltivate, si aprono sulle coltivazioni senza alcun impedimento urbanistico e si sviluppano lungo le vie di comunicazione. Gli abitanti di questo tipo di insediamento sono perlopiù dediti all'agricoltura, all'artigianato ed al commercio.

Castello di pendio che sorge a 597 m. s. l. m. con impianto triangolare, sorto lungo un antico percorso montano che congiungeva Sellano con Spoleto, in posizione dominante sia sulla valle del Vigi, che su quella del torrente Argentina. Il castello, abbandonato negli anni sessanta del secolo scorso a causa di movimenti franosi, è al momento oggetto di un grande progetto di ristrutturazione che valorizza tutti gli aspetti urbanistici e costruttivi dell'insediamento, dalla torre pentagonale di vedetta, al cassero, alla chiesa parrocchiale, ai tratti delle mura perimetrali, recuperando tutto il patrimonio edilizio esistente allo scopo di realizzare un albergo diffuso, strutture per il gioco del bridge, locali per vendite di prodotti tipici e laboratori per artigianato di qualità.Il nome del paese, che significa “dopo il fuoco”, ricorda quasi sicuramente le avvenute ricostruzioni dei castelli, costituitisi in liberi comuni, dopo le distruzioni delle rocche feudali, alla fine del secolo XII. In prossimità del castello si trova anche un antico mulino idraulico funzionante, risalente al secolo XVI che comprendeva un tempo anche una gualchiera e una tintoria di stoffe.

UNA ECCELLENZA LOCALE

IL CASTELLO DI POSTIGNANO

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La dorsale montuosa del Coscerno-Aspra era un tempo molto ricca di giacimenti minerari, soprattutto di ferro, che venivano sfruttati con l'estrazione. Grazie a questo minerale gli abitanti del posto potevano permettersi sin dall'antichità di realizzare degli strumenti da lavoro e oggetti utilizzati nei diversi mestieri artigiani.Ma fu soltanto nel secolo XVII, con l'apertura della “Strada del Ferro”, una via fatta aprire dal papa Urbano VIII e dal potente cardinal Fausto Poli per collegare la Flaminia con Monteleone, Cascia e Norcia, che si poterono realizzare dei veri e propri opifici, strategici per i rifornimenti dello Stato Pontificio.

L'arma di papa Urbano VIII, che un tempo si trovava lungo la via Flaminia, stava ad indicare l'inizio della strada fatta realizzare per Monteleone, Cascia e Norcia, detta la “Via del Ferro”.

In occasione dell'apertura delle Ferriere di Monteleone di Spoleto nel 1642 venne coniata da parte di papa Urbano VIII anche una medaglia commemorativa, a testimonianza della grande importanza data allo sfruttamento delle risorse minerarie locali.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

LE FERRIERE DI MONTELEONE DI SPOLETO E SCHEGGINO

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Presso il ponte delle Ferriere di Monteleone di Spoleto, che si trova lungo la strada Cascia – Leonessa, era situata la ferriera di Monteleone, che utilizzava l'acqua del Corno per lavare il materiale ferroso prima della lavorazione.Degli impianti restano soltanto dei ruderi in quanto le frequenti inondazioni del fiume, che creavano di continuo gravi danni all'opificio, indussero ad abbandonare l'impresa.

L'impianto per la lavorazione del ferro di Scheggino è ancora riconoscibile in alcuni edifici del posto, ora trasformati in abitazioni. La ferriera utilizzava l'acqua del fiume Nera attraverso un canale di derivazione. La tradizione locale vuole che alcune cancellate del Pantheon e di San Pietro a Roma siano state realizzate in questa officina.

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Postignano fa parte di un nutrito gruppo di paesi che, a causa di avverse condizioni naturali, come terremoti, smottamenti, frane o per posizioni impervie, difficilmente raggiungibili, hanno subito un progressivo spopolamento fino al completo abbandono.I “paesi abbandonati” nel loro ins ieme costituiscono un fenomeno che pur essendo stato più volte analizzato, andrebbe ulteriormente approfondito per poter mettere in atto azioni di tutela, in quanto i tessuti urbanistici, per quanto ridotti allo stato di rudere, mantengono intatte caratteristiche che si sono perse, a causa delle continue ristrutturazioni, nei centri maggiori. Per citare quelli più significativi basta ricordare: Biselli, Onde, Argentigli e Belvedere a Norcia, Chiavano, Castel Santa Maria e Civita a Cascia, Roccagelli e Forca a Vallo di Nera, Castel del Monte, Raischio e Sensati a Spoleto.

Un fenomeno che si è sviluppato su tutta la dorsale appenninica, in età comunale, è quello dei paesi inerpicati, che costituiscono tutt'ora lo schema base del paesaggio. Si assiste, a partire dal secondo millennio, ad una specializzazione urbanistica e sociale degli insediamenti che assumono una diversa forma a seconda che si tratti di castelli o di ville. I primi con funzione di protezione del territorio, posti in luoghi di difficile accesso, cinti di mura con strette porte d'ingresso, dove gli abitanti si dedicano prevalentemente ad attività silvo-pastorali. Generalmente i castelli erano arroccati in posizioni dominanti ed erano definiti di poggio, se occupavano la sommità di un colle, e di pendio, se invece erano addossati alla china di un rilievo.Le ville, al contrario, sono disposte nelle pianure o negli altopiani, al centro di aree agricole intensamente coltivate, si aprono sulle coltivazioni senza alcun impedimento urbanistico e si sviluppano lungo le vie di comunicazione. Gli abitanti di questo tipo di insediamento sono perlopiù dediti all'agricoltura, all'artigianato ed al commercio.

Castello di pendio che sorge a 597 m. s. l. m. con impianto triangolare, sorto lungo un antico percorso montano che congiungeva Sellano con Spoleto, in posizione dominante sia sulla valle del Vigi, che su quella del torrente Argentina. Il castello, abbandonato negli anni sessanta del secolo scorso a causa di movimenti franosi, è al momento oggetto di un grande progetto di ristrutturazione che valorizza tutti gli aspetti urbanistici e costruttivi dell'insediamento, dalla torre pentagonale di vedetta, al cassero, alla chiesa parrocchiale, ai tratti delle mura perimetrali, recuperando tutto il patrimonio edilizio esistente allo scopo di realizzare un albergo diffuso, strutture per il gioco del bridge, locali per vendite di prodotti tipici e laboratori per artigianato di qualità.Il nome del paese, che significa “dopo il fuoco”, ricorda quasi sicuramente le avvenute ricostruzioni dei castelli, costituitisi in liberi comuni, dopo le distruzioni delle rocche feudali, alla fine del secolo XII. In prossimità del castello si trova anche un antico mulino idraulico funzionante, risalente al secolo XVI che comprendeva un tempo anche una gualchiera e una tintoria di stoffe.

UNA ECCELLENZA LOCALE

IL CASTELLO DI POSTIGNANO

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La dorsale montuosa del Coscerno-Aspra era un tempo molto ricca di giacimenti minerari, soprattutto di ferro, che venivano sfruttati con l'estrazione. Grazie a questo minerale gli abitanti del posto potevano permettersi sin dall'antichità di realizzare degli strumenti da lavoro e oggetti utilizzati nei diversi mestieri artigiani.Ma fu soltanto nel secolo XVII, con l'apertura della “Strada del Ferro”, una via fatta aprire dal papa Urbano VIII e dal potente cardinal Fausto Poli per collegare la Flaminia con Monteleone, Cascia e Norcia, che si poterono realizzare dei veri e propri opifici, strategici per i rifornimenti dello Stato Pontificio.

L'arma di papa Urbano VIII, che un tempo si trovava lungo la via Flaminia, stava ad indicare l'inizio della strada fatta realizzare per Monteleone, Cascia e Norcia, detta la “Via del Ferro”.

In occasione dell'apertura delle Ferriere di Monteleone di Spoleto nel 1642 venne coniata da parte di papa Urbano VIII anche una medaglia commemorativa, a testimonianza della grande importanza data allo sfruttamento delle risorse minerarie locali.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

LE FERRIERE DI MONTELEONE DI SPOLETO E SCHEGGINO

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Presso il ponte delle Ferriere di Monteleone di Spoleto, che si trova lungo la strada Cascia – Leonessa, era situata la ferriera di Monteleone, che utilizzava l'acqua del Corno per lavare il materiale ferroso prima della lavorazione.Degli impianti restano soltanto dei ruderi in quanto le frequenti inondazioni del fiume, che creavano di continuo gravi danni all'opificio, indussero ad abbandonare l'impresa.

L'impianto per la lavorazione del ferro di Scheggino è ancora riconoscibile in alcuni edifici del posto, ora trasformati in abitazioni. La ferriera utilizzava l'acqua del fiume Nera attraverso un canale di derivazione. La tradizione locale vuole che alcune cancellate del Pantheon e di San Pietro a Roma siano state realizzate in questa officina.

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ANTENNA DI

L'acqua come forza motrice e come risorsa produttiva rappresenta un progetto di archeologia industriale che si sviluppa nella parte montana del Comune di Foligno, toccando le diverse località della valle del Menotre. In questa zona infatti si rintracciano importanti testimonianze della lenta ma progressiva evoluzione, nel corso dei secoli, degli antichi cicli produttivi e dei macchinari utilizzati che hanno reso possibile la nascita di opifici idraulici.Le attività di gualchiere, cartiere, molini da olio e da grano, tintorie, concerie, lanifici, cotonifici, falegnamerie, fonderie, ecc…, che si sono insediate lungo il corso del fiume, in un vasto arco temporale che va dal secolo XII fino ai giorni nostri, erano dipendenti dall'acqua che, inizialmente, azionava motori semplici come la ruota idraulica.Lo sfruttamento dell'acqua agli inizi del Novecento ha poi un altro tipo di finalità, strettamente legata alla produzione di energia elettrica: ciò spiega il sorgere nell'area di piccole centrali idroelettriche che consentirono e ancora oggi permettono la produzione di questa preziosa energia.

L'andamento ripido del corso dell'acqua del fiume Menotre e i continui salti e dislivelli fanno si che l'acqua acquisti una notevole energia cinetica che è in grado di svolgere un lavoro: può muovere le pale di un mulino, di una ruota idraulica o di una turbina.Questa naturale energia era conosciuta fin dall'antichità, ed infatti fin dall'antichità l'intera valle era fortemente antropizzata anche per contiguità con l'antica “Via della Spina” che metteva in collegamento l'Adriatico con il Tirreno, passando per Plestia, antica città romana, nei pressi di Colfiorito.

Sotto il castello di Rasiglia sgorga una sorgente che raccoglie acque che provengono dall'altipiano di Verchiano, le “acque pagane” di un'antica leggenda, deviate dal loro naturale corso perché maledette.La ricchezza di acqua e un articolato sistema di opere di canalizzazione e di derivazione, invasi, piccole cascate e chiuse, fece si che si sviluppassero numerosi opifici, alcuni dei quali, quelli per la lavorazione della lana di proprietà delle famiglie Accorimboni e Tonti, rimasero in attività fino al XX secolo.La maggior parte delle risorse idriche della Valle del Menotre, sono attualmente utilizzate per l'approvvigionamento della città di Foligno.

FOLIGNO

GLI OPIFICI IDRAULICIL’ ACQUA COME FORZA MOTRICE

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La valle del Menotre costituisce la spina centrale di tutta l'area montana del territorio di Foligno. E' una valle stretta, tra versanti boscati ed acclivi, segnata, in corrispondenza di Pale, da suggestive cascate immerse in una lussureggiante vegetazione e dominate dal Sasso di Pale, una montagna contrassegnata da un'impervia parete rocciosa, entro cui appare incastonato l'eremo di santa Maria Giacobbe.La valle è ricca di testimonianze del suo precoce sviluppo manifatturiero risalente ai secoli XII e XIII, legato alla vicina presenza dei monaci benedettini dell'Abbazia di Sassovivo che valorizzarono, per scopi produttivi, la grande ricchezza di acque e sorgenti. Tracce di mulini, gualchiere, spesso trasformate in rinomate cartiere, appaiono sparse sul territorio A Rasiglia, Scopoli e Pale, come pure a Casenove, Serrone, Leggiana, Ponte Santa Lucia e Belfiore, tali manufatti sono ancora facilmente rintracciabili nel tessuto urbanistico ed edilizio.

Foligno, comune ove ricade la Valle del Menotre, è un importante centro commerciale ed industriale ed è la terza città dell'Umbria, posizionata al centro della Valle Umbra, alla confluenza dei fiumi Topino e Menotre.Fu un insediamento prima umbro, poi romano e medievale, sede di libero comune e signoria, sotto lo Stato Pontificio fino all'Unità d'Italia.

Scopo principale dell'antenna ecomuseale della Valle del Menotre è quello di documentare la secolare utilizzazione dell'acqua come forza motrice, divenendo il volano dell'intera economia della valle.L'antenna dell'ecomuseo degli opifici idraulici più di ogni altra privilegia gli aspetti naturalistici e della sostenibilità ambientale. Le attività laboratoriali trovano i suoi punti di visita e di informazione soprattutto a Rasiglia, a Scopoli e a Pale, anche se le attività sono diffuse in tutta la valle del Menotre, in un itinerario che mette in comunicazione i diversi aspetti e le diverse specializzazioni produttive.Attenzione particolare di livello didattico è concentrata sull'utilizzo delle moderne turbine per la produzione di energia elettrica.L'insieme delle attività laboratoriali e di ricerca è orientato alla rifunzionalità dell'energia idrica in sintonia con le volontà imprenditoriali espresse dal territorio.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

RASIGLIA, SCOPOLI, PALE

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ANTENNA DI

L'acqua come forza motrice e come risorsa produttiva rappresenta un progetto di archeologia industriale che si sviluppa nella parte montana del Comune di Foligno, toccando le diverse località della valle del Menotre. In questa zona infatti si rintracciano importanti testimonianze della lenta ma progressiva evoluzione, nel corso dei secoli, degli antichi cicli produttivi e dei macchinari utilizzati che hanno reso possibile la nascita di opifici idraulici.Le attività di gualchiere, cartiere, molini da olio e da grano, tintorie, concerie, lanifici, cotonifici, falegnamerie, fonderie, ecc…, che si sono insediate lungo il corso del fiume, in un vasto arco temporale che va dal secolo XII fino ai giorni nostri, erano dipendenti dall'acqua che, inizialmente, azionava motori semplici come la ruota idraulica.Lo sfruttamento dell'acqua agli inizi del Novecento ha poi un altro tipo di finalità, strettamente legata alla produzione di energia elettrica: ciò spiega il sorgere nell'area di piccole centrali idroelettriche che consentirono e ancora oggi permettono la produzione di questa preziosa energia.

L'andamento ripido del corso dell'acqua del fiume Menotre e i continui salti e dislivelli fanno si che l'acqua acquisti una notevole energia cinetica che è in grado di svolgere un lavoro: può muovere le pale di un mulino, di una ruota idraulica o di una turbina.Questa naturale energia era conosciuta fin dall'antichità, ed infatti fin dall'antichità l'intera valle era fortemente antropizzata anche per contiguità con l'antica “Via della Spina” che metteva in collegamento l'Adriatico con il Tirreno, passando per Plestia, antica città romana, nei pressi di Colfiorito.

Sotto il castello di Rasiglia sgorga una sorgente che raccoglie acque che provengono dall'altipiano di Verchiano, le “acque pagane” di un'antica leggenda, deviate dal loro naturale corso perché maledette.La ricchezza di acqua e un articolato sistema di opere di canalizzazione e di derivazione, invasi, piccole cascate e chiuse, fece si che si sviluppassero numerosi opifici, alcuni dei quali, quelli per la lavorazione della lana di proprietà delle famiglie Accorimboni e Tonti, rimasero in attività fino al XX secolo.La maggior parte delle risorse idriche della Valle del Menotre, sono attualmente utilizzate per l'approvvigionamento della città di Foligno.

FOLIGNO

GLI OPIFICI IDRAULICIL’ ACQUA COME FORZA MOTRICE

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La valle del Menotre costituisce la spina centrale di tutta l'area montana del territorio di Foligno. E' una valle stretta, tra versanti boscati ed acclivi, segnata, in corrispondenza di Pale, da suggestive cascate immerse in una lussureggiante vegetazione e dominate dal Sasso di Pale, una montagna contrassegnata da un'impervia parete rocciosa, entro cui appare incastonato l'eremo di santa Maria Giacobbe.La valle è ricca di testimonianze del suo precoce sviluppo manifatturiero risalente ai secoli XII e XIII, legato alla vicina presenza dei monaci benedettini dell'Abbazia di Sassovivo che valorizzarono, per scopi produttivi, la grande ricchezza di acque e sorgenti. Tracce di mulini, gualchiere, spesso trasformate in rinomate cartiere, appaiono sparse sul territorio A Rasiglia, Scopoli e Pale, come pure a Casenove, Serrone, Leggiana, Ponte Santa Lucia e Belfiore, tali manufatti sono ancora facilmente rintracciabili nel tessuto urbanistico ed edilizio.

Foligno, comune ove ricade la Valle del Menotre, è un importante centro commerciale ed industriale ed è la terza città dell'Umbria, posizionata al centro della Valle Umbra, alla confluenza dei fiumi Topino e Menotre.Fu un insediamento prima umbro, poi romano e medievale, sede di libero comune e signoria, sotto lo Stato Pontificio fino all'Unità d'Italia.

Scopo principale dell'antenna ecomuseale della Valle del Menotre è quello di documentare la secolare utilizzazione dell'acqua come forza motrice, divenendo il volano dell'intera economia della valle.L'antenna dell'ecomuseo degli opifici idraulici più di ogni altra privilegia gli aspetti naturalistici e della sostenibilità ambientale. Le attività laboratoriali trovano i suoi punti di visita e di informazione soprattutto a Rasiglia, a Scopoli e a Pale, anche se le attività sono diffuse in tutta la valle del Menotre, in un itinerario che mette in comunicazione i diversi aspetti e le diverse specializzazioni produttive.Attenzione particolare di livello didattico è concentrata sull'utilizzo delle moderne turbine per la produzione di energia elettrica.L'insieme delle attività laboratoriali e di ricerca è orientato alla rifunzionalità dell'energia idrica in sintonia con le volontà imprenditoriali espresse dal territorio.

IL LUOGO DELL’ ECOMUSEO

RASIGLIA, SCOPOLI, PALE

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Page 52: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

Foligno può vantare la prima edizione a stampa della Divina Commedia di Dante Alighieri realizzata nel 1472 ad opera del tipografo Johanne Numeister di Magonza, che opera insieme ad Evangelista Angelini di Trevi, con la collaborazione, per quanto riguarda i punzoni da stampa, dello zecchiere pontificio Emiliano Orfini di Foligno.Il Numeister, allievo di Peter Schoffer e di Johann Gutemberg, arriva a Foligno nel 1463, come copista di manoscritti, essendo fuggito dalla Germania dopo il sacco di Magonza del 1462.

La cartiera più antica ed illustre del territorio di Foligno, riportata già nei documenti dell'abbazia di Sassovivo fin dal 1256 e citata come attività viva e funzionante nel 1371 è quella di Pale. I monaci di Sassovivo gestirono tale attività che successivamente passò alla famiglia dei Trinci, il cui stemma, due teste di cavallo opposte, compare nella filigrana della carta prodotta.

La stampa della prima edizione della Divina Commedia si colloca in un periodo storico particolarmente felice sia dal punto di vista culturale che economico di Foligno, allora sotto l'illuminato dominio della signoria dei Trinci, aperta alle novità che giungevano da tutta Europa.La presenza di cartiere nei territori circostanti, se non proprio a Pale sicuramente nella vicina Fabriano, che da tempo producevano carta eccellente, e la raffinata attività di orafi folignati crearono le condizioni perché proprio in questa località sorgesse una delle prime tipografie di cui si ha conoscenza.

UNA ECCELLENZA LOCALE

LA PRIMA EDIZIONE DELLA DIVINA COMMEDIA

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In località Borgo Garibaldi, ai piedi del centro storico di Preci, si trova un mulino idraulico perfettamente funzionante. La data 1808 incisa sull'impianto di molitura indica l'epoca di un rinnovo strutturale; nell'arco di volta di uno degli ingressi è inciso lo stemma dei Viola, nobile famiglia di Preci.A memoria d'uomo questa struttura rappresenta il più importante mulino del luogo tanto da comprendere una stalla per le bestie da soma che trasportavano le granaglie e delle stanze, poste al piano superiore, utilizzate come abitazione della famiglia del mugnaio.Il sistema dei mulini ad acqua della Valnerina era molto vasto ed ogni insediamento ne contava almeno uno, caratterizzato dal sistema della pala orizzontale, denominata “a ritrecine”.Questo tipo di mulino probabilmente originario delle zone montuose del Medio Oriente si diffuse nel corso di alcuni secoli in tutta l'Asia e l'Europa, restando sempre caratterizzato da un basso rendimento, da una grande diffusione e dall'utilizzo principalmente in zone dove l'acqua era poca, ma impetuosa.

Nei locali annessi al mulino sono collocati gli uffici e gli spazi espositivi della “Casa del Parco” istituita dal Parco Nazionale dei Monti Sibillini, in cui è ricompreso gran parte del territorio comunale di Preci. Il “Vecchio Mulino” ospita anche un punto di informazioni turistiche.

Il sistema a pale orizzontali è costituito da grandi cucchiai di legno montati a corona su un mozzo collegato ad un albero verticale che attraversa la macina inferiore, fissa, in pietra, e trasmette direttamente il moto alla macina superiore, che è invece rotante e dal cui sfregamento si produce la macinatura.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

IL MULINO DI BORGO PRECI

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5352

La cartiera non lasciò mai questi luoghi di produzione e, con l'invenzione della stampa e con il parallelo incremento della produzione cartaria, si estese anche nella sottostante Belfiore.Una tradizione dura a morire vuole che la carta usata per la prima edizione della stampa della Divina Commedia di Foligno fosse stata prodotta nella cartiera di Pale.

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Foligno può vantare la prima edizione a stampa della Divina Commedia di Dante Alighieri realizzata nel 1472 ad opera del tipografo Johanne Numeister di Magonza, che opera insieme ad Evangelista Angelini di Trevi, con la collaborazione, per quanto riguarda i punzoni da stampa, dello zecchiere pontificio Emiliano Orfini di Foligno.Il Numeister, allievo di Peter Schoffer e di Johann Gutemberg, arriva a Foligno nel 1463, come copista di manoscritti, essendo fuggito dalla Germania dopo il sacco di Magonza del 1462.

La cartiera più antica ed illustre del territorio di Foligno, riportata già nei documenti dell'abbazia di Sassovivo fin dal 1256 e citata come attività viva e funzionante nel 1371 è quella di Pale. I monaci di Sassovivo gestirono tale attività che successivamente passò alla famiglia dei Trinci, il cui stemma, due teste di cavallo opposte, compare nella filigrana della carta prodotta.

La stampa della prima edizione della Divina Commedia si colloca in un periodo storico particolarmente felice sia dal punto di vista culturale che economico di Foligno, allora sotto l'illuminato dominio della signoria dei Trinci, aperta alle novità che giungevano da tutta Europa.La presenza di cartiere nei territori circostanti, se non proprio a Pale sicuramente nella vicina Fabriano, che da tempo producevano carta eccellente, e la raffinata attività di orafi folignati crearono le condizioni perché proprio in questa località sorgesse una delle prime tipografie di cui si ha conoscenza.

UNA ECCELLENZA LOCALE

LA PRIMA EDIZIONE DELLA DIVINA COMMEDIA

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In località Borgo Garibaldi, ai piedi del centro storico di Preci, si trova un mulino idraulico perfettamente funzionante. La data 1808 incisa sull'impianto di molitura indica l'epoca di un rinnovo strutturale; nell'arco di volta di uno degli ingressi è inciso lo stemma dei Viola, nobile famiglia di Preci.A memoria d'uomo questa struttura rappresenta il più importante mulino del luogo tanto da comprendere una stalla per le bestie da soma che trasportavano le granaglie e delle stanze, poste al piano superiore, utilizzate come abitazione della famiglia del mugnaio.Il sistema dei mulini ad acqua della Valnerina era molto vasto ed ogni insediamento ne contava almeno uno, caratterizzato dal sistema della pala orizzontale, denominata “a ritrecine”.Questo tipo di mulino probabilmente originario delle zone montuose del Medio Oriente si diffuse nel corso di alcuni secoli in tutta l'Asia e l'Europa, restando sempre caratterizzato da un basso rendimento, da una grande diffusione e dall'utilizzo principalmente in zone dove l'acqua era poca, ma impetuosa.

Nei locali annessi al mulino sono collocati gli uffici e gli spazi espositivi della “Casa del Parco” istituita dal Parco Nazionale dei Monti Sibillini, in cui è ricompreso gran parte del territorio comunale di Preci. Il “Vecchio Mulino” ospita anche un punto di informazioni turistiche.

Il sistema a pale orizzontali è costituito da grandi cucchiai di legno montati a corona su un mozzo collegato ad un albero verticale che attraversa la macina inferiore, fissa, in pietra, e trasmette direttamente il moto alla macina superiore, che è invece rotante e dal cui sfregamento si produce la macinatura.

UNA ECCELLENZA TEMATICA

IL MULINO DI BORGO PRECI

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La cartiera non lasciò mai questi luoghi di produzione e, con l'invenzione della stampa e con il parallelo incremento della produzione cartaria, si estese anche nella sottostante Belfiore.Una tradizione dura a morire vuole che la carta usata per la prima edizione della stampa della Divina Commedia di Foligno fosse stata prodotta nella cartiera di Pale.

Page 54: Guida ai temi dell’Ecomuseo della Dorsale Appenninica Umbra

PRECI

FOLIGNO

SCHEGGINO

VALLO DI NERA

CASCIA

NORCIA

CERRETO DI SPOLETO

SELLANO

SANT’ANATOLIA DI NARCO

PERUGIA

SPOLETO

ASSISI

ROMA

RIETI

E45

SS75

E45

ñAEROPORTO

TERNI

MONTELEONE DI SPOLETO

POGGIODOMO

TODI

54

Gran parte delle informazioni che hanno permesso la realizzazione della presente guida derivano dall’”Atlante”, sistema di raccolta ed archiviazione delle informazioni territoriali del CEDRAV.

Si ringraziano:la Curia Arcivescovile di Spoleto-Norcia, la Curia Vescovile di Foligno;

i comuni di: Cascia, Cerreto di Spoleto, Foligno, Monteleone di Spoleto, Norcia, Poggiodomo, Preci, Sant’Anatolia di Narco, Scheggino, Sellano, Spoleto, Vallo di Nera;

si ringraziano inoltre per aver messo a disposizione materiale fotografico storico: la Cassa di Risparmio di Foligno

le proloco di Ruscio di Monteleone di Spoleto e di Schegginola testata giornalistica ValnerinaOnLine;

la ditta COO.BE.C. di Spoleto

LEONESSA

ASCOLI

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PRECI

FOLIGNO

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VALLO DI NERA

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CERRETO DI SPOLETO

SELLANO

SANT’ANATOLIA DI NARCO

PERUGIA

SPOLETO

ASSISI

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TERNI

MONTELEONE DI SPOLETO

POGGIODOMO

TODI

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Gran parte delle informazioni che hanno permesso la realizzazione della presente guida derivano dall’”Atlante”, sistema di raccolta ed archiviazione delle informazioni territoriali del CEDRAV.

Si ringraziano:la Curia Arcivescovile di Spoleto-Norcia, la Curia Vescovile di Foligno;

i comuni di: Cascia, Cerreto di Spoleto, Foligno, Monteleone di Spoleto, Norcia, Poggiodomo, Preci, Sant’Anatolia di Narco, Scheggino, Sellano, Spoleto, Vallo di Nera;

si ringraziano inoltre per aver messo a disposizione materiale fotografico storico: la Cassa di Risparmio di Foligno

le proloco di Ruscio di Monteleone di Spoleto e di Schegginola testata giornalistica ValnerinaOnLine;

la ditta COO.BE.C. di Spoleto

LEONESSA

ASCOLI

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Centro per la Documentazione e la Ricerca Antropologica in Valnerina e nella dorsale appenninica umbra

Monastero di S. Giacomo, Via Padre Pirri, 29 - 06041 Cerreto di Spoleto (PG)Tel. 0743-922129 / Fax. 0743-923007

Website: www.cedrav.org / www.ecomuseodellavalnerina.itEmail: [email protected] / [email protected]

P.S.R. 2007-2013 dellaRegione dell’Umbria - Misura 3.1.3 Regione Umbria

CEDRAV