83
(1902-1978) HAROLD DWIGHT LASSWELL

HAROLD DWIGHT LASSWELL...Harold D. Lasswell, «The Theory of Political Propaganda», The American Political Science Review, Vol. 21, No. 3, Aug. 1927, pp. 627-631, In questa prospettiva,

  • Upload
    others

  • View
    4

  • Download
    1

Embed Size (px)

Citation preview

  • ( 1 9 0 2 - 1 9 7 8 )

    HAROLD DWIGHT LASSWELL

  • GLI STUDI

    Lo studioso di scienze politiche, indicato tra i massimi pionieri dello studio scientifico della comunicazione, si laurea nel 1922 e consegue il Dottorato all’Università di Chicago nel 1926, per poi recarsi in Europa, dove studia Freud e Marx e conosce Keynes e Bertrand Russell.

  • LA PROPAGANDA

    La sua prima opera

    importante è la tesi di

    dottorato apparsa nel 1927,

    che analizza le tecniche di

    propaganda impiegate

    nella prima guerra

    mondiale e costituisce la

    prima testimonianza

    dell’apparato concettuale

    della Mass Communication

    Research.

  • LA PROPAGANDA

    Con lo studio della propaganda inizia il suo percorso di politologo consapevole della grande importanza della comunicazione politica ma anche attento alle esigenze metodologiche della sociologia empirica.

  • PUBLIC OPINION

    Assistant Professor nel Dipartimento di Scienze Politiche dal 1926, insegna a Chicago fino al 1938, contribuendo alla fondazione (1937) della rivista Public Opinion Quarterly.

  • A ridosso del secondo conflitto mondiale, conduce due grandi ricerche (per la Library of Congress e per la Stanford University) riguardanti i simboli della propaganda, le opinioni dell’élite e la stampa di prestigio.

    25 settembre1956, War College di Carlisle, (Penn.). Lasswell con il Comandante Man S. Johnson, F.

    S. Dunn, il Vice comandante E. C. Doleman e William T. Fox (Columbia University.

  • YALE

    Nel 1948 ottiene la docenza alla Yale Law School. Ricopre importanti ruoli per il governo e nel 1955 diventa presidente dell’American Political Science Association.

  • LA PROPAGANDA

    Il suo lavoro del 1927 sulle

    tecniche di propaganda usate da

    americani, inglesi, francesi e

    tedeschi durante la prima guerra

    mondiale non giunge a formulare

    una teoria generale, ma produce

    una razionale analisi del campo di

    indagine, distinguendo i messaggi

    secondo i pubblici cui sono diretti

    e individuando i temi ricorrenti,

    ristretti sostanzialmente in 8 gruppi.

  • LA PROPAGANDA

    L’opera ha quindi un carattere descrittivo e analitico, fondato sulla costruzione di tipologie. Fornisce tuttavia l’impressione che si possano ricostruire le strategie propagandistiche dei diversi governi e anche predire le mosse future degli eventuali nemici.

  • VISIONE TECNICA E STRUMENTALE

    Le funzioni attribuite da Lasswell alla propaganda definiscono il suo concetto di comunicazione politica, ritagliato sull’orientamento elitista respirato durante la sua formazione e ampiamente condiviso dallo spirito dell’epoca.

  • CHARLES EDWARD MERRIAM

    Lasswell è infatti un allievo

    di Charles Merriam, che

    insegna dal 1900 al 1940

    nel dipartimento di

    Scienza politica di

    Chicago, predicando il

    superamento della storia

    delle idee e della teoria

    politica e un contatto più

    stretto con la psicologia e

    l’economia.

  • CHARLES EDWARD MERRIAM

    Secondo Merriam la

    ricerca, nelle scienze

    sociali, e nella

    politica, deve essere

    davvero empirica, sul

    campo, e mirare alla

    trasformazione della

    società e delle

    istituzioni.

  • CHARLES EDWARD MERRIAM

    Da questa visione, che riserva alle dinamiche di formazione delle élites il segmento aureo della «scienza politica» (relegando le masse popolari sullo sfondo, come soggetto passivo ed elemento residuale), preoccupata di mettere in evidenza gli aspetti pratici della disciplina, discende una lettura della comunicazione politica in chiave pratica, che tende a identificare propaganda e democrazia.

  • VISIONE TECNICA E STRUMENTALE

    Nell’ottica di Lasswell, che interpreta

    un’opinione molto diffusa, la propaganda è uno

    strumento indispensabile nelle democrazie

    moderne perché è l’unico in grado di strutturare

    il consenso delle masse popolari.

  • VISIONE TECNICA E STRUMENTALE

    L’approccio scientifico alla propaganda viene così ancorato alla valutazione della sua efficacia, al riparo da considerazioni sulla distribuzione del potere o di tipo etico (che vengono dislocate in altri settori), e trae giovamento dall’inquadramento come un insieme di «tecniche», un mezzo neutrale che costituisce un’alternativa economica alla violenza e alla corruzione nella gestione del potere.

  • MAX WEBER

    Per comprendere la facilità con cui si afferma una visione della comunicazione politica così attenta agli aspetti tecnici e così ambigua e «sbrigativa» sul piano morale, occorre considerare il quadro teorico generale della riflessione sociologica e in particolare la specifica influenza su alcuni punti del pensiero di Weber, morto nel 1920.

  • MAX WEBER

    In particolare era ormai

    manifesta l’influenza sulla politica

    dell’agire razionale rispetto allo

    scopo (Zweckrationalität), la

    categoria enucleata da Weber,

    del quale in quegli anni erano

    particolarmente apprezzate sia

    l’accentuazione «realistica» della

    sua sociologia politica, sia l’invito

    alla netta separazione tra giudizi

    di valore e giudizi scientifici.

    Weber.pptWeber.ppt

  • SCIENZA NATURALE

    La separazione fra giudizi scientifici e giudizi di

    valore contribuisce a plasmare una scienza

    politica «comportamentale», che svincola l’azione

    politica dalle radici storiche per poterla decifrare

    in un contesto più «meccanico», con l’ausilio degli

    strumenti offerti dalla psicologia e dalla sociologia.

  • SCIENZA NEUTRALE

    Ma soprattutto può essere usata come un grimaldello per scardinare le responsabilità di tipo etico che gravano sulla politica e poterne così valorizzare più liberamente gli aspetti «tecnici» in termini di risorse, obiettivi e strategie.

  • In quest’ottica naturalmente diventano interessanti per l’analisi i comportamenti dei gruppi organizzati, delle élite, dei grandi personaggi, cioè dei soggetti «attivi» che fanno la politica anziché limitarsi a «subirla». Perciò Lasswell, introducendo la teoria elitista all’interno del dibattito politologico americano, sostiene in Chi ottiene che cosa, quando e come (1936) che la massa non riveste che scarso interesse per uno studioso della politica.

    5 febbraio 1913, il governo di Francisco Madero a una cerimonia

  • Del resto, già nel 1933, nella voce

    «Propaganda» scritta per l’Enciclopedia delle

    Scienze Sociali, Lasswell ha chiaramente

    ridimensionato l’idea fondamentale del

    pensiero democratico secondo cui ciascuno è

    arbitro del proprio interesse: «Non dobbiamo

    soccombere» egli ha scritto «a dogmatismi

    democratici del tipo che gli uomini sono migliori

    giudici dei propri interessi».

  • Poiché la maggior parte delle persone è ancora preda della superstizione e dell’ignoranza, spiega lo studioso, l’avvento della democrazia, in America come in altri paesi, «obbliga a sviluppare un insieme di tecniche di controllo, soprattutto attraverso la propaganda», che è un «mezzo di mobilitazione di massa più conveniente della violenza, della corruzione o di altre possibili tecniche di controllo».

  • Se la gente comune non è in grado neppure di

    capire qual è il suo interesse, è evidente che la

    sorte delle masse è quella d’essere controllate

    ed emarginate dalla vita politica. Un regime

    democratico efficiente usa quindi la

    propaganda come un mezzo lecito e

    vantaggioso per indurre i cittadini a fare scelte

    che spontaneamente non farebbero.

  • «Il nostro pensiero è stato troppo a lungo

    distratto dalle logore contrapposizioni fra

    democrazia e dittatura, fra democrazia e

    aristocrazia. Il nostro problema è essere guidati

    dalla verità sulle condizioni di relazioni umane

    armoniche e la scoperta della verità è un

    oggetto della ricerca specialistica; non è

    monopolio del popolo in quanto tale né dei

    governanti in quanto tali».

  • «Da che sono stati inventati e diffusi i nostri

    metodi di accertamento, essi sono spiegati e

    applicati da molti individui all’interno dell’ordine

    sociale. La conoscenza di questo tipo è una

    accumulazione lenta e laboriosa».

  • Nel suo discorso d’insediamento alla Presidenza

    dell’American Political Science Association (la

    più antica e vasta organizzazione americana di

    scienziati politici, nel 1934, Walter J. Shepard si

    scaglia contro «il dogma del suffragio universale»

    e afferma che il governo dovrebbe essere in

    mano a “un’aristocrazia di intelletto e di

    potere”.

  • Ne deriva logicamente che agli “elementi

    ignoranti, anticonformisti e antisociali” non deve

    essere permesso di decidere l’esito delle elezioni,

    come sciaguratamente è stato fatto in passato».

    Se a qualcuno quest’idea rammenti il fascismo,

    egli conclude, allora costui sappia «che esistono

    molti elementi nella dottrina e nella pratica del

    fascismo di cui faremmo bene ad appropriarci».

  • Secondo Patrick Deenan, la visione di Shepard è più rappresentativa di quanto si possa pensare delle tendenze più ampie di quel periodo. Queste voci a favore del fascismo non provengono da estremisti marginali ma da scrittori di successo, Presidenti di grandi associazioni, redattori di riviste popolari.

  • Col senno di poi, è facile pensare che Shepard avesse

    un carattere un po’ autoritario o che fosse mal

    consigliato. Tuttavia, è significativo che una figura

    rispettata nell’accademia americana tenesse

    ufficialmente un discorso di quel tenore. I suoi sentimenti

    erano non erano lontani da quelli dei protagonisti della

    rivoluzione comportamentale di quegli anni e

    riflettevano molte idee correnti sull’insufficienza delle

    istituzioni democratiche e del loro spirito di cittadinanza.

    intellettuali di alto profilo di quel tempo che sarebbero

    stati d'accordo con l'idea che la democrazia americana

    fosse fallita e che fosse necessaria una novità.

  • Graham Wallas e Walter Lippmann, i politologi di

    Chicago Charles E. Merriam, Harold F. Gosnell e

    Harold Lasswell, gli psicologi di Harvard Elton

    Mayo e William S. Mc-Dougall, il sociologo della

    Columbia Robert S. Lynd e lo storico dello Smith

    College Harry Elmer Barnes si sono espressi

    criticamente sulla «democrazia», senza per

    questo dover condividere l’ideologia fascista.

  • McDougall e il «negazionista» Barnes potevano

    avere simpatie per il nazismo, ma molti di loro

    credevano semplicemente che il modello

    democratico americano avesse fallito e dovesse

    essere superato da qualcos'altro, sulla base

    della convinzione che l’essenza della

    democrazia consistesse nei risultati ottenuti e

    non nella semplice partecipazione.

    Harry Elmer Barnes (1889-1968)

  • Lo stesso disprezzo per il cittadino comune viene esibito anche da Edward Bernays, che su questi temi riveste nel mondo degli affari quel ruolo chiave che negli studi accademici spetta a Lasswell: «L’americano adulto medio» osserva il guru delle pubbliche relazioni «ha solo sei anni di scolarizzazione (…) perciò i leader democratici devono fare la loro parte nell’ingegneria del consenso».

  • Il telespettatore medio italiano ha l’intelligenza di un bambino di undici anni, nemmeno troppo

    intelligente.

    Ettore Bernabei

    Ricordate che i nostri spettatori hanno solo la terza media e non

    sedevano nemmeno tra i primi banchi.

    Silvio Berlusconi

  • In un articolo del 1947 Bernays chiarisce bene su

    quali basi si sostenga l’uso della propaganda in

    una democrazia. La propaganda è equiparata

    alla persuasione e questa alla democrazia.

    «L’ingegneria del consenso» asserisce convinto

    «è la vera essenza del processo democratico, la

    libertà di persuadere e di esortare».

    All the King’s Men, Usa 1949

  • È lo stesso percorso illustrato da Lasswell venti

    anni prima: «Si sono sviluppate nuove abitudini

    che favoriscono la circolazione delle opinioni e il

    comportamento elettorale. La maggior parte di

    ciò che in precedenza sarebbe stato fatto con

    la violenza e l’intimidazione deve ora essere

    ottenuto con gli argomenti e la persuasione».

  • E conclude con una frase a effetto: «La

    democrazia ha proclamato il dominio della

    discussione e la tecnica per dominare il

    dominatore si chiama propaganda».

    Harold D. Lasswell, «The Theory of Political Propaganda», The American

    Political Science Review, Vol. 21, No. 3, Aug. 1927, pp. 627-631,

  • In questa prospettiva, la propaganda in sé non

    ha ovviamente nulla di negativo: è uno

    strumento, moralmente neutro, che si può usare

    bene o male, quanto la maniglia di una pompa

    dell’acqua.

  • Il tentativo di condurre la scienza politica

    nell’alveo delle scienze «esatte», oltre i suoi

    tradizionali binari etico-filosofici e storici, viene

    elaborato da Lasswell sulla scia delle indicazioni

    di Merriam e sulla base di un marcato

    orientamento elitista.

  • L’analisi della politica viene spostata sul terreno

    concreto, in cui azioni e obiettivi specifici sono

    valutati oggettivamente, entro un quadro

    teorico ampiamente ispirato alla psicologia

    dell’epoca che risemantizzare le nozioni di

    «simbolo» e di «valore» con la patina fredda e

    razionale di un gergo strettamente «tecnico».

  • Spunta anche qui l’entusiasmo

    per le idee di Freud, già diffuso

    da Bernays nelle pubbliche

    relazioni, che sembrano poter

    rendere la politologia ancor

    più «scientifica», grazie al loro

    carattere «sperimentale» e alla

    promessa di poter modificare i

    comportamenti umani.

  • Incoraggiato da Merriam,

    dopo un soggiorno in Europa

    tra il 1928 e il 1929, Lasswell

    pubblica un volume ispirato

    direttamente alle teorie

    freudiane (Psychopathology

    and Politics, 1930) in cui

    propone, attingendo a piene

    mani dalla psicoanalisi, una

    disamina del comportamento

    di alcuni leader famosi.

  • GUIDARE LE MASSEJames Elder Christie, The Pied Piper of Hamelin, 1881

    «I risultati delle ricerche sulla personalità

    mostrano che l’individuo è un giudice mediocre

    del proprio interesse. La persona che sceglie di

    impegnarsi su una linea politica in genere sta

    provando ad alleviare il suo disturbo con

    palliativi irrilevanti. Un esame delle condizioni

    generali della persona frequentemente mostrerà

    che la sua idea del proprio interesse è assai

    distante dal percorso che veramente potrebbe

    dargli una vita stabile e felice».

  • GUIDARE LE MASSE

    «La propensione dell’uomo verso lontani obiettivi sociali, la dimestichezza coi quali e al di là dell’esperienza personale, tranne rari casi, è molto probabilmente il frutto di un adattamento simpatetico piuttosto che un comportamento sano e ponderato».

    Harold D. Lasswell, Psychopathology and Politics, (University of Chicago Press, 1930)

  • L’affermazione che la gente è spesso all’oscuro del proprio vero interesse viene solitamente accusata di condurre alla conclusione che sia necessaria una dittatura. Ma nessuno studente di psicologia dell’individuo può ignorare la conclusione di Kempf che “la società non è sicura (…) quando è costretta a seguire la dittatura di un individuo, di un apparato assoluto, non importa quanto splendido e altruista sia il tipo di condizionamento”.

  • Egli elabora una

    tipologia delle leadership

    basandosi sulle

    esperienze personali, gli

    atteggiamenti e lo

    sviluppo della personalità

    dei loro interpreti,

    classificati come teorici,

    amministratori e agitatori.

  • La caratteristica essenziale dell’agitatore, ad esempio, è l’alto valore che egli attribuisce alla risposta emotiva del pubblico. Sia che difenda le istituzioni sociali, oppure le attacchi, l’agitatore, come dice il nome, si eccita così tanto per le questioni politiche da trasmettere il suo fervore a quelli che gli stanno attorno.

    Béla Kun, leader della Rivoluzione ungherese del 1919

  • Secondo Lincoln Allison, l’idea più interessante e

    meno riconosciuta del libro è la distinzione

    polemica fra «noi», persone normali che si

    godono i dettagli della vita, guardano il cielo,

    sentono l’odore dei fiori, e «loro», i politici guidati

    dalle loro psicopatologie che invece vogliono

    svegliare le coscienze, aumentare la nostra

    consapevolezza e perciò sono stati di volta in

    volta “puritani”, “socialisti” e ora “ambientalisti”.

  • Costoro sono diversi da noi, non possono nemmeno mangiare senza interrogarsi sulla sostenibilità dell’economia che porta il cibo nel piatto e hanno bisogno di attenzione, potere, status etc. perché qualcosa non ha funzionato nella loro educazione.

  • Questa è l’idea centrale del libro, che però –dice Allison - invece di esplorarne le implicazioni teoriche consistenti, spende le sue 319 pagine per narrare una serie di case studies in cui le polluzioni notturne nel letto condiviso col padre conducono ad adorare Stalin oppure un’erezione durante un fustigazione motiva l’approdo al fondamentalismo religioso.

  • «Al tempo Lasswell sembra voler predisporre meccanismi per evitare che gli psicopatici giungano al potere: in un libro scritto dopo un soggiorno in Germania alla fine degli anni Venti, sembra comunque una buona prova di preveggenza!»

    Lincoln Allison

  • Oggi questo «scientismo freudiano» sembra perfino risibile e lo stesso Lasswell (secondo cui le gelosie omosessuali represse nello stato maggiore avevano causato la sconfitta della Germania, p.178) era consapevole dei risultati “modesti” che aveva dato l’ibridazione tra il freudismo e gli studi politici. Perciò, mentre il brio con cui s’impossessava del gergo di altre discipline colloca talora Lasswell tra i padri della psicologia, molti studiosi tendono a espellere Psychopathology dalla sua biografia.

  • REFERENTI

    • La psicologia delle folle

    (Le Bon)

    • Il behaviorismo

    (Watson)

    • Le teorie sul

    condizionamento

    (Pavlov)

    • La psicologia sociale

    (Mc Dougall)

  • Resta tuttavia il fatto che quest’approccio alla costruzione del leader politico - che trasforma in questioni di pubblico interesse motivi privati dislocati sul piano della sfera pubblica - struttura il percorso interpretativo dell’azione politica che forma l’ossatura costante del pensiero di Lasswell.

  • L’essenza dell’azione politica consiste infatti, secondo lui, nel “tradurre” gli stati psicologici individuali nella dimensione degli oggetti pubblici. L’azione può essere razionalizzata in termini di pubblico interesse o legge morale, ma in fondo è motivata da complessi, nevrosi e psicosi.

  • Convinto che gli scienziati politici devono

    studiare il «comportamento politico» più che le

    idee politiche, Lasswell definisce la politica

    come quella parte del processo sociale che si

    traduce nella competizione per il potere, nella

    lotta per il possesso, la gestione e la distribuzione

    delle risorse: l’abilità di partecipare alle decisioni

    e di produrre effetti su altre persone.

  • La concezione di Lasswell è quella di un «gioco a somma zero», in cui si distribuiscono dall’alto risorse scarse e inevitabilmente l’impegno politico si traduce nel dividersi, nel parteggiare per gli uni o per gli altri, nel seguire percorsi istituzionalizzati per ottenere benefici a spese altrui piuttosto che in forme di aggregazione partecipativa. Ne risulta una visione proceduraledella democrazia, piuttosto arida e fredda.

  • La scienza politica studia perciò le

    trasformazioni nella distribuzione

    sociale dei modelli di valore e,

    poiché la distribuzione è basata sul

    potere, il punto focale dell’analisi

    sono le dinamiche del potere. In

    questo contesto i valori sono

    definiti non come mete da

    perseguire in nome degli ideali, ma

    come gli obiettivi che guidano

    materialmente le azioni individuali.

  • Lasswell individua otto «valori»,

    quattro connessi al benessere

    personale (salute, ricchezza, abilità

    professionale e conoscenza) e

    quattro al benessere «sociale»

    (potere, affetto, onorabilità e

    rispetto). Il potere ha la peculiarità

    di essere non solo un valore-fine,

    ma anche un valore-mezzo, ossia

    una risorsa che permette il

    raggiungimento di altri valori.

  • Per conseguire questi valori, che nell’ambiente sociale sono naturalmente distribuiti in maniera diseguale, vengono impiegate risorse sia materiali (beni economici e violenza), che incidono direttamente sulla «situazione» degli attori, sia intellettuali (i «simboli»), che agiscono invece sulle attività mentali e sulle «prospettive».

  • Sono le risorse simboliche ad attivare e articolare i processi mentali che attraverso dinamiche inconsce (io, es e super-io) traducono l’energia psichica della cerchia primaria (sfera privata) verso la cerchia secondaria (sfera politica). La capacità di usare i «valori» per influenzare la condotta altrui, mediante l’uso di meccanismi di sanzione o gratificazione, trova quindi il suo terreno elettivo nello «scambio simbolico» e nella comunicazione il suo strumento privilegiato.

  • Il pensiero di Lasswell viene dunque a collimare col processo di «indurimento» delle scienze sociali che, sedotte dal neopositivismo, cercano di guadagnare prestigio attraverso il rinnegamento delle ipoteche soggettivistiche e storicistiche e l’aspirazione a nuovi statuti scientifici improntati al metodo razionale e a un’oggettività di tipo «naturalistico».

  • La ricerca, più o meno affannosa, di nuovi paradigmi scientifici unisce alla percezione di una potente e irreversibile trasformazione della realtà la consapevolezza, da parte del pensiero occidentale, dell’impossibilità di attingere a verità «assolute», aggravata dalla crisi del positivismo.

    Edmund Husserl (1859-1938)

  • Il peso di questa situazione sposta l’attenzione di

    molti studiosi sugli strumenti di «mediazione» di

    senso, per valutarne la portata e l’efficacia,

    nella logica come nell’analisi del linguaggio e

    nella ricerca sulla riproduzione sociale della

    cultura.

    1926, Margaret Mead tra due

    samoane.

  • Questo orientamento orfano di ogni fondazione

    “ontologica” trova una buona traduzione in

    campo comunicativo nella chiara avvertenza di

    Lippmann (ne L’opinione pubblica), secondo cui

    quasi ogni nostro atteggiamento è ormai mediato

    dalle rappresentazioni sociali di cui possiamo

    disporre, aumentando in modo esponenziale il

    valore strategico dei mezzi dedicati allo scambio

    di significati.

  • La comunicazione vede così allentarsi i vincoli

    che ancora la costringevano a confrontarsi con

    la manifestazione dell’essere, con la descrizione

    del reale, con la definizione del vero. Anche su

    questo versante, la categoria dell’utile prende il

    sopravvento su quelle del giusto e del vero.

  • La comunicazione può allora essere costruita

    concettualmente come uno strumento, una

    tecnica «neutrale» che trova il suo fondamento

    negli obiettivi che la innescano e la sua «misura»

    nel risultato ottenuto. Lo stesso «contenuto» non

    deve più tanto rispondere a criteri «esterni» di

    validazione quanto essere weberianamente

    adeguato alle finalità di chi lo esprime.

  • Il lavoro di Lasswell s’inserisce perfettamente in

    questa new wave. Il suo nome è infatti connesso

    alla tecnica della content analysis, un metodo

    per lo studio sistematico dei messaggi che si

    coniuga con la rivoluzione comportamentista

    che dagli anni Trenta agli anni Sessanta

    egemonizza gli studi politici negli Stati Uniti.

  • ANALISI DEL CONTENUTO

    L’analisi del linguaggio, e più in generale della comunicazione, è infatti per Lasswell lo strumento che permette la comprensione del comportamento politico; la ricerca sui modi di comunicare fornisce una base scientifica per lo studio della pratica politica.

  • ANALISI DEL CONTENUTO

    Egli affianca fin dall’inizio al

    lavoro di ricerca la costante

    elaborazione degli strumenti

    empirici in grado di decifrare

    gli obiettivi espressi dalla

    politica mediante la

    comunicazione, che lo porta

    a creare la metodologia di

    cui è considerato il padre: la

    content analysis (o analisi del

    contenuto).

  • Secondo una notissima

    definizione di Bernard

    Berelson del 1952, la

    content analysis «è una

    tecnica per la

    descrizione obiettiva,

    sistematica e

    quantitativa del

    contenuto manifesto

    della comunicazione».

  • ANALISI DEL CONTENUTO

    «Insieme ampio ed eterogeneo

    di tecniche manuali o assistite

    da computer di interpretazione

    contestualizzata di documenti

    provenienti da processi di

    comunicazione in senso

    proprio (testi) o di significazione

    (tracce e manufatti), aventi

    come obiettivo finale la

    produzione di inferenze valide

    e attendibili».

  • LA CONTENT ANALYSIS

    Questa procedura sistematica consente il monitoraggio dei flussi informativi implicati nel processo di policy-making e di formazione dell’opinione pubblica, attraverso la classificazione dei simboli in categorie pertinenti e il calcolo delle frequenze che permette di determinarne l’intensità e la direzione.

  • Lo studioso è ora in grado, grazie a una procedura scientifica funzionale allo studio obiettivo dei messaggi, di individuare i nessi significativi tra• la personalità, il ruolo sociale e le intenzioni

    dell’emittente e i simboli chiave del messaggio.

    • il contenuto della comunicazione e gli effetti sul pubblico

    • i diversi tipi di simboli chiave ricorrenti nella comunicazione.

    Piazza Rossa, 1° maggio 1920

  • Una delle più celebri applicazioni della tecnica

    compare nel volume del1949 The language of

    politics. Studies in quantitative semantics (a cura

    di Harold Lasswell e Nathan Leites) ed è l’analisi,

    condotta con il sovietologo Sergius Yakobson,

    degli slogan esposti a Mosca dal 1918 al 1943

    durante la tradizionale parata del 1° maggio.

    Piazza Rossa, 1° maggio 1932

  • La ricerca dimostra che i contenuti degli slogan variano di concerto con la linea politica del partito. L’aumento dei simboli nazionalisti e di politica interna coincide infatti con il diminuire dei simboli che celebrano l’internazionalismo. Aumentano anche i moniti sui problemi interni rispetto alle denunce di possibili pericoli esterni.

    Piazza Rossa, 1° maggio 1936

  • Viene così assodata da Lasswell e Yakobson la continuità tra le forme della propaganda e la linea politica ufficiale del partito comunista sovietico, che negli anni Trenta si concentra sulla stabilizzazione interna del potere e, constatate le enormi difficoltà ad esportare la rivoluzione fuori dai confini dell’URSS, accantona l’obiettivo internazionalista.

  • La comunicazione politica, la propaganda in particolare, costituisce un campo d’indagine particolarmente fruttuoso per lo studio del potere politico. l’agire politico, in quanto fenomeno storico-sociale, può essere adeguatamente compreso analizzando il linguaggio della politica, che si assume esserne una sorta di rispecchiamento fedele.

  • Lo studio della comunicazione politica può, in

    particolare, contribuire a svelare il "mito politico",

    come Lasswell lo chiama, ovvero l’insieme delle

    istanze ideologiche (di cui i simboli-chiave

    presenti nel linguaggio della politica sono

    l’espressione diretta) che legittimano

    determinati rapporti di potere.

  • «Il termine ‘mito’» precisa Lasswell «non implica

    necessariamente l’attribuzione di un carattere

    fittizio, falso o irrazionale ai simboli, anche se

    talvolta ciò accade. Tale termine si ricollega a

    concetti che hanno avuto un ruolo importante

    nella letteratura politica classica: la ‘nobile

    menzogna’ platonica, la ‘ideologia’ marxiana, il

    ‘mito’ di Sorel, la ‘formula politica’ di Mosca, le

    ‘derivazioni’ di Pareto, l’‘ideologia’ e l’‘utopia’ di

    Mannheim, e così via».

  • E, a proposito dei simboli-chiave, osserva: «Un

    simbolo-chiave è un termine elementare e

    fondamentale del mito politico. Negli Stati Uniti

    sono simboli-chiave parole come ‘diritti’,

    ‘libertà’, ‘democrazia’, ‘eguaglianza’. Tali

    termini figurano negli oscuri trattati dei professori,

    nelle sentenze emesse dai tribunali, nei discorsi

    che si possono ascoltare al Senato e alla

    Camera dei rappresentanti, agli angoli delle

    strade, per tutto il paese».

  • «Una funzione evidente dei simboli-chiave è

    quella di fornire una esperienza comune a tutti

    all’interno dello stato, del leader politico più

    potente, al filosofo, al più umile uomo della

    strada».

  • BIBLIO

    • Bruce Lannes Smith, "The

    Mystifying Intellectual History of

    Harold D. Lasswell," in Politics,

    Personality, and Social Science in

    the Twentieth Century: Essays in

    Honor of Harold D. Lasswell, ed.

    Arnold A. Rogow (Chicago:

    University of Chicago Press, 1969)

    • Leo Rosten, "Harold D. Lasswell," in

    Remembering the University of

    Chicago: Teachers, Scientists, and

    Scholars, ed. Edward Shils

    (Chicago: University of Chicago

    Press, 1991).

  • BIBLIO

    • Harold D. Lasswell: An Annotated Bibliography,

    eds. Rodney Muth, Mary M. Finley, and Marcia

    F. Muth (New Haven: New Haven Press, 1990).

    • Brett Gary, The Nervous Liberals: Propaganda

    Anxieties from World War I to the Cold War;

    • Mark C. Smith, "Harold D. Lasswell and the Lost

    Opportunity of the Purposive School", in Social

    Science in the Crucible: The American Debate

    over Objectivity and Purpose, 1918-1941;

    • Dwaine Marvick, "The Work of Harold D.

    Lasswell: His Approach, Concerns, and

    Influence," Political Behavior 2(3) (1980);

    • Dorothy Ross, The Origins of American Social

    Science 455-57.