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I LAVORI ATIPICI DIRETTIVE n. 97/81 del 15.12.1997 sul part-time n. 99/70 del 28.6.1999 sul lavoro a tempo determinato n. 08/104 del 19.11.2008 sul lavoro tramite agenzia interinale

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I LAVORI ATIPICI

DIRETTIVE n. 97/81 del 15.12.1997 sul part-

timen. 99/70 del 28.6.1999 sul lavoro a

tempo determinaton. 08/104 del 19.11.2008 sul

lavoro tramite agenzia interinale

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Con le tre direttive e con le proposte che le hanno precedute si è

progressivamente elaborato un modello di lavoro flessibile e «adattabile»

tendente a: contemperare flessibilità per le imprese e sicurezza per i prestatori di lavoro, riconciliare le esigenze della vita lavorativa con i bisogni della vita

familiare, rimuovere le discriminazioni di genere, ma anche quelle fra lavoratori

standard e lavoratori flessibili promuovere la creazione di un lavoro

flessibile di «qualità».

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Interventi normativi sui lavori flessibili e SEO

Gli interventi sui lavori flessibili risultano trasversali a tre dei pilastri a cui si è ispirata la SEO a partire dal Consiglio di Lussemburgo del 1997: la promozione (1) dell'occupabilità, (2) dell'adattabilità e (3) delle

pari opportunità. Le tre direttive assumono obiettivi tipici delle politiche

occupazionali, quali per es. l'«aumento della intensità occupazionale » (quarto considerando dell'accordo allegato alla direttiva 97/81/CE).

cfr. anche l‘undicesimo considerando della dir. 2008/104/CE per il quale «il lavoro interinale (…) contribuisce (…) alla creazione di posti di lavoro e

alla partecipazione al mercato del lavoro e all’inserimento in tale mercato»

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IL METODO dell’intervento normativo

interventi di armonizzazione legislativa di tipo hard nei quali l’impiego del «metodo comunitario classico è

diluito nella sostanza per via della adozione di direttive soft nei contenuti («direttive quadro»)

Le direttive contengono disposizioni alquanto generiche, nonché, almeno prima facie, poco vincolanti, sul

presupposto che le soluzioni siano da ricercare e da adattare flessibilmente in relazione alle diverse

esigenze regolative dei singoli Stati membri

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LA PROCEDURA retrostante le due prime direttive sui lavori atipici:Dalla

contrattazione collettiva

istituzionale… … alle due direttive

del Consiglio

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In particolare, l’applicazione degli artt. 138 e 139 del

Trattato CEIn tema di lavori atipici le parti sociali -

previamente consultate dalla Commissione ai sensi dell’art. 138, comma 2 – hanno

intrapreso il processo negoziale previsto dall’art. 139 e, come già avvenuto in materia

di congedi parentali (dir. n. 96/34 di ricezione dell’accordo collettivo del 14.12.1995), hanno

concluso due accordi, successivamente allegati dalla Commissione alle due proposte

di direttive indirizzate al Consiglio e, allo stesso modo, annessi alle direttive che il Consiglio ha successivamente adottato.

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Gli accordi sul part-time e sul contratto a termine sono segno

della “vitalità politica” della contrattazione collettiva

comunitaria e della sua capacità di funzionare come strumento di

integrazione tra gli Stati membri e come risorsa regolativa

dell’Unione.

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I precedenti normativi comunitari sui lavori atipici

Già all’inizio degli anni ottanta la Commissione aveva formulato due proposte di direttiva (a) sul lavoro volontario a tempo parziale e (b) sul lavoro temporaneo (1982) che rimasero, però, senza seguito: base giuridica art. 100 TCE

ostilità delle organizzazioni imprenditoriali e veto del governo britannico

Sono conseguenza dell’ impulso fornito alle politiche sociali della Comunità dalla Carta dei diritti sociali fondamentali, del 1989 (che ha auspicato, al paragrafo 7, il ravvicinamento delle condizioni di vita e di lavoro dei prestatori di lavoro nel progresso, anche per

quanto riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo indeterminato, come il lavoro a tempo determinato, il lavoro a tempo parziale e il lavoro temporaneo) , le due proposte della Commissione sul part-time e sul lavoro temporaneo del 1990 e la proposta relativa

alla (poi adottata) direttiva n. 91/383

ciò che all'epoca stava più a cuore alla Commissione era ancora il corretto funzionamento del mercato comune: «visto il notevole

sviluppo e le forme assai disperate di contratti di lavoro diversi da quello a tempo indeterminato» occorreva, infatti, «predisporre un quadro per garantire un minimo di coerenza tra le varie forme di contratto», non solo, e non tanto, per garantire un miglioramento

delle condizioni di vita dei prestatori, quanto per evitare «problemi in termini di dumping sociale, anzi di distorsioni di concorrenza»

[Comunicazione della Commissione sul suo programma di azione per quanto riguarda l'attuazione della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori», COM

(89) 568 def. del 5 dicembre 1989]

-

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La direttiva 91/383 sulla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori

atipiciIl numero rilevante di incidenti riguardanti lavoratori aventi un rapporto di lavoro temporaneo ha spinto la Commissione a presentare una specifica proposta, finalizzata a «contenere i rischi corsi dai lavoratori temporanei »

Lungi dal dettare una compiuta regolamentazione del lavoro atipico, la direttiva contiene soltanto misure rivolte a garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori con contratto di lavoro temporaneo (a termine o interinale).

sancendoil principio della parità di trattamento fra

lavoratori temporaneie lavoratori standard «per quanto concerne

le condizioni di lavoro relativealla protezione della sicurezza e della salute

durante il lavoro, con particolareriguardo all’accesso alle attrezzature di

protezione individuali»

La direttiva resta dunque lontana da una disciplina comunitaria del lavoro atipico indipendente dall’ambito tematico della salute e della sicurezza

Base giuridica utilizzata per la proposta: art. 118 A TCE (ora 137) :adozione di direttive con maggioranza qualificata

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Il contenuto della dir. 91/383 - Esempi:

1) Per il lavoro interinale, responsabilità dell’impresa utilizzatrice per la sicurezza, l’igiene e la salute del lavoratore interinale, per tutta la durata della “missione”;2) il diritto di informazione dei lavoratori temporanei sui rischi connessi all’esecuzione dell’opera al cui svolgimento è tenuto il lavoratore etc…

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Conseguenza…

E’ scarsa, sino alla fine degli anni ’90, la

comunitarizzazione degliordinamenti nazionali

in materia di lavori atipici

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Le direttive n. 97/81 e 99/70: nuovi contenuti e nuova “ispirazione di fondo”

In ordine ai contenuti: le due direttive sono

specificamente rivolte a disciplinare il part-time e il lavoro

a termine (anche se la maggior parte delle prescrizioni sono

formulate in modo programmatico) in tutti gli aspetti e non solo in quello relativo alla

salute e alla sicurezza

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Le direttive n. 97/81 e 99/70: nuovi contenuti e nuova

“ispirazione di fondo”

In ordine alla “ispirazione di fondo”:Le direttive sono finalizzate al contemperamento

di “flessibilità e sicurezza”, ovvero alla realizzazione della cd. “flessibilità mite” (o della

flexicurity)

La normativa in materia di lavori flessibili appare pervasa da una duplice anima: da una parte,

perseguendo obiettivi di politica sociale, statuisce una rete di tutele e di diritti a favore dei lavoratori flessibili; dall’altra, ispirandosi a finalità occupazionali, favorisce

un efficiente funzionamento del mercato del lavoro

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Significato

necessità di contemperare l’esigenza del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori con quelle di competitività delle imprese e con il generale obiettivo dell’incremento dell’occupazione (tit. VIII del Trattato)

Si ricorda che: promozione dell’occupazione e miglioramento delle condizioni di vita e di

lavoro rientrano tra i nuovi obiettivi assegnati alla Comunità dall’APS allegato al Trattato di Maastricht del 1991

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La direttiva n. 97/81 sul part-time…

…e la sua implementazione nell’ordinamento italiano:

il d. lgs. n. 61 del 2000 (cenni)

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Il d. lgs. n. 61 del 2000

E’ un esempio di comunitarizzazione diretta del nostro ordinamento del lavoro

L’Italia, con legge comunitaria 5 febbraio 1999, n. 25, ha previsto il recepimento della direttiva mediante decreto

legislativo, da emanarsi entro il 27 febbraio 2000

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La tecnica di regolamentazione utilizzata

nella direttivaLa direttiva contiene per lo più principi generali; abbandona l’approccio regolativo di

tipo dettagliato e formula prescrizioni di carattere prevalentemente programmatico.

La funzione di armonizzazione risulta pertanto ridotta al minimo a favore della previsione di principi generali – più o meno vincolanti

E’ un tipico esempio di direttiva soft di seconda generazione

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I contenuti:

La direttiva può essere scomposta in quattro parti fondamentali:

1) Le finalità generali2) Le definizioni e il campo di applicazione 3) Il divieto di discriminazione e il principio di proporzionalità4) Le disposizioni relative alla attuazione della direttiva

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1) Le 2 finalità generali (clausola 1)

1) Assicurare la soppressione delle discriminazioni nei confronti dei lavoratori a tempo parziale e migliorare la qualità del lavoro part-time

2) Facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale su base volontaria e contribuire all’organizzazione flessibile dell’orario di lavoro in modo da tenere contodei bisogni degli imprenditori e dei lavoratori

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Rispetto alla seconda finalità...(facilitare lo sviluppo del lavoro a tempo parziale)

…va sottolineatoil contenuto

della clausola 5.1

per la quale gli Stati membri dovrebberoindividuare gli ostacoli di

natura giuridica o amministrativa che possono limitare

le possibilità di diffusione del part-time

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L’interazione fra il linguaggio della politica (occupazionale) e il

linguaggio dei diritti

In questo senso appaiono rilevanti

alcuni “considerando” iniziali

(in particolare, il 5° e l’11°)

Il 5°: “considerando che le conclusioni del Consiglio europeo di Essen (…)

hanno richiamato l’esigenza di adottare misure volte ad incrementare

l’intensità occupazionale della crescita, in particolare mediante

un’organizzazione più flessibile del lavoro, che risponda sia ai desideri dei lavoratori che alle

esigenze della competitività”;

l’11°:che fa riferimento allo “sviluppo delle possibilità di lavoro a tempo parziale

su basi accettabili sia ai datori di lavoro che ailavoratori”.

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2) Definizione di part-time e campo di applicazione della direttiva Il lavoratore a tempo parziale è il salariato il cui orario di lavoro normale è inferiore a quello di un lavoratore a tempo pieno comparabile

Diversamente dalle due proposte di direttiva del 1990 – che richiedevano una soglia minima di orario (in media almeno otto ore settimanali) – la dir. n. 97/81 ammette part-time anche con orari minimi

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CONSEGUENZE:

Non viene fissato un minimo di

ore ( e di conseguente

retribuzione) che debba essere

comunque garantito al lavoratore

part-time

In compenso, non esistono soglie al di sotto delle quali le

prestazioni di lavoro

part-time sono irrilevanti

per gli ordinamenti

giuridici nazionali (salvo il caso

dei soggetti che lavorano su base occasionale:

clausola 2.2)

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Il part-time a zero ore o “secondo il fabbisogno” (nella

legge italiana, «lavoro intermittente»)

La sentenza Wippel (CGCE 12 ottobre 2004, C-313/02, Nicole Wippel c. Peek & Cloppenburg GmbH & Co. KG)

la sig.ra Wippel era parte di un contratto di lavoro “secondo il fabbisogno”; il contratto si caratterizzava per la mancata previsione di orari e di retribuzione fissi, dunque, esso non attribuiva alla sig.ra

Wippel alcuna garanzia di salario minimo La sig.ra Wippel chiede che le sia riconosciuto il diritto alla

differenza retributiva tra la somma dovuta per la durata massima di lavoro che avrebbe potuto esserle richiesta e l’importo dovuto per

le ore effettivamente prestate. Sostiene di essere vittima di una discriminazione fondata sul sesso

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…segue: la decisione della CGCE Il lavoratore secondo il fabbisogno dell’ordinamento austriaco è

lavoratore subordinato Per la prima volta la CGCE decide un caso di discriminazione indiretta

di una lavoratrice part-time applicando la direttiva sul part-time, invece che quella sulla parità di trattamento fra uomini e donne

La clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 97/81 e gli artt. 2, n. 1, e 5, n. 1, della direttiva 76/207 debbono essere interpretati nel senso che «non ostano ad un contratto di lavoro a tempo parziale dei lavoratori (…), come quello oggetto della causa principale, in forza del quale la durata del lavoro settimanale e l’organizzazione dell’orario di lavoro non siano fisse, bensì siano correlate al fabbisogno di lavoro, determinato caso per caso, restando tali lavoratori liberi di scegliere se

accettare o rifiutare il lavoro offerto». «In circostanze quali quelle di cui alla causa principale, in cui le due

categorie di lavoratori non sono comparabili, un contratto di lavoro a tempo parziale in base al fabbisogno, il quale non fissi né una durata del lavoro settimanale né un’organizzazione dell’orario di lavoro, non

costituisce una misura indirettamente discriminatoria». La sig.ra Wippel è una «speciale» lavoratrice a tempo parziale rientrante, in

linea di principio, nell’ambito di applicazione della direttiva sul part-time, cui, tuttavia, non è concretamente applicabile il principio di parità di trattamento ivi sancito, poiché non esistono lavoratori, né a tempo

parziale, né a tempo pieno, che si trovino in una situazione comparabile alla sua

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La definizione di part-time nel d. lgs. n. 61 del 2000

Ai sensi dell’art. 1, si intende, per "tempo parziale" l'orario di lavoro, fissato dal contratto individuale, cui sia tenuto un lavoratore, che risulti comunque inferiore all'orario normale

di lavoro di cui all'articolo 13, comma 1, della legge 24 giugno 1997, n. 196,

e successive modificazioni, o l'eventuale minor orario normale fissato dai contratti collettivi

applicati

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I “silenzi” della dir. n. 97/81

La direttiva non definisce le diverse tipologie di part-time (orizzontale, verticale, misto).

Il decreto legislativo italiano sul part-time (d. lgs. n. 61/2000) contiene, per es., una definizione assai più dettagliata del part-time, specificando queste distinzioni.

Non specifica neanche se debbano essere predeterminate in modo certo le modalità di distribuzione dell’orario (problema delle cdd. “clausole elastiche”).

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I “silenzi” della dir. n. 97/81 e le sue conseguenze

La “volontarietà”, che la clausola 1, lett.b, qualifica come elemento caratterizzante dell’intero rapporto di lavoro a tempo parziale, fa pensare ad una necessità di consenso sulla dimensione temporale complessiva della prestazione di lavoro e sulle sue eventuali variazioni.

La disciplina delle clausole “flessibili” ed “elastiche” nell’art. 3 del d. lgs. n. 61/2000: tra legittimità della flessibilità e garanzia della “volontarietà” del part-time flessibile e/o elastico per il lavoratore.

Il consenso del lavoratore deve essere espresso attraverso specifico patto scritto

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…inoltre:

…ex art. 3, c. 9, d. lgs. n. 61/2000:

Il rifiuto del lavoratore di inserire nel contratto calusole elastiche o flessibili «non integra gli estremi del giustificato

motivo di licenziamento»

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Volontarietà del part-time e clausola 5.2

Il part-time come “tempo scelto”

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Il part-time come “tempo scelto”

Illegittimità del licenziamento motivato

dal rifiuto di un lavoratoredi essere trasferito

da un lavoro full-time a part-time, o viceversa

(conf.art. 5 d.lgs. 61/2000)

Necessità per i dat. di lav. di prenderein considerazione le richieste di conversione e di fornire

informazioni sulle disponibilità in organico

CLAUSOLA 5

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Ambito di applicazione

La possibile esclusione - da parte degli Stati membri, a condizione di una previa consultazione delle parti sociali e

“per ragioni obiettive” - della prestazioni su base occasionale

Indeterminatezza dell’espressione “ragioni obiettive”

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3) Il divieto di discriminazione (clausola n. 4.1)

I lavoratori a tempo parziale non devono essere trattati in modo

meno favorevole rispetto ai lavoratori comparabili a tempo

pieno per il solo motivo di lavorare a tempo parziale, a meno che un

trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive

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Finalità

L’affermazione del principio – confermato anche dalla più recente direttiva sul contratto a termine – risponde all’esigenza di evitare il proliferare di statuti giuridici differenziati nei confronti dei lavoratori atipici, privilegiando, al contrario, la riconduzione delle pur diverse tipologie contrattuali ad un unico paradigma regolativo

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Il divieto di discriminazione:

ratio

Prevalente utilizzo del part-time da parte della manodopera femminile - per

questo profilo, la direttiva sul p.t. va collocata nell’alveo della tutela del

lavoro femminile e della promozione delle pari opportunità (art. 141 del

Trattato; dir. n. 75/117; n. 76/207; n. 79/7; 2002/73;

2006/54)

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L’indebolimento del divieto di discriminazione

Sono possibili eccezioni al divieto

Anche qui “per ragioni obiettive, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali (o le parti sociali,

autonomamente), possonosubordinare l’accesso a condizioni

d’impiego particolari …ad una durata del lavoro (clausola 4.4)

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La direttiva contempla anche il principio di

proporzionalità (o del “pro rata temporis”)

“Ove opportuno” è applicabile ai lavoratori part-time la regola della

riduzione proporzionale dei trattamenti.

La regola del riproporzionamento come corollario dell’accezione positiva del principio

di non discrimianzione, cioè della regoladella parità di trattamento

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La combinazione dei principi di non discriminazione e di

proporzionalità Ai lavoratori part-time spettano in via di principio gli stessi diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo pieno, solo che, in alcune ipotesi, potrà applicarsi la regola della riduzione proporzionale dei trattamenti

Conformemente a questa interpretazione, la legge spagnola sul part-time (Real decreto del 27.11.1998, n. 16), adottata in attuazione delle direttiva n. 97/81, ha stabilito, per es., che il rapporto part-time è assoggettato alle medesime condizioni previste per il rapporto a tempo pieno, salvo che alcuni istituti subiscono una riduzione proporzionale in funzione del tempo lavorato quando ciò corrisponde alla natura dei diritti stessi

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Come è stato trasposto, dal d. lgs. n. 61/2000 (art. 4), il divieto di

discriminazione

L’inderogabilità del divieto di discriminazione

(anche ad opera delle parti collettive)Nessun riferimento è presente, nel d. lgs. n. 61/2000 alla possibilità di derogare al

divieto di discriminazione per ragioni obiettive

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Le lett. a) e b) dell’art. 4 del d. lgs. n. 61/2000:

Lett. a):l’applicazione ai

lavoratori part-time dei medesimi

trattamenti normativi previsti per il full-time

(importo della retrib. oraria, durata del periodo diprova, ferie, periododi comporto etc…)

Lett.b):(il riproporzionamento

dei soli trattamenti economici

(retribuzione globale, retribuzione

feriale, trattamenti economici per malattia,

infortunio, malattia professionale e

maternità)

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4) Disposizioni relative all’attuazione della direttiva

(clausola 6)

Generale apertura verso integrazioni e adattamenti successivi

della disciplina. Ciò rende

ancora più soft l’intervento comunitario sul part-time

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In particolare:A) Gli Stati membri e/o le

parti sociali possono mantenere o introdurre

disposizioni più favorevolirispetto a

quelle contenute nella direttiva

C) Le parti firmatarie, su richiesta di una di esse, potranno rivedere l’accordo e

la direttiva sul part-time, dopo cinque annidalla sua adozione da parte del Consiglio

B) Le parti sociali - anche a livello europeo - possono concludere accordi che adattino o integrino le sue disposizioni inmodo da tener contodei bisogni specifici delleparti sociali interessate

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La novità sotto il profilogiuridico-istituzionale

In modo del tutto innovativo,

una direttiva del Consiglio legittimava le parti che hanno

stipulato l’accordo retrostante ad avviare

autonomamentela procedura di

revisione dell’Accordo

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Valorizzazione della contrattazione collettiva europea

Le parti sociali possono agire senza il previo input della Commissione.

Viene, in tal modo, individuato uno spazio di intervento normativo riservato

preliminarmente ratione materiae allaautonomia collettiva

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Direttiva 99/70/CE del 28.6.1999

sul contratto a termine

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I precedenti normativi comunitari sul contratto a

termine

Il progetto di direttiva avanzato dalla

Commissione nel 1982(conteneva una

indicazione analitica dei casi in cui era

legittima la stipulazione dei contratti a

termine)

L’art. 7 della Carta comunitaria dei dirittisociali fondamentali

(impegnava gli Stati al miglioramento delle

condizioni di vita e di lavoro dei

lavoratori atipici e, tra questi, dei lavoratori

a termine)

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La direttiva n. 99/70 segue lo stesso iter procedurale della direttiva sul

part-time

Già nel preambolo dell’ac-cordo quadro sul lavoro a

tempo parziale le parti (Unice,Ceep e Ces) avevanoannunciato di considerare

necessari simili accordiper altre forme di lavoro

flessibile

Le parti sociali, consultate dalla Commissione, hanno

informato quest’ultimadella loro volontà di

avviare il procedimento previsto dall’art. 139

del Trattato. La Commissione ha

acconsentito alla richiesta, assegnando alle parti sociali un termine per la conclusione delle

trattative

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...Segue

Il 18 marzo 1999 le organizzazioni

intercategoriali hanno sottoscritto l’accordo

quadro sul lavoro a tempo determinato

...hanno dunque trasmessol’accordo alla Commissione

chiedendo che ad essovenisse data attuazione

con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione,

ai sensi dell’art. 139, paragrafo 2 del Trattato

Il Consiglio, su propostadella Commissione, ha,

infine, adottato la direttiva 99/70, ai sensi

della norma richiamata.

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Anche l’ispirazione di fondo della direttiva 99/70 è identica a quella

della direttiva sul part-time

Nel preambolo dell’accordo è espressamente

enunciato il fondamentale ruolo delle parti sociali in ordine:

a) alla attuazione della strategia europea per l’occupazione,

adottata col vertice di Lussemburgo

b) alla realizzazione dell’equilibrio tra “flessibilità e sicurezza”

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…Segue

mentre fra i “considerando” iniziali della direttiva vengono richiamati gli orientamenti in materia di occupazione formulati dal Consiglio nel 1999 con i quali le parti sociali venivano invitate a negoziare accordi per modernizzare l’organizzazione del lavoro, comprese forme flessibili di lavoro, al fine di rendere imprese produttive e competitive e di realizzare il necessario equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza

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Altre significative enunciazioni del preambolo

1) Si riconosce che i contratti a tempo

indeterminato sono e continueranno ad

essere la formacomune dei rapporti

di lavoro

2) Si escludono espressamente dall’ambito di applicazione dell’accordo

(e, dunque,della direttiva) i rapporti dilavoro interinale (per i quali le parti sociali

pensano ad un prossimospecifico accordo)

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Segue…

3) Si prefigura, per i sindacati nazionali, un ruolo di primo piano nella attuazione

della direttiva, richiamando la necessità che le parti sociali “siano consultate prima

di qualunque iniziativa di ordine legislativo, normativo o amministrativo

assunta da uno Stato membro”

(cfr. anche le clausole 2.2.; 4.3; 5.1; 5.2; 7.2; 8.1)

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I contenuti della direttiva

1) L’enunciazione delle sue finalità:

A) Migliorare la qualità del lavoro dei contrattia tempo determinato,

garantendo l’applicazione del principio

di non discriminazione

B) Prevenire gli abusiderivanti dall’uso

di successivi contratti a tempo determinato

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Alla rinuncia ad un approccio regolativo di tipo dettagliato consegue

l’abbandono della tecnica normativa (presente

nella proposta del 1982) fondata sulla

individuazione delle ipotesi di liceità del termine

(di difficile armonizzazione)

I lavoratori a termine vengono piuttosto tutelati al

momento del rinnovo(cfr., più in dettaglio, la

clausola 5)

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Clausola 5

Propone 3 possibili soluzioni:a) la fissazione di esplicite ragioni obiettive per il rinnovo

b) la fissazione della durata massima dei rapporti a terminesuccessivi

c) la fissazione del numero dei rinnovi

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La proroga del contratto a termine nell’ordinamento

italiano (art. 4, d. lgs. 368/2001) La direttiva comunitaria 99/70:

l’ esigenza di prevenire gli abusi derivanti dall’uso di successivi contratti a tempo

determinatoLa proroga è ammessa:

solo quando la durata iniziale del contratto è inferiore ai tre anni una sola volta

per ragioni obiettive con riferimento alla stessa attività lavorativa per la

quale il contratto è stato originariamente stipulato

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(segue…) La proroga del contratto a termine (art. 4)

In ogni caso la durata complessiva del rapporto a termine non potrà superare i tre anni

Conseguente divieto di proroga per tutti i contratti il cui termine iniziale già oltrepassi il triennio

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La riforma legislativa del rapporto a termine in Italia

(l. 247/07):1. Il ripristino del principio secondo cui il rapporto di

lavoro si presume a tempo indeterminato (art. 1, comma 0, d. lgs. 368/01)

2. In caso di successione di contratti a termine che superi i 36 mesi (comprensivi di proroghe e rinnovi), il contratto si considera a tempo

indeterminato sin dall’inizio (art. 5, c. 4 bis, d. lgs. 368/01 come modificato dalla l. 247/07)

3. Così anche se due assunzioni a termine avvengano senza soluzione di continuità (e, cioè,

senza far intercorrere tra il primo ed il secondo contratto un lasso temporale di 10 o 20 giorni)

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2) La definizione di lavoratore a tempodeterminato (clausola 3)

E’ lavoratore a tempo determinato “una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente

fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termineè determinato da condizioni oggettive, quali il

raggiungimento di una certa data, il completamento di uno specifico compito o

il verificarsi di un evento specifico”

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3) Il campo di applicazione della direttiva (clausola 2)

Sono possibili esclusioni ad opera

degli Stati membri,

previaconsultazione

della parti sociali

a) per i rapporti di formazione professionale

e di apprendistato;b) per i contratti definiti nel quadro di programmi specifici di formazione,

inserimento e riqualificazione

professionale pubblico o che usufruisca

di contributi pubblici

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4) Il principio di non discriminazione(clausola 4)

Diversa enunciazione rispetto alla proposta di direttivadel 1982:- quest’ultima assicurava ai lavoratori a termine una tutela pari a quella dei lavoratori a tempo indeterminato solo “nella misura del possibile”;- la direttiva n. 99/70, più decisamente, sancisceil principio della parità di trattamento, prevedendonel’applicazione a tutti gli aspetti del rapporto

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4) Il principio di non discriminazione (segue)

In maniera analoga alla direttiva sul part-time, l’enunciazione del principio è però attenuata:

a) dalla possibilità che gli stati membri introducano eccezioni al divieto per ragioni obiettive

b) dalla possibile applicazione del principio di proporzionalità (pro rata temporis)

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5) La clausola di non regresso(clausola 8.3)

gli Stati membri e le parti sociali "possono mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli per i lavoratori, di quelle stabilite nel

presente accordo", la cui applicazione peraltro “non costituisce un motivo

valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori”

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Il contratto a termine e la CGCE

Il caso Mangold (CGCE 22.11.2005) La legge tedesca del 2002: “Non è richiesta una ragione obiettiva per stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato qualora il lavoratore all’inizio dell’accordo abbia già compiuto 58 anni. (…). Fino al 31 dicembre 2006 l’età di 58 anni indicata nella

prima frase è sostituita con quella di 52 anni».

in occasione della trasposizione della direttiva 1999/70, la legge tedesca ha abbassato l’età oltre la quale i contratti di lavoro a tempo

determinato possono essere conclusi senza restrizioni da 60 a 58 anni, prima, e da 58 a 52, poi.

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La sentenza Mangold della CGCE 1)      La clausola 8, punto 3, dell’ accordo quadro sul lavoro a tempo

determinato (…) dev’essere interpretata nel senso che NON OSTA ad una normativa quale quella controversa nella causa principale, la quale, per motivi connessi con la necessità di promuovere l’occupazione e indipendentemente dall’applicazione del detto accordo, ha abbassato l’età oltre la quale possono essere stipulati senza restrizioni contratti di lavoro a tempo determinato.

2)      Il diritto comunitario e, in particolare, l’art. 6, n. 1, della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazioni e di condizioni di lavoro, devono essere interpretati nel senso che OSTANO una normativa nazionale, quale quella controversa nella causa principale, la quale autorizza, senza restrizioni, salvo che esista uno stretto collegamento con un precedente contratto di lavoro a tempo indeterminato stipulato con lo stesso datore di lavoro, la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato qualora il lavoratore abbia raggiunto l’età di 52 anni.

È compito del giudice nazionale assicurare la piena efficacia del principio generale di non discriminazione in ragione dell’età disapplicando ogni contraria disposizione di legge nazionale, anche quando il termine di trasposizione della detta direttiva non è ancora scaduto.

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Le pronunce della CGCE (2006) Adeneler 4.7.2006; Marrosu e

Sardino 7.9.2006; Vassallo 7.9.2006 La successione di contratti a termine

nel pubblico impiego la direttiva 1999/70/CE e l'accordo quadro si

applicano anche ai contratti e rapporti di lavoro a tempo determinato conclusi con le amministrazioni e altri enti del settore pubblico

l'accordo quadro non osta, tuttavia, all'applicazione di una normativa nazionale che vieta, nel solo settore pubblico, di trasformare in un contratto di lavoro a tempo indeterminato una successione di contratti a tempo determinato

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6) I doveri di informazione(clausole 6 e 7)

L’informazione dei lavoratori a tempo determinato sui posti di lavoro disponibili nell’impresa

L’informazione degli organismi di rappresentanza aziendali sul lavoro a tempo determinato nell’impresa

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7) Disposizioni relative alla attuazione della direttiva (clausola 8)

Del tutto analoghe a quelle contenute nella direttiva

sul part-time

A) Gli Stati membri e/o le parti sociali possono mantenere

o introdurredisposizioni più favorevoli

rispetto a quelle contenute nella direttiva

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...Segue

B) Le parti sociali - anche a livello europeo - possono concludere accordi che adattino o integrino le sue disposizioni inmodo da tener contodei bisogni specifici delleparti sociali interessate

C) Le parti contraenti verificano l’applicazione

dell’accordo entrocinque anni dopo la data

della decisione del Consiglio, se richiesto

da una delle parti firmatarie

dello stesso

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La direttiva sul contratto a termine: valutazioni conclusive

Sul contenuto della direttiva

ILa direttiva non

è nellalogica della

deregolazioneneo-liberistadel mercato

del lavoro

II

Riconferma, piuttosto,

la centralitàdell’impiego

stabile

III

Lo spazio che vieneassegnato al

lavoro a termine è soprattutto in

vista dello sviluppodell’occupazione

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Anche nella disciplina comunitaria si afferma, dunque, la specialità

del rapporto di lavoroa termine rispetto al prototipo standard del

rapportodi lavoro a tempo indeterminato

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... il contratto a termine viene tuttaviaconsiderato uno strumento di politica attiva

del lavoro, ovvero uno strumento di flessibilità (in entrata) del mercato

del lavoro