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I cinesi non muoiono mai

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I cinesi in Italia: la più numerosa comunità d’Europa. Ma quanti sono? Cosa fanno? Come arrivano? Molto è cambiato dagli anni Ottanta. Erano 2000. Oggi sono 150mila. Rappresentano il 5 per cento del totale degli immigrati regolari. Poca cosa. Eppure li vediamo ovunque nelle nostre città. Aprono negozi, bar, ristoranti, interi quartieri sono diventati piccole Chinatown. Un’impresa straniera su sette è cinese.

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Inchieste e reportagePRINCIPIOATTIVO

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Avventura Urbana Torino, Andrea Bajani, Gianni Barbacetto, Stefano Bartezzaghi, Oliviero Beha, Marco Belpoliti, Daniele Biacchessi,David Bidussa, Paolo Biondani, Caterina Bonvicini, Beatrice Borromeo,Alessandra Bortolami, Giovanna Boursier, Carla Buzza, Olindo Canali,Davide Carlucci, Luigi Carrozzo, Carla Castellacci, Massimo Cirri,Fernando Coratelli, Pino Corrias, Gabriele D’Autilia, Andrea Di Caro,Giovanni Fasanella, Massimo Fini, Fondazione Fabrizio De André,Goffredo Fofi, Massimo Fubini, Milena Gabanelli, Vania Lucia Gaito,Mario Gerevini, Gianluigi Gherzi, Salvatore Giannella, FrancescoGiavazzi, Stefano Giovanardi, Franco Giustolisi, Didi Gnocchi, Peter Gomez, Beppe Grillo, Ferdinando Imposimato, Karenfilm, Giorgio Lauro, Marco Lillo, Felice Lima, Giuseppe Lo Bianco, Carmelo Lopapa, Vittorio Malagutti, Luca Mercalli, Lucia Millazzotto,Angelo Miotto, Letizia Moizzi, Giorgio Morbello, Alberto Nerazzini,Raffaele Oriani, Sandro Orlando, Pietro Palladino, David Pearson(graphic design), Maria Perosino, Pino Petruzzelli, Renato Pezzini, Telmo Pievani, Paola Porciello (web editor), Marco Preve, Rosario Priore, Emanuela Provera, Sandro Provvisionato, Luca Rastello, Marco Revelli, Gianluigi Ricuperati, Sandra Rizza, Marco Rovelli, Claudio Sabelli Fioretti, Andrea Salerno, Laura Salvai, Ferruccio Sansa, Evelina Santangelo, Michele Santoro, Roberto Saviano,Matteo Scanni, Filippo Solibello, Riccardo Staglianò, Bruno Tinti, Marco Travaglio, Carlo Zanda.

chiarelettereAutori e amici di

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PRETESTO1fpagina 82

“Ci vuole il suo bel tempo a contare 150 milioni in tremila comodipezzi da 50mila lire...Mi sembrava di essere in un film.”Un artigiano milanese che ha ceduto l’attività a clienti cinesi.

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PRETESTO2fpagine 15, 128

“Evadiamo le tasse? Ma chi lo dice non sa che l’Italia ha il primato internazionale di questa specialità?!Forse non abbiamo avutobuoni insegnanti...”Bai Junyi, fondatore di Associna.

“Se ci pensi bene, non si vede mai un funerale cinese... Non è molto comunenemmeno assistere a un funerale peruviano, marocchino o senegalese. Ma tant’è: i cinesi non muoiono mai.”

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PRETESTO3fpagina 198

“Le prime volte che i camorristi sono venuti nei negozi achiedere il pizzo, i titolari hannofatto finta di non capire l’italiano.Poi, per risultare più esplicito,nel 2005 qualcuno ha bruciatosette nostri negozi. Neppurecosì abbiamo ceduto. Siamoscesi in piazza, mille cinesi tuttiinsieme, chiedendo più forzedell’ordine e più controlli.”Wu Salvio, fondatore del “sindacato” SiCiNa.

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“Se avessi votato, avrei scelto senz’altro Berlusconi.È un grande imprenditore, uno che lavora e ha fatto i soldi. Renderà la vita più facile agli imprenditori come noi.Ma non ho votato perché non ho tempo.”Imprenditore cinese di Matera.

“Che ci fai con un dito? Niente. Ma basta una mano per fare quello che vuoi. Se non hai relazioni non sei nessuno, se non fai parte di una mano sei un uomo finito.”Giocatore cinese al Casinò di Venezia.

PRETESTO4fpagine 26, 224-25

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PRETESTO5fpagina 72

“L’un-due-tre del dipendente orientale ormai lo conosciamobene: faticaall’inverosimile, accumulaquanto basta, si mette in proprio.”

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© Chiarelettere editore srlSoci: Gruppo Editoriale Mauri Spagnol SpaLorenzo Fazio (direttore editoriale)Sandro ParenzoGuido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare Spa)Sede: Via Guerrazzi, 9 - Milano

ISBN 978-88-6190-047-9

Prima edizione: luglio 2008

Seconda edizione: settembre 2008

www.chiarelettere.itBLOG / INTERVISTE / LIBRI IN USCITA

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chiarelettere

Raffaele OrianiRiccardo Staglianò

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Raffaele Oriani, quarantatré anni, è nato a Trieste, ha vissuto a Monaco, a Roma ea Berlino, in una vita precedente si occupava di letteratura tedesca (traduzioni daFreud, Canetti, Heiner Müller), poi ha lavorato al mensile «Reset» e da cinque anniè giornalista di «Io donna», il femminile del «Corriere della Sera» per cui scrive di sto-rie non sempre a lieto fine dall’Italia e dall’estero. È autore di Pompei. Scene da unpatrimonio (I libri di Reset, 1998), un’inchiesta sulla malagestione del più preziosobene culturale italiano, e di A Nord. Volti e storie dal tetto d’Europa (Editori Riuniti,2000), un reportage sulla memoria e il futuro del mar Baltico, ma soprattutto unviaggio che rifarebbe domani.

Riccardo Staglianò, quarant’anni, è nato a Viareggio ed è giornalista de «la Repub-blica». Ha iniziato la sua carriera come corrispondente da New York per il mensile«Reset», ha poi lavorato al «Corriere della Sera» e oggi scrive inchieste e reportage per«il Venerdì» dall’Italia e dall’estero. Da quasi dieci anni insegna nuovi media allaTerza università di Roma. Nel 2001 ha vinto il Premio Ischia di Giornalismo, sezionegiovani. È autore di vari libri sull’impatto di internet sulla società, di Bill Gates. Unabiografia non autorizzata (Feltrinelli, 2000), Cattive azioni. Come analisti e banched’affari hanno creato e fatto sparire il tesoro della new economy (Editori Riuniti, 2002)e L’impero dei falsi (Laterza, 2006) sul traffico di merci contraffatte dalla Cina al-l’Europa.

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Questo libro 3

PRIMA PARTE. CINESI D’ITALIA. CHI SONO, COSA FANNO, DA DOVE VENGONO

Bufale d’oriente e pregiudizi 9

I più misteriosi fra gli immigrati nell’immaginario degli italiani

Voglia, fame, coraggio 19

La forza dei numeri e una determinazione incrollabile

Da dove vengono 34

Geografia dell’immigrazione cinese

SECONDA PARTE. DALLE ALPI A MATERA. L’ALTRA ITALIA DEI CINESI

Nordovest cinese. La rinascita dell’industria della pietra 45

La tradizione sopravvive grazie ai cinesi a Bagnolo Piemonte

Senza cinesi, niente riso italiano 59

I nuovi mondini delle campagne piemontesi

Milano, capitale della Cina italiana 70

Via Paolo Sarpi e non solo nella Chinatown più popolare

Quando i padroni sono cinesi 92

L’importanza delle relazioni come ricetta per il business

Anche i cinesi giocano. Al casinò 104

Instancabili e ottimisti, al tavolo verde come nel lavoro

Sommario

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Prato, la città più cinese d’Italia 117

Storie di integrazione difficile

La sfida delle seconde generazioni 136

I primi della classe hanno occhi a mandorla e nomi italiani

Roma, lo spettacolo del potere 152

Uomini d’affari e altri cinesi di successo nella capitale

La religione, oltre quella del lavoro 169

Evangelici, cattolici e testimoni di Geova, ma anche buddisti

Napoli, il porto delle nebbie 183

I loschi affari del signor Song e il business dell’import-export

Balie napoletane a servizio dai cinesi 200

Troppo lavoro, e i bambini li crescono le mamme partenopee

Ultima uscita Matera 213

In fabbrica a metà tra legalità e illegalità

Loro, noi 229

Una galleria finale di volti e suggestioni

Ringraziamenti 235

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Gente diversa da noiè strano, sai

guardare in faccia Shanghai.Paolo Conte, Jimmy ballando

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Le storie che raccontiamo sono tutte autentiche. Qualche nome è statocambiato per ragioni di riservatezza.

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Questo libro

L’Italia dei cinesi non è un Paese per vecchi. Quella degli ita-liani, apparentemente, sì. Ci sono digressioni che fanno soloperdere tempo, altre che ne fanno risparmiare perché quandoarrivi a destinazione hai le idee più chiare di prima. Passare daPechino per raccontare Roma appartiene alla seconda catego-ria. O almeno questa è la scommessa del libro che avete in ma-no. Eravamo partiti con l’idea di raccontare una parte del no-stro Paese, la comunità più misteriosa e inaccessibile, i cinesiappunto. Poi ci siamo resi conto che fissare loro era come guar-darci in uno specchio deformante. Eravamo ancora noi i tipiriflessi nel vetro, ma imbolsiti, pigri, rassegnati, spaventati datutto. Gli immigrati che ci stavano davanti invece avevano an-cora l’energia e il coraggio dei nostri anni Cinquanta, le figurerobuste e scattanti del nostro cinema in bianco e nero. Unaconstatazione che, sulle prime, ci ha fatti sentire un po’ a disa-gio. È come se, vedendo loro che cambiano città, lavoro, vitacome noi ormai sappiamo fare solo con il modello di cellulare,potessimo contare esattamente quanti chili e rughe abbiamomesso su in pochi anni. Smaltito l’imbarazzo, ci è parso chevalesse tanto più la pena provare a capire chi sono: in un certosenso si trattava di decifrare loro per mettere meglio a fuococosa abbiamo perduto noi.

Da Nord a Sud questi formidabili rabdomanti di opportunitàci aiutano a riscrivere la geografia dello sviluppo. Sulle monta-

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gne cuneesi li abbiamo visti spaccarsi la schiena e riempire ilportafogli nella lavorazione di pietre antiche su cui i locali ave-vano messo una croce. Nelle campagne del vercellese hanno ri-popolato campi mai così affollati e alacri dagli anni Sessanta.Con l’acqua ai polpacci e un’umidità equatoriale i mondini ci-nesi sfidano ogni buon senso nostrano indignandosi se il pa-drone non li fa lavorare abbastanza. E poi le loro multinazio-nali, che hanno visto nella nostra economia ingrippata unalunga serie di potenzialità. Armate di tanti soldi e altrettantamodestia, hanno salvato marchi storici e rimesso in carreggiatagruppi in caduta libera. Nello stakanovista Nordest i cinesihanno zittito l’allarmismo leghista parlando la stessa linguadella gente del posto. Quella delle tre parole chiave: lavoro, la-voro, lavoro. Il medesimo esperanto che ha consentito loro difarsi capire anche nel profondo Sud. A Matera, quando i di-stretti dei divani hanno cominciato a segnare il passo, senzal’entrata in scena dei cinesi sarebbe stata dura evitare la cata-strofe. Gli operai locali si sono messi in fila per la cassa inte-grazione, loro si sono messi insieme per aprire fabbrichette. Equando a Milano e a Prato certi quartieri hanno cominciato aspopolarsi, si sono inventati le Chinatown. Che prima hannofatto la fortuna di chi ha venduto loro case e negozi a prezzimaggiorati, poi la rabbia di quelli che non sono stati così lestie adesso si ritrovano a convivere con vicini tanto rumorosi, la-boriosi, diversi.

Per non dire dei loro figli: svegli fino alla scaltrezza, educati fi-no alla timidezza, spesso più bravi a scuola dei ragazzi italiani,nonostante un po’ tutti aiutino mamma e papà nei loro titani-ci progetti di affrancamento sociale. Tutta un’altra attitudine.Mentre i nostri giovani sognano il posto fisso, i loro si offen-dono se solo qualcuno ha la malaugurata idea di offrirglieneuno. Perché i cinesi faticano, faticano, faticano in un’impetuo-sa accumulazione originaria che finisce solo il giorno in cuidecidono di andare in pensione e cominciare a vivere, magariuna volta ritornati nell’amata Cina. Così facendo sono tra i

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pochi immigrati ricchi in circolazione. E questa è un’altra con-traddizione in termini difficile da buttar giù. In una nazionein difficoltà come la nostra è un motivo più che sufficiente persviluppare fantasiose teorie della cospirazione e una diffusa in-vidia sociale. E poi, si sente dire, sono chiusissimi, ermetici,stanno solo tra loro. Che è anche vero ma, siate onesti, quantevolte avete provato ad avvicinarli? C’è una ragazza, tra le tantecon cui abbiamo parlato, che si lamentava del fatto che neidue anni da quando ha aperto la sua agenzia immobiliare nes-suno, dai due negozi accanto, sia mai venuto a dirle: «Benve-nuta!». Certo, non fanno allegria come i sudamericani, non lisentiamo cugini come certi maghrebini, ma è un po’ poco perfargliene una colpa.

E se non bastassero loro, a impensierirci, guardateli sullo sfon-do della potente madrepatria, che macina ogni anno nuovi re-cord economici, e vedrete come le ombre si faranno ancor piùminacciose. Eppure l’unico modo per capire che, per quantoscure, le ombre non possono mai fare troppo male è andarcisotto, vederle da vicino. Proprio ciò che abbiamo cercato di fa-re durante questo viaggio. Li abbiamo incontrati, abbiamoparlato a lungo con loro, abbiamo conosciuto le loro famiglie,intuito quanto fosse ramificata la rete delle loro parentele.Non hanno sempre aperto la porta di casa al primo squillo dicampanello, questo no. Ma nei loro soggiorni abbiamo bevutopiù tazze di tè verde di quante un italiano medio totalizzereb-be in una vita intera. Parlando con loro abbiamo verificatoquello che prima di partire potevamo soltanto immaginare.Ovvero che dei cinesi non si sa niente. Al di là di un ricco cam-pionario di luoghi comuni, tra cui il più consolidato dà il tito-lo a questo libro e quasi esaurisce quello che abbiamo da diresu di loro. Perché dove si ferma il trenino della conoscenza,parte puntualissimo il razzo della superstizione.

Alla fine sono diventati una sorta di nostra «cattiva coscienza»,ruolo utile ma che quasi mai suscita simpatia. E nel seguirli

Questo libro 5

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abbiamo cercato di cogliere l’ultimo dei loro segreti, quell’eli-sir di giovinezza che noi italiani sembriamo avere smarrito datempo. Niente di esotico, tipo balsami di tigre, pozioni allozenzero o al brodo di serpente. Ma una ricetta di vita mono-maniacale, che fa lievitare le risorse miscelando dosi variabilidi talento a quantità industriali di spirito di sacrificio. Il retro-gusto amaro di questa pietanza esistenziale impedisce di pren-derla a modello. Ma molto banalmente ci ha colpiti la loro vi-sione ottimista del mondo, per cui tutto è possibile se solo losi vuole ardentemente. Compreso partire da un remoto villag-getto dello Zhejiang con una valigia di cartone e ritornarciquarant’anni dopo con i soldi per comprarsi un grattacielo.Una visione che vive l’eventuale intoppo professionale comeun fisiologico incidente di percorso, e non uno stigma da evi-tare come la peste. E che ha compreso, con Goethe, che non èforte chi non cade mai ma chi, cadendo, si rialza. Ecco, i cine-si che vivono nel nostro Paese hanno tutti le ginocchia un po’sbucciate. Noi invece da tempo non abbiamo più un graffio,tanto da dubitare che ci siano ancora le ginocchia. Fosse soloquesta la lezione, ne sarebbe già valsa la pena. Ma ce ne sonomolte altre, per chi avrà la pazienza di avventurarsi nella lettu-ra. A volte non c’è niente di meglio che la vivacità, se non lamalagrazia, di un ospite inatteso per far capire al padrone dicasa come sia bello, ricco ed eccitante il posto in cui vive. Fre-quentando i cinesi d’Italia abbiamo avuto un po’ questa sensa-zione. E per questo siamo loro grati.

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