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4 I. Il processo a Gesù In queste prime lezioni cercheremo di approfondire la storia della passione e morte di Gesù. Esse serviranno di base per il resto del corso in cui andremmo a poco a poco interrogandoci su come questo evento della crocifissione di Gesù sia potuto accadere e quale senso esso abbia. Questo argomento della storia della passione di Gesù si conosce abitualmente con il nome de “il processo a Gesù” o in lingua inglese “the trial of Jesus”. Esistono un buon numero di pubblicazioni che si sono occupati da questa tematica. Noi in questo corso riprenderemo soltanto alcuni aspetti significativi di tutto questo materiale di studio. Vorremmo anzitutto mostrare che la passione di Gesù raccontata dai vangeli si inserisce bene in ciò che sappiamo da altri fonti sulle condizioni di vita e sul diritto nella Palestina del primo secolo. Questo è importante perché da un lato aiuta a capire meglio la storia di Gesù, ma dall’altro aiuta a capire che i vangeli, pur essendo scritti con lo scopo di nutrire la fede in Gesù, sono fonti abbastanza affidabili dal punto di vista storico. A differenza di altri religioni, quanto il cristianesimo proclama come verità di Dio, non sono miti inaccessibili o teorie escogitate da qualcuno ma trovano il loro fondamento nella vita e nella storia di Gesù di Nazaret, la quale nella sua unicità e irrepetibilità mostra i segni di essere una storia trascendente, qualcosa che va al di là di ciò che il nostro mondo umano potrebbe realizzare. 1. Il processo giudeo. Arresto al Getsemani venerdì 1 luglio 2016 10:50 "Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno" (Gv 18, 12-13). Nel racconto dell’arresto sorprende questa presenza della speira, "la coorte" e del tribuno o comandante, perché uno si sarebbe aspettato che a prendere Gesù fossero persone incaricate dal sinedrio, con cui Giuda, il traditore, si era messo a contatto. Come afferma Varaut è molto improbabile che ci siano stati coinvolti soldati romani nell'arresto perché Pilato non sa manifestamente nulla di ciò che sta accadendo, ed è molto poco probabile che una truppa si sia mossa senza informare il governatore (e chi l'avrebbe comandata?), e poi perché se id soldati romani si fossero fatti carico del prigioniero, lo avrebbero portato a una fortezza romana 1 . Allora? Come mai Giovanni accenna ai soldati? C’è una premessa da fare: la prassi dei romani rispetto ai popoli sottomessi era quella di dare loro davano buoni margini di autonomia, nel senso che non arrivavano e deponevano direttamente le autorità locali, al contrario, spesso le mantenevano ma assegnando loro un ruolo limitato, talvolta ampio 2 . Per di più c'era un trattato di amicizia e di alleanza tra lo stato ebraico di allora e l'imperatore romano, per cui Roma poteva riconoscere personaggi come Erode 1 J.-M. Varaut, Le procès de Jésus crucifié sous Ponce Pilate, Plon, Paris 1997, p.? 2 Su questo cf. J. Blinzler, Il processo di Gesù, Paideia, Brescia 2001, pp. 215ss.

I. Il processo a Gesù - PUSCbib26.pusc.it/teo/p_ducay/corso/dok377/Parte I.pdf · loro fondamento nella vita e nella storia di Gesù di Nazaret, la quale nella sua unicità e irrepetibilità

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I. Il processo a Gesù

In queste prime lezioni cercheremo di approfondire la storia della passione e morte di Gesù. Esse serviranno di base per il resto del corso in cui andremmo a poco a poco interrogandoci su come questo evento della crocifissione di Gesù sia potuto accadere e quale senso esso abbia.

Questo argomento della storia della passione di Gesù si conosce abitualmente con il nome de “il processo a Gesù” o in lingua inglese “the trial of Jesus”. Esistono un buon numero di pubblicazioni che si sono occupati da questa tematica. Noi in questo corso riprenderemo soltanto alcuni aspetti significativi di tutto questo materiale di studio. Vorremmo anzitutto mostrare che la passione di Gesù raccontata dai vangeli si inserisce bene in ciò che sappiamo da altri fonti sulle condizioni di vita e sul diritto nella Palestina del primo secolo. Questo è importante perché da un lato aiuta a capire meglio la storia di Gesù, ma dall’altro aiuta a capire che i vangeli, pur essendo scritti con lo scopo di nutrire la fede in Gesù, sono fonti abbastanza affidabili dal punto di vista storico. A differenza di altri religioni, quanto il cristianesimo proclama come verità di Dio, non sono miti inaccessibili o teorie escogitate da qualcuno ma trovano il loro fondamento nella vita e nella storia di Gesù di Nazaret, la quale nella sua unicità e irrepetibilità mostra i segni di essere una storia trascendente, qualcosa che va al di là di ciò che il nostro mondo umano potrebbe realizzare.

1. Il processo giudeo.

Arresto al Getsemani

venerdì 1 luglio 2016 10:50

"Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da

Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno" (Gv 18, 12-13).

Nel racconto dell’arresto sorprende questa presenza della speira, "la coorte" e del tribuno o

comandante, perché uno si sarebbe aspettato che a prendere Gesù fossero persone incaricate dal sinedrio, con cui Giuda, il traditore, si era messo a contatto. Come afferma Varaut è molto improbabile che ci siano stati coinvolti soldati romani nell'arresto perché Pilato non sa manifestamente nulla di ciò che sta accadendo, ed è molto poco probabile che una truppa si sia mossa senza informare il governatore (e chi l'avrebbe comandata?), e poi perché se id soldati romani si fossero fatti carico del prigioniero, lo avrebbero portato a una fortezza romana1.

Allora? Come mai Giovanni accenna ai soldati? C’è una premessa da fare: la prassi dei romani

rispetto ai popoli sottomessi era quella di dare loro davano buoni margini di autonomia, nel senso che non arrivavano e deponevano direttamente le autorità locali, al contrario, spesso le mantenevano ma assegnando loro un ruolo limitato, talvolta ampio2. Per di più c'era un trattato di amicizia e di alleanza tra lo stato ebraico di allora e l'imperatore romano, per cui Roma poteva riconoscere personaggi come Erode

1 J.-M. Varaut, Le procès de Jésus crucifié sous Ponce Pilate, Plon, Paris 1997, p.?

2 Su questo cf. J. Blinzler, Il processo di Gesù, Paideia, Brescia 2001, pp. 215ss.

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o come i sommi sacerdoti, perché in genere la prassi era che i romani lasciavano alle autorità locali il loro diritto indigeno3.

A quanto pare sia nell'AT, sia nel greco profano e negli scritti di Giuseppe Flavio, le parole “coorte”

e “tribuno” possono anche indicare l’unità delle truppe, non necessariamente romane, e non necessariamente intese in senso formale, come siamo oggi abituati, di soldati in divisa con a capo il comandante, ma più semplicemente di una truppa al comando di qualcuno, in questo caso probabilmente il capo del Tempio o un suo delegato. Probabilmente Giovanni qui mette in risalto il fatto che non si trattava semplicemente di un gruppo senza autorità, ma di gente legata al Tempio che aveva per ufficio custodire l’ordine nel Tempio, e che perciò aveva il poter di arrestare.

Non si deve vedere perciò in questa menzione un tentativo dell’evangelista di coinvolgere i romani

nel arresto di Gesù. Infatti se c'è un evangelista che scagiona i romani dalla condanna a morte di Gesù quello è Giovanni, perché egli dipinge Pilato come uno che riconosce l’innocenza di Gesù. Pilato condanna Gesù “obbligato”, in certo senso, per la pressione delle circostanze.

Di conseguenza, si è più probabilmente trattato della guardia del Tempio, con il suo comandante,

che su ordine del Sinedrio si sono impossessati di Gesù.

Motivo dell'arresto

venerdì 1 luglio 2016 16:28

In realtà non c'è un motivo concreto dell'arresto di Gesù. Non viene accusato di nessuna azione

concreta. Il processo condotto contro di lui mostra proprio questo: le possibili ragioni di condanna che vengono valutate e addotte nel corso del dibattimento notturno del Sinedrio non approdano a buon fine: Gesù non è stato accusato di aver cacciato i mercanti del Tempio, o di aver commesso una clamorosa violazione del sabato, o de un’altra cosa di questo genere. Si è tentato di fare di tutto ciò un capo di accusa, ma la sua morte, che il Sinedrio voleva e avevo deciso prima, alla fine non ha potuto essere motivata sulla base di nessuna particolare parola o azione precedente di Gesù.

Allora, perché i capi religiosi d'Israele hanno voluto uccidere Gesù? Il problema per loro è che

Gesù è diventato un personaggio scomodo. I capi erano certamente abili e scaltri per i loro interessi e avevano compresso che quanto Gesù veniva dicendo e predicando era una vera sfida per loro. Accogliere quanto Gesù diceva significava cambiare veramente tante cose.

Anzitutto: loro erano i capi religiosi e non Gesù: con quale autorità dunque insegnava Gesù?

Chi lo aveva inviato? Nel vangelo abbiamo più di una traccia di come questa domanda sia affiorata più volte nella mente dei capi. Matteo (21,23 e ss), Marco (11,27 ss) e Luca (20,2 ss) ci presentano una scena in cui appare questa preoccupazione, ad opera “dei i capi dei sacerdoti e gli scribi con gli anziani” (Lc 20,1)4 . E come dire: “nessuno ti ha dato questo compito, quindi smette”. E percepivano che egli considerava se stesso come direttamente legato con Dio. Inoltre compiva opere importanti, stupefacenti,

3 Ibid., p. 203 che si poggia su Schonbauer.

4 “Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del

popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo.

Un giorno, mentre istruiva il popolo nel tempio e annunciava il Vangelo, sopraggiunsero i capi dei sacerdoti e gli scribi

con gli anziani e si rivolsero a lui dicendo: «Spiegaci con quale autorità fai queste cose o chi è che ti ha dato questa autorità»”

(Lc 20,47, 21,2).

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che avvaloravano la sua parola. Tutto ciò lo faceva percepire come uno in grado di minacciare il loro ruolo di capi.

Inoltre il messaggio di Gesù era socialmente sovversivo perché abbatteva i muri tra le classi,

metteva giusti e peccatori insieme, toglieva a scribi e farisei la fama presentandoli come persone attaccate ai soldi e alla gloria personale, gente con una doppia morale. E il suo discorso trovava buona accoglienza tra la gente, tra quella gente semplice che poteva allora questionare la qualità morale dei suoi capi.

Poi alla base di tutto ciò c'era la sua pretesa messianica: egli non si autoproclamava Messia

direttamente, ma lasciava intendere in molti modi che Egli lo era. L'ingresso in Gerusalemme e la cacciata dei mercanti possono essere stati eventi di dimensioni relativamente modeste, ma era chiaro che Gesù si era presentato in veste di chi ha autorità e governo su Gerusalemme. Questi eventi possono essere stati interpretati dai capi d'Israele come "la goccia che colma il bicchiere già pieno".

Gesù quindi, agli occhi dei farisei proponeva modi nuovi di vivere e di pensare la fede d'Israele che

non tenevano conto dello establishment, della realtà così come è costituita, dei loro privilegi, della loro pratica religiosa mediante la quale essi potevano ritenere se stessi al comando e, perciò anche, al di sopra dei peccatori (e naturalmente dei pagani).

È naturale che l’idea di disfarsi di Gesù, sia sorta. Se la dottrina di Gesù si diffondeva, la gente

avrebbe giudicato male i capi, ci sarebbero stati disordini, e i romani avrebbero ritenuto loro incapaci di controllare la gente e di mantenere l’ordine: avrebbero perso il loro ruolo.

Casa di Anna

venerdì 1 luglio 2016 18:34

“Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da

Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno” (Gv 18,12). [Soltanto Giovanni ci da questo dato, ma anche Luca menziona Anna e lo collega con Caifa: Lc 3,2]. Non c’è un motivo per ritenerlo non storico, in quanto non influisce particolarmente, anzi, la contrario, nel raccontare

questi aspetti non determinanti, contingenti, si indica che si sta ricordando ciò che accadete allora.

Perché Gesù fu inviato da Anna? Perché Anna era una figura di spicco. Era ricco, era stato Sommo Sacerdote, e i suoi cinque figli lo

sono stati anche, dopo di lui e dopo Caifa, il suo genero. Quindi, benché Caifa fosse un abile Sommo sacerdote, che mantenne la sua carica per quasi un ventennio (iniziò infatti l’anno 18 d.C, vale a dire, 8 anni prima dell'arrivo in Giudea di Pilato, e si mantenne fino all'anno 365), in realtà era Anna il capostipite del “clan”. Perciò Gesù fu prima portato da Anna, il quale probabilmente aveva chiesto personalmente di interrogare Gesù. È anche possibile che egli, insieme a Caifa, avessero discusso la questione di Gesù in privato. Infatti, Giovanni ci informa che Caifa aveva idee molto chiare su ciò che si doveva fare con Gesù:

“Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete

conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!» (Gv, 11,49-50).

5 Pilato governò nella Giudea dal 26 al 36, essendo imperatore Tiberio, il quale fu ucciso l’anno dopo, nel 37.

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Ciò implica che probabilmente l'arresto di Gesù era qualcosa che entrambi avevano parlato in privato e promosso all'interno del Sinedrio.

Ma Anna volle soprattutto informarsi, probabilmente per vedere come entrare al tema. Questo

ebbe luogo immediatamente dopo l'arresto, cioè verosimilmente nelle ore piccole della notte. Giovanni è l'unico evangelista che menziona Anna, egli poi dice che Gesù fu portato a casa di Caifa

e non dice appena nulla dal processo di Caifa o del sinedrio. Ciò fa pensare che, probabilmente, Giovanni era a conoscenza dei racconti dei sinottici e a lui

interessa invece raccontare con più dettaglio ciò che successe nel frattempo con Pietro. Scheda

According to Josephus, Caiaphas was appointed in AD 18 by the Roman prefect who preceded Pontius Pilate, Valerius Gratus.[1]

Joseph Caiaphas was the son-in-law of Annas (also called Ananus[5]) the son of Seth. Annas was deposed, but had five sons who served as high priest after him. The terms of Annas, Caiaphas, and the five brothers are:

• Ananus (or Annas) the son of Seth (6–15)

• Eleazar the son of Ananus (16–17)

• Caiaphas - properly called Joseph son of Caiaphas (18–36), who had married the daughter of Annas

(John 18:13) (17-36)

• Jonathan the son of Ananus (36–37 and 44)

• Theophilus ben Ananus (37–41)

• Matthias ben Ananus (43)

• Ananus ben Ananus (63), [o Anna II] che fu colui che approfittò un vuoto di potere per uccidere l’apostolo Giacomo e venne poi prima deposto e poi ucciso.

Processo di Gesù davanti al sinedrio

sabato 2 luglio 2016 10:25

Giovanni praticamente lo salta, forse perché a conoscenza dei racconti degli altri vangeli.

Comunque egli afferma che dalla casa di Anna Gesù fu condotto da Caifa, e solo dopo da Pilato. Una prima questione che si pongono gli storici è quella dell’orario. È legata alla domanda per la

storicità di questa sessione del sinedrio, da alcuni studiosi negata, anche per la pressione “culturale” mirata a scagionare i giudei, sì da togliere ogni motivo possibile di “antisemitismo”. Il sinedrio era composto da 65 membri, ed è difficile pensare che tutti fossero lì di notte. Almeno, però, per tenere una legale seduta del Sinedrio, dovevano essere presenti 23 membri, e questi sicuramente furono preavvertiti.

Vediamo come descrivono i fatti i vangeli sinottici: Matteo Mt 26,57.59-60: "Quelli che avevano arrestato Gesù lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale si erano

riuniti gli scribi e gli anziani. (...) I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte; ma non la trovarono, sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni.

27, 1-2: Venuto il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo

morire. Poi lo misero in catene, lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato.

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I problemi che sono stati suscitati a motivo di questo testo sono:

• Desta stranezza l'orario. Sembra poco probabile che in mezzo alla notte si sia radunato l'intero sinedrio.

• Poi 27,1 pare un altro inizio, forse una redazione più antica, perché i paragrafi precedenti hanno già raccontato che c'è stato il processo. O bisogna pensare a due processi diversi, con alcuni e con tutti? Ma questa ultima ipotesi è improbabile, perché i soggetti (evidenziati in rosso) sono gli stessi.

Marco Mc 14,53.55-56: "Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli

scribi. (...) I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti infatti testimoniavano il falso contro di lui e le loro testimonianze non erano concordi.

15,1: E subito, al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato".

Qui la redazione è più naturale di quella di Matteo, ma anche l’inizio di 15,1 appare alquanto giustapposto, una volta che si è raccontato prima la seduta del sinedrio. Ciò può dipendere da una redazione precedente Marco, sulla quale egli si appoggia e che lascia questi vestigli nel testo?

Alcuni studiosi come Jossa (2002, p.66) risolvono il problema interpretando che "tenuto consiglio" andrebbe meglio tradotto con "preparata o approntata una delibera". Allora la sequenza del racconto diventa naturale: riunione del sinedrio, interrogativo di Gesù, preparazione di una sentenza formale. (Torneremo sul tema più avanti).

Luca Lc 22,55.63-65: "Dopo averlo catturato, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. [si

racconta di Pietro, e poi]. E intanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo deridevano e lo picchiavano, gli bendavano gli occhi e gli dicevano: «Fa’ il profeta! Chi è che ti ha colpito?». E molte altre cose dicevano contro di lui, insultandolo.

22,66: Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i capi dei sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al loro sinedrio. (...)

23,1: Tutta l’assemblea si alzò; lo condussero da Pilato.

Qui si vede come, secondo Luca, c'è solo un processo giudeo, che non ha luogo durante la notte ma “appena fu giorno”. Mentre la gente arriva per radunarsi i servi del Sinedrio si trattengono maltrattando Gesù.

Commento

Da tutti questi dati restano alcune imprecisioni su come si siano svolti i fatti. Fondamentalmente ci sono due questioni:

• Laddove Mc e Mt presentano due sedute, una di notte, una seconda di buon mattino, Lc presenta una sola riunione del Sinedrio.

• Dove si sono svolti i fatti?

a) Queste divergenze si possono spiegare in vari modi. É pretenzioso come fa Légasse dire che c'è

poco di storico nei racconti sinottici sulla passione6, perché gli evangelisti seguono ognuno una propria agenda. In realtà tutti raccontano più o meno gli stessi fatti, quindi sono quelli che devono servire di base.

6 S. Légasse, Le procès a Jésus. I. L'histoire. Cerf, Paris 1995, p. 72.

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Le differenze possono essere dovute a diversi motivi quali: il fatto che gli eventi hanno sempre una loro originalità, la necessità di riassumere, da fare arrivare al proprio destinatario una parola comprensibile, la differenza tra le fonti di informazione degli evangelisti, e poi, certo, anche le agende che ognuno intende per dare senso all'evento.

Da parte nostra siamo del parere che nelle incertezze debbano prevalere i racconti: non si ha un

vero motivo per negare che ci siano state due differenti riunioni: una notturna forse con meno genti per approntare il tutto e una più formale, di mattino presto per dare valore formale alla sessione.

E allora perché Luca parla solo del mattino? Il terzo evangelista scrive per un pubblico gentile e potrebbe tranquillamente riassumere il tutto nella sessione del mattino: non vuole complicare il suo pubblico, che ignora cosa sia un sinedrio, con cavilli inutili. Giovanni potrebbe tranquillamente dare per scontato che già gli altri hanno raccontato l'essenziale e aggiungere il particolare dell'interrogatorio in casa di Anna, poi indica che fu portato da Caifa e poi da Pilato, e implicitamente mostra che fu condannato da Caifa, senza tornare a dire ciò che tutti già sapevano.

b) Tutti i vangeli parlano del palazzo di Caifa. Nessun documento dell'antichità afferma che il

Sinedrio si dovessi radunare nel palazzo del Sommo Sacerdote, ma in un posto adeguato a quel scopo, una sorta di corte o di aula pronta per interrogare e condurre i processi [Giuseppe Flavio parla del "municipio" (bouleterion); la Mishna la chiama "aula di giustizia" o "l'aula della pietra squadrata", o "aula della lastra", che si trovava nel cortile interno del Tempio; il Talmud dice che verso l'epoca di Gesù quell'aula non era già il luogo di riunioni ma il sinedrio si riuniva al "mercato": su tutto ciò cf. Blinzler, pp. 134-140].

Tenuto conto di tutte queste incertezze è meglio pensare che la riunione notturna si svolse di fatto nella casa di Caifa, per motivi non del tutto chiari. Può darsi che quella riunione informale sia nella casa di Caifa, proprio perché informale, e poi si sia radunato il sinedrio intero in un posto più officiale, nelle prime ore del mattino, ma i vangeli non hanno trace di un trasferimento di Gesù dalla casa di Caifa a un altro posto.

Motivo della condanna giudea di Gesù

martedì 5 luglio 2016 17:20

“Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». Gesù rispose: «Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo»”. (Mc 14,62)

Fonti di questa risposta di Gesù sono:

▪ Sal 110,1: “Oracolo del Signore al mio signore: «Siedi alla mia destra finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi»”.

▪ Dn 7,13-14: “Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.

Qui il problema è che nel racconto di Marco, seguito da Matteo e Luca la condanna del Sinedrio è

legata alla confessione messianica di Gesù. Cf. Mc 14,62. Dal secolo scorso diversi autori come Lietzmann hanno contestato il fatto che quella dichiarazione

di Gesù fosse motivo di condanna a morte, in quanto di per sé non costituiva una bestemmia.

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Ciò che si considerava una bestemmia era pronunciare parole contro Dio o pronunciare il santo

nome, ma Gesù non fece nulla di questo. Alcuni studiosi posteriori hanno però mostrato che la dichiarazione di Gesù si poteva intendere come bestemmia in senso largo7.

▪ Secondo Morna Hooker quando Gesù accenna alla sua intronizzazione regale e alla sua autorità, citando il Salmo 110:1, quando indica la sua condizione di Figlio dell'uomo di Dn 7:13, egli avoca su di sé un posto alla destra di Dio, il che significa condividere l'autorità di Dio, e appropriarsi di quella autorità. Egli richiama per se stesso uno statuto unico davanti a Dio e agli uomini. Questo sarebbe stato visto probabilmente per i giudei come una bestemmia.

▪ Ugualmente Darrell Bock, autore del più esaustivo studio su questo argomento8, scrive: “L'affermazione netta della sua presenza affianco a Dio e della sua autorità ventura (come giudice, governatore, o semplicemente come rivendicato da Dio) è ciò che loro [il sinedrio] ritiene offensivo... Non solo Dio vendicherà Gesù, ma lo esalterà fino a un posto in cui condivide l'onore dovuto a Dio. Questa posizione è ciò che la leadership giudea ritiene una pretesa blasfema...”

A questo, però, bisogna aggiungere che se Gesù è stato arrestato di notte senza una imputazione

precisa, e con i precedenti di cui parlano i vangeli, se è stata organizzata di notte una sessione nel sinedrio per incolparlo, è allora molto probabile che il suo giudizio davanti al Sinedrio fosse stato già deciso, al meno per ciò che riguarda la distruzione della sua credibilità davanti al popolo. Forse, come dice l’evangelista Giovanni, avevano deciso già di ucciderlo e volevano solo trovare un motivo legale per condannarlo a morte. Non si cercava di salvare un imputato ma di vedere come lo si poteva condannare. Su queste basi l’atto di appropriazione di prerogative divine compiuto da Gesù, all’interno del processo, offriva una buona base per attuare i progetti desiderati.

In altre parole, ciò che avevano i capi contro Gesù non era una questione di una idea o di alcune parole pronunciate, ma era il fatto che tutta la dottrina di Gesù era contraria ai loro interessi, perché Gesù li dipingeva come coloro che non solo erano lontani dal regno, ma si opponevano all'avvento del regno. Ai loro occhi Gesù screditava loro davanti al popolo e bocciava la loro politica e la loro visione religiosa.

La negazione della storicità di un vero processo giudeo

(Vedi Blinzler, 144 ss., che seguo) Hans Lietzmann, autorevole professore di storia della chiesa antica, pubblicò nel 1931 uno studio

in cui affermava che l'autorità giudaica non aveva processato Gesù, ma solo lo aveva arrestato e consegnato poi ai romani. Questa opinione continua tuttora in vita. Nel 1961 Winter e al. sostennero la stessa opinione e anche recentemente, C. Cohn, studioso ebreo, ha sostenuto che furono solo i romani a condannare Gesù (cf. Processo e morte di Gesù. Un punto di vista ebraico, Torino 2000).

7 Cf. su questi aspetti D. W. Chapman and E. J. Schnabel, The trial and Crucifixion of Jesus. Texts and commentary, Mohr

Siebeck, Tübingen 2015, p.106. Vedi anche C. L. Blomberg, A response to G R Beasley-Murray on the kingdom, "Journal of the

Evangelical Theological Society" 35/1 (1992), 31-36 (spec. 33)).

8 D. L. Bock, Blasphemy and exaltation in Judaism and the final examination of Jesus: A philological-historical study of the key Jewish

themes impacting Mark 14:61-64, Baker Accademy, 2000.

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Lietzmann sottolineava quattro aspetti:

▪ Non c'erano testimoni del processo tra gli evangelisti.

▪ Dal racconto si vede che ciò che interessa a Marco è raccontare la negazione di Pietro, questa ha la priorità nel racconto. Quel che viene in mezzo sul processo a Gesù (Mc 14,55-65) è una aggiunta posteriore perché si vede che la redazione dopo 14,54 segue in 14,66.

– 14,53-54: "Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani

e gli scribi. Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il cortile del palazzo del sommo sacerdote, e

se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco (…[In seguito viene descritto il processo con le false

deposizioni, la domanda del Sommo sacerdote y la risposta di Gesù che gli vale la condanna]...) 14,66:

Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote e, vedendo Pietro

che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù».

▪ La menzione del Sinedrio in 15,1 non tiene conto del processo di Gesù di 14,55-65, e perciò era probabilmente ciò che figurava nella redazione più antica

– 15,1: "E subito, al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver

tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato"

▪ Gli ebrei avevano il potere di condannare a morte i giudei anche al tempo di Pilato, e se lo avessero fatto Gesù sarebbe stato lapidato.

A questa linea inaugurata da Lietzmann si sono opposti altri studiosi9:

▪ La prima obiezione non ha grande peso perché i discepoli di Gesù, pur non essendo presenti nel processo, hanno potuto informarsi. È chiaro che nel Sinedrio o tra personaggi influenti c'era chi voleva bene Gesù, probabilmente alcuni di essi sono dopo diventati cristiani.

▪ La seconda obiezione ha una certa plausibilità. Ma anche la redazione attuale si può anche spiegare in dipendenza del tentativo di Marco. Alcuni studiosi hanno sottolineato che Marco mescola i due episodi (la negazione di Pietro e la confessione di Gesù) perché intende contrapporre le due figure in quel momento, cioè intende mostrare nel contempo la debolezza di Pietro e la fortezza di Gesù. Per questo motivo egli scrive i versetti 53-54: "Condussero Gesù dal sommo sacerdote, e là si

riunirono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. Pietro lo aveva seguito da lontano, fin dentro il

cortile del palazzo del sommo sacerdote, e se ne stava seduto tra i servi, scaldandosi al fuoco". Poi una volta che ha ottenuto il suo scopo riprende il suo racconto in 15,1.

▪ La terza obiezione non è decisiva: qui si tratta di una ripresa del racconto. L'espressione al mattino potrebbe riferirsi a una seduta del Sinedrio al mattino o semplicemente che la sessione notturna termina al mattino. Si potrebbe anche pensare che “al mattino” si riferisce alla consegna a Pilato e il "tenuto consiglio" (symboúlion poiésantes) alla sessione notturna di cui l’evangelista ha appena raccontato.

9 Un buon riassunto fino al 1994 si trova in: R. A. Horsley, The Death of Jesus, in B.-C. A. Chilton-Evans (ed.), Studying the

historical Jesus. Evaluations of the state of current research, E.J.Brill, Leiden; New York 1994, pp. 401-405. Interessante riassunto e

critica in A. N. Sherwin-White, Roman society and Roman law in the New Testament, Clarendon Press, Oxford 1963, 33 ss.

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Come è stato già detto, Jossa preferisce tradurlo per "approntata una delibera". Il motivo è che gli autorevoli codici antichi S, C e L (Sinaitico -sec V- e altre due codici) contengono un’altra espressione (étoimásantes) che significa "preparato il consiglio" nel senso della delibera. Ma bisogna anche dire che anche se Lietzmann avesse ragione non verrebbe neanche dimostrato che il processo a Gesù (la aggiunta posteriore non sia storica).

La quarta obiezione vale la pena studiarla più a fondo:

Competenze del Sinedrio e competenze del Pretorio.

La visione più comune

La visione più comune è quella presentata da Annunciata. Lavoro di D. Annunciata

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Testi fondamentali per provare che i giudei non avevano diritto a condannare a morte:

Tra i testi che mostrano che il ius gladii era riservato ai romani ci sono questi tre:

a) Il Talmud di Gerusalemme10 dice così:

Sanhedrin 18a. (p. 228) Corrisponde al capitolo I (verso la seconda pagina)

10 Il Talmud è una raccolta di commenti rabbinici e note sulla tradizione orale ebraica (Mishnah). Esistono due Talmud,

quello gerosolimitano e quello babilonese. Il primo fu compilata in Terra di Israele durante il IV e V secolo, il secondo a

Babilonia un paio di secoli dopo. Il Talmud babilonese è il più studiato perché ritenuto più autorevole. Sanhedrin (ebraico:

Sinedrio) è uno dei dieci trattati del Seder Nezikin (Ordine dei Danni, una sezione della Mishnah e del Talmud che tratta ,סנהדרין

dei danni civili e penali, nelle procedure giudiziarie.

14

b) Condanna a morte di Giacomo apostolo: (mostra come il Sommo sacerdote coglie l’opportunità per decretare una sentenza di morte). Testo di Giuseppe Flavio in Antichità giudaiche, XX, 200-203.

27/06/2016 12:24 - Ritaglio di schermata

15

Commento: Qui siamo l’anno 60. Porzio Festo, governatore della giudea dal 58 al 60 e noto anche perché fu lui a concedere a S. Paolo l’appello al Cesare, ha lasciato la carica di governatore. Lo sostituisce Lucio Albino, che fu governatore tra il 60 e il 64. Sono i primi anni di Nerone imperatore. Allora approfittando il vuoto di potere il Sommo Sacerdote Anano (figlio di Anna) fa questo: prende alcuni cristiani tra cui Giacomo il Minore, capo della Chiesa a Gerusalemme, e li fa lapidare. Questo non piacque ad alcuni membri del sinedrio che lo denunciarono all’arrivo di Albino. Albino non piacque la cosa e fece intervenire il re Erode Agrippa (che era stato lui stesso governatore tra il 41 e il 44) e Erode destituì Anano dopo tre mesi.

La morte di Giacomo in queste circostanze è anche testimoniata da un’opera attribuita a Ippolito romano, I dodici apostoli del Cristo (secondo gli studiosi l’opera è spuria) in cui si dice: “Giacomo, Figlio di Alfeo, mentre predicava in Gerusalemme fu lapidato dai giudei, e fu seppellito accanto al Tempio”. (Of Rome, Pseudo-Hippolytus. "On the Twelve Apostles" and "On the Seventy Disciples". newadvent.org. Retrieved 10 September 2015).

c) La Megillat Ta'anit conferma quanto asserito negli altri testi. Un altro interessante documento in cui si vede il fatto che i giudei non potevano eseguire pene di

morte è stato segnalato da J. Jeremias. Si tratta della Megillat Ta'anit, una cronaca che enumera 35 giorni festivi durante i quali la nazione israelita ha svolto azioni gloriose o è stata testimone di eventi gioiosi: tali giorni venivano celebrati come festività. É una sorta di calendario mensile, una sorta di epacta, diviso per mesi.

Nel mese di Elul si legge: "il 4 è la dedicazione delle mura di Gerusalemme, e non è permesso il

digiuno. Il 17 i romani lasciarono Gerusalemme. Il 22 dello stesso mese abbiamo iniziato a uccidere gli malfattori".

Il calendario è datato verso l'anno 66 o 67 dC quando i romani dovettero lasciare Gerusalemme

perché non potevano reggerla, perché il caos interno alle fazioni giudee e le dure repressioni dei governatori romani avevano fatto precipitare la situazione politica. Ciò costituì l'inizio della guerra giudaica.

▪ La guerra giudaica portò alla presa di una Gerusalemme (divisa in fazioni interne) dai romani e la distruzione del Tempio l'anno 70. Non è facile dire se la causa della caduta di Gerusalemme, sia più da attribuire alle guerre interne tra le fazioni giudee o alla forza e destrezza militare dei soldati romani.

Si afferma che le mura appena costruiti sono stati inaugurati. Queste mura, iniziati per desiderio

dal re Erode Agrippa I (il quale ebbe la delega romana come governatore durante un triennio dal 41-44 dC) e furono conclusi verso il 67 dC. L'abbandono di Gerusalemme da parte dei romani ebbe luogo, secondo Giuseppe Flavio, nell'anno 66 il 6 de Elul (il calendario lo commemora il 17). Il 22 di Elul si commemora il fatto che i giudei divennero pienamente indipendenti, e ciò si mostra perché poterono di nuovo infliggere la pena di morte ai criminali convitti da reati. In quella data giudicarono colpevole qualcuno e ne ordinarono l'esecuzione11.

11 Su tutto ciò D. W. Chapman, The trial and Crucifixion of Jesus: texts and commentary, Mohr Siebeck, Tübingen 2015, pp.

25-27.

16

Sinedrio e pretorio

martedì 5 luglio 2016 17:56

Abbiamo già parlato del motivo per cui Gesù fu deferito al procuratore romano: soltanto costui

deteneva il ius gladii. Abbiamo anche visto alcuna documentazione in tale senso. Approfondiamo ancora un po' questo aspetto. Già abbiamo notato che la prassi dei romani rispetto

ai popoli sottomessi era concedere a questi popoli notevoli margini di autonomia, per cui il potere romano poteva riconoscere personaggi come Erode o come i sommi sacerdoti, a portare avanti con la loro collaborazione aspetti della vita politica, e in particolare gli aspetti riguardanti il loro diritto indigeno (nel caso di giudei, le loro pratiche religiose che governavano la vita d’Israele).

Si ha notizia che i giudei avevano alcuni privilegi, quale la dispensa del servizio militare, o del culto

all'imperatore, ecc. Inoltre venivano riconosciuti i loro giudizi sulle cause religiose. I romani, per esempio, riconoscevano il diritto degli ebrei a uccidere gli stranieri che varcassero le porte del Tempio di Gerusalemme (o di giudei in stato d'impurità che contaminassero il Tempio). Si sa che c'erano infatti iscrizioni in greco e latino prima di entrare ai luoghi proibiti per gli stranieri che avvertivano del rischio che correva chi entrava 12 . Ciò è anche affermato da Giuseppe Flavio, il quale mette in bocca dell'imperatore romano Tito (a motivo della toma di Gerusalemme) queste parole (Guerra giudaica, VI,2,4 &126)

[Secondo Giueppe Flavio, l’imperatore romano Tito era scandalizzato del fatto che le fazione giudee che avevano

combattuto tra di loro per prendere l’egeminia in Gerusalemme, lo avevano fatto anche all’interno del loro Tempio, mentre invece i dominatori romani prima di andare via e cominciare la guerra contro i giudei avevano sempre rispettato il Tempio come un luogo santo].

Certamente il sinedrio aveva il potere di giudicare e di punire. Il libro degli Atti degli Apostoli

mostra bene questo aspetto13. Pietro e Giovanni, avendo disobbedito l’indicazione del sinedrio di non predicare il messaggio di Gesù, furono condannati dal sinedrio alla fustigazione; Saulo prima della conversione perseguitò i cristiani come inviato dal Sinedrio [At 9,14: "(Saulo) ha l’autorizzazione dei capi dei sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome", dice Anania nella sua risposta alla richiesta di Dio di istruire Saulo nella fede, e, nella letteratura giudea si trova molto materiale su tutto ciò]. Il sinedrio poteva imporre pene fisiche e anche mettere in carcere.

Che esso non potesse invece mettere a morte è confermato da diverse fonti, che abbiamo già

presentato. Tuttavia, alcune obiezione a questa affermazione possono sorgere da questi dati14:

▪ il libro degli Atti racconta la lapidazione di Stefano. L’episodio però non corrisponde a un formale processo come quello di Gesù, ma sembra piuttosto la lapidazione da parte di una turba, inferocita dalle parole di Stefano; scene di questo tipo non sono legali e potevano essere punite dai romani, qualora questi fossero stati informati o interessati nell’accaduto.

▪ L’esecuzione di Giacomo di Zabedeo (At 12,2) e dei una figlia adultera di un sacerdote raccontata da Eleazar ben Zadok e trasmessa da almeno tre fonti rabbiniche. Probabilmente

12 Cf. J. Blintzer, Il processo a Gesù, pp. 207-208.

13 Cf. D. Anunziata, Il processo contro Gesù, Federico II, Napoli 2006, p. 39ss.

14 Su questo vedi C. Marucci, Diritto ebraico e condanna a morte di Gesù, in - J. Mühlsteiger K. Breitsching (ed.), Recht - Bürge

der Freiheit : Festschrift für Johannes Mühlsteiger SJ zum 80. Geburtstag, Duncker u. Humblot, Berlin 2006, 192-193.

17

però questi due casi si riferiscono al periodo tra gli anni 41 e 44, quando fu governatore Erode Agrippa15 e il sinedrio ricuperò il potere di morte.

▪ E, infatti, nell’occasione della condanna morte Giacomo apostolo verso il 62 dC si vede non solo la scaltrezza e la furbizia solita nei capi d'Israele, e non solo il fatto che le relazioni tra la comunità cristiana e l’autorità giudea erano già allora molto tese, ma anche il fatto che i romani ci tenevano a far rispettare il loro diritto di spada. Infatti il sommo sacerdote Anano accusato da alcuni notabile del popolo per quella azione venne deposto, qualche mese dopo i fatti, per ordine del governatore Albino appena insediato.

C’è anche ci sostiene che i giudei non avevano perso il potere di condannare a morte ma che da una parte le regole per praticarla richiedevano condizioni difficili da compiere, anche si legge che i romani non erano interessati a esercitare questo potere e preferivano dare la responsabilità ai romani. Ad ogni modo il dato dei vangeli dovrebbe prevalere, non essendoci causa sufficiente per sospettare che i vari evangelisti, che presumibilmente erano ben informati su ciò che era accaduto nell’occasione della morte di Gesù, abbiano dovuto alterare la realtà.

2. Il processo romano.

Ponzio Pilato

mercoledì 6 luglio 2016

12:17

Vedi Blinzler, Il processo di Gesù, (sezione su Ponzio Pilato) pp, 229-243.

E tutti i dati di Chapman, The trial and Crucifixion of Jesus, pp. 157-198 (spec. 169-174).

Pilato fu prefetto della Giudea tra gli anni 26 e 37 dC. Lo storico Tacito (+ 120) lo ricorda come il “procuratore” della Giudea, quando indica che Nerone diede la colpa dell’incendio di Roma ai cristiani e menziona, quindi, Gesù e la sua morte avvenuta ai tempi del “procuratore” Ponzio Pilato. Una lapide scoperta nel 1961 menziona Tiberio e indica Pontius Pilatus come “prefectus Judaee”. In realtà, la parola “procuratore” fa più riferimento alle mansioni economiche e giuridiche che non a quelle militari e di governo del territorio. Probabilmente essendo una unità di governo relativamente piccola (la provincia comprendeva oltre alla Giudea, la Samaria e l’Idumea), la figura del prefetto univa in sé anche le funzioni del procuratore. A quanto pare, dopo l’anno 44 si impone ufficialmente il titolo “procuratore”, mentre prima (ai tempi di Pilato) si usava quello di prefetto. Ciò spiegherebbe bene perché Tacito lo chiami procuratore, perché era la parola che si usava quando lui scriveva.

La residenza ufficiale del prefetto romano della Giudea era a Cesarea Marittima, un importante porto e la capitale amministrativa della regione. Era anche in quella città dove risedevano le truppe su cui poteva contare Pilato, in tutto circa 3000 uomini, arruolati sul posto, e dotati anche da una sezione di cavalleria. Di questi soldati soltanto una coorte comandata da un tribuno (circa 600 uomini in tutto) risiedeva a Gerusalemme, nella Torre Antonia presso il lato settentrionale del Tempio di Gerusalemme.

15 È infatti collocato così negli Atti. “In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece

uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro”. (At 12,1-

3).

18

Certamente non era un numero di soldati tanto grande per mantenere l’ordine pubblico in una provincia in cui il popolo mal sopportava la presenza romana. Comunque, la prefettura che comandava Pilato apparteneva alla provincia romana di Siria (vedi mappa), governata da un legato dell’imperatore, e in caso di necessità Pilato poteva chiedere l’aiuto del legato che disponeva da qualche legione romana (5000 o 6000 uomini per ogni legione) per la provincia.

16

Pilato giunse in Giudea probabilmente con la speranza di poterla amministrare con equanimità e rigore, fidando nell’esperienza ormai secolare di Roma, ma questa piccola regione si dovette rivelare un grave problema per lui. Presto si accorse che il popolo ebraico non avrebbe fatto nulla per facilitare il suo compito e per meglio intendersi con lui: il nazionalismo religioso e il radicale attaccamento alla Torah sarebbero state le cause della ferma opposizione alla romanizzazione della Provincia17.

Le testimonianze che abbiamo su Pilato dalle fonti giudaiche sono (come ci si poteva aspettare) abbastanza negative. Filone d’Alessandria18, giudeo, contemporaneo di Pilato, racconta una vicenda successa probabilmente nei primi anni del governatore in Giudea, e approfitta per dire alcune cose molto negative su Pilato. Presento una versione in lingua inglese, poiché non conosco traduzione italiana.

16 L’imperatore nominava il governatore nelle province imperiali, nelle province senatoriali la nomina spettava al Senato.

17 Cf. De Paoli, R., Ponzio Pilato tra storia e legenda, [http://www.fraternitasaurigarum.it: 26-II-17].

18 Filone di Alessandria, noto anche come Filone l'Ebreo (Alessandria d'Egitto, 20 a.C. circa - 45 d.C. circa), è stato un

filosofo greco antico di cultura ebraica vissuto in epoca ellenistica. Il testo è tratto da Leg. Ad Gaium, 302.

19

Il testo corrisponde a un memorandum che il re Erode Agrippa I, nipote di Erode il Grande, inviò al imperatore romano Caligola, dal quale era amico. Caligola governò l’impero dal 37 al 41 dC. Egli voleva erigere una propria statua nel Tempio di Gerusalemme, e Agrippa cerca di convincerlo a non farlo. E gli parla del significato di Gerusalemme e dell’atteggiamento dei giudei nei confronti del loro Tempio e della

20

città. Gli parla anche del rispetto che gli imperatori che lo hanno preceduto (a Caligola) hanno mostrato nei confronti delle tradizioni e delle consuetudini giudee. In questo contesto si racconta quanto precede.

Gli scudi romani, di cui parla il testo, probabilmente erano stati posti nella sala di recezione o nella sala dei banchetti del palazzo di Erode19, il luogo dove si alloggiava Pilato quando era a Gerusalemme, e che erano posti fatti con grande magnificenza. Ciò agli occhi dei giudei era noioso in quanto significava una manifestazione pubblica del fatto che essi erano un popolo sotto la dominazione romana. Perciò furono a protestare al governatore, e lo fece direttamente la famiglia reale, chiedendogli di togliere gli scudi, e velatamente minacciando che, se non lo avesse fatto, loro si sarebbero rivolti all’imperatore. Il testo racconta che ciò effettivamente accade, e Tiberio obbligò a Pilato a togliere gli scudi ed spostarli a Cesarea, fuori da Gerusalemme.

Nel testo, come si vede, sono presenti giudizi pesanti sul conto del governatore. Egli era un uomo “inflessibile, arrogante e crudele”, che “era macchiato con delitti di corruzione, violenze, furti”, ed “esecuzioni sommarie senza processi”, e con altri innumerevoli “atti selvaggi”. Era Pilato veramente così?

Neppure Giuseppe Flavio offre un giudizio lusinghiero di Pilato. Nel II libro sulla Guerra giudaica racconta diversi episodi. Il primo forse avviene poco dopo al suo arrivo in Giudea, perché lo si vede abbastanza ignaro dello spirito dei giudei:

19 Erode il Grande, colui di cui si racconta l’uccisione degli innocenti, fu una grande costruttore di opere monumentali.

Tra di esse, oltre al Tempio di Gerusalemme, anche il suo palazzo a Gerusalemme, il palazzo di erode, dove probabilmente

ebbe luogo il processo romano a Gesù.

21

Anche Giuseppe Flavio, dunque, mostra Pilato come un uomo crudele specialmente nel secondo episodio20. Tuttavia, se si valuta senza anacronismi e in rapporto all’epoca, nessuno di questi episodi mostra un Pilato particolarmente crudele. Le faccende degli scudi e delle immagini sono modi di Pilato per manifestare la sua devozione all’imperatore, davanti al quale, ovviamente, voleva fare bella figura. Prelevare soldi dal Tempio, per opere comuni, era stato fatto prima anche, e probabilmente era un progetto che poteva contare con l’appoggio di almeno alcuni tra i gerarchi del Tempio. Reprimere un raduno di gente armata formava parte della sua missione di ordine in Giudea.

Un altro dato che contrasta con questi ritratti è il fatto che Pilato fu governatore della Giudea per almeno 10 anni, forse anche per 17 anni. Raramente i governatori duravano tanto, e ciò è segno che egli riuscì a essere tollerato dai capi giudei. Forse perché questi capi avevano vie per mettere Pilato in cattiva luce davanti all’imperatore come mostra la vicenda degli scudi, o forse perché essi pensavano che Pilato concedeva a loro sufficiente libertà in quanto a loro interessava, il fatto è che non sembrano essere stati per anni tensioni insanabili tra i capi e Pilato. Ciò può essere tanto più vero in quanto che Pilato abitava normalmente a Cesarea, e quindi, si vedevano solo in alcuni momenti dell’anno. È dunque possibile che le fonti che ritrattano Pilato non siano del tutto obiettive. È anche possibile che con il passare degli anni egli si sia un indurito21, e abbia sempre più annoiato i giudei. Alla fine, infatti, egli verrà destituito da Caligola, forse sotto influsso di Erode Agrippa, amico dell’imperatore, che à all’origine del negativo ritratto di Filone.

Che dire allora rispetto a questi ritratti? Probabilmente sono in parte veri, e in parte frutto di una comprensibile insofferenza. Certamente si vede che Pilato non aveva a cuore le strettezze con cui i giudei si prendevano la loro legge. Probabilmente egli considerava se stesso rappresentante di una cultura superiore e vincente, e voleva in qualche modo mostrarlo esternamente. Le monete ad onere dell''imperatore Tiberio che egli fece coniare nella giudea gli anni 29, 30 e 31 dC22, sono prova del suo attaccamento alla cultura romana e al Cesare, così come quasi tutti i fatti per cui egli venne alla cronaca extrabiblica sono legati al desiderio di onorare l'imperatore. Questo forse spiega perché egli fu per tanti anni prefetto.

Dunque sostanzialmente è coerente con il comportamento di Pilato il fatto che egli non abbia voluto dare retta ai capi giudei che volevano la morte di Gesù (Pilato non aveva particolare apprezzo per la legge giudea) e, quando si rese conto che la questione era poco chiara e che Gesù poteva essere un “sognatore”, ma non un sedizioso, cercò di non darla per vinta ai capi. Egli però non era minimamente disponibile a compromettere la propria posizione davanti all’imperatore, e perciò quando egli vide la piega che prendevano le cose, e la determinazione dei capi dei giudei sul caso, rinunciò e lasciò perdere.

Quindi, per ciò che riguarda le relazioni tra Pilato e il Sinedrio, non sono state probabilmente così tese. Perché, a quanto pare Pilato aveva autorità per deporre il Sommo Sacerdote e nominarne un altro, ma non ha mai deposto Caifa.

Così la Wikipedia23, nel ricordare:

Annas [also Ananus or Ananias], son of Seth (23/22 BC – death date unknown, probably around AD 40), was appointed by the Roman legate Quirinius as the first High Priest of the newly formed Roman province of

20 Giuseppe Flavio racconta anche del massacro di Tirathana (Ant. Jud. XVII, 85-89), per il fatto che molti samaritani,

ammaliati da un “profeta”, si erano riuniti in armi sulla montagna sacra del Garizim, dove sarebbero stati mostrati loro gli

antichi vasi nascosti sul monte da Mosè. Pilato non permise il raduno e inviò le truppe, le quali uccisero parecchi samaritani.

Egli poi giustiziò i capi del movimento.

21 Cf. Jossa, La condanna del Messia: problemi storici della ricerca su Gesù, Paideia, Brescia 2010, p. 111 e ss., e Blinzler, Il processo

di Gesù, pp. 229-243

22 Cf. Chapman, The Trial and Crucifixion of Jesus, pp. 162-163.

23 Voce “Annas” in lingua inglese.

22

Iudaea in AD 6; just after the Romans had deposed Archelaus, Ethnarch of Judaea, thereby putting Judaea directly under Roman rule.

Annas officially served as High Priest for ten years (AD 6-15), when at the age of 36 he was deposed by the procurator Gratus. Yet while having been officially removed from office, he remained as one of the nation's most influential political and social individuals, aided greatly by the use of his five sons and his son-in-law Caiaphas as puppet High Priests. His death is unrecorded, but his son Annas the Younger, also known as Ananus the son of Ananus was assassinated in 66 AD for advocating peace with Rome.

Si può forse ipotizzare che nelle relazioni tra Pilato e il Sinedrio, entrambi le parti abbiano adottato un approccio realistico: una mutua tolleranza del tipo “se non mi dai fastidio, andrà bene, io a mia volta non lo darò a te”. Pilato avrà anche tenuto conto del fatto che la famiglia sacerdotale era ricca e influente a Gerusalemme, con la quale valeva la pena essere in rapporti sereni, e viceversa, Anna e Caifa abbiano pensato che potevano fare i loro progetti con un governatore come Pilato.

Dal processo giudeo al processo romano.

mercoledì 6 luglio 2016

16:14

Si pone anche la questione se, per i capi dei farisei, non era in fondo superfluo fare due processi. In altre parole: se volevano Gesù morto, perché fare un processo dinanzi al Sinedrio e non andare direttamente da Pilato?

La realtà è che essi volevano Gesù morto, ma, da una parte, non volevano violare la Torah, per giustificare l'operato davanti alla propria coscienza, e dall’altra avevano interesse a dare alla vicenda un aria di legalità, si dà non poter essere accusati di arbitrarietà da parte di altri (altri capi o dal popolo). È per questo motivo che nel vangelo di Giovanni si legge che i capi dicono a Pilato, a un certo punto del processo, la verità sul perché essi desiderano la morte di Gesù: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio» (Gv 19,7). È qui ben riassunta la vera natura della loro opposizione a Gesù: il modo come egli concepisce se stesso, la sua pretesa messianica, e il suo ruolo nel Regno. La conseguenza non desiderata da loro che Gesù è il vero re d’Israele, la vera autorità da ascoltare. Essi non credono a nulla di questo.

Vogliono perciò la sua morte. Il fatto però è che, come abbiamo già visto, da un lato, loro non hanno il potere di infliggere la morte, e quindi devono andare dal procuratore, e, dall'altro, essi sanno che se vogliono ottenere il loro fine sarà necessario in qualche modo obbligare il procuratore a fare quanto essi desiderano che egli faccia, perché essi possono prevedere che Pilato non lo farà volentieri.

Il diritto romano dava a Pilato il potere di giudicare. Già al suo tempo il prefetto aveva le funzioni di rappresentante dello Stato o rappresentante dell’imperatore, per ascoltare le cause o decidere la sentenza (il processo così è conosciuto come cognitio extra ordinem). Erano come cause fuori dell’ordinario, ma che poi alla fine terminarono imponendosi come la forma normale del processo.

Tutto ciò determina la strategia dei capi giudei. Per ottenere il loro obiettivo, essi devono presentare la loro causa in modo che il procuratore possa condannare a morte Gesù agendo in conformità con il diritto romano. È per questo che l'accusa di “bestemmia”, che aveva determinato la condanna morte di Gesù, viene in qualche modo "trasformata" in un’altra accusa, ambiguamente politica, che mostra Gesù come un seduttore e un sobillatore dalla folla, e che dice di essere lui stesso il Re. D'altra parte, però, essi possono prevedere che il governatore non condividerà il loro giudizio, lo conoscono e sanno che si renderà conto del vero motivo della condanna, ma gli offrono gli strumenti per dare loro ragione e giustificare la decisione in base al diritto romano. In ultimo termine sanno che possono esercitare pressione sul governatore, facendo sì che egli non possa (o gli sia molto difficile) negarsi ai loro desideri.

23

Perciò essi convocano il popolo (un po’ di folla quando meno) a gridare e, allo stesso tempo, agitano davanti a Pilato il fantasma di una loro accusa del governatore davanti all'imperatore Tiberio.

È questo insieme di cause che determina l'andamento del processo di Gesù davanti a Pilato. Tutto ciò conferma l’idea che l’operazione era stata preparata con cura da tempo prima.

Sapevano che la possibilità di risolvere tutto in breve periodo era ben attuabile. Il prefetto era a Gerusalemme: egli infatti in occasioni delle grandi feste come la Pasqua egli si trasferiva a Gerusalemme per tenere direttamente il controllo della situazione24. Sapevano che aveva altre cause da giudicare. Pilato, infatti, ha condannato anche altri rei in quei giorni (i due ladroni, per esempio). Sapevano che le sentenze del prefetto erano di esecuzione immediata, perché tale era questa la legge romana. Questo aiuta anche a capire perché i capi si siano mossi con velocità inconsueta nel caso di Gesù. Perché, in quei giorni, potevano ottenere immediatamente il loro scopo, con tutti i protagonisti presenti in Gerusalemme.

Di solito i procuratori giudicavano le cause di primo mattino. Ciò anche aiuta a capire perché il processo del Sinedrio si sia svolto in ore inconsuete. Così i capi dei giudei hanno voluto presentarsi a prima ora davanti al procuratore con la loro decisione già “legalizzata” dal processo nel sinedrio, per poter avere la condanna e l'esecuzione di Gesù in tempi veloci. La scelta dei tempi di tutta la vicenda inclina a pensare che l’intera operazione era stata programmata in anticipo.

Il processo di Pilato nei vangeli

mercoledì 6 luglio 2016

13:03

È variamente rapportato nei diversi vangeli. Le recensione sinottiche sono assai sobrie, e hanno uno schema più o meno comune:

▪ Breve interrogatorio di Gesù da parte di Pilato

▪ (In Luca soltanto, tentativo di Pilato di togliersi di mezzo la questione, inviando Gesù a Erode: Gesù era galileo e Erode Antipas era allora tetrarca della Galilea: in pratica governava Galilea e Perea a nome dei romani).

▪ Vano tentativo di Pilato di salvare Gesù mediante l'amnistia di Pasqua

▪ Condanna di Gesù per l'insistente pressione popolare

Giovanni invece amplia il quadro del rapporto tra Pilato e Gesù, includendo sei scene separate:

▪ Discussione tra Pilato e i giudei davanti al pretorio.

▪ Primo colloquio tra Gesù e Pilato.

▪ Fallimento del tentativo di grazia mediante l'amnistia pasquale.

▪ Flagellazione e presentazione di Gesù alla folla.

▪ Secondo colloquio tra Gesù e Pilato.

24 La cosa è documentata per il tempo di Cumano governatore (48-52 dC) da Giuseppe Flavio in Ant. Jud. XX,V,III. Si

racconta come a motivo di una ingiuria commessa da un soldato, la gente iniziò a inveire contro Cumano, il quale diede ordine

alla guardia di dispiegarsi. La folla corse in fuga e si calpestarono gli uni agli altri originando migliaia di morti.

24

▪ Condanna per pressione popolare.

Il vangelo di Giovanni mostra più in dettaglio la logica che presiedette al processo romano con Pilato25. Mostra anche il disagio di Pilato davanti a un condannato che egli non ritiene meritevole di condanna. Pilato, afferma De Paoli “sviluppa nel suo animo un senso di inquietudine crescente e poi quasi di paura, di fronte a ciò che sfugge alla sua razionalità e si carica di valenza sacrale. A più riprese afferma l’innocenza di Gesù e tenta in ogni modo di liberarlo, scontrandosi con i sacerdoti giudei. Da questa tradizione appare quindi un Pilato insicuro, timoroso di fronte alla folla e in evidente turbamento, ma nel contempo incapace di dare testimonianza alla Verità”.26

a) Il processo parte di un iniziale rifiuto di Pilato.

Gv 18,28-31: "Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la

Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se

costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo

secondo la vostra Legge!»".

Il dialogo suppone che, secondo la decisione pressa nel Sinedrio, i giudei informano a Pilato dell'accusa più concreta: Gesù seduce il popolo, proclama se stesso re. Lascia tuttavia intendere una certa ambiguità: non che dicono che egli ha bestemmiato, ma lo presentano come un "malfattore".

"«Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato»" (Gv 18,32)

Gesù è un "malfattore", quindi lo si vuole dipingere come un sedizioso, presentarlo in modo che possa essere condannato da un tribunale romano.

Per comprendere il perché lo presentano così può essere utile ricordare ciò che successe con il proconsole Gallione27, ai tempi dell'evangelizzazione di Paolo. Secondo il libro degli Atti, Paolo è portato davanti a Gallione per essere giudicato:

At 18,12-16: "Mentre Gallione era proconsole dell’Acaia, i Giudei insorsero unanimi contro Paolo e lo

condussero davanti al tribunale dicendo: «Costui persuade la gente a rendere culto a Dio in modo contrario alla Legge».

Paolo stava per rispondere, ma Gallione disse ai Giudei: «Se si trattasse di un delitto o di un misfatto, io vi ascolterei,

o Giudei, come è giusto. Ma se sono questioni di parole o di nomi o della vostra Legge, vedetevela voi: io non voglio

essere giudice di queste faccende». E li fece cacciare dal tribunale".

Pilato probabilmente non aveva voglia di essere giudice su queste cose, non le conosceva e sapeva che potevano essere fonte di molti problemi. Forse anche un po' disprezzava tutto ciò. I capi sapevano che il procuratore non avrebbe visto come grave ciò che per loro era un reato mortale. Di là, la presentazione di Gesù come "malfattore", per riferirsi a uno che agita il popolo con promesse messianiche.

b) Di conseguenza viene l'interrogatorio di Pilato a Gesù, con la domanda:

"Sei tu il re dei Giudei?" (Gv 18,33)

Gesù parla brevemente del suo regno e Pilato si convince che egli non ha fatto propriamente nessun reato civile: Gesù non è un agitatore. Così Pilato si rivolge di nuovo ai capi:

25 Per il processo nelle fonti sinottici vedi A. N. Sherwin-White, The Trial of Jesus in the Synoptics Gospels, in ID. Roman

society and Roman law in the New Testament, Clarendon Press, Oxford 1963, 24-47.

26 Riccardo M. De Paoli [http://www.fraternitasaurigarum.it: 28-II-2017].

27 Un “proconsole” era un governatore di un'intera provincia romana, non di confine e pacifica, in questo caso l'Acaia.

La figura esisteva anche al tempo di Pilato. Il governatore della Siria, benché non fosse chiamato “proconsole” bensì “legato”,

sorvegliava anche la Giudea e in questo senso era il superiore diretto di Pilato: su tutto ciò vedi D. W. Chapman, pp.153-155.

25

"«Io non trovo in lui colpa alcuna»" (Gv 18,38)

[Luca inserisce a questo punto il rimando di Gesù a Erode, lo vediamo successivamente].

c) Pilato apre allora un’altra possibilità di libertà per Gesù: la grazia della liberazione di un prigioniero per la Pasqua28. Questa consuetudine, non documentabile nelle fonti antiche extra-bibliche, si adegua però bene al senso generale della festa della Pasqua, che è un “memoriale” di liberazione. È abbastanza verosimile una tale prassi, sia nel contesto della religione israelitica, sia in ragione della propensione romana a inquadrare la vita pratica nel contesto della legge e del diritto. La scena con Barabba è poi attestata in pratica da tutte le fonti (tutti i vangeli e Atti)29.

d) A partire di là la situazione si complica. Gesù viene poi flagellato, e presentato al popolo, ma nulla di ciò serve a far deviare i capi della loro decisione di morte: essi chiedono la crocefissione di Gesù. A questo punto diventa anche chiaro per Pilato il motivo dell’accanimento contro Gesù. I capi dei sacerdoti dicono:

"«Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio»" (Gv 19,7)

e) Questo conferma Pilato nel fatto che Gesù non ha fatto nulla che meriti la morte secondo la legge romana. Avviene quindi un nuovo dialogo di Pilato con Gesù. Pilato tenta d’indagare l’identità di Gesù, ma Gesù non risponde a questa domanda. La situazione allora diventa inconsueta anche per Pialto.

Infatti nel processo romano l’accusato non aveva un avvocato. Di regola si difendeva da sola delle accuse posti dagli accusatori. Nel libro degli Atti si vede come funziona.

– Paolo è stato lasciato in custodia dal governatore Felice. Quando arriva il sostituto Porcio

Festo vuole risolvere la questione e propone di giudicare Paolo a Gerusalemme, ma Paolo

che sa che lo vogliono uccidere, si appella al Cesare. Arrivano poco dopo il re Agrippa e

Berenice (questo è Agrippa II, figlio di Agrippa I, che governava su alcune regioni) e Festo

chiede loro un consiglio su come presentare la causa di paolo davanti all’imperatore (Tito).

Allora egli dice:

“C’è un uomo, lasciato qui prigioniero da Felice, contro il quale, durante la mia visita a Gerusalemme,

si presentarono i capi dei sacerdoti e gli anziani dei Giudei per chiederne la condanna. Risposi loro che

i Romani non usano consegnare una persona, prima che l’accusato sia messo a confronto con i suoi

accusatori e possa aver modo di difendersi dall’accusa”.

Qui si vede come funzionava il processo (30 anni dopo la morte di Gesù), venivano gli

accusatori, presentavano l’accusa e il reo si difendeva e lo si ascoltava nella sua difesa.

Pilato ha dunque davanti a sé una situazione inconsueta, perché egli ritiene che Gesù non meriti la morte secondo la legge romana, ma la difesa che si aspetta da Gesù non arriva, Gesù non si difende, e in qualche modo Pilato supplisce quella difesa, certo senza troppo impegno nella giustizia, ma non trova un modo di farlo. Qui si vede bene che Gesù consegna volontariamente se stesso alla morte.

28 Non c’è documentazione sul fatto che ciò fosse una consuetudine. C'è un passo nella Mishna Pesachim in cui si vede

che c'era un certo collegamento tra Pasqua e liberazione del carcere (Pesachim VIII, 6a), ma insufficiente per spiegare questa

consuetudine. Forse, la consuetudine era incipiente e rispondeva a una idea personale di Pilato per farsi accettare dal popolo.

29 I principali manoscritti lucani non contengono il versetto 23,17: “Ora egli doveva consegnare qualcuno ad ogni festa”.

Sembra una glossa di un copista e perciò la Bibbia CEI, ommette il versetto. Alcuni esegeti hanno dubitato dell’esistenza di

Barabba, perché il suo nome significa il “figlio del Padre”, e hanno pensato che fosse una creazione della tradizione come

figura contrapposta a Gesù. Sono quelli che pensano che gli evangelisti hanno fatto ricadere la colpa del processo sui giudei.

Altri esegeti dicono che forse Barabba si chiamava Gesù, e allora viene chiamato per il patronimico (come Simon Bargiona),

per evitare equivoci. Cf. R. E. Brown, La morte del Messia. Dal Getsemani al sepolcro: un commentario ai racconti della passione nei quattro

Vangeli, Queriniana, Brescia 1999, p. ? (p. 957 nella versione spagnola), il quale conclude che non c’è motivo per dubitare

dell’essenziale di quanto si racconta.

26

f) La pressione dei capi e del popolo aumenta, e Pilato inizia a essere subdolamente minacciato dai capi:

"«Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare» (Gv 19,12).

Questo è per Pilato la sua maggiore e più grande paura, e qui sta anche se si può dire così il suo "idolo". Egli teme più di tutto di cadere in disgrazia, che l'imperatore si formi una opinione negativa su di lui.

Nell’ultima scena di questo dialogo, Pilato fa presente ai capi la illogicità del fatto che siano i giudei anziché i romani a chiedere la morte del loro re, ma i capi rispondono con una sorte di “bestemmia”: “non abbiamo altro re che Cesare”. Forse in questo sta anche “l’ironia giovannea”, ma indubbiamente si mette a fuoco l’essenziale: i capi hanno rinnegato il loro Messia, e si sono alleati con i pagani.

Pilato non ha altri argomenti e cede alla loro volontà di crocifiggere Gesù.

Il rimando a Erode Antipa

giovedì 7 luglio 2016

12:59

Il rimando di Gesù a Erode è un tema lucano che è l'unico autore che ne parla.

Questo Erode Antipas era figlio di Erode il Grande, e fu tetrarca (cioè governatore da una regione o zona) della Galilea e della Perea fino all'anno 39, in cui il suo cognato Agrippa, fratello di Erodiade (quella Erodiade che Antipas aveva sposato illegittimamente ed era stata la causa dell'uccisione del Battista), convinse l'imperatore Caligola a licenziarlo e mandarlo in esilio. Agrippa allora ottenne non solo il governo della Galilea, ma anche il titolo di re, e regnò sulla Galilea (e poi, dall’anno 41, sulla Giudea), poi però pochi anni dopo morì.

▪ [Su entrambi gli questi due Erodi vedi le corrispondenti pagine della Wikipedia in lingua inglese]

All'epoca del processo a Gesù, Erode Antipas si trovava in Gerusalemme, probabilmente per la festa, ed essendo Gesù galileo, Pilato pensò in mandarlo a lui, perché come tetrarca aveva giurisdizione su di lui. (Giudea invece non aveva un tetrarca perché i romani avevano deposto Archelao, uno dei figli di Erode, già molti anni prima, e avevano messo un prefetto al suo posto). Nel diritto romano comunque c’è una discussione e un cambiamento di prassi su chi deve giudicare un delinquente che non è della regione in cui ha commesso il delitto: se il magistrato della regione di domicilio e quello della regione dove avviene il delitto30. Quindi anche su questo punto quanto racconta Luca è abbastanza plausibile.

L'inimicizia tra Pilato e Erode è possibile che si sia dovuta alla faccenda degli scudi (ne abbiamo già parlato) e che racconta Filone d'Alessandria. Pilato decise di piazzare nel palazzo di Erode alcuni scudi

30 Vedi su questo: A. N. Sherwin-White, Roman society and Roman law in the New Testament, Clarendon Press, Oxford 1963,

pp. 28-30.

27

dorati e argentati per onorare l'imperatore Tiberio. Gli scudi non avevano immagine ma portavano il nome dell'imperatore. Probabilmente l'iscrizione alludeva come si faceva allora alla condizione divina dell'imperatore (A Tiberio, figlio del divino Augusto, nipote del divino Giulio (Cesare)). Questo fece arrabbiare i giudei e anzitutto la famiglia di Erode (ma il palazzo lo usava anche Pilato come residenza a Gerusalemme), i quali si lamentarono davanti a Pilato e poi inviarono una lettera di protesta all'imperatore. Come risposta, Tiberio mando togliere gli scudi. Non è chiaro se ciò accade prima o dopo la condanna di Gesù, ma se accade prima, forse da allora Pilato non era rimasto in buoni rapporti con Erode Antipa e con la famiglia31.

Ad ogni modo Erode Antipa era una persona della fiducia di Tiberio 32 , e perciò anche non interessava a Pilato deteriorare la relazione con lui (Pilato ha sempre temuto anzitutto di cadere in disgrazia rispetto all'imperatore). Ciò, unito al desiderio di ottenere una possibile via di uscita del caso dal tetrarca, determinò il rimando di Gesù da Erode.

La flagellazione

giovedì 7 luglio 2016

17:37

Dopo il fallimento del tentativo di scambiare Gesù per Barabba, Pilato manda flagellare Gesù.

Era un tormento che i romani infliggevano per vari motivi e con diversi strumenti. I romani conoscevano tre gradi di flagellazione: fustes, fragella, verbera. Il primo grado era spesso una sorta di avvertimento, per esempio quando qualcuno aveva commesso una negligenza (aveva originato un fuoco, p. es), poteva venir fustigato o minacciato di fustigazione (fustes). Non era necessaria una cognitio formale da parte del governatore, bastava che fosse sicuro che fosse colpevole33. Luce dice che Pilato aveva in mente una cosa simile:

«Mi avete portato quest’uomo come agitatore del popolo. Ecco, io l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho

trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate; e neanche Erode: infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non

ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà»

La forma più severa di flagellazione si associava con frequenza alla croce. Era anche frequente che prima della crocifissione una persona venisse flagellata34. Era un tormento duro e talvolta il torturato moriva nella stessa flagellazione35.

Nel caso di Gesù però, egli fu flagellato, ma con un altro scopo. Si trattò probabilmente di un maldestro tentativo di liberarlo, presentandolo davanti al popolo come uno già sufficientemente punito. Tuttavia questa stratagemma non funzionò, e Gesù fu flagellato e crocifisso.

Dice Annunciata sulla flagellazione:

31 Cf. Chapman, 169-172.

32 Cf. Blinzler p. 260.

33 Ad esempio Att 16,19-23 racconta che Paolo e Sila furono bastonati per una accusa di un cittadino romano, dopo che

avevano tolto uno spirito di divinazione da una schiava: “i padroni di lei, vedendo che era svanita la speranza del loro guadagno,

presero Paolo e Sila e li trascinarono nella piazza principale davanti ai capi della città. Presentandoli ai magistrati dissero:

«Questi uomini gettano il disordine nella nostra città; sono Giudei e predicano usanze che a noi Romani non è lecito accogliere

né praticare». La folla allora insorse contro di loro e i magistrati, fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli e, dopo

averli caricati di colpi, li gettarono in carcere e ordinarono al carceriere di fare buona guardia”.

34 Cf. Chapman, indice di materie alla voce Scourging and Flogging, p. 866.

35 Cf. Annunziata, 140.

28

La crocifissione

giovedì 7 luglio 2016

17:44

Seguo Blinzler pp. 327-344.

Documentazione in Chapman, pp. 299ss, 638-640.

Cf. anche J. G. Cook, Crucifixion in the Ancient Mediterranean World (pdf riassuntivo del suo libro Crucifixion in the Mediterranean World, WUNT 327 Tubingen 2014.

Fu una pena presente già, a quanto pare, tra i persiani e che i romani importarono dai cartaginesi, con cui vennero a contatto nelle guerre puniche.

I giudei non la praticavano. Nell'AT si parla della maledizione di colui che viene appeso al legno36, ma si deve intender nel senso che un criminale già giustiziato, veniva poi, appeso o legato a un legno per esporre pubblicamente la sua esecuzione37. Tuttavia per i capi giudei che condannarono Gesù il fatto che Gesù fosse crocifisso era anche un vantaggio, perché gli si poteva applicare una tale parola della Scrittura e così screditarlo ancora di più davanti al popolo: essi potevano dire che colui che si proclamava Messia e Figlio di Dio era invece un “maledetto da Dio”.

La crocifissione era una pena frequente, applicata di regola a schiavi o comunque a persone non protette in alcun modo. Essa non si poteva dare ai cittadini romani e, nei pochi casi in cui si ha notizia della crocifissione di un cittadino romano, ciò di solito era stato dovuto a un abuso da parte dell'autorità, la quale intendeva così vendicarsi della vittima.

36 “Se un uomo avrà commesso un delitto degno di morte e tu l’avrai messo a morte e appeso a un albero, il suo cadavere

non dovrà rimanere tutta la notte sull’albero, ma lo seppellirai lo stesso giorno, perché l’appeso è una maledizione di Dio e tu

non contaminerai il paese che il Signore, tuo Dio, ti dà in eredità”. (Dt 21,22-23).

37 L'appeso è considerato una maledizione di Dio. S Paolo ricorda quel testo in Gal 3,13-14 e lo applica a Gesù per

indicare che la croce di Gesù mostra la imperfezione della Legge, perché la Legge condanna uno che invece è il giusto per

eccellenza. Infatti, Gesù, proprio attraverso la croce, ha dato a tutti la benedizione di Dio e la sua grazia.

29

La prassi comune al tempo di Gesù era che il reo caricasse con la trave orizzontale della croce, fino al luogo dell'esecuzione. Là era denudato (ma non è chiaro se nella Giudea si praticava una denudazione completa, perché, per la concezione ebraica, era indecente giustiziare pubblicamente un uomo completamente nudo, perciò anche coloro che erano lapidati portavano un panno, piccolo o grande, a seconda del sesso del condannato), e inchiodato alla traversa orizzontale, dai polsi. Poi veniva innalzato sul palo verticale preparato già prima. I pali di regola non erano molto alti: a volte il condannato quasi toccava terra, ma poteva essere più alto se lo si voleva far vedere o se si voleva impedire che il condannato fosse preda da animali.

Il supplizio poteva prologarsi parecchi ore, specialmente se i condannati erano state legate con corde alla croce e non fissati con chiodi, in questo ultimo caso la perdita di sangue accelerava la morte. Raramente si sopravviveva a una crocifissione già fatta, anche nel caso che ci fosse, per esempio, una revoca della decisione (come, ad esempio, se qualche personaggio ragguardevole s’interessava per il condannato, chiedendole la liberazione).

Nel caso di Gesù i vangeli offrono diversi particolari, su cui adesso non indugeremo, di come egli l’abbia vissuta: le penose condizioni di Gesù caricando la croce dopo essere stato flagellato, alcune parole che pronunciò sulla croce, il nome di alcune persone che erano nelle vicinanze. La sua morte, comunque, impressionò i soldati presenti per il modo, singolare e unico, in cui egli la affrontò: non maledicendo, non disperato, ma in consonanza con l’identità che egli aveva preteso di avere: come vero Figlio di Dio.