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I lettori che desiderano informarsi sui libri e le riviste da noi pubblicati possono consultare il nostro sito Internet: www.francoangeli.it e iscriversi nella home page

al servizio “Informatemi” per ricevere via e.mail le segnalazioni delle novità o scrivere, inviando il loro indirizzo, a “FrancoAngeli, viale Monza 106, 20127 Milano”.

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GLI INEDITI SARDIDI ALDO CAPITINIFILOSOFO MORALE

(1956-1964)

a cura diGiuliana Mannu

FrancoAngeli

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La pubblicazione di questo volume ha ricevuto il contributo finanziario della Regione Autonoma della Sardegna:

ASSESSORATO DELLA PROGRAMMAZIONE,

BILANCIO, CREDITO E ASSETTO DEL TERRITORIO CENTRO REGIONALE DI PROGRAMMAZIONE

PO SARDEGNA FSE 2007-2013 sulla L.R.7/2007 “Promozione della ricerca scientifica

e dell’innovazione tecnologica in Sardegna”

FONDAZIONE CENTRO STUDI ALDO CAPITINI

Dipartimento Di Teorie E Ricerche Dei Sistemi Culturali Università degli Studi di Sassari

Copyright © 2012 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy

L’opera, comprese tutte le sue parti, è tutelata dalla legge sul diritto d’autore. L’Utente nel momento in cui effettua il download dell’opera accetta tutte le condizioni della licenza d’uso dell’opera previste e

comunicate sul sito www.francoangeli.it.

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Educare non è coltivare una facoltà o l’altra ma sforzarsi di realizzare la co-scienza di uomo, il suo carattere intel-lettuale e morale. L’educazione diventa qualche cosa di interiore che nessuno ci può rubare.

A. Capitini

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Indice

Gli inediti sardi di Aldo Capitini filosofo morale (1956-1964), di Giuliana Mannu

Parte prima: Corso di pedagogia (1956-1957), Filosofia, etica e pedagogia del Dewey

Parte seconda: Corso di pedagogia (1958-59), Il pensiero pe-dagogico di Giuseppe Lombardo Radice - Commento del li-bro “Educazione e autorità nell’Italia moderna” di Lamber-to Borghi

Parte terza: Corso di pedagogia (1959-60 - parte prima), Il meto-do Montessori

Parte quarta: Corso di pedagogia (1959-60 - parte seconda), Aspetti del problema dell’educazione civica

Parte quinta: Corso di pedagogia (1961-62), Problemi della for-mazione degli insegnanti

Parte sesta: Corso di pedagogia (1963-64 - parte prima), Pro-blemi dell’educazione civica

Parte settima: Corso di pedagogia (1963-64 - parte seconda), Problemi dell’educazione civica

Riferimenti bibliografici

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» 137

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Ringraziamenti

Desidero, innanzitutto, ringraziare il mio maestro, Prof. Antonio Delogu, per i suoi preziosi insegnamenti, per avermi avvicinato al pensiero di Aldo Capitini e per avermi seguito, in maniera ineccepibile, nella stesura del pre-sente lavoro.

Ringrazio il Presidente della Fondazione Centro Studi Aldo Capitini, Dott. Luciano Capuccelli, per il suo atteggiamento di “apertura”, tipicamen-te capitiniano, per l’umanità, la fiducia e la disponibilità accordatemi per l’espletamento del presente lavoro.

Un ringraziamento doveroso all’Archivio di Stato di Perugia, in partico-lare alla Dott.ssa Costanza Maria Del Giudice, alla Dott.ssa Anna Alberti, alla Dott.ssa Maria Serena San Paolo, che mi hanno consentito, con grande professionalità e cortesia, di svolgere la mia ricerca per la raccolta di que-sti scritti inediti.

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Gli inediti sardi di Aldo Capitini filosofo morale(1956-1964)

di Giuliana Mannu

Un momento particolarmente significativo della storia culturale nella Sardegna del Novecento è quello della incisiva presenza di Aldo Capitini, docente di Filosofia morale e Pedagogia nell’Università di Cagliari tra gli anni ’50 e gli anni ’60; presenza anche testimoniata dalle lezioni inedite te-nute presso l’Ateneo cagliaritano tra il 1956 e il 1964.

Il lavoro qui presentato si proietta verso una ricostruzione della storia di quella che può definirsi a pieno titolo La scuola capitiniana sarda. Capiti-ni è stato il promotore di un forte rinnovamento della cultura filosofica (eti-ca, pedagogica e politica) nella Sardegna del ventennio 1950-70 attraverso la formazione di allievi che ne hanno svolto, promosso e diffuso il pensiero nel mondo della scuola e dell’Università. In questo contesto, il pensiero di Aldo Capitini è stato estremamente prezioso. Tra la prima e la seconda metà del ’900, infatti, Capitini si è dedicato al problema della formazione dell’indivi-duo e del cittadino, enucleando concetti chiave quali quelli di realtà liberata, compresenza, libera religione, nonviolenza, omnicrazia, apertura.

Il lavoro proposto intende descrivere e comprendere criticamente uno spazio culturale scarsamente, sino ad oggi, preso in considerazione al fine sia di illuminare un periodo cruciale della storia culturale dell’isola, qua-le è quello tra la prima e la seconda metà del secolo XX, sia di ripropor-re le linee essenziali di una prospettiva filosofica (anche attraverso l’eredità ripresa e valorizzata dagli allievi del filosofo) che, per i temi e le soluzioni proposte, può essere strumento di attivazione di nuove energie intellettua-li e di nuove aperture pratico-teoretiche nel contesto socio-culturale isola-no contemporaneo.

L’obiettivo è quello di un puntuale scandaglio del pensiero filosofi-co e pedagogico capitiniano, con l’intento di evidenziarne sia l’importan-za a livello nazionale sia l’impatto che ha avuto nella cultura sarda. Emer-ge come, anche attraverso Capitini, questa si sprovincializzi e si colleghi ai grandi movimenti di pensiero emergenti nella Penisola.

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Dalle lezioni inedite che pubblichiamo affiora l’attualità del suo pensiero sulle questioni pedagogiche. Educazione significa, nel linguaggio capitinia-no, cambiamento, rivoluzione, accrescimento intellettuale e morale di tutti gli individui1. Educazione è, per Aldo Capitini, anche educazione alla cit-tadinanza. La pedagogia di Capitini si pone, dunque, come alta formazione morale, culturale, sociale. Potremo definirla una pedagogia della emancipa-zione, fondata su tre principi che ricorrono costantemente nel suo pensiero: l’apertura, la teoria della compresenza, la liberazione. Le lezioni di pedago-gia dimostrano che tali idee costituiscono l’originalità del pensiero capiti-niano rispetto ai movimenti culturali emergenti in Italia e nella realtà sarda.

Per una fruizione delle lezioni inedite qui esposte è opportuno soffer-marsi sul pensiero di alcuni filosofi a cui Capitini dedica ampio spazio nei corsi di Pedagogia svolti presso l’Università di Cagliari.

Nell’anno accademico 1959-60, Capitini dedica una parte del Corso di pedagogia al metodo educativo di Maria Montessori. Scrive che il primo decennio del secolo è stato il periodo in cui si cercavano nuovi metodi per l’educazione e per l’istruzio ne; nasceva così l’esigenza di una nuova peda-gogia scientifica, basata sulle “indagini positive dell’esperienza”. Per ciò al posto dell’antica psicologia che stava alla base della pedagogia filosofica, vi erano due scienze su cui doveva sorgere la pedagogia scientifica: la psico-logia sperimentale o fisiologica, e l’antropologia morfologica; l’una e l’altra dovevano guidare lo studio metodico dell’educando. L’interrogativo che Ca-pitini si pone è: “Ma l’educando in quale situazione?” Qui si afferma l’esi-genza della Montessori: non basta preparare i maestri, ma bi sogna che sia trasformata la scuola, progetto che sta alla base del rinnovamento dell’in-dividuo, della scuola, della università nel percorso capitiniano in Sardegna. Secondo la Montessori, nella relazione educativa si possono os servare bam-bini liberi, nelle loro manifestazioni spontanee e individuali, in movimento, in sviluppo. Non basta preparare all’esperienza i maestri2, ma essi debbono

1. Sulla educazione aperta di Capitini, scrive Giacchè: “Il fatto è che l’educazione aper-ta non è un’invenzione di Capitini ma una sua scoperta: educazione ed apertura sono in pratica sinonimi, o almeno così stretti complementi da rendere senza significato e sen-za utilità quell’apertura che non fosse educante e quell’educazione che rifiutasse di aprir-si. […] Ma l’educazione aperta non vuole essere dilatata e onnivora ma elevata e selettiva, giacché non si tratta di informare e al limite nemmeno di formare, ma appunto di “aprire”. Indefinitamente”. P. Giacchè, La religione della educazione, Scritti pedagogici di Aldo Ca-pitini, La Meridiana, Molfetta, 2008, p. 18.

2. Riguardo al metodo di apprendimento del bambino e al ruolo del maestro, scrive la Montessori: “Il bambino impara veramente solo quando può sollecitare le sue proprie ener-gie secondo procedimenti mentali della natura, che agiscono qualche volta in modo as-sai diverso da quello che si suppone comunemente. E perciò falliscono o si nascondono coi procedimenti in uso nelle scuole comuni. L’allievo può dare i suoi sorprendenti risultati so-lo se il maestro applica la tecnica scientifica di un «intervento indiretto» nell’aiutare lo svi-

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crescere senza preconcetti, senza idee prestabilite sulla psicologia infantile; un metodo, dunque, che raggiunga la libertà del bambino, un metodo spe-ciale.

Scrive Capitini, a proposito del metodo montessoriano del fanciullo:

La Montessori riprende il vecchio detto che il bambino è il padre dell’uomo e l’in-tende come segue. Noi dobbiamo osservare nel bambino gli istinti sottili che lo guidano a costruire attivamente la personalità dell’uomo e riconoscere lì il segreto della nostra origine, le leggi che conducono l’uomo alla normalità; e dobbiamo in questo senso trasformare il nostro atteggiamento di adulti, preparandogli un am-biente adatto alla sue esigenze vitali e alla sua liberazione spirituale3.

Uno degli elementi fondamentali che caratterizza la figura dei mae-stri, nel metodo montessoriano, è, osserva Capitini nel Corso di pedagogia, normalizzare i bambini, avvicinare la propria anima alla loro, offrire loro mezzi scientifici per lo sviluppo. La scien za adoperata non è solo per osser-vare, ma per trasformare la scuola e dare una nuova vita agli scolari.

Al tale proposito afferma la Montessori: “Evidentemente è nello stu-dio che bisogna cambiare i principi educativi. È nello studio che deve svi-lupparsi l’individualità. Ed a queste esperienze ha pure contribuito il mio lavoro di trent’anni sull’educazione dei bambini normali4”. Il program-ma che la Montessori propone per un buon metodo educativo del bambi-no, deriva dall’esperienza che dimostra il livello a cui arrivano i fanciul-li quando l’istruzione è conforme alla loro attività naturale. I programmi nella scuola

più ricchi e sostanziali, più interessanti […] rappresentano una guida e non una imposizione […]. L’importante è che il programma non diventi una imposizione. La scuola deve essere un luogo dove l’istruzione è in ogni senso facilitata ed i pro-grammi devono rappresentare una facilitazione per orientarsi. […] Ora l’esperien-za insegna e dice che non solo il bambino non soffre nello studiare, ma anzi è ap-punto l’esercizio mentale che rinforza la sua intelligenza5.

Per osservare i bambini liberi è necessario trasformare la scuola in mo-do che essi possano esplicarsi, mostrare il loro sviluppo e osservarli senza costringerli a rispo ste, ma in libertà.

luppo naturale del bambino”. M. Montessori, La formazione dell’uomo, Garzanti Editore, Milano, 1993, pp. 53-54.

3. A. Capitini, Sul concetto di liberazione nel pensiero di Maria Montessori, Pacini Mariotti, Pisa, 1955, p. 2.

4. M. Montessori, Il metodo del bambino e la formazione dell’uomo, Edizioni Opera Nazionale Montessori, Roma, 2002, p. 116.

5. Ibidem.

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Due cose possono turbare lo sviluppo della psiche del bambino: l’am-biente e l’azione dell’adulto.

I bambini hanno bisogno di due condizioni essenziali per istruirsi spontaneamen-te: una è di avere nell’adulto una guida dirigente e non solo, ma anche un vero ria-nimatore che sappia suscitare il primo entusiasmo e sappia presentare la cultura in un modo elevato. Anche l’adulto-educatore deve essere una vera personalità uma-na sensibile e interessata agli allievi, dove questi sentano di poter trovare un vero appoggio e una sorgente di ispirazione. L’educatore che si associa anche alla fami-glia, e che si interessa agli allievi come un vero amico è un aiuto inestimabile al progresso degli allievi6.

Sotto questo aspetto il richiamo di Capitini alla Montessori è d’obbligo. Le due posizioni, per quanto attiene alla figura dell’educatore, sono comu-ni. Entrambi esaltano il ruolo dell’educatore nella relazione educativa; co-me guida, sostegno, maestro per l’allievo.

Per la Montessori come per Capitini, il ruolo del maestro si configura come un compito di partecipazione attiva nella relazione educativa. In Edu-cazione per un mondo nuovo, Maria Montessori scrive:

La maestra montessoriana deve essere creata ex novo, dopo che si sia liberata da ogni pregiudizio pedagogico. Il primo passo è l’auto-preparazione dell’immagi-nazione, perché la maestra montessoriana deve vedere un bambino che non esi-ste ancora, materialmente parlando, deve aver fede nel bambino che si rivelerà per mezzo del lavoro […] Dobbiamo aiutare il bambino ad agire da sé, a volere da sé, a pensare da sé: questo è il sistema di quelli che aspirano a servire lo spirito. La gioia più grande della maestra sarà quella di assistere alle manifestazioni del-lo spirito, che vengono a compensare la sua fede. Ecco il bambino quale dovrebbe essere: il lavoratore infaticabile, l’alunno tranquillo che si impegna volentieri con tutte le sue forze, che cerca di aiutare il debole, mentre sa come rispettare l’indi-pendenza degli altri: insomma, il bambino autentico7.

Nella prima parte delle lezioni di pedagogia Capitini si sofferma sugli elementi fondamentali affinché il bambino cresca, secondo l’ideale mon-tessoriano, “normale”. Per normalizzare il bambino sono necessari: un ambiente adatto, piacevole; un maestro calmo, comprensivo, limpido in-teriormente; un materiale scientifico per perfezionare l’educazione senso-riale mediante la concentrazione dell’attenzione e il perfezionamento dei movimenti.

La seconda parte del Corso di pedagogia è dedicato all’attività di lavoro nel bambino.

6. Ibidem.7. M. Montessori, Educazione per un mondo nuovo, Garzanti, Milano, 2000, pp. 143-146.

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La Montessori dichiara che l’attività del bambino è attività di lavoro, e che il lavoro è un’attività sociale: esso rappresenta la caratteristica dell’uo-mo in tutte le età, perché è un bisogno profondo. La differenza è che men-tre l’uomo con il lavoro costruisce un ambiente supernaturale che si ag-giunge all’ambiente naturale, il bambino “costruisce” l’uomo, coordinando i movimenti, dominando le emozioni, perfezionando le proprie attività. La Montessori, nella vita infantile, dà più importanza al lavoro piuttosto che al gioco. Il lavoro serve ad un fine: lo sviluppo, il crescere, che si confi-gura come uno scopo interno del suo metodo educativo. Esso rappresen-ta, però, un lavoro diverso da quello degli adulti. Il lavoro del bambino aiu-ta il suo sviluppo psicofisico, ha un valore esercitativo. La caratterizzazione del lavoro deriva anche dal fatto che la Montessori vede il lavoro dell’uo-mo come l’elemento che trasforma la natura, che instaura, baconianamen-te, il “regnum hominis” (anche il lavoro del bambino è fisico e manuale, e con tribuisce allo sviluppo sensoriale). Ma nel lavoro vede anche un signifi-cato spirituale: il lavoro deve produrre una tendenza ad un valore di verità, di razionalità, di bellezza, di liberazione, di ordine e di coerenza spirituale.

Il merito storico di Maria Montessori, che emerge dalle lezioni capitinia-ne, è rappresentato, certamente, dalla importanza che viene attribuita alle esperienze del fanciullo nel processo educativo, fatto che ha lasciato un’im-pronta nel tempo e che oggi ha ancora carattere di viva attualità.

Il Corso di pedagogia dell’anno accademico 1958-59 riguarda il pensiero pedagogico di Giuseppe Lombardo Radice.

Capitini si sofferma sul concetto di educazione del filosofo siciliano, ri-chiamandone alcuni aspetti comuni alla pedagogia di Giovanni Gentile. Scrive: “Noi siamo uomini in quanto ci facciamo uomini; pensare è con-cretarsi, svolgere se stessi, valutandosi continuamente; l’uomo si riconosce uno ed ha una molteplicità in se stesso di istinti affettivi, pensieri, che con la coscienza fa propri, sintetizza”8.

Lombardo Radice introduce all’interno del metodo educativo il momen-to della autoeducazione, stabilendo un circolo dello spirito: “Educati se vuoi educare, educa se vuoi educarti; facendo migliori noi stessi, eduche-remo9”. Educare gli altri è, per Lombardo Radice, promuovere l’autoeduca-zione dell’educando.

L’autoeducazione diviene

unificazione di maestro e scolaro, nel loro farsi, nella loro processualità, nel loro atto. Se non esiste questa fusione, identificazione, se il soggetto non si fa a se stes-

8. Corso di pedagogia, Il pensiero pedagogico di Giuseppe Lombardo Radice, Caglia-ri, 1957-1958.

9. Ibidem.

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so maestro e se, d’altronde, l’atto di insegnare non è insieme cercare, apprendere, farsi insegnante, se non esiste questa tensione nell’apprendere a costruire il pro-prio modo di sapere, e nell’insegnare a rivivere le tappe dell’apprendimento nuo-vo e costruttivo, vi sarà estraneità irriducibile, vi sarà un sapere rigido, trasmesso meccanicamente e meccanicamente recepito, non vi sarà costruzione personale e originalità: non vi sarà dunque né vero sapere, né vita spirituale10.

Mentre Gentile si sofferma sull’unità dello spirito nella relazione mae-stro-allievo, Lombardo Radice sottolinea la importanza della pluralità del rapporto educativo: la scuola come casa, come incontro di due spontaneità (del maestro e dello scolaro). L’educazione vera, per Lombardo Radice di-versamente da Gentile, genera autoeducazione; elevarsi, nell’atto educativo, è aprirsi.

Il concetto di autoeducazione si rivela come l’identificazione dialettica maestro-scolaro: “Educazione è compenetrazione di anime: l’educando ve-ro è quello che sente nel maestro se stesso, ciò che egli, guardando dentro di sé e scontento di sé, vuol divenire. Ma lo scolaro sente in sé il maestro, così il maestro sente in sé lo scolaro, che non esiste l’uomo estraneo all’uomo”11.

Capitini evidenzia nelle lezioni come Lombardo Radice prestasse molta attenzione, nella educazione, al particolare, all’individuale e come per questo fosse un instancabile critico della didattica, studioso e visitatore di scuole.

Alla base della pedagogia di Lombardo Radice vi è un modello di scuo-la nella quale il maestro si incontra con le anime degli scolari, porta nella scuola la vita, cioè i fanciulli con le loro esperienze. A scuola si compren-de la vita, prendendo possesso sempre più del proprio mondo, acquistando fiducia in se stessi.

“Attuare nella classe attività per gruppi di capacità e individualizzate, in modo da attuare la scuola della espressione e del lavoro individuale, labora-tori dei fanciulli, piuttosto che classi”12.

Nella seconda parte del corso del 1957-58 tratta anche dell’opera di Lamberto Borghi Educazione e autorità nell’Italia moderna. La stima e la vicinanza del pensiero di Borghi e Capitini è anche testimoniata da una let-tera inedita del 29 Settembre 1966, nella quale Borghi apprezzerà molto la summa filosofica di Capitini: La compresenza dei morti e dei viventi. Scri-verà, infatti:

Caro Aldo, ti ringrazio molto di avermi mandato Severità religiosa per il conci-lio e la più recente La compresenza dei morti e dei viventi. Spero di poter scrivere

10. G. Cives, Giuseppe Lombardo Radice, didattica e pedagogia della collaborazione, La Nuova Italia, Firenze, 1970, p. 97.

11. Ibidem, pp. 107-108.12. G. Lombardo Radice, Lezioni di pedagogia generale, Sandron, Palermo, 1948, p. 115.

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di entrambi in Scuola e città. Ti ringrazio davvero per tutti gli stimoli di pensiero che essi trasmettono. Ho letto con molto consenso Tra il meglio nel numero quin-to di Azione Nonviolenta.

Nel libro di Borghi, osserva Capitini, si vive il dramma della scuola ita-liana, che egli sente intensamente e talvolta con vero sdegno. Quella di Lamberto Borghi è una denuncia di un male dal quale, anche per Capitini, l’Italia doveva liberarsi per realizzare una scuola adeguata alle esigenze di una società “aperta”.

L’educazione attiva, nel pensiero di Borghi, è alla base di questo nuovo modello di scuola. Essa presuppone che nella relazione educativa si svilup-pi una partecipazione che impegni tutta la personalità dell’individuo, per la quale l’alunno è al centro della relazione e il maestro è un compagno e una guida.

Nelle lezioni Capitini, infatti, evidenzia la importanza della condot-ta morale nel rapporto educativo, su cui si sofferma Borghi: “A contatto con l’insegnante, l’alunno non soltanto impara o meno l’oggetto di studio, non soltanto sviluppa o meno pensieri, ma nella situazione vitale della clas-se sviluppa un atteggiamento nei confronti del maestro, dei compagni, del-la vita circostante”13.

Come per Capitini anche per Borghi, il metodo dell’educazione attiva non si costituisce come un mero atto di trasmissione del sapere, ma come formazione morale e intellettuale del fanciullo. È per questo che nel proget-to di scuola attiva di Borghi centrale è la relazione tra cultura e vita mora-le. A tal proposito scrive:

Mentre studieranno e attenderanno al compimento dei loro progetti, insegnanti e alun-ni svilupperanno una fortissima vita di relazione fondata sul rispetto reciproco, sull’a-more dell’uno per gli altri, sulla solidarietà attiva; e in tal modo la tradizionale scissura tra cultura e vita morale si sanerà, e si porranno praticamente le basi per la soluzione dell’annoso problema di come l’apprendimento possa formare non soltanto individui che sanno leggere e scrivere, ma anche uomini che sanno rispettarsi ed amarsi14.

Il metodo attivo di Capitini e Borghi si configura come un processo au-tonomo del pensare e dell’agire. Affiora dalle lezioni cagliaritane che la centralità della educazione attiva di Borghi è rappresentata dalla valorizza-zione degli interessi e delle potenzialità dell’educando. Si tratta di una for-ma di educazione che sollecita l’anima del fanciullo, liberandolo da ogni ti-po di pressione esterna. In questo processo, fondamentale è il richiamo alla interiorità, alla tensione morale.

13. L. Borghi, Il metodo dei progetti, La Nuova Italia, Firenze, 1983, p. 13.14. Ibidem, pp. 41-43.

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L’educazione borghiana alla libertà e alla socialità è fondata sulla colla-borazione tra coloro che si incontrano nella relazione educativa (maestro-allievo) e si pone come fine per l’instaurazione di una realtà nuova, autenti-ca, di puro valore.

È imprescindibile, all’interno delle lezioni presso l’Ateneo cagliaritano del corso del 1961-62, “Problemi della formazione degli insegnanti”, il ri-chiamo di Capitini a Giovanni Gentile in cui troviamo gli aspetti fonda-mentali della pedagogia gentiliana.

Nel Sommario di pedagogia come scienza filosofica (1913-14) Gentile ri-sponde a interrogativi politicamente e pedagogicamente rilevanti:

Come si forma l’uomo? Come si sviluppa lo spirito umano? Quali sono le leggi della formazione umana? Come si deve formare l’uomo? Qual è l’uomo che dob-biamo formare? In tutti i tempi, scrive Gentile, la filosofia s’è trovata ad avere nel suo seno il problema dell’educazione. Il quale si presenta sempre sotto due aspet-ti fondamentali, che danno luogo a due forme principali della pedagogia; ma co-sì per l’uno come per l’altro rientra di pieno diritto nel dominio della speculazio-ne filosofica15.

Gentile identifica la pedagogia con la filosofia, o meglio, definisce la pedagogia come scienza filosofica. Non c’è una psicologia che non sia etica e viceversa16. Il problema della formazione dell’uomo è il proble-ma della educazione, del processo di sviluppo della personalità dell’in-dividuo.

L’attenzione di Capitini, che nell’Università di Cagliari teneva la catte-dra di Filosofia morale e di pedagogia, ai problemi pedagogici deriva si-curamente dall’influsso che su di lui ha avuto anche il pensiero di Giovan-ni Gentile.

Il concetto più importante che egli riprende da Gentile è quello di atto, attraverso il quale il soggetto si differenzia e si pone come Spirito. Co-me ha inteso Bobbio, Capitini prende le mosse dall’atto anziché dall’e-vento o dai fatti, dall’atto inteso, gentilianamente, come principio ed ini-ziativa assoluti. Il concetto capitiniano di atto ha una valenza di carattere etico rispetto a quello di Gentile. Esso diventa prassi religiosa, finalizza-

15. G. Gentile, L’attualismo, a cura di G. Brianese, La Nuova Italia, Firenze, 1995, pp. 82-85.

16. Scrive Gentile: “Se si dice psicologia la scienza dello sviluppo naturale dello spi-rito, ed etica la scienza dei fini a cui deve mirare questo sviluppo, il problema pedagogi-co ora apparirà come psicologia, ora come etica: ma, ripeto, non mai tanto psicologia, che questa psicologia non implichi un’etica; né, per converso, mai tanto etica, che questa non implichi una psicologia. (….) E così, d’altra parte, l’etica, supponendo sempre un certo con-cetto dell’anima proporzionato ai fini che essa teorizza, coincide anch’essa interamente con la pedagogia etica”, ibidem.

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ta all’attuazione del valore, alla realizzazione della libertà e alla respon-sabilizzazione dell’individuo. Nel Saggio sul soggetto della storia (1947), scrive:

Mettere in crisi il Dio trascendente ed ogni realismo extrasoggettivo, portar tut-to dalla parte del Soggetto, non era atto che potesse arrestarsi lì. L’assoluto, l’eter-no, una volta posto di qua e non di là, doveva assumere tutto. E questa è la specu-lazione romantico-idealistica, fino all’Atto gentiliano, che porta il Tutto a gravitare sull’atto del Soggetto, ad essere questo Atto17.

Nel pensiero capitiniano l’individuo, agendo nel mondo attraverso “l’in-tervento attuale […] infinitamente libero pone la propria aggiunta tendente al meglio: la conseguente valorizzazione del singolo, che diviene comparte-cipe dei progetti della divinità, è nel solco dell’insegnamento del soggetti-vismo gentiliano, anche se mutato di segno, da momento di orgogliosa “di-vinizzazione” a principio di apertura infinita agli altri, compartecipi, allo stesso titolo, alla realizzazione dei valori”18.

In questa visione del mondo e della storia, così lontana da quella di Gen-tile, è centrale, nel pensiero capitiniano, il concetto di apertura. Apertura significa: consapevolezza che per nessuna ragione la realtà debba in assolu-to essere sempre come è ora19:

In un’epoca come la nostra, ove ogni problema serio assume proporzioni interpla-netarie, dissentire significa scegliere; e così si potrebbe tranquillamente asserire che la salvezza del piccolo uomo nel suo vasto mondo è affidata a chi ha il corag-gio di non essere realista, a chi sa mantenere il proprio equilibrio psico-emotivo pur sentendosi, ed essendo insoddisfatto, a chi sa anti vedere il futuro e preparar-lo, pagando con la dissociazione (che non è fuga nel futuro, ma impegno presen-te) al fine di dare la disdetta alla realtà20.

Apertura è anche guardare al “tu”:

Apertura significa vedere in un essere singolo qualsiasi, umano o subumano, qual-che cosa di più di ciò che si vede ordinariamente: una interiorità, una capacità di dare e di fare, una possibilità per oggi e per il futuro, una forza di miglioramento e di rinnovamento, di integrazione di ciò che già è, di partecipazione con gli altri. Se questo qualche cosa di più per un singolo essere è fatto valere sistematicamen-

17. A. Capitini, Saggio sul soggetto della storia, La Nuova Italia, Firenze, 1947, pp. 49-50.18. Cit. A. Capitini, Apertura e dialogo, «La Cultura», 1963, pp. 10-11.19. Le aperture, ribadisce Capitini, tendono a dare “la disdetta dalla realtà” attuale, “pur

operandovi dentro”, e per questo attivo non conformismo risultano “sommamente educati-ve, stimolanti, produttive”. V. Zangrilli, Aldo Capitini, o le ragioni del dissenso, in «Rivi-sta Trimestre», a. I, n. 2, dicembre 1967, p. 180.

20. Ibidem, p. 181.

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te e religiosamente per tutti gli esseri, l’apertura è alla compresenza di tutti, un’e-spressione tra le più sacre che noi possiamo pronunciare21.

Per leggere e comprendere il messaggio pedagogico capitiniano, fonda-to sulle categorie di apertura e liberazione, e così percepirne la lontananza dall’immanentismo dell’atto gentiliano, suggerisce Giacchè:

Dunque l’apertura è atto e la liberazione è il senso di una esperienza religio-sa che, proprio come un voto, aspira al suo scioglimento. In questo quadro o in questo cielo, si può collocare – per il persuaso – soltanto il modo di vivere e di operare: l’opposizione sarà la sua scelta cosciente e l’educazione il suo compito e la sua attività costante. Educare, cioè “portar fuori”, verso l’alto e soprattutto verso l’altro. Verso tutti gli altri, tutti gli infiniti Tu della compresenza. Non c’è niente di più necessario e urgente da fare. Anzi da vivere22.

Capitini riconosce il suo debito nei confronti della filosofia che domina l’ambiente italiano degli anni ’20 e ’30, il neoidealismo gentiliano23.

In uno dei suoi lavori filosoficamente più impegnati chiarisce il suo col-locarsi dalla parte della filosofia del soggetto, dell’idealismo soggettivo, contro l’oggettivismo classico; afferma chiaramente di aver tratto proprio da Gentile lo stimolo ad approfondire il tema dell’atto, dell’iniziativa spiri-tuale, intesa come principio assoluto. Ma l’idealismo gentiliano, tuttavia, gli sembra poi venir meno alle proprie premesse, nel momento in cui diventa esaltazione del fatto, anziché richiamo al valore, momento centrale della fi-losofia capitiniana; esso gli appare perciò divenire un falso idealismo, che esalta lo spirito, in quanto lo concepisce come realtà, come fatto. Scrive, soffermandosi sulla distinzione tra atto ascetico e atto etico:

Essere soggetto è portarsi qua dalla morte. Anche nel vivere va generata una crisi, per cui c’è la vita vista come esistenza e la vita vista come presenza. La fondazio-ne di questa presenza è grandemente aiutata dall’amore verso una persona; il qua-le è, nel suo culmine, portarla al proprio fianco. Nel mondo degli oggetti ad esse-re, insieme con noi, soggetto. Mentre l’atto di crisi del proprio io, dilemma tra il risolvimento totale nella vita e l’ascesi della presenza, è, come tutti gli atti asceti-

21. Cfr. A. Capitini, Lettere di religione, n. 62, in Il potere di tutti, La Nuova Italia, Fi-renze, 1969, p. 500.

22. P. Giacchè, La religione della educazione, Scritti pedagogici di Aldo Capitini, cit., p. 16.

23. Nel Corso di pedagogia tenuto all’Università di Cagliari nel 1961-62 Capitini scri-ve: Due opere sono fondamentali del Gentile “Sommario di pedagogia” e “Teoria generale dello spirito come atto puro”. Sono note le sue idee: richiamo alla originalità dello spirito; alla infinità del suo generarsi; all’interiorità senza residuo; all’unità della molteplicità, che si ha della parte del soggetto. La pedagogia e la filosofia sono identiche perché sono co-struzioni di sé, io come autoctisi.

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ci, difficile a concretare e a mantenere; l’atto del portare amando un’altra persona dalla parte nostra come soggetto, è atto etico. Io supero la mia individualità isolata e limitata, che cadrebbe come oggetto, nel portarmi ad essere soggetto, cioè pre-senza eterna di qua dal mondo; sento anche altre persone individuate dalla parte del soggetto, mediante l’amore che volgo ad esse come singole: nel tu le faccio io, le aggiungo al mio io24.

Nel saggio Il rapporto fra azione e valore Capitini distingue, fermamen-te, tra l’azione, che si riferisce alla trasformazione della realtà che l’indivi-duo fa di sua iniziativa e l’atto, considerato come “ciò che fa essere”25. Egli privilegia il mondo dei valori, del rispetto e della responsabilità nei con-fronti del singolo.

Per individuare la natura dei valori nell’atto educativo capitiniano è utile richiamare la riflessione di Mancini sul metodo capitiniano della aggiunta:

Capitini sta attento a non fare del tu un semplice gradino ulteriore che soprag-giunge in maniera automatica. La sua riflessione, in questo passaggio, riprende di-cendo: “se aggiungo il tu”, ossia: se nella corrente del valore io riconosco l’unicità personale dell’altro, allora mi accorgo di come egli o lei sia a sua volta un mondo originale di valore. “Io aggiungo” non significa affatto che io produco il tu, lo de-cido, lo valorizzo. Significa invece che nell’approfondirsi dei gradi del valore, ir-rompe un dono vivente che è la presenza dell’altro. Qui il mio aggiungere non è di per sé un donare, ma un aprirmi al dono. Si manifesta chiaramente in Capitini ciò su cui insisterà Levinas: il tu è altezza26.

Nelle categorie capitiniane di apertura, aggiunta nell’atto educativo si esperisce qualcosa di “nuovo”, conducendoci così a definire la filosofia di Capitini come una filosofia della interiorità: profondo avvicinamento, ap-passionamento27 per l’altro. Il punto su cui occorre riflettere è che nell’ag-giunta religiosa si percepisce quel di più che contraddistingue la religio-sità del Nostro come incessante partecipazione alla produzione corale dei valori.

24. A. Capitini, Saggio sul soggetto della storia, La Nuova Italia, Firenze, 1947, pp. 51-52.25. Cit. in A. Capitini, Il rapporto tra azione e atto, a cura di E. Mirri, L. Conti, Filoso-

fi del dissenso. Il Reale di Studi Filosofici a Perugia dal 1941 al 1943, Editoriale Umbra-Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea, Foligno-Perugia, 1986, p. 108.

26. R. Mancini, L’amore politico. Sulla via della nonviolenza con Gandhi, Capitini e Levinas, Cittadella, Assisi, 2004, pp. 188-189.

27. “Se io mi apro ad un essere vivente volgendogli rispetto e affetto, e così ad un altro, e nell’animo sarei disposto a farlo verso tutti, arrivando all’orizzonte di tutti, non posso più accettare la natura e i suoi fatti che, senza capire, mi sottraggono una parte degli esseri. Se arrivo all’orizzonte di tutti, se mi interessa la realtà di tutti, capisco la realtà della vicinan-za di tutti fra tutti, capisco la loro compresenza”. A. Capitini, Ominicrazia, in Il potere di tutti, La Nuova Italia, Firenze, 1969, p. 86.