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Guida pratica per diventare se stessi Inizia in questo istante, solo così puoi ottenere il meglio da te

Guida pratica per diventare se stessi · 2018-06-28 · parola assertività è una parola che non ho mai usa - to nella vita e che scopro e approfondisco, in que- ... questo concetto

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Guida pratica per diventare se stessi

— Inizia in questo istante, solo così puoi ottenere il meglio da te

Centodieci, un progetto di Mediolanum Corporate

University, lega insieme decine di eventi che si ten-

gono sul territorio e un magazine online di cultu-

ra del pensiero e del confronto, un laboratorio di

riflessione multidisciplinare aperto a tutti, perché

siamo convinti che oggi più che mai la cultura sia

condivisione.

Centodieci.it ospita idee e offre strumenti per l’evo-

luzione personale e professionale ogni giorno.

E-book pubblicato nel giugno 2018

Copyright © 2018 Banca Mediolanum S.p.A

Indice

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1. Riconosci i tuoi limiti

Franco BolelliLa creatività è un campo di battaglia:

gioca con te stesso

Massimo TemporelliFatti un regalo, realizza ciò che sei

Giulia BlasiNon rimandare nulla a domani

2. Combatti le tue paure

Claudio GagliardiniSe non ti metti in gioco perché hai paura di perdere,

hai già perso

Giovanni LucarelliIl fallimento non è un mostro da cui nascondersi,

è qualcosa che è successo da cui imparare

Carolina TraversoNon aver paura di combattere le tue paure

3. Scegli te stesso

Luciano CanovaAccetta l'incertezza: mettici la faccia,

corri dei rischi e cambia le regole del gioco

Giulia BlasiNon stai salvando vite umane:

prenditi meno sul serio ed evita lo stress

Lorenzo FantoniOgni no che pronunci è un regalo che fai a te stesso

4. Valorizza la tua unicità

Davide ZaneIl segreto del successo non esiste:

impegnati e ce la farai

Micaela TerziScopri ed esalta il tuo multipotenziale

Lorenzo CavalieriTrasforma le tue passioni in un lavoro e non avrai rivali

5. Mettiti alla prova

Luca D’eliaTira fuori il tuo coraggio da eroe

Luciano CanovaDatti da fare e costruisci il tuo capolavoro

Lorenzo PaoliSmetti di pianificare, comincia a fare

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6. Cambia

Oscar Di MontignyParti da te stesso per rendere il mondo

un posto migliore

Anna FataLiberati della negatività per tirare fuori il te migliore

Silvio GuliziaSfrutta il meccanismo delle abitudini

per diventare migliore

7. Diventa ciò che sei

Matteo PlevanoAscolta te stesso e libera la tua energia

Gian Luca BiancoAllenati ogni giorno e raggiungi i tuoi obiettivi

Lorenzo FantoniLibera la creatività e diventa ciò che sei

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È giunto il tempo di farlo

«Non c’è nulla di più potente di un’idea di cui sia giunto il tempo» diceva lo scrittore Victor Hugo. E non si può che dargli ragione: esistono dei momen-ti, delle possibili congiunture quasi esistenziali in cui comincia a formarsi un’idea nella nostra mente. All’inizio si tratta, di solito, più di una sensazione; un insieme di sentimenti ancora poco a fuoco che potrebbero essere di disagio o insoddisfazione e potrebbero collimare con il desiderio di rinnovar-si, di gettare la vecchia pelle. Percepire tutto questo è sufficiente. Quando la volontà di cambiare bussa alla nostra porta, abbiamo già (spesso inconsape-volmente) intrapreso un processo di evoluzione. Quel che accade subito dopo è presto detto: vediamo una strada all’orizzonte, valutiamo se è percorribile o meno e in molti casi ci mettiamo in marcia ver-so un punto che ancora non vediamo nitidamente. Sappiamo che dobbiamo andare perché sentiamo il vento in poppa, quasi una spinta propulsiva istinti-va che ci spinge ad andare avanti verso la meta: noi stessi. O meglio, la persona che scopriamo essere perfettamente in nostro potere diventare. Questo ebook è dunque dedicato a chiunque abbia deciso di procedere o si sia trovato a procedere verso una dimensione di completezza umana e professionale perché – di nuovo, come dice Victor Hugo – era il giunto il tempo di farlo.

— Supera te stesso e supererai il  mondo Sant’Agostino, filosofo

Riconosci i tuoi limiti

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Franco Bolelli — La creatività

è un campo di battaglia:

gioca con te stesso

Ci sono nato, “creativo”. Non tornerei mai indietro.

Volevo scrivere e fare libri: missione compiuta.Volevo fare – ed entrare in contatto con chi fa – idee, progetti, visioni: missione compiuta.Volevo muovermi liberamente, senza vincoli, sen-za limiti: missione compiuta.

Bello? No, fantastico: basta sapere che i prezzi da

pagare sono proporzionali al privilegio che ti ritrovi.

Basta sapere che essere “creativo” è un dono, ma anche un lavoro molto duro.Basta sapere che più un talento ti sgorga dalla punta delle dita, più hai grandi responsabilità.Basta sapere che più sei davvero “creativo”, più devi tenerti alla larga – neanche il minimo contat-to – dalla retorica della creatività.

Se c’è una cosa che mi fa detestare tanti “creativi” – uso le virgolette perché la parola è tanto bellis-sima quanto malamente abusata – è proprio una

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certa aura di anticonformismo ostentato, di biz-zarria a ogni costo, di autocompiaciuta devianza. No, accidenti: gli anticonformisti e gli stravaganti sono noiosi quanto – se non di più – i conformisti e i “normali”. Chi pensa che il talento creativo sia una sorta di la-

sciapassare per saltare la fila ed ergersi al di sopra

degli altri umani “non creativi” si macchia del peggio-

re dei torti verso la creatività.

Perché essere creativi non riguarda semplicemen-te l’arte, la musica, il cinema, la scrittura, il design, la comunicazione e tutte le altre cose affini: essere

creativi riguarda l’esistenza intera, la propria atti-tudine, la propria relazione con il mondo.

Per essere creativi nel senso più pieno non è ne-cessario saper creare opere: a essere pienamente creativo è innanzitutto chi cresce ottimi figli, chi sa costruire e reinventare relazioni sentimentali, chi mette intensità e slanci e inventiva in tutta quan-

ta la propria vita.Avete presente il proverbiale simbolo del Tao? Ecco, anche nell’affascinante campo bianco dell’e-sistenza creativa ci sono gocce nere. Ho sentito dire tante volte che il creativo è quello che viene pa-

gato per fare cose che farebbe anche gratis: è così, certo, perché –se lasciamo da parte i wannabe in cerca delle gratificazioni sociali di cui godono i “creativi”- a spingerti è una passione bruciante, è la voglia irresistibile di mettere al mondo qual-

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cosa di profondamente tuo. Solo che ogni tanto – tutt’altro che infrequente – succede che qualcu-no prende così sul serio il fatto che quello che ti appassiona tu lo faresti anche gratis, che proprio non ti paga (o ti paga pochissimo e tardissimo). Se nonostante questo la vita del freelance creativo continua ad attrarti, sappi anche però che questo non è un lavoro da cui avrai mai tempo libero: i pro-getti, le idee, le cose che vuoi creare, non li puoi mai chiudere fuori dalla porta alla sera, non li lasci a casa mentre tu vai in vacanza. Sono parte di te, nel bene e nel male.

La creatività non è una gabbia dorata: è un cam-

po di gioco e al tempo stesso un campo di battaglia. Conosco tanti meravigliosi e famosi architetti, scrittori, comunicatori, designer, e così via: ognu-no di loro percepisce quello che fa come una gioia incommensurabile e insieme come un impegno duro. Ecco, è proprio per questo, per questa ine-stricabile combinazione fra grandi visioni e roc-ciosa responsabilità, che i “creativi” – lasciateme-lo dire meglio: chi fa, costruisce, inventa, mette al mondo qualcosa che prima non c’era o miglio-ra quello che c’era già, chi sta sulla frontiera per espanderla – sono il vero, grande prototipo evoluti-

vo, il modello di un rapporto con la vita che an-che chi non è e non si considera creativo in senso stretto dovrebbe adottare.

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Massimo Temporelli — Fatti un regalo,

realizza ciò che sei

Inizio con un’autodichiarazione di ignoranza: la parola assertività è una parola che non ho mai usa-to nella vita e che scopro e approfondisco, in que-sti giorni, mentre preparo e scrivo questo artico-lo. Qualcuno ha detto che se non nomini una cosa quella cosa è come se non esistesse. Se fosse vero questo concetto mi chiedo come ho fatto a vivere fino a quasi quarantacinque anni senza usare la parola assertività e tutto le sue declinazioni, una

parola e un concetto che trovo indispensabile per vi-vere un esistenza vitale in tutti i campi della vita, professionale, sentimentale e pubblica.

Per giustificare parzialmente la mia ignoranza dob-biamo subito dire che la parola assertività è relati-vamente giovane, Goethe e Dante (e probabilmente anche Italo Calvino e Borges, che sono i miei scrit-tori preferiti) non l’hanno mai usata, infatti questa parola e il conseguente approccio alla vita è stato delineato per la prima volta solo nell’immediato se-

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condo dopo guerra, per poi diventare popolare solo a partire dagli anni Settanta del secolo scorso. E dun-que, come un bambino che scopre un gioco nuovo, qui, con voi, andrò a scoprire questa parola e a com-mentare e sottolineare la sua straordinaria potenza.La parola assertività deriva dal latino “asserere”

che significa “asserire”, o asserzione (o anche af-

fermazione di sé), questa parola riferisce a una ca-ratteristica del comportamento umano che consi-ste nella capacità di esprimere in modo chiaro ed efficace le proprie emozioni e opinioni senza tut-tavia offendere né aggredire l’interlocutore.Banalizzando il comportamento umano, facen-do finta che non esistano centomila sfumature di personalità e diecimila eccezioni e casi particolari, proviamo a dire che fondamentalmente esistono due atteggiamenti nell’approccio alla vita e all’altro:

1. L’approccio aggressivo:

è tipico delle personalità egocentriche e arroganti. Tipicamente chi ha questo approccio, nelle discus-sioni non sente ragioni, vuole avere il comando e il pieno controllo della situazione e tende sempre a sopraffare gli altri, calpestandoli con la propria apparente superiorità.

2. L’approccio passivo:

la personalità passiva è debole e tende a farsi sot-tomettere. Tipicamente chi ha questo approccio, nelle discussioni, non riesce ad esprimerle pro-

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prie idee con fermezza, perché teme il giudizio al-

trui. Spesso, piuttosto che esporsi, preferisce ri-manere in silenzio e subire gli eventi.

Tra queste due posizioni inquietanti, ci si infi-la (per fortuna) una terza posizione. Attenzione però, quello che mi sembra di poter dire è che più che una posizione mediana, che non convince-rebbe, l’assertività è come se mescolasse e amalga-

masse in modo virtuoso le due posizioni contrappo-

ste, una specie di Yin e Yang del comportamento. Infatti, l’assertività prende in prestito dal primo atteggiamento la sicurezza delle proprie opinioni e la volontà di governare la propria esistenza (l’au-todeterminazione è fondamentale come scrissi in un articolo qui su Centodieci) ma, allo stesso tem-po, veicolando un po’ di fragilità e di insicurezza, tipiche della seconda posizione, porta il soggetto assertivo a tendere la mano all’altro, a mettere in discussione le proprie idee e, nel caso, a ricombi-narle con quelle degli altri, arricchendole conti-nuamente.

Chi è assertivo non è aggressivo, pur volendo essere protagonista della sua vita e del suo destino, non ha bisogno di far cambiare le idee agli altri, gode nell’incontrare visioni diverse del mondo, perché queste visioni rafforzano e/o arricchiscono il pro-prio universo di idee.Chi, nello sport, cerca, rispetta e si esalta quando

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gioca con l’avversario più forte, crescendo e stimo-lando la propria performance; chi, nel mercato, cerca, rispetta e gareggia legalmente con i propri competitor per superarli, per vendere più di loro e per migliorare i propri prodotti e i servizi; chi, da professionista, gode nel lavorare con il collega più

bravo e apprezzato, per imparare e discutere con lui del proprio lavoro e delle proprie competenze, ecco, chi fa tutto questo è un assertivo. E le per-sone dotate di questa attitudine, di solito, oltre a vivere una vita gratificante e ricca, migliorano anche il mondo che li circonda. Ecco perché sono felice di aver scoperto questa parola, di iniziare a usarla e di averla come riferimento per una nuova

visione del mondo.

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Giulia Blasi — Non rimandare nulla

a domani

Prima di scrivere questo articolo, ho procrastina-to per circa un’ora controllando Facebook, la for-ma-base di procrastinazione e uno dei più effica-ci mangiatempo esistenti nella nostra giornata. I social media, e Facebook in particolare, hanno la capacità di curvare lo spazio-tempo, per cui quelli che sembravano cinque innocenti minuti di eva-

sione erano due ore di conteggio compulsivo dei like sul tuo ultimo post.

Uno dei problemi principali per un freelance (e solo in misura minore per chi lavora in un ufficio) è la gestione del tempo. Ogni minuto ha un costo, e ogni minuto impiegato male è buttato; d’altro canto, è anche vero che chi svolge una professione intellettuale ha bisogno di decomprimere, di tan-to in tanto. Il problema è che più spesso che no la decompressione non è produttiva, ma viene svol-ta nello stesso ambiente in cui si lavora, ovvero lo schermo del computer.

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Intendiamoci: si può procrastinare in molti modi – chi lavora da casa può decidere che il bagno aveva bisogno di una pulizia radicale proprio oggi, ma c’è anche chi fa dolci o guarda serie sul tablet – ma il risultato è sempre quello: il lavoro non viene svolto con tempi adeguati, viene consegnato in ritardo o in tempo ma fatto in maniera approssimativa.

Smettere di procrastinare è come smette di fuma-re: difficile, ma possibile.

Comincia presto

Sembra lo slogan di una pubblicità anni ’70 con protagonista una tale Luisa che cominciava presto, finiva presto e non puliva il water, ma se ti alzi con calma, fai colazione con ancora più calma e attac-chi alle dieci, hai solo tre ore buone prima del calo di zuccheri e di concentrazione che ti obbliga a fare una pausa. Per non procrastinare, o procrastinare meno, vai a letto presto e alzati presto, come se an-dassi in ufficio.

Se puoi, lavora fuori casa.

L’ideale è prendersi uno spazio in un co-working, ma se non ricevi molte telefonate anche una bi-blioteca va bene, oppure – quando c’è bel tempo – una panchina al parco. I più gaudenti individua-no un baretto sulla spiaggia e vi si trasferiscono: il mare e l’aria aperta, anziché distrarre, aiutano la concentrazione. Il punto è non stare in casa, cosa

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che oltre a inquinare di vibrazioni lavorative lo spazio in cui si vive, dà anche l’impressione di ave-re più tempo per fare le cose. Stare fuori casa di-minuisce le distrazioni, aiuta a rimanere concen-trati e aumenta il valore del tempo: prima finisci, prima puoi tornare a casa a fare binge-watching di Orange Is the New Black.Questo articolo, per esempio, lo sto scrivendo in treno. È un ambiente di lavoro che in alcune occa-sioni può rivelarsi molto produttivo, e sicuramente aiuta a focalizzare.

Chiudi Facebook. E Twitter. E togli le notifiche di In-

stagram.

Sembra banale, ma per concentrarsi su un compi-to bisogna isolarsi. A meno che il lavoro non com-porti l’utilizzo dei social media, spegnili per un po’. Basta anche minimizzare la finestra per non ve-dere le notifiche comparire sullo schermo, ma se si lavora su una scheda del browser (per esempio: per scrivere usando WordPress o altre interfacce di CMS) prova a usarne uno diverso da quello dove tieni aperte le tab di Facebook e Twitter, oppure chiudile. Per chi scrive: abbi coraggio e metti il fo-glio Word o Pages in modalità “A tutto schermo”. Escludi le distrazioni.

Crea una lista per punti di cose che devi fare.

Questo non aiuta solo la memoria – perché chi deve fare molte cose finisce per dimenticarsene qual-

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cuna – ma anche anche a visualizzare i compiti da svolgere e stabilire una lista di priorità. A meno che tu non debba tenerne traccia sul lungo periodo, non perdere tempo con applicazioni o fogli elettro-nici e to-do list: la cara vecchia carta su foglio va benissimo. Man mano che procedi, cancella il pun-to completato dalla lista. Questo libera un sacco di endorfine, è motivante e aiuta a darsi il passo du-rante la giornata.La mia raccomandazione personale: fai prima tutte le cose che richiedono poco tempo e sforzo, e toglile dalla lista. Questo ti aiuta a non trascinartele per giorni e anche a sentirti un po’ meno angosciato ri-guardo a quelle grandi e impegnative.

Impara a contingentare il tuo tempo.

Puoi anche lavorare ogni giorno fino a mezzanotte, certo, ma la vita dov’è? Darsi dei limiti – lavorare un massimo di otto-nove ore al giorno, se possibile meno, e mai nei fine settimana salvo emergenze o impegni eccezionali: questo è il mio – è essenziale anche per evitare di perdere troppo tempo. Se sai che alle sette stacchi, sei meno tentato di prenderti un’ora per giocare a Piante contro Zombie.Se perdi facilmente la cognizione del tempo e hai cali d’attenzione, prova la Pomodoro Technique, un modo semplice ma efficace per obbligarti a proce-dere a tappe forzate.

19Guida pratica per diventare se stessi

Prendi delle pause.

Sembra contro-intuitivo, ma se ti fermi lavori me-glio. Alzati almeno ogni ora, guarda fuori dalla fi-nestra, prendi aria, fai una telefonata (se non eri al telefono da ore). Se puoi, fai una passeggiata, anche solo intorno all’isolato. Vai a pranzo con un amico o un collega, stacca, non parlare di lavoro. Quello che ti sembra tempo perso verrà riguadagnato con una maggiore concentrazione e produttività quando ri-prenderai a lavorare.

20Guida pratica per diventare se stessi

Combatti le tue paure

— La vita si restringe o si espande in proporzione al nostro coraggio. Anais Nin, scrittrice

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Claudio Gagliardini — Se non ti metti

in gioco perché hai paura di perdere,

hai già perso

In altre società, altre culture ed economie fallire

non è considerato un dramma e raramente porta con sé conseguenze catastrofiche, come invece spesso succede qui da noi, in Italia. Per noi, infatti, “fallire

è un po’ come morire”, tanto che anche quando que-sto avviene senza portare con sé pesanti strascichi di tipo economico legale, si fa di tutto per insabbia-

re il più possibile la cosa e per far sparire qualsiasi riferimento a questo disonore, che si tratti di un evento andato male o di una qualsiasi iniziativa o attività che non è andata nel verso giusto.

Ovviamente quando di mezzo c’è un’impresa, dei dipendenti, dei fornitori e dei debiti cui far fron-te non è per niente semplice mettere tutto sotto traccia, ma la verità è che questo è, in ogni caso, l’atteggiamento più sbagliato che si possa tenere. No, il fallimento non è il peggiore degli incubi, ma una delle infinite possibilità che ci troviamo davanti, ogni volta che facciamo qualcosa. “Chi non fa non

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falla”, recita un vecchio adagio, ma il problema è che non esistono soltanto le opzioni più estreme, fallimento e successo, ma moltissime altre grada-

zioni e tinte, cui il nostro atteggiamento radicale non riesce a dare senso e dignità.

Non c’è solo farcela o soccombere, nella vita come nel lavoro. Un Paese di tifosi come il nostro, tutta-via, riesce a gestire solamente due sole condizioni: vittoria e sconfitta, bene o male, positivo o negativo. “Hai fallito, non vali nulla” sembra l’unico punto di vista possibile, ma questa impostazione nasconde un’incapacità cronica di valutare le cose per quello che sono e per quello che portano con sé, oltre che per le loro conseguenze.

Senza entrare in controverse questioni di tipo psi-co-sociologiche, appare di tutta evidenza che, in questo come in molti altre questioni, ci sono no-tevoli distorsioni e falle nell’analisi del nesso cau-sa-effetto che determina qualsiasi aspetto delle nostre esistenze. Quando ci si trova di fronte a un fallimento di qualsiasi genere, infatti, la sola cosa che si dovrebbe fare è un’analisi oggettiva delle sue

cause; una lucida disamina che sappia mettere in evidenza le motivazioni, gli effetti e le conseguen-ze, invece che limitarsi a puntare il dito contro il presunto artefice dell’insuccesso. Quel dito, nella maggior parte dei casi, è puntato contro l’impren-ditore di turno, che da quel momento in avanti

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sarà additato come un fallito e difficilmente tro-verà nuove opportunità e occasioni. A meno che il suo fallimento non sia parte, come talvolta pur-troppo accade, di una disinvolta strategia di spe-culazione, ovviamente.

Soffermiamoci però sul nesso causa-effetto. Nello scenario attuale chi decide di mettere in piedi un progetto o di lanciare una nuova attività ha sola-mente due scelte:

1. cercare di farcela con qualcosa che già esiste, con altissime probabilità di fallire, a meno che non abbia davvero la capacità di mettere in campo un plusvalore altissimo;

2. lanciare qualcosa che ancora non esiste, un pro-getto completamente nuovo che dovrà lottare in modo furibondo, per farsi conoscere e apprezzare e per imporsi, correndo grandi rischi e… con altis-sime probabilità di fallire.

Ovviamente nel mezzo ci sono infinite altre sfu-mature, ma di base fare impresa nel nostro tem-po significa sostanzialmente questo: assumersi un

grande rischio e correrlo con coraggio e determina-

zione. Sia chiaro, questo non giustifica nessuno e non alleggerisce le responsabilità di un imprendi-tore, in caso di fallimento, ma se non ci poniamo nella prospettiva giusta saremo sempre e soltanto

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i censori di noi stessi o degli altri, pronti a puntare il dito e a mettere all’indice le persone, i loro sogni e il loro coraggio.

Coraggio, passione, ambizioni e voglia di fare che vengono sempre e comunque compensate, quan-

do si getta il cuore oltre l’ostacolo e si affronta il ri-schio. Anche in caso di fallimento. Senza uno o più

fallimenti alle spalle, la maggior parte di quelli che oggi indichiamo come imprenditori di successo non sarebbero andati lontano e non avrebbero pro-babilmente fatto le grandi cose che noi conoscia-mo, perché fallire significa anche guardare avanti con una consapevolezza nuova.

Pensate ai gatti, ad esempio. Per loro non esisto-no mobili impossibili da scalare o salti impossibili da spiccare, ma prima di arrivare in vetta ad una libreria o di saltare da un muro all’altro possono schiantarsi più e più volte, cadendo sempre in pie-di ma non per questo senza rischi e senza la paura di farsi male. I gatti cadono, sbattono la pancia e il muso, ma ogni volta si rialzano e a quel punto sanno per certa una cosa fondamentale: per farce-la ce ne voleva di più e quel di più da qualche parte deve sicuramente esserci, perché il fallito non è chi

sbaglia e sbatte il muso, ma chi dopo aver sbattuto il muso non si rialza e non ci riprova con maggior convinzione.

25Guida pratica per diventare se stessi

Fallire è dunque il prerequisito fondamentale del successo? Probabilmente no, ma ben pochi succes-si sono stati realizzati in modo lineare e senza nes-sun intoppo, piccolo o grande che fosse, fallimento compreso. Fallire significa sostanzialmente impa-rare sulla propria pelle quanto sia possibile anda-re a fondo prima di sprofondare definitivamente, incagliandosi sul fondale come un sottomarino in avaria, destinato a rimanere lì per sempre. Con un grande vantaggio, però: in quasi tutti i casi da quel sottomarino si può uscire e tornare in superficie, per rielaborare questa esperienza drammatica alla luce del sole e tornare ad immergersi poi con una

consapevolezza nuova e con una grande esperienza, che chi non ha mai fallito non può avere. Il nemi-co non è dunque il fallimento, ma la paura di falli-

re, che ci spinge a volare troppo basso e a tenere stretto in mano il cordino del paracadute, invece che governare l’aereo e spremere il massimo del-le sue prestazioni, volando più in alto degli altri e guardando le cose con una visione d’insieme, piuttosto che con la lente d’ingrandimento.

26Guida pratica per diventare se stessi

Giovanni Lucarelli — Il fallimento

non è un mostro da cui nascondersi,

è qualcosa che è successo

da cui imparare

Fallire non piace a nessuno, siamo sinceri. A tutti, in-vece, piace vivere una vita (personale e professio-nale) ricca di stimoli, di soddisfazioni e di... idee

creative.

Se scegliamo di innovare, però, non esiste una mappa

“dettagliata” e il rischio di fare qualche “passo falso” aumenta. Ma questo non è sempre un male, anzi.

Frank e Dan Carney, nel 1958, gestivano una picco-la pizzeria per pagarsi gli studi universitari. Dopo circa vent’anni, hanno venduto Pizza Hut, una ca-tena con oltre 3.000 punti vendita, per 300 milioni di dollari. “La lezione più importante che ho appre-so – afferma Frank – è che devi imparare a perdere. Ho avviato quasi 50 attività imprenditoriali e solo 15 hanno funzionato. Mi sono accorto che non impari quando stai vincendo, ma quando, dopo una sconfit-ta, sei capace di reagire e ripartire di nuovo.”

27Guida pratica per diventare se stessi

Trasforma un insuccesso in un’opportunità creativa

Nel 1968 Spencer Silver, ricercatore alla 3M, sta rea-lizzando una nuova colla, forte e resistente. Nel pre-parare la formula, però, sbaglia le dosi ed ottiene un adesivo molto debole, che si stacca facilmente. Il progetto viene considerato inutile ed archiviato.

Arthur Fry, collega di Silver, canta nel coro della North Presbiterian Church e ha un problema: i segnalibri che mette tra gli spartiti cadono sem-pre. Nel 1974 gli viene l’idea (durante una predica noiosa) di applicare sui foglietti l’adesivo blando ideato da Silver. Questi foglietti “riposizionabili” si rivelano molto utili e, dopo qualche titubanza, la 3M mette in produzione i “Press and Peel Notes”, che nel 1980 diventeranno i Post-it® Notes.

Quando facciamo un passo falso (perdiamo un cliente importante, un progetto non va a buon fine, ecc.), domandiamoci:

– “Che cosa posso imparare da questo ‘insuccesso’?”

– “In questa situazione negativa, posso cogliere qualche opportunità interessante?”

28Guida pratica per diventare se stessi

Pensa in grande, fallisci in piccolo

Scott Anthony, A.D. di Innosight, incoraggia i suoi collaboratori a fare degli “intelligent failures”.

“I fallimenti intelligenti, che avvengono in modo velo-ce e a basso costo, portano spesso a nuove intuizioni riguardo i prodotti o i clienti. Dovrebbero essere non solo tollerati ma anche incoraggiati”, sostiene An-tony. “Capire come gestire questo processo (di falli-mento e apprendimento fast e low cost) che porta al successo è una delle cose più importanti che le azien-de devono imparare.”

Come riconoscere questi “fallimenti intelligenti”?Amy Edmondson, nel suo articolo sull’Harvard Business Review “Strategies for Learning from Failure”, descrive tre tipi di errori: “quelli evitabi-li nelle attività prevedibili, che di solito riguardano deviazioni dalle disposizioni; quelli inevitabili nei sistemi complessi, che possono derivare da combi-nazioni uniche di bisogni, persone e problemi, e, in-fine, quelli intelligenti alla frontiera, dove fallimenti “buoni” si verificano rapidamente e su una piccola scala, fornendo le informazioni più preziose”.

Domandiamoci:

– “Quali informazioni utili posso ‘dedurre’ da questo insuccesso?”

29Guida pratica per diventare se stessi

– “Quali esperimenti ‘fast and low cost’ posso fare nel mio contesto professionale”?

Attraversa il fallimento (e vai oltre)

“Falliremo. Spesso e volentieri, e in maniera brutale” – afferma Daniel Cook, Chief Creative Officer di Spry Fox, azienda di videogame di Seattle – “ma sopravvi-vremo ogni volta. Abbiamo pianificato di sopravvivere ogni volta. È nel nostro DNA e nella nostra visione.”

La Nasa, all’inizio degli anni ’50, chiede ai suoi for-nitori di inventare un idrorepellente (Water Displa-cement) per proteggere dalla corrosione i contatti elettrici dei razzi.Norm Larsen, fondatore della Rocket Chemical Company, sperimenta diverse formule: ad ogni fal-limento annota, con costanza, ciò che funziona e ciò che va cambiato. Dopo 39 esperimenti-fallimen-ti, nel 1953, individua la formula ideale e chiama il prodotto WD-40. Il suo olio lubrificante diventa, molto velocemente, un prodotto di successo.

Credo avesse ragione Winston Churchill quando ammoniva che il successo è “l’abilità di passare da un fallimento all’altro senza perdere l’entusiasmo”.

30Guida pratica per diventare se stessi

Carolina Traverso — Non aver paura

di combattere le tue paure

A volte è un pensiero passeggero accompagnato da una lieve contrazione nel corpo. Altre, una nube pe-sante e nera, fitta di immagini che ci impediscono di prendere sonno. Altre ancora, è un insieme di sen-sazioni fisiche così intense che quasi ci sembra di morire, e non a caso alcuni di noi si precipitano al pronto soccorso a chiedere rassicurazioni. Sto par-lando della paura, la reazione naturale di ogni essere umano di fronte a una minaccia vera o percepita. O chiamatela, se volete, ansia, preoccupazione, panico, stress o come diavolo vi pare. Fatto sta che ci riguar-da tutti, anche quelli più coraggiosi fra noi, e proprio per questo oggi ve ne voglio parlare, condividendo con voi un paio di riflessioni e suggerimenti che spero possano aiutarvi non solo a conquistarla, ma a usarla come motore per diventare persone migliori.

La paura fa parte delle nostre vite

Che sia la paura di parlare in pubblico, l’ansia da

31Guida pratica per diventare se stessi

performance, il timore di non essere amati o la fobia dell’aereo, sappiate una cosa: non esiste una vita senza paura, né soluzioni facili per liberarve-ne. Potete bere, drogarvi, fare sesso a più non pos-so, comprare oggetti meravigliosi o lavorare come matti. E forse, per un po’, non la sentirete. Ma poi, quando meno ve lo aspettate, la paura tornerà a farvi visita. Sta a voi decidere: se continuare a fug-gire attraverso scelte che, nel tempo, rischiano di farvi sentire sempre più deboli, oppure affrontarla.

Con le vostre paure, siate più simili a Trudeau che a

Trump

Così come Donald Trump con il Messico, di fronte alle nostre paure potremmo avere una gran voglia di erigere muri. Seguite, piuttosto, l’esempio di Ju-stin Trudeau. Date loro il benvenuto un po’ come il primo ministro canadese ha fatto con tutti i rifu-giati, sapendo che accoglierle vi renderà, nel tem-po, più forti. In altre parole, prendete atto che la paura c’è, e diventate curiosi. Stilate un elenco del-le vostre paure giornaliere e iniziate a conoscer-le. Che cosa sentite nel corpo quando avete pau-ra? Dove lo sentite? Sono sensazioni che restano sempre uguali, oppure cambiano? Invece di giudi-carle e affannarvi a liberarvene, fate amicizia con le accelerazioni del battito cardiaco, il sudore alle mani, gli aggrovigliamenti della pancia, e con tut-ti gli altri segnali che la paura è con voi. E se una

32Guida pratica per diventare se stessi

vocina vi dicesse che questa è follia, che non dove-te assolutamente farlo, ricordatevi che non esiste nulla di più spaventoso di ciò che evitiamo.

Siate gentili con voi stessi

Se siete di quelli che si rimproverano per le proprie ansie e paure, fatevi un enorme favore: smettete-la. Avere paura è umano. Ripetete vi prego: avere paura è umano. Poi, a seconda di come vi relazio-nate con la paura, potete diventare dei vigliacchi così come dei supereroi. Diciamo che se volete avere un cuore aperto – sapevate che la parola co-raggio deriva dal latino coraticum, che deriva da cor, che significa cuore?- il primo passo è calmare la mente. E se vi giudicate troppo severamente, la mente si riempie di pensieri inutili. Ricordatevi piuttosto di tutte le vostre qualità. Fatene un elen-co, oppure chiedete a qualcuno che vi vuole bene.

L’impazienza è il vostro più grande nemico

Come psicoterapeuta e insegnante di mindful-ness, lo vedo accadere spesso: soffriamo inutil-mente non solo quando siamo troppo duri con noi stessi ma anche, e forse proprio per questo, perché siamo impazienti. Ci aspettiamo di conquistare la paura in un minuto, un giorno, una settimana, un mese. In ogni caso, nel tempo che ha stabilito il nostro critico interiore. Badate bene: potremmo

33Guida pratica per diventare se stessi

anche superare una paura in un momento stra-ordinario ed epifanico, ma non possiamo deci-dere a priori quando arriverà. Se state lavorando sulle vostre paure, o con qualsiasi altra emozione difficile valorizzate il percorso che state facendo, indipendentemente dal risultato finale che avete in mente. Vi aiuterà ad acquisire consapevolezze durature, invece che fugaci vittorie che vi rendono ancora più ansiosi.

Non si tratta di respingere, ma di lasciare andare

Una volta che avete dato il benvenuto alla paura, lasciatela andare. Lasciare andare non ha nulla a che vedere con il respingere, ma deriva natural-mente dalla scelta di spostare l’attenzione da un oggetto a un altro. Quando sentite che è possibile lasciare andare i pensieri legati alla paura, sem-plicemente fatelo. Se state meditando, tornate a sentire le sensazioni del respiro. Se siete nel resto della vostra esistenza, dedicate la vostra energia a ciò che conta davvero per voi in quel momento. Nei casi di paura intensa, vi troverete dopo poco ancora impigliati nelle maglie dei suoi pensieri. Non innervositevi, fate di nuovo amicizia con la sua presenza (tornate al punto 2) e, quando sentite che ha allentato un po’ la morsa, lasciate di nuovo andare. Coltivare l’arte di lasciare andare, che non è un atto di rinuncia ma di potere, è fondamenta-le non solo per vedere più chiaramente le nostre

34Guida pratica per diventare se stessi

reazioni automatiche, ma per iniziare a fare scelte nuove, più benefiche per noi e per gli altri. Sapere lasciare andare vuol dire essere liberi.

Meditate

La meditazione è uno degli strumenti più po-tenti che conosco per affrontare la paura e non è un caso che l’ultima parte di Mente Calma Cuore Aperto sia dedicata alla mindfulness delle emozio-ni. Quando ci sediamo con noi stessi, senza fuggi-re nell’azione come siamo troppo abituati a fare, stiamo coltivando tutta la pazienza, il coraggio e la gentilezza che ci servono, e che sono già dispo-nibili in abbondanza dentro di noi, per affronta-re le nostre paure. La stessa postura meditativa, che invita ad assumere una posizione comoda ma con la schiena dritta, incarna la possibilità di stare esattamente al centro della nostra esistenza, qual-siasi cosa stia accadendo, con rilassatezza, elegan-za e dignità. Non è cosa da poco e forse è anche per questo che, chi medita da un po’, riferisce di potere persino sorridere alle proprie paure.

Chiedete aiuto

Non sta scritto da nessuna parte che dobbiamo sempre fare tutto da soli. Chiedere aiuto è una for-ma di coraggio e condividere le nostre paure con qualcuno che sa accoglierle può essere un grande

35Guida pratica per diventare se stessi

sollievo. Confidatevi con gli amici veri e, nei casi di paura invalidante o cronica, rivolgetevi a uno psicoterapeuta. Avere paura è umano, evitare di prendersene cura è un atto di malvagità del nostro critico interiore nei confronti di noi stessi. Man-datelo a quel paese.

Festeggiatevi!

Infine, mi raccomando, celebrate ogni vittoria. Ri-cordatevi che, ogni volta che scegliete di fare ami-cizia con le vostre paure, avete fatto un passo nella direzione giusta. Datevi una pacca sulla spalla e, quando tornano, provate a conoscerle ancora un po’ meglio. In ogni caso, per il solo fatto di rispon-dere all’appello della vostra vita con coraggio, pa-zienza, curiosità e gentilezza, avete vinto.

36Guida pratica per diventare se stessi

Scegli te stesso

— Si sa che nella vita l’amor proprio è tutto; e chi non capisce questo, non capisce niente della vita. Alberto Moravia, scrittore

37Guida pratica per diventare se stessi

Luciano Canova — Accetta l'incertezza:

mettici la faccia, corri dei rischi

e cambia le regole del gioco

A volte la finestra si spalanca per un colpo di vento: entra dell’aria gelida e si rimane intirizziti. Però che goduria la freschezza della stanza che sembra come rigenerata da questa corrente improvvisa. Ecco, i

libri di Nassim Taleb funzionano un po’ così e Skin in

the game non fa eccezione. Per chi non riconoscesse il nome, Taleb è il fortunato autore di Black Swan, il Cigno nero, un testo indispensabile per chiunque volesse fermarsi ad approfondire il tema dell’incer-

tezza e del rischio dentro cui siamo immersi.

Taleb, ex trader ma soprattutto grande esperto di statistica e matematica, ha dato il via negli anni a un programma di divulgazione scientifica fatto di diversi libri, ognuno dedicato a un tema specifico legato, sempre, al macro argomento dell’incertezza. Un cigno nero, per dare una rispolverata al concet-to, è classificabile come un evento imprevedibile che, statisticamente, ha una probabilità bassissima di accadere e che, tuttavia, una volta manifestatosi, ge-

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nera il suo impatto anche rilevante sulla nostra vita di tutti i giorni.

E Skin in the game di cosa parla? Partiamo dal titolo, Pelle in gioco. Taleb, di fatto, fa una riflessione pro-vocatoria e interessantissima sugli incentivi, il vero motore di ogni nostra azione. Il tutto sta a capire che cosa ci motivi a fare una determinata scelta scompo-nendo la natura della stessa.

Pelle in gioco significa, in soldoni, correre un rischio vero quando si prende una decisione, avere interes-si in gioco. Per Taleb è l’unica possibilità di ridurre quelle asimmetrie che sono destinate sovente a pro-durre disastri. Cosa sono le asimmetrie?

Taleb parte da lontano citando il codice di Hammu-rabi, riferimento rudimentale di massima simme-tria. Esempio:“Se un costruttore di casa costruisce una casa che crolla, verrà condannato anche lui a morte”. Magari un tantino eccessivo, ma il problema è che l’evoluzione della società ha determinato uno sbilanciamento esagerato all’opposto, verso il mon-

do pericoloso delle asimmetrie.

Prendiamo un banchiere che ha di fronte a sé la prospettiva, ogni anno, di prendere un ricco bonus e, invece, una bassissima probabilità che, a causa di un disastro finanziario (che magari capita una volta ogni 10 anni), si manifesti un collasso. Qui l’incentivo

39Guida pratica per diventare se stessi

è chiaro: puntare dritto a lauti guadagni, assumen-

dosi rischi eccessivi che finiscono con il sottovaluta-

re quello degli eventi più improbabili, con possibile collasso sistemico. Chiedere alla crisi finanziaria del 2008 per informazioni.

Come si reagisce di fronte al mondo delle asimmetrie?

Taleb parla delle regolazioni, come modalità stan-dard di intervento: stabilire regole, normare, legife-

rare. Però si legge subito il fuoco che muove l’autore contro l’intellettualismo fine a se stesso: parte dei disastri del mondo, dice Taleb, è dovuto al fatto che, a proposito di asimmetrie, troppe persone prendo-no decisioni importanti senza un vero interesse in

gioco, producendo conseguenze sulla vita degli altri ma non sulla loro.

L’attacco verso il mondo dei consulenti è feroce, a meno che, dice Taleb, non venga introdotto un siste-ma di penali credibili.

Ci vuole skin in the game, dice lui, per essere credi-

bili, e l’esempio di proposta più virtuosa riguarda la scuola: basta con aule polverose in cui un insegnante spiega e lo studente ascolta teoria. Quel tipo di edu-

cation serve solo, provoca Taleb, a imparare a fare il professore.

Ci vuole skin in the game, una motivazione concreta.

40Guida pratica per diventare se stessi

Quello che abbiamo chiamato engagement per tan-to tempo e che, in fin dei conti, vuol dire semplice-mente ciò che ci motiva e ci appassiona.

L’anima.

Non è un caso che la figura che esce meglio dalla disa-mina di Taleb sia quella dell’imprenditore, ma l’im-prenditore vero. Quello che mette skin in the game per definizione, giocandosi se stesso e rischiando.

Si badi bene che rischiare non significa non privi-legiare le competenze e i valori: tutt’altro. Significa semplicemente che la competenza senza skin in the game rischia di distanziare il decisore dall’oggetto della sua scelta.

Per questo, Taleb dà un consiglio curioso a molti imprenditori: “Cancellate la figura dell’assistente” (dove ci si riferisce al factotum che segue il CEO, per esempio, in ogni attività).

L’obiettivo di un massimo dirigente, infatti, dovreb-be essere quello di massimizzare il tempo libero, non di massimizzare l’attività. Scegliere soltanto le atti-vità rilevanti per avere il tempo di realizzarsi anche

fuori dal lavoro. Solo skin in the game (leggi “spor-candosi le mani facendo le cose da sé”) è l’incentivo

giusto per fare selezione tra le priorità.La pelle in gioco, l’assunzione dei rischi, in fin dei

41Guida pratica per diventare se stessi

conti ha un corollario banale ma mai come questi giorni di rilevanza: assumersi una responsabilità. Chi ha skin in the game diventa credibile agli oc-chi degli altri, perché si gioca, quasi letteralmente, la pelle.

42Guida pratica per diventare se stessi

Giulia Blasi — Non stai salvando

vite umane: prenditi meno sul serio

ed evita lo stress

Da un giorno all’altro, l’eczema da stress che mi spuntava sulla caviglia ogni volta che cambiavo lavoro, firmavo un contratto nuovo o avviavo una nuova collaborazione mi si è trasferito in faccia. Non bastavano il tic all’occhio, la gastrite e l’ansia: il mio organismo ha deciso che stavo dando ve-

ramente poca attenzione al suo benessere, e ha deciso di piazzarmi una specie di post-it in faccia con scritto ANCHE MENO.

Il problema di qualunque adulto impiegato nel set-tore della comunicazione e dei servizi alle aziende è sempre lo stesso: lo stress. C’è chi lo regge meglio, chi peggio e chi schioppa e se ne scappa a vivere in un villaggio di pescatori asiatico a scelta, ma lo stress non risparmia nessuno. Il problema è sempre quello: troppe cose da fare, troppo poco tempo, e se uno è freelance si aggiunge anche una certa dose di rischio d’impresa, per cui se le cose non vanno

bene il lavoro lo perdi tu. Sbagliare non è consenti-

43Guida pratica per diventare se stessi

to, sforare neanche. E tutto deve essere fatto con-

temporaneamente.

Altro che dermatite. C’è da restarci secchi.

Come sopravvivere a un male così intrinsecamente Terzo Millennio come quello dello stress da multita-

sking? La prima cosa da capire, quella fondamentale, è questa: solo i medici del Pronto Soccorso lavorano al

Pronto Soccorso, e per loro la tempestività può fare la differenza fra la vita e la morte. Tutti gli altri, no. E per quanto sia fondamentale fare il proprio lavoro con il massimo della cura, può capitare di sbaglia-

re, di prendere un buco, di non essere sul pezzo. Chi lavora nel digitale, in particolare, è sempre esposto agli errori da fretta: la cosa più comune sono refusi

ed errori di ortografia, ma quando si gestisce più di un profilo social può capitare di sbagliarsi, di far an-dare online post che dovevano essere programma-ti per un altro orario o di sbagliare l’orario di messa online di un post.Ecco, in quei casi ricordarsi: non muore nessuno. E questo va ricordato a tutti i livelli: dall’ultimo degli stagisti al primo dei capi. Finché quello che facciamo non mette direttamente a rischio la vita di qualcuno, non è il caso di agitarsi.

Le scadenze sono l’altra grande sfida del lavorato-re freelance, che per massimizzare il suo guadagno deve lavorare più velocemente. Lungi da me racco-

44Guida pratica per diventare se stessi

mandarvi di sforare abitualmente o di abusare della pazienza dei vostri clienti e datori di lavoro, ma la maggior parte dei committenti cerca di mantenere un minimo di margine fra la consegna del lavoro e l’effettiva messa online, pubblicazione o utilizzo. Cer-

cate di rispettare le scadenze, ma non fatevi venire

un infarto. Non è quasi mai giustificato dalla realtà.

Prendersi cura di sé è un lavoro quotidiano. Soprat-tutto chi lavora da casa deve imparare a calibrare i tempi, darsi dei limiti, alzarsi spesso per sgranchir-si le gambe o anche solo per focalizzare lo sguardo altrove. Usate la Pomodoro Technique, usate un po’ quello che vi pare, ma lavorate quando state lavoran-

do, non lavorate quando non state lavorando. Il dirit-to alla disconnessione è stato ampiamente discusso negli ultimi anni come parte fondamentale del be-nessere dei lavoratori in mobilità: non fatevi proble-mi a non rispondere a comunicazioni di lavoro che arrivano in orari in cui non avete dato la reperibilità. Non essendo operatori sanitari, non avete l’obbligo di essere a disposizione 24 ore su 24, e il vostro tem-po costa: ma più ancora del vostro tempo è la vostra

salute ad avere un valore.

45Guida pratica per diventare se stessi

Lorenzo Fantoni — Ogni no

che pronunci è un regalo che fai

a te stesso

Se tutto va bene arriva un punto nella nostra vita lavorativa, ma anche non lavorativa, in cui gli sforzi che abbiamo profuso nella titanica impresa di fare bene il nostro lavoro e venire pagati per farlo inizia-no a dare i loro frutti.

A questo punto i contatti inizieranno ad aumen-

tare, così come il passaparola, che porterà a po-tenziali clienti, i quali inizieranno a bussare alla nostra porta. La prima e giusta reazione è accet-

tare ogni tipo di proposta che viene presentata. In fondo è un po’ come quando improvvisamente scopriamo che esiste l’altro sesso e magari piac-ciamo pure, ma proprio come in quei momenti è importante sapere quando dire no.

Sì, avere molti clienti e molto lavoro è bello, ma a quel punto subentra un fattore molto importan-te: la capacità di analisi non del cliente, ma di noi

stessi del nostro punto di rottura, del tempo di cui

46Guida pratica per diventare se stessi

abbiamo bisogno di riposo prima di ricominciare, di quanto abbiamo bisogno di quei momenti di de-compressione che ci permettono di tornare a lavo-rare in modo giusto.

Ecco perché è bello dire sì, ma è importante dire no.

Non devi per forza presenziare all’ennesimo evento di networking/aperitivo/conferenza, anche se pen-

si che magari ci saranno tutti e potresti trovare altri clienti o metterti in mostra. Hai già da fare.

Non sei obbligato ad accettare ogni cliente, soprat-tutto se a naso ti sembra una persona problematica o che potrebbe essere ancora peggio. Anche se sono molti soldi. In alcuni casi evitare un profondo stress

non ha prezzo.

Non devi rispondere al telefono all’ennesima richie-

sta, domanda, telefonata di lavoro se in quel mo-mento hai deciso che devi lavorare a testa bassa. Ri-chiameranno o manderanno una mail.

Non sei obbligato a controllare e commentare ogni

cinque minuti sui social per fare presenza, anche se i tuoi amici e colleghi stanno tutti dicendo la loro sul tema del momento.

Tutto ciò ovviamente arriva solo dopo che abbiamo capito e interiorizzato la differenza tra la responsabi-

47Guida pratica per diventare se stessi

lità e la scelta. Perché anche nel lavoro che ci siamo scelti e per il quale ogni giorno ringraziamo la sorte ci sono momenti che non ci piacciono ma a cui dob-biamo sottostare, ci sono bollette da pagare, conti da far quadrare, libri da comprare per i figli che ti por-teranno verso clienti che non toccheresti nemmeno con un bastone. Queste sono le nostre responsabili-tà, ma ciò di cui parliamo adesso è la scelta, ovvero capire che di fronte al problema potrebbero esserci soluzioni che si aprono dopo aver detto no. Ciò che dobbiamo allenare è la capacità di trovarle.

Ad esempio, farsi conoscere in ogni possibile ambito è fondamentale per ogni professionista, ma ci sono quelli bravi nel public speaking, quelli che vanno for-te in radio, chi si trova meglio con la scrittura. Se vi invitano in radio, ma non vi sentite a vostro agio, de-clinate gentilmente, se tutti fanno video ma non è il vostro forte, non siete obbligati.

E lo stesso vale per i clienti, se siete già pieni non

siate ingordi, piuttosto dite di no sul momento, ma lasciatevi la porta aperta, dichiarando serenamente che in quel momento non potete e non riuscireste a fare un buon lavoro. Sempre meglio fare così che accettare, produrre qualcosa di frettoloso e rischiare di perdere il contatto.

48Guida pratica per diventare se stessi

Ricordatevi, cari freelance, che per quanto gli altri

vi paghino siete voi i vostri veri datori di lavoro e il

vostro capo.

Se il lavoro non vi piace potete solo prendervela con voi stessi.Se le regole del business che tutti seguono non fan-no per voi, mollatele, se quel cliente rischia di farvi scoppiare, non soccombete all’istinto della grande abbuffata e dite di no.

Un antico detto giapponese dice che una decisione va presa nello spazio di sette respiri, io invece vi pro-pongo sette domande:

“Mi interessa veramente?”

“Va in conflitto con i miei valori, la mia personalità o lo stile che ho scelto?”

“Mi farà felice e mi divertirà?”

“È qualcosa di cui adesso ho bisogno?”

“Mi permette di raggiungere un obiettivo di cui ho bi-sogno?”

“Perché per me è importante?”

Ogni volta che vi sentite in dubbio, ricordatevele, perché la risposta potrebbe suggerirvi cosa fare,

49Guida pratica per diventare se stessi

ovviamente con un po’ di buon senso. È importan-te spingersi oltre i propri limiti ogni tanto, perché se non fai qualcosa che ti mette ansia probabilmente non stai mai crescendo, ma se vedete che non vi in-teressa, non vi fa raggiungere un obiettivo o che non fa assolutamente per voi dite di no.

Poter gestire il proprio lavoro è una grande ric-chezza e una grande responsabilità verso sé stessi, perché alla fine siamo noi che decidiamo la qualità della nostra vita, ricordandoci che c’è quasi sem-pre una scelta.

50Guida pratica per diventare se stessi

Valorizza la tua unicità

— Più ti piaci, meno sei come qualcun altro, che è ciò che ti rende unico. Walt Disney, autore

51Guida pratica per diventare se stessi

Davide Zane — Il segreto

del successo non esiste: impegnati

e ce la farai

Viviamo in un’epoca in cui le storie di persone ec-

cellenti, come sportivi, startupper e giornalisti, sono molto popolari. La domanda che mi pongo spesso è: in che modo le loro “ricette” possono essere replica-te per rendere eccellente una vita comune?

Partiamo, dunque, dal concetto stesso di successo. Entrando in libreria e osservando i volumi del gene-re “self help”, è facile notare come esistano, di fat-to, due macro categorie. Da un lato quelle opere che mostrano come l’autorealizzazione sia a portata di mano (“Come ottenere il meglio da sé e dagli altri” del motivatore Tony Robbins), dall’altro quei titoli che, al contrario, mirano a far accettare le inevitabili imperfezioni e delusioni dell’esistenza (per esem-pio “Più forte dei no: corso intensivo di fiducia in sé stessi” di Jia Jiang), quasi a comunicare che il succes-so non è per tutti.

Di cosa parliamo dunque quando parliamo di suc-

52Guida pratica per diventare se stessi

cesso? A volte, grandi personalità hanno saputo ri-conoscere velocemente un proprio talento e colti-varlo. Più spesso dimostrano di avere perseveranza e metodo. Bebe Vio, straordinaria atleta paralimpica, non ha dubbi: “A Jury Chechi dicevano che non era bravo come atleta finché non ha vinto le olimpiadi grazie alla passione”.

Quella passione che ha portato Nerio Alessandri, che assemblava macchine da palestra in un garage del-la provincia di Cesena, ad un impero come quello di Technogym.

Talento e passione, dunque. E tre elementi tattici.

Coltivare la propria visione

Grandi successi nascono da motivazioni eccellenti. Famoso l’aneddoto dell’inventore delle fibre ottiche Peter Schultz: “Tre persone erano al lavoro in un cantiere edile. Avevano il medesimo compito, ma quando fu loro chiesto quale fosse il lavoro, le rispo-ste furono diverse. «Spacco pietre» disse il primo. «Mi guadagno da vivere» rispose il secondo. «Parte-cipo alla costruzione di una cattedrale» disse il ter-zo”. Avere chiaro il senso del proprio agire e sentirne l’importanza e l’urgenza è l’elemento che più di altri ci può motivare verso un obiettivo, sia esso correre una maratona, fondare un’impresa o avere una fa-miglia felice.

53Guida pratica per diventare se stessi

Costruire un ecosistema favorevole

La retorica tutta genio e sregolatezza dei grandi arti-sti si sta, fortunatamente, avviando alla fine. Certo, scrittori come Charles Bukowski hanno fatto della passione per l’alcool il proprio marchio di fabbrica, ma la maggior parte delle persone di successo sono immerse in un contesto, costituito da rituali e au-tomatismi, che permette loro di seguire al meglio i loro progetti. “The Tools of Titans” è il libro di Tim Ferriss che ci guida alla scoperta delle abitudini quo-tidiane delle eccellenze mondiali. Qual è il loro valo-re? Non tanto il senso un po’ scaramantico di alcu-ne piccole manie, ma la loro funzione di mantenere alta la concentrazione su quello che conta davvero. “La routine, per un uomo intelligente, è un segno di ambizione” sosteneva il poeta Wystan Hugh Auden.

Sfruttare l’antifragilità

Secondo Nassim Nicholas Taleb, la resilienza è la ca-pacità di resistere agli shock rimanendo immutati, mentre l’antifragilità è la proprietà delle persone e dei sistemi di migliorare in seguito ai traumi. Il fal-limento, dunque, favorisce la personalità antifragile perché le consente di apprendere. “Ho fatto 74 collo-qui per cercare un finanziatore della mia start up di vendita di cibo e vino online e per 11 mesi non ho po-tuto pagare il mutuo. Alla fine ho incontrato Eataly, ma se non avessi creduto così tanto nella mia idea avrei mollato al ventesimo” racconta Franco Denari, CEO di Eataly Net. Insomma, ad ogni porta in faccia

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si impara qualcosa, che consente di progredire.

“Non si può avere successo in tutto” sostiene Alain DeBotton. “Sentiamo molto parlare dell’equilibrio tra vita e lavoro. Assurdo. Non puoi avere tutto. Non puoi. Qualsiasi idea di successo deve prendere atto di cosa si stia perdendo, di dove sia l’elemento di per-dita. E penso che qualsiasi saggia vita possa accetta-re che esista qualcosa in cui non si abbia successo”. E vivere tutto questo con serenità.

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Micaela Terzi — Scopri ed esalta

il tuo multipotenziale

Siete curiosi di tanti argomenti diversi, e volete fare cose differenti nella vita? Quando vi interessate di qualcosa, vi ci immergete, imparate tutto il possibi-le, diventate degli esperti, ma dopo un po’ iniziate ad annoiarvi e volete passare ad altro? Allora siete un multipotenziale.

“Un multipotenziale è una persona con molti inte-ressi e occupazioni creative”. È questa la definizione che ne dà Emilie Wapnick, nel suo TEDTalk Perché alcuni di noi non hanno un’unica vera vocazione. La Wapnick è stata musicista e cantautrice, web desi-gner, scrittrice, regista, studentessa di legge e im-prenditrice ed è anche una career coach. Quando ha notato che questo schema – appassionarsi di un ar-gomento, impararlo benissimo, annoiarsi, passare a un altro argomento – si ripeteva di continuo nel-la sua vita, ha capito che si trattava di un tratto di-stintivo che poteva essere usato a proprio vantaggio. Ha smesso di considerarlo un difetto, gli ha dato un

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nome – multipotenzialità – e lo ha trasformato in un business di successo. Oggi sul suo blog Puttylike si rivolge ai multipotenziali di tutto il mondo, e ha co-struito una comunità di persone che fanno di questa caratteristica il proprio punto di forza. Nella vita e nel lavoro.

Il multipotenziale in realtà non è una vera e propria novità. Questo tipo di personalità affonda infatti le sue radici nell’uomo del Rinascimento, periodo in cui era ritenuto ideale il fatto di essere portato per molte discipline, invece di specializzarsi in una cosa soltanto. Il merito della Wapnick è sicuramen-te quello di aver riportato alla ribalta il concetto di multipotenzialità, e di aver spiegato alle persone che non si tratta di una limitazione o di un difetto.Addirittura ha identificato i “tre super poteri dei multipotenziali”.

Capacità di sintesi

Il multipotenziale è in grado di fare una sintesi tra idee diverse: combinarne due o più per creare qual-cosa di nuovo. “L’innovazione nasce nelle intersezio-ni” dice la Wapnick. “È lì che vengono fuori nuove idee. E i multipotenziali, con tutti i loro bagagli, sono capaci di accedere a molti di questi punti di interse-zione”.

Rapido apprendimento

Quando un multipotenziale si interessa a qualcosa

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ci si impegna con tutto se stesso. Inoltre è abituato a essere un principiante, perché si avvicina sempre a discipline diverse per imparare cose nuove. Questo significa che è meno timoroso di uscire dalla propria zona di comfort.

Adattabilità

Il multipotenziale è capace di trasformarsi in qualsi-asi cosa ci sia bisogno di essere in una data situazio-ne. È apprezzato perché fa un buon lavoro, ma anco-ra di più perché può assumere diversi ruoli a seconda delle esigenze del suo cliente. Secondo la Wapnick “il mondo economico sta cambiando in maniera così veloce e imprevedibile che sono gli individui e le or-ganizzazioni che possono adattarsi per soddisfare i bisogni del mercato che stanno davvero crescendo”.

Tra i multipotenziali più famosi la Wapnick ricorda Leonardo da Vinci, Cartesio, Isaac Newton, Aristote-le, ma anche Oprah Winfrey, Steve Jobs. Come a dire – non vi preoccupate, siete in ottima compagnia!

La maggiore critica che viene fatta ai multipoten-ziali è che disperdono la propria attenzione verso mille cose diverse, senza specializzarsi. E che questo rende difficile lavorare e fare business. In realtà la Wapnick ha individuato quattro modelli di lavoro comunemente adottati dai multipontenziali, dimo-strando che è possibile fare soldi anche quando si coltivano interessi diversi e non ci si concentra su

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un’unica specializzazione. Modelli che sicuramente rispecchiano come il mondo del lavoro sia cambiato in questi anni e come si svilupperà nei prossimi. Un mondo dove avranno sempre più spazio le persone in grado di integrare e utilizzare diversi interessi nel proprio business, di rivolgersi a nicchie differenti contemporaneamente (lateral freelnacer), oppure di sviluppare le proprie passioni accanto a un’occu-pazione principale, coltivando “side-projects” che spesso si trasformano in business di successo grazie alla dedizione che i multipotenziali mettono in tutto ciò che fanno.

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Lorenzo Cavalieri — Trasforma le tue

passioni in un lavoro e non avrai rivali

Fino a qualche tempo fa nelle vostre vite esisteva una chiara demarcazione tra il lavoro e “le passioni”.

Il lavoro come luogo della serietà, della responsabili-tà, del sacrificio, “le passioni” come luogo dello sva-

go, dell’evasione, del sogno. Gli interessi extralavo-rativi o extrascolastici erano visti da genitori, mogli, mariti come un pericolo e una distrazione nel cam-

mino verso il successo negli studi o nella carriera: “Lascia perdere questo maledetto modellismo chè hai un’insufficienza in matematica”; “Lascia perdere questa fissazione per il Giappone, che c’è da manda-re avanti il negozio”.

Oggi le cose sono cambiate. Al di là della retori-ca giovanilista dei talent show, degli startupper e delle frasi motivazionali da Bacio Perugina, le pas-sioni e gli interessi personali oggi sono davvero un fattore critico di successo per l’affermazione pro-fessionale. Devono essere scoperti e coltivati, per

60Guida pratica per diventare se stessi

almeno 5 buoni motivi:

1. Il livello di competizione qualificata in tutti i set-tori professionali e a tutti i livelli. A parità di tutto il resto chi è mosso dalla passione ha una marcia in più. Fa meno fatica, è più sorridente, resta dieci mi-nuti in più al lavoro, sperimenta di più, cerca natu-ralmente il perfezionamento. La passione ci rende unici e speciali, più competitivi, più efficienti.2. La rivoluzione tecnologica e il rimpicciolimento

del mondo, se da un lato hanno spinto verso la pre-carietà mal pagata sempre più mestieri e professio-ni, dall’altro offrono splendide opportunità di tra-sformare una passione personale in lavoro. Grazie al web oggi gli appassionati di vecchi trenini elettrici o di contenitori di orologi di lusso si ritrovano sul-la piazza virtuale, si conoscono, si scambiano idee, prodotti e servizi. Così un campione di golf manca-to magari non riesce a vivere delle sue performance di giocatore, ma diventa ricco con le vecchie mazze da golf che compra online dagli appassionati dei circoli storici e rivende ai negozi di abbigliamento che vogliono dare un certo sapore alle loro vetrine. In questo contesto ogni area di attività umana che suscita passioni dà luogo ad altrettanti mercati, ad altrettante nicchie, dove qualsiasi buona idea si può tradurre facilmente in buon lavoro e prosperità. Ciò perché è molto facile conoscere ed entrare in rela-zione con tutte le persone che hanno qualcosa in co-mune con noi. Un tempo sarebbe stato impossibile.

61Guida pratica per diventare se stessi

3. L’evoluzione, la sofisticazione e la personalizza-

zione dei servizi. Pensiamo agli interessi artistici, alla musica per esempio. Un tempo un ragazzo che studiava musica da grande avrebbe guadagnato di concerti e di insegnamento. Prospettive tiepide che spingevano migliaia di professionisti “poveri” a ri-piegare sul posto in banca, sull’impiego, sulla ge-stione del negozio di famiglia. Oggi chi conosce la musica, oltre a guadagnare dai concerti e dall’inse-gnamento, può guadagnare in mille altri modi va-lorizzando il suo amore per la musica: può vendere colonne sonore originali sugli store on line, può ven-dere consulenze ai videomaker, può mixare compila-tion tematiche per i centri benessere, per le palestre, per le convention aziendali. E mille altre cose anco-ra. Più il panorama dei bisogni diventa sofisticato, più le passioni sono in grado di generare nuovi lavo-ri. Riflettiamo per esempio sulle attenzioni crescen-ti che oggi riversiamo sui nostri cagnolini. Quante opportunità di lavoro nascono per un appassionato di cani, che una volta per trasformare la sua passio-ne in lavoro era obbligato a laurearsi in veterinaria?4. Le passioni spesso ci portano a condividere mo-

menti speciali con chi condivide i nostri interessi. Momenti speciali legami speciali, spirito di appar-tenenza, solidarietà. In un mondo in cui si cambia più spesso lavoro e in cui tutti i lavori acquisiscono una più marcata connotazione imprenditoriale/commerciale le relazioni contano sempre di più. E più che l’estensione della rete conta la solidità dei

62Guida pratica per diventare se stessi

legami. Coltivare una passione quindi significa investire in rapporti umani di qualità, il migliore investimento possibile, il più duraturo. Chi è stato con te in regata in giro per il mondo non sarà mai un semplice contatto.5. Infine il network della passione comune trasfor-

ma frequentemente un interesse ludico in un pro-

getto professionale. Così chi giocava a basket e ha continuato a frequentare “l’ambiente” pur avendo smesso di giocare, si ritrova a valorizzare i suoi studi giuridici facendo il procuratore sportivo. E’ questo il percorso che spesso premia la passione dei nostri figli. Non sfonda come stilista, ma il network di co-noscenze che ha sviluppato la aiuta a inserirsi nel settore, come fotografa, come pubblicitaria, come visual merchandiser, ecc. E’ il meccanismo del “ter-ritorio adiacente”. La passione mi porta a presidiare uno spazio. Non centro il mio primo obiettivo (sti-lista, giocatore di basket), e allora spontaneamente mi sposto sullo spazio adiacente (agenzia fotografi-ca di moda, procuratore sportivo).

63Guida pratica per diventare se stessi

Mettiti alla prova

— La cosa più difficile è la decisione iniziale di agire, il resto è solo tenacia. Amelia Earheart, pilota

64Guida pratica per diventare se stessi

Luca D'Elia — Tira fuori il tuo coraggio

da eroe

Vi propongo un semplice gioco. Pensate alla parola “paura”: quanti sinonimi conoscete? Quali vi ven-gono in mente in maniera istantanea? Probabil-mente penserete a termini come ansia, spavento, terrore, angoscia, timore, fifa, panico, sgomento, tremarella. Pensate ora alla parola “coraggio”. Ri-uscite a indicarne all’istante dei sinonimi? Con tutta probabilità, vi occorrerebbe un pochino di tempo in più. Per poi pensare a termini come temerarietà, ar-

dimento, audacia.

Cosa possiamo dedurre da questo piccolo esperi-mento?Sostanzialmente due cose:

1. La prima è che conosciamo diversi sinonimi di “paura”, in numero superiore rispetto a quanti ne conosciamo della parola “coraggio”. Probabilmente, nella nostra vita abbiamo familiarizzato molto di

più con la paura che con il coraggio, tanto è vero

65Guida pratica per diventare se stessi

che abbiamo a disposizione differenti modalità e sfumature per definirla e nominarla.2. La seconda è che i sinonimi di “paura” fanno

parte del nostro linguaggio quotidiano, mentre i sinonimi di “coraggio” ci appaiono ormai desueti, appartenenti ad epoche lontane, sicuramente non propriamente attuali. Ardimento e temerarietà sono caratteristiche di condottieri, eroi e leader del passa-to. O per lo meno siamo soliti attribuire tali qualità ai grandi personaggi che la storia ci ha tramandato.Eppure, l’epoca incerta e liquida che stiamo vivendo reclama a gran voce la necessità di esercitare il co-

raggio. Occorre coraggio nelle piccole o grandi scel-te di ogni giorno, in ambito professionale così come nella vita privata. In diverse aziende per le quali la-voro come consulente mi imbatto in manager che si lamentano di quanto poco i loro collaboratori si-ano propensi ad assumersi maggiori responsabilità, di come preferiscano mantenere un profilo basso, evitando di esporsi troppo, temendo conseguenze negative per la propria situazione lavorativa. D’al-tro canto, possiamo chiederci: quanto realmente fa un’organizzazione per stimolare comportamenti

orientati al coraggio nei propri dipendenti?

Essere allineati a un’idea dominante è senza dubbio più semplice che prendere una propria posizione originale e magari contraria a un pensiero comune e diffuso. Certamente occorre coraggio per espri-

mere le proprie idee, ma è necessario anche del co-

66Guida pratica per diventare se stessi

raggio da parte di un capo per favorire il dissenso, l’espressione di punti di vista differenti e l’emergere di idee nuove.

Aristotele, nell’Etica Nicomachea, indicava nel co-

raggio la prima delle virtù umane: l’atteggiamento improntato al coraggio rappresenta una via inter-media tra una vile passività e un’ira incontrollata. Se il non prendere una decisione, piuttosto che l’evitare di affrontare una discussione spinosa, oppure il sot-trarsi dal proporre una nuova soluzione rappresen-tano situazioni in cui si manifesta una chiara assen-za di coraggio, un’eccessiva determinazione nel voler raggiungere ad ogni costo i propri obiettivi può sfo-ciare in un comportamento aggressivo. Un eccesso di coraggio può destare preoccupazione e scarsa

fiducia nelle persone attorno a noi, perché verrebbe a mancare la giusta dose di sensibilità nei confron-

ti degli altri, delle loro esigenze e delle loro opinioni. Seguendo il pensiero aristotelico, il coraggio rap-presenterebbe un comportamento di equilibrio tra la difesa delle nostre istanze e il riconoscimento di quelle altrui. Come ebbe a dire Winston Churchill, “il coraggio è ciò che ti fa alzare in piedi a parlare, ma il coraggio è anche ciò che ti fa rimanere seduto ad ascoltare”.

Spesso è la paura ad annientare il coraggio. D’altra parte, il coraggio non si caratterizza per l’assenza di paura, quanto piuttosto attraverso una sua effi-

67Guida pratica per diventare se stessi

cace gestione. La paura è un normale meccanismo che ci allerta ogni volta che ci troviamo di fronte ad un potenziale pericolo. Avere paura, in genera-le, è del tutto naturale. Il problema, quindi, non sta nella paura, quanto nell’incapacità di gestirla correttamente, così da sfruttarne il potenziale po-sitivo. Molto spesso la paura è qualcosa di imma-

ginario: cresce e si sviluppa nella nostra mente, alimentando visioni distorte della realtà che, nel tempo, hanno il potere di frenarci nel nostro pro-cesso di crescita. Il coraggio risiede nell’affronta-

re la paura, nel trovare la forza di agire e liberarci

dalla sua azione paralizzante. Come Goethe ricor-dava, “Un giorno la paura bussò alla porta, il co-raggio andò ad aprire e non trovò nessuno”.

Quale sarà la prossima occasione per mettere in campo il nostro coraggio? Possiamo pensare a del-le situazioni semplici, quotidiane, talvolta nem-meno particolarmente significative, in cui tuttavia abbiamo la possibilità di sviluppare ed irrobustire il nostro coraggio, alimentando al tempo stesso una maggiore fiducia in noi stessi. Eccone alcune:

1. Coraggio di ammettere un errore;2. Coraggio di dire “no”;3. Coraggio di chiedere scusa;4. Coraggio di avanzare una critica;5. Coraggio di dissentire da un’opinione comune;6. Coraggio di esprimere una propria posizione in

68Guida pratica per diventare se stessi

una discussione;7. Coraggio di prendere una decisione importante;8. Coraggio di congratularsi con un avversario;9. Coraggio di avviare un nuovo progetto impren-ditoriale;10. Coraggio di abbandonare una situazione di vita

“comoda” ma limitante.Sono solo alcuni esempi, situazioni in cui spesso la

tensione dialettica fra paura e coraggio ci mette

alla prova. Gestire la paura ed allenare il coraggio, nelle piccole o grandi sfide di ogni giorno, rappre-senta una via importante verso una progressiva e costante crescita personale.

69Guida pratica per diventare se stessi

Luciano Canova — Datti da fare

e costruisci il tuo capolavoro

Quello lì è un fottuto genio. È un’app geniale! “Sei un genio!”

Quante volte, nella vita di tutti i giorni e con la leg-gerezza di un commento o di un post su Facebook, usiamo naturalmente la categoria del genio per classificare il successo di una persona, che si tratti di un’idea di impresa, di un successo sportivo o anche solo di una battuta esilarante?

Ho sempre una sorta di timore a usare la parola

genio.

Personalmente, mi sono imposto una regola bianco – nero piuttosto feroce, per cui “non si può dire ge-nio se la persona non è morta”. Come a dire che, fino a una settimana fa, era discutibilmente fuori dalla mia classifica Stephen Hawking, così come non vi compare e spero non vi comparirà a lungo Elon Musk.

70Guida pratica per diventare se stessi

Il fatto è che preferisco andare per difetto, proprio per questa specie di soggezione.

In generale, il fatto di classificare una persona come

geniale è legata a una questione di grande interes-se, non solo nella letteratura scientifica ma anche, e soprattutto, nel mondo del business: quanto conta, insomma, il talento nei risultati che una persona ot-tiene, e quanto, invece, la fatica per ottenerli?

In un certo senso, il genio ci rilassa.

Il che significa, spiegando un po’ meglio, che la ten-denza degli esseri umani a raccontarsi una storia quando provano a mettere in relazione due eventi è in atto anche in questo caso.

Ci piace riconoscere il genio perché ci fa comodo.

È il fascino irresistibile del mistero e di una specie di magia laica che, di fronte all’eccellenza, fa scattare in noi la spiegazione: “Eh, ma quello è un talento na-turale! Quello lì è un genio”.

Nel bellissimo libro Grit di Angela Duckworth, viene raccontato un episodio interessante.

Rowdy Gaines, che è stato un grande nuotatore sta-tunitense, un giorno si trovò ad allenarsi in piscina con Mark Spitz che, per chi non lo sapesse, è stato,

71Guida pratica per diventare se stessi

prima di Micheal Phelps, una leggenda del nuoto, capace di vincere in un’unica olimpiade (Monaco di Baviera,1972) 7 medaglie d’oro. I compagni di squa-dra di Gaines, che erano anch’essi professionisti, si misero tutti a guardare Spitz nuotare e molti di loro rimasero incantati dallo stile dell’ex campione, anche a distanza di anni, tanto da chiosare con un: “Mio Dio, ma è un pesce”. Il fatto è che pure persone con una comprovata competenza (nuotatori profes-sionisti) trovavano agevole riconoscere l’unicità di Spitz anche rispetto a un recordman mondiale dei 100 m stile libero, quale era Gaines.

E senza, in realtà, un’evidenza empirica precisa se

non la consapevolezza di avere di fronte a sé “una

leggenda” comprovata dai risultati già ottenuti.

Pure Nietzsche ne ha parlato, a proposito del ruolo

dell’artista. Secondo il filosofo tedesco, noi dell’arte e del genio vediamo il risultato finale, mentre non ci concentriamo su come si diventi artista o genio. È come mettersi a tutti i costi in attesa che si schiuda un fiore e doverne semplicemente ammirare il risul-tato finale.

Perché ci piace rilassarci nel genio?

Perché in qualche modo ci deresponsabilizza ri-

spetto alle nostre possibilità e rispetto all’ipotesi scomoda di un confronto.

72Guida pratica per diventare se stessi

Mio Dio, la Cappella Sistina è sovrumana nella sua unicità e non ha neppure senso mettersi a pensa-re come sarebbe possibile partorire un capolavoro simile.

La Duckworth, invece, e tutto un filone molto pro-mettente della psicologia, si è messa proprio a stu-diare e a formulare, in qualche modo, una teoria del successo, arrivando, in estrema sintesi, a formulare una relazione fatta di due sotto equazioni:

1. Talento x Fatica e desiderio di lavorare (effort in

inglese) = skill (competenza)

2. Skill x Fatica e desiderio di lavorare = raggiungi-

mento del risultato (achievement)

Con una rudimentale espressione analitica (ma ci interessa poco la forma funzionale), la questione chiave è una: la fatica (la perseveranza, comincia-mo a usare la parola) entrano due volte nel proces-so di produzione del successo, contro una sola del successo.

E l’evidenza empirica attuale mostra in modo ab-bastanza inequivocabile un risultato che conferma questa teoria: a contare, più della capacità di impa-rare rapidamente tipica di chi ha talento, che pure è importante, è l’ostinazione a provare e riprovare.

Negli anni ’40 del Novecento è stato realizzato un

73Guida pratica per diventare se stessi

esperimento diventato celebre perché è stato il primo a raccogliere dati su uno stesso campione di persone lungo diversi decenni: il Treadmill test (il test del tapis roulant). Si facevano correre le persone su un tappeto per 5 minuti (livello “Massima fatica”) e si misurava la capacità di resistenza, ovviamente controllando per le condizioni di salute psico-fisica iniziali.

Lo studio mostrò come la durata della resistenza fos-se il miglior predittore possibile del futuro successo dei soggetti dell’esperimento in ambito lavorativo, finanziario e sociale.

Come a dire: testa bassa e lavoro costante. Keep

pushing, my friend.

È l’ostinazione che fa il genio che, a conti fatti, ri-sulta come la somma maniacale di micro-gesti di assoluta perfezione ma riferiti, ciascuno, ad attività che ciascuno di noi potrebbe benissimo mettere in pratica.

L’algoritmo del genio, insomma, è fatto da una se-quenza di istruzioni in cui ciascuno di noi può ci-mentarsi e dove le doti naturali contano, sì, ma conta molto di più la voglia di faticare e di non arrendersi.

D’altro canto, in questo finale vintage, mi piace ri-cordare il tenente Colombo che, in un illuminante episodio della fortunata serie degli anni ’70, Prova

74Guida pratica per diventare se stessi

d’intelligenza, venendosi a trovare invischiato in un caso d’omicidio che implicava un club di geni, rac-contava proprio la genesi della sua fortunata carrie-ra: “Non ho niente di speciale rispetto agli altri. Io, semplicemente, mi fermavo un’ora di più al corso per allievi, leggevo un altro libro, cercavo di ridurre il gap con gli altri, studiando e studiando ancora”.

Errare è umano, ma perseverare è geniale.

75Guida pratica per diventare se stessi

Lorenzo Paoli — Smetti di pianificare,

comincia a fare

Quante volte hai pianificato un cambio di attività, di vita, di lavoro, di città? Quante volte nel tragitto dal lavoro a casa, hai preso una decisione, oppure hai cominciato a pensare a una svolta, un cambiamen-to significativo per te importante? Appena abbiamo tempo – le vacanze ne sono un esempio – comincia-mo a progettare un nuovo inizio. L’anno nuovo è il momento in cui prendiamo tante decisioni – che ci fanno sentire bene, ma che poi non cambiano nulla.

Passiamo moltissimo tempo a pianificare – e la ra-gione per la quale pochi riescono a raggiungere i loro obiettivi di vita, è che passiamo pochissimo tempo

ad agire.

L’azione ha in sé qualcosa di magico: ci fa sentire la profondità della vita, la sua ricchezza e le opportuni-tà e ci fa confrontare con le nostre sfide e gli osta-

coli che si frappongono tra noi e i nostri traguardi.

76Guida pratica per diventare se stessi

L’azione di solito ci mostra che le nostre paure erano infondate e ci permette di guardare la realtà da al-

tri punti di vista, trovando soluzioni inaspettate. Ci permette soprattutto di confrontarci con la realtà e non con una nostra fantasia, con opinioni infondate o visioni strampalate. L’azione ci risveglia.

Noi siamo le nostre azioni, non i nostri pensieri: siamo quello che facciamo ogni giorno nel mondo, non quello che abbiamo intenzione di fare.

L’inizio ha un grande potere nelle nostre decisioni, perché le basiamo sulla realtà e non fantasie o infor-mazioni spesso quantomeno incomplete o viziate dalla nostra visione del mondo.

1. Inizia subito, non sarai mai pronto. L’illusione dell’azione “completa, pronta e senza rischi” è quella che ferma molti di noi. La teoria dei piani, dei Busi-ness Plan e dei propositi però non sopravvive alla re-altà della vita. Un inizio aumenta la motivazione per i primi, anche se piccoli, progressi, e diluisce le paure, perché ridimensiona i pericoli e i problemi, che spesso trovano soluzioni invisibili nei piani. Forse è proprio questo il più grande vantaggio dell’inizio: dissolve e paure e crea strategie pratiche e praticabili, che rende il piano finalmente reale. Non vivi più in un mondo di fantasia fatto di sogni ad occhi aperti e paure im-maginarie – ti confronti con la realtà e con te stesso e metti in moto energie che prima erano sopite.

77Guida pratica per diventare se stessi

2. Impara a ricominciare. Un altro motivo per il quale non iniziamo a perseguire obiettivi importan-ti è che non consideriamo il fallimento come un mo-mento di apprendimento. Oltre ad iniziare, devi im-parare ad accettare di ricominciare: di ripartire da due passi prima, perché hai sbagliato, e allo stesso tempo di chiederti: “cosa ho imparato da questo er-rore, e come posso modificare la mia strategia per andare avanti?” Bisogna ricordarsi che, come dice-va il buon Troisi, non si riparte mai da zero quan-do si è già compiuta un’azione: si parte da grandi apprendimenti, da esperienze, da esperimenti e nuove prospettive. Da questo punto di vista, il suc-cesso, in qualsiasi viaggio della nostra vita, è solo una questione di tempo. Oggi purtroppo sembria-mo sempre meno resilienti, allenati dalle soluzioni pronte… che però non portano lontano. Impara a gestire le cadute come nuovi, emozionanti inizi da cui comunque hai appreso molto.3. Dai fiducia al tuo inizio. L’inizio non è la soluzione e non è la panacea. Il 95% delle persone fallisce la die-ta perché la considera come la soluzione da seguire per un tempo definito, quando invece è uno stile di vita e deve essere pianificata come tale. L’inizio deve essere preceduto dalla Visione: “dove voglio essere alla fine del viaggio?” E soprattutto “chi vo-glio essere, una volta arrivato?” Questo ci permette di sapere perché stiamo iniziando, e qual è la dire-zione da prendere.

78Guida pratica per diventare se stessi

4. Smetti di raccontare il perché non puoi iniziare. Gli inizi non avvengono mai perché siamo intrap-polati nella storia del “perché” non stiamo agendo. “Non ho i soldi,” “non mi risponderà mai,” “sono troppo vecchio”, “in Italia non si può fare” sono al-cune delle storie che giustificano il nostro non agire. Sono le storie che uccidono i nostri sogni e incanala-no le nostre energie verso il mantenimento di queste storie. Se ti lamenti, perdi tantissima energia vitale e sprechi giorni, mesi, anni della tua vita a raccon-tare una storia sul perché non fai, mentre altri ogni giorno la stanno contraddicendo con le loro azioni.5. Scegli i tuoi inizi. Ogni cosa che inizi nella tua vita toglie tempo, energia ed attenzione. Scegli con cura cosa iniziare, come un artigiano sceglie con cura le pietre preziose da mettere su un anello. “Non ho tem-po” è la scusa di molti, che deriva da un’incapacità di scegliere cosa iniziare e su cosa concentrare le pro-prie energie. Scegli con cura cosa vuoi iniziare nella tua vita e cosa vuoi creare ed elimina le distrazioni.Ho vissuto anche io la paura di iniziare e per molto tempo non ho iniziato percorsi di vita che poi invece mi hanno portato grandi soddisfazioni e felicità. Du-bitare degli inizi è facile: d’altronde, sono rischiosi e non sai se arriverai dove vuoi. Anzi, non vedi nean-che tutta la strada e questo fa paura.

Un giorno però ti pentirai di quello che non hai ini-

ziato, e non di quello che hai fatto, magari sbaglian-do. Perché un errore, come dicevamo, è un trampo-

79Guida pratica per diventare se stessi

lino di lancio verso nuovi successi e non una porta che si chiude per sempre.

Se non avessi baciato quel ragazzo, oggi non avresti tuo marito. Se non avessi lanciato la tua attività, oggi non saresti un imprenditore. Se non avessi compra-to quel piccolo appartamento, oggi non avresti una casa più grande.

A volte la vita è molto semplice:

a volte bisogna semplicemente iniziare.

80Guida pratica per diventare se stessi

Cambia

— Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile. San Francesco D’Assisi, monaco

81Guida pratica per diventare se stessi

Oscar Di Montigny — Parti da te

stesso per rendere il mondo

un posto migliore

Quest’estate sono stato colpito dalle parole di una canzone pop che passava alla radio: “Codardo chi non c’era / A scrivere sul diario da che parte sta la verità / Ma in piazza scendo solo con il cane”. Si tratta di alcuni versi della canzone Non me ne frega niente della gio-vane cantautrice Levante, anche giudice a X Factor. Nel mezzo di una canzone apparentemente spen-sierata quelle frasi mi hanno colpito perché profon-damente vere: quante volte ci capita di assistere a persone che s’indignano, protestano, criticano ma solo se protetti dalla tranquillità di una tastiera e di uno schermo? “Ho sempre poco tempo per lottare sen-za il modem”, continua il brano.

Questo mi ha fatto molto riflettere. Ovvio che ca-pita anche a me di esprimere, qui e sui miei profili personali, posizioni più o meno dure rispetto alle

cose che accadono nel mondo. Eppure mi sembra che l’atteggiamento di alcuni sia ambivalente: fin-ché sono nell’ambiente “social” si esprimono, fan-

82Guida pratica per diventare se stessi

no finta di essere interessati a ciò che accade nel

mondo, si lanciano contro le ingiustizie di questa società; ma a questa furia digitale non corrisponde quasi mai una corrispettiva azione concreta. Le ma-nifestazioni sono vuote, le proteste vanno a vuoto, il mondo continua ad andare per la sua strada.

Non c’è niente di più contraddittorio, secondo me. Le

idee – e (quasi) tutte le idee sono legittime, qualsi-asi sia il loro modo di ritagliare o catalogare la realtà – devono essere sempre il motore di qualcosa di più grande, di qualcosa che non può rimanere nell’am-bito della polemica astratta. Agiamo, contribuiamo, sforziamoci di cambiare le cose. Ma facciamo sul se-rio, intervenendo nella realtà senza intermediazio-ni. Quell’abusatissima e spesso banalizzata frase del Mahatma Gandhi, “Sii il cambiamento che vuoi ve-

dere nel mondo”, è così popolare solo perché è pro-fondamente vera. Se vogliamo che le cose cambino ci dobbiamo spendere in prima persona.

Nel mio libro Il tempo dei nuovi eroi parlo del “seme della possibilità”, ovvero “quella possibilità che ulti-mamente sta venendo invece rimossa dalle nostre teste e dai nostri cuori da un sistema che ci vorrebbe sempre più passivi e deresponsabilizzati rispetto a tutto quan-to sta accadendo attorno a noi”. Eccola un’altra parola chiave: la responsabilità. Quando si parla dei cosid-detti “leoni da tastiera” che insultano e fanno i bulli digitali una delle conclusioni a cui si arriva è: posso-

83Guida pratica per diventare se stessi

no dire tutto quello che vogliono sul web tanto nes-suno chiederà mai conto delle loro responsabilità.Invece io vorrei ribaltare questa concezione: qualsia-si cosa venga decantata sui social media deve essere riferita alla persona che la esprime, alle sue azioni, alla volontà di trasformare le idee in realtà. Basta con le deleghe, il menefreghismo e la passività: dia-

moci da fare, smettiamola di nasconderci dietro

alle belle opinioni che spargiamo su internet. “Ben fatto è meglio che ben detto”, diceva Benjamin Franklin che, fra invenzione del parafulmine e l’im-pegno politico nella Rivoluzione americana, di cose ne fece eccome.

Certo, capisco anche l’obiezione di molti che dico-no: ma cosa vuoi che faccia io, persona semplice e senza un seguito, a imprimere la mia volontà nel mondo? Anche qua mi sento di dire: usciamo dalla nostra stanza e dalla nostra solitudine, andiamo là fuori nel mondo a cercare persone che la pensano come noi. Ne troveremo sempre qualcuna, se non molte. E insieme compiremo il cambiamento, fare-

mo evolvere le cose. Tengo sempre ben in mente questa frase di San Francesco: “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’im-provviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”. Basta il seme della possibilità, appunto, per realizzare cose prima impensabili.

84Guida pratica per diventare se stessi

Anna Fata — Liberati della negatività

per tirare fuori il te migliore

La mente è fatta per pensare. La mente produce

di continuo pensieri. Si calcola che i pensieri pro-dotti nell’arco di una giornata siano circa 60.000. La mente in se stessa non è un problema per il nostro benessere psicofisico, potrebbe diventarlo nella mi-sura in cui la lasciamo vagare liberamente finendo molto spesso con l’alimentare pensieri ed emozioni per lo più negative.

I pensieri e le emozioni positive, infatti, tendono ad essere alimentati in modo più spontaneo perché l’istinto atavico di sopravvivenza ci ha lasciato dei re-taggi tali per cui una parte di noi è costantemente in allarme al fine di identificare possibili minacce per la nostra vita. Per coltivare emozioni e pensieri posi-tivi, invece, occorre uno sforzo e un impegno mag-

giori, almeno inizialmente. In questo processo non si tratta di ignorare pensieri ed emozioni negative o non attribuire loro una reale importanza e utilità, ma saper discriminare cosa è bene coltivare inte-

85Guida pratica per diventare se stessi

riormente e cosa, forse, è meglio lasciare andare.

Spesso ci complichiamo la vita immaginando cata-

strofi future che non hanno alcuna ragione d’essere. A volte distruggiamo la nostra autostima a partire da un piccolissimo insuccesso. In alternativa possia-mo scegliere di evitare di alimentare questa rumina-zione negativa e coltivare pensieri, emozioni, e di ri-flesso anche azioni più costruttive, creative, positive per noi e per chi ci sta intorno.

Secondo lo psicologo Guy Winch è possibile utiliz-zare 5 strategie pratiche per ridurre la nostra ten-

denza a rimuginare negativamente:

1. Fare shopping con la mente

Ci si può immaginare in un negozio, ad esempio dal fruttivendolo, in una boutique di alta moda, in una libreria, o altro negozio a sé gradito, e visualizzare con cura ogni oggetto che è presente in esso. E’ un esercizio che mira a disciplinare la mente. Si può ef-fettuare anche solo per un minuto ogni volta in cui ci si scopre a ruminare mentalmente o in qualsia-si altra occasione in cui lo si desidera. Col tempo la mente si abitua ad essere più controllata, possono migliorare le abilità decisioni e il tono dell’umore.

2. Frequentare persone positive

Secondo una ricerca effettuata presso l’Università di Notre Dame è facile essere vittime della ruminazione

86Guida pratica per diventare se stessi

mentale se anche le persone che stanno intorno, nel caso della ricerca erano i compagni di stanza al colle-ge, lo fanno. La ruminazione mentale spesso implica anche preoccupazioni, pensieri ad alta voce, malu-mori che inevitabilmente si ripercuotono anche su coloro che stanno intorno. Evitare le persone nega-tive o almeno essere più consapevoli di quali conse-guenze possa comportare la loro frequentazione può essere un utile modo per evitare di rimuginare.

3. Gettarli via fisicamente

Per liberarsi dai pensieri inutili, fastidiosi, distrut-tivi, secondo una ricerca della Ohio State University può essere utile scriverli su un foglio, farli a pezzi, o gettarli direttamente nel cestino. Può essere altret-tanto utile scriverli su un documento al computer e poi cancellare il documento. Si è visto che coloro che scrivono i loro pensieri negativi legati al proprio cor-po e gettano via lo scritto hanno un’immagine di sé più positiva di coloro che non lo fanno.

4. Bere una tazza di the

I pensieri negativi e le relative emozioni possono presentarsi per diversi motivi. Quando nello speci-fico questi sono associati al senso di solitudine una ricerca condotta presso la Yale University ha eviden-ziato che tenere in mano qualcosa di caldo può aiu-tare a ridurre queste emozioni e pensieri negativi. Tra l’altro si è rilevato anche che le persone che sof-frono di solitudine tendono a fare delle docce calde

87Guida pratica per diventare se stessi

di maggiore durata. Sostituire il calore emotivo con quello fisico aiuta a placare la mente e l’animo, an-che se questo ovviamente non vuole essere un modo per rimpiazzare le relazioni umane.

5. Re-incorniciare la situazione

Quando la rimuginazione mentale è molto forte, ripetuta, insistente, distrarsi con altri espedienti, per quanto validi, non è sempre facile. Reinterpre-tare la situazione, ridimensionarne la portata, può essere un buon modo per alleggerirsi interiormen-te. Ad esempio: se perdiamo la coincidenza per un viaggio in treno, invece di focalizzarsi su quello che stiamo perdendo potrebbe essere più utile pensare a quello che stiamo guadagnando in termini di op-portunità, ad esempio svolgere con calma del lavoro, fare qualche telefonata senza interferenze né rumo-ri, o semplicemente riposarsi. Nel momento in cui si vede una situazione in modo differente può risultare più facile effettuare altri esercizi per sviluppare atti-vamente pensieri ed emozioni positive, oppure ma-gari più semplicemente svuotare completamente la mente tramite la Meditazione.

88Guida pratica per diventare se stessi

Silvio Gulizia — Sfrutta il meccanismo

delle abitudini per diventare migliore

È passato un mese e la maggior parte dei buoni pro-positi per l’anno nuovo, per alcuni, sono già un ri-cordo. Questo accade perché per cambiare le cose non basta assumere la decisione di farlo, ma occorre compiere azioni concrete che quasi mai sono defi-nite dai buoni propositi. Il fatto è che la forza di vo-

lontà degrada con il tempo, e quanto più dobbiamo stare lì a pensarci, a come mettere in pratica questi buoni propositi che ci cambieranno la vita, tanto più ci dimentichiamo di farlo e non cambiamo più nulla. In definitiva, i buoni propositi non servono a nulla. Quello di cui abbiamo bisogno, sono nuovi sistemi. Nuovi schemi per raggiungere gli obiettivi che fis-siamo. Abitudini che ci portino a compiere le azioni previste dai nostri schemi.

Buoni propositi vs nuovi sistemi

Che differenza c’è fra buoni propositi e nuovi siste-mi? Un esempio renderà tutto più semplice. Innan-

89Guida pratica per diventare se stessi

zitutto, cos’è un buon proposito? Proviamo a defi-nirlo come qualcosa che vogliamo cambiare e che da domani non sia più come prima. Un buon proposito dovrebbe essere in definitiva un obiettivo, ma non sempre i buoni propositi sono definiti come obietti-vi. Un buon proposito, per esempio, non può essere “dimagrire”, ma deve essere “perdere 15 chili entro fine giugno”. Un obiettivo infatti si definisce attra-verso un passaggio da una condizione A a una condi-zione B in un determinato lasso di tempo.

Un sistema invece è il complesso delle azioni ne-

cessarie per passare da A a B entro il tempo defi-nito. Nel caso specifico, ingerire ogni giorno l’esatto numero di calorie necessarie a far calare il nostro peso del tot definito entro la data prefissata. Un’a-zione è qualcosa di concreto, qualcosa che dobbiamo fare, non evitare. Un’azione non è “non mangiare dolci fra un pasto e l’altro”, ma “mangiare frutta a merenda”. Il risultato è lo stesso, ma non fare una cosa non è una cosa che possiamo fare.Creare un sistema significa definire dei processi da eseguire. E il modo per eseguirli è trasformare le azio-

ni in abitudini. A quel punto, possiamo anche dimen-ticarci degli obiettivi, e li raggiungeremo comunque.

Perché i buoni propositi sono negativi

Quando formuliamo dei buoni propositi, quello che facciamo non è altro che definire degli obiettivi. E

90Guida pratica per diventare se stessi

quando facciamo questo, diciamo a noi stessi che non siamo felici dello status quo in cui ci troviamo, e che abbiamo l’esigenza di agire per cambiare le cose. E così, non appena l’euforia generata dall’idea del cambiamento lascia spazio alle fatiche e al rischio che esso comporta, ecco che ci ritroviamo in uno stato di negatività: così come stanno, le cose non vanno per niente bene, e ne siamo consapevoli.

Quando invece attiviamo delle abitudini, il nostro cervello non ci fa più caso, a quello che stiamo facen-do. Viaggia per così dire con il pilota automatico. E tutt’al più quello che si ritrova a pensare è “sto facen-do delle attività che mi portano dove voglio andare”. Chiara la differenza?

Allo stesso modo, avere degli obiettivi non aiuta a tenere traccia dei progressi che facciamo, che è una cosa fondamentale per prendere il ritmo e rea-lizzare i nostri progetti. All’interno di un sistema, un processo invece definisce le attività da compiere per avanzare dal punto A al punto A1, verso il punto B. Ogni processo completato genera risultati, e que-sti risultati ci gratificano e ci spronano a progredire verso il completamente della nostra missione.

Dai processi alle abitudini

Creare un sistema per raggiungere i propri obiettivi, come per esempio scrivere 500 parole al giorno per

91Guida pratica per diventare se stessi

finire di scrivere un libro in un mese, non ci porta direttamente all’azione. I processi infatti non produ-cono azioni, ma si limitano a definirle. Per arrivar-ci, è necessario praticare, e la pratica migliore per mantenere attivo un sistema è stabilire delle abitu-

dini, delle pratiche da seguire senza starci più a pen-sare. Per esempio, quella di scrivere appena svegli, prima ancora di fare colazione.

A differenza di un processo, un’abitudine genera

azione sistematicamente. Essa è strutturata con un innesco, un processo automatico e un premio. L’innesco è qualcosa che ci mette in moto con il suo semplice accadere, come lavarci i denti dopo aver fatto colazione. Il processo a quel punto viene ese-guito in maniera automatica (nessuno ha bisogno di concentrarsi sulla sequenza di denti da pulire o sul-la direzione in cui muovere lo spazzolino). E il pre-mio finale ci gratifica per le azioni compiute (avete presente quel sapore di fresco che rimane in bocca dopo aver lavato i denti? Fu un’invenzione di Clau-de C. Hopkins per vendere più dentifrici dell’azienda per cui lavorava, come racconta il giornalista Char-les Duhigg in La dittatura delle abitudini). Quello che hanno in comune abitudini e sistemi è che si ripeto-

no nel tempo. E con il loro ripetersi ci guidano alla realizzazione di quei propositi formulati alla vigilia dell’anno nuovo.

92Guida pratica per diventare se stessi

Una questione di volontà

Nel libro How to Fail at Almost Everything and Still Win Big, Scott Adams, l’autore di Dilbert, una delle strisce di fumetti più famose al mondo, sottolinea come la differenza fra obiettivi e sistemi stia tutta nel consumo della forza di volontà. Essendo questa limitata, e consumandosi con l’uso, lo sforzo neces-sario per andare in palestra tre volte alla settimana prima o poi la esaurisce, mentre l’abitudine di tener-si in esercizio quotidianamente e ricercare il modo migliore per prendersi cura del proprio corpo prima o poi rende la forza di volontà non più necessaria per-ché fare esercizio diventa più semplice che non farlo.

In definitiva, concentrarsi su abitudini e sistemi

aiuta a realizzare i buoni propositi senza più biso-gno di starci a pensare, e senza logorare la nostra già scarsa forza di volontà. Così, anche quando arriva febbraio e ce ne siamo dimenticati, le azioni neces-sarie per cambiare lo status quo in cui ci troviamo a disagio sono già radicate nella nostra routine quo-tidiana. E questo, oltre a metterci in controllo del-la situazione, ci mette decisamente di buon umore. Dunque, mettiamo da parte i buoni propositi una volta per tutte e iniziamo a definire nuovi sistemi.

93Guida pratica per diventare se stessi

Diventa ciò che sei

— La vostra visione apparirà più chiara soltanto quando guarderete nel vostro cuore. Chi guarda l’esterno, sogna. Chi guarda all’interno si sveglia. Carl Gustav Jung

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Matteo Plevano — Ascolta te stesso

e libera la tua energia

Cosa genera il movimento? Cosa muove l’essere umano, cosa lo spinge ad agire, prendere iniziativa, ricercare, esprimere la propria energia? Sicuramen-te la finalità, l’obiettivo, la visione di sé proiettata nel futuro o il desiderio di un contesto differente attorno (suggerisco a tal proposito la lettura di “Fine – Rea-lizza la tua visione” di Daniele Salomoni). La visione, la finalità, l’obiettivo sono calamite che ci attirano, sono sirene che con il proprio canto ci inducono agi-tazione, inquietudine, desiderio di azione. Tale canto ci risveglia una forza atavica, probabilmente la forza stessa che ci ha consentito di essere qui oggi, vivi: la pulsione di vita. È naturale, ne siamo pervasi, è con-naturata con la nostra stessa essenza, la abbiamo in-cisa nel nostro DNA, è il carburante che alimenta il motore delle nostre passioni.

Infatti è la domanda iniziale a essere sbagliata. Il movimento non si genera; il movimento già c’è, è connaturato in noi. L’essere umano per natura è in

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movimento, seguendo quella pulsione di vita che gli ha consentito di nascere, crescere, esplorare il mondo e imparare. Ma allora come mai le perso-ne non sono costantemente in movimento, piene di vita nel ricercare la propria felicità? Perché il libero fluire della nostra energia vitale è costan-temente minato da blocchi, ostacoli autogenerati che spesso ci portano a rallentare fino all’immobi-lismo. Sono le persone immobili, incastrate nel-le proprie paure, ansie, piccole e misere certezze, quelle più insoddisfatte e cupe.

Il movimento è connaturato a ogni essere umano,

ma è necessario non ostacolarne il libero fluire.

I blocchi sono ovunque, si annidano subdoli nei percorsi di vita, si instillano timidamente dopo una frase detta, una delusione, un rifiuto e piano piano diventano grandi come macigni, si cingono alla nostra caviglia e correre diventa impossibile. Spesso la nostra forza vitale è talmente grande che li rompe, superandoli e lasciandone solo un pal-lido ricordo; ma purtroppo molti rimangono con noi, ci conviviamo e li teniamo come compagni di vita, accettando di non andare oltre, di non osare mai l’inosabile. Eppure basterebbe così poco, ba-sterebbe sapere che i blocchi si possono superare, che in realtà sono frutto di nostre convinzioni er-rate, che ci limitano nel perseguire i nostri desi-deri. Una parola detta può generare un blocco, ma

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allo stesso modo può consentire di superarlo; ba-sta una parola, un esempio di una persona vicina a noi, un consiglio di un amico e improvvisamente si accende la scintilla in noi, vediamo la strada che pensavamo chiusa.

Per correre non serve la spinta, basta solo iniziare e, uno a uno, a togliere i blocchi e gli ostacoli che si frappongono tra noi e il nostro obiettivo, qua-lunque esso sia. In psicologia questo concetto è ben conosciuto, si chiama ‘autoefficacia’ e lavora-re su questo tema è il modo migliore per consen-tire alle persone di agire, muoversi, esprimere la propria energia vitale, realizzare i propri obietti-vi. C’è davvero tanta energia sprecata nel mondo, un’energia potenziale che non trova libero sbocco, ma che purtroppo implode in ansie, nervosismo, rassegnazione. Se solo riuscissimo a rimuovere i blocchi, o almeno alcuni di essi, consentiremmo all’energia vitale di esprimersi, generando risulta-ti impensabili.

Quando ciò accade a livello sociale, per una co-munità di persone, il risultato è incredibile: pen-so alla Polis dei filosofi greci, alla Firenze del ri-nascimento, all’imprenditorialità illuminata di Adriano Olivetti, così come alla Silicon Valley di oggi. Ciò che lega questi momenti incredibili del-la storia è la concezione che i sogni si possono realizzare, che le grandi idee possono prendere

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forma e cambiare la società. Per lasciare il segno, dunque, la miglior cosa che possiamo fare non è cercare di risolvere rompicapi impossibili ma iniziare a guardare dentro di noi per superare le paure e liberare la nostra energia.

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Gian Luca Bianco — Allenati ogni

giorno e raggiungi i tuoi obiettivi

Più ci avviciniamo a un obiettivo, più lo sforzo ri-chiesto è impegnativo e ci è necessario focus, ener-

gia e concentrazione.

All’inizio l’obiettivo è distante, è un filo arrotolato sulla sua matassa di cui non conosciamo la lunghez-za e così le energie troppe volte sono dissipate lungo la strada; spesso il nostro piano per raggiungere ciò che ci siamo prefissati non prende in considerazione la relazione tra il tempo a disposizione con lo spazio

occupato dalle azioni. Ed è a questo punto che ci ren-diamo conto che dobbiamo fare i conti con l’energia.

L’energia si produce attraverso il corpo e per farlo dobbiamo divenire consapevoli di come funzionia-

mo, come possiamo generarla, come la sprechiamo, come la orientiamo, per diventare in questo modo capaci di conservarla, percepirla ed sfruttarla.

Prendersi cura della propria condizione fisica ener-

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getica ci può permettere un successo o una sconfit-

ta in relazione a un obiettivo che abbiamo prefigura-to. Troppe volte i fallimenti sono la conseguenza di

una mancata gestione delle risorse e dell’energia a disposizione.

Torniamo un momento al nostro obiettivo e cer-chiamo di capire quel che è necessario: se abbiamo un obiettivo a breve termine abbiamo certamente bisogno di forza. Immaginate un centometrista o uno scattista, la forza è in relazione al tempo neces-sario per arrivare all’obiettivo, quindi in questo caso dobbiamo essere capaci di erogare in un tempo ra-pido tutta l’energia che abbiamo generato e imma-gazzinato, abbiamo bisogno della massima potenza.

Pensiamo poi a una classica gara di ciclismo come il Tour de France o il Giro d’Italia comprenderemo subito che la nostra energia deve essere distribuita e rilasciata in un tempo lungo e che dobbiamo ge-nerare uno sforzo duraturo nello spazio che ci sepa-ra dall’arrivo, sviluppando così non tanto la potenza quanto l’endurance.

Se abbiamo necessità di sviluppare per il nostro obiettivo flessibilità dobbiamo lavorare sulla gestio-

ne della forza nello spazio e nel tempo mettendo insieme la potenza con l’endurance e questo possia-mo osservarlo in una partita di tennis tra Roger Fe-derer e Rafa Nadal.

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La visione e la missione non sono separati dalla performance fisica, sono profondamente collegati e ci permettono di comprendere che per realizzare un obiettivo dobbiamo agganciare un altro livello,

quello spirituale, che rappresenta il vero e profondo motivo per cui ci sentiamo chiamati al fare le cose.

L’energia è perciò una questione centrale che mette insieme tutti i livelli coinvolti, dallo spirito al corpo: viviamo tutti in una profonda crisi energetica de-

rivata dal fatto che siamo sempre più sotto stress, costantemente connessi, senza sosta ed incapaci di recuperare momenti di pausa davvero rigeneranti.

Lo stress di per sé è uno straordinario motore evo-

lutivo ma solo se associato alla capacità di recupero, di comprensione, di distacco, di distanza che ci per-mette di essere capaci di determinazione, che signi-fica dosare le nostre energie esattamente con ciò che dobbiamo realizzare, nulla di più, nulla di meno. La vita è un esercizio meraviglioso, un’arte e possiamo rendercene conto attraverso la pratica della grati-

tudine.

La gratitudine è un’energia purissima in grado di ri-generare noi stessi e nello stesso momento gli altri a cui è rivolta. Qualsiasi sia l’obiettivo, il sogno, il de-siderio, l’ambizione, la visione non dimentichiamoci di essere grati, la gratitudine è il più grande genera-tore di energia pulita che possiamo immaginare.

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Facciamo un piccolo gioco, proviamo a ripensare a tutte quelle persone che ci hanno donato qual-che cosa che ci ha permesso di crescere, miglio-rare e divenire quel che siamo oggi. Scriviamo su

un foglio il loro nome, il motivo e ringraziamole. Scopriremo che questo semplice gesto innescherà una serie di sorprendenti conseguenze che ci por-teranno ad uno stato di grazia, fiducia, chiarezza,

apertura, benessere rendendoci pronti cosi a re-alizzare qualunque desiderio, scoprendo che non siamo soli ma che possiamo contare su noi stessi e su chi ci circonda, questo di per sé onora qualsiasi cosa decideremo realizzare.

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Lorenzo Fantoni — Libera la creatività

e diventa ciò che sei

Chiunque abbia provato il desiderio di esternare il

proprio punto di vista attraverso un articolo, un vi-deo o una qualunque altra forma di espressione si è trovato almeno una volta di fronte a un ostacolo.

Seppur non particolarmente alto, quell’ostacolo è molto difficile da superare perché non si trova di fronte a noi, ma dentro di noi e corrisponde alla domanda “Ma a chi dovrebbe interessare ciò che

faccio?”. Se la sono posta centinaia di scrittori, giornalisti, sceneggiatori, registi, fumettisti, autori TV, blogger, pittori e in alcune fasi del proprio per-corso è una domanda legittima, sana. Se non altro denota umiltà e capacità di autoriflessione, ma at-tenzione perché gli eccessi di modestia sono anco-ra più dannosi degli eccessi di autostima. Nessun grande avanzamento dell’uomo è arrivato da chi si autolimitava.

Infatti l’insidia dietro a quesiti come questo è che

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spesso rappresentano una calda coperta in cui av-volgersi per non affrontare l’eventuale gelo del

fallimento. Finché ci consoliamo dicendo “non mi esprimo, perché tanto quello che penso non importa a nessuno” non potremo mai avere la certezza che sia effettivamente così. Un sogno che non viene

espresso rimane sospeso e non sbatte mai contro la realtà, quindi possiamo anche tenerlo vivo in eter-no, ma rimarrà sempre un sogno.

Eppure basta solo un attimo di coraggio, o di inco-scienza, per assaporare il brivido di esprimersi.

1. Cominciate a creare, a comporre il contenuto

che vorreste condividere

Anche se non vedete l’ora che gli altri si interessino e commentino il vostro lavoro, per prima cosa fatelo

perché ne sentite il bisogno. La risposta più sem-plice alla domanda infatti è che ciò che fate deve in-nanzitutto importare a voi. Cosa accade se nessuno leggerà il vostro articolo, guarderà il vostro video o condividerà il vostro disegno? Pazienza, complimen-tatevi piuttosto con voi stessi perché avete comun-que fatto qualcosa, il che vi pone più avanti rispetto a chi quell’ostacolo non l’ha neanche approcciato.

2. È proprio cimentandovi e analizzando i risultati

ottenuti che potrete acquisire esperienza

Capirete come trasmettere un concetto, cosa pote-vate fare meglio nel presentare il vostro progetto,

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cosa incuriosisce di più il pubblico a cui vi rivolgete, come dare forma alla vostra idea in modo che sia ac-cattivante. Ciò detto, sapete a chi interessa davvero ciò che state facendo? Al voi di domani, quello che imparerà dalle vostre esperienze, dai successi, ma anche dagli errori.

3. Toglietevi dalla testa che i vostri modelli di rife-

rimento abbiano avuto successo così, improvvisa-

mente

Ogni cantante, scrittore, disegnatore, attore, perso-na che oggi vedete là in cima e che in qualche modo vi ispira o suscita ammirazione ha alle spalle anni di porte in faccia, ansie, rodimenti e progetti che nessuno ha considerato. Ci sono lavori in cui questo continuo rimbalzare tra fallimenti e successi non fi-nisce mai, spesso sono anche quelli più stimolanti.

Riuscire in qualcosa è una strana combinazione di abilità, fortuna e perseveranza. La prima si può migliorare, la seconda non si può controllare, la ter-za è l’unico fattore su cui potete influire veramente.Ecco perché dovete superare la domanda “a chi im-porta ciò che faccio?”.

E se per tutta la vita disegnerete quadri che vedre-te solo voi e scriverete pezzi che leggeranno in pochi fa nulla, l’importante è che quel che fate vi faccia

stare bene e che teniate sempre a mente che ave-te fatto comunque più di chi non ha mai superato

105Guida pratica per diventare se stessi

quella domanda o si è limitato solo a criticare ciò che hanno fatto gli altri.

N.B.

Lo stesso principio si può applicare anche in situa-zioni meno creative, ma bisogna anche considera-re un fattore importante: se da una parte non dob-biamo aver paura di esprimere la nostra opinione, dall’altra dobbiamo confezionarla in modo che sia un parere costruttivo, aperto alle critiche e basato su informazioni verificabili. L’errore più grande che si possa fare è pensare che l’opinione di una persona non informata abbia lo stesso valore di un esperto.

106Guida pratica per diventare se stessi

Autori

107Guida pratica per diventare se stessi

Gian Luca Bianco Ho scelto di me una fotografia non posata, perché considero l’imprevedibilità della vita la sua anima fondamentale.Mi preparo molto, amo studiare, mi pia-ce approfondire qualunque argomento che riguarda l’essere umano, le relazioni con l’insieme e con la natura. Sono sfac-ciatamente curioso di ogni espressione artistica, scientifica, tecnologica, filosofi-ca, creativa e allo stesso tempo mi piace dimenticare ogni cosa appresa per im-mergermi nell’esistenza e vivere in libertà lasciandomi sorprendere e cercando di co-gliere le opportunità che mi raggiungono. Sono regista, un’etichetta che vuol dire tutto e nulla, mi piace pensarmi essere umano di passaggio sulla terra insieme ad altri 7 miliardi 380 milioni di persone. Mi appassionano le storie. Mi piace raccon-tarle attraverso le immagini, la musica, le parole, i suoni, il silenzio. Ho prodotto e diretto film, realizzato eventi, creato rela-zioni, scritto soggetti, format e pubblicato un libro, vissuto in luoghi diversi del pia-neta, eppure ogni giorno mi sveglio con il desiderio di imparare a ricercare la bellez-za come se nulla fosse accaduto prima.

Giulia Blasi Giulia Blasi è scrittrice, autrice e condut-trice radiofonica.Fa parte della redazione del periodico di-gitale di Treccani, Il Tascabile, e ha all’at-tivo una lunga esperienza come content e community manager nella rete italiana.Il suo ultimo romanzo si intitola  Se basta un fiore (Piemme, 2017).

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Franco Bolelli Scrittore e filosofo, anche se alla fine non si ritrova in nessuna definizione. Asso-luta passione per la costruzione di nuovi modelli mentali, sentimentali, comporta-mentali, vitali.Tanti libri, in particolare Tutta la Verità sull’Amore con Manuela Mantegazza (Sper-ling & Kupfer, 2015),  Si Fa Così   (ADD Edi-tore, 2013),  Giocate!  (ADD Editore, 2012), e  Viva Tutto!   scritto in coppia con Loren-zo “Jovanotti” Cherubini (ADD Editore, 2012). Prima ancora,  Con il cuore e con le palle e Cartesio non balla(Garzanti, 2007). E tanti altri prima ancora. Ha recentemente fatto da coach e prefatore a Fabrizio Coro-na per il suo Mea Culpa  (Mondadori, 2014). Mille conferenze, tanti festival progettati e diretti, riviste, giornali e un sacco di al-tre cose.

Luciano Canova Laurea e PhD in Economia, si occupa di economia sperimentale, di qualità della vita e felicità. Collabora con diverse testa-te di divulgazione scientifica come lavoce.info, GliStatiGenerali, Infodatablog, IlSo-le24Ore e ha una passione per la comuni-cazione scientifica in ambito economico. Responsabile scientifico del progetto Ap-pyMeteo insieme ad Andrea Biancini, in-segna economia sperimentale alla Scuola Enrico Mattei e collabora con diverse uni-versità. È il Prof. di Economia della Felici-tà sulla piattaforma  Oilproject.org.

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Lorenzo Cavalieri Fondatore e Direttore di Sparring, società di formazione e consulenza che diffonde la cultura della buona vendita: allenamen-to, semplicità, emozioni.Dopo un’esperienza manageriale come se-lezionatore e cacciatore di teste si occupa dal 2008 di sviluppo delle risorse umane, outplacement e coaching (è un coach cer-tificato ICF).Da specialista di orientamento nel mon-do del lavoro cura per scuole, università e business school progetti di promozione di un approccio imprenditoriale al lavoro. Ha raccolto la sua visione del nuovo mon-do del lavoro nel libro “Il lavoro non è un posto”. Precedentemente aveva pubblicato “Mi vendo bene ma non sono in vendita” e “Vendere mi piace”, tradotto anche all’e-stero. Scrive di lavoro, talento e carriera sul suo blog. È l’ideatore dell’ingegneria verbale, un metodo di allenamento per semplificare il nostro modo di scrivere e parlare.

Luca D'Elia Nato nel 1978, laurea in Filosofia presso l’Università Statale di Milano, dal 2004 si occupa di formazione manageriale e com-portamentale. Consulente, formatore, coach, ha finora lavorato per importanti aziende nazionali e multinazionali. Mu-sicista professionista e presentatore di eventi, Luca porta in contesti organizzativi la sua esperienza nell’ambito dello spet-tacolo, intervenendo come  keynote spea-ker in convention e meeting aziendali.Parallelamente all’attività di consulenza, si occupa di docenza accademica, colla-borando negli anni con diversi istituti ed

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università, tra cui IULM, Università Catto-lica, Istituto Marangoni, IED, Accademia del Lusso.

Oscar Di Montigny Direttore Marketing, Comunicazione & In-novazione di Banca Mediolanum.Nella prima parte della sua carriera ha ma-turato esperienze professionali come Di-rettore Marketing e Comunicazione pres-so importanti gruppi internazionali.Dal suo ingresso in Banca Mediolanum nel 2000, ha lavorato nella funzione For-mazione e Sviluppo della Rete di Vendita del Gruppo contribuendo alla creazione e al lancio della Scuola di Formazione per lo Sviluppo del Potenziale Umano; ha ide-ato, progettato e seguito il lancio di  Me-diolanum Corporate University, istituto educativo al servizio della Community Mediolanum (Rete di Vendita, Sede, clien-ti), insignita, nel marzo 2013, dal Global Council of Corporate University come 2° miglior Corporate University al mondo  e, nel settembre 2014, premiata come 1° classificata al Positive Business Training Award, dalla prestigiosa Scuola di Palo Alto (Milano).Dal 2011 ha assunto il ruolo di Direttore Marketing e Comunicazione per diventa-re poi ad aprile 2014 Direttore Marketing, Comunicazione e Innovazione di Banca Mediolanum.  Esperto di Innovative Mar-keting, Comunicazione relazionale e Cor-porate education, è ideatore e divulgatore dei principi dell’ “Economia 0.0” in cui co-niuga business e management con filoso-fia, arte e scienza. Keynote speaker appas-sionato e di forte impatto motivazionale, è

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stato invitato a partecipare a molti forum e manifestazioni sia nazionali che interna-zionali. Nell’ambito delle attività di MCU, motivato dagli stessi valori ispirazionali, propone e crea Centodieci. Autore del blog Riflessioni per il terzo mil-lennio in cui indaga e analizza come i me-ga-trend del futuro determineranno nuovi scenari sociali e di mercato. A settembre 2016 viene pubblicato da Mondadori,  Il tempo dei nuovi eroi  , pri-mo libro a firma Di Montigny.«Ogni attimo è un dono e devo innanzitutto educarmi a essere grato di tutto ciò. Provare Gratitudine verso me stesso. Provare Gra-titudine verso l’altro. Agire per generare la Gratitudine dell’altro nei nostri confronti è l’Elisir del mio Eroe. La Gratitudine è la ca-pacità dell’uomo di mettere a fuoco il valore, tralasciando ciò che non è utile, come i biso-gni. Provare Gratitudine significa seminare nell’altro la visione di un nuovo senso della vita, di un nuovo senso di noi stessi nella vita».

Lorenzo Fantoni Classe 1981, nasce con l’Atari in mano, gra-zie a un padre che prima ancora di svezzar-lo lo introduce a Star Wars, al rock e a tutto ciò che poteva essere nuovo, tecnologico e fantastico.Dopo una laurea in Media e Giornalismo, nel 2007 decide di diventare scrittore, storyteller e divulgatore, esperto in cultu-ra pop, tecnologia, gadget e videogiochi.Da anni collabora con le maggiori realtà del settore come Wired, Vice, Multiplayer.it, Corriere della Sera, PlayStation Magazi-

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ne Ufficiale, per i quali è spesso all’estero per reportage su eventi speciali, press tour e racconti dedicati alle mille sfaccettature del mondo “geek”.La sua conoscenza di vari aspetti della cul-tura contemporanea lo ha portato a essere ospitato su Virgin Radio all’interno della trasmissione Dr. Feelgood con uno spazio dedicato a videogiochi, serie TV e tecnolo-gia. Recentemente ha partecipato su Rai 3 ad Agorà per spiegare il fenomeno Pokémon Go. Ha scritto per Sky documentari dedi-cati al mondo del cosplay e delle compe-tizioni di videogiochi (Cosplay Stories e Esports People), andanti in onda su Sky Generation e attualmente in replica su Sky Atlantic. Vive a Milano e cura un blog dedicato alla cultura nerd (n3rdcore.it), letto ogni gior-no da migliaia di persone.

Anna Fata Anna Fata è Psicologa & Coach di orientamento olistico (dal greco olos, tutto), che lavora con-giuntamente su mente - corpo - spirito, Scrit-trice, Presidente ArmoniaBenessere®Errore. Riferimento a collegamento ipertestuale non valido.  Associazione e Metodo di lavo-ro che opera per il ben-essere globale della persona, nella sua vita privata e professio-nale, della società, dell’ambiente. Attiva come Psicologa e nel Web dal  1998, tiene corsi e consulenze per il benessere psicofi-sico di persone e aziende.Autrice, tra gli altri dei  libri:• Aspetti psicologici della formazione a di-stanza, FrancoAngeli Editore• Il cibo come fonte di essere e ben-essere, Ar-

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mando Editore• Armonia, Benessere, Felicità, Punto di Fuga Editore• Lo zen e l’arte di cucinare,Edizioni Il Punto d’Incontro• Amore Zen, Crisalide Edizioni• L’etica del cuore, Edizioni Psiconline• Un modello per il ben-essere in azienda, Nuova Ipsa Editore• Vivere e lavorare meglio, Edizioni Paoline• La vita professionale e la pratica meditati-va, Edizioni Il Punto d’Incontro• Cosa ho imparato dalla vita, Edizioni Segno• #MyWebIdentity–Aspetti psicosociologici dell’identità online, Edizioni Psiconline• 99 Esercizi per il Benessere e la Felicità nella Vita e nel Lavoro, in fase di pubblicazione.

Claudio Gagliardini Nato a Roma nel 1970, manca per pochi de-cenni la natività digitale, ma recupera con insospettabile freschezza alla fine degli anni Novanta, dopo numerose esperienze in ambito turistico-ricettivo, in giro per l’Italia.Il demone del web s’insinua in lui agli esordi della rete nel Bel Paese, fino a di-ventare una professione, con l’avvento dei media sociali e del web 2.0, che integra l’impegno sino a quel momento speso in comunicazione e marketing tradizionali.Oggi è consulente, formatore e relatore in Web Marketing, Social Media e comunica-zione online. Lavora in proprio, socio fon-datore di seidigitale.com a Cremona, e per numerose aziende nazionali, soprattutto in ambito food e turismo, settori nei quali progetta e curo strategie di Comunicazio-ne & Marketing online.Tra le altre attività

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è blogger e scrittore a tempo perso (o gua-dagnato, a seconda dei punti di vista).

Silvio Gulizia Giornalista professionista e consulente di comunicazione.Responsabile della comunicazione e degli eventi per Pi Campus, fondo di venture ca-pital e distretto di startup. In precedenza è stato responsabile della comunicazione online per il VC LVenture Group e l’acce-leratore LUISS ENLABS, e ha supportato diverse altre aziende e startup nel raccon-tare le proprie storie online.Silvio ha scritto e scrive di tecnologia e innovazione su quotidiani e magazine come Wired, Huffington Post, e La Repubbli-ca. Ha inoltre collaborato con il blog del progetto Telecom Working Capital e lan-ciato il canale tech di  Leonardo.it.Nel 2016 ha lanciato  Vivere intenzional-mente, un blog in cui sono raccolti spunti e riflessioni per aiutare i lettori a spendere il proprio tempo nelle cose per loro più im-portanti e realizzare i propri progetti.Sul proprio  sito  scrive di comunicazione, produttività e startup.

Giovanni Lucarelli Giovanni Lucarelli  è sociologo, scrittore, speaker e trainer in creatività ed inno-vazione. Svolge attività di formazione e di consulenza, presso istituti scolastici, università e aziende, aiutando le perso-ne a lavorare efficacemente in gruppo e a sviluppare le abilità creative (creative thinking, problem solving, ecc.).  Ha pub-blicato numerosi articoli e alcuni volumi, tra cui «L’arte di essere creativi» (Quattro-

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venti, 1998), «L’arte di rendere creativo un gruppo» (Quattroventi, 1999), «Il gruppo al lavoro» (Franco Angeli 2005), «Team In-novativi» (Ticonzero, 2011) e «Lavorare in gruppo non è mai stato così facile» (selfpu-blishing, 2017).  Scrive articoli e approfon-dimenti scientifici sullo sviluppo delle abi-lità creative e sul lavoro in gruppo su www.wired.it e nel blog, giovannilucarelli.it

Lorenzo Paoli Lorenzo Paoli è leader in Italia nello sviluppo di abitudini efficaci a livello mentale, emo-zionale e comportamentale. Lavora per mul-tinazionali come Vodafone, Footlocker, Dell, Tupperware, Molteni Farmaceutici, Elica e molte altre ed è chiamato in tutta Europa come keynote speaker sul tema dello svilup-po del potenziale attraverso le abitudini.Autore di quattro libri sul Coaching e lo svi-luppo personale.È fondatore e Direttore dei Programmi Cor-porate in Novaxia, l’azienda di Coaching che ha sviluppato la piattaforma di formazione delle abitudini efficaci “Habit Coaching”. È anche direttore della scuola per Coach di No-vaxia, Coaching University, che forma Coach professionisti in tutta Italia.

Matteo Plevano Psicologo del Lavoro, founder di Green Jobs Hub, acceleratore motivazionale che faci-lita il cambiamento verso l’economia so-stenibile e socialmente responsabile. Con-vinto sostenitore che il futuro di individui, imprese e intera società possa evolvere attorno a questi 5 assi: autenticità, fiducia, responsabilità sociale, sostenibilità e qua-lità della vita.

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Massimo Temporelli Laureatosi in Fisica all’Università di Mila-no, Massimo Temporelli ottiene nel 2000 una borsa di studio presso l’azienda ST Microelectronics, leader mondiale nel set-tore dei microchip, con la quale sviluppa i percorsi scientifici dei laboratori del Mu-seo Nazionale della Scienza e della Tec-nologia di Milano. La sua attività gli vale, nel 2003, la nomina a curatore responsa-bile del Dipartimento Comunicazione. Dal 2010 lavora come libero professionista alla realizzazione di mostre temporanee e permanenti, eventi culturali ed editoria. Innovazione, tecnologia, comunicazione e FabLab sono i temi più presenti nella sua ricerca e nel suo lavoro. Su questi temi di-rige la collana scientifica   Microscopi   edi-ta da Hoepli e svolge lezioni e seminari nelle più importanti università milanesi. Nel 2012 è stato speaker al Ted di Firenze e dallo stesso anno è iProf di fisica sulla piattaforma Oilproject, la più grande scuo-la online d’Italia. Ha fondato  The Fablab a Milano.

Micaela Terzi Mi occupo di coaching e formazione sui temi dell’innovazione e delle startup. Nel 2007 ho fondato Urbano Creativo Srl, so-cietà che sviluppa progetti e strategie per Smart Cities e Social Innovation. Poi sono venute  Mobirev (startup specializzata in si-stemi intelligenti per la mobilità) e la Rete di Imprese  Connected City Council, che ha messo a punto un modello di assessment gamificato per Smart Cities. Lavoro come Business Developer & Communication Strategist in Accademia della Felicità.

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Carolina Traverso Psicologa, psicoterapeuta e insegnante di mindfulness formatasi negli Stati Uniti presso il Center for Mindfulness della Uni-versity of Massachusetts Medical Scho-ol, insegna mindfulness da diversi anni conducendo corsi per aziende e privati. Mente Calma, Cuore Aperto, il suo primo libro uscito a maggio 2016 con Sperling & Kupfer, è già alla sua prima ristampa. Vive e lavora a Milano, dove si dedica a cam-biare il mondo curando Semplicemente Mindfulness, il progetto antistress dedi-cato a tutti coloro che desiderano coltiva-re l’arte di vivere momento per momento, stando bene con se stessi e con gli altri an-che quando la vita si fa un po’ complicata. Potete trovarla in Semplicemente Spazio, il centro di mindfulness e di psicoterapia che dirige. Scrive su Yoga Journal, nella sua rubrica fissa Consapevolezza in tasca.

Davide Zane Ha vissuto per molti anni di marketing e comunicazione ed ha lavorato per grandi gruppi come Fastweb, Edison e Caterpil-lar. Ha conseguito un MBA alla SDA Boc-coni nel 2011 e da allora coltiva un grande amore per l’innovazione e la creatività. È un consulente di Ars et Inventio | Bip ed aiuta le aziende nei loro processi di cam-biamento. Davide è un runner appassio-nato e per allenarsi si alza molto presto al mattino.

Guida pratica

per diventare se stessi