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1 I nuovi scenari di governance alla luce dell'Accordo Quadro Stato-Regioni e del federalismo fiscale. Alfonso Rubinacci esperto di politiche scolastiche e di pubbliche amministrazioni Sommario 1. Il federalismo istituzionale e gli enti territoriali. 2. La funzione legislativa di Stato e Regioni. 3. Il federalismo fiscale. 4. Le competenze legislative e i mezzi di finanziamento. 5. I livelli essenziali delle prestazioni e loro finanziamento. 6. Il quadro costituzionale del sistema educativo. 7. L’attuazione dell’art. 117 e il riparto di competenze. 8. Il finanziamento dei livelli essenziali nel sistema educativo 9. Il riordino istituzionale e la riforma dell’istruzione. 10. L’Accordo Quadro Stato- Regioni e Autonomie locali. 11. Il dimensionamento della rete scolastica. 12. Il ruolo di Regioni, Comuni, Province, Città metropolitane. 13. Gli ambiti di competenza regionale. 14. La governance del sistema educativo 15. La governance territoriale. 16. Conclusione. 1. Il federalismo istituzionale e gli enti territoriali La concretizzazione delle prospettive delle riforme avviate in tema di “Titolo V”, di “federalismo fiscale” e di “innovazione della pubblica amministrazione” è condizionata dai processi attuativi affidati ai confronti di ordine politico. Le intervenute modifiche degli assetti istituzionali si pongono l’obiettivo di: trasformare la gerarchia verticale delle istituzioni in una “cooperazione” tra i vari livelli di governo al servizio degli interessi degli individui; superare la rigidità delle architetture istituzionali, lasciando livelli di libertà per consentire ad istanze diverse di convivere. affidare ai livelli politico-istituzionali del “Sistema delle Autonomie” la responsabilità sull’uso delle risorse finanziarie; incidere sull’efficienza della struttura burocratica, anche attraverso un “rinnovato rapporto tra legislazione e contrattazione nel pubblico impiego”. Con questa prospettiva, la legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 e la legge 5 maggio 2009, n. 42 configurano gli assetti istituzionali di un nuovo modello di Stato, politicamente decentrato, con importanti implicazioni per l'organizzazione del settore pubblico e realizzano un concreto

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I nuovi scenari di governance alla luce dell'Accordo Quadro Stato-Regioni e del federalismo

fiscale.

Alfonso Rubinacci

esperto di politiche scolastiche e di pubbliche amministrazioni

Sommario

1. Il federalismo istituzionale e gli enti territoriali. 2. La funzione legislativa di Stato e Regioni.

3. Il federalismo fiscale. 4. Le competenze legislative e i mezzi di finanziamento. 5. I livelli

essenziali delle prestazioni e loro finanziamento. 6. Il quadro costituzionale del sistema

educativo. 7. L’attuazione dell’art. 117 e il riparto di competenze. 8. Il finanziamento dei

livelli essenziali nel sistema educativo 9. Il riordino istituzionale e la riforma dell’istruzione.

10. L’Accordo Quadro Stato- Regioni e Autonomie locali. 11. Il dimensionamento della rete

scolastica. 12. Il ruolo di Regioni, Comuni, Province, Città metropolitane. 13. Gli ambiti di

competenza regionale. 14. La governance del sistema educativo 15. La governance

territoriale. 16. Conclusione.

1. Il federalismo istituzionale e gli enti territoriali

La concretizzazione delle prospettive delle riforme avviate in tema di “Titolo V”, di “federalismo

fiscale” e di “innovazione della pubblica amministrazione” è condizionata dai processi attuativi

affidati ai confronti di ordine politico.

Le intervenute modifiche degli assetti istituzionali si pongono l’obiettivo di:

• trasformare la gerarchia verticale delle istituzioni in una “cooperazione” tra i vari livelli di

governo al servizio degli interessi degli individui;

• superare la rigidità delle architetture istituzionali, lasciando livelli di libertà per consentire ad

istanze diverse di convivere.

• affidare ai livelli politico-istituzionali del “Sistema delle Autonomie” la responsabilità sull’uso

delle risorse finanziarie;

• incidere sull’efficienza della struttura burocratica, anche attraverso un “rinnovato rapporto tra

legislazione e contrattazione nel pubblico impiego”.

Con questa prospettiva, la legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 e la legge 5 maggio 2009, n.

42 configurano gli assetti istituzionali di un nuovo modello di Stato, politicamente decentrato, con

importanti implicazioni per l'organizzazione del settore pubblico e realizzano un concreto

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decentramento istituzionale, legislativo, amministrativo e fiscale, alleggerendo conseguentemente lo

Stato di competenze, strutture, uffici e spese.

La premessa da porre all'inizio di qualunque considerazione sul federalismo istituzionale si trova

nel nuovo testo dell’art. 114 - secondo il quale “Ia Repubblica è costituita dai Comuni, dalle

Province, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato", sostitutivo della precedente

formulazione secondo cui "La Repubblica” si riparte in Regioni, Province e Comuni.

Da ciò deriva che:

• non vi è più un'articolazione interna della Repubblica, ma un’elencazione dei soggetti

istituzionali costitutivi, con pari dignità costituzionale;

• l’ente territorialmente più piccolo è indicato per primo, per sottolineare il significato della

volontà legislativa di porre al primo posto l'ente più vicino ai cittadini;

• viene, per la prima volta, indicata nella Costituzione la “città metropolitana" una forma

organizzativa territoriale, disciplinata a livello di legge ordinaria.

La nuova architettura istituzionale è caratterizzata dalla valorizzazione dei comuni, province e

regioni e da un nuovo e più penetrante controllo sostitutivo, affidato al governo su tutti gli enti

costitutivi della Repubblica, da esercitarsi nel rispetto delle previsioni della legge statale, che dovrà

definire le procedure idonee a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del

principio di sussidiarietà e di leale collaborazione ( art. 120, secondo comma della Costituzione).

2. La funzione legislativa di Stato e Regioni

La revisione del Titolo V, l’art. 117 della Costituzione comporta un nuovo criterio di riparto delle

competenze legislative tra Stato e Regioni. Esso estende la potestà legislativa esclusiva anche alle

Regioni a statuto ordinario e costituisce l'ipotesi ordinaria di riferimento ogni qualvolta non sia

coinvolta una materia espressamente attribuita alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.

Le precedenti norme costituzionali non contenevano limiti alla potestà legislativa statale, ma

limitavano la potestà legislativa concorrente delle Regioni. Il nuovo testo dispone sia per lo Stato

sia per le Regioni, limiti nuovi: oltre al rispetto della Costituzione, sono vincoli quelli derivanti

dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. In coerenza alla nuova dimensione

politica dell'Europa, si realizza all'interno della Costituzione un radicamento strutturale

dell'ordinamento comunitario.

3. Il federalismo fiscale

Il processo di decentramento della spesa pubblica, in atto da alcuni decenni, non è stato

accompagnato da un parallelo decentramento delle decisioni di entrata.

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Il riconoscimento del principio di autonomia finanziaria di entrata e di spesa degli enti territoriali

(comuni, province, città metropolitana, regioni), è sancito dalla riforma costituzionale all’art. 119,

primo comma “ I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia

finanziaria di entrata e di spesa”.

Sul piano finanziario a tutti i soggetti istituzionali territoriali, in termini di assoluta parità perché

costitutivi della Repubblica (art. 114) è assicurato l’accesso a risorse prevalentemente di natura

fiscale idonee a consentire l’esercizio delle funzioni e dei compiti di governo che la Costituzione e

le leggi attribuiscono ad essi.

La legge 5 maggio 2009, n. 42, concernente la delega al Governo in materia di federalismo fiscale,

in attuazione dell’art. 119 della Costituzione, segna il punto d’avvio di una fase di attuazione, dopo

otto anni dall’approvazione, della riforma del Titolo V, superando l’attuale contesto di

contrapposizione fra centro e periferia con il primo orientato a imporre regole per tutti e la seconda

ad invocare autonomia per gli attori locali che vogliono essere protagonisti dello sviluppo e del

benessere del proprio territorio.

Il Governo è chiamato ad attuare la legge di delega con la predisposizione, entro due anni, dei

relativi decreti legislativi previsti dall’art. 2, destinati a dare nuovo assetto alla finanza pubblica “al

fine di assicurare…l’autonomia finanziaria di comuni, province, città metropolitane e regioni” ed

effettiva trasparenza nei flussi finanziari, che saranno esaminati dalla Commissione Parlamentare

bicamerale per il coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 5 della legge n. 42/2009,

istituita nell’ambito della Conferenza Unificata.

La Commissione, che ha una funzione prevalentemente istruttoria, dovrà mettere a disposizione del

Parlamento, dei Consigli Regionali e delle Province Autonome tutti gli elementi informativi raccolti

per soddisfare gli eventuali fabbisogni informativi e le sue determinazioni saranno trasmesse alle

Camere. A tal fine è stata istituita, con DPCM del 3 luglio 2009, pubblicato nella G.U. n. 160 del 13

luglio 2009, la Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, quale sede di

condivisione delle basi informative finanziarie, economiche e tributarie.

I decreti attuativi dovranno prevedere una fase transitoria, di durata quinquennale, per consentire

l’ordinato passaggio dell’attuale sistema ad un nuovo sistema e per garantire flessibilità e le

necessarie perequazioni in favore delle Regioni più svantaggiate. Il cantiere del federalismo è

destinato a restare aperto almeno sette anni, perché l’entrata a regime è prevista non prima del 2016.

Il nuovo quadro normativo definito dalla legge n. 42/09 interviene sui rapporti finanziari tra Stato e

Autonomie territoriali, con l’obiettivo di rendere, senza rinunciare al principio di solidarietà, più

efficiente la gestione delle risorse pubbliche e di razionalizzare la spesa.

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Un punto cruciale della riforma è il passaggio dal criterio della spesa storica a quello dei costi

standard e dei fabbisogni nell’attribuzione delle risorse agli enti territoriali. Il calcolo di tali

indicatori presenta notevoli difficoltà tecniche che sono acuite dalla mancanza di bilanci

armonizzati tra i vari livelli di governo e dalle forti disparità territoriali nei livelli e nella qualità

della spesa pubblica

Naturalmente l’aumento di efficienza, sia nella gestione della macchina amministrativa locale che

nell’erogazione dei servizi ai cittadini, non dipende solo dalla legge e dai dispositivi applicativi che

saranno individuati. Le ricadute sulla qualità dell’azione amministrativa dipenderanno dalla qualità

dei soggetti chiamati ad applicarli, dal modo in cui tali principi troveranno concreta attuazione e dai

sistemi di regolazione degli interessi coinvolti.

La riforma del federalismo fiscale deve “saldarsi” con la contestuale applicazione della legge 4

marzo 2009, n. 15 concernente la delega al Governo “finalizzata all’ottimizzazione della

produttività del lavoro pubblico e dell’efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni

nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell’economia e del

lavoro ed alla Corte dei Conti”.

Il federalismo fiscale trova un completamento, anche, nell’iniziativa legislativa di riforma della

contabilità dello Stato, approvata dal Senato, attualmente all’esame della Camera (A.C. 2555) che

contiene importanti innovazioni concernenti la struttura del bilancio statale per missioni e

programmi, correlati a obiettivi quantificati e misurabili. Di particolare rilevanza ai fini della

programmazione sono le informazioni necessarie per la costruzione del quadro tendenziale a

politiche invariate, quelle relative all’entrate e alle spese programmatiche e gli obiettivi di politica

economica, articolati per i sottosettori delle amministrazioni pubbliche.

Ciò dovrebbe consentire un’allocazione delle risorse più responsabile, una correlazione tra le

decisioni sul merito e sugli obiettivi delle politiche pubbliche e la ripartizione delle risorse

necessarie per finanziare la loro attuazione.

4. Le competenze legislative e i mezzi di finanziamento

La legge n. 42/2009 disegna, negli articoli 7-10, un nuovo sistema di relazioni finanziarie tra Stato,

Regioni ed Enti territoriali. Il punto di partenza è la soppressione dei trasferimenti statali con

l’eccezione dei fondi perequativi alle Regioni ed agli Enti locali e l’indicazione delle fonti di entrata

per gli stessi enti.

L’articolo 8 classifica le competenze legislative regionali e stabilisce distinte modalità e quantità di

finanziamento di tali competenze. La legge delega dispone che, per le funzioni fondamentali,

riconducibili al vincolo dell’articolo 117, comma secondo, lettera m) della Costituzione, va

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assicurato a tutte le Regioni, attraverso l’apporto del fondo perequativo, il finanziamento integrale,

sulla base del fabbisogno rapportato ai costi standard.

Per quanto concerne le spese regionali non riconducibili alle funzioni relative ai livelli essenziali e

cioè le spese non essenziali e le spese finalizzate agli obiettivi di cui al quinto comma dell’articolo

119 della Costituzione, esse sono finanziate – oltre che con quote del fondo perequativo - con il

gettito:

• dei “tributi propri derivati”;

• delle “addizionali sulle basi imponibili dei tributi erariali”;

• dei tributi propri istituiti dalle regioni con proprie leggi.

Questa prospettiva pone pertanto in primo luogo l’esigenza di definire la ripartizione della funzione

legislativa tra Stato e Regioni e delle funzioni amministrative tra i diversi soggetti istituzionali, la

definizione dei livelli essenziali di prestazione, la valutazione dei costi dell’operazione, la

costituzione di un quadro di riferimento dei dati disponibili.

Si pone di conseguenza la necessità di procedere con un provvedimento legislativo

all’individuazione delle funzioni fondamentali di comuni e province per garantire la necessaria

corrispondenza tra funzioni, risorse e responsabilità.

Lo schema di disegno di legge recante principi fondamentali e norme in materia di organi e funzioni

degli enti locali, semplificazione e razionalizzazione dell’ordinamento delle autonomie locali,

approvato dal Consiglio dei Ministri in esame preliminare il 15 luglio 2009, rappresenta la risposta

all’esigenza più volte sottolineata nel corso del dibattito parlamentare sul disegno di legge sul

federalismo fiscale, di giungere ad una compiuta definizione delle diverse funzioni degli enti locali.

Il disegno di legge, infatti, intende assicurare come è riportato nella relazione illustrativa “…piena

attuazione delle disposizioni del Titolo v sugli enti locali, perseguendo una efficiente allocazione

delle funzioni, razionalizzando nel complesso l’apparato pubblico locale, riducendo le spese

complessive”.

Una rapida definizione dell’iter legislativo agevolerebbe il percorso di attuazione del Titolo V che

rappresenta un’esigenza ormai indifferibile.

5. I livelli essenziali delle prestazioni e loro finanziamento

L’articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzione attribuisce alla competenza statale esclusiva

la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che

debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

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Poiché i livelli essenziali (LEP) limitano anche la competenza legislativa esclusiva delle Regioni,

essi debbono essere correttamente individuati per prevenire illegittime limitazioni della competenza

legislativa regionale e dell’autonomia scolastica. Si impone, perciò, cooperazione nella costruzione

dei provvedimenti per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti

civili e sociali.

Il punto di partenza per l’individuazione dei LEP è costituito da quella parte della normativa

costituzionale dalla quale scaturiscono diritti di cittadinanza sociale.

Le “aree” di prestazioni obbligatorie, a titolo indicativo per il settore istruzione, dovrebbero

riguardare i livelli essenziali che consentono l’accesso nel sistema, garantiscono l’erogazione del

servizio d’istruzione “statale” su tutto il territorio nazionale, fissano l’orario minimo annuale,

stabiliscono i criteri e i requisiti per l per l’accesso nel ruolo del personale docente, dirigente e Ata.

La determinazione, in via legislativa, dei livelli essenziali è fondamentale per l’elaborazione di uno

dei decreti legislativi di cui all’art. 2 della legge n. 42/2009. Il comma 6 stabilisce, infatti, che un

altro decreto legislativo (entro 2 anni) “contiene la determinazione dei costi e dei fabbisogni

standard sulla base dei livelli essenziali delle prestazioni di cui al comma 2 dell’art. 20”.

Occorrerà prestare grande attenzione a come sarà declinato il tema del federalismo fiscale: la legge

5 maggio 2009, n. 42 definisce un modello di finanziamento integrale dell’attività regionale volta al

rispetto dei livelli essenziali relativi a sanità, assistenza, istruzione e trasporti.

Il finanziamento, nel rispetto dei costi standard associati ai livelli essenziali delle prestazioni, da

erogarsi in condizioni di efficienza ed appropriatezza, si articola su due poli:

• ricorso a risorse “regionali”, nel senso dei “tributi propri derivati” e di compartecipazione al

gettito di imposte statali, al fondo perequativo, ma senza il ricorso a trasferimenti statali veri e

propri;

• superamento della spesa storica attraverso la determinazione del “costo standard”, che si

configura come indicatore di finanziamento delle spese relative alle prestazioni fissate dalla

legge statale.

6. Il quadro costituzionale del sistema educativo.

La disciplina costituzionale del sistema educativo si trova principalmente, ma non solo, nel

novellato articolo 117 della Costituzione perchè già gli artt. 33 e 34 individuano le caratteristiche

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basilari del sistema scolastico con una chiara, ma ovviamente non tassativa, definizione vincolante

degli ambiti riconducibili al “concetto” di “norme generali”.

Il quadro normativo delineato è completato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 che

produce effetti sul sistema scolastico, tracciando un sistema educativo unitario nel quale allo Stato è

riconosciuta la competenza esclusiva “sulle norme generali sull’istruzione” e sulla “determinazione

dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti

su tutto il territorio nazionale “ (art. 117, secondo comma lettera n) e m). E’ attribuita, inoltre, allo

Stato la determinazione di principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente (art. 117,

terzo comma).

Alle Regioni, oltre alla potestà legislativa esclusiva sull’istruzione e sulla formazione professionale

(art. 117, terzo comma), è riconosciuta la potestà legislativa concorrente in materia d’istruzione

sulla quale insistono sia lo Stato (con i principi fondamentali) sia le Regioni (con le norme di

dettaglio).

La riforma costituzionale pone, certamente, una serie di questioni complesse e di non facile

soluzione perché ha rovesciato i principi dell’attribuzione delle competenze di Stato, Regioni ed

autonomie locali. Si tratta, dunque, di una trasformazione molta impegnativa e di grande

consistenza.

7. L’ attuazione dell’art. 117 e il riparto delle competenze

L’analisi dei profili essenziali relativi al riparto di competenze di cui all’art. 117 della Costituzione

consente di tracciare il quadro delle principali norme generali rilevanti in materia di “federalismo

scolastico”.

La lettura del complesso delle disposizioni costituzionali rileva la valenza generale ed unitaria dei

contenuti degli artt. 33 e 34 nella quale va collocata la previsione dell’articolo 117, comma secondo,

lettera n) di riconoscimento allo Stato della potestà legislativa esclusiva in tema di “norme generali

sull’istruzione”.

Individuare nel nuovo assetto istituzionale cosa sia “norma generale” sull’istruzione (materia di

competenza esclusiva dello Stato) e cosa invece norma “non generale” è questione prioritaria e

delicata. La previsione costituzionale trova la prima concretizzazione con la legge 28 marzo 2003,

n. 53, concernente la delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei

livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di istruzione e formazione professionale.

Sulla base della delega sono stati emanati sei decreti legislativi volti a definire le norme generali e i

livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione. Il quadro legislativo richiamato

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costituisce un significativo punto di riferimento per l’individuazione non esaustiva degli ambiti che

dovrebbero essere disciplinati con legge ordinaria.

Secondo l’Accordo Quadro, in corso di definizione in sede di Conferenza Unificata tra Miur

Regioni, Anci, Upi, Uncem, le norme generali, di competenza dello Stato, dovrebbero essere

ricondotte ai ambiti relativi alla definizione, limiti, contenuti ed organi di rappresentanza

dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e cioè agli ordinamenti scolastici ( tipologia e durata dei

corsi d’istruzione primaria, secondaria e post secondaria; monte ore annuo; modalità di passaggio

tra i diversi ordini di scuola e tra sistema istruzione e sistema d’istruzione e formazione

professionale e la carriera degli alunni; alla organizzazione generale dell’istruzione scolastica; ai

criteri e meccanismi di selezione e di reclutamento del personale dirigente, docente e non docente;

allo stato giuridico del personale docente e della dirigenza scolastica; al monitoraggio e valutazione

del sistema d’istruzione; alla disciplina della libertà di istituire scuole private.

Va sottolineato che, per quanto riguarda la questione “norme generali”, il settore dell’istruzione è

stato il primo ambito ad avere ricevuto, con la legge delega n. 53/2003 e la successiva normativa

secondaria, una regolamentazione legislativa, successiva alla riforma costituzionale del 2001.

Il Parlamento, infatti, per norma generale ha inteso:

• la definizione generale e complessiva del “sistema educativo di istruzione e di formazione”,

comprese le sue articolazioni in cicli e le sue finalità ultime;

• la regolamentazione dell’accesso al sistema e i termini del diritto-dovere e relativa fruizione;

• la previsione generale del contenuto dei programmi dei vari cicli del sistema e del nucleo

essenziale dei piani di studio scolastici per la “quota nazionale”;

• la definizione degli standard minimi formativi, richiesti per la spendibilità nazionale dei titoli

professionali conseguiti all’esito dei percorsi formativi, nonché per il passaggio ai percorsi

scolastici.

La Costituzione riconosce allo Stato anche la competenza a dettare i principi fondamentali nelle

materie di legislazione concorrente. Il legislatore statale, dunque, interviene soltanto per principi,

lasciando al legislatore regionale lo spazio e la possibilità di regolamentare con legge propria gli

aspetti di dettaglio.

In linea di principio sembra poter indicare che i principi fondamentali, suscettibili di essere integrati

sul piano regionale, dovrebbero riguardare, tra l’altro, i seguenti ambiti:

• libertà di insegnamento;

• sviluppo dell’autonomia scolastica e delle relative rappresentanze;

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• libertà di accesso all’istruzione ed alla formazione su tutto il territorio nazionale;

• azioni positive per compensare gli svantaggi derivanti da disabilità e da diverse origini etniche e

culturali;

• azioni positive per compensare svantaggi ambientali e territoriali, con particolare riferimento

alle zone montane, alle piccole isole e ai piccoli comuni;

• requisiti minimi per il funzionamento degli istituti scolastici.

Dapprima la Corte costituzionale ha confermato la possibilità di desumere i principi fondamentali

dalle leggi vigenti (fra le altre sent. 282/2002, 94/2003), e successivamente questa possibilità è stata

confermata dalla legge 131 del 2003 (c.d. legge “La Loggia”), all’art. 1, comma 3.

La riconferma della centralità dello Stato nella definizione delle linee guida del sistema educativo

non significa affievolimento del rilevante coinvolgimento dei poteri locali nelle iniziative per

l’ammodernamento del sistema scolastico.

8. Il finanziamento dei livelli essenziali del sistema educativo

La legge sul federalismo contiene puntuali riferimenti al tema dell’istruzione. L’art. 8, comma 2

prevede, infatti, che “nelle forme in cui le singole regioni daranno seguito all’Intesa Stato –

Regione sull’istruzione, al relativo finanziamento si provvede secondo quanto previsto dal presente

articolo per le spese riconducibili al comma 1, lettera a), numero 1”.

Il comma 3 dello stesso articolo stabilisce che: “nelle spese di cui al comma 1, lettera a), numero 1,

sono comprese…per quanto riguarda l’istruzione le spese per lo svolgimento delle funzioni

amministrative attribuite alle regioni dalle leggi vigenti”.

Le previsioni dei due commi vanno a saldarsi con il principio contenuto nell’articolo 7, comma 1,

lettera a) secondo cui le Regioni dispongono di tributi e di compartecipazioni al gettito di tributi

erariali per il finanziamento di spese derivanti dall’esercizio delle funzioni che la “Costituzione

attribuisce alla loro competenza residuale e concorrente nonché le spese relative a materie di

competenza esclusiva statale, in relazione alle quali le Regioni esercitano competenze

amministrative”.

Il federalismo fiscale garantisce per il settore istruzione la copertura integrale del fabbisogno

finanziario alle spese connesse allo “svolgimento delle funzioni amministrative attribuite alle

Regioni dalle norme vigenti” e a quelle che derivano dalle nuove funzioni attribuite a Regioni ed

Enti locali a seguito dell’Accordo Quadro Stato, Regioni, Autonomie locali sull’istruzione.

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Non è priva di difficoltà la concretizzazione della previsione contenuta nell’articolo 8, commi 2 e 3

della legge n. 42/2009. Nell’attuale legislazione sull’istruzione il riferimento ai LEP è approfondito

solo nel D.Lgs 226/2005 sull’istruzione secondaria superiore che definisce, tra l’altro, l’orario

minimo, l’articolazione dei percorsi, la valutazione e certificazioni delle competenze, delle strutture

e dei servizi.

Occorre, peraltro, sottolineare che il quadro ordinamentale definito dai decreti legislativi attuativi

della legge n. 53/03 appare in via di superamento dai provvedimenti attuativi dell’art. 64 del D.L.

112/08, convertito con legge 133/08.

Il titolo V, infatti, per un verso ha confermato le competenze già attribuite alle Regioni, province e

Comuni dal D.lgs n. 112 del 1998, per un altro verso ne ha allargato l’ambito e la stessa prospettiva

L’analisi svolta dall’ISAE nel Rapporto “Finanza pubblica e istituzioni”, pubblicato nel giugno

2009, giunge alla conclusione che le spese connesse allo svolgimento delle funzioni amministrative

si riferiscano a: “ assistenza scolastica, programmazione della rete scolastica, determinazione del

calendario scolastico, contributi alle scuole non statali, oltre alle funzioni amministrative derivanti

dall’esercizio della competenza legislativa integrativa o di attuazione di leggi statali. A queste

vanno aggiunte quelle connesse alle nuove attribuzioni alle Regioni ed al sistema delle autonomie

che saranno definite sulla base della rinnovata normativa costituzionale”.

9. Riordino istituzionale e riforma dell’istruzione

Il riordino ordinamentale, didattico ed organizzativo che sta interessando il sistema educativo si

intreccia con la definizione degli assetti istituzionali definiti dalla riforma del Titolo V della

Costituzione. Il riordino del sistema di istruzione richiede la parallela riorganizzazione dei diversi

livelli di governo istituzionale per creare le condizioni per la definizione di incisive politiche di

concertazione Stato, Regioni ed Autonomie locali e di quantificazione delle risorse finanziarie.

L’azione di riordino del sistema educativo per essere coerente con il nuovo quadro di competenze

deve ispirarsi ad alcuni principi che possono essere così sintetizzati:

• la programmazione dell’offerta di istruzione e formazione e della rete scolastica

deve trovare coerente realizzazione nella potestà regionale d’allocazione delle

risorse umane disponibili;

• la gestione regionale del servizio scolastico e formativo deve avvenire nel

rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni e secondo criteri che garantiscano

l’unitarietà.

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E’ evidente la necessità di raccordo tra lo Stato, le Regioni e le Autonomie territoriali sui processi,

sui contenuti, sulle finalità, sui tempi, sulle modalità di attuazione della riorganizzazione

istituzionale.

10. L’Accordo Quadro Stato, Regioni ed Autonomie locali.

L’Accordo Quadro, definito in sede tecnica presso la Conferenza Unificata, indica una prospettiva

concreta e possibile di evoluzione verso una forma di federalismo scolastico equilibrato, nonché

uno svolgimento utile e collaborativo delle relazioni interistituzionali. Esso mira a ricomporre le

funzioni inerenti l’istruzione e l’istruzione e la formazione professionale per realizzare il governo

del sistema educativo con l’obiettivo di migliorarne la qualità.

L’ Accordo configura un assetto di competenze innovativo e pone le basi per il concreto esercizio

delle potestà delle Regioni in merito alla allocazione delle risorse umane disponibili nell’ambito

della programmazione dell’offerta d’istruzione e formazione e della rete scolastica, alla gestione

regionale del servizio scolastico e formativo secondo criteri che garantiscono l’unitarietà del

sistema educativo.

A fronte di tali attribuzioni le Regioni legiferano nelle materie concorrenti; le Regioni e gli enti

locali, nel rispetto dei principi di adeguatezza e differenziazione, assolvono alla funzione

organizzativa; le istituzioni scolastiche, nella loro autonomia, provvedono a fornire il servizio.

Nell’Accordo sono fissati alcuni punti su questioni fondamentali:

• lo stato giuridico ed economico del personale rimane oggetto di contrattazione nazionale e

decentrata;

• le procedure d’assegnazione del personale nel territorio di competenza sono attuate dalle

Regioni per ambiti provinciali;

• il processo di trasferimento di competenze alle Regioni dovrà essere caratterizzato dalla

valorizzazione delle relazioni sindacali;

• la garanzia per le Regioni della piena copertura degli oneri connessi all’esercizio delle

nuove funzioni;

• le funzioni relative alla programmazione, al monitoraggio e alla valutazione d’ambito

regionale sono svolte dalle Regioni;

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• i compiti di gestione sono attribuiti ai livelli territoriali più prossimi all’utenza, nel rispetto

dell’autonomia delle istituzioni scolastiche.

La proposta di Accordo Quadro indica anche una serie di atti e sequenze temporali:

a) realizzare, da parte dello Stato, la ricognizione delle norme generali e dei principi fondamentali

nonché dei criteri per la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni entro il 31 dicembre

2009;

b) approvare, da parte delle Regioni, la normativa di organizzazione per la gestione del personale,

secondo quanto prescritto dalla Corte costituzionale, entro il 1 settembre 2010;

c) adottare, da parte dello Stato, i D.P.C.M. di completamento del trasferimento alle Regioni e agli

altri enti territoriali sia delle competenze loro attribuite dal D.Lgs 112/1998, sia di quelle

ulteriori risultanti dal Titolo V, entro il mese di maggio 2010.

E’, infine, previsto l’impegno di Stato e Regioni alla verifica congiunta dei risultati

dell’applicazione dell’Accordo e alla sua ridefinizione in relazione allo sviluppo della legislazione

nazionale e regionale.

Una tematica centrale è quella che riguarda la gestione del personale e la sua dipendenza funzionale

dalle Regioni.

A riguardo:

• la gestione del servizio d’istruzione è riconosciuta alle scuole dell’autonomia, che applicano

direttamente le norme generali statali a garanzia dell’unitarietà del sistema d’istruzione;

mentre l’organizzazione e la programmazione sul territorio è realizzata dagli enti locali in

conformità a leggi regionali emanate anche in attuazione dei principi fondamentali dallo

Stato;

• per la gestione del personale dirigente, docente ed Ata è stato ipotizzato il passaggio alle

dipendenze funzionali delle Regioni e degli enti locali solo per quanto attiene alla

programmazione e distribuzione territoriale, perché la titolarità del rapporto di lavoro del

personale della scuola rimane allo Stato;

• la dipendenza funzionale consiste semplicemente nel potere (limitato comunque dai criteri e

dai parametri definiti con norma di carattere generale, quindi, con margine abbastanza

ristretto) delle Regioni di attribuire/distribuire il personale “in funzione” ed in coerenza

dell’offerta programmata, ovvero per lo svolgimento della funzione richiesta dalla tipologia

di offerta. Occorre quindi definire la nuovo natura “funzionale” del rapporto perché il

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trasferimento abbia senso, non costituisca solo un’operazione nominalistica e limitato alla

gestione delle procedure.

• con la dipendenza organica dallo Stato rimangono allo Stato, ad esempio lo stato giuridico,

la libertà d'insegnamento e sono mantenute sia il livello di contrattazione nazionale sia la

mobilità sull'intero territorio nazionale e sia la definizione dei criteri di accesso nel ruolo.

11. Il dimensionamento della rete scolastica

L’attuazione dell’Accordo Quadro riguarda, tra l’altro, le modalità di determinazione della rete

scolastica e della dotazione organica nazionale del personale dirigente, docente ed Ata. Il

dimensionamento della rete scolastica e la determinazione del fabbisogno di personale sono le

questioni più rilevanti in quanto elementi condizionanti dell’entità e qualità della programmazione

dell’offerta formativa, della riduzione dei plessi scolastici e delle classi e dell’aumento del numero

di alunni per classe.

L’Accordo al punto C) richiama il dimensionamento delle istituzioni scolastiche, quale presupposto

logico del trasferimento del personale dirigente, docente e Ata. Il procedimento attuativo per esso

previsto dal decreto legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito con modificazioni, nella legge 4

dicembre 2008, n. 189 è determinato “secondo criteri, forme e modalità che saranno definite con

l’Intesa in sede di Conferenza Unificata”.

Il venir meno, per effetto della sentenza n. 200 del 2 luglio 2009 della Corte Costituzionale, del

D.P.R. 20 marzo 2009, n. 81, con il quale il Ministero della Pubblica istruzione ha determinato i

criteri di dimensionamento della rete scolastica regionale, impegna le Regioni ad assumere

autonome determinazioni per assicurare il dimensionamento delle istituzioni scolastiche in termini

di accorpamento o riduzione dei plessi scolastici nell’ambito dell’organico nazionale.

La Corte Costituzionale ha, infatti, affermato che allo Stato non è riconosciuto il potere

regolamentare della “definizione di criteri, tempi e modalità per la determinazione e l’articolazione

dell’azione di ridimensionamento della rete scolastica”. La previsione legislativa, di cui al punto

f.bis, comma 4 dell’art. 64 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, come convertito con

modificazioni dalla legge 6agosto 2008, n. 133 di preordinazione dei criteri volti all’attuazione di

tale dimensionamento, ha una “diretta ed immediata incidenza su situazioni strettamente legate alle

varie realtà territoriali ed alle connesse esigenze socio-economiche che, ben possono essere

apprezzate in sede regionale…La disposizione in questione…lungi dal poter essere qualificata

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come norma generale sull’istruzione invade spazi riservati alla potestà legislativa delle Regioni

relativi alla competenza alle stesse spettanti nella disciplina dell’attività di dimensionamento della

rete scolastica sul territorio”.

La sentenza n. 200/2009 comporta la disapplicazione del regolamento ministeriale da parte delle

Regioni perché invasivo della competenza legislativa concorrente regionale.

Viceversa, la previsione dell’Intesa di cui al comma 4-quinquies dell’art. 64 non essendo stata

investita direttamente dalla pronuncia di incostituzionalità conserva validità, in quanto avente un

contenuto assai più generale. Potrebbero rimanere, dunque, i contenuti dell’intesa riferiti alla

“definizione dei criteri finalizzati all’articolazione generale dell’organizzazione scolastica, alla

riqualificazione del sistema scolastico, al contenimento della spesa pubblica,nonché ai tempi e alle

modalità di realizzazione, mediante la previsione di appositi protocolli d’intesa tra le Regioni e gli

Uffici scolastici regionali”.

Si tratta in sostanza di reinterpretare l’Intesa alla luce della sentenza, intendendola non più come

accordo sull’esercizio della funzione di dimensionamento secondo la logica di una competenza

propria dello Stato, ma come competenza delle Regioni.

Ciò consentirebbe di coniugare insieme i principi di attuazione del dimensionamento e le

corrispondenti risorse finanziarie ed umane necessarie per garantire il rispetto dei livelli essenziali

delle prestazioni in relazione anche al conseguimento entro l’anno scolastico 2011- 2012 di

un’economia di spesa non inferiore a 85 milioni di euro, da condividere con le Regioni, le

autonomie locali.

12. Il ruolo delle Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane

Il successo di una riforma non dipende tanto dalla semplice applicazione delle leggi - che aprono

solo opportunità e definiscono ambiti e possibili percorsi di cambiamento - quanto piuttosto dalle

scelte, dagli orientamenti e dalle politiche attuative.

Ciò vale anche nel caso dei cambiamenti istituzionali, che la riforma del Titolo V promuove e che

pongono la necessità di ridisegnare la missione istituzionale, il ruolo e le funzioni dei contesti

territoriali.

Tali cambiamenti richiedono che ciascuna Amministrazione valuti:

• Il nuovo contesto legislativo nel quale si troverà ad operare,

• le scelte di ruolo e di strategia istituzionale specifica,

• la coerenza dell’attuale struttura rispetto a obiettivi d’attività e di servizio.

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Le scelte strategiche riguardano il ruolo che le Amministrazioni locali intendono “giocare” come

gestori strategici ed erogatori di servizi in riferimento alle politiche dell’istruzione, nel quadro delle

funzioni e delle opportunità istituzionali nel mutato contesto istituzionale definito dalla riforma del

Titolo V.

L’azione della Regione sul territorio deve configurarsi come qualificata attività d’elaborazione e di

piani rivolti ad orientare l’esercizio delle competenze di altri soggetti istituzionali ed ad

accompagnare l’attività degli altri soggetti che a vario titolo e ruolo operano per il settore istruzione

e formazione.

La Regione, posizionata al centro di una vasta rete di attori istituzionali pubblici e privati operanti

sul territorio (struttura periferica dello Stato, autonomie funzionali, comuni, soggetti sociali, etc.),

deve rappresentare un significativo punto di riferimento politico-istituzionale e progettuale sul

territorio.

Essa in funzione di questa nuova capacità politica, definisce “coerenze” sul piano regionale, sulla

base delle quali negozia soluzioni con le istituzioni nell’interesse della collettività rappresentata.

Il ruolo legislativo e programmatorio delle Regioni dovrebbe concorrere a valorizzare il più

possibile il livello di assunzione delle responsabilità delle amministrazioni territoriali locali

13. Gli ambiti di competenza delle Regioni

In questo contesto di attuazione dell’art. 117 della Costituzione va valutato l’effettivo ruolo della

Regione, sia sotto il profilo del suo potere regolatorio regionale e locale, ivi inclusa l’allocazione

delle funzioni, sia sotto il profilo della disciplina sostanziale delle materie di propria spettanza.

Inoltre, occorre considerare il ruolo delle Regioni, quali soggetti politici, non solo capaci di tradurre

in politiche attive i bisogni delle singole comunità regionali, ma anche responsabili della

costruzione del quadro giuridico nazionale, nel rigoroso rispetto del principio di unità e

indivisibilità della Repubblica.

Sulla base delle norme generali sul sistema di istruzione e dei principi fondamentali, dettate dal

legislatore nazionale, le Regioni provvedono ad adottare una propria legislazione in materia,

intervenendo con discipline organiche sul settore.

Con questa prospettiva è necessario precisare il ruolo programmatorio e/o gestionale di Regioni,

Province, Comuni e istituzioni scolastiche per prevenir conflitti, duplicazione di sedi decisionali,

ma anche per meglio definire la portata dell'autonomia scolastica, di rilevanza costituzionale.

Proprio il trasferimento di competenze in materia di istruzione a livello regionale potrà segnare un

ulteriore passo nella definizione delle competenze delle istituzioni scolastiche.

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Le competenze attribuibili alle Regioni per il settore istruzione sono riconducibili alle seguenti

aree:

• area della Programmazione dell’offerta;

• area della valutazione e controllo efficacia/efficienza;

• area dell’organizzazione e gestione;

• area di sostegno dell’autonomia scolastica.

Il governo regionale del sistema dell’Istruzione dovrebbe consentire di sviluppare funzioni

omogenee al raggiungimento di obiettivi determinati di alcuni ambiti principali:

• pianificazione, programmazione e controllo delle politiche dell’istruzione

• monitoraggio, supporto e sviluppo delle istituzioni scolastiche autonome

• gestione e amministrazione delle risorse umane e finanziarie.

Nell’ambito della Programmazione dell’offerta trovano collocazione le funzioni relative alla

rilevazione dei fabbisogni formativi del territorio, alla programmazione dello sviluppo dell’offerta

formativa, nonché la gestione dei rapporti con gli enti locali e con le istituzioni scolastiche per

l’offerta formativa territoriale integrata per l’istruzione e formazione tecnica superiore e i rapporti

scuola lavoro.

La notevole frammentazione delle attribuzioni istituzionali in ordine alle politiche educative e

formative pone l’esigenza di garantire un’adeguata integrazione dei processi programmatori sul

territorio. La Regione può garantire una visione unitaria e condivisa, una coerenza tra i diversi

contributi e la connessione tra gli indirizzi nazionali ed i bisogni espressi dal territorio.

In questo ambito confluiscono una serie di attività che richiedono un forte coordinamento:

• le relazioni con le amministrazioni statali per quanto attiene agli indirizzi sulle politiche

dell’istruzione,

• le relazioni con gli Enti, le Istituzioni locali e gli attori coinvolti nei processi programmatori,

• la programmazione degli organici del personale della scuola che tenga conto degli obiettivi

qualitativi e quantitativi emergenti dai contesti territoriali,

• la programmazione delle risorse finanziarie e la loro allocazione.

Nell’ambito della valutazione e controllo efficacia/efficienza trovano collocazione le funzioni

relative alla vigilanza sull’attuazione delle norme generali e sull’osservanza degli standard

programmati, le attività di verifica del livello d’efficienza delle istituzioni scolastiche e del grado di

realizzazione dell’offerta formativa, anche rispetto al sistema delle scuole paritarie.

In questo ambito vanno collocate tutte la attività di monitoraggio e valutazione continua degli esiti

dell’attività formativa e educativa sviluppata sul territorio dalle istituzioni scolastiche.

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Nell’ambito dell’organizzazione e gestione si collocano le funzioni di definizione a livello

regionale delle dotazioni organiche del personale docente e dell’organico funzionale di ciascuna

istituzione scolastica, nonché di assegnazione alle istituzioni scolastiche e educative delle risorse di

personale e finanziarie di programmazione e gestione delle risorse per il diritto allo studio.

In questa area confluiscono le attività che afferiscono alle competenze dei attuali uffici scolastici

regionali e provinciali statali e di quelle derivanti dall’attuazione del federalismo istituzionale,

depurate di quelle che faranno capo alle istituzioni scolastiche presso gli Istituti. Il particolare le

attività di reclutamento, gestione del rapporto di lavoro, di supporto alla gestione del personale delle

scuole, di contenzioso, di amministrazione, contabilità e rendicontazione.

Nell’ambito di sostegno dell’autonomia scolastica si collocano le funzioni relative alle attività di

supporto alle istituzioni scolastiche.

Nei servizi di sviluppo e supporto dell’autonomia scolastica rientrano le attività tradizionalmente

svolte dagli Uffici territoriali del Ministero, i supporti sviluppati in connessione con le Reti, i

consorzi e le Associazioni sul territorio, le funzioni di supporto e integrazione svolte dai Centri

Risorse, e soprattutto funzioni di servizio finora non presenti, che dovranno essere attivate a

sostegno delle istituzioni scolastiche autonome.

14. La governance del servizio scolastico

Il nuovo contesto istituzionale di funzioni e competenze postula l’esigenza di fondare l’intero

processo di attuazione del Titolo V sul principio di “leale cooperazione”, richiede di ripensare

l’impianto organizzativo e i modelli di governance sia del sistema d’istruzione che delle singole

scuole; di definire la capacità “strutturale” dell’Amministrazione di creare un quadro normativo e

regolamentare favorevole all’innovazione.

Nel nuovo quadro la scuola è chiamata ad avere come riferimento non il solo ministero e le sue

articolazioni territoriali periferiche, ma sempre più quegli enti che operano nel territorio nel quale la

scuola è ubicata.

La Regione, la provincia ed il comune, pur avendo un ruolo decisivo nella programmazione

dell’offerta formativa e nella distribuzione della rete scolastica, hanno ancora oggi rapporti “deboli”

e non di sistema con la scuola, che riguardano quasi esclusivamente l’erogazione di finanziamenti

per progetti o per interventi sulle strutture e sui servizi di supporto.

Per questo ancora oggi la scuola più che essererischia di essere percepita come settore di sviluppo, è

considerata prevalentemente come voce di spesa.

L’attuale configurazione istituzionale, ancora non ben consolidata, pone la questione delle sue

ricadute sul sistema delle relazioni con gli altri attori.

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Le nuove esigenze di governance richiedono di definire:

• gli obiettivi del sistema e conseguentemente la distribuzione delle competenze,

• le funzioni della Regione e le esigenze a cui deve rispondere e conseguentemente la sua

adeguatezza ai fini;

• la funzione amministrativa di programmazione a livello regionale.

Il nuovo assetto di sistema di governo locale deve concretizzarsi secondo alcune direttrici che

consentano ad una pluralità di soggetti istituzionali, con competenze diverse e portatori di interessi

diversi ma interdipendenti, in una dimensione non gerarchica, di pervenire a scelte condivise e di

garantirne un’applicazione conforme.

15. La governance territoriale

In questo impegno la Regione è chiamata a definire con legge modalità e strutture idonee per

esercitare le funzioni in materia d’istruzione, con riferimento alla programmazione della rete

scolastica e alla organizzazione del servizio.

Appare evidente che occorre definire le caratteristiche di una corretta cornice di governance del

sistema di istruzione, innovativa, complessa e completa. Una nuova governance che consenta il

concorso concreto e reale non solo di ciascun livello di governo ma anche la crescita di forme

collaborazione tra differenti istituzioni per favorire la costruzione di politiche pubbliche con una

strategia comune e lo sviluppo di azioni di governo coerenti, comprese quelle relative al

finanziamento del sistema di istruzione.

E’ questa infatti, la sfida più significativa che le Regioni dovranno affrontare, guidando un

processo, nel rispetto dell’autonomia degli enti territoriali e delle istituzioni scolastiche, di

partecipazione, responsabilità e progettualità coincidente con l’interesse collettivo.

C’è bisogno, infatti, di un progetto politico che sappia conciliare l’obiettivo della qualificazione

della spesa con il rilancio della scuola per corrispondere alle esigenze formative degli studenti, di

stabilizzazione del personale docente, di rafforzamento della scuola. C’è la necessità di ridare

energia e vigore al sistema scolastico, individuando obiettivi di sistema ,che non possono essere di

corto periodo, ma devono essere coerenti a livello nazionale, significativi a livello locale,

assegnabili e misurabili a livello di ciascun istituto.

Anche la rappresentanza delle componenti sociali (famiglie e studenti) con ruoli attivi negli attuali

organi di governo delle istituzioni scolastiche necessita di una profonda rivisitazione così come le

funzioni e i compiti degli organi di governo delle istituzioni scolastiche che intervengono sul

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territorio. Gli organi di governo sia interni che esterni delle istituzioni scolastiche devono assumere

l’ottica di un diverso rapporto tra scuola e i soggetti istituzionali ma anche rilanciare il ruolo

dell’autonomia funzionale delle istituzioni scolastiche.

16. Conclusione

Come emerge dal quadro sintetizzato c’è necessità di un nuovo inizio che non può che essere

inaugurato da un comune lavoro tra livello statale e livello regionale per elevare la qualità del

sistema educativo. Le molte questioni poste e che investono gli assetti istituzionali si intrecciano

con quelle del nostro sistema educativo.

Riforme ordinamentali e una nuova concezione della governance non dovrebbero oggi più essere

affrontate separatamente, come accaduto da lungo tempo, perché entrambe, avendo come obiettivi

quelli del miglioramento della performance della scuola e degli studenti rappresentano aspetti di un

unico processo riformatore che si costruisce sulla partecipazione e sulla responsabilità delle

istituzioni, dei cittadini e dei territori.

Il processo politico-istituzionale per dare attuazione al titolo V nell’ambito dell’istruzione potrebbe

rappresentare la cornice entro la quale definire e lanciare un “Piano d’azione” pluriennale per una

sua effettiva implementazione che non può essere affidata solo ad interventi normativi. Un piano

per la trasformazione degli assetti organizzativi del sistema d’istruzione, per nuove condizioni di

funzionamento organizzativo, di assunzione di responsabilità.

La sfida è quella di delineare un Sistema d’Istruzione che dovrà essere meno complicato e più

partecipato nella gestione proprio perché dovrà affrontare nuove e più complesse sfide educative.

Roma 29 settembre 2009

INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE

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D. Lgs. 30 luglio 1999, n. 286: Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di

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amministrazioni pubbliche, a norma dell’art.11 della legge 15 marzo 1997, n.57 .

D. Lgs. 30 luglio 1999, n. 300: Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’articolo 11

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Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3: Modifiche al titolo V della parte seconda della

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Legge 5 giugno 2003, n. 131: Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica

alla Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n.3.

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lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.

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RISORSE DOCUMENTALI

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Fondazione Anci ricerche: L’istruzione: il ruolo delle amministrazioni locali. Funzioni, criticità e

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Rapporto ISAE: Finanza pubblica e istituzioni. Giugno 2009

Servizio studi del Senato: Dossier maggio 2009, n. 126

Servizio studi della Camera: Dossier documentazione e ricerche n. 111/2