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16 HAKOMAGAZINE Gli indiani e l’esercito

HAKOMAGAZINE 16Brown, Seppellite il mio cuore a Wounded Knee (1970), tendono a condannare insieme ai cacciatori d’indiani razzisti non solo gli assimila-zionisti umanitari, ma anche

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Gli indiani e l’esercito

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HAKOMAGAZINESommario

3 Editoriale 5 Lupi per l’esercito 9 Indiani d’acciaio11 Code Talkers13 Sui verdi campi di Francia18 Soldati stó:lo, veterani

stó:lo32 Ira Hayes27 Guerra e onore32 24 anni in Marina39 Una donna guerriera42 Poliziotti indiani

Alla fine del XX secolo ci sono circa 190.000 veterani nativi americani. È riconosciuto che,storicamente, i nativi americani hanno il maggior servizio pro capite in confronto agli altri grup-pi etnici. Le ragioni dietro questo sproporzionato contributo sono complesse e profondamenteradicate nella cultura indiana americana tradizionale. Sotto molti aspetti i nativi americani nonsono molto diversi da altri volontari nel servizio militare. Hanno, però, distinti valori culturali cheli portano a servire il loro paese. Uno di questi è la loro orgogliosa tradizione guerriera.In parte, la tradizione guerriera è una volontà di agganciare il nemico in battaglia. Questacaratteristica è stata chiaramente dimostrata dalle imprese coraggiose dei nativi americani incombattimento. Comunque, la tradizione guerriera è meglio esemplificata dalle seguenti qua-lità che si dice siano inerenti alla maggioranza, se non a tutte, le società native americane:Forza, Onore, Orgoglio, Devozione e Saggezza. Queste qualità si adattano perfettamente allatradizione militare”.20th Century Warriors. Native Americans Partecipation in the United States Military . Opuscolo preparato per il Ministe-ro della Difesa degli USA da CEHP Incorporated, Washington, DC, con la consulenza di Roger Bucholz, dakota, WilliamFields, cherokee, e Ursula Roach, hopi.

Il tenente Ernest Childers, creek, riceve la Medaglia d’Onore durante la campagnad’Italia nel 1943.In copertina: Sciamano di guerra apache, foto di R. Wanamaker.

Riferimenti iconografici e bibliograficiFotografie Sandra Busatta, Indian at Work.

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N° 16

Editoriale

«In tutta la storia della nostra nazione i nativi americani hanno datola vita per aiutare a difendere e preservare gli ideali democraticidell’America. Hanno servito con orgoglio e coraggio in ogni conflittoimportante dalla Guerra Rivoluzionaria ad oggi, così è appropriatoche il Mese Nazionale Nativo Americano sia celebrato in novem-bre, nello stesso mese del Giorno del Veterano». Le parole dell’ar-ticolo di Charlotte Raub, ufficiale Comando Informazioni Ufficio Af-fari Pubblici del quartier generale di Fort Belvoir, Virginia, nel nume-ro ottobre-dicembre 1998 di ISCOM Journal, la rivista dell’Intelli-gence and Security Command dell’Esercito degli USA, echeggia-no quelle con cui il Presidente Reagan iniziava la proclamazionedella Giornata Nazionale dei Code Talkers navajo il 14 agosto 1982:«Fin dalla Rivoluzione americana, quando il generale George Wa-shington lodava gli indiani sotto il suo comando, gli Stati Uniti han-no avuto il privilegio di avere dei membri delle nazioni indiane alservizio delle loro forze armate». C’è da chiedersi contro chi aves-sero combattuto i pionieri e se Custer fosse morto di freddo.Tuttavia le parole ufficiali dicono la verità e smentiscono lo stereoti-po dell’indiano irriducibilmente nemico dei bianchi; fin dall’inizio del-l’epoca coloniale nel XVI secolo alleati e mercenari indiani hannocombattuto a fianco degli invasori contro altri indiani per le ragionipiù varie e spesso ottime. Questo numero di HAKO è dedicato aloro, a quei veterani winnebago che cantavano nella Prima GuerraMondiale “Amo la mia bandiera,/ così andai nel vecchio mondo acombattere i tedeschi” e a quei lakota sioux che nelle loro canzonidi guerra avevano versi come questi: “Ragazzo lakota, i tedeschi, /le cui molte terre ho preso, / stanno piangendo qui come donne”. Èdedicato ai soldati Oklahombi e Hayes, che tornarono da eroi emorirono da ubriaconi, a quei veterani del Vietnam come il cantan-te John Trudell, Carter Camp e Bill Means, che si radicalizzarono ediventarono leader dell’American Indian Movement e a quelli chenon riuscirono mai a superare il disordine da stress post-traumati-co (PTSD) e l’idea di “combattere la gente sbagliata”. Oggi i nativiamericani si arruolano in numero superiore a qualsiasi altro gruppoetnico perché l’esercito offre un buon livello di istruzione e menorazzismo che al paese, perché paga bene e garantisce anche unruolo rispettato e un ambiente sociale nelle associazioni di vetera-ni. Agli uomini dà un senso di identità maschilista, ma coerente conimmaginate culture tribali e alle donne un ruolo meno sottomesso.Raymond Nakai, ex Code Talker navajo della Seconda GuerraMondiale, ha riassunto così i sentimenti indiani sulla partecipazio-ne alle guerre degli USA: “Molti ci chiedono perché combattiamo laguerra dell’uomo bianco. La nostra risposta è che siamo orgogliosidi essere americani. Siamo orgogliosi di essere indiani americani.Siamo sempre pronti quando il paese ha bisogno di noi”.I nativi americani sono entrati a vele spiegate nella società genera-le come indiani-trattino-americani, anche se le tribù si proclamanonazioni sovrane. Allora perché ci vengono in mente i gurka nepalesi,pilastro dell’impero britannico, o la Legione straniera?

La bandiera nera del MIA (Missing inAction), sui prigionieri di guerra (POW) inVietnam, dice: “POW-MIA non siete dimen-ticati”.

Scout apache.

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Scout pawnee nel 1870 circa; in piedi: Baptiste Bayhylle, un interprete sanguemisto sergentedegli scouts. Seduti da sinistra a destra: Man Who Left His Enemy Lying in Water, NightChief, One Who Strikes the Chiefs, Sky Chief. Quest’ultimo fu ucciso dai sioux nel 1873 eprobabilmente non era uno scout.

Curley (1853 - 1923), scout crow famoso per essere stato una delle guide di Custer a Little BigHorn. Curley non partecipò alla battaglia, ma si ritirò dopo aver catturato alcuni cavalli lakota; inseguito si costruì una fama come unico sopravvissuto al massacro e divenne un soggetto fotograficoapprezzato. Foto di Fred E. Miller.

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Sandra Busatta

Gran parte degli storici popolaricontemporanei, in particolare quellirevisionisti in senso buonista, sulla sciadell’emotivo e romanzato libro di DeeBrown, Seppellite il mio cuore aWounded Knee (1970), tendono acondannare insieme ai cacciatorid’indiani razzisti non solo gli assimila-zionisti umanitari, ma anche quegliindiani che cercarono di adattarsi allepressioni della cultura euroamericana inmodo diverso dalla pura resistenzaarmata. Legati allo stereotipo dell’india-no incapace di adattarsi, primitivoirriducibile e vittima sacrificale dei tortiinflittigli dalla nostra civiltà, questistorici vedono gli indiani che cercano dicontrollare l’adattamento o di sopravvi-vere alle tribù nemiche più forti, anchealleandosi militarmente agli americani,come rinnegati, traditori e mercenari.Un esempio volgare di questo stereotipoè rappresentato dalla raffigurazione deipawnee nel film Balla coi Lupi.Presentare la storia come esclusivoconflitto tra bianchi e indiani oscura laverità e cioè che non solo gli indiani nonvedevano se stessi come traditori ( e diche? di un concetto di razza e di popoloche non avevano e che fu loro impostoin seguito?), ma che, come insegnanogli apache, gli stessi guerrieri potevano

agire in tempi diversi come ostili o comescout dell’esercito. Lo stesso “eroe” delmovimento panindiano attuale, CavalloPazzo, prima di venire ucciso, erapronto ad arruolarsi contro i nez perce diCapo Giuseppe, altra icona dellaresistenza indiana vista come una lotta diliberazione nazionale del Terzo Mondo.Per un indiano, che basava culturalmen-te la propria carriera politica e il proprioruolo sociale sulla guerra, spesso leautorità militari erano decisamentepreferibili a quelle civili e religiose dellariserva per conservare la propria identitàe il rispetto di sé.La simpatia di Custer per ColtelloInsanguinato, un arikara, esemplifica isentimenti amichevoli che molti soldatiavevano verso gli scout e altri indianiamici. Il capitano King, che comandavagli scout crow sotto Crook nellecampagne del Bighorn e dello Yellow-stone del 1876, affermò che le truppe diCrook non avevano particolari problemia fraternizzare con i crow. Tuttavia moltiufficiali, specialmente all’Est, nutrivanodubbi sul possibile tradimento degliindiani, dato che erano imbevuti delleidee di nazione e razza. In realtà ci fu ununico episodio nella storia degli indianinell’esercito in cui essi si rivoltaronocontro i loro commilitoni bianchi: è ilcaso degli apache white mountaindurante il cosiddetto ammutinamento

Cibicu del 1881, per l’arresto del profetaNoch-ay-del-klinne causato dallastupidità dell’ufficiale americano checomandava l’operazione. Iniziare unacampagna contro gli “ostili” senzaindiani amici, comunque, era del tuttoimpensabile. Secondo alcuni autori(Smits 1998:100-101) l’esercito operòanche la coercizione, oltre alla corruzio-ne e lo sfruttamento delle miserabilicondizioni delle riserve per convinceregli indiani ad arruolarsi.Molti ufficiali, come il generale Crook,paternalisticamente vedevano il serviziomilitare dell’indiano come un mezzo perriscattarlo dalla sua primitiva barbarie,rendendolo eguale a un bianco: «Dasoldato l’indiano veste l’uniforme, tira lapaga e le razioni, e sotto ogni aspetto èsu un piano di parità con il bianco. Ciòdimostra alla sua mente semplice nelmodo più positivo che non abbiamopregiudizi contro di lui per via della suarazza e che, se si comporta bene, saràtrattato in modo uguale al bianco.Tornando alla sua tribù, dopo il serviziomilitare, è in grado di vedere oltre levecchie superstizioni che hannogovernato il suo popolo e pensa e decideper sé» (Smits 1998:93). Proprio perqueste idee gli stati maggiori dell’eserci-to e il governo furono sempre contrari aformare unità solo indiane, cioèsegregate, al contrario delle unità nere,

Spesso considerati con sospetto da certi ufficiali e di-sprezzati dagli storici buonisti amanti degli irriducibili,i soldati indiani cercarono una via di mediazione difronte allo strapotere militare americano.

Lupi per l’esercito

Scout indiani

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che furono segregate a lungo, datoche doveva passare molto tempoprima che si facesse strada la possibi-lità di un’uguaglianza tra bianchi eneri, tranne che nei circoli repubblica-ni estremisti che avevano partecipatoalla Guerra di Secessione e allaRicostruzione.Il rapporto degli alleati indiani conl’esercito rappresenta un aspettosignificativo del contatto tra indiani ebianchi e del conflitto nell’Ovest.Anche se non appropriato per tutti gliindiani nordamericani, il termine“guerriero” non è scorretto per gliuomini di molte tribù occidentali, chevedevano nella guerra una delle piùimportanti attività maschili, mentre iltermine “alleato” riflette la percezionedi molti gruppi indiani che vedevano“la loro cooperazione con i bianchicome un’associazione mutuamentevantaggiosa, in cui entrambe le partientravano di propria scelta” (Dunlay1982:9). Anche i termini “guida” e“interprete” sono usati: benchédistinti, questi compiti tendevano asovrapporsi ed erano spesso esercitati

da bianchi e da meticci. In teoria gli“ausiliari” erano indiani che sipensava entrassero in combattimentoa fianco o al posto delle trupperegolari, mentre gli “scout” indiani,cioè gli esploratori, in teoria nondovevano combattere. Ma in pratica,in quanto truppe avanzate, gliesploratori erano spesso i soli soldatiad agganciare il nemico. «Oltre adandare in esplorazione e guidare letruppe e i civili, i doveri più comuni eimportanti degli indiani amicicomprendevano fare l’interprete etradurre, portare dispacci e posta,servire da “agenti segreti”, cioè spie eprovocatori, cercare piste, “parlare dipace”, incoraggiando così la resa,cacciare, fornire scorte per le spedi-zioni di caccia di uomini importanti,ufficiali pagatori, spedizioni scientifi-che e visitatori delle terre indiane,pattugliare le linee ferroviarie, fare laguardia alle squadre di operai dellaferrovia e ai geometri che misuravanoil terreno, identificare indiani scono-sciuti, combattere contro gli “ostili”,sia da soli che insieme ai soldati, fare

la guardia alle stazioni di picchetto eai posti militari, aiutare a mantenerel’ordine nelle riserve quando lapolizia indiana era incapace di farfronte ai disordini, dare la caccia aidisertori dell’esercito e molte altrecose. Gli scout indiani continuarono adimostrarsi utili per il Bureau ofIndian Affairs anche molto dopo lafine delle guerre indiane. Nel 1909,per esempio, gli scout indiani dellariserva di Fort Sill vennero trasforma-ti in funzionari» (Smits 1998:86).Gli scout indiani del periodo successi-vo alla Guerra di Secessione erano glieredi di una lunga collaborazionemilitare con gli europei. L’imperoazteco non sarebbe mai stato conqui-stato dai circa cinquecento spagnoli alseguito di Cortés, pur con le armi, glianimali e una superiore tecnica diguerra, se non fosse stato per lemigliaia di alleati indiani ansiosi diliberarsi dal giogo di Montezuma.Furono i soldati indiani e meticci chefornirono la truppa per la conquistaspagnola dei territori settentrionali. Ipueblo e i pima si allearono agli

Guerrieri apache occidentali del gruppo coyotero, tra cui vi è il capo Al-che-say, tutti armati con carabineSpringfield e Winchester. Si noti il berretto da guerra di pelle di cervo e penne d’aquila e falco.

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N° 16spagnoli contro i razziatori apache,navajo e comanche. Alla fine delXVIII secolo il governatore Anza usòi comanche contro i navajo e questi,in seguito, si allearono con spagnoli ecomanche contro gli apache occiden-tali.Gli Stati Uniti applicarono su scalaminore e in modo meno sistematico ecoerente la politica ufficiale spagnola,inglese e francese. Gli irochesi furonoper lo più alleati degli olandesi e poidegli inglesi contro le altre tribù per ilpredominio nel commercio dellepellicce. Durante la rivoluzioneinglesi e americani trovarono alleatiindiani che combatterono al lorofianco, e uno degli eroi della guerradel 1812, Tecumseh degli shawnee,dopo aver preso Detroit, morì inbattaglia al fianco degli inglesi. Glianni della Guerra di Secessione traNord e Sud videro un uso degli alleatiindiani e un grado di organizzazionecome non se ne vedeva dalla guerradel 1812. Non è vero, come osservaDunlay (1982:21), che tutti gli IndianHaters (odiatori di indiani) nutrisseroun sentimento omicida verso tutti gliindiani in modo indiscriminato. Unimportante esempio è quello delcolonnello Chivington, pastoremetodista, eroe di guerra nordista,famigerato per il massacro di SandCreek contro i cheyenne del sud nel1864. Egli era stato prima missionariopresso i wyandot del Kansas doveaveva fondato la prima loggiamassonica dello stato, i cui membrierano in maggioranza wyandot (cherappresentavano i resti dell’anticaconfederazione urone distrutta dagliirochesi nel XVII secolo).Molti indiani delle Pianure chiamava-no gli scout “lupi”, mentre molte tribùsi riferivano, a voce o con il linguag-gio dei segni, ai pawnee come ai“lupi”, un termine di rispetto per laloro abilità. Una delle unità di scout dimaggior successo fu il battaglionepawnee guidato da Frank North.Eredi di una delle grandi culturepreistoriche, la variante caddo delCulto Meridionale, i pawnee eranostati decimati dalle epidemie e dallacaccia agli schiavi, scatenata contro diloro dagli apache, che li vendevanoagli spagnoli. Armati in seguito daifrancesi, si erano ripresi, contraccam-

biando le razzie schiaviste nel XVIIIsecolo. Il XIX secolo rappresentò peri pawnee un disastro: le epidemie divaiolo, l’entrata di arapaho, cheyennee, soprattutto, teton lakota (sioux) neiloro territori di caccia e la distruzioneche tali razzie portavano nei lorocampi di mais, li condussero all’orlodell’estinzione. Per sfuggire allaguerra genocida scatenata contro diloro dai sioux, i pawnee si trasferiro-no in Oklahoma, abbandonando ilNebraska a Coda Macchiata e NuvolaRossa. Fu così che, quando North sipresentò per arruolare degli scout, gliuomini pawnee si precipitarono inmassa. Gli scout pawnee infersero uncolpo mortale ai Soldati Cani, la piùprestigiosa società guerriera deicheyenne del sud e colpirono dura-mente gli oglala di Nuvola Rossaportando via tutti i loro cavalli.Le parole di Vecchio Corvo dei crowrappresentano bene i sentimenti delletribù più deboli minacciate dal-l’espansionismo sioux: «Il grandecapo bianco (Crook) ascolterà il suofratello indiano. Queste sono le nostreterre per eredità. Il Grande Spirito lediede ai nostri padri, ma i sioux ce lehanno rubate. Essi cacciano sullenostre montagne, pescano nei nostritorrenti, hanno rubato i nostri cavalli,hanno assassinato le nostre donne e inostri bambini. Quale bianco ci hafatto questo? La faccia dei visi pallidiè sempre stata rossa per i crow. Loscalpo di nessun bianco pendenelle nostre tende, ma gliscalpi bianchi sono fitticome l’erba nelle tendedei sioux. Il grandecapo bianco non ciguiderà contronessun’altra tribùdi indiani. Lanostra guerra ècontro i sioux esolo contro loro.Vogliamo indietrole nostre terre.Vogliamo le lorodonne come schiave- per lavorare comele nostre donne hannodovuto lavorare perloro. Vogliamo i lorocavalli per i nostri giovani e iloro muli per le nostre donne. I

sioux hanno calpestato i nostri cuori,noi sputeremo sui loro scalpi. [gridodi guerra] Il grande capo bianco vedeche i miei giovani sono venuti acombattere. Nessun sioux vedrà leloro schiene. Dove va il guerrierobianco, là ci saremo anche noi. Bene»(Trenholm-Carley 1981:248)Ma l’unità scout più famosa econtroversa è forse quella apache, chefornisce probabilmente l’esempiomeglio documentato di uno degliaspetti più notevoli del fenomenoscout: «il modo in cui indiani prece-dentemente ostili divennero strumentidella conquista e dell’assimilazionebianca contro la propria gente»(Dunlay 1982:165), anche se gliapache furono gli unici che in unepisodio si rivoltarono contro isoldati. Considerati dal generaleCrook gli indiani più formidabili e le“tigri della specie umana”, venneroarruolati per “combattere il fuoco conil fuoco”, cioè altri apache, e furonoindispensabili per distruggere laresistenza di capi come Victorio eGeronimo.Con il passare del tempo e la finedelle guerre indiane gli scout diventa-rono sempre più simili alla poliziaindiana. Al servizio del governo,vennero impiegati nell’ultimoimpegno importante al seguito delgenerale Pershing nella spedizionepunitiva contro Pancho Villa nel1916. L’esercito pensionò l’ultimo

scout nel 1943, quando ormaila meccanizzazione

militare non avevapiù posto per loro.

Gli storicitendono amostrare gliindiani semprecome soggettipassivi diazioni, disolitodisastrose,

White Horse, scoutpawnee tra il 1868

- 69. Si nota la tra-dizionale acconciatura

pawnee a “scalp”, chein quel periodo cadde in di-

suso a favore dei capelli lunghinello stile delle Pianure.

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BibliografiaCole Treholm V., Carley M., The Shoshonis,Norman, OK, 1964; Dunlay T. W., Wolvesfor the Bue Soldiers, Lincoln, NE, 1982; MoltiTrofei, Una vita sul sentiero di guerra, Mila-no, 1974; Hyde G. E., The Pawnee Indians,Norman, OK, 1974; Smits D.D., «“FightingFire with Fire”: the Frontier Army’s Use ofIndian Scouts and Allies in the Trans-Missis-sippi Campaigns, 1860-1890», in AmericanIndian Culture and Research Journal, v. 22,n° 1, 1998.

degli euroamericani. Gli indiani,invece, non percepivano la loro realtàcome creata dai bianchi che, perlungo tempo, rappresentarono soloun’altra tribù con cui fare i conti. I

loro scopi erano spesso diversi daquelli immaginati dai bianchi esovente agivano pensando di usare ibianchi a loro vantaggio. In molti casii capi usavano i bianchi per vincere le

lotte interne, come fece Nuvola Rossacontro Cavallo Pazzo: i capi checooperavano con gli americani disolito consideravano i “duri a morire”come una minaccia per la lorosicurezza, degli attaccabrighe pericolosi.I risultati che comportarono le sceltedelle varie fazioni e tribù furono diversi:i cheyenne settentrionali venneroinizialmente maltrattati, ma alla fine ilservizio militare garantì loro il ritornonelle loro terre del Montana. I tonkawa,una delle ultime tribù praticanti ilcannibalismo rituale nelle Praterie, siestinsero quasi del tutto, nonostante laloro lunga cooperazione, quando gliamericani non riuscirono a salvarlidall’attacco congiunto dei loronemici. I chiricahua apache vennerospediti in prigione, ostili e scout, inun raro esempio di ingratitudine daparte del governo. I pawnee perserola loro terra ancestrale, in parte perloro scelta, ma evitarono l’estinzio-ne e si vendicarono dei loro nemiciindiani. I crow e gli shoshonealmeno riuscirono a conservare sestessi e le terre dove volevanovivere, contro gli invasori sioux,anche se la loro vita cambiò persempre. I sioux che cooperaronocon l’esercito evitarono la deporta-zione nel Territorio Indiano pertutti, amichevoli e ostili, e restaronosulle terre che avevano strappatoalle altre tribù, ricevendo addiritturaun risarcimento dal governo ameri-cano per quelle, conquistate, cheavevano perso.

Scout navajo di Ben Wittick (1845-1903).

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Lo stereotipo dell’indiano come guerriero feroce e corag-gioso ha favorito l’uso di nomi indiani per armamenti mili-tari fin dalla guerra di Secessione come le vedette costie-re, classi Passaic, Canonicus, Onondaga e Miantonomohtra cui le navi Winnebago, Shawnee o Catawba (nomi ditribù), Canonicus, Saugus o Tecumseh (nomi di capi).Agli inizi degli anni Cinquanta negli Stati Uniti nacque dalprototipo originario Model 65 Queen Air della Beech lo L-23/ U-8 Seminole, un bimotore per le comunicazioni e iltrasporto leggero di spiegamento truppe. In seguito l’eser-cito USA lo sostituì con lo U-21 Ute, usato anche per laricognizione elettronica, e con il grosso turbo C-12 Huron.Come si vede negli aerei i nomi indiani abbondano. Sisegnalano il Chessna T-41 Mescalero, il Piper PA-23Aztec, il Piper PA 28-140 Cherokee, aerei per tra-sporto leggero, addestramento militare e ci-vile e comunicazioni, il Grumman OV-1Mohawk, usato per l’osservazio-ne tattica e la ricognizioneaerea elettronica diurnae notturna del campo dibattaglia impiegato inVietnam, anche in versionearmata, il Piper PA-31 Navajoe il Navajo Chieftain, aereo leg-gero per trasporto e ricognizio-ne, anche in versione armata, usa-to specialmente in Africa e il PiperPA-34 Seneca, aereo comunicazionimilitari preferito in America Latina. LoUH-1 Iroqois è stato il primo elicottero aturbina in servizio nell’esercito americano:armato di mitragliatrici e razzi è stato utilizza-to in Vietnam per supporto ravvicinato, soprat-tutto per evacuare feriti dalla prima linea. Consi-derato il “cavallo da tiro” del genere ha fatto tutta laguerra in Vietnam, Laos e Cambogia. Lo H-13 Sioux è unelicottero d’addestramento usato in tutto il mondo; noto,ma costoso, lo AH-56 A Cheyenne Lockheed, tanto chegli è spesso stato preferito lo OH-58 Kiowa Bell 206, dettoanche Jet Ranger, usato in Vietnam, con cannone a fuocorapido, missili Stinger aria-aria e missili anticarro. Il CH-47Chinook Boeing-Vertol, elicottero medio da trasporto arotori gemelli, ottimo per il trasporto truppe e materiali, com-presi carri armati e componenti dei missili Pershing e ilrecupero di aerei danneggiati, è stato usato nel Sudestasiatico e nelle Falkland dalla RAF anche in battaglia, perosservazione aerea notturna e assalto notturno; dal 1972è ancora in uso. Un elicottero leggero ancora in uso perl’addestramento è il TH-55A Osage Hughes, mentre loOH-Cayuse Hughes è uno degli elicotteri più piccoli e ve-loci del mondo. Chiamato popolarmente “the Loach”, daLOH (Light Observation Helicopter), è stato usato per os-servazione leggera, ma anche per azioni offensive. IlSikorsky H-19 Chickasaw è entrato in servizio durante laguerra di Corea ed era ancora operativo alla fine degli

Indiani d’acciaio

anni Settanta per il trasporto; esisteva anche in versionearmata con mitragliatrici e razzi ed è stato spiegato inCorea, Indocina, Algeria, ecc. Il Sikorsky H-34 Choctaw,elicottero a uso promiscuo molto diffuso, comprende an-che un tipo costruito in Israele per missioni speciali. Oggil’orgoglio della casa è il nuovo elicottero da combattimen-to Sikorsky UH-60 A Black Hawk.Lo Hughes AH-64 Apache, successore più potente delfamoso Huey Cobra, sviluppo da combattimento dello UH-1H Iroqois, è un gioiello tecnologico pesantemente ar-mato e ha richiesto spese enormi per realizzarlo. La

McDonnell Douglas, in una gara per un elicotte-ro d’attacco avanzato, sviluppò l’Apache nel

1975 come YAH-64 Model 77 e vinse. In se-guito l’Apache venne migliorato e chiamato

AH-64 A. Il nuovo tipo, ulteriormente mi-gliorato, è lo AH-64 D Longbow (Lungo

arco). Mentre le consegne per l’eser-cito americano cominciavano nel

1984, Israele, fin dal 1983, dimo-strò un immediato interesse per

il prototipo, di cui raccomandòdi aumentare le prestazioni

anticarro, e fu il primo pae-se a comprarlo fuori dagli

USA nel 1990. Il secon-do paese avrebbe do-vuto essere il Kuwait,

ma la consegna fu ritar-data a causa dell’invasione

irachena nell’agosto 1990. Oltre chein Libano, l’Apache ha avuto una grandis-

sima importanza nella Guerra del Golfo ed èstato usato a Panama, in Somalia e in altri teatri ope-

rativi. Oggi è dispiegato in Albania.I quattro cacciatorpediniere canadesi della classe Iroquoisfurono commissionati all’inizio degli anni Settanta per laguerra antisommergibili dalla Marina canadese. L’interaclasse è stata sottoposta a revisione sotto il Tribal ClassUpdate and Modernization Project (TRUMP), che la con-vertiva in navi controllo e comando con una significativacapacità di difesa aerea e sistemi d’arma e sensori moltomigliorati, tra cui una rampa missili verticale. La HMCSAlgonquin, che ha per blasone un braccio d’indiano chesorge dal mare stringendo una lancia che infilza un ser-pente, fu la prima ad essere sottoposta a modifiche e fuusata come ammiraglia della Forza Permanente Atlanti-ca del Comando NATO nell’Adriatico, dove la squadraopera in appoggio alla risoluzione ONU per l’ex Jugosla-via. La HMCS Algonquin è stata sostituita di recente dallaHMCS Iroquois, che ha come blasone una testa d’india-no con la classica acconciatura alla moicana. Altre navidella stessa classe sono lo HMCS Huron che si ornadella rosa Tudor e lo HMCS Athabaskan, che sfoggia unindiano delle Pianure a cavallo con casco da guerra efreccia pronta a colpire.

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Gli uomini della squadra telefonica dei choctaw che per prima ebbe l’idea di usare la linguamadre per comunicare senza che il nemico intercettasse i messaggi, fotografati con il loro capita-no durante la campagna della Mosa-Argonne del 1918.

Parata dei Navajo Code Talkers a Gallup, New Mexico, 1997.

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Lorenza Macchion

Durante la Prima Guerra Mondialeservirono quasi 17.000 nativi americanie, relativamente alla popolazione, siarruolarono volontari o venneroarruolati di leva il doppio di indianirispetto al resto degli altri gruppi etnici.Anche se parecchi leader indigenichiedevano a gran voce unità nativeamericane separate e qualche tribù,come gli irochesi, dichiarò guerra allaGermania separatamente dagli USA,l’esercito, su pressione dell’UfficioAffari Indiani, non creò unità indianeufficialmente segregate, anche se alcuneunità lo furono di fatto. Il generale JohnJ. Pershing, comandante della Forza diSpedizione americana, portò in Francia isuoi scout apache, che lo avevanoservito in Messico contro Pancho Villa eli organizzò in una unità scout separata.Anche la compagnia E del 142mo

fanteria era esclusivamente indiana eparecchie altre unità, come il 138mo

fanteria, avevano un gran numero disoldati indiani.Il 18 ottobre 1918 il colonnelloA.W.Bloor, comandante del 142mo

fanteria sentì parlare due soldati choctawe chiese quanti ce n’erano nel battaglio-ne. Dato che il 142mo stava occupandodelle case e delle trincee coperte da pocoabbandonate dai tedeschi, gli americani

temevano che qualsiasi trasmissionetelefonica decifrabile potesse essereintercettata. Gli ufficiali perciò mandaro-no a chiamare i choctaw eciò portò al primo nucleooriginale di Code Talkers,cioè trasmettitori incodice, con i sedicichoctaw della 36ma

divisione dell’esercito.Il tenente Black, unufficiale di collegamento,e il tenente Ben Cloud, uncheyenne del norddistaccato presso la 41ma

divisione, diresserol’addestramento. Uno deiloro principali problemiera costituito dal fatto chei vocabolari indiani ditermini militari modernierano insufficienti.Molte lingue indianesono olofrastiche(esprimono una solafrase o un’espressionecon una sola parola) opolisintetiche (combinanoparecchie parole di unafrase in una sola parola),il che rendeva difficiletradurre direttamentel’inglese in una linguaindiana. La difficoltà

Oltre che come scout, i soldati indiani divennerofamosi nel servizio trasmissioni dove utilizzaronole loro lingue per scambiare informazioni che ilnemico non riuscì mai a decodificare.

Code Talkers

Codici mai infranti

venne superata sostituendo i terminimilitari con espressioni indiane. Peresempio, traducevano Terzo Battaglione

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con “tre grani di mais”, si riferivano allamitragliatrice come al “piccolo fucileche spara veloce”, ai morti come a“scalpi” e a un attacco con i gas come ad“aria cattiva”. Anche se l’uso dei nativiamericani come telefonisti non eradiffuso, varie unità utilizzarono questatattica durante gli ultimi due mesi diguerra e, oltre ai choctaw, servironocome Code Talkers anche i comanche,gli osage, i cheyenne e i sioux.Anche se il contributo dei Code Talkersrestò segreto per molto tempo, neglianni Settanta il presidente Nixon inviò alpresidente tribale navajo Peter Mc

Donald una lettera in cui riconosceva illoro contributo durante la SecondaGuerra Mondiale e, nel 1989, il governofrancese decorò i Code Talkers coman-che e choctaw con il Cavalieratodell’Ordine Nazionale al Merito. Dopola Prima Guerra Mondiale i tedeschiinviarono degli studiosi in America perstudiare le lingue indiane, consapevolidel loro utilizzo in guerra. Dato chemolte lingue, compreso il choctaw, aquel tempo avevano forma scritta, itedeschi poterono impararle con facilitàe impedire il loro uso nella SecondaGuerra Mondiale. Ma il comanche e il

navajo erano ancora solo orali in quelperiodo e, degli allora 50.000 parlantinavajo, solo circa 50 erano non indiani,per lo più missionari americani. Perquesto motivo gli americani cominciaro-no a reclutare indiani come CodeTalkers durante la Seconda GuerraMondiale. Bob Craig, di Window Rock,la capitale tribale della riserva navajo,racconta come ventinove navajovennero arruolati nei marines e svilup-parono un codice di 413 nomi codificatie una lista di parole navajo che rappre-sentavano ogni lettera dell’alfabeto. Nel1943 i reclutatori giunsero alla scuolaindiana di Craig ed egli, a diciannoveanni, diventò membro del primo plotonetotalmente navajo. Vennero addestrati aSan Diego e poi inviati alle Hawaii e aIwo Jima, anche se nessuno tra i marinessapeva esattamente il motivo della loroesistenza. I Code Talkers navajoservirono solo sul teatro del Pacifico.«Sentivo un messaggio in inglese, poi ilcodice navajo e lo scrivevo. Per “roger”(conclusione) usavamo la parola navajoper “coniglio” dicendo “il coniglio èandato da quella parte”». La parola per“nemico” era “antilope”. Craig venneferito e in seguito decorato con il Cuoredi Porpora. Dei quattrocentocinquantaCode Talkers utilizzati contro i giappo-nesi dieci furono uccisi e parecchiferiti; attualmente ne sopravvive forseun terzo.Altra lingua usata durante la SecondaGuerra Mondiale era il comanche:Charles Cibitty è uno dei comanchesopravvissuti, che sviluppò un codicecomanche a Fort Benning e venne poiaddestrato in Inghilterra. Alcune paroleerano difficili: “mitragliatrice” vennereso con “fucile macchina da cucire”,perché ricordava quel suono a uno diloro. Il carro armato tedesco Tigre futradotto con “tartaruga tigre” perché hauna corazzatura e si muove, il bombar-diere della Luftwaffe diventò “aeroplanoincinto” perché a uno dei comanchericordava un pescegatto pieno di uova.Dopo averli puniti per anni a scuola peraver parlato la propria lingua, finalmentedurante la guerra lo Zio Sam si accorseche le lingue indiane avevano un valore.

Uno dei famosi 420 Marine Navajo Code Talkers, che servirono sul fronte del Pacificodurante la Seconda Guerra Mondiale. Il navajo era all’epoca parlato solo da 50 personeal di fuori della riserva e i giapponesi non spezzarono mai il codice.

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N° 16

Pierre Bricou

Il primo anno di arruolamento degliindiani come soldati regolari fu unsuccesso. Per la fine di giugno 1891 sierano arruolati oltre quattrocentouomini, quasi tutti provenienti daiDipartimenti del Dakota e del Platte. Isoldati sioux brulé dello squadrone L,Sesto Cavalleria, sfogarono la loroeccitazione cantando per tutto ilpercorso fino a Fort Niobrara, Nebra-ska, dove dovevano ricevere l’addestra-mento. Questo avveniva poco dopo ilmassacro della banda di siouxminiconjou di Piede Grosso a WoundedKnee, riserva oglala di Pine Ridge,South Dakota, nel gennaio 1890.Nell’ottobre 1892 lo squadrone Lfaceva bella mostra di sé all’EsposizioneMondiale Colombiana di Chicago;tuttavia alla fine del 1893 il programmavenne dichiarato un fallimento eterminato. All’inizio della guerraispano-americana del 1898 gli indianivennero nuovamente arruolati, in unitàsegregate, e furono inviati oltremare, inunità integrate, in Asia, durante laRivoluzione Filippina (1898-1902) e laRibellione dei Boxer in Cina (1900). La

Rivoluzione messicana, iniziata nel1910, stimolò ulteriormente la discussio-ne sull’uso di soldati indiani americani.Il raid di Pancho Villa in New Mexicoprovocò la spedizione punitiva delgenerale Pershing, con i Pershing’s Pets(Cagnolini di Pershing), gli scout apachedella compagnia A di Fort Apache,Arizona, che dovevano poi accompa-gnare il generale anche in Francia,quando questi fu nominato capo delCorpo di spedizione americano. Oltre ai

Pershing’s Pets apache, altri indianiaccorsero ad arruolarsi per combatterelungo il confine messicano in unità siasegregate che integrate.Il dibattito sull’integrazione o menodegli indiani nell’esercito americano siripropose nel 1917. I “segregazionisti”erano in gran parte filantropi preoccupatiper la razza indiana “morente”, ma vierano tra loro anche il famoso antropo-logo indiano omaha, Francis LaFleshe, egli irochesi, che dichiararono guerra alla

Gli indiani combatterono nelle trincee e sostenne-ro economicamente il fronte interno, patrioti di unpaese di cui molti non erano nemmeno cittadini.

Sui verdi campi di Francia

Prima guerra mondiale

Il generale francese Foch viene presen-tato al capo crow Plenty Coup nel no-vembre del 1921, poco prima della ceri-monia di adozione di Foch da parte del-la tribù crow.

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HAKOMAGAZINEGermania in modo indipendente, comedimostrazione di sovranità.Anche la maggior parte degli “integra-zionisti” proveniva dalle file degliuomini di buona volontà, ma il ministrodella guerra era probabilmente piùinteressato all’efficienza militare. Traquesti si distinsero i due influenticommissari per gli affari indiani FrancisL. Leupp e Cato Sells, il capitano Pratt,fondatore della famosa Carlisle IndianSchool e Hugh L. Scott, che avevacomandato i soldati indiani dellosquadrone L, Settimo Cavalleria a FortSill negli anni 1890. Scott esprimevaidee sull’integrazione condivise dallamaggior parte dei bianchi americani:«Questa volta non ci dovrebbero esserereggimenti polacchi, armeni o russi,come nella Guerra di Secessione; niente“combattuto mit Siegel”, niente Figli diGaribaldi; niente tranne truppe america-ne omogenee. Le organizzazioniseparate negre non si possono evitare»(Camurat, 1996). Scott era stato anchequello che, al comando di truppe dicolore, nel 1911 aveva arrestatosettantadue bambini hopi portandoliforzosamente al collegio di KeamsCanyon durante la campagna per lascolarizzazione indiana.La Società degli Indiani Americani(SAI), la prima organizzazione panin-diana, tra i cui membri più influentic’erano il seneca Arthur Parker, la siouxGertrude Bonnin Zitkala-Sa e il siouxCharles Eastman, si schierò apertamenteper l’integrazione e la partecipazioneindiana alla guerra, per dimostrare ilpatriottismo indiano, come sostegno allarichiesta di allargamentodella cittadinanza ancheagli indiani. Alla fine ilministro della guerraBaker optò per l’integra-zione indiana, mentre gliafro-americani restaronosegregati, anche sealcune unità furono difatto composte solo daindiani, in particolarequelle che provenivanodall’Oklahoma, chefornirono il maggior

contingente con 5.000-6.000 uomini. Ilakota sioux, che nel 1917 rappresenta-vano una porzione importante dellapopolazione del South Dakota, formaro-no delle unità in gran parte lakota.Secondo il Selective Service Act del 18maggio 1917 solo i maschi tra i 21 e i 30anni che erano cittadini o avevanodichiarato l’intenzione di diventarloerano passibili di leva, ma sembra chiaroche molti indiani furono arruolatiillegalmente, il che fece nascere degliincidenti. Questo è il tema centrale di unfamoso racconto dello scrittore acomaSimon Ortiz, “Kaiser e la guerra”, doveKaiser era il soprannome di un indianoacoma fuggito tra le colline per evitare laleva e poi finito in prigione. Le famigliee indiani influenti come Carlos Monte-zuma cercarono di opporsi, ma ilBureau of Indian Affairs trascinò le cosefino alla fine della guerra e non investi-gò mai seriamente sulla legalità degliarresti. Un paio di incidenti seri avven-nero con alcuni gruppi navajo, gli ute e igosiute, che protestarono in massacontro l’obbligo di iscriversi nei registridi leva per una possibile chiamata,mentre circa duecento creek uccisero treagricoltori bianchi per protesta controarruolamenti avvenuti. La rivolta venneconsiderata un esempio del “sistematicouso della propaganda filo-tedesca tra letribù indiane” e non un esempio dellacialtroneria governativa.Gli indiani, nel complesso, però,parteciparono con entusiasmo allosforzo bellico, sia al fronte che in patria,a dimostrazione di come un secolo dipolitiche assimilazioniste avessero

lasciato il segno, compreso negliorgogliosi irochesi che combatteronocome “alleati” per l’esercito americanocontro soldati tedeschi che non liminacciavano minimamente.Le cifre sul numero di soldati indianinella Prima Guerra Mondiale varianomolto nelle fonti: dai 5.000 ai 17.000uomini, tra truppe combattenti e militariin patria. Almeno il 50% erano volontarie rappresentavano dal 20 al 30 % deimaschi indiani (contro il 15% deimaschi adulti americani). Tuttavia solo2.000-4.000 di loro, secondo RussellBarsh (1994, in Camurat 1996) andaro-no a combattere in Francia, cioè dal 15al 30%. La proporzione di morti indianiappare essere la più alta del Corpo diSpedizione americano, il 5% control’1% complessivo; essi però morironosoprattutto di malattia, in particolare acausa della famigerata epidemia diinfluenza, detta “spagnola”, del 1918-1919.La motivazione principale degli indianiche si arruolavano era il patriottismo, inparticolare per quelli che vivevano più acontatto con i bianchi o erano statieducati nei collegi indiani, che miravanoa fare dei propri studenti soprattutto deibuoni cittadini americani e, secondol’uso del tempo, davano ai maschiun’educazione di tipo militare. Ma ilcaso del sergente Otis W. Leader, unallevatore di bestiame choctaw dell’Ok-lahoma, che sarà scelto dal governofrancese per servire da modello per iltipico soldato americano in un dipinto diDewarreux, era diverso. Si era arruolatoperché aveva cominciato a spargersi la

La Pompelle: attacco te-desco del 15 luglio 1918,il carro armato tedesco“Lotte” arenato di frontealla prima linea tedesca.

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N° 16voce, nell’isteria del tempo, che era unaspia tedesca e l’unico modo che avevapensato per smentirla era stato arruolarsie dimostrare la sua lealtà patriottica.Come molti altri, anche i soldati indianifecero la loro parte e guadagnarono leloro medaglie. Molti ricevettero la Croixde Guerre francese; tra questi l’indianopiù decorato, il choctaw Joseph Okla-hombi, che servì con la Compagnia D,141mo reggimento di fanteria, 36ma

Divisione, ottenne la Croce dallo stessoMaresciallo Pétain. «Mentre combattevanel settore di St. Etienne, Oklahombi(che la stampa trattò come l’equivalenteindiano di Alvin York) ottenne la Crocedi Guerra francese per servizio straordi-nario. “Sotto violento fuoco di sbarra-mento si precipitava all’attacco dellaposizione nemica, coprendo circa 180metri di filo spinato. Si gettava contro inidi di mitragliatrici, catturando 171prigionieri”. Oklahombi secondo irapporti aveva battuto una forte posizio-ne contenente più di cinquanta mitra-gliatrici e un certo numero di mortai datrincea e, voltate le armi contro ilnemico, tenne la posizione per quattrogiorni. Forse stava solo tentando di fareonore al suo nome: in lingua choctawOklahombi significa “l’Uccisore”»(Britten, 1997:81). Dopo la guerra eglitornò a casa in Oklahoma; «analfabeta eincapace di trovare lavoro, l’eroe diguerra cominciò a bere e diventò prestoun barbone. Infine trovò un lavoro chepagava due dollari al giorno per caricarelegname da una locale azienda dicarbone e legname ma, nel 1932, era dinuovo disoccupato e cercava di ottenereuna pensione per veterani (circa 12dollari al mese) per campare» (Britten1997:166).Sul fronte interno nell’ottobre 1917 gliindiani avevano già sottoscritto la primaemissione di Liberty Bonds per oltrequattro milioni e mezzo di dollari, di cuioltre l’80% comprati da solo sessanta-sette indiani, mentre il contributoindividuale variava da 50 $ a 640.000 $.Tra i sottoscrittori c’erano la vedova e ifigli di Geronimo e il figlio di Victorio.Gli indiani comprarono anche leobbligazioni della seconda e terzaemissione per oltre quattro milioni didollari ogni volta. A questi si devonoaggiungere gli almeno quindici milionidi dollari acquistati dagli indiani fuoririserva (Camurat, 1996). Per la fine

della guerra i nativi americani avevanocomprato circa venticinque milioni didollari di Liberty Bonds, all’interesse del4%, che erano diventati un evidentestatus symbol e prova di patriottismo.Membri delle Cinque Tribù dell’Ok-lahoma contavano per circa la metàdell’investimento, acquistando10.250.000 $ di Bonds e 986.300 $ dibolli di guerra (Britten, 1997). Tra gliacquirenti si distinsero le donne,sfatando così alcuni stereotipi sulledifferenze di genere. Molti indiani, tracui un certo numero vestito da indianodelle Pianure, come Chief Eagle Horse,nativo dell’Alaska, secondo lo stereotipocorrente, giravano per il paese perconvincere i giovani americani, non soloindiani, ad arruolarsi. Gli indiani diederoun contributo attivo anche alla CroceRossa - in particolare le donne - e,soprattutto all’aumento di produttivitàagricola. È interessante notare che,mentre alcune tribù, come i pueblo del

Sudovest, restarono quasi indifferenti, ilmaggior sfoggio di patriottismo vennedimostrato dagli indiani delle Pianure edell’Oklahoma (Britten, 1997).Mentre il simbolo dell’indiano diventa-va, nelle insegne e nei graffiti dei soldatidel Corpo di Spedizione, un segno diamericanità, gli “unni”, cioè i tedeschi, ei nativi americani erano accomunatinella stessa categoria del “selvaggio”,con la differenza che questa volta gliindiani erano i “buoni”. Un BuonSelvaggio che veniva apprezzato per viadello stereotipo del “guerriero” e che,contemporaneamente e in evidentecontraddizione, la guerra “civilizzatrice”trasformava, in un rito di passaggio,insieme agli immigrati arruolati (unoogni cinque) in cittadino americano opossibile tale, rispettoso delle leggi.Tuttavia, secondo Russell Barsh, «lamaggioranza dei veterani che in seguitodiventarono attivisti politici nelle lororiserve e che vennero coinvolti nelle

Poster pubblicitario emesso dal Governo USA per vendere “francobolli diguerra” in appoggio allo sforzo bellico durante la I Guerra Mondiale.

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discussioni sull’Indian ReorganizationAct all’inizio degli anni Trenta, eranoveterani che non avevano combattuto inFrancia. Avevano beneficiato dell’espe-rienza di integrazione nell’esercito ederano tornati con la volontà di essererispettati come esseri umani e lottaronoper ottenere questo rispetto. Al contra-rio, i veterani che combatterono inFrancia non diventarono, sembra, degliattivisti al loro ritorno. La loro esperien-za al fronte, oltre alla difficoltà diadattamento al ritorno a casa, semplice-mente li distrusse» (Camurat, 1996).Dopo aver combattuto due anni per lademocrazia e la libertà, i soldatitornarono in America e, dopo la positivaesperienza sperimentata in Francia nellerelazioni razziali con i francesi, sitrovarono in una situazione di grandetensione. Gli afro-americani furonoquelli che soffrirono di più: l’emigrazio-ne accelerata verso il nord industriale incerca di lavoro aumentò il razzismo efece gonfiare a dismisura il Ku KluxKlan. Tra il 1914 e il 1920 vennerolinciati trecentottantadue afro-america-ni, tra cui alcuni soldati. Benché menotragico, anche il ritorno dei soldati nativiamericani fu duro: estraniati dallapropria società da un’esperienza terribile

e non condivisibile, trovarono in riservauna situazione economica e sanitaria apezzi, dopo tre anni di tagli al bilanciodel Servizio Indiano. Nonostante ilgeneroso contributo finanziario allaguerra, alla fine del 1918 gli indiani sitrovarono più poveri di prima. Gli altiprezzi dei prodotti agricoli avevanostimolato un nuovo interesse per le terreindiane; molti agricoltori e allevatoribianchi avevano affittato le terre miglioridelle riserve spesso in collusione con gliagenti indiani e, dopo un’ulteriore spintaalla lottizzazione, in parte le avevanoacquistate dai proprietari indianiincapaci di far fronte alle tasse e allamancanza di attrezzature agricoleadeguate e di credito. Così gli indianidiventarono in buona parte gente senzaterra in casa propria. Il servizio sanitarioindiano era stato devastato dallamancanza di personale, la tubercolosiera virulenta e la “spagnola” domandòun prezzo molto alto in termini di viteumane.Alla fine la partecipazione indiana allaGrande Guerra sembrò l’ultima provasuperata per ottenere la cittadinanza. Inrealtà nel 1917 vi erano già molti indianiche avevano ottenuto la cittadinanza invirtù del Dawes Act del 1887 e del

Burke Act del 1906. Nel 1901 allo scopodi ottenere la possibilità di diventarestato per l’Oklahoma, il Congressoaveva decretato che ogni nativoamericano residente nel TerritorioIndiano era cittadino. Circa 130.000indiani erano già cittadini nel 1917; nel1919 un Atto del Congresso garantivapiena cittadinanza ai nativi americaniche avevano servito nella GrandeGuerra se non lo erano ancora. Cosìalmeno due terzi degli indiani eranocittadini quando l’Indian Citizenship(Snyder) Act del 1924 garantì lacittadinanza a tutti gli indiani degli StatiUniti, un evento che forse fu acceleratodalla partecipazione alla Grande Guerra,ma che era in realtà la conclusionelogica di almeno trent’anni di politicaufficiale. Gli irochesi rifiutarono lacittadinanza, sostenendo che l’Atto eraincostituzionale e che loro apparteneva-no già a una nazione sovrana.L’11 novembre 1921 per la consacrazio-ne della tomba del Soldato Ignoto alcimitero di Arlington venne scelto ilcapo crow Molti Trofei (Plenty Coups)per rappresentare i nativi americani; eglidonò un copricapo di piume e unbastone dei colpi. Sempre nel 1921 ilMaresciallo francese Foch in visita

Mostra fotografica organizzata a Parigi dal governo canadese dove venne esposta la “più grande fotografia della più grandeguerra della storia” che ritraeva la battaglia di Valmy ove morirono 3.000 uomini. Il soldato a destra indica se stesso all’ufficia-le: per l’esibizione ai sopravvissuti fu concessa una licenza.

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Bibliografia essenzialeCamurat D., American Indians in the GreatWar: Real and Imagined, dissertation ahttp://raven.cc.ukans.edu/~kansite/ww-one/comment/Cmrts.html; Barsh, R.L., Ameri-can Indians in the Great War, Ethnohistory 38(Summer 1991); Densmore, F., The Songs ofIndian Soldiers during the World War, Musi-cal Quarterly 20 (October 1924); Britten, T.,American Indians in World War I, Albuquer-que, NM, 1997.

espresse il desiderio di visitare gliindiani delle Pianure, e ottenne ben duenomi indiani: Tuono che Carica(Charging Thunder) e Napoleone deiNapoleoni, un copricapo di penne e unacamicia da guerra, consacrando cosìl’immagine dell’indiano come eroicoguerriero delle Pianure. Dopo la guerra,con lo sviluppo del movimento panin-diano, il costume delle Pianure divennesimbolo indiscusso di identità: è duro“dover giocare agli indiani per essereindiani”, affermò il seneca ArthurParker, presidente della Società degliIndiani Americani.Nel 1882 il ministro degli interni Telleraveva proibito le vecchie danze“pagane”, come la danza del sole, delloscalpo ecc. Tuttavia le autorità chiuseroentrambi gli occhi in occasione delledanze in onore dei veterani.«Myrtle Lincoln, una arapaho e BirdieBurns, una cheyenne, parteciparonoentrambe a danze tradizionali durante edopo la guerra. La Lincoln partecipò auna danza dello scalpo, o della vittoria,tenuta nel 1919 in onore dei veterani diCanton, Oklahoma. Un giovaneveterano cheyenne portò con sé perl’occasione un vero scalpo tedesco»(Britten 1997). La madre di un pawnee,in un’altra località, si accontentò diesporre come uno scalpo su un palo unelmetto e un coltello tedeschi. Nel 1921il Commissario Burke, pur proibendo ledanze “oscene” e “immorali” , inviò unacircolare agli agenti indiani perchépermettessero le danze della vittoria, cheattiravano anche i patriottici vicinibianchi. A nessuno venne in mente chel’esibizione di scalpi degli “unni”potesse costituire un’atrocità e uncrimine di guerra secondo gli standardeuropei.

Molte parole legate agli indiani sono entrate nell’uso corrente: la danzadi guerra, da fare prima della battaglia, entra nell’inglese nel 1711 e diqui nelle altre lingue, denotando quelle danze fatte prima di un’impor-tante partita di calcio o altri avvenimenti sportivi, specialmente negli USA.Anche la pittura di guerra è passata a un uso più innocuo, indicandoscherzosamente il trucco femminile. Grande Capo e sachem, capotribù,sono usati rispettivamente negli affari il primo e il secondo in politica,riferito a qualche “capobastone” dei partiti americani. Fumare o passarela pipa della pace e seppellire l’ascia di guerra sono metafore, primamilitari e poi civili, per porre fine alle ostilità.All’inizio della colonia l’America era coperta di fitte foreste e gli esplora-tori precedevano le truppe segnalando il sentiero migliore tagliando deipezzi di corteccia dai tronchi. Questa operazione era chiamata aprire lapista e oggi il termine si può usare in senso proprio, per viaggiatori esportivi, e figurato. Nelle foreste americane i guerrieri indiani cancellava-no le orme per non far scoprire il numero degli scorridori: quest’ordine dimarcia è il camminare in fila indiana. Andare sul sentiero di guerra èun’espressione usata per la prima volta da James Fenimore Cooper nelromanzo The Deerslayer ed è usato in senso figurato fin dal XIX secolo.Gli inglesi e i francesi hanno dato i nomi di due tribù indiane alle gang distrada. Gli inglesi chiamarono Mohocs (dagli irochesi mohawks) nellaprima metà del Settecento gruppi di teppisti spesso guidati da aristocra-tici rinnegati che prendevano a bastonate chi di notte si avventurava perle vie di Londra. Nel 1900 le gang delle strade di Parigi furono chiamateapache. Negli anni Venti il termine fu esteso ai Ballerini Apache che,vestiti da teppisti parigini, strapazzavano la partner durante lo spettacolo.La parola scalpo, in senso figurato riferito ai critici letterari, che amereb-bero prendere quello dei malcapitati autori, è usata fin dal 1759 e cosìprendere lo scalpo, mentre il ticket scalper (lo scotennatore di biglietti) èil nostro bagarino. Il ciuffo dello scalpo, un’acconciatura che sfidava inemici, è diventato più prosaicamente un simbolo di sfida ai genitori e aibenpensanti da parte dei punk o, più docilmente, di certi studenti dellesuperiori con un taglio alla moicana (mohawk haircut in inglese). Infine iltomahawk, un’accetta (da cui seppellire o disseppellire l’ascia), usatanon solo in guerra ma anche in agricoltura, oggi è ricordato soprattuttocome arma e dagli anni 1990, esiste nel termine slang tomahawk chop,il colpo di tomahawk, una finta danza di guerra dei tifosi americani chegli indiani moderni trovano offensiva perché secondo loro si fa beffe deiloro sacri rituali, ma che i loro antenati avrebbero trovato naturale primadi una gara come rito propiziatorio.

Parole di guerra

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Keith Thor Carlson

I soldati indiani hanno giocato un ruolosignificativo nella storia militarecanadese per oltre duecento anni. NelSettecento e nell’Ottocento gli indianidell’attuale Canada orientale agironospesso come alleati degli inglesi contro ifrancesi e viceversa. Parteciparono aiconflitti non perché erano interessatiall’origine europea della causa o lacomprendevano, ma perché gli interessidei governi inglesi o francesi eranoparalleli o complementari ai loro. Molticonoscono la storia di come gli irochesiparteggiarono per gli inglesi contro ifrancesi nel Quebec durante gli anni1760. Molti di più, senza dubbio, hannosentito la storia di come il famoso leaderTecumseh unì le tribù dell’alto Missis-sippi e della regione dei Grandi Laghiper combattere come alleato degliinglesi contro gli americani nella guerradel 1812, perché gli inglesi nonincoraggiavano i coloni a trasferirsinelle aree usate dagli indiani e daimercanti di pellicce. Gli inglesi divenne-ro un alleato conveniente, anche setemporaneo, finché i loro interessicoincisero con quelli di Tecumseh edella sua gente. Alleanze simili furonoformate tra varie comunità indigene e ifrancesi, gli spagnoli, i russi e, inseguito, i governi americano e canadese,in tempi diversi in varie parti del

continente. Dopo il 1812 il significatodegli alleati indiani per le disputepolitiche e militari in Nordamericadeclinò. Confini internazionali attenta-mente definiti ridussero il bisogno dialleati indiani. Inoltre, il rapido declinodella popolazione indigena, prodotto inprimo luogo dalle malattie e dallacontemporanea esplosione dellapopolazione immigrata, ridusse la forzamilitare relativa delle comunità indiane afronte delle potenze europee. Lalegislazione britannica, canadese eamericana minò quindi l’unità tribale,rendendo le comunità indigene menopotenti e perciò meno valide comealleati (o pericolose come nemici). Coltempo quegli indiani che decidevano dipartecipare alle iniziative militariamericane o canadesi, lo fecero semprepiù come individui che come membri diuna comunità indigena autonomaalleata.I soldati indiani che scelsero di parteci-pare come individui alla Prima e allaSeconda Guerra Mondiale lo fecero perragioni spesso incomprese dalla societàcanadese. La Prima Guerra Mondialestabilì un certo numero di precedenti cheriguardavano il coinvolgimento degliindiani nell’esercito canadese. Durantela prima metà della Grande Guerra ilgoverno canadese si rifiutò di accettarevolontari indiani. La giustificazioneufficiale era basata sull’idea paternalista

che gli indiani dovevano essere protettidal “selvaggio” esercito tedesco. A queltempo il governo aveva deciso che itedeschi avevano un tale disprezzo per i“non bianchi”, che non ci si dovevafidare che concedessero ai prigionieri diguerra indiani tutti i “privilegi dellaguerra civilizzata”. In seguito, quando lamancanza di soldati divenne critica, taliscrupoli vennero messi da parte e ivolontari indiani accettati nei centri direclutamento. Tuttavia, mentre gli altricanadesi erano sottoposti alla levaobbligatoria, agli indiani era lasciatal’opzione volontaria. Il Parlamentodecise che, in quanto “sotto tutela delgoverno”, gli indiani non dovevanoessere obbligati a combattere oltremare.Dato questo precedente, all’inizio dellaSeconda Guerra Mondiale il governointendeva proseguire ad esentare gliindiani dalla leva. Comunque, quandovenne dichiarata guerra ai nazisti nel1939, pochi politici pensarono aglieffetti che la guerra avrebbe avuto sugliindiani, dato che tutta l’attenzione erarivolta alla “grossa questione” dellasconfitta del fascismo. Nell’agosto 1940il Parlamento approvò l’Atto di Mobili-tazione Nazionale, che obbligava tutti icanadesi adulti a registrarsi per unapossibile coscrizione, per conoscere lerisorse umane del paese. Dati i prece-denti della Grande Guerra, gli indianifurono i soli esentati, ma sembra che una

La straordinaria storia dei soldati stò:lo, militariper forza in guerra e militanti politici in pace.

Soldati stó:lo, veterani stó:lo

Esercito canadese

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N° 16parte dell’amministrazione non sapessecosa facesse l’altra, all’epoca della leggesulla mobilitazione, perché il governoapprovò una legge che rendeva illegalepagare i lavoratori che non producesserola “carta di registrazione” dell’Atto diMobilitazione. La registrazione obbliga-va anche a un mese di addestramento dibase nelle truppe territoriali. Così ilavoratori indiani non potevanopercepire il salario a meno che non siregistrassero per la leva. Molti protesta-rono, ottenendo da Ottawa la dichiara-zione di esenzione, ma per ragioniignote questa informazione nonraggiunse mai in modoadeguato la polizia o i datoridi lavoro e molti indianipersero il lavoro e furonoarrestati.Rispondendo alleproteste, il governodecise che era piùsemplice “registrare”gli indiani in modoche potesserocontinuare a lavoraree li rassicuròsull’esenzionedall’addestramentomilitare obbligatorioterritoriale di un meseo nell’esercito.Comunque, il messag-gio venne ancoracomunicato in modoinefficace alle comunitàe agli agenti indiani equindi, per il 1941, moltiindiani erano stati obbligatiall’addestramento di un mese.Il governo decise di raddrizzareil torto obbligando anche tutti glialtri indiani a fare l’addestramento,mentre nel gennaio 1941 estendeva ilperiodo da uno a quattro mesi. Dopo diciò gli indiani divennero automatica-mente parte della Home Service Militia.Alla fine del 1942 il governo si rimangiòle promesse e legiferò la leva obbligato-ria per gli indiani, che si trovarono cosìdisponibili per combattere oltremare.Molte comunità protestarono e unindiano del Quebec, Shortfence, fececausa al governo, sostenendo che la levadoveva escludere i non cittadini comelui. Gli avvocati del governo sostenneroche, mentre gli indiani non eranopienamente cittadini, erano “sudditi”

della Corona e quindi con obbligo dileva. Alla fine il tribunale decise chesarebbero stati esclusi quegli indiani icui trattati li esentavano esplicitamente.In questo modo, tutti gli indiani deiTrattati 3, 6, 8 e 11, cioè di gran partedell’Ontario e delle Province dellePraterie, furono esentati, mentre per glialtri si concluse che avevano cedutoogni diritto speciale al governo tramitetrattato.

È interessante notare che le comunitàindiane della Columbia Britannica, chenon avevano mai firmato trattati, nonvennero nominate. Dato che nonavevano mai firmato trattati, i popoliindigeni della Columbia Britannica nonavevano neanche alienato i propri titoli odiritti e quindi, secondo la sentenza, non

avrebbero dovuto essere inclusi nellaleva. Tuttavia ciò non avvenne, anche acausa del fatto che, fin dal 1927,l’ Indian Act proibiva agli avvocati diessere assunti da persone o associazioniindiane su questioni concernenti titoli ediritti indigeni. (La legge venne abolitanel 1951, soprattutto a causa dellamilitanza dei veterani indiani).Fino al 1943 la Marina Reale Canadeseaccettava solo persone che fossero di“pura discendenza europea e razzabianca”; la mescolanza razziale a bordonon era gradita. Anche se questa

politica venne ufficialmente abolitanel 1941, restò una regola non

scritta che gli indiani nonfossero bene accetti in

nessuna arma trannel’esercito. Il veterano stó:loWes Sam diceva chequando si arruolò volevaentrare nei mitraglierid’aereo, perché moltisuoi amici bianchi loerano, ma fu respinto.«Così tentai attraversola porta posterioreandai a Vancouver. Midissero di tentare conl’esercito. Lo feci el’esercito mi accettòcosì in fretta che nonpotei neanche tornare acasa a vedere la famiglia.

Subito in caserma». Ilmotivo era che nell’esercito

si moriva o si era feriti moltopiù facilmente che in marina

o in aviazione.Durante la Seconda Guerra

Mondiale servirono nell’esercitocanadese più di cento stó:lo e

almeno una donna. Alcuni veteranistò:lo come Charlie Fisher ricordano di

essersi arruolati perché «non riuscivo atrovare lavoro e avevo bisogno dilavorare per nutrire mia moglie e miofiglio». Più spesso, i veterani stó:lodicevano che veniva loro fatto credereche, se non fossero andati volontari,sarebbero stati coscritti inevitabilmente.Era anche detto loro che i volontariavevano migliori opzioni degli altri; inaltre parole, non sapevano di essereprivati di un loro diritto. Altri ricordanodi essere stati attirati da raccontiaccattivanti che descrivevano la vitamilitare, in particolare in Europa, come

Arold Wells, veterano stó:lo della Se-conda Guerra Mondiale.

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una “vita senza razzismo”. Tali storieerano particolarmente efficaci su giovanicresciuti in un ambiente razzista edebbero grande influenza sull’attivitàpolitica dei veterani: «Quei soldati stó:loriportarono le loro esperienze europee. Equando il governo cambiò la legge,concedendo ai nativi la cittadinanza nel1951, fu a causa di questi veterani.Perché gli stó:lo ordinari non sapevanodi essere poveri, non sapevano di esseretrattati ingiustamente, non sapevano diessere discriminati. Quando non saiqueste cose impari ad accettarle.Quando uscivi dal Canada e andavi inEuropa, era un’esperienza completa-mente diversa per un indiano. …Erava-mo trattati come chiunque, uguali a tuttigli altri con le stellette canadesi. … Alritorno i veterani cominciavano araccontare … la storia di quanto fossemeravigliosa la vita là …Così era unanuova visione della vita…».Tutti i veterani avevano il diritto a certibenefici alla fine della guerra, tra cuil’assistenza economica per l’istruzione el’addestramento professionale, l’assicu-razione sulla vita a buon mercato, un

prestito di 6.000 dollari per acquistareuna proprietà e un assegno di 2.320dollari per l’acquisto di attrezzatureagricole o per la pesca. Anche se iveterani avrebbero dovuto venireinformati, gli stó:lo non godettero mai diquei diritti. Pare, infatti, che dopo laguerra essi divennero vittime dellarivalità tra il Dipartimento degli AffariIndiani e il Dipartimento Affari deiVeterani. Gli Affari Indiani ottennero dalgoverno il monopolio dei programmiper i nativi e la responsabilità diinformarli sui benefici cadde sull’agenteindiano. Quello degli stó:lo non sentìmai questa come una priorità. I veteranistó:lo si erano aspettati di veder applicatial loro ritorno i nobili principi per cuiavevano combattuto in Europa, mavennero amaramente delusi. Unveterano stó:lo cercò di essere assuntocome caposquadra delle ferrovie, manon poté ottenere il posto, anche se lostesso datore di lavoro riteneva che ilservizio militare lo qualificava per quelposto, perché «i bianchi semplicementenon lavorano per un indiano». Egli siconvinse anche a rinunciare al suo status

di indiano per diventare cittadinocanadese a tutti gli effetti e si trasferì inun quartiere urbano a predominanza“bianca”. Qui scoprì che l’esserecittadino e veterano non gli procuravatutti i benefici sociali di un’egualecittadinanza. Gli fu detto che la presenzadella sua famiglia abbassava il valoredelle case e, quando cercò di tornare inriserva, l’agente, in base all’Indian Actantecedente al 1951, lo informò che ai“non indiani” non era permessorisiedere. Così andò ad abitare in unabaracca ai margini della città con lafamiglia.Molti veterani stó:lo si trovaronoostracizzati al ritorno dai membri delloro villaggio, perché questi ultimiritenevano che avessero rinunciato allaloro cultura entrando nell’esercito,tentando di “diventare bianchi”. «Nonpiacevamo perché eravamo sistematici eriflessivi. L’esercito ci aveva addestratoa pensare criticamente e ad accettare ladisciplina». È da notare che nelleinterviste nessun veterano stó:lo ha dettodi essersi arruolato perché si vedevacome “guerriero” o voleva diventare un

Veterani stó:lo della Seconda Guerra Mondiale alle cerimonie del Giorno della Rimembranza del 1993.

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N° 16“guerriero”. Nella società stó:lo lepersone più rispettate sono note comesìya’:m, che per definizione sono saggi egentili. Tradizionalmente il ricorso allaviolenza è l’ultima risorsa dopo ilfallimento di ogni altro mezzo e anchein quel caso tende ad essere più difensi-va che offensiva. Ilsìnya’:m è il diplomatico,mentre il guerriero èchiamato stòmex, termineche significa “facile ainfuriarsi e a cui piacecombattere”. Le personestòmex sono aggressive e iguerrieri tradizionaliricevevano un rispetto chederivava dal timore.Finché difendevano lacomunità e la famiglia eportavano ricchezzerazziando gli altri villaggierano apprezzati, ma mairispettati come i sìya’:m.Dopo la fine delle guerreintertribali nel XIXsecolo, i guerrieri vennerosocialmente deprezzati,mentre gli stereotipicanadesi vedevano in ogniarruolato indiano unpotenziale guerriero. Acausa degli stereotipihollywoodiani, gli indianisi trovavano spesso insituazioni di grandepericolo. Il veterano WesSam ricordava chel’esercito si aspettava cheil soldato indiano “avesseuna mira infallibile, fosseun ottimo scout e avesse un (mistico)sesto senso, come i guerrieri indiani alcinema”. I soldati stó:lo erano incorag-giati a diventare cecchini e ad entrare in“ruoli speciali”, dove potessero uccidereil nemico di sorpresa. L’esercitocanadese si aspettava che agissero inmodo stòmex e così, per accontentare icompagni non indiani, dovevano venirea compromessi con i propri valori.Il caso di un veterano è particolarmenteilluminante: proveniva da una famigliarispettata, considerata sìya’:m. Lasciò lamoglie e si arruolò, perché avevabisogno di un lavoro. Dato che da civileera un buon cacciatore nell’esercitodiventò un cecchino, complimentato daisuoi compagni per la mira eccellente e la

sua lealtà, cosa che lo riempiva diorgoglio. Alla fine della guerra eradiventato un eroe canadese, che avevaucciso oltre venti nazisti e, come tale,venne salutato dai bianchi che abitavanonella regione. Il sindaco di Vancouveraddirittura gli diede le chiavi della città,

ma quando l’eccitazione della vittoria siacquietò, egli dovette tornare in riservadove, invece di essere trattato come uneroe, era guardato con sospetto, perchéla guerra lo aveva trasformato in unguerriero stòmex e, nel 1945, questafigura non era più rispettabile nella suasocietà. Così egli cominciò a bere, lamoglie alla fine lo lasciò e, negli anniSettanta, morì da alcolizzato.Come nel XIX secolo, i guerrieriandavano a razziare solo per acquisirericchezze, così i soldati della SecondaGuerra Mondiale erano andati acombattere contro gente, spesso civili,che non avevano fatto niente agli stó:loo ai canadesi. Non era subito chiaro neivillaggi stó:lo che arruolarsi e combatte-

re i tedeschi o gli italiani in Europa eraun modo indiretto di difendere la propriacomunità, anche se nessun tedescoaveva attaccato direttamente la Valle delFraser.Con il passare del tempo i veteranicominciarono ad essere sempre piùapprezzati. Come lo stòmex contavasull’addestramento speciale, così ilveterano poteva usare le proprieparticolari capacità organizzative,l’istruzione e l’addestramento acquisitinelle forze armate per assistere lacomunità a far fronte alle politicheassimilazioniste del governo canadese.In questo modo cominciarono ad avereuna posizione più rispettabile ancheall’interno della società canadese. WesSam ricorda la difficoltà di farsiascoltare sia dai capi indiani che dalDipartimento Affari Indiani. Così iveterani si rivolsero alla Royal Cana-dian Legion, l’organizzazione deiveterani canadesi; questa prese in manola cosa e usò la propria influenza,insieme a quella delle chiese, perrimuovere le clausole più razzistedell’Indian Act. Nel 1969 i veteraniebbero un ruolo chiave nell’opposizionevincente alle proposte del governo pereliminare i diritti collettivi aborigeni.Negli anni Settanta, quando il governofederale tentò di negare il diritto deglistó:lo ad usare la Proprietà Coqualetza aChilliwack (che prima era stata riservatacome scuola residenziale indiana eospedale indiano), furono i veterani cheorganizzarono e guidarono l’occupazio-ne del sito e convinsero il governo adichiarare la proprietà riservata all’usocollettivo della riserva. I veteraniriuscirono a far apprezzare le capacitàacquisite sotto le armi e la comunitàriconobbe che in gran parte essi si eranotrovati in circostanze al di fuori del lorocontrollo e che non erano da biasimare,se avevano “agito da bianchi” osembravano stòmex. Come risultato diquesto cambiamento di opinione nel1993 il Consiglio Tribale Stó:loorganizzò una speciale cerimonia delGiorno della Rimembranza per onoraregli importanti contributi dei veterani.Alla cerimonia vennero sottolineati nontanto i contributi allo sforzo bellico,quanto quelli prestati alle comunità neldopoguerra.

Raymond Bobb, veterano stó:lo dell’esercito canadese.

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Sopra: Il monumento del Corpo deiMarines a Washington che riprendela famosa foto di Life scattata da JoeRosenthal il 23 febbraio 1945 (sotto,colore della bandiera nostro). Imarines issarono la bandiera sulmonte Suribachi a Iwo Jima.A p. 23: Ira Hayes, il sesto dellafotografia di Rosenthal, fotografatoin uniforme di paracadutista deimarines.

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N° 16

Claudio Ceotto

Tutti conoscono la foto scattata dalfotografo Joe Rosenthal che mostrai marines che innalzano la bandieraamericana sul Monte Suribachi, unacollinetta sull’isola di Iwo Jima.L’immagine venne riprodotta inbronzo nel Marine Corps Memoriala Washington, DC. Pochi peròconoscono la storia di quella foto e,in particolare, dell’indiano pima chediventò un eroe all’improvviso enon riuscì più a tornare a una vitanormale.Ira Hamilton Hayes nacque il 12gennaio del 1923 a Sacaton, nellariserva pima di Gila River, Arizona,da una famiglia di agricoltori etrascorse una giovinezza normalefino a quando non si arruolò neimarines allo scoppio della SecondaGuerra Mondiale. Venne addestratocome paracadutista, poi fu distacca-to presso varie unità, diventandocaporale, combattendo a VellaLavella e Bougainville, nell’Arcipe-lago delle Isole Salomone Britanni-che, ma non si fece notare in modoparticolare fino a quel giorno fatale,il 23 febbraio 1945, in cui gli alleatiingaggiarono una feroce battagliacontro i giapponesi per il controllodell’isola fortificata di Iwo Jima,Isole Volcano. Un suo compagno

riferì che Hayes rifiutò di essere ilcapo del plotone, perché disse,«Devo dire agli altri uomini di

andare a farsi uccidere e preferireifarlo io stesso». A questo punto leversioni divergono: secondo laversione ufficiale, mentre la batta-glia non era ancora finita, un gruppodi marines volle segnalare simboli-camente la vittoria innalzando labandiera americana su una collinettache portava il pomposo nome diMonte Suribachi e, mentre lofaceva, il fotografo Joe Rosenthal,dell’agenzia AP, che si trovava conloro, immortalò l’impresa dei seimarines che piantavano la bandiera,che costò peraltro la vita a tre diloro. Hayes era il sesto, che sporgeil braccio verso l’asta. Altri affer-mano, invece, che la foto era unfalso (Fabian-Adam 1983; Helfert1998): l’episodio originale dell’al-zabandiera venne documentato daLouis Lowery e i soldati non eranogli stessi ritratti da Rosenthal, cheera arrivato tardi, circa tre ore dopo.A quanto pare l’unità di Hayes nonpartecipò al combattimento, mentrela bandiera originale, che era statatagliata in pezzi di stoffa comesouvenir, per ordine del colonnelloJohnson, fu sostituita con una piùgrande, per sostenere il morale delletruppe e fu questo secondo alzaban-diera, cui partecipò Hayes, chevenne ritratto da Rosenthal, immor-talato dalla stampa, da un famosissi-

La triste storia di un marine indiano, reso famoso dauna foto, morto ubriaco in un fosso d’irrigazione.

Ira Hayes

Antieroi

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HAKOMAGAZINEmo francobollo commemorativo,dal film “Le Sabbie di Iwo Jima”,cui Hayes partecipò come “consi-gliere tecnico” e attore in un ruolominore e, infine, nel monumento inbronzo.Qualunque sia la verità, Hayes e glialtri due sopravvissuti venneroimmediatamente richiamati negli

Stati Uniti, dove vennero ricevuticon grande onore dal presidenteFranklin Delano Roosevelt allaCasa Bianca e subito comandati apartecipare alla campagna divendita delle obbligazioni di guerra,che servivano a sostenere finanzia-riamente lo sforzo bellico. A Hayesil ritorno in America non piaceva emeno ancora il fatto che gli altri tremarines che erano morti nonvenivano neppure nominati, ma nonpoteva farci niente. Eroe suomalgrado venne sballottato per tuttoil paese in giri di conferenze, parateed eventi, sempre osannato esempre accolto da una calorosaospitalità che si concludeva invaria-

bilmente con grandi bevute gratis.Finito il servizio militare, a guerraormai finita, Hayes tornò allariserva Gila River, nel distretto diBapchule, dove si era trasferita lasua famiglia, ma il ritorno alla lentavita rurale, dopo l’eccitazione, lostress bellico e la frenetica vita daeroe di guerra, si dimostrò ben

presto impossibile. La realtà di unariserva povera d’acqua, in cui lafamiglia tirava a stento fuori di chemangiare, lo spinse ad accettare ilprogramma di rilocazione sponso-rizzato dall’Ufficio Affari Indiani,per favorire l’urbanizzazione degliindiani e, si sperava, la loro indi-pendenza economica: un progettoche in gran parte fallì. Trasferitosi aChicago, trovò lavoro pressol’International Harvester Company;per un certo periodo tutto andòbene, poi Hayes ricominciò a bere,finché finì, sporco e scalzo, in unaretata nello Skid Row e fu arrestato.Il Chicago-Sun Times scoprì che eral’eroe del Monte Suribachi, lo tirò

fuori di galera e aprì una sottoscri-zione per riabilitarlo. Molte organiz-zazioni, anche ecclesiastiche,parteciparono e gli venne trovato unlavoro a Los Angeles, dove avrebbepotuto cominciare da capo. All’ini-zio egli ringraziò tutti, ma nonmolto dopo ricadde nell’alcolismo evenne arrestato oltre cinquanta volte

per reati connessi al bere nel giro ditredici anni. «L’incapacità di IraHayes di tradurre la sua fama in unposto stabile nella vita lo alienòancora di più. Si trasferì di città incittà, ritornando periodicamente allariserva pima con il desiderio dimigliorare la propria vita, solo perandarsene non appena la vita dicampagna cominciava ad annoiarlo»(Kasee, 1995: 187). Una volta, nel1950, tentò di perorare la causa delsuo popolo di fronte ai funzionaridel governo a Washington; chiese lalibertà per i pima, perché potesserogovernare il loro destino e cessaredi essere sotto tutela del governo,ma senza risultati. Il 24 gennaio

Navajo Code Talkers alla parata degli Indian Days a Gallup, NM, 1997.

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N° 16

Ira Hayes, Ira Hayes, chiamatelo ubriacone, Ira Hayes,ma non vi risponderà più, non l’indiano bevitore di whisky,

né il marine che combattè in guerra.Venitemi intorno, amici, vi racconterò la storia

di un coraggioso giovane indiano pima, di cui dovreste ricordarvi bene.Era della tribù degli indiani pima, un gruppo orgoglioso e pacifico

che coltivava la valle di Phoenix, nell’Arizona.Dai loro canali per mille anni irruppero le acque scintillanti,

poi l’uomo bianco rubò loro i diritti d’irrigazione, e le acque scintillanti tacquero.La famiglia di Ira aveva fame, la loro terra dava solo erbacce;

quando venne la guerra, andò volontario, dimenticò l’avidità dei bianchi.Ira Hayes, Ira Hayes, chiamatelo ubriacone, Ira Hayes,

ma non vi risponderà più, non l’indiano bevitore di whisky,né il marine che combattè in guerra.

Quando scalarono il colle di Iwo Jima, duecentocinquanta coraggiosi,solo ventisette sopravvissero per ridiscenderlo.Quando la lotta fu finita e la bandiera alzata

tra quelli che la tenevano alta c’era l’indiano Ira Hayes.Ira Hayes tornò come un eroe, celebrato in tutto il paese,

gli facevano brindisi e discorsi, tutti gli stringevano la mano.Ma non era che un indiano pima: niente soldi, niente raccolti, niente speranze;a casa, a nessuno importava cosa aveva fatto “quando danzano gli indiani?”

Ira Hayes, Ira Hayes, chiamatelo ubriacone, Ira Hayes,ma non vi risponderà più, non l’indiano bevitore di whisky,

né il marine che combattè in guerra.Così, Ira cominciò a bere forte, la prigione era spesso la sua casa.

Lì gli lasciavano alzare ed ammainare la bandiera, come si getta un osso a un cane.Morì ubriaco una mattina presto, solo nella terra per cui aveva combattuto

e due pollici d’acqua in un canale furono la sua tomba.Ira Hayes, Ira Hayes, chiamatelo ubriacone, Ira Hayes,

ma la sua terra è ancora arida e il suo spirito giace assetatonel canale dove Ira morì.

Ira Hayes, Ira Hayes, chiamatelo ubriacone, Ira Hayes,ma non vi risponderà più, non l’indiano bevitore di whisky,

né il marine che combattè in guerra.

Ira Hayes

Bibliografia essenzialeKasee, C.R., “Ira Hamilton Hayes”, in NotableNative Americans, Washington, DC,1995;Hemingway, A., Ira Hayes, Pima Marine,UPA, MA 1988; Dockstader, F.J., Great NorthAmerican Indians, New York, NY, 1977; http://www.arlingtoncemetery.com /irahayes.htm;Helfert M., http://www. fortunecity.com/tinpan/parton/2/ira.html.

A fianco: Ira Hayes mostra se stesso nel-la famosa fotografia di Rosenthal. FotoOfficial US Marine Corps.

1955, tornato ancora una volta inriserva dove aveva trovato lavorocome raccoglitore di cotone, morì difreddo in un fossato d’irrigazionedopo un’ultima ubriacatura. Il suocorpo venne sepolto il 2 febbraio1955 nel cimitero militare nazionaledi Arlington, a Washington, DC,non lontano dal monumento che loimmortalava.Nel 1961 il film “The Outsider”(L’emarginato), vedeva Tony Curtisnella parte di Ira Heyes in unaversione idealizzata della sua vita. Ilcantante indiano Peter La Farge nediede una versione più precisa nellasua “The Ballad of Ira Hayes”, chedivenne famosa anche nelle versionidi Johnny Cash e, soprattutto, BobDylan, che influenzò un’interagenerazione di attivisti indianidurante gli anni Sessanta e la guerradel Vietnam, dando a Ira Hayesnuova fama e significato. Eglidiventò il simbolo del guerrieroindiano offeso, che aveva combattu-to per la grandezza degli Stati Unitied era morto semidimenticato dauna patria ingrata. La sua mortesembrò l’ultimo tradimento com-messo dal governo degli USAcontro gli indiani.

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Powwow a Missoula, Montana.

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N° 16

Flavia Busatta

«Io sono un indiano seminole. Se tuprendi questa guerra vietnamita e laparagoni alle guerre indiane di cent’annifa, sembra la stessa cosa. Tutti questimassacri sono gli stessi. … Adesso unsacco di indiani stanno pensando aivecchi tempi. Allora essi avevanoqualcosa di buono. Poi la gente hacominciato a coinvolgersi col denaro eallora questo è tutto quello che èsuccesso. Allora noi abbiamo fatto deitrattati tempo fa, finché l’erba crescerà ei fiumi scorreranno. Così come vanno lecose oggi, uno di questi giorni non cisarà più erba che crescerà… né fiumiche scorreranno…» (Evan Haney, NSADaNang giugno ‘68-luglio’69, Registra-zioni del Congresso 4/6/71).«Quando raggiungemmo la boscaglia, ilsergente del mio plotone disse a me eagli altri con me che eravamo circonda-ti. Lui disse: “I gooks [vietcong] sonodappertutto tutt’intorno e noi siamo qui.Questo è Fort Apache, ragazzi, e fuori èterritorio indiano.” Potete crederci aquesta fottuta storia? Proprio a me? Gliavrei sparato proprio dritto contro. Mistupii di chiedermi chi fosse veramenteil nemico.» (un veterano seneca delVietnam in Holm, 1996:129).Ancor oggi a quasi trent’anni dalla finedella “sporca guerra”, parecchi filmassolutori - sempre più tesi a dimostrare

che gli “altri” erano peggio a partire da“Il cacciatore” di Cimino - un monu-mento nel cuore di Washington sempreaffollatissimo e altre guerre a smussare ilricordo, l’esperienza del Vietnam ètuttora lacerante e irrisolta per bianchi eneri. Ma per i nativi americani sembraessere un trauma talmente profondo daaver lasciato un’impronta determinantesu tutto il loro agire politico nell’ultimosquarcio di secolo.«Il problema che ancora affligge moltiveterani nativi americani non è che difatto nessuno tranne la propria genteconosce il loro sacrificio in guerra, maancora meno che essi hanno combattutoin un numero di gran lunga eccedente laloro percentuale nella popolazioneamericana.» (Holm, 1996:11)Più di 42.000 nativi americani servirononel sudest asiatico tra il 1960 e il 1973,anno dell’inizio del disimpegno delleforze di terra americane nel settore; essifurono più del 2% delle truppe impiega-te in Vietnam, pur essendo menodell’1% della popolazione americana.Di loro più del 90% era volontario e lamaggior parte di questi militari indianiera operativa nelle unità di combatti-mento di prima linea come la fanteria oil corpo dei marines, soprattutto a causadei bassi livelli di istruzione; tuttavia unnumero sproporzionato di loro chiese dientrare nei reparti speciali come SpecialForces (Berretti Verdi), Ricognizione

(Recon), paracadutisti e rangers a fermavolontaria e che richiedevano unaddestramento ulteriore come tutte leunità di élite. Ciò significa che gliindiani volevano partecipare al combat-timento.A differenza dei precedenti conflitti (ledue guerre mondiali e la Corea), nelNam la contraddizione tra l’essere nativiamericani e l’essere soldati americani fu,come si è visto, stridente. Le dissacrantiparole di Malcon X: «Qui giace unuomo giallo, ucciso da un uomo nero,che combatteva per un uomo bianco,che ha distrutto l’uomo rosso» divenne-ro un problema per la coscienza deimilitanti politici indiani soprattutto neglianni Settanta, quando si sviluppòl’opposizione alla guerra in patria eall’estero, e la radicalizzazione delmovimento per i diritti civili dei neriverso un nazionalismo a sfondo razziale(la Nazione dell’Islam, tanto per citareun nome) costrinse anche gli indiani auna riconsiderazione degli obiettivi e deimetodi di lotta politica. Il confronto trale “guerre indiane” e le operazioni nelsudest asiatico (sottolineate nellacoscienza bianca e occidentale da filmcome “Soldato Blu”) e la sproporzionatapresenza indiana in quel teatro di guerraha fatto germogliare un forte dibattitosul perché di questa adesione. Larisposta che ad oggi è stata data daglistorici americani nativi e non è molto

L’esperienza della “sporca guerra” in Vietnamrimane un pesante fardello con cui fare i contiper il nazionalismo pan-indiano moderno.

Guerra e onore

Vietnam

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HAKOMAGAZINEinteressante anche per quell’audienceeuropea di sinistra che da WoundedKnee II nel 1973 in poi, aveva appog-giato senza riserve la causa indianacome guerra di liberazione analoga aquella portata avanti dal vietcong.Secondo la versione correntementeaccettata, i nativi americani parteciparo-no in massa al conflitto non per avanza-re o inserirsi nella società dei bianchi,ma, a loro dire, per aderire a tradizionimolto più antiche: quelle di essereguerriero nel senso tribale del termine.«È ampiamente riconosciuto che i nativiamericani hanno il più alto record diarruolamenti pro capite rispetto agli altrigruppi etnici. Le ragioni che stannodietro questo sproporzionato contributosono complesse e sono profondamenteradicate nella tradizione culturaleindiana americana. Per molti aspetti gliindiani americani non sono moltodifferenti dagli altri volontari nell’eserci-to. Essi, tuttavia hanno degli specificivalori culturali che li spingono a servireil loro paese. Uno di questi valori è laloro orgogliosa tradizione guerriera. Inparte la tradizione guerriera è unavolontà di impegnare il nemico inbattaglia; il che è stato dimostrato dallecoraggiose imprese dei nativi americaniin combattimento. Tuttavia la tradizioneguerriera è meglio esemplificata dalleseguenti qualità che si dice siano innatein molte se non in tutte le società nativeamericane: forza, onore, orgoglio,devozione e saggezza. Queste qualitàfanno un perfetto insieme con latradizione militare.»1

Secondo gli storici indiani che, comeTom Holm – lui stesso veterano delVietnam – si basano nelle loro analisisulla percezione soggettiva dei veteraniindiani ottenuta attraverso questionarisomministrati molto a posteriori,certamente le motivazioni economichegiocarono un grande ruolo nellospingere i giovani ad arruolarsi volonta-ri, come pure la mancanza di qualsiasiruolo sociale dentro le riserve, dove leleve di potere erano in mano a uomini dicinquant’anni, o la volontà di uscire dalghetto e dalle bande di strada. In base ailoro dati sembra, tuttavia, che l’approva-zione sociale della comunità indianafosse il fatto più importante; ad esempioun veterano chippewa afferma: «Eracome ai vecchi tempi, i giovani vanno inguerra.» (Holm, 1996:121), e viene

sottolineato come presso molte comuni-tà indiane vi fosse un atteggiamentoambivalente nei confronti dell’interven-to, cosa che però non si risolse in unaperto invito a non arruolarsi, anzispesso sfociò in un tacito incoraggia-mento una volta che la recluta tornava acasa. «Dopo che fui tornato i miei zii mifecero sedere e mi dissero di raccontarecosa era successo. Uno di loro avevacombattuto nella seconda guerramondiale e sapeva cosa fosse la guerra.Noi parlammo di tutto quello, deimassacri e dello spreco, e uno dei mieizii mi disse che era per questo che Dioera contro la guerra. Non avevano mairealmente parlato di quelle cose con meprima di allora.» (Holm, 1996:193).L’analisi delle interviste non considera ilfatto che le risposte possono subirel’effetto Rashomon ovvero la necessitàper l’intervistato di dare una positivaimmagine di sé, nel caso specifico diaderire al modello del nativo americanocome essere spirituale che aveva presoforma fin dalla fine degli anni Settanta(cfr. Basic Call to Consciousness, 1977).Non va dimenticato che il film “Ilcacciatore”, il primo che presenti inmodo positivo l’intervento americano inVietnam, uscì nel 1978 e che il famosomonumento per i caduti di quella guerrafu inaugurato nel 1982; questa sequenzadi date e “riappacificazione dellamemoria” (l’amnistia ai disertori fuvarata nel 1979) dovrebbe far riflettereogni storico accurato.In base a queste considerazioni eall’assenza di una vera analisi sull’inter-vento americano – la frattura sociale alivello nazionale si è risolta in un“avevano ragione tutti, disertori evolontari e comunque i comunisti eranopeggiori” – possiamo avanzare l’ipotesiche l’impaccio per la partecipazione dimassa indiana alla “sporca guerra” siastata risolta a posteriori dagli intellettualiindiani con una teoria buona per futuriimbarazzanti interventi, ovvero: «Iguerrieri sono importanti più dellapolitica della guerra» (Holm, 1996:122). Una teoria che possiamo ritrovarenelle parole di una donna lakota: «Amolta gente qui non piace affatto laguerra, ma non ci piacciono neppurequesti giovani indiani che sfuggono allaleva.» (Holm, 1996: 122); o in quelle diStanley Holder, un wichita veterano delVietnam e comandante per la sicurezza

durante l’assedio di Wounded Knee del1973: «La causa del guerriero è sempreuna buona causa». (Holm, 1996:26) «Seper tradizione intendiamo un insieme disolide credenze religiose, allora uno deifattori più importanti che sorreggonol’abilità dei nativi americani di “tenereduro” in combattimento è la loroaderenza agli antichi ancestrali valori.Le due parole “tradizione guerriera”diventano simboliche della loro identitàe illuminano la loro risolutezza incombattimento.» (Holm, 1996:166).Nelle interviste molti alludono alleeroiche tradizioni familiari: «Ho cercatodi vivere alla maniera dei miei antenatied essere un guerriero» afferma uncherokee i cui antenati avevanocombattuto nella Guerra Civile, e nelledue Guerre mondiali; e aggiunge Holm:“Sicuramente l’onore familiare fualtrettanto di sprone del nazionalismoamericano, se non di più» (Holm,1996:167).Questa mistica del guerriero forte,valoroso, disciplinato e impavido –dovere, onore, nazione, famiglia etradizioni tribali sono i termini checompaiono nei ¾ dei questionari deiveterani - stona tuttavia con l’accusaformulata da più storici indiani controgli ufficiali bianchi di utilizzare gliindiani per i compiti più rischiosi, adesempio la ricognizione, a causa dellaloro adesione ideologica allo stereotiporazzista dell’indiano “guerriero natura-le”. L’uso degli indiani come scout acausa dello stereotipo, cosa verissima,può essere in parte giustificata dall’ade-sione ideologica degli stessi a quellostereotipo, o almeno così sembra.La “tradizione guerriera” è in realtà lapremessa ideologica per ogni tipo dianalisi sulla partecipazione dei nativiamericani alle guerre moderne sotto lebandiere dello Zio Sam. La letteraturamilitare indiana infatti, partendo daquesta premessa deve affannarsi aspiegare il perché la tradizione guerrieranativa americana sia onorevole, mentre– anche se non viene detto – altretradizioni militari, ad esempio quellatedesca o giapponese, lo siano meno oaffatto. All’interno dell’ideologia delladifferenza gli storici militari indianidevono spiegare che cosa renda la viadel guerriero indiano peculiare edesemplare per le future generazionirispetto al soldato europeo in generale.

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L’analisi che viene fatta delle tradizionimilitari europee è, per un europeo,interessante dal punto di vista dellostereotipo razzista; il formarsi delletradizioni militari europee attraverso lastoria greca e romana è analizzato dastorici come Holm e Britten più con intesta “Ben Hur” o “La Tunica” che i testioriginali greci e latini. L’evolversi dellostato e dell’arte militare nel Medioevo,nel Rinascimento e nelle guerre dell’eramoderna è tracciato con l’obiettivo didimostrare che «gli esseri umani sievolsero dalla razzia relativamente pocosanguinosa, come era praticata daicacciatori raccoglitori, verso la guerra dimassa in cui le armate incontrano altrearmate nemiche sul campo di battaglia,alla guerra industriale, o totale, in cui ilavoratori civili delle fabbriche sono ilprincipale obiettivo. La guerra divennesempre più mortale per un gran numerodi persone, semplicemente perché lostato e la tecnologia disumanizzavano ipotenziali nemici. L’arte della guerradivenne sempre meno un rituale esempre più una forma di predazione»(Holm, 1996: 29), in cui l’evoluzionetecnologica sottolinea la profanazionelaica del carattere sacro del guerriero.

Stante che è proprio delle cultureetnocentriche considerare il nemico nondel tutto umano, questa visione dellaguerra europea come atto profano ètipicamente americana e nativa-americana. Nasce da una cattiva letturadegli storici militari inglesi influenzatidal marxismo e dimentica che peralmeno gli ultimi duemila anni le guerreeuropee sono scoppiate sotto la spinta dimotivazioni ideologiche e religiose.Sotto silenzio passa anche tutto ilpatrimonio mistico della cavalleriamedioevale la cui “presenza”, seanalizzata, non permetterebbe disuffragare l’assunto dell’etnicità delladimensione spirituale della guerraindiana. Questo assunto viene sottoline-ato anche negando o considerandomarginali per i popoli precolombiani e letribù indiane le motivazioni economicheo di conquista – anche se questopermette di riprendere il concetto tantocaro di legame mistico tra il popolo e lasua terra, nella fattispecie tra nazioniindiane e loro territori ancestrali in basealle attuali tradizioni nazionaliste – esottolineando invece l’aspetto educativoe di affermazione sociale per i giovanimaschi o quello mistico. L’idea che la

guerra faccia crescere e maturare igiovani maschi è piuttosto diffusa e ledeleterie conseguenze di questopregiudizio non vengono mai combattu-te a sufficienza, ma sembra che glistorici militari non riescano a evitarenessuna delle banalità del genere.L’aspetto mistico è invece evidenziatodalle interviste che narrano di questotipo di esperienze, una costante cheanche chi scrive ha osservato parlandocon veterani del Vietnam nativi.«Guardando in un ruscello vidi unvecchio kiowa. Non capivo chi era, maera vestito in modo tradizionale. Portavauna penna d’aquila. Mi disse: “Prendicoraggio, sii forte, questo è ciò che devifare.” Poi non ebbi più paura.» (Holm,1996:167). Chi scrive ha notato lo stessoatteggiamento visionario anche inveterani europei di altre guerre.Secondo alcuni storici la tradizioneguerriera rende gli indiani esemplari nonsolo sul lato del combattimento singolo,ma anche della strategia militare. TomHolm giunge persino ad affermare – manon è il solo – che non vi fu maisconfitta militare per gli indiani nelleguerre indiane (e qui non si capisceperché i nativi americani hanno perso

Parata dei veterani zuni del Vietnam a Gallup, NM, 1997.

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HAKOMAGAZINEdue continenti) e che persino Napoleonesi ispirò alle tattiche indiane nell’idearele sue campagne. Questa conclusionenazionalista si sposa perfettamente conuna caratteristica tipica della tradizionemilitare statunitense – ma non europea –la disumanizzazione del nemico, ovverola necessità di considerare se stessieccezionali e l’avversario un “macella-io” o una “ombra rossa”. Benché molteinterviste esprimano la paura provata elo stress per l’asprezza dell’ambientenaturale della giungla tropicale, è il latoda “duri” che viene in genere sottolinea-to di contro alla brutalità del nemico“senza volto” (e perciò implicitamentevile). «Un giorno un prigioniero VC(vietcong) indicò la mia pelle e i capellie gli occhi e disse “Stessi, stessi”sottolineando che io e lui eravamosimili. Lo odiai per questo, ma ungiorno, di pattuglia, capii che avevaragione che io ero l’uomo rosso cheuccideva uomini gialli per l’uomobianco. Misi giù il mio mitra e non poteiuccidere più. Non c’era onore in ciò cheavevo fatto. Mi vergognai di me e deidoni di coraggio e forza che mi eranostati dati.» (Holm, 1996:149). «Ioproprio non so, sparai solo in quelladirezione, lo sai la PDF (direzioneprincipale di fuoco).» (Holm, 1996:149)«Io sparai all’impazzata, tutto il caricato-re. Quando lo stanammo egli cadde dauna parte. No, merda, le sue bracciavennero fuori, le sue budella. Iocominciai a vomitare finché non fui deltutto vuoto.» (Holm, 1996:150) «Mentreci lanciavano un intero reggimento NVA(nord vietnamita) cominciò a scenderelungo il sentiero. – raccontò un veteranolakota - Io mi sentii gelare, sperando diessere nascosto. Io speravo che nessunosi facesse beccare, perché i gookssapevano che se ne trovavi uno, cen’erano altri. Loro ci avrebbero preso,messo nelle gabbie di tigre e lasciatimarcire. Attendemmo che il reggimentopassasse. Non ho mai avuto tanta paurain vita mia.» (Holm, 1996:153). «Potevinon vedere un gooks per settimane.»(ib.: 132) «Quei piccoletti potevanosaltare fuori per mettere trappole ocecchinarti» disse un veterano cheyenne(Holm, 1996:132) «I Nord vietnamiti e iVietcong […] usarono tattiche che,mentre erano estremamente inefficientiin senso militare, erano in ultima istanzaefficaci. […] Vo Nguyen Giap, il

ministro della difesa nord vietnamita e ilprincipale architetto dello sforzo bellico,sapeva perfettamente che di fatto la suasola risorsa bellica naturale era umana:di conseguenza egli spese esseri umanicome un generale spende i proiettili.Tutto lo sforzo nord vietnamita era lasintesi di diverse strategie che portavanoal logoramento del nemico piuttosto chead ottenere una decisiva vittoria sulcampo di battaglia. […] Se Giap fossestato un comandante americano, disse ilgenerale William C. Westmoreland, nonsenza giustificazione, sarebbe stato“cacciato in una notte”» (Holm,1996:136).

È interessante che nessuno si curi dichiedere, neppure dopo quasi trent’anni,il parere degli “altri”, che è diametral-mente opposto alla versione di Holly-wood e del Pentagono, come dimostraun’abbondante letteratura saggistica eanche cinematografica.«Le forze armate regolari di liberazionesono costituite col sistema dei tre “trii”,le unità di base sono i “trii”, tre “trii” piùun dirigente formano una squadra [ecosì via, N.d.T.]. Ogni sera, quando nonsono impegnati in operazioni, i “trii”discutono gli eventi della giornata chespesso implicano critiche e autocritichedell’attività dei tre membri a livello di

Durante la drammatizzazione delle gesta militari di Carson Walks Over Ice, crow,paracadutista in Vietnam con la 101ma aviotrasportata, nel 1989, le donne colcopricapo di guerra rappresentavano i vietcong. Carson Walks Over Ice contò pa-recchi “colpi” in Vietnam e prese molti scalpi, che egli chiama “simbolici”, taglian-do trecce di capelli grosse un dito ai vietnamiti che aveva ucciso. Presso i crow vierano quattro tipi di imprese: guidare con successo una spedizione di guerra, toccareun nemico in battaglia, prendere un’arma al nemico, rubargli dei cavalli. Benché ciavesse provato Carson non riuscì a rubare cavalli ai vietcong, ma «presi due elefantie questo dovrebbe contare qualcosa». In un’occasione egli rincorse e toccò un solda-to nord vietnamita in fuga. «Io non avevo intenzione di ferirlo, solo di toccarlo. Viposso dire che fu un viet molto sorpreso.» Carson, che fa il libraio ad Hardin, MT, siguadagnò una Bronze Star e la tribù lo onorò con una danza di guerra in cui eglieffettuava una pantomima della sua azione, ovvero quando salvò il suo plotone dalladistruzione dopo che esso era incappato in un accampamento vietcong. È interessan-te che siano le donne crow, con caschi di guerra, a rappresentare il “nemico”, unforte segnale del rapporto di genere ancora esistente tra gli indiani delle Pianure.Qualche dubbio ci resta circa lo scalpo “simbolico”, viste le testimonianze rilasciatedai veterani americani sulle atrocità in Vietnam. Chi era veramente il padrone deidue elefanti? un gruppo di vietcong o qualche povero contadino vietnamita?

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Note1 Da 20th Century Warriors, Native Ameri-can Partecipation in the Unites States Military,a cura del Dipartimento della Difesa degli Sta-ti Uniti e scritto con l’aiuto di consulenti nativiamericani tra cui Roger Bucholz e UrsulaRoach, le cui interviste appaiono in questonumero di HAKO.

BibliografiaHolm T., Strong Hearts, Wounded Souls,Austin, TX, 1996;Burchett W. G., Guerra esocietà in Viet Nam, Milano 1971; Britten T.A., American Indians in World War I, Albu-querque, NM, 1997.

squadra. […] Nella nostra educazionepolitica rifiutiamo il concetto che lemasse siano semplicemente “carne dacannone” o un “gregge di pecore”,rifiutiamo che la tecnica sia tutto el’uomo niente. …Vogliamo che gliuomini sappiano esattamente perchéfanno ciò che fanno, che agiscanoinsieme come un sol uomo.» (Burchett,1971:63) «Le truppe USA non sonopreparate fisicamente e psicologicamen-te al combattimento corpo a corpo.Probabilmente non hanno mai pensatoche sarebbe stato necessario; le bombe ei proiettili avrebbero fatto il lavoro perloro a distanza. A Bau Bang potevamovedere che le truppe americane pensava-no soltanto a salvarsi abbandonando ilterreno e i loro mezzi corazzati […]Voltavano la schiena, muggendo comebuoi, divenendo facili bersagli per inostri uomini che usavano le baionette ele armi automatiche leggere.» (NguyenVan Chau, dello stato maggiore del FLNa DaNang nel 1965, in Burchett,1971:130).Leggendo la versione vietnamita della

guerra paradossalmente si poterebbedire che ha fatto più male il Vietnamall’America che l’America al Vietnam,malgrado i forse due milioni di morti, itrecentomila orfani, i ventimila “bastar-di”, i crateri delle bombe, i villaggidistrutti, le dighe abbattute, la diossina ei defolianti, le mine antiuomo. Certo, colsenno di poi, sembra che per i nativiamericani il Vietnam sia stato l’olocau-sto politico in cui si è bruciato l’ultimoantagonismo con la cultura americana esi sono poste le basi per il nuovonazionalismo nativo-americano ovverodi nativi col trattino (hyphenated). Èanche per questo che tra i nativiamericani è fortissimo l’appoggio allacampagna politica sui MIA (Missing inAction = dispersi in azione), ovvero allateoria per cui ci sarebbero ancora deiprigionieri di guerra americani inVietnam dopo trent’anni [Come nonfare un parallelo con l’Italia del lungotormento dei “dispersi in Russia”].Forse, se i nativi americani cominciasse-ro a “parlare col nemico”, cercassero dicapire anche le ragioni degli altri, oltre

ad urlare le proprie, e non si rifugiasseroin una mistica della guerra che molti luttiha già provocato, superebbero piùfacilmente la “sindrome del veterano” diquanto non possano fare con le cerimo-nie di “benvenuto a casa”, magari conscalpi e danze della vittoria, e nonavrebbero l’impressione (il 66% degliintervistati) che i non-indiani abbiano unatteggiamento non positivo verso iveterani del Vietnam in generale.

Veterani del Vietnam apache jicarilla alla parata di Gallup, NM, 1997.

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HAKOMAGAZINE

Per prima cosa voglio dire chi sono:Bucholz è un nome tedesco. Mio padreera un tedesco-americano di primagenerazione, nato e cresciuto a Morton,Minnesota, da genitori tedeschiimmigrati negli Stati Uniti nella metàdell’Ottocento. Mia madre era l’unicafiglia di Jeannette Crooks, la figlia delcapo tribale George Crooks. George era

un sangue puro mdewankanton (Mde =lago, Wankan = spirituale, ton = popolo)“Popolo del Lago dello Spirito”, unabanda della tribù santee dei dakota(sioux). Il mio nome indiano è WicasaCikala Ho Tonka, che significa “PiccoloUomo dalla Grossa Voce”. Mia madreusava il dialetto lakota per la parolaCikala al posto del dakota Cistinna

perché aveva imparato il lakota allaFlandreau Indian School e perché lepiaceva di più il suono del lakota; nelnostro dialetto dakota non c’è la L e noiusiamo la N o la D al suo posto.Quando questo paese stava combatten-do la Guerra Civile negli anni attorno al1860, vi fu la Sollevazione Sioux(dakota) del Minnesota. Cominciò nella

Roger Bucholz, mdewankanton dakota, ufficialee ingegnere, racconta la sua esperienza nellamarina degli Stati Uniti.

24 anni in Marina

Intervista

Gruppo di dakota davanti alla casa di un colono. La foto si suppone scattata il giorno stesso dell’inizio della SollevazioneSioux del 1862 da Emmons Whitney.A p. 33: Little Crow, mdewankanton dakota e capo della Sollevazione Sioux del 1862, foto scattata a Washington nel 1858.

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N° 16nostra riserva dove gli indiani nativiamericani (li chiamerò sioux) nonricevevano dal governo americano leloro razioni e le annuità. Si dice chemolti capi si lamentarono con l’agenteindiano (un impiegato del governofederale) per il fatto che stavanomorendo di fame. L’agente rispose lorodi mangiare erba. Udito ciò i sioux siriunirono a concilio e decisero discendere sul sentiero di guerra comin-ciando dall’agente del governo chegettarono a terra e uccisero riempiendo-gli la bocca d’erba e soffocandolo. Cosìcominciò l’insurrezione sioux delMinnesota del 1863. In seguito i siouxfecero un’imboscata ad una spedizionedi soccorso partita da Fort Snelling,Minnesota, e sconfissero il colonnelloRamsey e le sue truppe; poi assalirono lacomunità di agricoltori immigratitedeschi della città di New Ulm, circaventi miglia a est della Lower SiouxIndian Reservation, Morton, Minnesota.La città di New Ulm fu di fatto comple-tamente distrutta.Il generale Crooks mise insiemeun’armata di circa 5.000 uomini edinseguì gli indiani ostili nel Nebraska,ma fallì nell’impresa di catturare coloroche effettivamente avevano preso parteall’insurrezione. Molti degli indiani ostilifuggirono a nord in Canada o a ovest nelterritorio del Wyoming. Crooks siimbatté in un pacifico villaggio didakota santee sul Niobrara, in Nebraska.Egli immediatamente aprì il fuoco e,dopo aver distrutto e disperso il villag-gio, mise in carri prigione i fanciulli cheaveva catturato, perché, sotto piccolascorta militare, fossero portati a FortSnelling per esservi internati. Come icarri prigione passarono per la desolatacomunità di New Ulm, i coloni tedeschisi sollevarono e, travolte le pocheguardie, ruppero i carri prigione euccisero i ragazzi indiani.In soccorso venne inviata colonnamilitare di cavalleria da Fort Ridgley,Minnesota, per creare una fossa comunedove seppellire gli indiani. Durantel’operazione uno dei ragazzi risultòancora vivo, perciò fu inviato all’infer-meria di Fort Snelling e poi fu internatoper tre anni fino alla fine della guerracivile. In seguito questo giovane fumandato nella riserva di Lower Sioux ela sua cartella medica entrò nei NationalArchives. Il rapporto medico venne alla

luce quando fu ricopiato negliarchivi del Bureau of IndianAffairs di Albuquerque, NewMexico, negli anni 1980. Lapersona che fece il lavoro erauno dei bisnipoti di WakanAza Aza, “Uomo del Lam-po”; l’uomo che adottò ilnome del generale Crooks,che lo aveva catturato einviato nella riserva deiLower Sioux, era il capoGeorge Crooks, mio bisnon-no.Durante la sollevazione deisioux c’era una donna,Makaduta Winyian, DonnaTerra Rossa (il cui nomederiva dei monumenti di granito lungola falesia della valle del fiume Minneso-ta). Essa fu onorata dalla comunità nonindiana per i suoi sforzi per nasconderealcuni tedeschi dai guerrieri della suatribù. Il nome è erroneamente riportatocome Makaduta Win, ma è solo unacontrazione del nome Winyian (donna);il suo nome cristiano era Maria. Ella èconosciuta col suo nome indiano perchétra i tedeschi che nascose nella suacantina per patate durante la sollevazio-ne vi era una giovane coppia che cosìsfuggì al massacro perpetrato dagliindiani. La coppia era emigrata dallacittà di Bucholz in Germania, (sottoBerlino) e si era imbarcata ad Amburgoattorno al 1850. La coppia, Carl edAugusta Bucholz, diede in seguito allaluce Otto August Bucholz, l’uomo chedivenne mio padre.La Sollevazione Sioux lasciò sentimenticontrastanti tra la comunità dei colonitedeschi. I genitori di mio padre nonerano del tutto ben visti dalla comunitàtedesca perché le loro vite erano staterisparmiate grazie all’opera di MakadutaWinyian, perciò mio padre Otto si trovòabbastanza vicino ai ragazzini indianinella sua infanzia e ottenne un contrattodal Governo federale per trasportare lederrate dallo scalo ferroviario dellaMinneapolis e Saint Louis R.R. inMorton (Minnesota) alla Lower SiouxIndian Reservation. Questo lavoro glipermise di farsi molti amici tra gliindiani e di apprendere un po’ la lorolingua, oltre all’inglese e al tedescod’origine.Quando mio padre e mia madre sisposarono ottennero un podere nell’an-

golo settentrionale della riserva che erauna zona chiusa ai non indiani; miopadre agì spesso da mediatore tra lacomunità tedesca locale e la comunitàindiana.In seguito i missionari cattolici convin-sero il governo federale che dovevaessere dato loro un aiuto maggiore nellaconversione dei nativi e, in questofrangente, i missionari decisero che gliindiani dovessero portare nomi cristiani.Questo fu una questione pratica perchéera più facile tracciare le genealogieindiane e le linee di sangue se per regolasi adottavano i cognomi. Di conseguen-za molti indiani furono costretti albattesimo e ad adottare nomi cristiani.Mio nonno scelse come nome John emia madre, come conseguenza delperiodo dell’acculturazione del Bureauof Indian Affairs, rifiutò di dare ai suoifigli un nome indiano nella misura in cuivi erano coinvolti i certificarti di nascitaufficiali. D’altre parte ciò non ciimpedì di avere i nostri tradizionalihoksiyopaoun o nomi infantili; da qui ilmio nome di Wicasa Cicala Ho Tonkache non compare in nessun certificato.Tuttavia ora che i giorni dell’influenzadei missionari e del Bureau of IndianAffairs sono tramontati, molti nativiamericani stanno tornando alla tradizio-ne di dare ai propri figli nomi indigeni.Un mio primo cugino, che è comparsoin un gran numero di spettacoli televisivie film (compreso “Balla coi lupi”), halegalmente cambiato il suo nome daSheldon Peters in Child Wolf, il suonome infantile. Un’altra persona di miaconoscenza dopo il divorzio ha deciso diprendere il proprio nome indiano

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HAKOMAGAZINEWinyan Tuwe Kitka, Donna Che SiAlza, per sottolineare l’inizio di unanuova vita.I miei genitori divorziarono quandoavevo quattro anni e vivevo ancora aLower Sioux. Il nostro sistema scolasti-co della riserva arrivava fino alla sesta;se qualcuno desiderava un’istruzionemaggiore doveva pagarsi le lezioni ofrequentare la scuola dei bianchi fuoridalla riserva o andare in una BoardingSchool (collegio) del governo. Per iragazzi della nostra riserva il collegio eraa Flandreau, Sud Dakota. Il Governoportava in autobus i ragazzi al collegiodove restavano per nove mesi, nontornando a casa neppure per le vacanzea meno che non venissero i genitori aprenderli, il che non succedeva mai.Benché la maggior parte della miafamiglia abbia frequentato Flandreau,solo mia madre e mia sorella hannopreso lì il diploma. Di noi ragazzinessuno voleva aver niente a che farecol governo e preferivamo fuggir via dascuola o da casa piuttosto che frequenta-re le scuole del governo.Nel mio caso, scelsi di lasciare Flan-dreau, a undici anni andai nella città diDe Smet, Sud Dakota. Questa città fufondata dal gesuita padre De Smet ed èfamosa perché è la città di Laura IngallsWilder, autrice di una serie di libri, tracui “La piccola casa nella prateria”, dacui è stata tratta una serie TV. Quandoarrivai a De Smet era la metà dell’inver-no del 1947 e io letteralmente non avevoun soldo. Andai dal proprietariodell’Hotel De Smet, Mr. Jack Lovick egli dissi che avevo bisogno di una stanzae che avrei lavorato per pagarmela:ottenni la stanza e un lavoro alla fornacedove dovevo anche spalare la cenere,raccogliere i teli, ecc. Poiché dovevocaricare la fornace ogni due ore, a partiredalle dieci di sera fino alle sei di mattina,non mi restava molto tempo perdormire, ma imparai a giocare a scacchicon i vecchietti dell’hotel. Quel lavoromi pagò la stanza e mi permise didiventare buon amico di Jack Lovick Jr.Per i pasti abbordai il signor WillianGordon del Gordon’s Cafe e ottenni unbuono pasto settimanale che pagavo coni soldi guadagnati da Mr. Coughlin, ilpadrone della rosticceria Red Owl dovelavoravo come commesso. Per fare altrisoldi io distribuivo due giornali il SiouxFalls Argus Leader e l’Huronite Daily

Plainsman e piazzavo i bersagli albowling locale. Mi iscrissi alla scuolacittadina e andai avanti e indietro fino adiciassette anni accumulando abbastan-za crediti per diplomarmi benchéufficialmente figurassi ancora come“junior”. Essendo grande abbastanzatornai nella riserva del Minnesota eottenni da mia madre il permesso diarruolarmi nella Marina degli Stati Uniti.Mentre ero a scuola assistei ad unaconferenza del dr. Lawrence Livermoredei Laboratori Livermore, California,che abitava in Sud Dakota. Dopo laconferenza decisi che anch’io sareidiventato un fisico e fu allora che decisiche, in qualche modo, avrei frequentatola South Dakota School of Mines andTechnology (Scuola Mineraria eTecnologica del Sud Dakota) a RapidCity, Sud Dakota, e avrei studiato fisica.Da ragazzo avevo imparato il codiceMorse e ottenuto la mia licenza daradioamatore (N4OUN), perciò quandomi arruolai in marina e mi chiesero lamia specializzazione, dissi loro che miinteressava l’aviazione, che avevocostruito modellini di aereo e che sapevoinviare e tradurre segnali Morse. Perquesti miei interessi la marina mi mandòalla scuola di elettronica per aviazione epoi venni inviato in Corea comemembro di un equipaggio di combatti-mento e così cominciai a girare ilmondo. Sono stato di stanza in Africa,Germania, Italia, Inghilterra e ho servitosu due differenti portaerei. Mentre ero inmarina ho studiato molte disciplinetecniche come geometria, trigonometria,calcolo, chimica, biologia e fisica perprepararmi per la scuola mineraria.Un’altra ragione per arruolarmi inmarina era che anche tutti i miei fratellimaggiori erano in marina. Mio fratelloRaymond è affondato due volte durantela Seconda Guerra Mondiale, ma èsopravvissuto tutte e due le volte, anchemio fratello Otto Jr. fu affondato pressoMurmansk, in Russia, e anche luisopravvisse. C’è stato un periodo in cuitutti e noi cinque fratelli, tutti in marina,ci ritrovammo a Norfolk in Virginia. IlSegretario alla Marina, Middenford,diede a mia madre un Certificato diApprezzamento perché aveva tutti i figliche servivano in marina.Verso la fine della ferma contattai il sig.Dean Palmer alla scuola mineraria e luifece in modo di iscrivere me e un altro

nativo americano, Lionel Bordeaux;eravamo i primi due nativi americani adentrare nella scuola mineraria comestudenti indiani. Grazie agli sforzi delsig. Palmer molti altri nativi americanihanno beneficiato di una educazionescientifica ed ora c’è in corso unprogramma chiamato Scientific Know-ledge for Indian Learning Lessons(SKILL) per insegnare agli studentiindiani nelle riserve. Bordeaux è oggi ildecano dell’Educazione al Sinte GleskaCommunity College a Mission, S.D., eora ci sono circa 600 studenti nativiamericani che studiano scienze,matematica o ingegneria.Durante la mia prima ferma incontraiuna ragazza del Mississippi, Frankie JoStrickland con cui iniziai una corrispon-denza per tutta la ferma e poi, comestudente del secondo anno della scuolamineraria, fui in grado di conoscere lamadre di Jo a Memphis, Tennessee,dove le chiesi la mano di sua figlia. Lasignora Strickland chiese a sua figlia divenire giù da Chicago, Illinois, dovelavorava come assistente di volo perl’American Airlines, e io mi dichiaraianche a lei. Decidemmo di sposarciquando avessi finito il mio lavoro.Siamo sposati da più di quarant’anni eabbiamo avuto tre figli, tutti ScoutAquila, tutti diplomati al CollegioMilitare della Sud Carolina (TheCitadel) e tutti vecchi soldati. Il piùvecchio, Kyle, si è pensionato dall’Eser-cito degli Stati Uniti e ha sposato unadonna della tribù dei Cherockeedell’Oklahoma con cui ha avuto duefigli, Jacob e Carleigh. Il secondo,Matthew, ha sposato una rifugiatacubana, è maggiore della riserva delCorpo dei Marines e ha una figlia, Julia.Il terzo, Andrew, ha sposato una donnadi origine tedesca poco tempo fa. Tutti etre i ragazzi stanno a pochi minuti dacasa mia e siamo fortunati ad avere unafamiglia unita nelle tradizioni dei mieiantenati nativi americani.Dalla scuola mineraria ritornai in marinacome tecnico elettronico per l’aviazionemilitare e chiesi l’autorizzazione perl’esame per diventare sottufficiale capodi marina. L’ottenni e fui promosso. Nel1965 fui selezionato per la scuola diaddestramento al volo della marina aPensacola, Florida. Qui divenni ufficialeingegnere aeronautico e feci due turni inVietnam. Il primo turno fu con uno

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N° 16

squadrone di A-6A Intruder e il secondofu come ufficiale elettronico dello staffdel comando, forza d’attacco rapidodelle portaerei della Settima Flotta.Durante il mio periodo in Vietnam serviia terra in diverse occasioni: una comeosservatore avanzato e un’altra comeufficiale di collegamento con la SettimaForza Area. Non sono mai statorealmente preoccupato di essere feritoné durante la guerra di Corea né duranteil Vietnam perché una volta ebbi unavisione del mio bisnonno il giorno in cuimorì. Ero solo un ragazzo, ma lui nellavisione mi disse che avrei avuto una vitapiù lunga della sua e lui ha vissuto fino a97 anni.Una volta, durante la guerra di Coreaero nell’equipaggio di un bombardierebimotore P-2V Neptune, e un motorestava piantandoci in asso a causa di unaperdita d’olio. Il pilota, tenente Smith, cidiede una scelta poiché l’aereo eratroppo pesante per volare con un motoresolo: potevamo volare sull’oceanofinché il motore ci piantava, buttandocipoi col paracadute sotto i 600 metri orischiare un’azione che forse avrebbepotuto portarci alla base. Io ero ilradarista e all’interfono dissi della miavisione e che per me la sola scelta erafarlo volare e atterrare, cosa chefacemmo e il motore non ci piantòfinché non toccammo terra. Il nostropilota aveva il senso dell’umorismo eannunciò che, visto che l’aereo nonriusciva a stare in quota con un motoresolo, dovevamo buttare fuori tuttol’armamento e le munizioni, per primacosa, e poi tutto l’equipaggiamentoelettronico. Se non bastava dovevamobuttare fuori tutti i nostri oggettipersonali, ma solo dopo che ogni cosanecessaria per alleggerire l’aereo fossestata gettata a mare.Quando io raffermai per l’ultima volta inmarina, fu qui in Virginia dove comple-tai i miei 24 anni di servizio. Poiché inostri tre bambini erano già in un buonsistema scolastico, decidemmo difermarci qui per assicurare loro unabuona educazione. È stata una saggiadecisione dato che le scuole nelle riserveindiane non sono granché a causa dellacarenza di buoni insegnanti e dellapovertà dei curricula.Una volta, in Vietnam, mentre ero tra i

marines a Monkey Mountain, fummoattaccati da alcuni regolari nord vietna-miti. Io non tirai mai fuori la testa dallamia buca, ma tenevo il mio M-16 soprail bordo dei sacchetti di sabbia epremevo il grilletto. Un maggiore deimarines mi chiese cosa stessi facendo eio replicai che stavo sparando alleginocchia del nemico. Scoppiammo aridere e gli raccontai della mia visione dimio bisnonno. Poi guardai fuori e nonc’era veramente niente in vista.Da giovane spesso avevo un sogno incui sentivo il rumore di un colpopiazzato nell’arma. L’infilare il colpo incanna in un fucile da combattimentopossiede un suono particolare. Il sognotornò parecchie volte nella mia infanziae fu ricorrente finché non giunsi aDanang in Vietnam. Stavo guidandouna jeep da Monkey Mountain incompagnia del tenente Fred Briandquando giungemmo un ponte di tronchientrando a DaNang da una zona non

bonificata. Mentre stavamo attraversan-do il ponte, incrociammo un regolaresud vietnamita di guardia. Lo avevamoappena superato che udii il suono di uncolpo che veniva messo in canna edell’otturatore del M-16 che ritornava aposto, lo stesso suono che avevo uditoper anni nel mio sogno. Una frazione disecondo dopo che ebbi udito il suonodell’otturatore che tornava al suo posto,udii anche l’esplosione del colpoaccanto mio orecchio destro. Guardaiper vedere dove fossi ferito e scorsi Fredpestare i freni e saltare giù con l’arma inpugno. Lo seguii velocemente mentrel’M-16 sputava altri proiettili. Il soldatostava sparando a quello che io credevofosse un sapper (scavatore = vietcong)nell’acqua che forse stava tentando diminare il ponte. In appoggio anche io eFred sparammo nell’acqua. Da alloraquel sogno non mi perseguitò più.Non sono mai stato coinvolto nell’usodell’Agente Orange in Vietnam, ma ho

Roger Bucholz, fotografato a Washington,DC, nel 1998.

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HAKOMAGAZINEpartecipato ad altre interessanti opera-zioni contro i vietcong e i nord vietnami-ti. Ero in Laos quando la marina provòper la prima volta le bombe a guida lasersu obiettivi non pilotati e insistetti peranni perché la marina usasse bombeteleguidate contro il ponte Than Wa inNord Vietnam. Avevamo perso un saccodi aerei cercando di distruggere quelponte. Almeno cinque anni dopo cheebbi mandato la mia prima lettera alDipartimento della Marina per chiedereil permesso di usare le nostre armiteleguidate, la marina autorizzò l’uso ditale arma che era stata nel nostroarsenale per anni. La prima bomba spedìil ponte Than Wa nel fiume e colpì a solidieci centimetri da dove avevano mirato.Oggi, ovviamente, tali bombe sono parteusuale dell’arsenale dell’aviazionemilitare.Mi avete chiesto se sono mai statodiscriminato nella vita militare perchéero nativo americano. Non veramente.Immagino che ci fossero quelli chefacevano insinuazioni, ma per me fuabbastanza facile andare avanti ingioventù e non permisi mai che ladiscriminazione mi bloccasse. In ognicaso, poiché ero indiano ebbi degliincarichi che altrimenti non mi sarebbe-ro stati assegnati. Per esempio quando ilmio gruppo fu assegnato alla USS KittyHawk, una portaerei veloce, il capitanomi disse che io ero l’indiano più anzianoa bordo, indi, se un qualche indianodella nave finiva nei guai, io ero neiguai. Perciò fu mio compito assicurarmiche tutti i nativi americani della nave sicomportassero appropriatamente. Cercaiquesti indiani, mi presentai loro come iltenente Bucholz, dissi loro che erodakota e che se si fossero messi nei guai,anch’io avrei passato dei guai. Informaianche i marines alla porta della basenavale di Subic Bay che se qualcheindiano della Kitty Hawk si metteva neiguai con la ronda a terra o con ilpicchetto dei marines, dovevo essereavvertito immediatamente.Bene, come spesso avviene, moltiindiani bevevano troppo e crearono deiproblemi sia alla ronda che ai marines,perciò a mezzanotte fui avvisatodall’ufficiale di picchetto di andaresubito alla porta principale. Avendoavvisato i marines di guardia, mi fufacile prelevare gli indiani, evitando lorouna denuncia formale e salvandoli dalla

consegna del capitano o dalla cortemarziale sommaria; per gratitudinenessuno di loro mi diede altri problemiper il resto dei miei tredici mesi dicrociera. In ogni caso io li punii a modomio in seguito: dal momento cheavevano inclinazioni artistiche liobbligai a incidere lo stemma del nostrosquadrone sul pavimento di linoleum delnostro ufficio di elettronica.Quando tornai dal mio primo turno inVietnam la Marina mi fece prendere ilmaster in fisica. Feci la mia tesi sullafisica del plasma presso la NASA, allabase di Langley in Virginia. Dopoquesto periodo di studio fui assegnatoall’Accademia navale come docente difisica. L’incarico fu breve perché lamarina aveva bisogno di un ingegnereaeronautico in Vietnam e, dato chel’ammiraglio Wiesner aveva chiesto dime personalmente, il mio capo miinformò che avrei dovuto andare. Nelgiro di una settimana trasferii la famigliaa Memphis, Tennessee, emi presentai al comandodella forza d’attacco diportaerei veloci dellaSettima Flotta.Alla fine del miosecondo periodo inVietnam l’ammiraglioEmo Zumwalt fu sceltoper diventare capo delleoperazioni navali, ilgrado più alto nelDipartimento dellaMarina. Egli fece correrela voce, tra i suoiammiragli, che cercavaun ufficiale nativoamericano per il suo staffal Pentagono. Il miocapo, il vice ammiraglioFrederick Bardsharimmediatamentetelefonò all’ammiraglioZumwalt che io erol’uomo per lui. Diconseguenza fuiassegnato al Pentagonocome AssistenteConsigliere scientifico ecome ufficiale per leUguali Opportunità per inativi americani.Mi hai chiesto se sono

membro di qualche associazioneindiana. Sono un sostenitore dellaSocietà per la Scienza e l’IngegneriaIndiana Americana (AISES) cheappoggia il reclutamento di giovaniindiani qualificati nel campo dellescienze, della matematica e dell’inge-gneria. Sono anche stato rappresentantetribale presso il National Congress ofAmerican Indians, sono membro delComitato di Accreditamento per ilConsiglio Nazionale dell’Accreditamen-to dei Laboratori Ambientali e fino apoco fa ho lavorato nell’ufficio deidirettori delle università americane pergli studenti indiani interni.Qual è oggi il mio lavoro?Dopo essermi ritirato dalla marina,formai una ditta indiana con un mioamico, Ernie Stevens, un oneida delWisconsin. Ernie aveva appena preso ilPh.D. ad Harvard. Il nostro primocontratto fu di sviluppare regole eregolamenti per favorire la legge per

Veterano navajo della guer-ra di Corea.

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N° 16l’Autodeterminazione e l’Assistenza perl’Educazione per i Nativi Americani(Self-Determination and EducationAssistence Act for Native Americans).Questo avvenne nel 1975. La Leggeiniziò il primo passo verso la sovranitàtribale e i rapporti tra governo – e –governo tra il governo federale e le tribù.Il figlio di Ernie, Ernie Jr., oggi è ilpresidente del National Congress degliIndiani Americani (NCAI) e stacontinuando il buon lavoro intrapreso dasuo padre anni fa.Per un po’ ho lavorato in TerritorioIndiano, ma tre figli piccoli e un sacco ditempo lontano da casa mi spinsero alasciare e ad approdare alla divisione difibre ottiche dell’Atlantic ResearchCorporation. Fu in quel periodo chetornai a scuola per ottenere il dottoratoin ingegneria, specializzazione in fibreottiche. Dopo che i miei figli ebberopreso il diploma al college, milicenziai dall’Atlantic Research eimpiantai una mia compagnia, la RedHawk Laboratory. Red Hawk era uncapo oglala che combatté a Little BigHorn ed è anche il nome indiano delmio secondo figlio, Matthew. Questonome Chetan Luta (Falco Rosso) gli fudato da Ben Black Elk, lo storico oglala;ancora una volta il nome è in lakotainvece che in dakota (Chetan Duta). Lamia compagnia lavora quasi esclusiva-mente nei territori indiani. Per un po’lavorammo per il governo federale, mal’anno scorso i miei figli ed io abbiamodeciso di smetterla di fare affari colgoverno e di rescindere tutti i contratticon i federali. Noi preferiremmolavorare direttamente con le tribù.Mi hai chiesto cosa penso della Termi-nation e del BIA.Non ho mai avuto molto affetto, né homai molto apprezzato il BIA. Ho semprevisto il BIA come un nemico benevolo.Questo può essere giusto o no, dipendedai tuoi rapporti col BIA. Prima che cifosse una preferenza per gli indiani[nelle assunzioni] molti di noi considera-vamo gli indiani del BIA come degli ZiiTomahawk (Uncle Tomahawk) – come ineri parlavano degli Uncle Toms (ZiiTom). Tuttavia il BIA si sta decentrandoe io penso che questo sia un primo passoverso l’autonomia della nazioni indiane.Per molte tribù il più grande datore dilavoro in riserva è il BIA e in molti casila fonte primaria di reddito per la

comunità. Ma, man mano che le tribùdiventano autosufficienti, il BIA diventameno gradito e meno necessario. Forsela miglior cosa che sia capitata per iterritori indiani è la Public Law 93-638(la legge per l’autodeterminazione di cuiho parlato prima). Grazie a questa leggele tribù sono state in grado di prendere inmano il sistema scolastico delle riserve:ora, invece di proibire ai ragazzi indianidi parlare la propria lingua e di praticarela propria religione o di imparare leproprie tradizioni e cultura, succedeproprio il contrario.Alcune tribù sono molto indipendentidal governo federale e addirittura nonvogliono rappresentanti del governonelle proprie riserve. Gli onondaga,membri degli haudenosaunee (irochesi)non accettano l’assistenza federale ofondi a meno che questo aiuto non siafrutto di accordi tra gli onondaga e ilgoverno. I mohawk hanno posto uncartello all’ingresso della riserva chediffida gli agenti federali dall’entrare nelterritorio senza previamente chiedere ilpermesso.Mi chiedi se sono membro di qualcheassociazione di veterani.Una delle prime cose che ho fatto dopoessere andato in pensione è stato dientrare nei Veterans of Foreign Wars(Veterani delle guerre all’estero). I nativiamericani sono abbastanza patriottici ehanno risposto alla chiamata alle armi inmolte guerre. Questo è probabilmente ilsolo modo che abbiamo di ottenerericonoscimento al nostro desiderio diessere dei guerrieri. Benché, in genere, iveterani del Vietnam non siano statiaccolti molto bene a casa dai cittadini diquesto paese, i veterani del Vietnamindiani sono stati onorati con danze epenne d’aquila al loro rientro a casa. AEd Eagle Man McGaa, autore dinumerosi libri sulla spiritualità nativaamericana, fu detto che egli avrebbeincontrato il nemico un centinaio divolte, ma che sarebbe tornato a casasano e salvo finché avesse portatointorno al collo una pietra sacra. Ed volòcon gli F-4 Phantom del corpo deimarines in Vietnam per più di 100missioni e portò sempre la sua pietrawotai attorno al collo.La mia riserva ha un picchetto d’onoredi VFW che esegue le danze (wacipis), ipow-wow e i funerali. Erano presenti alfunerale di mio fratello dove tirarono la

salva d’onore, cosa che mi fece piacere.Anch’io ho avuto l’onore di danzare alloscorso pow-wow per veterani all’univer-sità del Maryland con mio nipote Jacob.Tutti noi, lì, veterani e non, eravamoinsieme nello spirito di un’akicita(società guerriera) passata, presente efutura.C’è un altro aneddoto che voglioraccontare prima di chiudere. Nellapiccola città di Morton, Minnesota, permolto tempo, fino all’inizio del secolo,non fu permesso agli indiani di frequen-tare la scuola, anche se la squadra dellascuola si chiamava Morton Indians. Erauna scuola per soli bianchi. Tuttavia,poiché mia madre era nipote del capodella tribù, le fu permesso di andare allascuola quando arrivò al settimo anno.Come ho già detto la scuola della riservaarriva solo alla sesta. In ogni caso dueragazzine beffeggiarono mia madredicendole “schifosa, piccola sporcaindiana”. Mia madre è sempre stata unguerriero, una combattente e così fecesubito a botte con le ragazze. Lei avevaun carattere forte. Una delle ragazze erafiglia del preside della scuola; suo padreprese allora una correggia di cuoio efrustò mia madre che si rifiutò dipiangere. Poi lei tornò a casa tra i lazzidegli studenti. Tornata alla riserva,raccontò il fatto al nonno che montò acavallo con i guerrieri in armi e cavalcòfino in città dove legò il preside allaruota di un carro e cominciò a frustarlosulla schiena.Questo avveniva nel 1914 all’iniziodella Prima Guerra Mondiale. La gentedella città ricordava ancora la GrandeSollevazione Sioux del 1863 e deisoldati vennero nuovamente da FortSnelling a Morton per sedare la possibi-le rivolta. Il risultato fu che tutte leaccuse furono lasciate cadere sia controil preside che contro gli indiani, ma sifece una legge in Minnesota per cui ibambini indiani dovevano andare ascuola a Flandreau, S.D., per gli annisuccessivi al sesto. In seguito, l’annodella mia nascita, il 1935, quando i mieidue fratelli maggiori furono espulsi daFlandreau, la Morton High Schoolpermise loro di iscriversi ed essidiventarono delle star della squadra dibasket scolastico. Solo allora la scuola siguadagnò il suo nome di MortonIndians.

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Pubblicità per l’arruolamento nei Servizi Segreti americani in News from Indian Country, quindicinale di informazione nativocon base in Minnesota e il secondo per diffusione negli Stati Uniti.

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Gli hopi vivono in una riservanell’Arizona nordorientale circon-data dalla riserva navajo e, come glialtri pueblo, sono gli eredi dellagrande cultura preistorica nota comegli Anasazi. Incontrarono per laprima volta gli europei nel 1540,quando Pedro de Tovar visitò i lorovillaggi per la spedizione Coronado.Gli hopi parteciparono alla GrandeRivolta Pueblo del 1680; dopo larivolta, dato che vivevano all’estre-ma frontiera dell’impero spagnolo,vennero lasciati in pace ad adorare iloro dei e a combattere contro irazziatori apache, navajo e ute. Gliangloamericani entrarono nella zonaalla metà del XIX secolo, ma fusolo verso la fine dell’Ottocento cheWashington cominciò a creare aglihopi molti problemi. La riserva hopifu istituita tramite gli Ordiniesecutivi presidenziali del 6 dicem-bre 1882 e 9 gennaio 1974 su oltreun milione e mezzo di acri nellecontee di Coconino e Navajo,Arizona. Gli hopi sono 10.3654, dicui 7.785 iscritti ai ruoli tribali.Ursula Roach è una donna hopibella e alta e anche una veterana diguerra. La sua famiglia è Honwytewae il suo nome hopi significa Gridod’Aquila, perché quando erabambina strillava molto. Ursula èspecializzata in Pari Opportunità per

il Bureau of Indian Affairs, Ministe-ro degli Interni a Washington, DC.

HAKO: Non sei sempre stata unafunzionaria statale, vero?URSULA.: No, sono una veteranadella Guerra del Golfo del 1990-91,appartenente alla polizia militarecombattente. Dopo il maggio 1991avevo il rango di sergente di PrimaClasse E-7. Sono la sola donna dellamia famiglia, nucleare o estesa, adessere andata oltre il ruolo tradizio-nale e culturale che ci si aspetta dauna donna hopi.H.: Le cronache spagnole scrivonodi donne pueblo che scaglianopietre dai tetti, quando scoppiavanole rivolte contro il loro ferreodominio. Le donne hanno ancheavuto un ruolo nei rituali di guerrapueblo connessi agli scalpi e visono personaggi di donne guerrierenei racconti tradizionali. Qual è ilruolo culturale e tradizionalefemminile nella società hopimoderna?U.: Tradizionalmente e oggi ladonna è il fondamento della fami-glia. La donna è l’inizio della vitaperché può riprodurre la vita e lavita è sacra. Le donne hopi tradizio-nali dal mio punto di vista sonoquelle che sono rimaste nella riservahopi mantenendo il modo di vita

hopi; altre donne hopi hannolasciato la riserva per varie ragioni,come me, ma le mie radici sarannosempre in terra hopi.H.: Quando è cominciata la tuavariegata carriera?U.: È cominciata alla fine degli anniSettanta, quando diventai la primapoliziotta indiana di una cittadinadell’Arizona. Nel 1980 entrainell’esercito, nella polizia militare,come investigatore. Ero la primadonna indiana a servire nel distrettomilitare di Washington, DC. Nel1983 entrai nella riserva dell’eserci-to americano e diventai la primadonna indiana istruttore di poliziamilitare e addetta all’addestramentodell’unità a cui fui assegnata, la US.Army Reserve, brigata di Poliziamilitare 8830, presso Fort Mead,Maryland. Nello stesso annocominciai la mia carriera di poliziot-ta civile, che mi portò ad essere laprima donna indiana detective per ilministero della difesa a Washington.H.: Quanti indiani hanno combattu-to nella Guerra del Golfo? Quantedonne indiane?U.: Secondo un giornale indianoche ho letto mentre ero sul GolfoPersico hanno servito circa 3.000indiani sul Golfo, ma il numerocomprendeva sia donne che uomini.L’informazione era questa: 250

Intervista a Ursula Roach, donna hopi e vetera-na della guerra del Golfo.

Una donna guerriera

Donne ed esercito

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HAKOMAGAZINElakota, 65 crow, 250 chippewa, 350membri di varie tribù dell’Oklaho-ma, dai 350 ai 500 navajo, ventinativi alascani, sei seminole, quattroindiani dello Stato di Washington,ventisette hopi, di cui tre donne, unapache San Carlos e un lakota sonostati uccisi (il lakota da “fuocoamico”, N.d.T.).H.: Che tipo di stereotipi o discrimi-nazioni ha sperimentato durante il

servizio militare?U.: Nel 1980 durante l’addestra-mento di polizia militare di base, inrisposta alla mia natura silenziosa,fui mandata a un centro d’istruzioneinsieme ad altri appartenenti a“minoranze” senza spiegazioni.Dopo aver completato i test, mivenne detto che lo scopo del test eraverificare la mia, la nostra, capacitàdi leggere, scrivere e capire l’ingle-se. Mi sentii molto insultata da ciò,perché avevo un diploma di scuolasuperiore con lode; avevo preso 115all’esame di entrata nell’esercito,che è molto di più dei 100 punti

richiesti per la polizia militare. Sonostata la sola donna a diplomarsiall’accademia della polizia militaree a passare gli esami, scritti e fisici,della Polizia di Stato dell’Arizona.Tutte queste informazioni erano bendocumentate nel mio curriculummilitare, ma ero ancora percepitacome una analfabeta a causa delcolore della mia pelle e del miocomportamento culturale.

H.: Quali sono stati i momenti piùimportanti della tua carriera?U.: Dopo aver completato l’adde-stramento di base, sono stataassegnata a Washington, DC. Hoanche completato un ulterioreaddestramento come investigatrice esono diventata la prima donnainvestigatrice della polizia militareassegnata al distretto militare diWashington. Il mio incarico consi-steva in doveri di tipo protettivo peril Presidente Reagan, dignitaristranieri e celebrità VIP in visita.Ho ricevuto una medaglia nelmaggio 1982 per comportamento

“al di là del dovere”. L’episodio percui ho guadagnato la medaglia èavvenuto durante uno dei miei moltiservizi notturni, ispezionandoedifici e attività militari. Mentreentravo in un locale di “Pizza Hut”notai che era in corso una liteviolenta e, dato che ero l’unicopoliziotto sul posto in quel momen-to, tentai di far finire la rissa,mentre la gente brandiva sedie,

mazze da biliardo e tavolini. Senzapensare alla mia sicurezza personalenel proteggere gli altri e far rispetta-re la legge, mi ferii (perforazionedel timpano, tagli, lividi, mascelladolorante, ecc.) mentre arrestavo iprincipali protagonisti della rissa,prima dell’arrivo di altro personaledella polizia militare. Comunque,non era la prima volta che svolgevoquesta “parte divertente del miolavoro”. Mi sono trovata in situazio-ni simili quando ero poliziotta inArizona, dove mi sono fatta unocchio nero e altre contusioni. Nel1990 sono stata la prima nativa

Poster di solidarietà per i soldati lakota impegnati nell’operazione Desert Storn, Iraq 1991, di fronte alla scuola RedCloud nella riserva oglala lakota di Pine Ridge, SD.

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N° 16americana ad essere assegnata alla372ma compagnia di Polizia Militarediretta al Golfo Persico. Ero ilsottufficiale anziano donna di novedonne assegnate a questa compa-gnia e il sottufficiale anziano dellamaggioranza maschile dell’unità.Questa unità era composta prevalen-temente di maschi bianchi, di rangoinferiore al mio. Questo, più il fattoche ero donna, non mi ha procuratomolti amici e non mi è stato permes-so di compiere i doveri normalmen-te eseguiti da un soldato del miorango. Ero una delle tre donne hopiche servivano sul Golfo Persico, unevento storico per la mia tribù. Laguerra è in conflitto con la fede hopinell’armonia, nella pace e nelrispetto per la vita umana, la MadreTerra e le sue creature.H.: Sei mai stata ferita?U.: No, non ho ricevuto alcunaferita fisica, ma sono stata espostaai pozzi di petrolio in fiamme diKuwait City.H.: Quali sono le medaglie piùimportanti che hai ricevuto?U.: Ho ricevuto varie medaglie perazioni in servizio che consideravonormali attività quotidiane. Non homai cercato di ricevere alcun tipo dipremio, mi sono sempre sentita adisagio. Credo che la medaglia piùimportante che ho ricevuto sial’ Army Commendation Medal il 2aprile 1983.H.: Quando hai deposto le armi?U.: Nel 1993, quando sono entratanel Bureau of Indian Affairs. Ora,come specialista per le Pari Oppor-tunità tratto i problemi di discrimi-nazione in modo più diplomatico.Sono anche coinvolta in altreattività come volontaria.H.: Puoi parlarmene?U.: Sono uno dei molti consiglierinativi americani dell’AmericanUniversity di Washington, DC.Aiuto a istituire un programma diborse di studio per studenti indianiamericani, con il coinvolgimentodell’università, del governo eistituzioni private. Sono anchemembro della Guardia d’Onoredell’Associazione Intertribale deiVeterani dell’era del Vietnam diWashington (VEVITA; Vietnam EraVeterans Intertribal Association)

che presenzia a vari eventi indiani,

militari e governativi, dove laGuardia d’Onore deve presentare labandiera nazionale e il bastoneindiano, che eguaglia la bandieraamericana, nelle cerimonie d’aper-tura. Sono anche consigliere indianodi un Comitato di ConsulenzaVeterani delle Minoranze, delDipartimento degli Affari deiVeterani a Washington, DC.

Dopo aver insistito per tutta l’inter-vista di essere stata la prima donnaa fare un gran numero di cose,rompendo gli schemi di comporta-mento femminili tradizionali hopi edimostrando di essere una patriotaamericana onorata negli eventiufficiali, nell’ultima domandaUrsula ha avuto un soprassalto dicomportamento etnico come hopi-americana, passando dall’altra partedel trattino e affermando la sua“hopità”. Gli hopi e gli altri pueblo,dopo essere stati perseguitatireligiosamente e derubati delsegreto religioso su cui fondano la

loro società da molti antropologi,sono diventati sospettosi tanto daavere un comportamento automati-co. Credono che tutti voglianocarpire loro segreti religiosi e nonpensano che la gran parte dellagente, tranne i missionari e qualcheantropologo, sia ben poco interessa-ta a questo. Ursula non ha neppureverificato che chi la intervistavaappartiene a una tradizione culturaleilluminista-liberale-socialista che hadato alla storia un certo numero dianticlericali. La domanda eraquesta: «Anche se il ruolo tradizio-nale delle donne hopi è pacifico, ladonna guerriera è un personaggioimportante nel mondo hopi. Penso aHe’e o Chakwaina. He’e smise dipettinarsi i capelli per afferrare arcoe frecce e correre a difendere il suopopolo. Hai trovato in lei una fontedi ispirazione?»La domanda, tradotta culturalmente,voleva solo sapere se le storietradizionali potevano essere stated’esempio psicologicamente, nellasua formazione giovanile, citandoun’eroina simile, in un certo senso,alla nostra Santa Giovanna D’Arco.Caratteristicamente la risposta estata: «Domanda non appropriata» esi è rifiutata di rispondere, cancel-landola con la penna rossa.

Ursula Roach durante una sua visita inItalia in occasione della mostra “Ai con-fini del Deserto Dipinto” sulla Collezio-ne Dalla Volta Finzi.

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HAKOMAGAZINE

Giovanni Grilli

Tony Hillerman, di origine anglo-tedesca, da nacque nel 1925 a SacredHeart (Oklahoma) in pieno territorioindiano, tra seminole e pottawatomie.Fin da ragazzo la sua esistenza fufortemente legata al mondo indiano.Frequentò le scuole primarie presso unalocale boarding school, l’unica esistentenell’area e destinata di regola ai bambiniindiani. Attualmente vive ad Albuquer-que nel Nuovo Messico. Presso quellauniversità si era laureato in lingua eletteratura inglese ed aveva insegnatogiornalismo. Non fu quindi casuale chenegli anni ‘70 egli iniziasse a scrivereuna serie di romanzi che avevano pertema la polizia navajo, nel suggestivocontesto geografico e storico dei FourCorners (Arizona, Nuovo Messico,Colorado, Utah). Il primo romanzopoliziesco di questa saga indiana -TheBlessing Way - narrava le avventure diJoe Leaphorn, tenente della PoliziaTribale Navajo. Fu per quell’epoca unatto di coraggio e di adesione al mondoindiano, questo esordio letterarioattraverso un eroe che apparteneva aquel mondo. C’erano stati in quelperiodo film importanti - “Soldato Blu”,“Un Uomo Chiamato Cavallo”,“Piccolo Grande Uomo” - che guarda-vano con benevolenza e amicizia gliindiani d’America, ma esaltavano pursempre eroi appartenenti alla culturabianca. Tony Hillerman durante la

stesura del thriller “The Fallen Man”dichiarò:«Nello scrivere fiction sulla poliziatribale navajo devo dipendere dall’aiutodi professionisti... tale collaborazione miè stata offerta da personale sia della

Polizia Tribale Navajo che dai NavajoRanger». Per poter entrare con maggioreaderenza nelle vicende delle suenarrazioni, mise quindi a frutto tutte lesue conoscenze sul mondo dei navajo edelle vicine tribù hopi, ute e pueblo.

La polizia tribale navajo nei racconti di TonyHillerman.

Poliziotti indiani

Polizia tribale e fiction

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Sono però riscontrabili in alcuniromanzi della saga dati contraddittori onon completamente chiari che nonaiutano a comprendere la reale dimen-sione delle forze di polizia navajo e laloro organizzazione. Nel romanzo“Coyote Waits”, ad esempio, egli scriveche «la Polizia Tribale Navajo eracomposta da appena 110 agenti circa, edera per questo che l’uccisione di uno diessi era un fatto non solo eccezionale,ma anche intimo e personale». Nelromanzo successivo - A Thief of Time -afferma invece: «il pettegolezzo stavacorrendo tra i 400 membri della PoliziaTribale Navajo…».A fianco del tenente Joe Leaphorn simuovono altri agenti tribali, figure cheassumono via via maggiore consistenzae caratterizzazione nel corso dei dodiciromanzi che costituiscono la saga: ilcapitano Largo, ma soprattutto ilgiovane poliziotto Jim Chee. Quest’ulti-mo, moderno e pragmatico, in alcuniracconti è l’eroe protagonista, mentre inaltri funge da spalla al tenente, in unasorta di complementarietà tra modernitàe tradizione. Entrambi sono appassionatidi antropologia. Entrambi hannostudiato. Il tenente è perfino laureato inantropologia culturale. Questo elemento,oltre alla conoscenza della lingua navajoe alla perfetta padronanza del territorio,offrirà alla polizia tribale quel qualcosa

in più per risolvere casi che sarebberoinsolubili per agenti statali o del FBI. Icasi che la polizia tribale è chiamata adaffrontare riguardano furti di bestiame edi reperti archeologici, vandalismi versoluoghi sacri, reclami verso i musei stataliche non restituiscono le salme degliantenati, uccisioni misteriose checoinvolgono passato e presente delSudovest. In tutti questi casi la polizianavajo risulta vincente in complesse esuggestive trame. Coopera spesso con lepolizie tribali vicine e con la poliziastatale, entrando, però, a volte inconflitto con i boriosi ed arroganti agentidel FBI, cui spetta intervenire in caso diomicidio. I due eroi, Leaphorn e Chee, simuovono individualmente nello schematipico degli eroi romantici. Nelromanzo “A Thief of Time” Leaphorndice dell’agente Chee: «…era unindividualista, rispettava il regolamentosolo e quando gli faceva comodo... eraanche un romantico, poteva addiritturadiventare un uomo di medicina. Unpoliziotto tribale- sciamano! Le dueprofessioni erano completamenteincompatibili.» Scarsi, se non assentisono i rapporti tra il corpo di polizianavajo e le altre istituzioni pubbliche epolitiche della tribù. Il Consiglio Tribaleè citato solo marginalmente in alcunipassaggi e più che altro per criticare lalentezza dell’amministrazione e la

sordità della burocrazia.Un’ultima considerazione riguarda ilregolamento della polizia tribale cosìcome emerge dai racconti di Hillerman.Quel regolamento che proibisce ilnepotismo in seno alle gerarchie delcorpo di polizia ed esalta la competitivitàtra agenti, è ispirato da analoghiregolamenti di contee americane erisponde a criteri estranei al mondoindiano. Inoltre quel regolamento nontiene conto dei legami di clan esistentifra gli indiani e in particolare tra inavajo, che hanno un profondo signifi-cato fra le persone e nella vita sociale edeconomica della tribù - ma che, nellarealtà concreta, possono anche tradursiin clamorosi favoritismi o in connivenze“mafiose”.Per concludere si può affermare cheHillerman, grande interprete dellacultura navajo, insignito di un importan-te riconoscimento - il Navaho Tribe’sSpecial Friend Award - ha saputoimprimere nei suoi thriller ad ambienta-zione indiana le contraddizioni, leambiguità e le ambivalenze di quelmondo, un mondo che deve tener contodelle relazioni con le altre tribù esoprattutto con i bianchi.

Automobile di servizio della polizia navajo aGallup, NM, 1997.A p. 42: Pubblicità dell’FBI che invita ad ar-ruolarsi, da Native Peoples, rivista indiana.