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Caterina Muscau Matricola 20/45/65101 Beni culturali e Spettacolo Anno accademico 2016/2017 Intervento dell’Unesco per la messa in salvo del sito archeologico di Abu Simbel Premessa Ho voluto trattare questo argomento perché sono una grande appassionata di arte e storia dell’Antico Egitto e ho voluto soffermarmi soprattutto sull’intervento per la conservazione del tempio di Abu Simbel perché mi ha sempre affascinata e incuriosita non poco, dato l’impegno “faraonico” portato a termine dalla comunità internazionale per riuscire a mettere in sicurezza il sito, vista anche la sua complessità e monumentalità. Sito di Abu Simbel Il sito di Abu Simbel è un complesso archeologico composto da due templi rupestri monumentali scavati nella roccia ed eretti dal faraone Ramses II nel XIII secolo a.C. nella regione storica della Nubia, a cavallo tra i confini egizi e sudanesi odierni. Scoperto nel 1813 dall’ archeologo austriaco Burckhardt e violato nel 1817 dal famoso egittologo italiano Giovanni Battista Belzoni, è considerato come uno dei monumenti egizi più importanti e celebri al mondo.

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Caterina MuscauMatricola 20/45/65101

Beni culturali e SpettacoloAnno accademico 2016/2017

Intervento dell’Unesco per la messa in salvo del sito archeologico di Abu Simbel

Premessa

Ho voluto trattare questo argomento perché sono una grande appassionata di arte e storia dell’Antico Egitto e ho voluto soffermarmi soprattutto sull’intervento per la conservazione del tempio di Abu Simbel perché mi ha sempre affascinata e incuriosita non poco, dato l’impegno “faraonico” portato a termine dalla comunità internazionale per riuscire a mettere in sicurezza il sito, vista anche la sua complessità e monumentalità.

Sito di Abu Simbel

Il sito di Abu Simbel è un complesso archeologico composto da due templi rupestri monumentali scavati nella roccia ed eretti dal faraone Ramses II nel XIII secolo a.C. nella regione storica della Nubia, a cavallo tra i confini egizi e sudanesi odierni. Scoperto nel 1813 dall’ archeologo austriaco Burckhardt e violato nel 1817 dal famoso egittologo italiano Giovanni Battista Belzoni, è considerato come uno dei monumenti egizi più importanti e celebri al mondo. Il tempio maggiore, dal nome egizio di Per-Ramesses-Miamon, è eretto per commemorare la

battaglia di Qadesh e per intimidire i nemici del sud della Nubia oltre che naturalmente celebrare il faraone Ramses II. La facciata, orientata a est e alta 33 metri e larga 38, è composta da quattro enormi statue del faraone seduto sul trono intervallate da statue di minori dimensioni raffiguranti la madre del faraone Tuya, la consorte prediletta Nefertari e alcuni dei loro figli. All’ interno il tempio si articola in tre ambienti principali: la grande sala ipostila, caratterizzata da pilastri osiriaci; la seconda sala che funge da atrio a quello che risulta

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essere il terzo e più importante ambiente, il santuario. Dentro la sala si trovano quattro statue sedute raffiguranti da sinistra il dio Ptah di Menfi, Amon-Ra di Tebe, Ramses II divinizzato e Ra-Harakhtis che guardano verso l’entrata del tempio. Questa disposizione fu espressamente voluta dal faraone e dagli architetti perché grazie all’ orientamento del tempio ad est, due volte all’anno (22 ottobre e 22 febbraio) i primi raggi del sole potessero penetrare nel santuario e illuminare la statua di Ramses II e parzialmente quelle di Amon e Ra e ricalcare in modo simbolico la discendenza divina del Faraone con il sole e il suo nome regale “il figlio di Ra”.

Il tempio minore invece, alto 28 metri e largo 12 e distante un centinaio di metri dal maggiore in direzione nord, è dedicato alla dea Hator e alla principale regina e consorte di Ramses, Nefertari. A differenza del tempio maggiore, esso funge anche da monumento celebrativo- funerario alla regina. Unicum nel mondo egiziano, essa viene raffigurata nelle statue che compongo la facciata del santuario, di dimensioni esattamente uguali alle statue raffiguranti il faraone, quasi a sottolineare l’amore del sovrano per lei e riconoscendola come sua pari a tutti gli effetti.

Vicende internazionali

Il complesso archeologico è giunto fino a noi praticamente intatto, ma durante gli anni Sessanta ha rischiato di essere sommerso dalla creazione del bacino idrico artificiale del lago Nasser, conseguentemente alla creazione della cosiddetta “al-Sadd al-Alì”, ovvero “la diga alta” nei pressi del territorio della città di Assuan, progettata dal governo egiziano per far fronte alla maggiore richiesta di approvvigionamento idrico e per la creazione della centrale idroelettrica che, sfruttando l’ enorme quantità di acqua del bacino, sarebbe riuscita a garantire negli anni a venire il soddisfacimento della domanda di energia elettrica domestica praticamente dell’intero paese.Già verso la fine dell’Ottocento, quando ancora l’Egitto versava sotto il protettorato inglese, il governo britannico dovette patteggiare con i rappresentanti egiziani per la costruzione di una diga lungo il corso del Nilo, la quale avrebbe mitigato non poco l’impetuosità delle celebri piene del

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Nilo, le quali, a volte troppo abbondanti o discontinue da provocare danni ingenti all’ agricoltura e il sopraggiungere di carestie. Fu così che venne eretta la prima diga di Assuan, la quale, terminata nel 1902, si rivelò di dimensioni troppo ridotte per la portata delle inondazioni del Nilo e venne ampliata più volte tra il 1907 e il 1933. Proprio alla fine della seconda guerra mondiale, nel 1946, il livello dell’acqua giunse al limite di contenimento col rischio anche di poter debordare sulla vallata circostante. Per ovviare alla possibile catastrofe il governo egiziano guidato dal colonnello Nasser decise nel 1952 di costruire una diga più grande, la cosiddetta “alta diga” precedentemente nominata, a 6km a monte della precedente diga. L’ anno seguente vennero avviati i contatti con altre nazioni per ottenere finanziamenti internazionali per la costruzione, troppo onerosa se calcolato il pagamento con i soli introiti della nazionalizzazione del canale di Suez. Dopo quasi un decennio di trattative del governo egiziano sia col gli Usa che con l’Urss, nel 1958 si decide di accettare gli aiuti sovietici e nel 1960 presero avvio i lavori per la costruzione della diga.

Ma la costruzione dell’imponente sbarramento e il conseguente bacino idrico che si sarebbe creato, avrebbero messo a serio rischio centinaia di siti e monumenti archeologici che si trovavano lungo il percorso nel Nilo e nella regione storica della Nubia, i quali sarebbero stati completamente sommersi quando il bacino sarebbe stato riempito. Preoccupati di perdere una ingente parte del patrimonio storico e culturale, sia i governi di Egitto e Sudan chiesero all’ UNESCO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, sorta nel 1946 per promuovere la cultura a livello internazionale; di intervenire e aiutare i propri paesi nella protezione e conservazione dei monumenti a rischio. Nel 1960 il direttore dell’UNESCO Vittorino Veronese lanciò un appello agli Stati membri per una campagna internazionale di salvaguardia dei monumenti nubiani, la quale vide la partecipazione di numerosi stati che diedero il loro contributo donando ingenti somme di denaro e mandando sul posto maestranze specializzate (ingegneri, archeologi e altri esperti) che avrebbero dovuto guidare le maestranze locali nel lavoro di individuazione, catalogazione e rilevamento dei siti a rischio, per poi procedere con il vero e proprio smembramento dei vari siti che sarebbero stati riassemblati vicino ai luoghi di origine e completamente al sicuro da una eventuale inondazione sia artificiale che non, cercando di conservare e tutelare i vari monumenti nel modo di fedele e accurato possibile. L’UNESCO, svolgendo il ruolo di coordinatore e intermediario tra gli stati donatori e i governi di Egitto e Sudan, grazie anche all’ istituzione nel 1960 del Comitato esecutivo della Campagna Internazionale che coordinò l’intera operazione, riuscì a facilitare l’immane operazione di salvaguardia del patrimonio culturale della Nubia, riuscendo prima del 1976, anno in cui il bacino di Nasser raggiunse la sua capienza massima, a portare in salvo l’ intero patrimonio così da poterlo rendere fruibile alle future generazioni di tutto il mondo.

L’ Italia aderì anche essa, essendo membro dell’ UNESCO dal 1948, alla campagna internazionale e grazie all’ approvazione del disegno di legge 3859-B approvato dalla III Commissione della Camera il 13 Dicembre 1962 e precedentemente modificato dalla III Commissione del Senato ( qua il testo stenografico della seduta del 13 Dicembre 1962 riguardante l’approvazione del disegno di legge 3859-B → stenografico aiuti Italia UNESCO Egitto nilo.pdf ) stanziò secondo l’ articolo 1 del 3859-B “Allo scopo di rispondere all’ appello internazionale lanciato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’ educazione, la scienza e la cultura (U.N.E.S.C.O.) per la campagna diretta a salvare i monumenti della Valle del Nilo minacciati di sommersione in conseguenza della costruzione della nuova diga di Assuan,….l’ erogazione della somma di lire 1.000.000.000, da effettuarsi a favore del Comitato Nazionale italiano per la salvaguardia dei monumenti della Nubia, quale contributo alle spese relative alla progettazione ed alla esecuzione del sollevamento dei templi di Abu Simbel.”

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L’ Italia ricoprì un ruolo fondamentale per la messa in sicurezza del sito archeologico di Abu Simbel, per la quale inviò sul posto oltre gli archeologi e soprintendenti del Museo Egizio di Torino, tecnici, marmisti e scultori di Carrara per l’esecuzione del progetto di messa in sicurezza

dei templi. Il progetto, elaborato da ingegneri svedesi e a cui parteciparono altri 113 paesi in tutto, consisteva nel tagliare, numerare e smontare blocco per blocco l’intera parte scolpita della collina sulla quale erano stati eretti i templi e successivamente ricostruire i monumenti in una nuova posizione 65 m più in alto e 300 m più indietro rispetto al bacino artificiale venutosi a creare. Inoltre, si decise durante la ricostruzione e l’assemblaggio dei vari blocchi, di erigere una cupola in calcestruzzo armato posta appena sopra il monumento con la duplice funzione di preservare la struttura e di dar forma alle colline

artificiali a cui vennero addossati i due templi. L’ esecuzione materiale dell’operazione scattò ufficialmente nel 1964 con la squadra dei marmisti e tecnici italiani che guidò le oltre 2000 persone impegnate nei lavori e si concluse nel 1968 registrando un ottimo successo. Si riuscì anche a riprodurre il fenomeno solare che interessava il santuario del tempio maggiore mantenendo l’orientamento ad est del tempio e preservare questa sua peculiare caratteristica.

Questa prima e riuscitissima cooperazione internazionale, la presa di coscienza del rischio a cui il patrimonio storico e culturale mondiale poteva incorrere senza una adeguata cooperazione tra i vari stati e la mancanza di un regolamento internazionale che regolasse nuove possibili questioni, spinse l’UNESCO a stipulare ufficiosamente a Parigi il 23 novembre 1972 la Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale qui la consultazione del documento→ Convenzione Patrimonio Mondiale - italiano 1.pdf. ). La convenzione stabiliva per la prima volta mediante aspetto giuridico quali fossero le caratteristiche, le funzioni, gli obblighi e gli scopi a cui la comunità internazionale dovesse sottostare riguardo il patrimonio storico, artistico e naturale mondiale. La convenzione è composta da otto capitoli principali riguardanti: 1) la definizione del patrimonio culturale e naturale mondiale (articoli 1 e 2); 2)gli obblighi e le politiche culturali per la protezione nazionale e internazionale del patrimonio culturale e naturale (articoli 4,5,6,7); 3) l’istituzione di un Comitato intergovernativo per la protezione del patrimonio e le sue principali funzioni e scopi (articoli 8-14); 4) la creazione di un Fondo monetario per la salvaguardia del patrimonio (articoli 15-18); 5) le condizioni e le modalità di assistenza internazionale (articoli 19-26); 6) la definizione dei programmi educativi a cui devono sottostare gli stati aderenti (articoli 27-28); 7) i rapporti da presentare periodicamente all’UNESCO (articolo 29) e infine le clausole finali (articoli 30-38 del VIII capitolo).

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L’ UNESCO ha infine creato la Lista dei patrimoni mondiali dell’umanità nel 1978 di cui Abu Simbel è entrato a far parte a partire dal 1979.

Conclusioni

Riflettendo sulle vicende che hanno portato alla salvaguardia del sito di Abu Simbel, mi ha colpito fortemente la tempestiva collaborazione tra i vari stati e la collettiva consapevolezza di quanto fosse davvero importante e fondamentale la prevenzione e la conservazione del patrimonio ritenuto culturalmente fondamentale da tutti gli stati membri e anche di altri esterni, senza che si creasse un ulteriore ambiente di scontro tra stati ideologicamente e materialmente in conflitto. Anzi, questa operazione ha portato ad una coesione più stretta tra i vari stati, i quali hanno svolto un lavoro eccellente. A partire da ciò che è successo, risulta palese il fatto che la cultura anche se diversa, può costituire non conflitto, ma coesione tra i vari popoli e una fonte inestimabile di ricchezza sia per le popolazioni correnti che per quelle future. È indispensabile dunque che il patrimonio culturale venga a priori conservato e tutelato, in modo da costituire una risorsa e una parte imprescindibile della comunità mondiale odierna e futura.