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Percorsi tematici I Percorsi tematici che presentiamo per- mettono di ampliare il manuale con unità didattiche costruite sui documenti presenti nel database Ares (www.later- za.it/scuola/ares/). Tutti i brani presenti in Ares sono consultabili on line e di- sponibili in formato Word. Racconti del diluvio universale [> cap. 2] Il motivo del diluvio, cioè della som- mersione di tutte le terre e della conse- guente cessazione di ogni forma di vita, è assai diffuso in molte culture, anche as- sai lontane nel tempo e nello spazio, ma tutte caratterizzate da un rapporto im- portante con il mare e i grandi fiumi. Lo schema ricorrente è, a grandi linee, lo stesso: per effetto di una punizione divi- na tutte le terre vengono sommerse da una pioggia torrenziale o da un’inonda- zione; solo una o più coppie umane, av- vertite della catastrofe imminente, si sal- vano su un’imbarcazione e, cessato il di- luvio, raggiungono un approdo, rendo- no omaggio alla divinità e ripristinano il ciclo della vita. La più antica testimonianza sull’argo- mento ci viene da un poema, l’E p o p e a d i G i l g a m e s h , che rappresenta l’esempio più alto della produzione letteraria di ambiente mesopotamico ed è frutto del- la fusione di molteplici racconti indi- pendenti, a lungo trasmessi in forma orale. Un altro racconto del diluvio è presente nella Bibbia e ha per protagonista il pa- triarca Noè: indubbie sono le affinità tra la narrazione della G e n e s i e quella del- l’Epopea di Gilgamesh, tanto che si è a lungo ritenuto che quest’ultima sia stata fonte per la narrazione biblica. Oggi questa relazione di dipendenza è messa in discussione ed è più diffusa l’opinio- ne che il racconto biblico derivi da una tradizione indipendente, molto antica. Anche il mito di Deucalione e Pirra, nel- le parole dell’erudito e filologo greco Apollodoro, è un racconto del diluvio. Questa narrazione presenta notevoli analogie con l’Epopea di Gilgamesh, analogie che sembrano avere radice in un effettivo incontro e scambio cultura- le verificatosi, nell’VIII-VII secolo a.C., nell’Asia Minore frequentata dai Greci. La presenza dei racconti del diluvio in diverse culture ha spinto gli studiosi a cercare conferma nei dati archeologici di una avvenuta catastrofe naturale. Sca- vi archeologici condotti in più centri ur- bani mesopotamici hanno rivelato strati alluvionali, cioè depositi di detriti trasci- nati da inondazioni, che hanno fatto pensare a una grande catastrofe natura- le di cui il diluvio di Utnapishtim sareb- be il ricordo. In realtà sembra che si sia trattato di una serie di episodi locali, non collegati tra loro, che hanno fornito all’invenzione letteraria poco più di un repertorio di immagini e un soggetto da rielaborare. Anche il racconto della Ge- nesi è stato oggetto di indagini sul cam- po. In particolare, sulla base della tradi- zione ebraica che denomina il Monte Ararat, in Armenia, “Monte di Noè”, si è voluto identificare in questo massiccio montuoso, alto più di 5000 m, il luogo dove l’arca di Noè sarebbe approdata. 1 Materiali on line_Percorsi tematici GIARDINA-DE CORRADI-GREGORI © 2010, GIUS. LATERZA & FIGLI, ROMA-BARI

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Percorsi tematici

I Percorsi tematici che presentiamo per-mettono di ampliare il manuale conunità didattiche costruite sui documentipresenti nel database Ares (www.later-za.it/scuola/ares/). Tutti i brani presentiin Ares sono consultabili on line e di-sponibili in formato Word.

Racconti del diluviouniversale [> cap. 2]

Il motivo del diluvio, cioè della som-mersione di tutte le terre e della conse-guente cessazione di ogni forma di vita,è assai diffuso in molte culture, anche as-sai lontane nel tempo e nello spazio, matutte caratterizzate da un rapporto im-portante con il mare e i grandi fiumi. Loschema ricorrente è, a grandi linee, lostesso: per effetto di una punizione divi-na tutte le terre vengono sommerse dauna pioggia torrenziale o da un’inonda-zione; solo una o più coppie umane, av-vertite della catastrofe imminente, si sal-vano su un’imbarcazione e, cessato il di-luvio, raggiungono un approdo, rendo-no omaggio alla divinità e ripristinano ilciclo della vita.La più antica testimonianza sull’argo-mento ci viene da un poema, l’Epopea diGilgamesh, che rappresenta l’esempiopiù alto della produzione letteraria diambiente mesopotamico ed è frutto del-la fusione di molteplici racconti indi-pendenti, a lungo trasmessi in formaorale.Un altro racconto del diluvio è presentenella Bibbia e ha per protagonista il pa-triarca Noè: indubbie sono le affinità tra

la narrazione della Genesi e quella del-l’Epopea di Gilgamesh, tanto che si è alungo ritenuto che quest’ultima sia statafonte per la narrazione biblica. Oggiquesta relazione di dipendenza è messain discussione ed è più diffusa l’opinio-ne che il racconto biblico derivi da unatradizione indipendente, molto antica.Anche il mito di Deucalione e Pirra, nel-le parole dell’erudito e filologo grecoApollodoro, è un racconto del diluvio.Questa narrazione presenta notevolianalogie con l’Epopea di Gilgamesh,analogie che sembrano avere radice inun effettivo incontro e scambio cultura-le verificatosi, nell’VIII-VII secolo a.C.,nell’Asia Minore frequentata dai Greci.La presenza dei racconti del diluvio indiverse culture ha spinto gli studiosi acercare conferma nei dati archeologicidi una avvenuta catastrofe naturale. Sca-vi archeologici condotti in più centri ur-bani mesopotamici hanno rivelato stratialluvionali, cioè depositi di detriti trasci-nati da inondazioni, che hanno fattopensare a una grande catastrofe natura-le di cui il diluvio di Utnapishtim sareb-be il ricordo. In realtà sembra che si siatrattato di una serie di episodi locali,non collegati tra loro, che hanno fornitoall’invenzione letteraria poco più di unrepertorio di immagini e un soggetto darielaborare. Anche il racconto della Ge-nesi è stato oggetto di indagini sul cam-po. In particolare, sulla base della tradi-zione ebraica che denomina il MonteArarat, in Armenia, “Monte di Noè”, siè voluto identificare in questo massicciomontuoso, alto più di 5000 m, il luogodove l’arca di Noè sarebbe approdata.

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Di ciò non è stata riscontrata alcuna pro-va concreta.

n Anonimo di Epopea di GilgameshLa più antica narrazione del diluvio

n Anonimo di Genesi Il racconto deldiluvio nella Bibbia

n Apollodoro Il diluvio dei Greci

Storie di vivi e di morti[> cap. 3]

La percezione egizia della morte oscilla-va tra due sentimenti contrapposti: daun lato, una pessimistica rassegnazionerispetto a un aldilà immaginato come te-tro e minaccioso; dall’altro, la visione se-rena di un aldilà immaginato come unmondo felice e privo di affanni.Ad esempio, il Canto dell’Arpista, rinve-nuto scolpito sulla parete di un edificiotombale e databile alla fine del III mil-lennio a.C., invita a non curarsi dei mor-ti, a vivere e a godere della vita poichél’ineluttabilità del destino non fa torna-re in vita chi è morto: è evidente l’imma-gine di un aldilà percepito come ango-sciante e incombente.Allo stesso modo, nel Dialogo di un di-sperato con la sua anima, quest’ultima in-vita l’uomo a desistere dal suicidio, con-sigliandogli la vita terrena, in cui dilaga-no ingiustizia e malvagità, perché sicura-mente preferibile alla sorte che attendegli esseri umani dopo la morte.In esplicita antitesi con la concezionedella morte espressa nei canti preceden-ti si pone un’iscrizione ritrovata sullaparete di una tomba tebana del NuovoRegno: l’aldilà viene descritto come unluogo giusto, corretto, privo delle lotteche invece insanguinano il mondo dei vi-vi e in cui non ci sono nemici.La morte non significava per gli Egizi lascomparsa dalla faccia della Terra: pre-sente con la sua essenza spirituale, con il

suo corpo reso incorruttibile dalla mum-mificazione, con la sua casa e la sua im-magine fissate nella tomba e nella statua,il defunto continuava a intrattenere rap-porti con i vivi. Non si trattava solo de-gli incontri che avvenivano periodica-mente, quando i vivi si recavano al se-polcro per portare offerte e celebrare irituali di commemorazione del defunto;si riteneva, infatti, che i morti interagis-sero costantemente con il mondo terre-no e influenzassero direttamente l’esi-stenza delle persone con cui avevanoavuto rapporti in vita. La rappresenta-zione più esplicita dell’idea che il tra-passato fosse una personalità viva e atti-va era costituita dalla pratica dei rap-porti epistolari tra i vivi e i morti: pos-siamo leggerne un esempio nella Letteraalla defunta Ankhiry.

n Anonimo di Canto dell’Arpista Checosa è avvenuto di loro?

n Anonimo di Dialogo di un disperatocon la sua anima «O mia anima...»

n Anonimo di Tebe Il paese della giu-stizia

n Anonimo di Lettera alla defuntaAnkhiry I vivi scrivono ai morti

Storie ebraiche [> cap. 4]

Le tradizioni relative alle origini diIsraele furono raccolte in alcuni libridell’Antico Testamento. Ma i raccontibiblici sono solitamente elaborazioniposteriori, spesso molto posteriori, aglieventi narrati e sono dunque basati sudati incerti e indiretti. Questa distanzacronologica, accanto all’intento dimo-strativo su cui sono modellate le narra-zioni, rende piuttosto scarsa la loro at-tendibilità storica. Il loro valore è dun-que di carattere culturale: esse sono l’e-spressione del modo in cui gli ebrei rap-

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presentavano il loro passato e fondava-no il rapporto con il loro Dio e con la lo-ro terra.Ad esempio, la tradizione secondo cuiDio scelse Abramo per stabilire con luie la sua discendenza un’alleanza eterna,come leggiamo nella Genesi, aveva unintento preciso: presentare come unevento unitario la migrazione nel terri-torio palestinese delle tribù d’Israele, giàriunite sotto la guida dei patriarchi, e fis-sare un tempo storico ben preciso per laformulazione del patto tra Dio e il suopopolo, che legittimava il possesso della«Terra promessa» da parte degli ebrei.Anche le vicende della permanenza de-gli ebrei in Egitto e del loro successivoesodo verso la «Terra promessa» costi-tuivano soprattutto il preludio di unevento fondamentale per la storia d’I-sraele: il nuovo patto tra Dio e il suo po-polo e l’emanazione delle leggi divineper il governo della comunità, come leg-giamo nell’Esodo. Attraverso questo im-pegno, stabilito una volta per tutte ancorprima dell’insediamento nella «Terrapromessa», Israele si rappresentava co-me un popolo già perfettamente defini-to fin dal principio dalla fede monoteistae da precise regole religiose, morali egiuridiche.Mentre gli ebrei si rappresentavano co-me un gruppo etnicamente, socialmentee culturalmente definito fin dalle piùlontane origini, ben diverso era il modoin cui gli “altri” vedevano gli ebrei. Gli“altri” erano i sedentari: i contadini e gliabitanti delle città della Siria e della Pa-lestina, che subivano la pressione, spes-so minacciosa, di gruppi di nomadi chei documenti di quel periodo chiamanocon il termine accadico Habiru. Si è sup-posto che il nome “ebrei”, la cui origineè a tutt’oggi incerta, possa derivare daHabiru. Quindi nella percezione dellepopolazioni cananee del II millennio

a.C. le tribù d’Israele sarebbero confusecon quelle aggregazioni indistinte di no-madi, vagabondi, banditi che minaccia-vano costantemente la sicurezza di cittàe campagne, come leggiamo in una let-tera ritrovata negli archivi egizi di El-Amarna.La penetrazione delle tribù d’Israele inPalestina, nella realtà storica, fu un fe-nomeno lento e tutt’altro che lineare.Laddove il contesto non era ostile, so-prattutto nelle aree meno abitate dellecampagne e negli spazi aperti, l’insedia-mento dei nuovi venuti si verificò vero-similmente attraverso la fusione con lepopolazioni preesistenti. Inevitabilmen-te traumatico e violento fu invece l’im-patto con le zone più densamente abita-te, con i fiorenti centri urbani cananei efilistei: qui lo scontro diveniva inevitabi-le. Sono soprattutto questi scontri a ca-ratterizzare, nel racconto biblico del Li-bro di Giosuè, l’occupazione della «Ter-ra promessa».

n Anonimo di Genesi L’alleanzan Anonimo di Esodo Il decalogon Anonimo di Lettere di Amarna

Ebrei-Habirun Anonimo di Libro di Giosuè La

conquista di Gerico

Il mito e la storia [> cap. 4]

Il percorso ha come tema centrale il mi-to, ovvero una narrazione simbolica difatti, con la quale gli antichi cercavano dispiegare ogni aspetto della realtà, dall’o-rigine del mondo alla nascita delle tecni-che, al destino che attende l’uomo dopola morte. Ad esempio Eschilo, tragedio-grafo greco vissuto ad Atene nel V seco-lo a.C., cercava di spiegare, attraverso ilmito di Prometeo, non solo la nascita maanche le acquisizioni culturali e tecniche

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dell’uomo: Prometeo, proprio per l’aiu-to concesso ai mortali, verrà punito daZeus.All’origine del mito c’è spesso una realtàstorica: nella tradizione orale i fatti realisi trasformano e diventano materia mi-tologica. Per Diodoro Siculo, ad esem-pio, il mito di Minosse, re di Creta, figliodi Zeus ed Europa, era il simbolo dellapotenza cretese, mentre la leggenda delMinotauro rappresentava il dominio deiCretesi sugli Ateniesi.Inoltre, nelle civiltà antiche, la creazionedel mito risponde anche al desiderio diindividuare modelli di comportamentoda seguire: elementi tipici della mitolo-gia sono infatti gli eroi, personaggi dota-ti di caratteristiche fisiche e morali ecce-zionali. Benché si tratti di invenzioninarrative cantate dagli aedi, le gesta de-gli eroi mitici greci, tramandate nei duepoemi omerici, l’Iliade e l’Odissea, sonoriconducibili a un contesto storico benpreciso. Dietro le imprese di Odisseo,infatti, intravediamo le reali esperienzedei naviganti greci alla scoperta del Me-diterraneo, come leggiamo nei versi diOmero.

n Eschilo Prometeo e i mortalin Diodoro Siculo Minosse: fra storia e

leggendan Diodoro Siculo Minosse e il Mino-

tauron Omero L’aedon Omero Tra Scilla e Cariddi

La pòlis: una cittàsenza palazzo [> cap. 5]

Il percorso ha come tema centrale la pò-lis, termine che indicava sia il centro ur-bano e il suo territorio, sia l’insieme deicittadini, ossia degli abitanti della città

che godevano dei diritti politici, comespiega Aristotele. L’agorà, cioè la piazza,ricopriva un ruolo centrale nello spaziourbano, proprio perché era il luogo incui i cittadini si riunivano per tenere leassemblee e per autogovernarsi, comeleggiamo in Erodoto. Furono le aristo-crazie guerriere, che condividevano uncomune stile di vita e gli stessi ideali can-tati da Omero, a valorizzare i rapporti diuguaglianza tra di loro e a creare così lanuova forma di governo collettivo. Unulteriore passo verso la formazione diideali di uguaglianza fu l’invenzione del-la falange oplitica, una tattica militareche prevedeva un blocco di soldati tuttiuguali, che segnò il passaggio dall’eroearistocratico al soldato della pòlis, cometestimoniano i brani di Omero e di Tir-teo. L’ascesa di nuove forze sociali tra ilVII e il VI secolo a.C. creò all’internodel corpo civico contrasti – secondoTeognide –, che portarono all’accentra-mento del potere politico nelle mani disingoli individui: i tiranni, come leggia-mo in Aristotele e Diodoro Siculo. Iprocessi che portarono alla formazionedelle pòleis e alla comparsa della tiranni-de furono sostanzialmente simili in tuttoil mondo greco. Ma le forme di governoche si crearono furono due e diametral-mente opposte: l’oligarchia, cioè il go-verno di pochi; e la democrazia, cioè ilgoverno del popolo.

n Aristotele Chi è il cittadinon Erodoto Con o senza piazzan Omero I valori aristocraticin Omero Dall’eroe aristocratico all’o-

plita. Eroici furorin Tirteo Dall’eroe aristocratico all’o-

plita. Fianco a fiancon Teognide Odio aristocraticon Aristotele Il tiranno tra dispotismo e

moderazione. Come i despoti orientalin Diodoro Siculo Il tiranno tra dispoti-

smo e moderazione. Il buon tiranno

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La vita quotidiana deglidèi greci [> cap. 5]

Le pòleis greche, caratterizzate da unaforte autonomia politica ed economica,erano spesso in guerra tra loro per inte-ressi contrastanti o per rivalità. Nono-stante ciò erano consapevoli di far partedi un’unica civiltà. Uno dei principalielementi di coesione per i Greci era si-curamente la religione. Gli dèi dell’O-limpo, monte in cui si immaginava vi-vessero, erano rappresentati in manierafortemente antropomorfa, cioè avevanole sembianze e i caratteri dell’uomo eprovavano i sentimenti, le passioni tipi-che dell’uomo. Nell’Odissea di Omero èdescritta la travolgente gelosia del dioEfesto per il tradimento della compagnaAfrodite con Ares, mentre nell’Iliade lapassione amorosa di Zeus per Era rivelaquanto anche il dio fosse soggetto al de-siderio, al pari degli uomini.Gli dèi greci non vivevano in una dimen-sione separata e inaccessibile, bensì nellostesso universo degli uomini: la familia-rità con la loro presenza è testimoniatadal fatto che non esisteva una distinzionetra spazi sacri e spazi profani; le divinitànon erano lontane, e la loro frequenta-zione caratterizzava ogni momento eogni luogo significativi della vita quoti-diana, come leggiamo in Aristotele.La religione greca non si fondava su unaverità rivelata, non aveva alcun profetafondatore, né possedeva alcun libro sa-cro; non c’era, di conseguenza, bisognodi sacerdoti. La religiosità greca infatti siesprimeva essenzialmente nell’osservan-za dei culti e dei riti prescritti dalla tra-dizione. Tra questi riti particolare rilievoaveva il sacrificio di animali, cui seguivaun banchetto al quale partecipavano uo-mini e dèi insieme, come leggiamo nell’I-liade. Nella religione greca, infine, l’al-dilà non dispensava né punizioni né ri-

compense: gli dèi si disinteressavano deldestino ultraterreno dell’uomo. Tutte leanime dei defunti erano accolte nell’ol-tretomba, immaginato come un mondotriste e tenebroso così come testimonia-no alcuni versi dell’Odissea.

n Omero Dramma della gelosian Omero La passione di Zeusn Aristotele Gli dèi in cucinan Omero Placare gli dèin Omero Meglio ultimo dei vivi che

primo dei morti

La pòlis degli “uguali”:Sparta [> cap. 5]

Un esempio di regime oligarchico è datoda Sparta. Gli antichi attribuivano le ca-ratteristiche peculiari della pòlis spartanaa un personaggio avvolto nella leggenda:Licurgo, come racconta Plutarco. Inrealtà gli ordinamenti spartani furono ilrisultato di un graduale processo, che sicompletò nel VI secolo a.C. Un gruppoesiguo di cittadini, gli spartiati, che negliideali di uguaglianza trovavano elementidi coesione – secondo le parole di Se-nofonte –, deteneva il controllo econo-mico e politico della città. La loro unicaattività consisteva nell’addestramentomilitare: il cittadino spartano, che sin dabambino era introdotto alla disciplinamilitare – secondo le parole di Senofon-te –, era innanzitutto un soldato corag-gioso e rispettoso dell’onore, così comeemerge dai passi di Erodoto e di Tirteo.Di contro, la sfera privata aveva un pesoestremamente ridotto, tanto che i pasti,frugali, erano consumati insieme, comeleggiamo in Plutarco. Le attività produt-tive erano svolte dagli iloti, i discendentidelle popolazioni sottomesse dagli Spar-tani al momento del loro insediamento inLaconia. Gli iloti vivevano in condizionidi semischiavitù ed erano costantemente

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controllati dagli spartiati, che imponeva-no loro una condizione di degrado fisicoe morale, come leggiamo in Ateneo ePlutarco. Altro elemento costitutivo del-la società spartana era rappresentato daiperieci, in posizione intermedia tra spar-tiati e iloti, che abitavano i dintorni dellacittà. Nonostante il carattere semplicedella vita condotta e la semplicità dell’as-setto urbanistico, nelle parole di Tucidi-de, la comunità spartana era cultural-mente vivace e aperta a influssi esterni,come leggiamo in Alcmane.

n Plutarco L’azione di un unico uomon Senofonte Un ideale di uguaglianzan Senofonte L’educazione spartanan Erodoto Eroismo spartano. Vincere

o moriren Tirteo Eroismo spartano. Giovani e

vecchin Plutarco Le mense pubblichen Ateneo Un regime basato sul terro-

re. Un gruppo compatto e pericoloson Plutarco Un regime basato sul terro-

re. La missione notturnan Tucidide L’immagine di Spartan Alcmane Poesie spartane

Il popolo al potere:Atene [> cap. 5]

Il processo che portò alla formazione diun governo democratico ad Atene fu len-to. Nel VII secolo a.C. anche Atene eraretta da un governo aristocratico che,però, fu scosso da una forte crisi economi-ca e sociale. Solone, un arconte di grandeprestigio, introdusse una riforma cheavrebbe dovuto portare la pace sociale.Ma i provvedimenti da lui presi – secondoAristotele – crearono un ordinamento ti-mocratico, cioè basato sul censo, che la-sciò insoddisfatti sia i nobili, sia i poveri.Della difficile situazione approfittò Pisi-strato, che, propostosi come difensore de-

gli interessi del popolo, si impadronì delpotere divenendo tiranno della città, co-me racconta Aristotele. Alla morte di Pi-sistrato raccolsero l’eredità politica pater-na i figli Ippia e Ipparco. Armodio e Ari-stogìtone, gli uccisori di Ipparco, vengonoricordati da Ateneo come coloro che ab-batterono la tirannide e ripristinarono lademocrazia ad Atene. In realtà fu solo conle riforme di Clistene che si formò ad Ate-ne un governo democratico. Gli stessi an-tichi esprimevano giudizi contrastanti sul-la democrazia: Tucidide, uno storico gre-co del V secolo a.C., nella sua opera fa pro-nunciare a Pericle un elogio della demo-crazia; un anonimo autore a lui coevo, ilcosiddetto Pseudo-Senofonte, invece,esprime giudizi negativi nei confronti delgoverno del popolo. Indubbiamente unprovvedimento come l’ostracismo, creatoper salvaguardare gli ordinamenti demo-cratici, si trasformò in un’arma politicaper espellere dalla pòlis esponenti di fa-zioni avverse, come racconta Plutarco.

n Aristotele Autoritratto di Solonen Aristotele Ambiguità di Pisistraton Ateneo Elogio dei tirannicidin Tucidide A favore della democrazia:

un modello per tutta la Grecian Pseudo-Senofonte Contro la demo-

crazia: un regime da evitaren Plutarco L’ostracismo

Gli esclusi dalla pòlis:gli schiavi [> cap. 5]

Nella nozione di cittadino proposta daAristotele non figura una categoria dipersone: gli schiavi. Gli schiavi, infatti,non erano cittadini, e non erano nem-meno “persone”.L’esclusione degli schiavi dalla pòlis eratotale: essi erano considerati tali per na-tura, come esplicita Aristotele, e pocheerano le voci che si levavano in loro favo-

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re, come quella del poeta tragico Euripi-de. Gli schiavi potevano essere venduti ocomprati come se fossero cose o animali.Si diceva – come leggiamo in Platone e inSenofonte – che per ottenere da loro lamassima efficienza fosse appunto neces-sario impiegare le stesse tecniche che siusavano con gli animali. Un esempiolampante di come fossero trattati glischiavi si trova nelle Rane di Aristofane,un commediografo ateniese del V secoloa.C.: durante i processi, per avvalorare lapropria tesi, si faceva ricorso alla testi-monianza dello schiavo estorta sotto tor-tura, come se il supplizio fosse l’unica viaper far emergere la verità da individuiconsiderati inferiori. Nemmeno i meteci,gli stranieri che abitavano nella pòlis, era-no considerati cittadini. Ma essi erano ri-spettati perché erano individui liberi chedavano un contributo fondamentale allavita economica, come testimoniano lepagine di Senofonte e di Euripide.

n Aristotele Visioni della schiavitù.Schiavi per natura

n Euripide Visioni della schiavitù.Umanità schiavile (A)

n Euripide Visioni della schiavitù.Umanità schiavile (B)

n Platone Come trattare gli schiavi.Una proprietà difficile

n Senofonte Come trattare gli schiavi.Cavalli, cuccioli e schiavi

n Aristofane La tortura dello schiavon Senofonte La condizione di meteco.

Gli stranieri e il benessere della cittàn Euripide La condizione di meteco.

Lo straniero ideale

Una città “senzadonne”: la pòlis greca[> cap. 5]

In Grecia la donna libera era definita,nella sua funzione sociale, dal matrimo-

nio, nel quale svolgeva un ruolo del tut-to passivo: era data in moglie dal padreal marito in seguito a un accordo, chenon richiedeva il suo consenso. La don-na arrivava al matrimonio da bambina,in una condizione intellettuale e psicolo-gica ancora infantile, poiché era cresciu-ta tra le pareti domestiche senza riceve-re un’adeguata istruzione. Inevitabil-mente il marito, generalmente molto piùgrande, assumeva il ruolo di maestro ededucatore, come leggiamo in Senofonte.Nella dimora del padre e poi in quelladel marito, le fanciulle imparavano quel-lo che era ritenuto indispensabile alla lo-ro formazione: cucire, filare e cucinare.Il divorzio, pur consentito dalla legge,era biasimato dal costume, tanto che imariti si opponevano con forza a tali ri-chieste, come ci racconta Plutarco.L’uomo invece poteva sciogliere il matri-monio in qualsiasi momento semplice-mente ripudiando la moglie. È quantoaccade a Medea, nell’omonima tragediadi Euripide, che incarna più di ogni al-tra nella letteratura antica la condizionefemminile: essa è tradita e ripudiata dalmarito Giasone. Le etère erano le unichedonne che godevano di libertà e tra lorosi trovavano anche donne brillanti eistruite, come leggiamo nella Lettera diTeano a Nicostrate.A Sparta la condizione della donna eradiversa: educata dalla pòlis, il suo com-pito era quello di generare bambini sani,destinati a diventare guerrieri coraggio-si e forti. Il loro modo di vita libero edestroverso faceva sì che le donne sparta-ne apparissero fiere e poco disposte afarsi dominare dall’altro sesso, comeracconta Plutarco.Ma, escludendo il caso limite della don-na spartana, in una società come quellagreca, fortemente politicizzata, la donnanon trovava spazio: il suo ruolo nella pò-lis si riduceva a strumento di trasmissio-

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ne del diritto di cittadinanza attraversola procreazione di cittadini.

n Senofonte La moglie addomesticatan Plutarco Quando è la moglie a vole-

re il divorzion Euripide Meglio combattere che

partoriren Teano Dominare la gelosian Plutarco Le donne spartane

I Greci, i barbari e la libertà [> cap. 6]

Erodoto, storico greco del V secoloa.C. che raccontò le guerre persiane,nell’esordio della sua opera fa seguire,a una definizione generica e compren-siva di “uomini”, una ripartizione indue gruppi, Greci e barbari: «Questa èl’esposizione delle ricerche di Erodotodi Turi, perché le imprese degli uomi-ni col tempo non cadano in oblio, né legesta grandi e meravigliose delle qualihanno dato prova così i Greci come ibarbari rimangano senza gloria, e inol-tre per mostrare per qual motivo ven-nero a guerra fra loro» (Erodoto, Sto-rie, Esordio).I barbari cui Erodoto fa riferimento,con i quali i Greci si scontrarono, sonoi Persiani. La ripartizione di Erodoto èindizio di una concezione del mondo edell’uomo “ellenocentrica”: l’“identitàgreca” costituisce una discriminante chedivide il genere umano in due gruppi.Tutto il racconto erodoteo si configuracome un raffronto fra due popoli in lot-ta. Ma il punto fondamentale, la diffe-renza più evidente sta proprio qui: iGreci sono un popolo, mentre l’imperopersiano, secondo lo storico, è costitui-to da un’accozzaglia confusa di genti di-verse. L’identità greca e il senso di co-mune appartenenza dei Greci a un uni-co sistema è descritta dallo stesso Ero-

doto in un discorso attribuito agli am-basciatori spartani ad Atene. Nella de-scrizione delle battaglie lo stesso Ero-doto contrappone sempre l’ordine gre-co al caos barbaro. Il carattere univer-sale dell’impero persiano si riflette nelleparole del re Dario, riportate in un’i-scrizione monumentale della reggia aSusa, capitale dell’impero. L’imponenzae l’ostentazione del lusso sono un altroaspetto che caratterizza i barbari d’Asiae li differenzia fortemente dai Greci, co-me sottolinea Agamennone, nell’omoni-ma tragedia di Eschilo, alla moglie Cli-tennestra. Ma l’elemento più importan-te di distinzione tra Greci e barbari vaindividuato nella sfera politica: le pòleisgreche erano comunità basate sull’auto-governo dei cittadini, che teoricamentedetenevano tutti gli stessi diritti; i bar-bari, invece, si piegavano al volere di-spotico di un unico uomo: non eranocittadini ma sudditi, come leggiamo neiPersiani di Eschilo.

n Erodoto I Persiani e l’“identità gre-ca”

n Erodoto Ordine e caosn Dario I di Persia Il palazzo di Darion Eschilo «Drappi non stendere sul

mio cammino...»n Eschilo I Greci, i barbari e la libertà

Il mestiere di spia [> cap. 6]

In quello che potrebbe definirsi l’“am-bito dello spionaggio” molti sono gliesempi riconducibili alla sfera dell’in-ganno, del tranello, dello stratagemmain Grecia. Già in Omero un intero librodell’Iliade, la cosiddetta “Dolonia”, èdedicato a una storia di spionaggio: lespie del campo greco, Diomede e Odis-seo, incontrano accidentalmente unaspia del campo troiano, Dolone, che sarà

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costretto a rivelare informazioni prezio-se sui Troiani.I racconti riferiti allo spionaggio cheErodoto raccoglie sono in gran parte ri-conducibili alle vicende dell’impero per-siano, e in particolare alla necessità deisuoi sovrani di esercitare un controllocapillare sui vasti territori imperiali. Adesempio, il re Deioce pur vivendo asser-ragliato nel suo palazzo a Ectabana di-spone di “occhi e orecchi” che gli con-sentono di esercitare un efficace con-trollo sull’intera regione da lui governa-ta. Inoltre in più luoghi della sua operaErodoto indugia sulla descrizione dimetodi per comunicare segretamente.Anche Senofonte, storico greco vissutoa cavallo tra V e IV secolo a.C., e Dio-doro Siculo, che visse nel I secolo a.C.,si soffermano sulle qualità delle comuni-cazioni dell’impero persiano, indispen-sabili per ricevere il prima possibileinformazioni utili.

n Omero Lo scontro delle spien Erodoto Gli occhi e gli orecchi del

ren Erodoto Messaggi segreti. Una lepre

parlanten Erodoto Messaggi segreti. Tatuaggin Erodoto Messaggi segreti. Sotto la

ceran Senofonte Più veloci delle grun Diodoro Siculo Messaggi acustici

La cerchia di Pericle [> cap. 6]

Dall’epitaffio che Tucidide fa pronun-ciare a Pericle in memoria dei caduti delprimo anno della guerra del Peloponne-so si evince la consapevolezza dello sta-tista ateniese di aver reso Atene la cittàpiù colta e civile dell’intera Grecia: «Af-fermo che siamo il luogo di educazionedell’Ellade» (II, 41, 1). Plutarco rac-

conta che la politica culturale di Pericleprevedeva anche un programma di ope-re pubbliche, che avrebbero procuratoalla città una fama perenne; la direzionedei lavori fu affidata a Fidia il quale, conlo storico Erodoto, il tragediografoSofocle e l’etèra Aspasia, costituiva unacerchia di ingegni vicini allo statista ate-niese. Il rapporto disinvolto con Aspa-sia e la politica estera spregiudicata glialienarono le simpatie di alcuni concit-tadini, che lo criticarono duramente co-me leggiamo in Tucidide, Eupoli e Pla-tone. In particolar modo veniva impu-tata a Pericle la responsabilità delloscoppio della guerra contro Sparta: imalumori dei contadini gravementedanneggiati dalla guerra sono ben de-scritti in una commedia di Aristofane.Nelle rappresentazioni teatrali, infatti,si aprivano spazi importanti al dissensoe alla satira. Durante il trentennio in cuiPericle guidò la città attica, il teatro co-nobbe un grande sviluppo e giunse a es-sere un fenomeno di massa, poiché fuintrodotto il theorikòn, un contributoche permetteva anche ai più poveri diassistere agli spettacoli. Il teatro diven-ne così un elemento importante della vi-ta politica ateniese: gli spettacoli infattiesprimevano i valori fondamentali dellapòlis.

n Plutarco L’Atene di Pericle e Fidia.Una giovinezza perenne

n Plutarco L’Atene di Pericle e Fidia.L’artista infamato

n Plutarco Aspasia l’etèran Tucidide Un capolavoro di persua-

sionen Tucidide Giudizi su Pericle. Una

guida autorevole e incorruttibilen Eupoli Giudizi su Pericle. Il potere

della parolan Platone Giudizi su Pericle. Un poli-

tico corrotton Aristofane Proteste in teatro

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Perché le guerre? [> cap. 6]

Nelle società antiche, e quindi anche nelmondo greco, la guerra era un’attivitàquasi costante. Ad esempio, Atene nelsecolo e mezzo che va dalle guerre con-tro i Persiani (490 a.C. e 480-479 a.C.)alla battaglia di Cheronea (338 a.C.) fuin guerra per più di due anni su tre.La guerra era considerata una condi-zione normale dell’esistenza, paragona-bile a un fenomeno naturale. In misuramaggiore o minore, tutte le società an-tiche erano società “guerriere”. Per unacomunità, la guerra era spesso l’unicaoccasione di arricchimento. Si combat-teva per rapinare e per difendersi op-pure, più semplicemente, perché l’artedella guerra era un ideale, un codicemorale.Gli storici antichi parlano quasi sempredi eventi bellici e si soffermano spesso aconsiderare le cause dei conflitti.Erodoto, per spiegare l’origine profon-da dello scontro tra Greci e Persiani, ri-sale, ad esempio, a un passato più o me-no leggendario o mitico.Tucidide, storico greco contemporaneodi Erodoto, fu l’unico tra gli storici a ri-flettere in maniera più approfondita sul-le cause degli scontri, introducendo unadistinzione di tipo nuovo tra cause im-mediate e cause profonde del conflittoche oppose Sparta e Atene per circa 30anni. Lo stesso Tucidide individua nellapolitica imperialistica degli Ateniesi lacausa del massacro compiuto a dannodei Melii.

n Erodoto Di chi è la colpa?n Tucidide Dinamismo e immobili-

smon Tucidide Le cause di una grande

guerran Tucidide La neutralità impossibile

Il re scelto dal destino:Alessandro [> cap. 7]

La nascita di Alessandro, come quella dialtri personaggi storici che hanno lascia-to una forte impronta nella memoriadell’umanità, si diceva fosse stata ac-compagnata da segni inconsueti, comeci narra Plutarco. Si tratta ovviamente diracconti elaborati successivamente, checontribuirono a rendere leggendaria lasua figura. Sicuramente l’aspetto fisico,la forte personalità, il carattere e il co-raggio del Macedone favorirono la crea-zione di questi racconti, che leggiamo inPlutarco e in Diodoro Siculo. Ma ful’impresa compiuta in Asia, la spedizio-ne militare contro i Persiani, che consa-crò Alessandro tra gli immortali.La sequenza ininterrotta delle vittorie del-l’armata macedone da lui guidata convin-se Alessandro della sua natura semi-divi-na, tanto da farsi proclamare figlio di Zeusdall’oracolo di Zeus Ammone nell’Egittoappena conquistato, come racconta Cur-zio Rufo. Lo stesso autore narra di come,poi, questa natura divina avrebbe trovatoconferma in un fenomeno inspiegabileche accadde alla morte di Alessandro.In Alessandro l’idea di una investituradivina si associava a quella di imperouniversale. Alessandro infatti assunse iltitolo di Gran Re e i contrassegni este-riori tipici dei sovrani persiani, atteg-giandosi a loro legittimo successore. Lasua idea di monarchia universale e divi-na divenne un fattore di coesione tra lediverse realtà politiche e sociali dell’im-pero, contribuendo a suo modo al supe-ramento delle differenze locali. La poli-tica matrimoniale fu indubbiamenteuna delle strategie messe in campo daAlessandro per favorire la fusione fravincitori e vinti, come racconta Arriano.

n Plutarco La giovinezza di Alessan-dro. I segni del destino

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n Plutarco La giovinezza di Alessan-dro. Bello, ambizioso e colto

n Diodoro Siculo Il primato del co-raggio

n Curzio Rufo Alessandro dio. Figliodi Zeus

n Curzio Rufo Alessandro dio. Un fat-to miracoloso

n Arriano Nozze esemplari

La scienza e le macchine [> cap. 7]

In età ellenistica si verificarono notevoliprogressi scientifici. Alcune dinastie, co-me quella dei Tolomei, promossero for-temente la medicina, come racconta Cel-so. Furono anche costruite nuove mac-chine, che stupirono i contemporanei enon smettono di meravigliare i posteri. Sitratta di gigantesche macchine belliche,adoperate soprattutto nell’arte degli as-sedi, come racconta Plutarco, oppure digiocattoli straordinari, che miravano asorprendere gli spettatori e ad accresce-re il prestigio dei loro ricchi possessori,come leggiamo in Ateneo e Polibio.Gli scienziati, tuttavia, ritenevano di do-versi occupare soprattutto di indaginiteoriche e che l’applicazione tecnica del-le loro scoperte non li riguardasse, comenel caso di Archimede narrato da Plu-tarco. Era diffusa, in altre parole, la con-vinzione che la ricerca del progresso tec-nico fosse indegna di uno scienziato.Ciò che distingue la scienza moderna daquella antica è l’uso del cosiddetto “me-todo sperimentale”. Tuttavia, alcuni pas-si di Vitruvio ed Erodoto mostrano conchiarezza che la cultura greca non era deltutto priva dell’idea di esperimento.

n Celso La medicina ellenistican Plutarco Il gigante «prendicittà»

n Ateneo Macchine meravigliose. Unastatua automatica

n Polibio Macchine meravigliose. Un’au- tomobile?

n Plutarco Archimede e il disprezzoper la tecnica

n Vitruvio Gli antichi e l’esperimento.Per smascherare un imbroglio

n Erodoto Gli antichi e l’esperimento.Un laboratorio linguistico

Storie di Romolo [> cap. 8]

La leggenda delle origini di Roma fu ri-petuta infinite volte dagli storici antichi,in un grande numero di varianti. La sto-ria di Romolo e Remo è anzitutto unagrande avventura, piena di colpi di sce-na: l’abbandono dei neonati in una cestaaffidata alla corrente del fiume, la lupache li allatta, il pastore che li alleva, lavendetta, la fondazione della città desti-nata a dominare il mondo... Ma è ancheuna vicenda tragica, che culmina nellarivalità tra i gemelli e nel fratricidio. Findall’antichità, il racconto più famoso èsempre stato quello di Tito Livio.Plutarco, inoltre, presenta Romolo co-me un personaggio quasi divino, il qua-le, compiuta la sua opera, sarebbe scom-parso nel nulla per entrare in una di-mensione celeste.I Romani insistevano sul carattere “aper-to” della loro città, fin dalle sue origini,e garantivano accoglienza agli stranierisenza preclusioni etniche né sociali.L’importante era che essi partecipasserocon entusiasmo e con valore alla nascitadella nuova città, come racconta ancoraPlutarco.

n Livio Romolo e Remon Livio La fondazione di Roman Plutarco Romolo ascende al cielon Plutarco Una città aperta

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L’ordinamento socialenella Roma arcaica [> cap. 9]

Durante il periodo monarchico e nel pri-mo secolo della repubblica lo strato su-periore della società romana era costi-tuito dai patrizi. Questi detenevano ilpotere economico e dominavano total-mente la vita politica.L’altro ordine della società romana ar-caica era la plebe, esclusa da qualsiasipartecipazione alla vita politica.I rapporti tra patrizi e plebei erano rego-lati dall’istituto della clientela, come leg-giamo in Livio. Il cliente contraeva unrapporto di fedeltà, fides, con un patrizioe ciò lo obbligava a fornire prestazioni dilavoro e a sostenere devotamente il suoprotettore: è quanto apprendiamo da unarticolo di legge; a sua volta, il patrizio of-friva al cliente la sua protezione.Lo sviluppo economico, militare e socia-le della Roma arcaica fu la causa del con-flitto esploso all’inizio del V secolo a.C.tra patrizi e plebei. I plebei rivendicava-no una maggiore partecipazione alla vi-ta politica e il miglioramento della con-dizione economica attraverso la cancel-lazione dei debiti. Lo strumento attra-verso cui la plebe raggiunse i suoi obiet-tivi fu la “secessione”. Il primo grandesuccesso dei plebei fu la creazione di isti-tuzioni proprie come il tribunato dellaplebe, come racconta Livio; il secondofu la redazione delle prime leggi scritte,le Dodici Tavole. Solo nel 367 a.C., conle leggi Licinie-Sestie, ai plebei fu rico-nosciuto il diritto di accedere al conso-lato.Ma questa parificazione non pose fineagli squilibri sociali. Si formò infatti unanuova oligarchia, composta dai patrizi edai plebei più ricchi e potenti. La societàromana ebbe ora dei nuovi protagonisti:i nobili.

I nobili sono tali perché possono vanta-re antenati illustri, che hanno ricopertomagistrature importanti. Per questo,nelle loro dimore, hanno grande risalto iritratti (imagines) degli antenati, che te-stimoniano l’importanza di una famiglianobile nella storia della città, come rac-conta Polibio.

n Livio Patroni e clienti. Claudio e ilsuo seguito

n Anonimo di Fontes Iuris RomaniAntejustiniani Patroni e clienti. Unrapporto basato sulla fides

n Livio La prima secessione e il tribu-nato della plebe

n Anonimo di Dodici Tavole Le Do-dici Tavole

n Polibio Quando muore un nobile

Le donne a Roma [> cap. 10]

La condizione della donna romana era permolti aspetti simile a quella della donnagreca. Prima di esaminare i documenti re-lativi alle donne romane è necessario pre-cisare, tuttavia, che le fonti antiche ci pre-sentano molto spesso un quadro idealiz-zato della condizione femminile. Gli sto-rici, in particolare, amavano celebrare l’e-sempio di donne eccezionali, proposte co-me modello di virtù. Spesso attorno a que-sti personaggi femminili ruotavano avve-nimenti fondamentali della storia di Ro-ma. L’episodio di Lucrezia è uno dei piùemblematici: la nobile matrona romanainfatti, dopo essere stata oltraggiata dal fi-glio di Tarquinio il Superbo, si libera daldisonore uccidendosi. L’episodio vienepresentato da Livio come la causa princi-pale della caduta della monarchia.Come testimoniano le numerose iscri-zioni funebri giunte sino a noi, la donnaideale doveva possedere virtù quali lacastità, la laboriosità, l’amore per la ca-

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sa, il coraggio nel mettere al mondo i fi-gli, la capacità di allevare i figli, la devo-zione verso il marito.L’amore tra i coniugi era a Roma una cir-costanza fuori dal comune, quasi unevento eccezionale, come racconta Vale-rio Massimo; Porcia, figlia di Catonel’Uticense, mostra invece un esempio diassoluta dedizione nei confronti del ma-rito, uccidendosi dopo aver appreso lanotizia della morte del suo compagno divita, Bruto, come narra ancora ValerioMassimo. Era comunque ritenuto scon-veniente manifestare fuori dalle paretidomestiche le affettuosità coniugali, co-me racconta Plutarco.Esemplare del coraggio virile rischiestoalle donne è la cosiddetta Laudatio Tu-riae, un’iscrizione scritta dal marito inonore della moglie morta: Turia, oltre apossedere tutte le virtù canoniche dellamatrona romana, aveva anche salvatocoraggiosamente la vita del marito.L’immagine ideale della madre romana –che chiude il nostro percorso nelle paro-le di Plutarco – è quella di Cornelia (IIsecolo a.C.): come tale ella è stata cele-brata dalla tradizione e la sua fama ha at-traversato i secoli.

n Livio Lucrezian Anonimo di Corpus Inscriptionum

Latinarum Ritratti femminilin Valerio Massimo Uniti per sempre.

Il sepolcro dei due innamoratin Valerio Massimo Uniti per sempre.

Una donna virilen Plutarco Un po’ di contegno! Pub-

bliche smancerien Plutarco Un po’ di contegno! Amo-

re domesticon Anonimo di Inscriptiones Latinae

Selectae Una moglie eroican Plutarco Cornelia, madre dei Grac-

chi (A)n Plutarco Cornelia, madre dei Grac-

chi (B)

L’imperialismo romano[> cap. 11]

Il percorso ha come tema centrale l’impe-rialismo romano, cioè il processo di con-quista che portò i Romani a sottometterealtri popoli al fine di costruire un impero.Lo storico Polibio (II secolo a.C.) ha indi-viduato il momento iniziale di questo pro-cesso nell’occupazione della Sicilia e nelleconseguenti guerre puniche. Secondo ilpoeta latino Virgilio, invece, l’odio fra Ro-mani e Punici ha inizio con la vicenda d’a-more tra Enea e Didone. Abbandonatadall’eroe troiano, fondatore della stirperomana, Didone muore suicida.Il racconto delle guerre puniche ci è per-venuto esclusivamente da fonti romane,le quali volutamente hanno evidenziato,da un lato, i pregiudizi etnici nei con-fronti degli avversari, dall’altro, le virtùproprie dei generali romani, anchequando sono responsabili di sconfitte.Ad esempio, il ritratto di Annibale tra-mandatoci dallo storico Livio rispecchiaa pieno i preconcetti che i Romani nu-trivano nei confronti dei Cartaginesi:crudeltà, falsità e spregiudicatezza sonogli attributi con cui è caratterizzato il ge-nerale punico. Per contro, al console ro-mano Terenzio Varrone, responsabiledella sconfitta subìta dai Romani pressoCanne, nelle parole dello stesso Liviovengono tributati onori e acclamazionidi popolo per aver comunque combat-tuto coraggiosamente in difesa della re-pubblica.Secondo Polibio, invece, che per primoha analizzato il fenomeno dell’imperiali-smo romano, il successo di Roma era daattribuire alla perfetta organizzazionedell’esercito, oltre che alla sua forma digoverno, la “costituzione mista”.

n Polibio I Romani alla conquista delmondo

n Virgilio Un odio eterno

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n Livio Ritratto individuale e pregiu-dizi etnici

n Livio Onori a un generale sconfitton Polibio Castighi e ricompense. Pu-

nizioni individuali e decimazionin Polibio Castighi e ricompense. L’im-

portanza dell’emulazione

I Romani visti dagli altri[> cap. 11]

Nel processo di formazione dell’identitàculturale romana l’incontro-scontro conla civiltà greca ebbe grande importanza.I Greci, fortemente impressionati daisuccessi di Roma nel Mediterraneo,avanzarono diverse ipotesi per spiegareil fenomeno. Mentre Polibio, storicogreco del II secolo a.C., cercò di com-prendere le cause che portarono Roma aconquistare il Mediterraneo, il filosofoCarneade, in ambasceria a Roma, inter-pretò l’espansionismo romano comeuna pratica di rapina, come raccontaLattanzio. Lo stesso Filippo V, il re diMacedonia sconfitto dai Romani, deivincitori ammirava la mentalità aperta,che li aveva portati al successo. Anche lostorico Dionigi di Alicarnasso aveva in-dividuato il motivo del successo romanonella politica della cittadinanza più aper-ta di quella greca. Gli ebrei, dal canto lo-ro, videro nei Romani, in un primo mo-mento, una comunità di uomini giusti,vittoriosi sui nemici e generosi con gliamici, come leggiamo nel libro biblicodei Maccabei.Dal contatto con la raffinata e colta cul-tura greca la civiltà romana, più orienta-ta verso la semplicità dei costumi, trassegrande vantaggio. Non mancarono tut-tavia episodi di ostilità nei confronti del-la cultura greca, specie da parte degliambienti più tradizionalisti che faceva-no capo a Catone, i quali temevano che

il contatto con la civiltà ellenica corrom-pesse gli antichi costumi romani, comeracconta Plutarco.

n Polibio La costituzione perfettan Lattanzio Tornare alle capanne?n Filippo V di Macedonia Fate come i

Romani!n Dionigi di Alicarnasso Confronto

tra i Greci e i Romanin Anonimo di Libro dei Maccabei I

Romani visti dagli ebrein Plutarco Chi ci salverà dai Greci?

La crisi sociale e le riforme [> cap. 12]

All’inizio del II secolo a.C. Roma era or-mai diventata un impero. L’afflusso diingenti ricchezze dai territori conquista-ti determinò profondi cambiamenti sulpiano economico e sociale.Per prima cosa, la formazione di vasti la-tifondi portò all’impoverimento di con-tadini, come racconta Appiano, i qualiandarono a ingrossare le file del proleta-riato urbano. I contadini, inoltre, furonofortemente danneggiati anche dall’in-cremento della manodopera schiavile,frutto delle recenti conquiste, come rac-conta Varrone.Queste trasformazioni sociali, verificate-si in un lasso di tempo relativamentebreve – circa un secolo – determinaronol’insorgere di tensioni e conflitti sociali.Alcuni uomini politici di tendenze pro-gressiste tentarono di risolvere tali con-flitti avanzando alcune proposte di rifor-ma. Tra tutti spicca Tiberio Gracco, tri-buno della plebe nell’anno 133 a.C., ilquale propose una legge agraria che pre-vedeva la redistribuzione delle terre del-lo Stato ai contadini sottraendole ai la-tifondisti. La legge, approvata dalla ple-be, suscitò la dura opposizione dellaparte più tradizionalista del senato, che

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represse violentemente il movimentoriformista, come racconta Appiano.Dieci anni dopo Gaio Gracco, fratello diTiberio, anch’egli tribuno della plebe,cercò di attuare un programma di rifor-me che prevedeva, tra le diverse propo-ste, l’estensione della cittadinanza agliItalici. Anche a ciò la reazione dellamaggioranza dei senatori culminò in unastrage, come racconta Plutarco. L’ope-rato dei Gracchi suscitò tra i contempo-ranei opinioni contrastanti: mentre glistorici di parte senatoria insistevano su-gli eccessi da loro compiuti, nelle paroledi Floro, gli storici di parte democraticainsistevano sull’oppressione esercitatadai ricchi, che avrebbe causato la reazio-ne dei graccani, come racconta Sallu-stio.

n Appiano La crisi delle campagne ita-liche

n Varrone Gli «strumenti parlanti»n Appiano Reazioni alla riforma di Ti-

berio Graccon Plutarco Morte di Gaio Graccon Floro Opinioni contrastanti sui

Gracchi. Gli eccessi dei Gracchi se-condo gli oligarchici

n Sallustio Opinioni contrastanti suiGracchi. La violenza degli oligarchi-ci secondo i democratici

Le rivolte in Italia [> cap. 12]

Nel II e nel I secolo a.C. alcune rivolte siverificarono in Italia e in Sicilia (pur es-sendo una provincia, la Sicilia era consi-derata, per la sua vicinanza, quasi unaparte dell’Italia). Furono avvenimentigravi, che scossero fortemente l’opinio-ne pubblica romana: era infatti dai tem-pi della Seconda guerra punica che nel-la penisola non si verificavano episodidel genere.

Queste rivolte furono di due tipi. Ci fu-rono anzitutto le «guerre servili», chia-mate così perché ne furono protagonistegrandi masse di schiavi. La prima rivol-ta scoppiò in Sicilia tra il 139 e il 132 a.C.Lo storico Diodoro Siculo individua lecause della sommossa nel crudele tratta-mento inflitto dai padroni agli schiaviche coltivavano le loro terre.Di tutt’altro genere fu la terribile «guer-ra sociale», scoppiata nel 90 a.C. Questavolta il fronte dei rivoltosi non era costi-tuito da bande di schiavi, ma da intere co-munità italiche, composte da individui dicondizione libera che in molti casi aveva-no già militato nell’esercito romano inqualità di alleati, come racconta VelleioPatercolo. I ribelli ricorsero all’uso dellaforza perché erano andati falliti tutti itentativi (a cominciare da quello di GaioGracco) di trovare una soluzione politicaal problema della cittadinanza romana,dalla quale gli Italici erano ingiustamen-te esclusi. Sconfitti sul piano militare, gliItalici, tuttavia, ottennero rapidamentela parificazione politica.

n Diodoro Siculo Anatomia di una ri-volta

n Velleio Patercolo Le ragioni degliItalici

La guerra tra le fazioni[> cap. 13]

La vita politica romana fu animata nel Isecolo a.C. dagli scontri tra le fazioni deipopulares e degli optimates, come rac-conta Cicerone. In questi scontri il con-tenuto sociale era relegato in secondopiano, mentre rivestiva una importanzapreponderante la questione del poterepolitico e, in particolare, quello dei capidelle fazioni.Il primo di una lunga serie di scontri siebbe tra Mario, capo dei populares, e Sil-

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la, capo degli optimates. In qualità di co-mandanti militari, entrambi poteronocontare sull’appoggio delle loro truppe.La vittoria di Silla su Mario fu accompa-gnata da una spietata reazione dei sillaninei confronti degli avversari, come rac-conta Appiano.A questi disordini si aggiunse la rivoltaguidata nel 73 a.C. da un gladiatore diorigine tracica, Spartaco. Le forze ribel-li riuscirono addirittura a sconfiggere lelegioni in alcune battaglie campali, manon potevano competere con l’organiz-zazione e con la potenza dell’esercito ro-mano. Anche se a fatica, l’ordine fu ri-pristinato e i ribelli furono giustiziati,come racconta Appiano.Nel 63 a.C. Catilina, uno degli esecutoridelle stragi sillane, fu protagonista di unprogetto eversivo scongiurato dal con-sole in carica Marco Tullio Cicerone.Grazie anche alle orazioni pronunciatein senato per denunciare Catilina, Cice-rone riuscì a far giustiziare i congiurati.La guerra civile scoppiata qualche de-cennio dopo tra Pompeo e Cesare ripro-poneva ancora una volta la solita con-trapposizione: Pompeo era schieratodalla parte degli optimates, Cesare dallaparte dei populares. L’enorme potere ac-quisito da Cesare al termine della guer-ra era un chiaro segno del tramonto del-le istituzioni repubblicane.Nemmeno l’assassinio di Cesare, cheleggiamo in Cassio Dione, ridiede vigo-re alla legalità repubblicana. Il ricorsoalle liste di proscrizione per eliminare inemici, come racconta Plutarco, da par-te di Marco Antonio e Ottaviano, gli ere-di di Cesare, e lo scontro tra i due per chidovesse ufficialmente raccogliere l’ere-dità del dittatore, che leggiamo nei versidi Orazio, segnarono la fine della re-pubblica.

n Cicerone Il primato degli «uominibuoni»

n Appiano Le stragi sillanen Appiano La rivolta di Spartacon Cicerone «Fino a quando, Catili-

na?»n Cassio Dione L’assassinio di Cesaren Plutarco La morte di Ciceronen Orazio La strage fraterna

Cesare storico [> cap. 13]

La fama di Giulio Cesare è legata al fat-to di essere stato, al tempo stesso, uomod’azione e uomo di cultura, condottieroe storico. Gran parte di quello che sap-piamo sulle imprese di Cesare lo dob-biamo a Cesare stesso, che fu quindi ilcreatore del proprio mito. La sua operaprincipale è il cosiddetto De bello Galli-co (La guerra gallica), che narra, in settelibri, l’intero svolgimento della conqui-sta della Gallia, dal suo inizio, nel 58a.C., alla sua conclusione, nel 52. Già gliantichi discutevano sul valore artisticodi quest’opera, che ebbe, fin dalla pub-blicazione, i suoi ammiratori e i suoi de-trattori, nel nostro percorso Cicerone eAsinio Pollione.Oggi, il giudizio su Cesare storico è,tranne qualche rara eccezione, decisa-mente positivo. Con una prosa asciutta,rapida, apparentemente fredda e distac-cata, Cesare racconta le battaglie, i colpidi scena, la forza e la debolezza dei ne-mici, il coraggio e la determinazione deiRomani, analizza le situazioni politiche,espone le ragioni delle proprie decisioni.Le sue azioni non appaiono mai impul-sive, ma sempre dettate dalla riflessione.Prima di aggredire i nemici, Cesare cer-ca di comprendere la loro cultura, i lorocostumi.Si devono a Cesare anche le prime de-scrizioni del modo di vita di popolazio-ni quali i Germani e i Galli, sulle quali la

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cultura greca e romana aveva fino a quelmomento notizie piuttosto vaghe. Soli-tamente si riteneva anzi che Germani eGalli fossero due denominazioni diversedella stessa gente. Cesare spiega inveceche si trattava di due culture diverse, edimostra che i Galli erano un popolomolto più civilizzato dei Germani.Nel De bello Gallico non troviamo sol-tanto acute descrizioni delle popolazio-ni con cui Cesare entrò in contatto. Vitroviamo anche alcuni straordinari ri-tratti individuali, primo fra tutti, quellodel grande Vercingetorige, il capo degliArverni che fu sul punto di sconfiggereil generale romano.

n Cicerone Giudizi su Cesare storico.Una pura e luminosa brevità

n Asinio Pollione Giudizi su Cesarestorico. Una stesura provvisoria e im-precisa

n Cesare Cesare e la società dei Gallin Cesare Cesare e la società dei Ger-

manin Cesare Vercingetorige. Un avversa-

rio degno di questo nomen Cesare Vercingetorige. La sconfitta

Gli storici e gliimperatori [> cap. 14]

La storiografia relativa agli imperatoriromani è, in gran parte, espressione del-l’ideologia senatoria. I senatori, comeTacito, rimpiangevano l’età repubblica-na (durante la quale il senato era statol’organismo politico più potente) e con-dannavano il regime imperiale perchécon esso sarebbe scomparsa la libertà. Ipiù cauti affermavano che il regime im-periale era un male necessario per scon-giurare il ripetersi di nuove guerre civili.La stessa figura di Augusto, a cui tutti ri-conoscevano il merito di aver donato lapace al mondo romano, non era esente

da critiche, come ci racconta lo stessoTacito.I sovrani della dinastia giulio-claudia,invece, sono tutti caratterizzati negativa-mente. I racconti sul loro conto sembra-no ricalcare uno schema costante, che fanascere nel lettore dei sospetti: dopo uniniziale periodo di buon governo, im-provvisamente il carattere e i comporta-menti del principe si corrompono. Tibe-rio, ad esempio, è rappresentato da Sve-tonio come un crudele dissimulatore;Caligola, sempre da Svetonio, comel’emblema della crudeltà; Claudio è de-scritto da Tacito come succubo dellemogli e, soprattutto, dei liberti: l’astionei confronti di Claudio è dovuto in par-te al fatto che egli aprì il senato ai pro-vinciali; Nerone è rappresentato da Ta-cito come l’incarnazione della follia edella crudeltà.Ma la stessa realtà può essere giudicataanche da altri punti di vista. Sappiamo,per esempio, che sia Tiberio sia Claudiofurono buoni amministratori e che sottodi loro l’impero visse un periodo florido,i traffici con le province si intensificaro-no e l’urbanizzazione raggiunse puntemolto alte; le stranezze di Caligola e diNerone testimoniano, anche, la volontàdi trasformare il principato in una mo-narchia di stampo orientale e, nel caso diNerone, con le parole di Svetonio, di av-vicinarsi ai sentimenti della plebe.Altri imperatori hanno invece lasciato unricordo positivo nella tradizione. Tito, adesempio, viene definito da Svetonio«amore e delizia del genere umano». L’a-pice negli elogi si raggiunge tuttavia conTraiano, il cui comportamento viene di-segnato da Cassio Dione come impron-tato alla razionalità, al coraggio e allalealtà, virtù tipiche del cittadino romano.Si può affermare, in generale, che neiconfronti degli imperatori che si mostra-rono disponibili e aperti verso il senato

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la storiografia espresse giudizi favorevo-li; mentre verso quelli che accentuarononel loro governo tratti dispotici furonoespressi giudizi negativi.

n Tacito La storiografia della libertàperduta

n Tacito Opinioni divergenti sulla fi-gura di Augusto. A favore

n Tacito Opinioni divergenti sulla fi-gura di Augusto. Contro

n Svetonio Ritratti a fosche tinte. Unipocrita ambizioso

n Svetonio Ritratti a fosche tinte. Ilvolto demoniaco del potere

n Tacito Governare vuol dire assimila-re

n Tacito Nerone auriga e citaredon Svetonio Fiori sulla tomba di Nero-

nen Svetonio Amore e delizia del genere

umanon Cassio Dione Traiano e Decebalo

Una nuova religiosità [>cap. 15]

La religione romana aveva un carattereprevalentemente sociale e politico: il cit-tadino doveva uniformare il propriocomportamento ai valori della pietas edella fides, che implicavano il rispetto e lafedeltà verso gli dèi, l’osservazione dei ri-ti, la devozione nei confronti dei genito-ri, la fedeltà verso lo Stato. Ogni elemen-to del rito, dai gesti alle formule, concor-reva a predisporre favorevolmente glidèi. Verso la fine dell’età repubblicana, leconquiste e i contatti con le altre culture,unitamente ai cambiamenti verificatisinella società, avevano determinato unacrisi degli antichi culti. Nel suo progettodi rinnovamento delle tradizioni roma-ne, Augusto tentò di restaurare lo spiritoreligioso del passato e di dare nuovo vi-gore alle tradizioni antiche, e in parte ci

riuscì. Ma molti Romani, ormai, si affida-vano sempre più spesso a culti orientalipresenti a Roma da tempo, come quelli diCibele, Osiride, Iside e Mitra. Questi ri-spondevano a esigenze spirituali che lareligione tradizionale romana non era ingrado di offrire: il rapporto personale trail fedele e la divinità mediante la medita-zione e la preghiera, e, soprattutto, la spe-ranza di una vita ultraterrena dopo lamorte, ossia la salvezza, come leggiamoin Apuleio. Per l’ebraismo, religione dif-fusa in Palestina, la speranza di salvezzasi concretizzava nell’attesa della nascitadel Messia, come leggiamo nel Vangelodi Matteo. Nel contesto dell’ebraismoprese corpo una nuova religione, il cri-stianesimo, chiamata così dal nome delsuo predicatore, Gesù Cristo il Messia. Ilmessaggio di Gesù, come leggiamo nelVangelo di Matteo, conteneva una fortecarica rivoluzionaria, oltre a presentare,a differenza dell’ebraismo, un carattereuniversalistico: predicava infatti l’ugua-glianza di tutti gli uomini di fronte a Dio,riconsiderando anche il ruolo della don-na, secondo le parole di san Paolo. Del-l’ebraismo il cristianesimo accentuò il ca-rattere spirituale, e criticò l’eccessivo for-malismo rituale. Il cristianesimo prese ledistanze dall’ebraismo anche nella cele-brazione del culto (Giustino) e nell’orga-nizzazione delle comunità (Ignazio diAntiochia).

n Apuleio La rivelazione di Isiden Matteo Evangelista Razza di vipere!n Matteo Evangelista Il discorso della

montagnan Paolo di Tarso Il cristianesimo e la

donna. Nuovi princìpin Paolo di Tarso Il cristianesimo e la

donna. L’uomo al di sopra della don-na (A)

n Paolo di Tarso Il cristianesimo e ladonna. L’uomo al di sopra della don-na (B)

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n Giustino La domenican Ignazio di Antiochia Onorate Dio e

il vescovo

Storie di convivenza [> cap. 15]

La diffusione del cristianesimo nell’im-pero pose il problema della convivenzadei cristiani con i pagani e con l’autoritàcostituita. Inizialmente i cristiani veniva-no confusi con gli ebrei, sui costumi deiquali circolavano informazioni intrise dipregiudizi. A differenza degli ebrei, i cri-stiani riconoscevano validità alle leggidello Stato romano: poiché ogni autoritàterrena deriva dall’autorità divina, il fe-dele non aveva ragione di opporsi al vo-lere dei governanti, come spiega san Pao-lo. Un limite all’integrazione, tuttavia,veniva dal rifiuto sia delle osservanze ri-tuali romane, sia delle attività lavorativeconnesse alle celebrazioni del culto pa-gano o contrarie alla morale cristiana, co-me leggiamo in Ippolito, fra le quali il ser-vizio militare, come leggiamo in Tertul-liano. Nel momento in cui il cristianesi-mo prese piede fra tutte le classi sociali, ipagani divulgarono sul conto dei cristia-ni una serie di calunnie suscitate dalle lo-ro abitudini e dal loro vivere la religione,da cui i cristiani si difendevano: ce ne par-lano Minucio Felice e Tertulliano.Inizialmente le autorità romane si limi-tarono a contrastare il cristianesimo at-traverso una serie di provvedimenti,quali, ad esempio, l’imposizione del sa-crificio agli dèi pagani e al genio dell’im-peratore, come riportato nel testo di Au-relio Diogene. Nel tempo le misure con-tro il cristianesimo si inasprirono a talpunto da sfociare in una vera e propriapolitica persecutoria. Le persecuzioni,tuttavia, rivelarono ben presto la loroinutilità: le vittime cristiane, infatti, pre-

ferivano affrontare la condanna piutto-sto che rinnegare la propria fede, comeleggiamo negli Atti dei martiri.

n Paolo di Tarso Ogni potere viene daDio

n Ippolito I mestieri proibiti ai cristianin Tertulliano I cristiani e il servizio

militaren Minucio Felice Accuse pagane: i cri-

stiani, una setta di cannibalin Tertulliano Difese cristiane: «vivia-

mo nel mondo insieme con voi»n Aurelio Diogene Il certificato di sa-

crificion Anonimo di Atti dei martiri Eroi

cristiani. Vittime ostinaten Anonimo di Atti dei martiri Eroi

cristiani. Come un uomo

Gli spettacoli e il consenso [> cap. 16]

L’imperatore Augusto aveva ben com-preso l’importanza della cultura e degliintellettuali ai fini della propaganda poli-tica. A tale scopo si servì del circolo dipoeti e scrittori costituito da Mecenate. Iletterati divennero, quindi, parte inte-grante di una vasta operazione di orga-nizzazione del consenso. Essi infatti cele-brarono nelle proprie opere la grandezzadi Roma e del principe e la pax Augusta.Orazio, ad esempio, cantò nelle Odi i me-riti di Augusto e dei generali romani perle vittorie da loro conseguite. Virgilio,più di ogni altro, sembrò rispecchiare ivalori e i princìpi augustei. Nelle sueGeorgiche la civiltà italica e la tradizioneagricola sono esaltate in pieno accordocon la politica augustea, che mirava a so-stenere la classe dei piccoli proprietariterrieri e a riconfermare i valori morali ereligiosi legati all’antica civiltà agricola;nell’Eneide il poeta imposta il racconto

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nella prospettiva della missione univer-sale di Roma, mentre l’impero di Augu-sto diventa il centro e il fine della storia.Una funzione importante nella diffusionedel consenso era svolta anche dagli spetta-coli, organizzati per il divertimento dellaplebe: per gli spettatori erano un’occasio-ne di manifestare i propri stati d’animo,per l’imperatore di stabilire un legame conil popolo. Le corse dei cavalli e dei carri,che si svolgevano nel circo, davano agli au-righi vincitori fama e posizione invidiabi-li, come leggiamo nei versi di SidonioApollinare, di Marzialee in un’iscrizione.Fra gli spettacoli più amati dalla plebe era-no certamente i combattimenti dei gladia-tori e le “cacce”: un’eco delle meraviglieesibite negli anfiteatri si ascolta nei versi diCalpurnio Siculo. Non tutti gli spettatori,però, apprezzavano le feroci esibizioninell’arena: il filosofo Seneca, ad esempio,riteneva che esse inducessero la folla a cat-tivi comportamenti.

n Orazio Al principe di tutte le gentin Virgilio Lode dell’Italian Virgilio L’uomo del destinon Sidonio Apollinare Emozioni e per-

sonaggi del Circo. Via col venton Marziale Emozioni e personaggi del

Circo. La meta della morten Anonimo di Inscriptiones Latinae

Selectae Emozioni e personaggi delCirco. Un’orgogliosa contabilità

n Calpurnio Siculo La natura selvag-gia nel cuore di Roma

n Seneca Uno spettatore disgustato

Roma caput mundi[> cap. 16]

Le rovine delle città romane ci trasmetto-no spesso un’immagine di ordine e di so-lennità. Ma la realtà era molto diversa. Ro-ma era la città più popolosa dell’antichità,abitata da una gran massa di disoccupati,

come leggiamo in Svetonio. Il sovraffolla-mento rendeva particolarmente urgente ilproblema dell’insufficienza degli alloggi.I prezzi degli affitti erano alle stelle e sipubblicizzava l’offerta di appartamentitramite annunci (come quello di GiuliaFelice), mentre la loro abitabilità era piut-tosto precaria: lo sviluppo in altezza delleabitazioni continuò e le insulae, gli «isola-ti» formati dai palazzoni costruiti perlo-più in legno, erano facile preda degli in-cendi. Le strade, di giorno, erano veri epropri alveari umani, affollate e rumoro-se, tanto da apparire, a chi non riusciva adattraversarle in lettiga, dei gironi inferna-li. Attraversare le strade di notte significacorrere il rischio di essere colpiti da og-getti di varia natura provenienti dai tetti edalle finestre, oppure essere rapinati. Tut-te queste situazioni di disagio rivivono neiversi di Giovenale e Marziale.Affollate al pari delle strade erano le ter-me, le quali oltre alla funzione igienicasvolgevano anche una rilevante funzionesociale: erano luogo di incontro, di sva-go, di scambio di idee. La vivacità delleterme rappresentava un vero e proprioproblema per chi aveva la sfortuna diabitarvi vicino, come il filosofo Seneca.Anche le città romane erano piene discritte che pubblicizzavano le attivitàcommerciali, oppure – come nel casodei “manifesti elettorali” di Pompei – imeriti dei candidati alle elezioni locali.

n Svetonio Evitare la disoccupazionen Anonimo di Inscriptiones Latinae

Selectae Casa dolce casa. Affittasin Giovenale Casa dolce casa. L’infer-

no degli appartamentin Giovenale L’inferno di giorno, la

paura di notte. Roma vuol dire ru-more (A)

n Marziale L’inferno di giorno, la pauradi notte. Roma vuol dire rumore (B)

n Giovenale L’inferno di giorno, lapaura di notte. Attenti al buio

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n Seneca Le termen Anonimo di Corpus Inscriptionum

Latinarum Manifesti elettorali

Storie di banditi [> cap. 16]

Data la vastità dell’impero romano, vierano numerosi luoghi remoti – monta-gne, altipiani, foreste, paludi, deserti,campagne – in cui la legge romana ave-va difficoltà ad affermarsi o era del tuttoassente. In questi spazi, dove la naturaoffriva ripari e facili nascondigli, dilaga-vano i banditi o, come li chiamavano iRomani, i latrones, “ladroni”.L’assenza di forze di polizia regolari e diun moderno sistema di comunicazioni,unitamente alla scarsa illuminazionenotturna, rendevano insicure anche lecampagne situate nei pressi delle città.Viaggiare di notte era infatti consideratauna grave imprudenza: al calare delle te-nebre, città e villaggi sprangavano le lo-ro porte, impedendo a chiunque di ac-cedervi. La stessa cosa accadeva nelle re-sidenze di campagna dei ricchi, i qualispesso disponevano di guardie private,come racconta Apuleio. Non pochi era-no i casi di persone scomparse per esse-re state catturate o addirittura uccise daibanditi, come leggiamo in Plinio il Gio-vane e in alcune iscrizioni.“Bandito” è un termine molto generico,che abbraccia una vasta gamma di tipo-logie, e che pertanto richiede alcuneprecisazioni.Esisteva il cosiddetto bandito “sradica-to”, che poteva agire da solo o con un pic-colo gruppo di complici, come raccontaGaleno. Questo genere di bandito nonera certo il più pericoloso. La vera mi-naccia, infatti, era rappresentata dai ban-diti “radicati”, quelli che trovavano aiutie sostegno presso le popolazioni locali.

Questo fenomeno è detto “banditismosociale” ed è stato riscontrato dagli stu-diosi moderni in svariati contesti storici,dall’età antica a quella contemporanea.Mentre le autorità pubbliche bollavanoquesti individui con l’epiteto di “crimi-nali”, le popolazioni contadine, oppressedai signori e dalle tasse, li consideravanodei veri eroi, come racconta Apuleio. Peril bandito il sostegno delle popolazionilocali era di fondamentale importanza:senza il loro aiuto egli era soltanto un va-gabondo, destinato a cadere presto nellemani delle autorità pubbliche, come leg-giamo in Erodiano.Le autorità romane erano consapevolidella gravità del fenomeno (che ebbe unagrande diffusione in concomitanza con lacrisi del III secolo) ed emanarono prov-vedimenti per colpire non solo i latrones,ma anche coloro che li proteggevano, co-me leggiamo nel Digesto: senza aiuti, sidiceva chiaramente, «i banditi non pos-sono restare nascosti a lungo». Le penepreviste dalla legge per reprimere il ban-ditismo erano severissime. I banditi cat-turati erano spesso giustiziati sul posto;quando venivano processati regolarmen-te, le pene erano terribili: venivano bru-ciati vivi, crocefissi, oppure condannati aessere sbranati dalle belve nel circo. Maquesta severità non bastò a estirpare unfenomeno che attraversa tutta la storiaromana e che gli storici moderni possonoriscontrare in tutte le regioni dell’impe-ro. I motivi per i quali lo Stato romanonon riuscì mai a debellare il banditismo“sociale” sono evidenti: esso non era unamanifestazione di criminalità banale, mal’espressione della resistenza al governoromano delle masse impoverite.

n Apuleio Mai di notten Plinio il Giovane Scomparsin Anonimo di Corpus Inscriptionum

Latinarum Uccisi dai banditin Galeno Il bandito sradicato

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n Apuleio Curriculum di un banditon Erodiano Il bandito Maternon Anonimo di Digesto Morte a chi li

protegge

Giuliano l’Apostata e lafine del paganesimo [> cap. 17]

Per tutta la durata del suo regno l’impe-ratore Giuliano coltivò un sogno: re-staurare il paganesimo e dare nuovo vi-gore alle antiche tradizioni culturali diRoma. Tuttavia la sua politica di restau-razione del paganesimo era destinata alfallimento: alla sua morte, essa fu accan-tonata dai suoi successori, i quali rimos-sero alcuni dei simboli del paganesimo,come ad esempio l’altare della Vittoria,e privarono delle sovvenzioni statali ilculto tradizionale romano. A nulla val-sero le proteste degli aristocratici roma-ni, come Simmaco, che si appellavano aiprincìpi della tolleranza religiosa e allatradizione: a quest’ultima il vescovo diMilano Ambrogio contrapponeva i va-lori del progresso rappresentato dal cri-stianesimo.Il tramonto definitivo del paganesimo siebbe per effetto delle leggi emanate daTeodosio, che proibivano la pratica deiculti pagani sia pubblici sia privati. Daquesto momento il paganesimo fu per-seguitato in tutte le sue espressioni: itempli furono distrutti, come raccontaRufino, le scuole filosofiche furonochiuse. Ipazia, filosofa di grande levatu-ra morale oltre che culturale, fu addirit-tura assassinata da alcuni monaci fanati-ci, come narra Socrate Scolastico. Con-testualmente l’evangelizzazione dellecampagne si andò configurando, in al-cune regioni, come una vera e propriaguerra santa, come leggiamo in SulpicioSevero.

n Giuliano l’Apostata Giuliano l’A-postata e il tempio abbandonato

n Simmaco La controversia per l’alta-re della Vittoria. Molte sono le stradeper arrivare a Dio

n Ambrogio La controversia per l’al-tare della Vittoria. Nessuna conces-sione!

n Ambrogio La controversia per l’al-tare della Vittoria. La tradizione e ilprogresso

n Teodosio I La proibizione del cultopagano. Contro i culti pubblici

n Teodosio I La proibizione del cultopagano. Contro i culti privati

n Rufino Assalto al paganesimo: la di-struzione del Serapeo

n Rufino Tabula rasan Socrate Scolastico L’assassinio di

Ipazian Sulpicio Severo Martino, un santo

guerriero. Incantamentin Sulpicio Severo Martino, un santo

guerriero. Il fuoco addomesticaton Sulpicio Severo Martino, un santo

guerriero. Guerra santa

La società tardoantica[> cap. 17]

Il clima di crisi in cui versava l’imperoromano del III secolo d.C. fu pienamen-te avvertito da alcuni osservatori con-temporanei. In uno scritto indirizzato aun pagano, il vescovo cristiano Ciprianoben esprime questo senso di precarietà edi sfacelo imminente.La crisi politica, che in un cinquanten-nio aveva visto succedersi al governoben venti imperatori, era aggravata dal-la crisi economica. In seguito alla cam-pagna militare partica (162-165), infatti,sulle regioni dell’impero si abbatté un’e-pidemia di peste che determinò un bru-sco calo della popolazione e una dimi-

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nuzione delle rese agricole, per cui iprezzi delle derrate alimentari crebberovertiginosamente.La conseguenza più rilevante della crisieconomica fu l’accentuazione delle disu-guaglianze tra i vari strati sociali: mentrele famiglie aristocratiche accrescevanosempre più le loro ricchezze, come rac-conta Olimpiodoro, i poveri si immise-rivano sempre più. Le grandi casate de-tenevano oltre al potere economico an-che il potere politico, rafforzato da vasteclientele, come leggiamo in AmmianoMarcellino.Alla base della piramide sociale tar-doantica c’erano i coloni, i quali, vessatidagli esattori delle imposte, si legavanosempre più ai loro padroni, cercandonela protezione. Tutto questo contribuivaa un ulteriore rafforzamento dei poterilocali, a danno del sempre più debolepotere centrale, come spiega Libanio.La condizione dei coloni, inoltre, era ag-gravata da un provvedimento emanatodall’imperatore Costantino, che li vin-colava a vita alla terra che coltivavano, li-mitando così la loro libertà personale.Non dissimile da quello dei coloni era lostato sociale degli schiavi, i quali, in con-seguenza dell’intervento umanitario del-la Chiesa, migliorarono entro certi limi-ti la loro condizione, come spiega sanPaolo. In una situazione di privilegio sitrovava invece la plebe urbana, descrittacon disprezzo dallo storico AmmianoMarcellino: la plebe godeva di distribu-zioni gratuite di generi alimentari. Neiperiodi di crisi, la mancata distribuzionedi viveri alla plebe affamata sfociava inepisodi di violenza, a danno dei ricchi.

n Cipriano Un mondo invecchiaton Olimpiodoro La ricchezza degli ari-

stocratici romanin Ammiano Marcellino Ritratto di un

uomo potente. Come un pesce fuord’acqua

n Libanio Il patronaton Costantino Servi della terran Paolo di Tarso Cristianesimo e schia-

vitùn Ammiano Marcellino Vita da Ro-

manin Ammiano Marcellino Le rivolte del-

la plebe. Un pericolo scampaton Ammiano Marcellino Le rivolte del-

la plebe. Il vino e il fuoco

Aspettando i barbari [> cap. 17]

La penetrazione dei barbari entro i con-fini dell’impero romano non fu un even-to improvviso. Essa infatti si era pesan-temente manifestata già nel III secolod.C. A partire da quest’epoca si diffusetra i cittadini romani un clima di inquie-tudine e preoccupazione, dettato dal pe-ricolo dei “barbari”. Definendoli così, iRomani dimostravano scarsa considera-zione verso quei popoli che in realtà era-no portatori di una civiltà e di valori di-versi. I racconti degli storici romani, in-fatti, abbondano di pregiudizi sui bar-bari, descritti come esseri crudeli, infidie ambigui, come leggiamo in AmmianoMarcellino. Il re degli Unni Attila eradefinito addirittura “flagello di Dio” perla ferocia con cui conduceva le battaglie;di tutt’altra natura l’opinione che delcondottiero aveva il suo popolo, comescrive Giordane.Il Sacco di Roma del 410 d.C. rappre-sentò per i contemporanei un vero eproprio shock, come si evince dal rac-conto di san Girolamo. Questo stessoevento è interpretato in maniera diversada Orosio, anch’egli cristiano, per ilquale l’invasione dei Visigoti è vista co-me una punizione divina nei confronti diuna città peccatrice; in questo raccontoi barbari appaiono addirittura più vicini

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al messaggio cristiano degli stessi Roma-ni. Salviano, un prete di Marsiglia, giun-ge perfino a elogiare i costumi dei bar-bari rispetto a quelli dei Romani: molti,a suo avviso, sono i cittadini che preferi-rebbero rifugiarsi presso il nemico allaricerca di una maggiore umanità. AnchePrisco, diplomatico romano, racconta ilsuo incontro con un cittadino romanoche aveva scelto di vivere tra i barbari, ri-velando l’angoscia dilagante tra gli abi-tanti delle province e la diffusa sensazio-ne di una rovina imminente.Questo clima di decadenza era avvertitoanche a Roma, dove il degrado si riflet-teva persino sugli edifici pubblici, sotto-posti a continue spoliazioni, come sievince dal provvedimento emesso dal-l’imperatore Maioriano.Entrando a contatto con i Romani, i bar-bari assimilarono molti aspetti della lorocultura. Ma anche la cultura dei barbariinfluenzò quella romana, come testimo-niano alcune usanze che la legge romanacercò invano di proibire nel Codice Teo-dosiano emanato da Onorio.

n Ammiano Marcellino Gli Unni, unpopolo di cavalieri

n Giordane Attila visto dai nemici. Ilflagello di Dio

n Giordane Attila visto dai suoi. Il piùgrande degli Unni

n Girolamo Se Roma perisce...n Orosio Il castigo di Dion Salviano Ingiustizia romana, giusti-

zia barbaran Prisco Il romano divenuto barbaro.

Meglio vivere tra gli Unni che tra iRomani

n Prisco Il romano divenuto barbaro.La civiltà dei Romani

n Maioriano Il degrado di Roman Onorio Contro i costumi dei barbari

Bisanzio e il sognodella riconquista [> cap. 18]

Gli storici adoperano comunemente l’e-spressione “impero bizantino” per desi-gnare l’impero romano d’Oriente. Lascelta del nome, derivato dalla città di Bi-sanzio, sulle cui rovine Costantino avevafondato Costantinopoli, sottolinea il ca-rattere greco-orientale dell’impero. Al-l’imperatore Giustiniano, oggetto di giu-dizi contrastanti da parte di Procopio,uno storico suo contemporaneo, si deve,per esempio, l’introduzione del ritualeorientale della proscìnesi. L’imperatoreera oggetto di una venerazione quasi divi-na, tanto che il palazzo reale era conside-rato una copia del palazzo celeste, comeleggiamo nel racconto del monaco Co-sma. Inoltre, ai consueti poteri assolutidegli imperatori romani, l’imperatore bi-zantino associava l’autorità anche in cam-po religioso. L’unione dei poteri religiosie politici è denominata cesaropapismo,ed è una delle cause del distacco tra il cri-stianesimo greco e quello latino, comeleggiamo nelle parole di papa Gelasio I.A Giustiniano si deve anche il sogno diricostruire l’unità politico-territorialedell’impero romano, riconquistando iterritori occidentali in mano ai Germa-ni. Prima tappa della riconquista furonoi territori nordafricani occupati dai Van-dali: in un anno il generale bizantino Be-lisario sconfisse gli avversari, che nonavevano voluto integrarsi con la popola-zione sottomessa, come scrive il vescovoVittore di Vita. Dall’Africa, l’esercito bi-zantino passò in Italia: la guerra con iGoti fu lunga ed estenuante, scrive Pro-copio, e alto fu il prezzo pagato dalla po-polazione della penisola in termini disaccheggi, distruzioni, carestie e morti;essa fu vinta soprattutto grazie all’intel-ligenza e alle doti morali di Belisario.

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n Procopio Lo storico e le sue vittime.La prima valutazione

n Procopio Lo storico e le sue vittime.La seconda valutazione

n Procopio La proscìnesin Cosma Il palazzo terreno e il palaz-

zo celesten Gelasio I La teoria dei due poterin Vittore di Vita I Vandali in African Procopio Il prezzo della «liberazio-

ne» dell’Italian Procopio Il trionfatore morale

I Longobardi in Italia [> cap. 18]

L’invasione dei Longobardi, precedutadalla devastante guerra greco-gotica eda una terribile pestilenza, come leggia-mo in Paolo Diacono, che avevano spo-polato città e campagne, rappresentòper l’Italia una vera e propria cesura:questi avvenimenti, infatti, segnarono ilcrollo definitivo del sistema economico,sociale e politico di tradizione romana eportarono la penisola a una condizionedi decadenza economica e demografica.Il popolo dei Longobardi, il cui nomepresumibilmente derivava dall’usanza diportare capelli e barbe lunghe, comeleggiamo nell’Origine del popolo longo-bardo, proveniva dalle regioni dell’Euro-pa settentrionale e probabilmente eramigrato a causa di pressioni di altre tribùgermaniche o a causa della mancanza diterre fertili, come scrive Paolo Diacono.I Longobardi, guidati dal loro re Alboi-no, penetrarono in Italia praticando raz-zie e saccheggi, come scrive papa Gre-gorio Magno. Alla morte di Alboino se-guì un lungo periodo di anarchia, di cuiprofittarono i duchi per consolidare illoro potere. Si deve al re Autari l’operadi rafforzamento della monarchia e il ri-dimensionamento dell’autorità dei du-

chi. Il consolidamento del regno longo-bardo è testimoniato anche dalla pro-mulgazione, nel 643, per volontà di reRotari di un codice di leggi. L’editto diRotari è un documento importantissimosia sul piano giuridico – è la prima codi-ficazione scritta (in latino) delle leggi edelle usanze tradizionali dei Longobardi– sia sul piano sociale, perché ci offreuno spaccato della struttura sociale lon-gobarda.

n Paolo Diacono Una terribile epide-mia

n Anonimo di Origine del popolo lon-gobardo Le origini dei Longobardi

n Paolo Diacono La migrazione deiLongobardi

n Gregorio Magno I Longobardi inItalia

n Rotari L’editto di Rotari

Cristiani e musulmani:una convivenzapossibile [> cap. 19]

Per il mondo occidentale il confrontocon la civiltà islamica divenne inevitabi-le quando i guerrieri musulmani, dopoaver conquistato i territori degli imperibizantino e persiano, rivolsero le propriemire espansionistiche all’Europa, arri-vando fino in Francia. I giudizi dei cri-stiani sugli Arabi risentivano dei pregiu-dizi che i popoli sedentari nutrivano neiconfronti dei popoli nomadi, tanto daarrivare a considerare i musulmani infi-di e crudeli e la loro religione simbolo ditale inciviltà. Il rifiuto della religioneislamica trovò sostegno in operazioni dimistificazione dei fondamenti della fedemusulmana e anche della figura del pro-feta Maometto, come leggiamo in unacronaca del IX secolo. L’opposizione al-la fede musulmana riportò addirittura in

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vita il modello dei martiri cristiani, chepreferivano morire piuttosto che con-vertirsi, come leggiamo nella Passione disan Michele il Sabaita.Eppure per alcuni cristiani una convi-venza tra i fedeli delle due religioni sa-rebbe stata possibile: l’imperatore diBisanzio, Eraclio, vedeva nella conqui-sta araba una tappa del disegno divinoche avrebbe portato alla conoscenza diDio, come leggiamo nella Cronaca diSéert; un frate domenicano, Guglielmoda Tripoli, descriveva i conquistatoriarabi non come crudeli e violenti macome rispettosi dei luoghi e degli uo-mini; la conversione in massa di cri-stiani, inoltre, non sarebbe stata pro-vocata da pressioni violente da partedei soldati musulmani, che anzi si rive-larono tolleranti nei confronti dei fede-li delle religioni monoteiste, ma sareb-be stata dettata da calcoli economici: laloro avarizia li avrebbe portati a cam-biare fede solo per non pagare il tribu-to loro chiesto, come scrive il patriarcaIsoyabb III.La prova di una coesistenza possibile, pa-cifica e produttiva, è data dalla descrizio-ne, databile al X secolo, della città “ara-ba” di Palermo redatta da Ibn Hawqal.

n Anonimo di Cronaca I cristiani con-tro Maometto. La mistificazione delprofeta

n Anonimo di Passione di san Miche-le il Sabaita I cristiani contro Mao-metto. I nuovi martiri

n Anonimo di Cronaca di Séert I cri-stiani e gli Arabi: un incontro possi-bile. «Questo popolo è come la sera»

n Guglielmo da Tripoli I cristiani e gliArabi: un incontro possibile. Unaconquista senza traumi

n Isoyabb III I cristiani e gli Arabi: unincontro possibile. Tolleranza islami-ca e avarizia cristiana

n Ibn Hawqal Palermo, città araba

I guerrieri di Allah [> cap. 19]

Alla base della prodigiosa espansionedell’Islam sta l’antico spirito guerrierodelle tribù nomadi arabe. Un passo del-le Storie di Ammiano Marcellino, unostorico vissuto nel IV secolo d.C., costi-tuisce la prima descrizione di questegenti a noi pervenuta: un popolo noma-de dedito a scorrerie e saccheggi, privodell’ordine tipico della civiltà romana.Evidente appare l’incomprensione di unrappresentante del mondo dei sedentariper quello dei nomadi divisi in tribù, lacui identità storica era affidata ai canti dipoeti come ‘Antara.A questo temperamento combattivo ilmessaggio predicato da Maometto e de-positato nel Corano aggiunse alcuni re-quisiti che si rivelarono decisivi: la co-scienza dell’unità araba, propiziatadall’accettazione di un credo monotei-stico, e la potente motivazione idealerappresentata dal dovere di diffonderela nuova fede, come leggiamo in un’ora-zione al re di Persia tramandataci dallostorico persiano Tabari.Una delle ragioni per cui Maometto riu-scì velocemente a propagare l’islamismosia tra i Beduini sia tra gli Arabi seden-tari fu sicuramente la sua capacità difondere l’intransigenza monoteistica diun Dio creatore di ogni cosa con unaprecettistica misurata, costituita da po-che e semplici regole confluite nel Cora-no, che ben si adattavano alla mentalitàdel suo popolo. Uno dei precetti da se-guire era quello rappresentato dal jihad.La prima “guerra santa” (così viene im-propriamente tradotto il termine jihad)fu quella combattuta dal profeta e daisuoi seguaci contro le tribù arabe nonmusulmane per portarle nel seno dellanuova fede e per liberare la Mecca, fa-cendone il centro dell’Islam. Con l’e-

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spansione islamica oltre i confini dellapenisola araba, la “guerra santa” si ri-volse contro tutto quel mondo infedeleche si opponeva all’affermazione e allasupremazia della religione di Allah: neleggiamo un’esempio nella Cronaca del-la battaglia di Qadisiyya.Ma il concetto di jihad, se pure contienein sé l’idea che il credente debba dispie-gare le proprie energie per affermare l’u-nica vera fede, non intende che questoavvenga necessariamente attraverso laviolenza e la sopraffazione, vale a direcon una “guerra” concreta. Esso affer-ma piuttosto un dovere morale del cre-dente, che non è estraneo, del resto, an-che al cristianesimo: quello di diffonde-re la parola di Dio. La diffusione deveavvenire certo contrastando ogni resi-stenza, con ogni mezzo, ma senza supe-rare i limiti imposti dalla giustizia e dal-la misericordia di Dio, come leggiamonel Corano e nelle parole del filosofo al-Farabi.

n Ammiano Marcellino Un popolo disparvieri

n ‘Antara La guerra e l’amoren Tabari Un popolo giovanen Anonimo di Cronaca della battaglia

di Qadisiyya La notte degli ululatin Maometto Nel nome dell’Islamn al-Farabi Il santo guerriero

Carlo Magno padredell’Europa [> cap. 20]

Un poeta anonimo, in un componimen-to scritto per ricordare l’incontro avve-nuto tra Carlo Magno e il papa Leone IIInel 799 a Paterborn, in Sassonia, defini-sce Carlo rex pater Europae, il ‘re padredell’Europa’. L’espressione ha diviso ne-gli anni gli storici, ma è ormai opinionecomune che Carlo contribuì a crearel’Europa intesa come spazio politico e

culturale autonomo, fondando un impe-ro che si sviluppava sull’Europa conti-nentale, e non più, come in età romana,su tre continenti con il Mediterraneo co-me baricentro. La dimensione europeadell’impero carolingio era data anchedalla religione professata, poiché il suoterritorio coincideva con la cristianità.L’impero “europeo” fondato da Carloera il risultato delle continue e vittoriosecampagne militari, che confermavano letradizioni guerriere del popolo franco,come leggiamo in Eginardo, e che glivalsero l’appellativo di Magno. La ri-chiesta di aiuto lanciata dal papa Adria-no I contro l’espansionismo longobardorappresentò un’ottima occasione perCarlo che, disceso in Italia con un’arma-ta imponente, sbaragliò l’esercito nemi-co e conquistò Pavia, come leggiamonelle Gesta Karoli Magni redatte daNotker I, un monaco di San Gallo. Do-po alcune battaglie dall’esito negativo,tra cui quella di Roncisvalle di cui parlasia Eginardo sia la Chanson de Roland,Carlo riuscì a sottrarre al controllo isla-mico la Spagna settentrionale. Vittorio-se furono anche le campagne militaricontro la popolazione degli Àvari, aiquali i Franchi sottrassero un bottinoimmenso, come racconta Eginardo.Carlo assunse nei confronti della Chiesadi Roma una condotta in linea con quel-la dei suoi predecessori carolingi: fedeleservitore di Roma, il re si pose semprecome paladino della fede, senza maiconfondere potere spirituale e poteretemporale. L’episodio dell’incoronazio-ne del Natale dell’800, tuttavia, confer-ma un intreccio tra religione e politicache costituisce uno dei tratti originalidell’età medievale. All’insaputa di Car-lo, papa Leone III lo incoronò impera-tore dei Romani, come racconta Eginar-do, dando vita al Sacro romano impero,come leggiamo nel Liber pontificalis.

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Con questo unico e astuto gesto il paparafforzava la propria posizione a Roma,disconosceva il potere degli imperatoribizantini, affermava che il potere impe-riale, discendendo da Dio, era soggettoal papa.Uno dei principali problemi di governoche Carlo dovette affrontare fu quello didare omogeneità politica e culturale a unimpero che si presentava vasto ed etero-geneo. Diviso il territorio imperiale inmarche e contee affidate a funzionari pub-blici, se ne assicurò il controllo diretto at-traverso l’istituzione dei missi dominici,come leggiamo in Teodulfo di Orléans.Un altro strumento attraverso cui CarloMagno tentò di amministrare in modo ca-pillare ed efficiente l’impero furono i capi-tolari, che leggiamo nella raccolta dei Mo-numenta Germaniae Historica, disposi-zioni legislative emanate dalle assembleedei grandi dell’impero, dette placiti.

n Eginardo Ritratto di Carlo Magnon Notker I di San Gallo L’imperatore

di ferron Eginardo Realtà e leggenda di Ron-

cisvalle. Un evento di secondo pianon Anonimo di Chanson de Roland

Realtà e leggenda di Roncisvalle. LaChanson de Roland

n Eginardo Tesori di guerran Eginardo Imperatore suo malgradon Anonimo di Liber pontificalis L’in-

coronazione di Carlo Magnon Teodulfo di Orléans I sudditi e il po-

teren Carlo Magno Le aziende agricole

del re

Il castello: simbolo di una nuova società [> cap. 21]

In età carolingia si diffuse quella parti-colare forma di organizzazione politico-

sociale che caratterizzerà la società eu-ropea dei secoli IX-XII: il feudalesimo.Con questo termine si intendono sia irapporti giuridico-politici basati sul vas-sallaggio, sia una particolare forma di or-ganizzazione economica, il sistema cur-tense.Carlo Magno, nel tentativo di legare a sél’irrequieta nobiltà franca, diede nuovoimpulso all’antica tradizione del vassal-laggio, estendendola poi a tutte le terredell’impero. Si trattava di un vincolo dinatura morale, sancito da un giuramen-to, come quello rivolto a Carlo il Calvo,che legava i potenti del regno al re: incambio di un beneficio, generalmenteun possedimento terriero, revocabiledall’imperatore, i vassalli assicuravano alsignore fedeltà e sostegno militare, comescrive Fulberto, vescovo di Chartres. Ivassalli di Carlo a loro volta ebbero altrivassalli, sino alla creazione di una fittarete di relazioni.Nel tempo, specie dopo la morte di Car-lo Magno, i feudatari accentuarono latendenza a sottrarsi agli obblighi neiconfronti del potere centrale. Nell’877,infatti, Carlo il Calvo fu costretto a ema-nare il capitolare di Quierzy, con il qua-le si riconosceva l’ereditarietà dei feudimaggiori, ossia di quei feudi ottenuti di-rettamente dal sovrano. Successivamen-te questo privilegio fu esteso con la Con-stitutio de feudis, emanata da CorradoII, a tutti i feudi, detti minori, perchénon concessi direttamente dall’impera-tore, bensì da un feudatario ai suoi vas-salli sovrano.La graduale tendenza a ritagliarsi spaziautonomi rispetto all’autorità centraleebbe il suo simbolo nel castello. Nati co-me fortezze per la difesa contro i nuoviinvasori – Saraceni, Ungari e Vichinghi–, i castelli proliferarono anche quandole invasioni cessarono e divennero em-blema del potere coercitivo, il banno,

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che il signore esercitava sul suo territo-rio.Al nuovo ordinamento feudale corri-spondeva un nuovo sistema economico,fondato sulla curtis, la villa. General-mente la villa comprendeva due parti: lapars dominica, costituita dalle terre ge-stite direttamente dal proprietario; lapars massaricia, costituita da un numerovariabile di poderi, affidati a singole fa-miglie di contadini o di servi, che dove-vano al proprietario una parte del rac-colto e servizi consistenti in giornate dilavoro. Ne leggiamo una descrizione nelcelebre inventario redatto dall’abate Ir-minone.

n Carlo II il Calvo Il giuramenton Fulberto di Chartres La fedeltà del

vassallon Carlo II il Calvo L’ereditarietà dei

feudin Corrado II La Constitutio de feudisn Irminone La struttura di una curtis

carolingia

L’immaginariodell’uomo medievale [> cap. 22]

L’uomo medievale – cavaliere, ecclesia-stico o contadino che fosse – viveva al-l’interno di spazi e tempi dai confini im-precisati, in cui le distanze o le epocheerano avvertite in modo confuso. Nellageografia medievale accanto alle terrepopolate figuravano anche il paradisoterrestre e l’inferno, come leggiamo nel-la Navigazione di san Brandano.In tale prospettiva, il contatto tra larealtà terrena e quella celeste era garan-tito dalle reliquie, i resti terreni della vi-ta dei santi e di Gesù. Il possesso di unareliquia era per una comunità o unachiesa un requisito quasi indispensabile,

dal momento che il prestigio della reli-quia si rifletteva sul luogo che la ospita-va, come narra Guiberto di Nogent.Il culto dei santi era a tal punto radicatotra gli strati popolari da sfiorare forme diidolatria pagana. In Francia, ad esem-pio, un cane ucciso dal suo padrone, do-po aver salvato il figlio di questi, era ve-nerato dai contadini del luogo come unmartire: ne scrive l’inquisitore Etiennede Bourbon.L’immaginario popolare medievale sinutriva soprattutto dei prodigi e dellemeraviglie operate dai miracoli: chiun-que si rifiutasse di credere alla resurre-zione di un animale a opera di santa Fe-de veniva considerato empio ed eretico,nonché cieco di fronte all’evidenza, co-me leggiamo nella raccolta dei Miracolidi santa Fede.Era credenza comune che il tempo ap-partenesse a Dio e gli uomini che se neappropriavano commettevano un sacri-legio: per esempio, gli usurai che chie-devano gli interessi sul danaro prestatonon solo approfittavano delle disgraziealtrui, ma speculavano sul tempo; ciò lirendeva oggetto di condanne morali daparte della Chiesa, che leggiamo in Guil-laume d’Auxerre.Anche i fenomeni della natura venivanointerpretati dagli uomini del tempo co-me messaggi inviati da Dio. Ad esempio,il passaggio della Cometa di Halley, nel989, venne percepito come foriero dieventi straordinari e terribili raccontatida Rodolfo il Glabro. Questa visione ti-morosa e superstiziosa della realtà natu-rale conferma il sentimento precariodell’esistenza e il pessimismo generalepresente nella cultura dell’epoca: la finedel mondo, infatti, era sentita come vici-na, come leggiamo in un componimentopoetico del XII secolo.La stessa concezione della realtà socialesi ispirava alla Trinità divina: il vescovo

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Adalberone di Laon, all’inizio dell’XIsecolo, descrisse la società dell’epoca di-visa in tre ordini: gli oratores, i bellatores,i laboratores.

n Anonimo di Navigazione di sanBrandano Lo spazio fantastico

n Guiberto di Nogent Il potere dellereliquie

n Etienne de Bourbon Il santo levriero

n Anonimo di Miracoli di santa FedeMiracolo!

n Guillaume d’Auxerre Il tempo è diDio, non degli uomini

n Rodolfo il Glabro La cometan Anonimo di La vita è misera La vita

è miseran Adalberone di Laon Pregare, com-

battere, lavorare

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