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Edoardo Adducci Collana diretta da Luigi Viola I patti parasociali Disciplina, giurisprudenza e clausole

I patti parasociali - torrossa.com · Prefazione Il testo affronta la disciplina dei patti parasociali come prevista a seguito della riforma del diritto societario del 2003 negli

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Edoardo Adducci

Collana diretta da Luigi Viola

I patti parasocialiDisciplina, giurisprudenza e clausole

A chi mi fa sognare

Prefazione

Il testo affronta la disciplina dei patti parasociali come prevista a seguito della riforma del diritto societario del 2003 negli artt. 2341-bis e 2341-ter C.C.

Le previsioni codicistiche vengono comparate, anche attraverso l’utilizzo di tabelle esemplificative, con la previsione in tema di patti parasociali nell’ambito delle società quotate contenute negli artt. 122, 123 del Testo Unico della Intermediazione Finanziaria.

La normativa viene accompagnata dall’illustrazione delle più rilevanti tipologie di patti parasociali adottati nella prassi: in particolare si chia-riscono le problematiche sottese, tra l’altro, ai c.d. sindacati di voto, cioè quei patti parasociali che hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano; oppure ai c.d. sindacati di blocco, ovverosia i patti che pongono limiti al trasferimento delle azioni o delle partecipazioni societarie; ai patti di consultazione ossia quegli accordi che intercorrono fra i soci i quali si impegnano a discutere insieme le materie, specificate nel patto, oggetto di voto in una prossima assemblea; o ancora ai patti di concertazione, che si concretano in quei patti che hanno per oggetto o per effetto l’esercizio, anche congiunto, di un’influenza dominante sulla società per azioni o sulle società che la controllano.

Il fulcro del discorso si incentra sull’efficacia obbligatoria dei patti parasociali, con il connesso problema dell’inopponibilità a terzi o alla società stessa.

I patti, infatti, impegnano solo i loro sottoscrittori, con la conseguenza che, nel caso in cui, ad esempio, si sia stabilito tra gli stipulanti che le partecipazioni sociali non potevano essere oggetto di vendita, l’eventuale trasferimento, in deroga al patto, sarà valido ed efficace verso il terzo acquirente e la società, mentre nei rapporti interni obbligherà il contrav-ventore al solo risarcimento del danno.

La questione dell’efficacia dei patti parasociali, come altre interessanti vicende legate al fenomeno, sono affrontate nel testo attraverso numerose esemplificazioni di casi pratici, che hanno il pregio di chiarire le molteplici applicazioni concrete della disciplina giuridica in materia.

Non mancano interessanti spunti di riflessione sui recenti scandali finanziari che hanno occupato le cronache dei giornali, ponendo alla luce un sistema di interessi finanziari occulti lesivi della posizione giuridica dei risparmiatori, ignari della situazione finanziaria reale delle società in cui riponevano la propria fiducia.

In questo senso, il legislatore è intervenuto con la Legge 262/2005 a tutela del risparmio che ha introdotto rilevanti novità in tema di governo societario, improntate ad una maggiore tutela del risparmiatore: si pensi alla nuova disciplina del reato di false comunicazioni sociali, nonché all’introduzione di una nuova fattispecie criminosa, quale l’omessa co-municazione del conflitto di interessi da parte dell’amministratore di una società con titoli quotati; ancora, la possibilità per il collegio sindacale di promuovere l’azione sociale di responsabilità a seguito di sua deliberazione assunta con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti, ecc.

Altra tematica di interessante profilo pratico, attiene alla nullità: al riguardo il testo contiene una interessante casistica giurisprudenziale sui casi di nullità dei patti parasociali, che potrà costituire un valido stru-mento di studio e di confronto sulle vicende societarie in argomento.

Nella parte conclusiva è predisposto una sorta di modello per la re-dazione di un patto parasociale, con specifiche indicazioni relative ad aspetti formali e sostanziali.

Ciò che lascia stupiti del testo in esame è che l’approfondimento giuri-dico di una tematica complessa quale la disciplina sui patti parasociali, è realizzato con una tecnica narrativa originale ed avvincente, che consente di leggere questioni di diritto societario articolate “tutte d’un fiato”, come se si leggesse un romanzo.

L’autore immagina di ritrovarsi in una libreria di testi giuridici di al-tri tempi, in cui incontra un mentore; costui, attraverso la sua passione, maturata negli anni di insegnamento universitario, riesce a trasmettergli non solo interessanti nozioni su argomenti di diritto societario, ma anche nuovi stimoli alla conoscenza.

Attraverso pagine impolverate e solitarie, chi sa farsi cullare dal fascino del diritto, riesce nei sogni a rivivere gli insegnamenti di grandi giuristi, percepisce nelle parole di un maestro le linee guida del ragionamento lo-gico-giuridico e ritrova nel proprio entusiasmo lo stimolo per uno studio vero: questo è il messaggio, che al di là del contenuto giuridico del testo, l’autore lascia ai suoi lettori, che non potranno che essergli riconoscenti. Non manca, poi, il finale a sorpresa.

Luigi Viola

prefazione

Presentazione dell’autore

Edoardo Adducci, svolge la professione di avvocato tra il Foro di Mi-lano e Roma presso la Law Firm Rinaldi e Associati nella sede di Milano. Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza presso l’Università La Sapienza di Roma, ha conseguito un master in diritto dell’economia e dell’impresa, nonché una specializzazione in diritto civile. È coautore, insieme al Dott. Carlo Filadoro, di un testo sul risarcimento del danno da fumo e di un lavoro sugli orientamenti giurisprudenziali del Tribunale civile di Roma in materia di insidia o trabocchetto e responsabilità della Pubblica Amministrazione. Recentemente ha pubblicato con la Halley Editrice il testo “I Profili legali dell’operazione di MLBO”. Attualmente è responsabile per la rivista Il Nuovo Diritto della rubrica relativa alla nuova disciplina delle società di capitali.

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IndIce

1. LA dIScIPLInA deI PATTI PARASOcIALI

L’incontro nell’antica libreria Il primo incontro sulla disciplina generale dei patti

parasociali 1.1 Collocazione nel Codice Civile, coordinamento con il

TUIF e regime transitorio 1.2 La nozione di patto parasociale e la classificazione

dei patti più rilevanti 1.2.1 I sindacati di voto 1.2.2 I sindacati di blocco 1.3 Quater sindacati di gestione 1.4 Efficacia dei patti parasociali e partecipazione di terzi 1.5 La durata dei patti parasociali 1.6 La pubblicità dei patti parasociali 1.7 Considerazioni sparse in ordine ai patti parasociali 1.8 Patti parasociali e Società a responsabilità limitata 1.9 Patti parasociali e tutela nel caso di OPA 1.9.1 Pattiparasociali eacquisizionedipartecipazioni

societarie 1.10 Patti parasociali e diritto della concorrenza 1.11 La nullità dei patti parasociali. L’eccezione di nullità 1.12 La redazione della clausola statutaria concernente i

patti parasociali 1.13 Il patto di famiglia 1.14 Gli atti di destinazione ex art. 2645-ter C.C. 1.15 Memorandum

2. LA GIURISPRUdenZA ITALIAnA In MATeRIA dI PATTI PARASOcIALI

2.1 Corte di Appello di Milano, sentenza 5 giugno 1987 2.2 Cassazione civile, Sezione I, sentenza 18 gennaio

1988, n. 326 2.3 Cassazione civile, Sezione I, sentenza 22 dicembre

1989, n. 5778 2.4 Tribunale Milano, Ordinanza 14 aprile 1989 2.5 Tribunale Milano, Ordinanza 28 marzo 1990

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pag. 23pag. 28pag. 33pag. 37pag. 38pag. 43pag. 53pag. 74pag. 79pag. 84

pag. 86pag. 86pag. 91

pag. 94pag. 96pag.102pag.105

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2.6 Corte di Appello di Roma, sentenza 24 gennaio 1991 2.7 Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 27 luglio

1994, n. 7030 2.8 Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 29 ottobre

1994, n. 8927 2.9 Corte di Cassazione, Sezione I, sentenza 20 settembre

1995, n. 9975 2.10 Tribunale Bologna, sentenza 12 dicembre 1995 2.11 Tribunale Napoli, sentenza 18 febbraio 1997 2.12 Tribunale Torino, sentenza 28 aprile 1998 2.13 Tribunale Varese, sentenza 1° marzo 1999 2.14 Tribunale Como, provvedimento 31 gennaio 2000 2.15 Cassazione civile, Sezione I, sentenza 23 novembre

2001, n. 14865 2.16 Cassazione civile, Sezione I, sentenza 21 novembre

2001, n. 14629 2.17 Tribunale Genova, Ordinanza 8 luglio 2004

3. cLAUSOLe In MATeRIA dI PATTI PARASOcIALI

3.1 Il contenuto e l’organizzazione dei patti parasociali 3.2 Altre clausole particolari rinvenibili nei patti paraso-

ciali 3.3 I mezzi per garantire l’adempimento dei patti para-

sociali Il Sogno

APPendIce

1. Codice Civile 2. TUIF 3. Regolamento Emittenti n. 11971/1999 4. Circolare dell’Agenzia del Territorio 7 agosto 2006, n. 5

Glossario

Bibliografia Indice analitico

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pag.179pag.187pag.190pag.193pag.196pag.205

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pag.223

pag.253

pag.262pag.277

pag.281pag.283pag.286pag.290

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1. La disciplina dei patti parasociali

L’incontro nell’antica libreria

Quella mattina l’udienza era fissata per mezzogiorno. Mancavano ancora tre ore alla fatidica ora. Era meglio muoversi in anticipo per evitare di arrivare tardi all’udienza e compromettere inesorabilmente (mi aspettava l’udienza di ammissione dei mezzi istruttori) le sorti della causa.La mattina era ventosa, il cielo grigio ed il traffico era intenso e stressante come del resto ogni giorno. Trovato parcheggio nelle vicinanze del Tribunale mi accingevo a percorrere la strada che conduceva nel posto che da cinque anni a questa parte mi ospitava ogni mattina. La strada era ancora bagnata per il temporale della notte precedente, vi erano delle pozzanghere e biso-gnava fare attenzione per non sporcare il vestito - bene augurante - indossato nelle grandi occasioni. Girato l’angolo si scorgeva l’ingresso del Tribunale. Le persone (avvocati, magistrati, parti e anche curiosi) già si accalcavano sulla porta. Vi era anche un giovane che distribuiva - gratuitamente - ai passanti copie di un quotidiano locale.Ad una prima occhiata sembravano tutti desiderosi di entrare. Da parte mia questo desiderio poteva ancora attendere prima di essere esaudito. Preferivo l’aria aperta, il vento e anche lo smog della città alle affollate stanze ed ai corridoi del Tribunale. Il tempo era ancora dalla mia parte. Avevo un’ora intera a disposizione. Avrei potuto fare qualsiasi cosa in quell’ora: colazione, entrare nelle librerie giuridiche prospicienti il Tribunale, comprare un quoti-diano o approfittare del servizio reso da quel giovane distributore, guardare gli autobus che passavano o bighellonare tra una vetrina e l’altra dei vicini negozi. Forse questa era la scelta più interessante. Poteva per un attimo di-stogliere la mia attenzione dalla fatidica udienza e far scemare quell’ansia che si prova quando bisogna affrontare (e discutere) un’udienza di ammissione dei mezzi istruttori. Eccomi, dunque a passeggio tra le vetrine dei negozi di un’adiacente traversa. Il mio sguardo veniva immediatamente catturato da un negozio senza insegna, con un ingresso angusto e con un’unica ve-trina nella quale erano stati esposti - in modo del tutto disordinato - una quarantina di libri giuridici. Alcuni accatastati, altri sparpagliati qua e là.

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In alcuni casi era davvero difficile scorgere il titolo del testo e dell’autore. Alcuni testi erano antichi; vi erano alcune copie del Repertorio Universale di Giurisprudenza del francese Merlin (datato 1848, era la versione tradotta in italiano, aperta nella parte relativa al contratto di permuta), un testo addirittura risalente ai tempi di Bartolo da Sassoferrato la cui paternità era di un autore che non conoscevo e altri testi più o meno nuovi di cui avevo sentito parlare all’università o che era capitato di ricercare in biblioteca quelle volte che ero impegnato a buttare giù qualche parere pro veritate per il mio studio. Non ero mai entrato in cinque anni in quel negozio, c’era qualcosa che mi frenava. Nello stesso tempo il negozio spiegava su di me una forza di attrazione impressionante. Sentivo come un richiamo, una voce che con un tono aspro e forte mi invitava ad entrare almeno una volta e che - vista la mia titubanza - mi rimproverava quasi ridendo del mio comportamento immaturo che si faceva influenzare dalle apparenze. Ormai ero di fronte alla porta di ingresso del negozio. Dovevo prendere una decisione: proseguire dritto o dare ascolto, per una volta, a questa voce interiore ed entrare nel negozio, affrontando in tal modo una mia paura e se vogliamo andando incontro (lo compresi in seguito) al mio destino. Decisi di entrare. In un attimo, quindi, mi trovavo dentro il negozio. Gli interni del negozio richia-mavano l’impostazione della vetrina. Non era molto pulito, la polvere la faceva da padrona. Dopo tutto, però, non poteva essere altrimenti. La polvere si addiceva moltissimo ai libri ospitati da quella piccola ed angusta libreria. Vi erano collezioni di leggi di qualche Stato del seicento italiano, ancora dei libri di Baldo degli Ubaldi, di alcuni giuristi francesi e tedeschi. Una parte della libreria ospitava dei testi di istituzioni di diritto romano e commentari anche alle Intitutiones dell’Imperatore Giustiniano. Il pavimento era in legno, forse un legno antico e pregiato. Lo stesso per il soffitto (era fatto a travi di legno). Le pareti erano di un bianco tendente al giallo ed i due muri che conducevano ad una libreria a muro - posta di fronte alla porta di ingresso - erano tappezzati di fotografie o, meglio, incisioni di giuristi del passato (soprattutto medievali). C’erano davvero tutti, anche Dante Alighieri. Gli scaffali di quella libreria erano forniti con libri più o meno nuovi. Devo dire che la libreria non era poi così male, soprattutto per chi come me amava questi grandi personaggi del passato che avevano fatto la storia del diritto e che rappresentavano un nostro patrimonio comune del quale non potevamo assolutamente non tener conto e non potevamo trascurare e dimenticare. La libreria sembrava vuota. Non c’era nessuno al suo interno. Non era neppure stata posta dal titolare sulla porta di ingresso una campana o quanto altro per avvertire della presenza della clientela. Non avevo mai visto nessuno entrare in questa antica libreria. Dentro di me pensai, sorridendo, di essere

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il primo. Giravano strane storie sul titolare. Le persone preferivano starne alla larga. Ogni tanto nei corridoi del Tribunale si sentivano dei racconti su questo strano personaggio, soprattutto dagli avvocati più anziani, che avevano avuto modo di conoscerlo. Le storie erano molteplici, ma tutte avevano il medesimo comune denominatore. Si trattava di un ex studioso di materie commerciali, diciamo un cultore della materia, soprattutto del diritto socie-tario. Da giovane era stato avvocato, poi magistrato ed alcuni vociferavano anche notaio. Meno di una trentina di anni fa era stato titolare - in non so quale università del sud Italia - di una cattedra di diritto commerciale. Aveva mantenuto questo insegnamento per due anni e aveva anche pubbli-cato degli estratti delle sue lezioni con una famosa casa editrice italiana. Insomma una persona preparata, che amava il suo lavoro. L’insegnamento, però, era stato sempre il suo chiodo fisso, il suo pallino; adorava insegnare ai suoi studenti. Le sue lezioni erano molto particolari. Agli studenti preferiva trasferire, più che il freddo dato teorico della materia insegnata, l’aspetto pratico della stessa, richiamando l’attenzione degli studenti su casi pratici, casi di scuola o realmente accaduti, invitandoli a non perdere mai di vista la realtà pratica, anche e soprattutto nello studio delle materie giuridiche, così come nella vita quotidiana. L’invitava sempre a ragionare e a riflettere e a porsi in modo dinamico di fronte ad un argomento giuridico. Gli studenti lo amavano. Ciò era dovuto essenzialmente a questa ventata di novità che aveva portato nell’insegnamento del diritto, ma anche al suo modo di fare, che era schietto, sincero e duro quando occorreva.Accadde, però, che un giorno di settembre, alcuni giorni prima della ripresa dell’anno accademico, le cose cambiarono. Il rettore di quell’università, giunte voci sul suo modo non tradizionale di insegnare le materie giuridiche e venuto a conoscenza che i suoi studenti avevano anche creato un circolo giuridico - quindi un luogo parallelo all’università - in cui incontrarsi dopo le lezioni per discorrere di diritto, scambiare idee ed opinioni e confrontarsi con degli scritti su alcune tematiche, decise di allontanare questo professore.Il rettore lo allontanò con questa giustificazione: “Era meglio allontanare un professore, per noi sostituibile, che foraggiare un movimento segreto, parallelo all’università, che sicuramente avrebbe portato con sé dei problemi di ordine e di discredito della istituzione pubblica”.Questo episodio incise fortemente e negativamente sulla personalità del Professore. Seguiva un periodo di isolamento, anche professionale. Da quel giorno in avanti non volle più avere rapporti con la realtà. Avendo ereditato da un lontano parente un piccolo negozio al centro di questa città decideva di aprire una piccola libreria giuridica. La libreria non era però stata aperta con spirito imprenditoriale. Sembrava più un piccolo museo, uno specchio della sua persona, un voto a tutte quelle cose materiali e non che avevano

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caratterizzato la sua vita. Dentro il negozio ogni oggetto ricordava qualco-sa della vita trascorsa e per quanto ne era attaccato preferiva che nessuno entrasse nel suo negozio per acquistarla.Con questi racconti nella mente mi aggiravo per la libreria, con il fare di chi è intento a scovare un pezzo raro della collezione giuridica esposta da acquistare, magari facendo un buon affare. A quel punto, tra due pile di libri accatastati uno sopra l’altro, scorgevo un piccolo manuale, scritto a mano, sui patti parasociali. I patti parasociali rappresentavano per me una materia affascinante, che avevo avuto modo di approfondire ad un corso seguito fuori della mia città e che avevo avuto la fortuna di incontrare sva-riate volte nel corso della professione di avvocato. Ovviamente ne volevo sapere di più. Attratto da quel libro non esitai a prenderlo con attenzione e cura nelle mie mani ed aprirlo. Il testo, in una scrittura in corsivo quasi perfetta, riportava il contenuto di una serie di lezioni tenute dal Professore nell’anno accademico 1969/1970 della cattedra di diritto commerciale. Il testo a prima vista sembrava interessantissimo. L’impostazione era come piaceva a me: essenziale, poca teoria e molta pratica. Un libro che sembrava attuale, nonostante fosse stato scritto più di trenta anni fa. L’esplicazione della disciplina dei patti parasociali era strutturata in casi pratici. Nulla di più esaltante per me e per il mio modo di vedere le cose, soprattutto nel campo del diritto. Lo scritto sembrava avvincente. Pagina dopo pagina faceva crescere la voglia di leggerlo e di giungere alla fine. Lo stile era impeccabile. Non nascondo che mi sarebbe piaciuto scrivere anche a me in quel modo. Lo stato di eccitamento del momento si trasformò nella voglia di avere a tutti i costi quel manoscritto. Ma come fare? Nel negozio non c’era nessuno e per di più nella quarta di copertina non era riportato neppure il prezzo di vendita dello stesso. Non solo. Sentite le storie su questa persona come avrei fatto a chiedere di vendermi questo libro? Non volevo allontanarmi da questo testo e dentro di me pensavo a qualche escamotage per farlo mio anche a tutti i costi. Non nascondo che sarei arrivato anche a rubarlo. Fortunatamente le cose si rivelarono più semplici di quanto andavo immaginando nella mia mente. Mi trovavo di spalle alla libreria, fronte alla porta di ingresso. Sopra di me una scala a chiocciola a cui non avevo prestato alcuna attenzione al momento del mio ingresso nella libreria. Proseguii a leggere il manoscritto e giunto alla terza riga della terza pagina dell’introduzione udii una voce di un uomo che, ovviamente riferendosi a me (ero l’unica persona in quel locale), mi gelò completamente il sangue e mi disorientò completamente. “Ragazzo, noto che sei interessato a quel testo sui patti parasociali. È uno dei libri a cui sono più affezionato e a cui tengo di più; rappresenta una parte della mia vita e lo considero quasi un testamento, un immagine di me stesso.”

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Cercando di superare il momento di sorpresa e facendo un grosso respiro per recuperare la calma, salutai l’anziano Professore con un classico buongiorno e, poi, esclamai: “Si è vero. Devo dire che mi sento come attratto da questo libro. C’è qualcosa al suo interno che mi avvince, che mi incita a leggerlo, a finirlo tutto di un fiato. Non solo. Sento questo testo molto vicino al mio modo di vedere le cose; ha un approccio alla materia estremamente pratico e non teorico. Un modo di porsi dinamico e non statico”.Il Professore, dopo un momento di riflessione e di pausa, aggiunse: “Sai che così a prima vista, mi ricordi molto quando ero giovane, quando ero pronto a tutto - cambiando il tono di voce - anche a sottrarre un manoscritto da una libreria senza il consenso del suo titolare e a battermi per far valere le mie idee, anche se non condivise dagli altri”. Ed io a lui, pensando dentro di me per un attimo come diavolo aveva fatto a comprendere le mie intenzioni riguardo quel libro, “Ho sentito molte storie su di lei ed ho sempre esitato ad entrare in questo negozio. Questo libro mi da la conferma che non bisogna mai fermarsi alle apparenze”.L’anziano Professore all’improvviso - venendomi incontro - mi disse “Quel libro non posso proprio venderlo, sarebbe come privarmi di una parte del mio corpo. Ma se hai interesse credo di poter fare per te qualcosa di dav-vero speciale”. Mi fissava con i suoi occhi, cercando nel mio volto un cenno di consenso, che non tardò ad arrivare. E lui: “Bene!!! Vorrei ricreare con te quella magia, quell’incantesimo che avevo instaurato con i miei studenti dell’università più di trent’anni orsono. Ripercorrere la disciplina dei patti parasociali, lo stato e l’evoluzione della giurisprudenza più rilevante in ma-teria e, da ultimo, una disamina di quelle che sono le clausole più rilevanti che possono essere rinvenute nei contratti parasociali. Ovviamente tu puoi farmi tutte le domande che vuoi. Siamo qui per crescere insieme. È vero che sono io che ti sto trasferendo delle conoscenze, ma sei importante anche tu, che con le tue domande e con la tua attiva partecipazione puoi accendere un proficuo dibattito che può far crescere ancora di più entrambi. Che ne pensi? Ti interessa? Ovviamente possiamo incontrarci qui da me senza problemi, due - tre volte alla settimana (quando vogliamo noi) e discorrere praticamente di patti parasociali”. Non aveva ancora finito la sua frase che da parte mia avevo già deciso. Sentivo del feeling con questa persona, come se la conoscessi da molti anni. La mia risposta, dunque fu: “Certamente. Sono pronto. Mi dica Lei quando preferisce iniziare”.Il Professore, quasi incredulo per la mia pronta e risoluta risposta, replicò: “Anche subito ragazzo o nel tardo pomeriggio verso le sei - sei e mezza”.Questo pomeriggio per me andava benissimo. Lo comunicai subito al mio interlocutore, il quale con gli occhi brillanti e quasi stregati mi licenziò con un secco “Allora a dopo”. Da parte mia lo salutai, riponendo attentamente

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dove l’avevo scovato il manoscritto sui patti parasociali. Uscii dal negozio. Nel frattempo si era affacciato un pallido e timido sole. Mi sentivo bene. Avevo di fronte a me la possibilità di prendere parte ad un’esperienza positiva, un’esperienza (meglio un viaggio) che mi avrebbe sicuramente giovato e fatto crescere non solo professionalmente. Iniziai a fantasticare su come si sarebbero svolti i nostri incontri. Il suono improvviso di un antifurto proveniente da un appartamento prospiciente la strada mi riportò alla realtà. Mancavano dieci minuti a mezzogiorno mi dovevo affrettare, avevo l’udienza.

Il primo incontro sulla disciplina generale dei patti parasociali

Quel pomeriggio mi sentivo come un bambino che stava aspettando l’ora di ricreazione per uscire fuori, all’aperto, e giocare liberamente e spensie-ratamente con i suoi compagni. Le ore, però, non passavano mai. Ancora una volta, cercai di rappresentare nella mia mente come potevano essere questi incontri, se potevo interrompere il mio mentore, se dovevo ascoltarlo e basta, se potevo chiedergli dei consigli pratici e, addirittura, mi doman-davo se potevo chiedergli qualcosa in più sulla sua vita privata. Finalmente le sei. Uscii da studio in fretta e furia e mi diressi, quasi in uno stato di incoscienza, con il mio ciclomotore verso l’antica libreria. Alle sei e mezza spaccate entravo nel negozio. Lui mi aspettava alla scrivania posta in fondo al locale, con una luce accesa, due sedie vicino, alcuni appunti, il fatidico libro e qualche foglio di carta con delle penne e alcune matite. Mi fece un cenno con la mano, invitandomi ad entrare e a prendere posto. Una volta seduto, così come per creare un certo ambiente conviviale, chiesi come stava. A quella domanda non ebbi alcuna risposta. Seguirono tre o quattro minuti di silenzio e all’improvviso, come un attore che alla prima deve pronunciare le prime battute del copione e che deve combattere anche con una naturale emozione, ruppe il silenzio con una schiarita di voce. A questa seguirono alcuni gesti con le mani (si tolse anche l’orologio che ripose nel cassetto). A prima vista il tutto sembrava senza senso, ma poi capii che era un rito, un vero e proprio rituale di concentrazione. Dopo qualche secondo, iniziò a parlare “Ovviamente sai che qualche tempo fa è entrata in vigore la riforma del diritto societario e che questa è venuta a toccare anche i patti parasociali, permettendone - per la prima volta - il loro ingresso nel nostro C.C.”. Risposi con un cenno di approvazione. “Bene” replicò il Professore. “Non dobbiamo partire da troppo lontano. Iniziamo con qualche notazione di carattere generale”.

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E iniziò quello che almeno durante il primo incontro sembrò più un suo monologo che un dialogo o, come aveva detto, uno scambio reciproco di idee e considerazioni. A me andava bene comunque.

1.1 collocazione nel codice civile, coordinamento con il TUIF e regime transitorio

Collocazione sistematicaLa nuova disciplina in materia di patti parasociali, introdotta con la

riforma delle società di capitali, è contenuta negli articoli 2341-bis e 2341-ter C.C. Tali articoli disciplinano i patti parasociali, ma, soprattutto, hanno un occhio di riguardo per ciò che riguarda la classificazione dei patti parasociali “rilevanti”, la loro durata e la pubblicità cui sono soggetti.

La riforma interviene su una lacuna normativa, che ha dato luogo a lunghe discussioni in sede dottrinale e non solo, e che doveva essere colmata in modo da rendere più trasparenti i rapporti fra i soci ed evitare che le compagini sociali fossero “ingessate” da patti di durata e dimensioni illimitate. Come è noto, la nuova disciplina è stata quasi integralmente mutuata dal Testo Unico della Intermediazione Finanziaria, (TUIF), anche se non mancano delle innovazioni, che rendono più efficiente la disci-plina dei patti parasociali. Non a caso, gli articoli 122 e 123 del TUIF, anche in questo delicato settore, colmando una grave lacuna, dettano la disciplina dei patti parasociali ed, in particolare, dettano alcune norme in merito alla loro durata e al diritto di recesso in caso di patti stipulati a tempo indeterminato.

Coordinamento tra C.C. e TUIFIl problema del coordinamento tra norma del C.C. e norma del TUIF

è stato risolto dal Legislatore delegato solo in un secondo momento ri-spetto all’introduzione della riforma delle società di capitali, come noto intervenuta nel gennaio del 2004 con l’entrata in vigore definitiva del corpo di norme di cui al D.Lgs. n. 6/2003.

Non era, infatti, ben chiaro agli interpreti se la disciplina codicistica dovesse applicarsi anche alle società con azioni quotate nei mercati re-golamentati.

A ciò si aggiunga la definizione fornita dall’art. 2325-bis, comma 1 C.C. che specifica che la famiglia delle Società per azioni è composta da

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due generi: da un lato, quello della Società per azioni chiusa e, dall’altro, quello della Società per azioni aperta (o, più precisamente, della Società per azioni che fa ricorso al mercato del capitale di rischio). E che a sua volta, il genus delle società aperte si compone di due specie:a) le Società per azioni con azioni quotate in mercati regolamentati,b) le Società con azioni diffuse tra il pubblico in misura rilevante.

Non solo.Poco chiaro era anche il comma 2 di quella norma che sanciva espres-

samente che: «le norme di questo titolo si applicano alle società per azioni quotate in mercati regolamentati in quanto non sia diversamente disposto da altre norme di questo codice o di leggi speciali».

Questa intricata impostazione, che dava luogo ad un ginepraio di questioni, è stato risolto dal Legislatore con una norma (contenuta nel D.Lgs. n. 34/2004), che è stata trapiantata nel tessuto di cui all’art. 122 del TUIF. Più segnatamente, è stato aggiunto a tale articolo un ultimo comma che stabilisce espressamente che ai patti parasociali disciplinati in quella sede (cioè quelli relativi alle società quotate) non è applicabile la disciplina codicistica, ovverosia non sono applicabili gli artt. 2341-bis e ter C.C.

Pertanto, alla luce di quanto statuito dalla norma, le società c.d. quotate sono disciplinate in materia di patti parasociali dalle norme del TUIF, mentre le società con azionariato diffuso e quelle comuni (le S.p.A. chiuse) dalla nuova normativa del C.C.

Qui di seguito, si riporta una tabella esemplificativa che fissa il dato normativo a seconda che si discorra di società quotate o Società per azioni chiuse o i cui titoli sono diffusi tra il pubblico in misura rilevante:

Patti parasocialiTUIF Codice Civile

Normativa:- Articoli 122 e 123 del TUIF.- Delibera CONSOB 14 maggio 1999, n.

11971.- Delibera CONSOB 17 luglio 2001, n.

13198.

Normativa:- Legge 3 ottobre 2001, n. 366 (art. 4, com-

ma 7)- Articoli 2341-bis e ter C.C.

Quanto appena riferito può essere chiarito anche con l’impostazione di un caso pratico. Abbiamo due soci, Mevio e Filano, della Società per azioni Beta, società i cui titoli sono negoziati in un mercato regolamen-tato italiano (una cd. società quotata) che stipulano un patto parasociale

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avente ad oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie di Beta secondo una linea comune stabilita in quello stesso patto. Detto patto viene dai soci pubblicizzato secondo le modalità previste dall’art. 122 del TUIF (modalità che inseguito avremo modo di analizzare). L’assemblea dei soci, con il voto determinante dei soci Mevio e Filano viene ad adottare una deliberazione, permettendo ai parasoci di realizzare ciò che avevano pattuito nel patto parasociale. Un altro socio, Tizio, avuta conoscenza dell’esistenza di detto patto impugna - ai sensi e per gli effetti dell’art. 2377 C.C. - la deliberazione adottata dalla società avanti al Tribunale competente, lamentando che la stessa è stata presa in violazione di norme di legge, in particolare i due soci, Mevio e Filano, non avrebbero rispettato in apertura di assemblea l’obbligo di dichiara-re l’esistenza del patto parasociale sottoscritto così come espressamente previsto dall’art. 2341-ter C.C. In particolare, Tizio riteneva che a tale obbligo erano tenuti anche i soci di una società quotata in borsa, stante il richiamo contenuto nell’art. 2325-bis C.C. Il Tribunale si determina nel senso di rigettare la domanda di Tizio rilevando che l’art. 122, comma 5-bis, TUIF (introdotto con il D.Lgs. n. 34/2004) stabilisce espressamente che ai patti parasociali «aventi per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate» non si applicano i nuovi articoli 2341-bis e ter del C.C.

La deliberazione assembleare, pertanto, è salva, avendo Mevio e Filano adempiuto agli obblighi pubblicitari cui erano tenuti, ovverosia quelli previsti dall’art. 122, comma 1, TUIF.

Il regime transitorioQuanto al regime transitorio, va detto che la norma a cui fare rife-

rimento si trova all’interno delle disposizioni di attuazione del C.C. ed è rappresentata dall’art. 223-vicies semel a norma del quale «il limite di cinque anni previsto dall’art. 2341-bis si applica ai patti parasociali stipulati prima del 1° gennaio 2004 e decorre dalla medesima data».

Ciò significa che i patti parasociali (ma solo ed esclusivamente quelli che rientrano nella classificazione riportata nell’art. 2341-bis C.C., re-standone esclusi gli altri) che non prevedono un termine di durata sono destinati a scadere nel 2009. Per facilità di comprensione si precisa, an-cora una volta, che la riforma del diritto societario è entrata in vigore il 1° gennaio 2004.

Fino a questo momento era tutto chiaro. Era partito dalla collocazione siste-matica dei patti parasociali nell’impianto codicistico e nel TUIF e ne aveva

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esposto brevemente - per quello che davvero interessa a livello pratico - il coordinamento tra C.C. e Legge speciale. A questo aggiungeva poi che, sebbene fosse apprezzabile il coordinamento con il TUIF, intervenuto nel febbraio del 2004, avrebbe potuto rivelarsi un grave errore (da parte del Legislatore) non sottoporre alle norme in materia di intermediazione finanziaria anche alcune delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, ed, in particolare, le società che emettono obbligazioni, che di fatto non sono quotate su mercati regolamentati, ma, e si veda ad esempio il caso Cirio, possono dare vita, potenzialmente, ai medesimi problemi.Da parte mia iniziavo a tirare le prime somme e a mettere da parte alcuni concetti, che sarebbero stati certamente utili man mano che si procedeva con i nostri incontri. In particolare, quello secondo cui le società c.d. quotate sono disciplinate in materia di patti parasociali dalle norme del TUIF, men-tre le società con azionariato diffuso e quelle chiuse o comuni dalla nuova normativa prevista dal C.C. Fissati questi concetti mi rivolsi a lui chiedendo alcune specificazioni su queste società i cui titoli sono diffusi tra il pubblico in misura rilevante. Il Professore rispondeva tranquillamente richiamando il primo comma dell’art. 2325-bis C.C. e riferendo dell’esistenza di una Delibera CONSOB n. 14372 del 23 dicembre 2003, che era intervenuta a modificare il Regolamento emittenti, definendo esattamente cosa dovesse intendersi per società i cui strumenti finanziari sono diffusi fra il pubblico in misura rilevante. In particolare, a norma di tale documento, sono tali gli emittenti italiani i quali, contestualmente:a) abbiano azionisti diversi dai soci di controllo in numero superiore a

200 che detengano complessivamente una percentuale di capitale sociale almeno pari al 5%;

b) non abbiano la possibilità di redigere il bilancio in forma abbreviata ai sensi dell’art. 2435-bis, comma 1 C.C.

Mi invitava, infine, a dare uno sguardo al Regolamento Emittenti e a visitare il sito dell’autorità di vigilanza la CONSOB, ove nella sezione normativa e non solo anche quella relativa agli emittenti potevano essere reperite molte altre informazioni sui patti parasociali compresi estratti di patti depositati dalle società quotate. Mi ero ripromesso di tornare a casa e come compito di visitare questo sito web e di estrapolare le informazioni che mi interessava approfondire.Ma il nostro incontro non era certo finito qui. Mi aspettava il primo caso, un caso naturalmente di carattere generale, introduttivo sui patti parasociali concernente la nozione di patto parasociale e una classificazione dei patti parasociali più rilevanti con relativa definizione delle caratteristiche salienti a seconda della loro collocazione nel C.C. e nel TUIF. Queste informazioni mi sarebbero tornate molto utili in seguito quando saremmo entrati nel vivo della disciplina dei patti parasociali.

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1.2 La nozione di patto parasociale e la classifica-zione dei patti più rilevanti

Il Professore iniziava con l’impostazione del casoAlcuni soci della società - Alfa S.p.A. - si recavano da un loro con-

sulente di fiducia per avere alcune informazioni generali in materia di patti parasociali e, soprattutto, per conoscere quali sono nella pratica le tipologie di patti parasociali più adottati e quali sono i loro tratti essen-ziali e le loro finalità.

Il tutto in ottica di una loro volontà di fare uso nell’immediato futuro di detto strumento giuridico per regolamentare, su di un piano extra sociale, i loro rapporti in società.

Secondo il consulente, sebbene possa sembrare un esercizio puramente teorico, in molti casi il dato definitorio assume un grosso valore e aiuta nella comprensione delle problematiche sottese ad una fattispecie; infatti, una corretta definizione di una determinata fattispecie giuridica identifica conseguentemente anche l’ambito legislativo in cui ci si deve muovere e dovrebbe chiarire anche quali sono le norme applicabili, nonché permette di capire quali sono le problematiche più rilevanti.

Discorrendo più in gergale, i patti parasociali sono quei patti, in qua-lunque forma stipulati, che intercorrono fra tutti i soci o fra gruppi di essi, di maggioranza o minoranza che siano, che sono destinati a regolare il futuro comportamento degli aderenti al patto durante lo svolgimento della vita della società, al fine di tutelare più proficuamente i propri interessi, di sopperire a lacune e deficienze della legislazione, nonché, infine, per adeguarsi a sopravvenute ed effettive esigenze della pratica societaria.

I patti parasociali possono essere diretti, a puro titolo esemplificativo, tanto a stabilire la linea di voto da manifestare in assemblea dei soci, quanto la nomina di uno o più amministratori o la riconferma degli amministratori alla scadenza del loro incarico o, ancora ad evitare il trasferimento delle partecipazioni sociali per un determinato periodo di tempo.

Nella pratica si possono riscontrare una variegata tipologia di patti parasociali; in particolare è possibile riscontrare:a) i sindacati azionari, i c.d. sindacati di voto, e cioè quei patti parasociali

che hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano, il cui obiettivo primario è quello di dotare di una certa stabilità il governo della società di cui fanno parte i partecipanti al patto. Riguardo a detti patti si è discusso molto in dottrina e giurisprudenza riguardo la loro validità, stante

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lo svuotamento delle funzioni assembleari o consiliari, ma di questo argomento discorreremo più avanti nel capitolo 2;

b) i sindacati di blocco, ovverosia i patti che pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che la controllano. Gli obiettivi principali a cui è diretto il sindacato di blocco possono essere riassunti:- nell’ottimizzazione del valore della partecipazione sociale,- nel rafforzamento del sindacato di voto,- nel rafforzamento del gruppo di appartenenza;

c) i patti parasociali relativi agli utili e alle perdite sono quei patti che prevedono criteri di ripartizione degli utili o delle perdite differenti da quelli stabiliti nell’atto costitutivo o nello statuto sociale, e sono patti tesi a stabilire la ripartizione degli utili o delle perdite spesso conclusi per invogliare gli investitori;

d) i patti parasociali di garanzia degli utili;e) i patti parasociali modificativi del regime di responsabilità dei soci,

ovverosia convenzioni mediante le quali alcuni soci assumono la re-sponsabilità illimitata per tutte le obbligazioni presenti e future della società di capitali;

f) i patti parasociali relativi al finanziamento della società;g) i patti di consultazione ossia quegli accordi che intercorrono fra i soci

i quali si impegnano a discutere insieme le materie, specificate nel patto, oggetto di voto in una prossima assemblea;

h) i patti di concertazione, che si concretano in quei patti che hanno per oggetto o per effetto l’esercizio, anche congiunto, di una influenza dominante sulla società per azioni o sulle società che la controllano.Attraverso i patti parasociali i soci dispongono dei diritti che derivano

dall’atto costitutivo e dallo statuto. In particolare, i partecipanti al patto si impegnano reciprocamente, attraverso una minuziosa previsione di clausole, ad esercitare tali diritti in un modo predeterminato.

I patti parasociali sono realizzati, spesso, recando una serie di clausole minuziose e specifiche ed, in alcuni casi, hanno una vera e propria forma contrattuale; ciò è dimostrato anche dal fatto che, non di rado vengono inserite clausole che stabiliscono penali per il ritardo o per l’inadempi-mento di un aderente al patto, che prevedono i criteri per stabilire se una parte sia stata inadempiente o meno, provvedendo una liquidazione forfetaria del danno.

Dunque i patti parasociali sono diretti a fornire una disciplina esau-stiva e completa di ogni profilo che potrebbe venire ad interessare i par-tecipanti al patto. Nulla viene lasciato al caso. Gli aderenti disciplinano

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tutte le evenienze e le possibilità di modo che è ben possibile affermare con tutta franchezza di essere di fronte ad organizzazioni nell’organiz-zazione, intendendosi per tale una specifica organizzazione all’interno della società.

I patti parasociali possono essere stipulati tra i soci, ma possono anche intercorrere tra i soci e terzi. Tale ultima ipotesi non sembra vietata dal dato positivo ed è stata avallata in passato anche dalla CONSOB1.

Il nuovo art. 2341-bis C.C. ha il merito di fornire una classificazione di massima dei patti parasociali; tuttavia, lascia perplessi il fatto che ai sensi della nuova disposizione siano considerati patti parasociali solo ed esclusivamente quei patti che sono in grado di incidere sugli assetti proprietari o sul governo della società.

In particolare, viene da chiedersi se tale restrizione del campo è da imputare ad una dimenticanza del Legislatore della riforma (a cui, co-munque, il Legislatore non ha ritenuto di dover mettere mano nei suoi successivi interventi normativi) oppure risponde ad un chiaro intento del Legislatore diretto a dare soluzione a tutta una serie di problemi pratici che derivavano dal far rientrare o meno determinati accordi all’interno della famiglia dei patti parasociali e renderli soggetti, conseguentemente, alla relativa disciplina. Per quello che diremo più avanti sembra preferibile propendere per la seconda delle due soluzioni.

Patti parasociali rilevanti e confronto C.C. - TUIFI patti parasociali rilevanti, in qualunque forma stipulati, sono, ai sensi

e per gli effetti dell’art. 2341-bis C.C., suddivisi in tre distinte categorie a seconda che:1) abbiano per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle Società per

azioni o nelle società che le controllano,2) pongano limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipa-

zioni in società che le controllano,3) abbiano per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di una

influenza dominante su tali società.Interessante il confronto con la norma di cui all’art. 122 del TUIF al

fine di porne in risalto l’impostazione e le eventuali differenze (per l’espli-cazione delle quali il Professore mi rimandava ai successivi incontri).

Per il TUIF rilevano quei patti aventi ad oggetto:

1) Comunicazione Consob del 18 aprile 2000, n. 29486, quesito concernente l’ambito di applicazione della disciplina dei patti parasociali di cui all’artt. 122 e 123 del Testo Unico della Finanza con particolare riferimento agli accordi di lock-up.

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1) l’esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che le controllano (società che possono essere anche non quo-tate),

2) l’istituzione di obblighi di preventiva consultazione per l’esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che le controllano,

3) l’introduzione di limiti al trasferimento delle relative azioni o di stru-menti finanziari che attribuiscono diritti di acquisto o di sottoscrizione delle stesse,

4) la previsione di acquisto delle azioni,5) l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali società.

Si propone, qui di seguito, una tabella che raffronta le due norme utile per vedere, a colpo d’occhio, le differenze che caratterizzano i due sistemi:

Patti parasocialiTUIF Codice civile

Oggetto:- Esercizio del diritto di voto nelle società

con azioni quotate e nelle società che le controllano,

- istituzione di obblighi di preventiva consultazione per l’esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che le controllano,

- introduzione di limiti al trasferimento delle relative azioni o di strumenti finan-ziari che attribuiscono diritti di acquisto o di sottoscrizione delle stesse,

- previsione di acquisto delle azioni,- esercizio anche congiunto di un’influen-

za dominante su tali società.

Oggetto:- Esercizio del diritto di voto nelle S.p.A. o

in quelle che su di esse esercitano attività di direzione e coordinamento,

- limitazioni al trasferimento delle azioni delle stesse società o delle loro control-lanti,

- esercizio anche congiunto di un’influen-za dominante su tali società.

Il primo incontro si era concluso con questa panoramica generale sui patti parasociali. Le nozioni apprese per me rilevanti erano essenzialmente due. La prima che i patti parasociali possono essere diretti, oltre alle ipotesi già indicate in precedenza, alla nomina di uno o più amministratori o ancora ad assicurare che nessuno degli azionisti esprima voto favorevole per la modificazione delle clausole contenute nell’atto costitutivo e statuto sociale, o ancora votare a favore di un aumento di capitale sociale senza che vi sia

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stato il preventivo accordo di tutti i soggetti partecipanti al patto o, infine, contenere la previsione che alcuno degli azionisti si impegni a non richiedere il rimborso di alcuni finanziamenti effettuati a favore della società se non in determinate e specifiche circostanze.La seconda (ma era più una mia personale riflessione, non avendola il Pro-fessore toccata) quali fossero gli aspetti positivi e negativi dell’utilizzo dei patti parasociali. Il principale vantaggio dei patti parasociali, a mio modo di pensare, è che le pattuizioni in esso contenute non possono essere modi-ficate da coloro che rappresentano la maggioranza del capitale sociale o da una apposita deliberazione assembleare (ciò per la ragione principale che il patto parasociale indice su di un piano parallelo, dunque differente rispetto a quello della società). Il tutto chiaramente a vantaggio delle minoranze azionarie partecipanti al patto, che tramite questo possono godere un in-cremento della intensità della loro voce.Da questo punto di vista viene fuori una differenza evidente con le pattui-zioni contenute nello statuto e nell’atto costitutivo: queste, a differenza del patto parasociale, possono subire un colpo da parte della maggioranza (si pensi gli effetti dell’esercizio del diritto di voto in sede assembleare da parte di un socio che ha il controllo della società).Per contro uno svantaggio rilevante è quello dell’efficacia dei patti parasociali (si veda per un approfondimento il successivo paragrafo); infatti, quello che accade è che il patto parasociale, oltre a non estendere i suoi effetti sulla società, non produce gli stessi anche nei confronti di coloro che non sono parti immediate dello stesso, ovverosia quelli che non lo hanno sottoscritto. Si pensi al caso di un soggetto che entri nella compagine sociale dopo la sottoscrizione dello stesso da parte dei precedenti soci (tra cui rientra anche il soggetto che ha alienato allo stesso la sua partecipazione sociale). Nel caso in cui sia previsto - da un’apposita e specifica clausola - che detto patto produca effetti anche nei confronti di questo soggetto, il patto non potrà essere comunque opposto allo stesso, e quest’ultimo non sarà minimamente obbligato a rispettare quanto pattuito al suo interno, dal momento che la semplice cessione della partecipazione sociale da parte del socio aderente ad un patto parasociale non comporta il trasferimento degli obblighi parasociali nascenti da quest’ultimo negozio in capo al cessionario della partecipazione. Si manifestano, pertanto, non pochi dubbi sulla liceità di codesta pattuizione. La stessa sembrerebbe in aperto contrasto con il principio di relatività del contratto (art. 1372 C.C.).Tutt’al più potrebbe essere inserita all’interno del patto parasociale una clausola che preveda l’impegno da parte del socio uscente di procurare il consenso dell’acquirente alla partecipazione al patto. Questa clausola rientra nello schema di cui all’art. 1380 C.C. Promessa di obbligazione o del fatto

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del terzo. La conseguenza immediata e diretta di questo patto sarà che se il terzo rifiuta di obbligarsi colui che ha promesso è tenuto a indennizzare l’altro o gli altri contraenti.Il secondo incontro sarebbe stato sicuramente più impegnativo del primo. Infatti, più si entrava nel vivo della materia e più le tematiche e gli incontri divenivano impegnativi. Un dato era comunque certo: l’impostazione data dal Professore alle lezioni ne limitava fortemente il peso e questo renderle interessanti - attraverso l’impostazione e la soluzione di casi pratici - acce-lerava il passare del tempo. Avremmo dovuto trattare due tematiche molto delicate e rilevanti. La prima, quella dell’efficacia dei patti parasociali, te-matica questa necessaria per una loro corretta comprensione; la seconda l’approfondimento del problema - toccato nel primo incontro - se al patto parasociale potevano partecipare altri soggetti non soci o la società stessa. L’esigenza di approfondimento di quest’ultima tematica era venuta fuori da una mia precedente domanda ed ad una mia personale curiosità, stante l’elevato valore pratico della questione.Tornato a casa sentii che la mia giornata “di apprendimento” non era ancora volta al termine, ero ancora eccitato per l’incontro e avevo energie da spen-dere. La stanchezza non era minimamente la mia preoccupazione. Dentro di me pensavo: “ho tutta la vita per riposarmi, questo è il momento di dare il massimo”. Il Professore aveva parlato di sindacati di voto, di blocco e di sindacati di gestione. Ne volevo sapere di più. Decisi di approfondire queste tematiche su alcuni testi e su del materiale didattico che mi avevano fornito gli organizzatori di un recente convegno sui patti parasociali al quale avevo attivamente partecipato. Ricordai di avere anche un quaderno dove potevo estrapolare delle informazioni che mi sarebbero state certamente utili. Lo cercai disperatamente, la copertina era blu e l’interno a quadretti. Nulla. Sembrava svanito nel nulla. Dopo una ricerca durata più di mezz’ora lo trovai nascosto, impolverato, in uno scatolone contenente fogli, quaderni e appunti risalenti al periodo universitario. Reperito il quaderno ero, dunque pronto per questo mio personale approfondimento.

1.2.1 i sindacati di voto

Con il sindacato di voto una pluralità di soci predetermina, a titolo obbligatorio ed in conformità a vari criteri decisionali, il regolamento per un esercizio coordinato del diritto di voto. Da sempre si è dibattuto sulla validità di questi patti parasociali, soprattutto in giurisprudenza.

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Non va dimenticato, in questa ottica, il contributo che è stato dato alla soluzione del problema dal lodo pronunciato dal Collegio arbitrale del 20 giugno 1990 secondo cui «Non può affermarsi, allo stato dell’evoluzione normativa, dottrinale e giurisprudenziale, un’invalidità generalizzata dei sindacati di voto. Non esistono, infatti, un principio inderogabile di libera formazione del voto, né una regola per cui il socio debba necessariamente maturare il proprio convincimento nella sede assembleare; né vi sono limiti nell’ordinamento ad ammettere la liceità dei sindacati deliberati a maggio-ranza. La valutazione positiva del fenomeno può anche meglio giustificarsi nell’ambito delle grandi società soggette a quotazione in borsa, rispetto alle quali essi costituiscono uno strumento per garantire la permanenza di nuclei di azionariato imprenditoriale idonei ad assicurare una certa continuità ed efficienza gestionale dell’impresa sociale. La validità dei sindacati azionari va, pertanto, verificata in relazione alle singole fattispecie, accertando di volta in volta se essi si pongano in contrasto con l’interesse sociale o con le norme inderogabili dell’istituto azionario».

Aperta questa breccia, in cui la pratica già credeva da molto tempo, si è iniziato a pensare a dei mezzi o strumenti efficaci per garantire l’adempimento del sindacato di voto da parte dei suoi sottoscrittori. Tra questi va annoverato quello consistente nell’intestazione fiduciaria delle azioni o partecipazioni sociali sindacate ad una società fiduciaria. Venne previsto che ciascuna delle parti era obbligata a vincolare in sindacato ogni altra azione di cui dovesse successivamente risultare proprietaria a qualsiasi titolo (più segnatamente, per atto di cessione tra vivi o mortis causa, a titolo particolare o universale, per effetto di aumenti di capi-tale ecc.). È opportuno precisare che l’intestazione fiduciaria si estende anche alle ulteriori azioni di cui i partecipanti dovessero - a qualunque titolo - divenire proprietari, anche con riferimento all’ipotesi di acquisto mortis causa.

Diviene rilevante anche la previsione di specifici organi all’interno del sindacato; ciò stante la funzione che ad esso si intende attribuire.

Un comitato direttivo composto da membri eletti dai soci sindacati potrà essere l’organo che prenderà le decisioni previste dall’accordo. La nomina dei membri del comitato è normalmente posta in essere secondo criteri prestabiliti secondo il “peso” dei singoli membri. Quanto ai poteri del comitato è opportuno precisare che a questo possono essere attribuiti compiti specifici oppure in modo più generico possono essere attribuiti tutti i poteri, tanto di amministrazione ordinaria, quanto straordinaria, necessari ed opportuni per il raggiungimento degli scopi dell’accordo. Ovviamente in sede di redazione del patto parasociale dovrà essere fatta

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molta attenzione ad non esautorare completamente gli organi sociali in seno alla società. Può, infatti, accadere che il patto così come organiz-zato possa essere ritenuto nullo, stante la circostanza che viene ad avere una efficacia esterna e non - come invece dovrebbe essere - un’esclusiva efficacia interna.

Proseguendo, va detto che l’assemblea dei partecipanti è formata da tutti i possessori di azioni o partecipazioni sociali. L’assemblea elegge un presidente, che resta in carica per la durata del sindacato o, comunque, fino ad un impedimento (che può essere di qualsivoglia natura). Solita-mente la sua sostituzione avviene con il voto favorevole di maggioranze qualificate.

Passando alle materie che possono formare oggetto del sindacato di voto, la prima è quella della nomina dei componenti degli organi sociali (Consiglio di Amministrazione e Collegio sindacale), seguono quelle relative all’impegno degli aderenti al patto a non votare (e con la nuova normativa a proporre direttamente - art. 2391-bis C.C.) azioni sociali di responsabilità nei confronti degli amministratori di derivazione para-sociale di cui la giurisprudenza è ferma nel ritenere la nullità2 e ancora quelle relative all’amministrazione della società ed all’approvazione dei bilanci di esercizio.

Ma torniamo alla prima ipotesi. Gli aderenti al patto parasociale po-tranno accordarsi sul numero preciso di consiglieri che ciascuno di loro avrà diritto di designare e potranno stabilire in concreto le modalità spe-cifiche attraverso cui determinare la nomina degli stessi (ad esempio, per mezzo del cd. voto di lista). Alcune considerazioni sembrano opportune in tema di voto di lista. Innanzitutto che cosa è il voto di lista?

Il voto di listaIl voto di lista può essere definito come quel sistema di votazione o di

nomina delle cariche sociali articolato in modo tale da assicurare, anche alle minoranze societarie, la presenza di esponenti di fiducia all’interno del Consiglio di Amministrazione o del Collegio sindacale. La validità del voto di lista viene fondata su quanto disposto dall’art. 2368, comma 1, ultima parte, C.C. allorquando dispone che «Per la nomina alle cariche sociali lo statuto può stabilire norme particolari». Se si esclude la sostituzione del termine “statuto” con quella di “atto costitutivo”, la norma è rimasta pressoché invariata rispetto alla precedente impostazione.

2) Si rimanda nei successivi paragrafi la questione della nullità dei patti parasociali.

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È bene, fin da ora, tenere conto della circostanza che il potere di nomina degli amministratori è riservato dalla legge alla competenza inderogabile dell’assemblea. È, pertanto, nulla la clausola statutaria che sottrae all’assemblea il predetto potere.

Ma analizziamo cosa accade nel caso del voto di lista.Il voto di lista e, più segnatamente la validità di codesto sistema di

nomina delle cariche sociali, ha fatto sorgere nel corso degli anni tutta una serie di problematiche ed ha dato luogo ad un vivace dibattito sia in dottrina, sia in giurisprudenza.

In particolare, la scienza giuridica si è chiesta se il voto di lista fosse in contrasto con il principio che la nomina degli amministratori e dei sindaci è riservata alla competenza dell’assemblea dei soci. Principio questo che trova riscontro nel dato positivo nelle norme relative alle competenze dell’assemblea dei soci (art. 2364, comma 1, n. 2 C.C.), alla nomina degli amministratori (art. 2383, comma 1 C.C.) e alla nomina dei sindaci (art. 2400 C.C.). Nella normativa attuale, come è noto, vi sono delle eccezioni a detto principio; tra le eccezioni possiamo annoverare, oltre che la nomina nell’atto costitutivo dei primi amministratori, anche il caso della costituzione della S.p.A. per pubblica sottoscrizione in cui la nomina è effettuata dall’assemblea dei sottoscrittori, il caso in cui nel corso dell’esercizio vengano a mancare uno o più amministratori e i rimanenti provvedono a sostituirli (la cd. cooptazione), la nomina da parte dello Stato o degli Enti pubblici degli amministratori a loro riser-vata nello statuto. A questo elenco si aggiunga un’ulteriore eccezione, introdotta ex novo dalla riforma e contenuta nell’art. 2351 C.C., secondo la quale lo statuto può attribuire anche ai titolari degli strumenti finan-ziari partecipativi previsti dagli artt. 2346, comma 6 e 2349, comma 2, C.C. il potere di nominare un componente indipendente del Consiglio di Amministrazione o di sorveglianza o un Sindaco.

La sussistenza delle elencate eccezioni lascia ritenere che un terzo o uno degli amministratori non possa in modo alcuno nominare le cariche sociali. Diverso è il caso dei patti parasociali; nel caso particolare dei cd. sindacati di voto è possibile prevedere regole particolari per la nomina delle cariche sociali, ma le regole consacrate nel patto, compresa la loro attuazione, troveranno una forma di tutela solo ed esclusivamente obbli-gatoria e non reale, in quanto non contenute nello statuto della società.

Anche la giurisprudenza di legittimità ha recentemente sancito la va-lidità di tali patti (si veda nella specie Cassazione n. 14865/2001).

Da quanto fino a questo momento elaborato si trae la conclusione che il principio della competenza assembleare in materia di nomina di cariche

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sociali non è derogabile dalla previsione delle “norme particolari” a cui fa riferimento l’ultima parte dell’art. 2368, comma 1, C.C. In questo caso le norme particolari possono riguardare esclusivamente la formazione della volontà dell’assemblea e non l’esautorazione della stessa dalla nomina.

A ben vedere nel caso di voto di lista non si realizzerebbe alcuna esautorazione assembleare; il voto di lista, infatti, inciderebbe, essendo nella sostanza un sistema di votazione, esclusivamente sul piano della formazione della volontà assembleare. Così dicendo, il voto di lista non presenterebbe alcun problema di validità. A sostegno della validità del voto di lista si aggiungano, infine, gli utilissimi servigi resi dallo stesso sistema di nomina delle cariche sociali soprattutto nel caso in cui venga utiliz-zato per la tutela delle compagini societarie di minoranza: le minoranze vedrebbero concretizzata la loro voce attraverso la nomina di un proprio rappresentante di fiducia all’interno del Consiglio di Amministrazione o del Collegio sindacale. Quanto alla clausola è preferibile inserirla diretta-mente nello statuto della società. Questo per gli ovvi motivi che abbiamo precedentemente rilevato riguardo all’efficacia esclusivamente obbligatoria dei patti parasociali. Analizziamo ora il contenuto della clausola.

Va, preliminarmente, rilevato che il voto di lista dovrà essere accom-pagnato da una esatta e precisa indicazione del numero di amministratori componenti il consiglio. In primo luogo, è necessario prevedere che la nomina dei componenti del Consiglio di Amministrazione avvenga sulla base di liste presentate dai soci. Lo statuto può stabilire che dette liste possono essere o depositate presso la sede sociale almeno due giorni prima della data fissata per l’adunanza o consegnate al presidente dell’assemblea una volta aperta la seduta, dichiarata l’assemblea validamente costituita o dopo la lettura dell’ordine del giorno. Alle liste dovranno essere unite le dichiarazioni con le quali i singoli candidati accettano la propria candi-datura e attestano, sotto la propria responsabilità, l’inesistenza di cause di ineleggibilità e di incompatibilità, nonché l’esistenza dei requisiti even-tualmente richiesti per la carica di consigliere dalla legge o dallo statuto. Necessaria ed opportuna la previsione che informa della circostanza che ciascun candidato può presentarsi in una unica lista a pena di ineleggibilità e che può votare per una sola ed unica lista. Per ovviare al problema della frammentazione delle liste può essere utile stabilire che la lista può essere presentata soltanto dai soci che, da soli o congiuntamente, rappresentino una determinata percentuale del capitale sociale (azioni aventi diritto di voto). La percentuale dovrà tener conto della reale composizione azionaria onde evitare la non operatività del voto di lista per mancanza di liste o per il fatto che ne sia presentata solo una.

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La lista, poi, deve contenere l’elencazione numerica di un determinato numero massimo di amministratori. Non sono da dimenticare le regole per stabilire le modalità attraverso le quali si deve addivenire alla nomina degli amministratori. E possibile stabilire che dalla lista che ha ottenuto la più alta percentuale dei voti espressi dai soci sono tratti un determi-nato numero di amministratori da eleggere; in tal caso sono nominati i candidati che hanno riportato più voti in tale lista. Lo stesso potrà essere previsto per le liste successive alla prima. Da precisare che non è possibile aggiungere ad una lista i voti ottenuti in altre liste.

Nel caso in cui venga presentata una sola lista di candidati, in quanto solo un socio è titolare di azioni con diritto di voto rappresentati la percentuale di capitale sociale indicata, il meccanismo del voto di lista non troverà appli-cazione e la nomina delle cariche sociali si effettuerà mediante deliberazione dell’assemblea ordinaria adottata con le maggioranze di legge.

Da ultimo una precisazione di carattere pratico. Per evitare eventuali aggiramenti del voto di lista è bene accompagnare la previsione statutaria che lo prevede con la clausola simul stabunt simul cadent (espressamente prevista e disciplinata dalla riforma del diritto societario nell’art. 2386 C.C.). In tal caso dovrà essere previsto che nel caso in cui venga a mancare, per qualsiasi causa, anche uno soltanto degli amministratori, si intenderà dimissionario l’intero consiglio e dovrà essere convocata d’urgenza l’as-semblea dei soci per rinnovare l’intero Consiglio di Amministrazione.

Sempre con riferimento agli strumenti di tutela da inserire nel patto per ovviare al caso di inottemperanza di uno o alcuni degli aderenti alle previsioni nello stesso contenute vanno annoverati, oltre alla intestazio-ne fiduciaria, sicuramente l’introduzione di clausole penali (rilevante è il problema della loro concreta applicabilità dovuta alla difficoltà di quantificazione del danno in ogni singola ipotesi), il ricorso a procedure arbitrali (si veda, in particolare, il D.Lgs. n. 5/2003 nella parte relativa all’arbitrato - art. 32, la controversia non concerne diritti indisponibili come tali non compromettibili mediante arbitrato), la conciliazione stra-giudiziale ed il ricorso a provvedimenti di urgenza (ex art. 700 C.P.C.), concesso negli anni passati da alcuni Tribunali nel caso di sindacato di voto con intestazione fiduciaria (in particolare, si veda Tribunale di Roma del 12 luglio e del 28 agosto 1999).

1.2.2 i sindacati di blocco

I sindacati di blocco sono quelle pattuizioni parasociali attraverso cui è pos-sibile limitare la circolazione delle rispettive azioni o partecipazioni sociali.

1. ladisciplina deipatti parasociali

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Intrasferibilità partecipazioni socialiQuesti possono consistere, in primo luogo, nel divieto assoluto di

alienare le azioni ai sensi dell’art. 1379 C.C. Va detto, al riguardo, che detto articolo tiene a precisare che:a) il divieto ha effetto solo tra le parti,b) non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo,c) non è valido se non risponde ad un apprezzabile interesse di una delle

parti (anche non patrimoniale).

Patto di prelazioneAbbiamo, poi gli accordi di prelazione. Per prelazione s’intende qual

patto che ricorre quando taluno - pur essendo libero di stipulare o di non stipulare un contratto - non è libero nella scelta della persona con cui stipularlo.

Il soggetto tenuto al rispetto del patto di prelazione non può addivenire alla stipulazione di un contratto con un terzo se prima non ha messo in grado il prelazionario di concluderlo con lui alle medesime condizioni.

Di regola la clausola di prelazione è caratterizzata dalla previsione al suo interno:a) delle formalità che l’alienante deve porre in essere per comunicare

agli altri soci l’intenzione di alienare le proprie partecipazioni (lettera raccomandata inviata al domicilio di ciascun socio),

b) del contenuto della comunicazione (le generalità del cessionario e le condizioni della cessione: il prezzo e le modalità di pagamento),

c) del termine per l’esercizio della prelazione da parte dei soci e le relative formalità.Sono ritenute valide le clausole che fissano i criteri di determinazio-

ne del prezzo di acquisto o che ne rimettono la determinazione a terzi arbitratori in caso di disaccordo tra i soci ovvero quando sia ritenuto eccessivo da uno dei soci il prezzo richiesto. In quest’ultimo caso è possibile introdurre nella clausola i criteri che dovranno essere tenuti in considerazione dal terzo per effettuare la propria determinazione. In particolare, l’arbitratore potrà essere vincolato alla situazione patrimoniale della società, alla sua redditività, al valore dei beni materiali ed immate-riali posseduti dalla società.

Le clausole di prelazione possono essere variamente articolati. Vediamo in che modo. Possiamo avere una clausola contenente prelazioni pure e semplici tra i partecipanti al patto, prelazioni che scattano prima all’in-terno di un gruppo e, poi si estendono ad altri gruppi partecipanti al sindacato o ancora prelazioni esercitabili a favore di un terzo designato dalla maggioranza dei partecipanti al sindacato.

1. la disciplina deipatti parasociali

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Clausola di gradimentoVi sono, poi le clausole di gradimento, ovverosia quelle clausole che

sottopongono al placet o al gradimento di un determinato organo so-ciale, sovente gli amministratori o altri soggetti, l’ingresso di nuovi soci all’interno della compagine sociale. La clausola è diretta ad impedire che determinati soggetti, privi di particolari requisiti, vengano a far parte della compagine sociale.

La prassi ha favorito la nascita di due sottocategorie di clausole di gradimento:a) le clausole che richiedono il possesso di determinati requisiti da parte

dell’acquirente (ad esempio, la cittadinanza italiana),b) le clausole che subordinano il trasferimento delle azioni al consenso di

un organo sociale (quasi sempre il Consiglio di Amministrazione).Con riferimento alle clausole di cui al primo punto si può affermare

con assoluta certezza la validità. Le clausole di cui al secondo punto hanno, invece, comportato dei problemi, soprattutto, allorquando con-sentono un rifiuto immotivato e insindacabile del consenso dell’organo sociale deputato. Infatti, un caso è prevedere a quali condizioni è possibile addivenire al trasferimento delle partecipazioni sociali, altro è impostare il trasferimento sul mero arbitrio dei soggetti deputati ad esprimere il gradimento. Tali ultime clausole, denominate di mero gradimento, portano con sé la preoccupazione che la clausola possa procurare un danno ai soci estranei al gruppo di comando, i quali possono rimanere “prigionieri” della società senza possibilità di uscita e di smobilizzare a determinate condizioni il proprio investimento.

Nel corso degli anni ha avuto luogo una vera e propria guerra nei confronti delle clausole di mero gradimento, guerra che è stata suppor-tata dalla giurisprudenza e anche dal Legislatore, il quale con l’art. 22 Legge 4 giugno 1985, n. 281 considerava inefficaci le clausole degli atti costitutivi di S.p.A. che subordinavano al mero gradimento degli orga-ni sociali gli effetti del trasferimento delle azioni. Veniva in tal modo colpito il gradimento arbitrario, immotivato e assolutamente indiscreto degli organi sociali.

Qualcuno riteneva applicabile tale legge anche alle Società a respon-sabilità limitata; altri, invece, in considerazione del rapporto più perso-nalistico che caratterizza tale tipo sociale, non ritenevano applicabile la normativa. La giurisprudenza, da parte sua, riteneva, con riferimento alle Società a responsabilità limitata, che la clausola di mero gradimento dovesse ritenersi legittima, stante la circostanza che la clausola si basa sul principio della necessità del consenso del contraente ceduto alla cessione del contratto.

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Non mancavano, comunque, pronunce che tentavano di limitare le clausole di mero gradimento, richiedendo la necessità di motivare l’even-tuale rifiuto.

Tale incertezza si è chiusa con l’avvento della riforma del diritto socie-tario. Infatti, per quanto concerne le S.r.l., è stata prevista l’ammissibilità della clausola di mero gradimento anche di terzi senza la necessità di rispettare parametri predeterminati di riferimento.

La clausola di gradimento non mero, invece, può essere fondata sulla sussistenza in capo all’acquirente di requisiti soggettivi, quali l’appartenenza a specifiche categorie lavorative o l’inesistenza di situazioni concorren-ziali o ancora al requisito di una determinata circostanza (come detto la cittadinanza italiana). Si rileva, infine, che, in assenza di una specifica disposizione contenuta nell’atto costitutivo, detta clausola limitativa alla circolazione delle partecipazioni sociali può essere introdotta, modificata o soppressa a maggioranza.

Fondamento normativo delle clausole di limitazione della circola-zione della partecipazione sociale

La giustificazione nel nostro ordinamento delle predette clausole si rinviene direttamente negli art. 1379 e 2355-bis del C.C., (di questo ul-timo articolo, introdotto ex novo con la riforma del diritto societario, è importante, soprattutto, il comma 1).

Strumenti di adempimento dei sindacati di bloccoAnche i sindacati di blocco possiedono un’efficacia meramente ob-

bligatoria. L’unica possibilità per garantire l’adempimento degli obblighi è la previsione di clausole penali che, riservata comunque la possibilità di vedersi risarcito il danno ulteriore, permettono una quantificazione del danno, altrimenti estremamente difficile. Le clausole penali, però, devono mantenersi entro limiti ragionevoli per evitare l’applicazione dell’art. 1384 C.C., che consentirebbe al giudice di ridurne l’ammontare ove ritenuto eccessivo. Si consiglia - qualora s’intenda inserire nel patto parasociale una clausola penale - di non prevedere una cifra che con-frontata con l’intero valore del patto (comprese le partecipazioni sociali) e degli interessi in gioco evidenzi la netta sproporzione tra la penale ed il valore del patto stesso. In tal caso quasi certamente si incorrerà in una quanto mai inevitabile riduzione della stessa ai sensi dell’art. 1384 C.C. È, dunque preferibile chiedere di meno, ma ottenerlo e senza troppe difficoltà, che chiedere somme ingenti le quali possono essere oggetto di eccezione dell’altra parte e, poi di censura da parte del giudice chiamato a pronunciarsi in merito.

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Esperibile anche l’azione revocatoria ordinaria ai sensi e per gli effetti dell’art. 2901 C.C., qualora ne sussistano i presupposti richiesti dalla legge. Quest’azione andrebbe a colpire (quale mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale), sancendone l’inefficacia relativa, l’atto di disposizione posto in essere dal parasocio debitore avente ad oggetto le partecipazioni sociali da questo possedute ed il cui trasferimento al terzo rechi pregiudizio alle ragioni dei creditori.

Non meno rilevanti l’intestazione fiduciaria ed il deposito fiduciario.Il primo strumento realizzato con il trasferimento della proprietà del-

le partecipazioni al fiduciario (con patto di ritrasferimento non appena maturata la scadenza del patto parasociale o al verificarsi di altre circo-stanze prestabilite), il secondo con la stipulazione di un deposito al cui depositario vengono trasferite le partecipazioni sociali per la custodia.

1.3 Quater sindacati di gestione

Accanto ai sindacati di voto e a quelli di blocco vi sono i sindacati di gestione. Detti patti sono diretti a regolare, si pensi il caso di un gruppo di società, la vita stessa del gruppo, nonché predisporre, si pensi al caso di apporti dei membri di una famiglia all’interno del gruppo, la valu-tazione della loro capacità, la loro educazione, eventuali divieti di porre in essere attività concorrenziali qualora gli stessi non prestassero attività a favore del gruppo. Ancora potrebbero essere inserite al loro interno clausole relative ai criteri di nomina degli organi sociali del gruppo e di controllo sui dati economici e contabili del gruppo stesso.

Quando chiusi l’ultima pagina del libro era ormai notte fonda. Avevo ap-preso molto e alcune delle informazioni più rilevanti le avevo appositamente annotate sul mio legal pad con fogli gialli al quale ero particolarmente affezionato e nel quale trascrivevo tutte le cose che per me avevano una certa importanza. Ad esempio, in una delle prime pagine trovai riportati con penna rossa gli estremi di una sentenza con la relativa massima della Corte di Cassazione di qualche anno prima in materia di giardini pensili e responsabilità per infiltrazioni e un’altra in materia di prova nelle cause di opposizione a sanzione amministrativa. Entrambe le avevo lette in un quo-tidiano economico - giuridico, mi avevano colpito, sentii che mi potevano essere utili in un futuro immediato (cosa che poi accadde veramente), così le trascrissi sul mio blocco personale.

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Molte volte quello che riportavo sul blocco (o meglio alcune parti) poteva sembrare non collegato rispetto al resto del discorso. Anche se questa era la verità a me interessava la sostanza di quello che avevo trascritto.A mio modo di vedere le cose, quello che scrivevo aveva un certo ordine logico. Questo era l’importante.Era ormai ora di andare a riposare. Mancavano tre ore e mezza al suono della sveglia. Dovevo recuperare in qualche modo le energie spese per essere in forma l’indomani. Dovevo incontrare alcune persone molto importanti per il mio lavoro e, poi avevo l’appuntamento con il Professore.

1.4 efficacia dei patti parasociali e partecipazione di terzi

Il Professore non amava perdere tempo. Non appena entrato nel negozio e preso posto occupando la sedia che aveva lasciato libera per me, se si esclude una breve ed istantanea precisazione di carattere organizzativo sugli argomenti che avrebbe trattato di li a poco (prima l’efficacia dei patti, poi la questione della partecipazione al patto di soggetti terzi estranei alla compagine sociale o la stessa società), cominciava il suo discorso: “I concetti da esporre sono molteplici. Procediamo con ordine”.

Riguardo all’efficacia dei patti parasociali va detto, come ormai abbia-mo già detto più volte, che questi non godono di effetti reali e, quindi, espandono i loro effetti solo fra le parti che li hanno posti in essere. Più precisamente, i patti parasociali vincolano solo ed esclusivamente i soci che li hanno sottoscritti: ne restano esclusi, pertanto, i successivi acquirenti delle azioni, i sottoscrittori di azioni di nuova emissione, gli eredi e, in caso di fusione, la società risultante da detta operazione straordinaria.

I patti parasociali, inoltre, non producono alcuna efficacia nei con-fronti dei terzi non aderenti al patto e della società (ciò per il principio di relatività del contratto sancito dall’art. 1372 C.C.).

A differenza delle statuizioni contenute nell’atto costitutivo e nello statuto, le previsioni di un patto parasociale hanno una efficacia solo ob-bligatoria e non reale. La sola forma di tutela nel caso di inadempimento del patto parasociale è il risarcimento del danno (nel caso di inadempi-mento di un aderente) o il pagamento di una somma di denaro nel caso in cui sia prevista una clausola penale, sempre che il patto parasociale

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si stato validamente stipulato dai partecipanti (ovverosia, non sia affetto da nullità).

A questo punto il Professore interrompeva il suo incessante discorrere. Voleva essere certo che avessi compreso almeno i passaggi fondamentali di quanto aveva appena esposto. Per far ciò pensò di aiutarmi nel ripercorrere detti concetti con una tabella che aveva il seguente contenuto:1) i patti parasociali restano al di fuori della società e non sono in modo

alcuno opponibili alla stessa; questa rimane del tutto estranea al patto,2) ai patti parasociali rimangono estranei anche i soggetti che non hanno

sottoscritto i patti medesimi,3) l’inadempimento ad un patto parasociale - conseguentemente - non potrà

essere fatto valere né nei confronti della società, né nei confronti dei soci che non li hanno sottoscritti.

Il Professore proponeva due differenti casi pratici per esplicare la tematica dell’efficacia dei patti parasociali.

Impostazione del primo caso1 Caso: Supponiamo che in data XXX i soci della Alfa S.p.A., Tizio e

Caio, addivengano alla stipula di un patto parasociale contemplante tra le altre cose un blocco al trasferimento delle azioni per un anno e mezzo. Tizio, che è in ristrettezze economiche e necessita immediatamente di una somma di denaro per pagare un debito, inizia a vagliare alcune proposte di amici che sono interessati ad acquistare la sua partecipazione sociale. Soddisfatto delle condizioni economiche e d’accordo con uno di questi soggetti decide di alienare a titolo oneroso le sue azioni.

La domanda che ci si pone è la seguente: è possibile per Tizio alienare le proprie partecipazioni sociali stante la sussistenza - sia in termini di efficacia e validità - della clausola di blocco prevista nel patto parasociale stipulato in data XXX con il socio Caio?

Per dare una risposta corretta al quesito che ci siamo posti basterà dare applicazione ai principi che abbiamo enunciato in precedenza. Applicando gli stessi al caso pratico proposto, avremo che il contratto di cessione sot-toscritto dalle parti è valido ed efficace, oltre che tra i contraenti, anche nei confronti della società. La stessa dovrà necessariamente iscrivere il socio acquirente nel libro soci. Il nuovo socio vedrà, pertanto, salva la sua posizione. Il venditore, Tizio, invece, a fronte della libertà di dare o meno corso al patto parasociale che aveva sottoscritto (contenente il sindacato di blocco) correrà il rischio di vedersi destinatario di un’azione

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di risarcimento del danno proposta nei suoi confronti dal socio Caio o, se nel contratto era stata prevista una clausola penale, di vedersi richiesta sempre da Tizio la liquidazione forfetaria del risarcimento del danno.

Questo è quello che accade. Interessante è anche analizzare quello che, invece, si verifica allorquando sia una clausola dell’atto costitutivo o dello statuto sociale ad essere violata da un socio. Questo secondo esempio, utile per far notare la differenze, ci conduce sempre allo stesso ritornello, ovverosia quello secondo cui, mentre il patto parasociale ha semplicemente una efficacia obbligatoria e vincola solo le parti che lo hanno stipulato e sottoscritto, l’atto costitutivo e lo statuto (e cioè le clausole ivi contenute) sono dotati di un’efficacia reale e non limitano la loro efficacia solo nei confronti dei soggetti a chi vi hanno partecipato.

Scandagliamo più da vicino attraverso quali modalità accade quanto appena detto: lo statuto della società Beta prevede riguardo la cessione delle partecipazioni sociali da parte del socio intenzionato a dismetterla una clausola di prelazione a favore degli altri soci. Cosa accade se il socio, nonostante la previsione statutaria suddetta, aliena egualmente la sua partecipazione ad un soggetto terzo?

In questo caso - diversamente da quanto accadeva nel primo esempio - la società, stante l’efficacia reale, erga omnes delle pattuizioni contenute all’interno dell’atto costitutivo o dello statuto sociale può rifiutare l’iscri-zione del nuovo socio nel libro soci.

Impostazione del secondo caso2 Caso: Poniamo che sempre i nostri due soci, Tizio e Caio, titolari

rispettivamente del 35% e 25% del capitale sociale di Alfa S.p.A. sotto-scrivano un patto parasociale avente ad oggetto, tra le altre cose, l’ac-cordo di votare in una predeterminata maniera nella prossima assemblea dei soci al fine di nominare un dato amministratore. Giunto il giorno dell’assemblea, si arriva alla votazione e, contrariamente a quanto era stato stabilito nel patto parasociale, il socio Caio esprime il suo voto in maniera difforme da quanto stabilito nel sindacato di voto. L’ammini-stratore non viene eletto. Tizio infuriato per l’accaduto chiede consiglio ad un suo consulente di fiducia per comprendere se era possibile porre in essere qualche azione per tutelare i suoi interessi nei confronti del comportamento scorretto di Caio.

Il consulente in applicazione dei ricordati principi informa Tizio che Caio era libero di rispettare come di non rispettare il patto parasociale. Questi, pertanto, in assemblea poteva votare liberamente. Come, poi, in realtà aveva fatto. Il patto parasociale non risultava opponibile nei confronti

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della società Alfa, la quale ne rimaneva ovviamente estranea. Tizio non poteva fare alcunché per impugnare la deliberazione assembleare assunta dalla maggioranza dei soci; l’impugnazione della stessa ai sensi dell’art. 2377 C.C. non era in concreto possibile. Rimaneva una possibilità: agire in via ordinaria per il risarcimento del danno derivante in suo capo a causa dell’inadempimento al patto da parte di Caio.

Esauriti i casi pratici, il Professore iniziava a trattare il secondo dei due argomenti quotidiani, ovverosia la possibilità di una partecipazione al patto parasociale da parte di un soggetto terzo estraneo alla società o addirittura della società stessa.

Primo accenno alla problematica della partecipazione di un sog-getto non socio al patto parasociale

Riguardo la partecipazione da parte del soggetto terzo, va detto che non vi sono ostacoli insormontabili in linea di principio ad una risposta di carattere positivo alla partecipazione di un terzo ad un patto paraso-ciale. Infatti, la normativa contenuta nel TUIF, in particolare l’art. 122, non contiene al suo interno, come invece accadeva nell’art. 10, comma 4 della abrogata Legge n. 149/1992, successivamente modificato, la previ-sione della pubblicità «degli accordi tra soci in qualsiasi forma stipulati». Il riferimento “dei soci” è scomparso nella nuova normativa trafusa nel TUIF. Dunque, quello che abbiamo di fronte a noi è un favor legislativo nei confronti della ammissibilità di patti parasociali stipulati tra soci e soggetti terzi o addirittura tra soci e futuri soci della società o tra soggetti ancora non soci della società. Posizione che risulta confermata anche dalla formulazione del nuovo art. 2341-bis C.C. che non ha reintrodotto nella norma il riferimento a “dei soci”. Ancora, è possibile rinvenire un’altra giustificazione all’impostazione seguita analizzando il contenuto di un documento giuridico di provenienza certa: la comunicazione CONSOB (la n. 29486) del 18 aprile 2000. In quella sede, anche se la materia trattata era quella dell’applicabilità delle norme in materia di patti parasociali previste dal TUIF agli accordi di lock-up, è dato comprendere che non vi sono dubbi sul ritenere patti parasociali sia quei patti stipulati tra soci, sia quelli intercorrenti tra soci o soggetti non soci. A questo punto, le considerazioni che precedono inducono a ritenere che anche la società può partecipare ad un patto parasociale ed essere parte dello stesso. Il tutto con il limite che le previsioni contenute nel patto parasociale non vengano a ledere interessi di carattere generale, quali la tutela della sta-bilità della società e la tutela dei creditori sociali.

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L’incontro era terminato. La volta successiva ci saremmo incontrati di mattina. Più precisamente l’incontro era stato fissato per la mattina di sabato. Una giornata di festa in cui entrambi avevamo più tempo a disposizione e in cui potevamo certamente spendere più tempo a discorrere di patti parasociali e delle loro problematiche. In tal modo nessuno ci sarebbe corso dietro. Ritornando a casa i miei pensieri erano tutti incentrati sulle nozioni e sui ragionamenti che il Professore aveva innescato durante il suo discorrere. In un attimo mi tornò alla mente un caso giurisprudenziale deciso da una Corte del Regno Unito, in particolare dalla House of Lords, di cui avevo letto alcuni mesi prima riportato su di un testo di “Cases e materials in Company Law”. Il caso era Russell v. Northerm Bank Development Corpn Ltd del 1992. I dati erano i seguenti:a) abbiamo una società denominata Alfa, costituita nel 1979 con sede nel-

l’Irlanda del Nord, madre di un gruppo di società operanti nel settore della produzione di mattoni per costruzioni,

b) la composizione azionaria della capogruppo era la seguente: 4 persone fisiche, tra cui l’attore (Mr. Russell), membri del Consiglio di Amministra-zione della società e titolari di 20 azioni ciascuno e un istituto di credito (il convenuto Northerm Bank Development) titolare di 120 azioni, anche esso con un proprio rappresentate nel Consiglio di Amministrazione della società,

c) successivamente alla costituzione della società, tutti e cinque i soci stipu-larono un accordo con la società avente ad oggetto la seguente previsione: “… no further sharecapital would be created or issued without the consent of each of the parteners …”. In altre parole, era stato pattuito che senza il consenso delle parti (soci e società) non sarebbe stato possibile creare o emettere nuovo capitale azionario,

d) nel 1988 il Board of Directors propose l’attuazione di un aumento di capitale. Il socio Russell, nonché componente del Consiglio di Ammi-nistrazione, manifestò la sua opposizione nei confronti di tale proposta, rilevando che quest’ultima andava a cozzare contro l’espressa pattuizione contenuta nell’accordo stipulato alcuni anni prima ed ancora in vigore,

e) l’House of Lords stabilì che l’accordo e le pattuizioni ivi contenute erano vincolanti per gli azionisti , “although not on the company itself”. Qui di seguito il procedimento logico, la ratio decidendi, sotteso al provve-dimento reso dalla Corte del Regno Unito.

È principio ormai acquisito - si veda il caso Allen v. Gold Reefs of West Africa Ltd - che una società non può rinunciare al diritto di modificare il suo statuto (… the company is empowered by the statute to alter the regu-lations contained in its articles from time to time by special resolutions, and any regulation or article purporting to deprive the company of this power is invalid on the ground that its contrary to the statute …).

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Gli azionisti avevano raggiunto un accordo esclusivamente diretto ad eser-citare il loro diritto di voto con riferimento alla creazione o alla emissione di nuove azioni da parte della società, qualora le parti avessero raggiunto un accordo per iscritto. Detto accordo è personale e viene a concernere solo ed esclusivamente gli azionisti, che devono rispettarlo; esso non vincola i futuri azionisti. È, in definitiva, un accordo privato.Dal punto di vista della società, va detto che la stessa si era impegnata a che il suo capitale sociale non sarebbe stato aumentato senza il consenso scritto degli azionisti. Questa deve essere vista come un’obbligazione assunta dalla società, che doveva durare fino a quando le parti dell’accordo rimanevano azionisti della società e il controllo della società sarebbe passato nelle mani di altri azionisti che non avevano partecipato all’accordo. Detta obbliga-zione, però, non è azionabile nei confronti della società, in quanto viene a contrastare con l’enunciato che priva di effetto le pattuizioni o previsioni che impediscono alla società di porre in essere e realizzare i poteri previsti nel suo statuto.Alla luce di quanto rilevato, la Corte - accertata la vincolatività dell’accordo per quanto riguardava i soci della società - statuiva nel senso che in capo al socio Russell era possibile azionare le previsioni pattuite nel contratto, le quali restano valide ed efficaci nei confronti degli azionisti. La Corte, pertanto, diede ragione all’attore.Tanto era contenuto nella decisione che avevo letto. Vi erano degli spunti di riflessione interessanti, quali quelli relativi all’efficacia di questi patti quan-do era parte del patto la società stessa. Sarebbe stato opportuno recuperare quel libro e porre in essere i relativi approfondimenti. Decisi di farlo. E intanto arrivò il sabato mattina. L’argomento da trattare era la durata dei patti parasociali.

1.5 La durata dei patti parasociali

Quella mattina il Professore era strano. Aveva ricevuto una telefonata da parenti che non sentiva da più di cinque anni. Era rimasto turbato dalla circostanza che ancora qualcuno della sua famiglia lo ricordava. Da quando si era definitivamente allontanato dalla sua città natale li aveva sentiti spora-dicamente. Mai una festa insieme o un’occasione per incontrarsi, ognuno per la sua strada. Volevo chiedergli qualcosa in più della sua famiglia, di ciò che gli piaceva, ma viste l’esperienze precedenti (ogni volta che toccavo un lato più umano, Lui si chiudeva) rimasi al mio posto, attendendo ansiosamente l’inizio della lezione.

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Questa volta il nostro incontro non ebbe a svolgersi come era solito. Il Pro-fessore mi prese alla sprovvista e mi disse: “Oggi sei il perno, il protagonista del nostro incontro. Pensa tu stesso ad un caso pratico che possiamo risolvere insieme ad alta voce nell’ultima mezz’ora dell’incontro”. Sebbene disorientato, risposi in modo affermativo. Presi un foglio di carta ed una penna ed iniziai a buttare giù qualcosa. Non ero molto ispirato quella mattina ed il Professore se ne accorse subito. Per venirmi incontro mi disse: “Prima di iniziare leggi queste brevi pagine in materia di durata dei patti parasociali, poi rielaborale e pensa ad un caso interessante cui discutere insieme” e mi consegnò alcuni fogli dattiloscritti rilegati addirittura con l’ago ed un filo nero.Iniziai a leggere quelle pagine. Le lessi per ben tre volte. Alla fine avevo il loro contenuto come stampato nella mia mente, posto avanti ai miei occhi. Sarei stato anche in grado di riscriverlo da capo (ovviamente sempre con l’ausilio di un C.C.). Avevo anche intenzione, quella stessa notte, di riportalo per iscritto sul mio computer onde averlo a disposizione per una qualche eventuale esigenza lavorativa (ciò ove il Professore mi avesse permesso di portare via detto foglio al termine dell’incontro, cosa che poi in realtà ac-cadde). Questo il contenuto di quei cinque fogli dattiloscritti.Si intitolava “Il Problema della durata dei patti parasociali”, di XXX, (…), Anno 2003.

Sindacati di voto e durata del patto parasocialePer completezza espositiva, va rilevato che la Legge delega prevedeva

all’art. 4, comma 7, lett. c) che la nuova disciplina dei patti parasociali, concernente le Società per azioni e le società che le controllano, doveva basarsi sul principio della durata massima del patto, fissandola nel termine di cinque anni, nonché per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, da attuare attraverso adeguate forme di pubblicità.

Quello della durata è sicuramente uno degli elementi critici, argomento su cui non vi era, prima della riforma unità di vedute, anche alla luce della differente natura degli accordi.

La Corte di Cassazione, infatti, investita della questione aveva nega-to, in un primo momento3, la possibilità di stipulare patti parasociali a tempo indeterminato (in particolare, i c.d. sindacati di voto), fondando il proprio diniego sulla circostanza che l’indeterminatezza della durata di un sindacato di voto, fa si che questo rientri «nell’area di disfavore che circonda le obbligazioni destinate a durare indefinitamente nel tempo

3) Cassazione Civile, Sez. I, 20 settembre 1995, n. 9975.

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ed impedisce di considerarlo meritevole di tutela e perciò giuridicamente valido a norma dell’art. 1322, secondo comma C.C.».

L’orientamento della giurisprudenza di legittimità era stato ribaltato solo di recente4; la Suprema Corte era, infatti, pervenuta ad una soluzione diametralmente opposta ed aveva affermato l’irrilevanza della dimensione temporale della clausola ai fini della sua validità, ritenendo applicabile al patto parasociale a tempo indeterminato il principio generale della possi-bilità di risoluzione ad nutum. Più segnatamente, l’applicabilità del recesso unilaterale ad nutum, con obbligo di preavviso o per giusta causa.

Quanto riferito corrisponde all’elaborazione giurisprudenziale che ha condotto al riconoscimento della validità dei sindacati di voto stipulati senza l’indicazione di un termine di durata.

Il Professore mi disse con riguardo a questa giurisprudenza che l’avremmo incontrata più avanti, nei successivi incontri. Mi disse di stare tranquillo. Infatti, con il testo integrale delle due sentenze richiamate e una sua attenta lettura avrei compreso facilmente quello che era riportato nei cinque fogli dattiloscritti (si veda il capitolo 2 del presente lavoro).

Sindacati di blocco e durata dei patti parasocialiPer quanto concerne i sindacati di blocco e il problema della loro

durata, la situazione è sostanzialmente differente. La soluzione per dare una risposta ai problemi relativi alla sua ammissibilità o meno era insita nell’art. 1379 C.C., norma questa che disciplina il divieto di alienazione. Sancisce tale articolo che il patto di non alienazione deve essere contenuto «entro convenienti limiti di tempo» e che detto patto deve rispondere «ad un apprezzabile interesse di una delle parti».

I sindacati di blocco, prevedendo - in ultima analisi - l’intrasferibilità delle azioni, potevano essere assimilati ai patti di non alienazione di cui all’art. 1379 C.C. Pertanto, in forza di tale norma, i sindacati di blocco dovevano rispettare gli stringenti limiti temporali in quella sede previsti, limiti che, in analogia ai patti limitativi della concorrenza, erano fissati a cinque anni.

Il tema della durata dei patti parasociali era particolarmente spinoso e di notevole attualità. Solo nel 1998 il Legislatore italiano, infatti, aveva dato al problema una soluzione, tra l’altro solo in modo parziale. Infatti, con esclusivo riferimento alle società quotate in borsa, il Legislatore ave-

4) Cassazione Civile, Sez. I, 23 novembre 2001, n. 14865.

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va previsto nel TUIF la possibilità di stipulare patti parasociali a tempo indeterminato, purché venisse assicurato a ciascun contraente il diritto di recedere dal contratto con preavviso di sei mesi.

Tale specifica previsione normativa portava però con se una spaccatura difficilmente colmabile. Vi era una disciplina applicabile alle sole società con azioni quotate nei mercati regolamentati. Una tale situazione impone-va, dunque al legislatore di intervenire e di dare una pronta soluzione al problema (la soluzione non è stata poi così pronta e repentina, si è dovuto infatti attendere cinque anni per assistere all’ingresso nell’impianto del C.C. dei patti parasociali).

Va rilevato a proposito che i criteri direttivi seguiti per giungere alla riforma del diritto societario ricalcano, con qualche opportuna variazio-ne e precisazione, le norme previste in materia di patti parasociali dal TUIF.

Obiettivo del Legislatore era quello di evitare cristallizzazioni delle posizioni di potere e favorire la trasparenza, per tali ragioni fu introdotto non solo un regime di pubblicità, ma soprattutto, una disciplina della durata dei patti parasociali.

La disciplina della durata dei patti parasociali nel TUIFL’art. 122 del TUIF, stabilisce che qualora i patti parasociali sono sti-

pulati a tempo determinato, non possano avere una durata superiore a tre anni e si intendono stipulati per tale durata anche se le parti abbiano previsto un termine maggiore, resta comunque alle parti la possibilità di rinnovarli alla loro naturale scadenza.

L’art. 122 del TUIF stabilisce inoltre, al comma 2, che se le parti non han-no indicato una data di termine del patto, ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di sei mesi (è il caso dei patti parasociali a tempo indeterminato). In tal caso, l’esercizio del diritto di recesso è assoggettato alle medesime forme di pubblicità dettate dall’art. 122, comma 1 e 2 del TUIF per la stipulazione del patto parasociale e, in particolare: a) la comunicazione alla CONSOB entro 5 giorni,b) la pubblicazione per estratto sulla stampa quotidiana entro 10 giorni,c) ed il deposito presso il registro delle imprese entro 15 giorni.

La violazione delle norme in materia di pubblicità per quanto ri-guarda l’esercizio del diritto di recesso, diversamente da quanto av-viene per il caso di stipulazione del patto parasociale, non comporta l’applicazione delle sanzioni previste dai successivi commi dell’art. 122 TUIF, e cioè:

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a) la nullità dei patti parasociali,b) la sospensione del diritto di voto, con la conseguente annullabilità

delle deliberazioni assembleari assunte con il voto determinante delle relative azioni ai sensi e per gli effetti dell’art. 2377 C.C.Un’ulteriore ipotesi di recesso è contenuta nell’ultimo comma dell’art.

123 del TUIF. È al riguardo previsto che gli azionisti che intendano aderire ad un’offerta pubblica di acquisto o ad un’offerta pubblica di scambio possano recedere senza preavviso dai patti indicati nell’art. 122 del TUIF, ma la dichiarazione di recesso non produce effetto se non si è perfezionato il trasferimento delle azioni.

La disciplina della durata dei patti parasociali nel C.C.L’approccio del Legislatore non poteva non fare tesoro dell’esperienza

maturata in applicazione delle norme del TUIF. Il sistema introdotto per le società chiuse e a capitale diffuso non differisce molto da quello dettato per le società c.d. quotate; infatti, ai sensi dell’art. 2341-bis C.C. si possono distinguere, in termini di durata, patti a tempo determinato e patti a tempo indeterminato.

Nel primo caso, giustamente differenziandosi da quanto è stabilito dal TUIF (non vi sono esigenze di favorire la contendibilità del controllo societario), i patti non possono avere una durata superiore a cinque anni e s’intendono stipulati per questa durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore. Va, comunque, detto che i patti risultano essere sempre rinnovabili alla scadenza dalle parti. È possibile prevedere una clausola di rinnovo tacito (si veda in tal senso il Regolamento Emittenti allegato in appendice).

Nel caso in cui il patto non preveda alcun termine di durata, ciascun contraente ha diritto di recedere dal patto con un preavviso di 180 giorni.

Il recesso avrà efficacia solo ed esclusivamente trascorsi 180 giorni dall’esercizio del preavviso. Una volta trascorso tale lasso temporale i contraenti non dovranno più considerarsi vincolati al patto parasociale e potranno disporre delle proprie partecipazioni sociali o votare in assem-blea senza incorrere nel pericolo di eventuali richieste di risarcimento del danno per inadempimento del patto avanzate dagli altri contraenti.

Il patto, infine, è da considerare, comunque, a tempo indetermina-to allorquando la clausola di rinnovo non limiti la durata del patto ai termini previsti dalla legge, ed il rinnovo avvenga per comportamenti concludenti.

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Problematiche connesse alla disciplina della durata dei patti pa-rasociali

È da sottolineare che, così come lasciava perplessi il sistema del art. 122 del TUIF, anche la previsione dell’art. 2341-bis C.C. lascia aperte alcune problematiche. In realtà ora come allora il Legislatore non ha preso una posizione netta in materia di durata dei patti parasociali, lasciando alle parti troppa discrezionalità; infatti se l’obiettivo è quello di evitare che si vengano a creare posizioni monolitiche, allora non si comprende come possano essere accettabili dei patti parasociali a tempo indeterminato, sia pure con la possibilità di recesso che, comunque, impone una serie di oneri sul contraente che decide di terminare la propria partecipazione al patto. Sarebbe stato preferibile decidere una sola strada, di sintesi magari, prevedendo una durata massima più lunga, considerato sempre il fatto che siamo nell’ambito delle società chiuse o a capitale diffuso, ma non negoziate su mercati regolamentati, di 6 anni e bilanciarla attraverso la previsione del diritto di recesso, invece che creare il doppio binario che è attualmente previsto dall’art. 2341-bis C.C.

Un’altra osservazione da fare è in merito alla natura della norma che prescrive i 180 giorni di preavviso per l’esercizio del diritto di recesso dai patti parasociali. Ad una prima analisi, stante il tenore letterale del-la norma «ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di centottanta giorni», la norma sembra imperativa ed inderogabile; resta però il fatto che, potendo i soggetti decidere contrattualmente la durata e molti altri gli elementi dell’accordo, il termine di preavviso possa essere oggetto di deroga pattizia. Tuttavia a questo punto sorge il problema se il termine di 180 giorni sia un termine massimo o un termine minimo, data la durata a tempo indeterminato si dovrebbe propendere per la prima ipotesi. Ciò anche in ragione di quanto disposto genericamente in materia di recesso del socio, laddove «qualsiasi previsione che ne rende più difficile l’esercizio è nulla».

Ero pronto per partorire il mio caso. Ancora una volta presi quel foglio di carta e la penna. Questa volta ero sicuramente più fluente e spedito. Prima di iniziare a scrivere fissai in una tabella riassuntiva le principali differenze in materia di durata dei patti parasociali a seconda che si trattava di società chiuse o i cui strumenti finanziari diffusi fra il pubblico in misura rilevante oppure società quotate presso mercati regolamentati.

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Patti parasocialiTUIF Codice civile

Durata: 3 anni Durata: 5 anni

Recesso:- Con preavviso di 6 mesi per i patti a

tempo indeterminato;- Senza preavviso qualora le azioni della

società siano oggetto di offerta pubblica di acquisto.

Recesso:- Con preavviso di 180 giorni per i patti a

tempo indeterminato.

Nei dieci minuti successivi pensai e riportai sul foglio il seguente caso pratico.

Un caso in materia di durata di patti parasociali

Caso: Tizio e Caio, soci di Alfa S.p.A. (Società per azioni chiusa), stipulano, al fine di stabilizzare gli assetti proprietari della società stessa, un patto parasociale che, fra l’altro, pone dei limiti al trasferimento delle azioni (in particolare un patto di prelazione). Tale patto non prevede alcun termine di durata e non sono previste clausole penali. Dopo un anno, Caio riceve una interessante offerta da Sempronio concernente l’acquisto delle proprie azioni. Caio, ormai intenzionato ad uscire dalla società, stante il deterioramento dei rapporti con Tizio, si rende conto però che il patto parasociale stipulato con quest’ultimo è ancora valido ed efficace. Caio cerca allora di risolvere il problema per non vedersi costretto a resistere ad una eventuale richiesta di risarcimento del danno avanzata da Tizio, più che probabile stante il suddetto deterioramento dei loro rapporti.

Questo era il mio caso. Lo prospettai al professore, il quale ne rimase con-tento e mi disse: “Ora cerca di arrivare alla soluzione schematicamente e scrivi una probabile e logica soluzione alla fine del tuo schema”. Iniziai ad industriarmi e partorii una mia soluzione.

Il procedimento logico che avevo seguito per giungere alla soluzione era il seguente:a) innanzitutto, analizzare se il patto parasociale rientrava nella elencazione

di cui all’art. 2341 - bis C.C. La risposta era positiva il patto rientrava tra quei patti rilevanti per la norma che erano diretti a «porre limiti al trasferimento delle relative azioni»,

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b) in secondo luogo, analizzare se il caso discorreva di patto parasociale (sindacato di blocco) a tempo determinato ed indeterminato e una volta verificato applicare la normativa appropriata. Il patto parasociale era a tempo indeterminato, pertanto si sarebbe dovuto applicare il secondo comma dell’art. 2341 - bis C.C. Ciascun contraente, quindi, aveva il diritto di recedere con un preavviso di 180 giorni,

c) a quel punto a Caio non restava che comunicare il diritto di recesso all’altro aderente al patto ed attendere la naturale scadenza di quel termine per tornare libero di disporre liberamente della sua parteci-pazione sociale,

d) forse il termine appena adottato “tornare libero” non era dei più adeguati. Caio era libero di vendere la sua partecipazione a Sempronio in ogni momento. Vendendo le sue azioni, però, avrebbe dovuto sobbarcarsi il rischio di una eventuale azione volta ad ottenere il risarcimento del danno da parte di Tizio,

e) non erano state pattuite penali, Caio quindi poteva dormire sogni tranquilli,

f) rimaneva da architettare un qualche schema giuridico per vincolare in questo semestre di attesa Sempronio alla sua volontà di acquistare le partecipazioni sociali. Una modalità per raggiungere lo scopo poteva essere rappresentata dalla stipulazione di un contratto preliminare, contratto che - sia pur non realizzando alcun trasferimento della pro-prietà delle azioni - avrebbe vincolato le parti alla stipula del definitivo alla scadenza di quel termine,

g) Caio e Sempronio ben potevano con un patto parasociale prevedere una gestione interinale della partecipazione sociale (diritto di voto ecc.) nel periodo compreso tra la data di stipulazione del contratto preliminare e la data di scadenza del termine di recesso.

La soluzioneEd ecco la conseguente soluzione: «Ai sensi e per gli effetti del nuovo

articolo 2341-bis, comma 2 del C.C., qualora il patto parasociale non preveda un termine di durata, ciascun contraente possiede il diritto di recedere con un preavviso di sei mesi dallo stesso patto».

Pertanto, sulla scorta di tale disposizione, Caio, essendo stato il patto parasociale stipulato a tempo indeterminato, potrà esercitare il diritto di recesso con un preavviso di 180 giorni. Ovviamente rimarrà vincolato al patto fino alla scadenza dei 180 giorni, non potendo alienare fino a quella data - se non andando incontro ad una probabile richiesta di ri-

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sarcimento del danno per inadempimento contrattuale avanzata da Tizio - le sue partecipazioni a Sempronio. Poteva, però, nel frattempo stipulare un contratto preliminare con quest’ultimo al fine di vincolarlo alla futu-ra stipulazione del contratto definitivo di vendita. Detto contratto, non realizzando alcun trasferimento della proprietà non avrebbe comportato alcuna violazione del suddetto patto. Nelle more poteva eventualmente stipulare con Sempronio anche un accordo avente ad oggetto la gestione della partecipazione sociale.

Provai a mostrare la mia soluzione al Professore, ma questi non voleva as-solutamente vederla. Disse che una sua visione preliminare avrebbe falsato l’esercizio che aveva in mente. Questi mi spiegò il suo procedimento logico e la relativa soluzione. Nonostante qualche microscopica differenza le due soluzioni coincidevano sostanzialmente. Alla fine seguì una breve discussione per decidere quale fosse la soluzione più corretta anche dal punto di vista formale. Optammo per una fusione delle nostre soluzioni, ove i suoi apporti superavano di gran lunga i miei (come era del resto immaginabile).

In applicazione della nuova normativa codicistica, possiamo affermare che il patto parasociale intercorso tra i soci Tizio e Caio è un patto para-sociale rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 2341-bis C.C. (Il Professore quanto all’aggettivo rilevante, a seguito di una mia domanda, mi invitava ad avere pazienza. Avremmo trattato a breve anche questo aspetto), in quanto pone dei limiti al trasferimento delle azioni (c.d. sindacato di blocco). Risulta, inoltre, che il patto parasociale stipulato dai due soci non contempli alcun termine di durata. Ne consegue che, essendo stato il patto parasociale stipulato a tempo indeterminato, entrambe le parti hanno il diritto di recedere dal patto con un preavviso di sei mesi.

Pertanto, in applicazione del nuovo art. 2341-bis, comma 2 C.C. Caio potrà esercitare il diritto di recesso previsto dalla norma con preavviso di 180 giorni. Così facendo, Caio, attendendo la data in cui il recesso produrrà i suoi effetti, eviterà di doversi difendere in un eventuale giu-dizio - incardinato da Tizio - avente ad oggetto un’azione tendente ad ottenere il risarcimento del danno per inadempimento di una clausola del patto parasociale incardinato da Tizio. Azione questa che potrebbe essere intentata dallo stesso Tizio stante l’efficacia meramente obbligato-ria delle pattuizioni inserite nei patti parasociali che vincolano tra loro solo ed esclusivamente le parti aderenti al patto. Inoltre, una volta che il recesso avrà efficacia, Caio potrà liberamente alienare le proprie par-

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tecipazioni sociali a Sempronio, vincolandosi con lo stesso, onde evitare il ripensamento del futuro acquirente, con la stipulazione immediata di un apposito contratto preliminare di compravendita di partecipazioni sociali. La data di stipulazione del contratto definitivo potrà coincidere con la data di scadenza dei sei mesi di preavviso, cioè nel momento in cui Caio non sarà più vincolato al patto parasociale e potrà liberamente alienare le proprie partecipazioni sociali senza incorrere in spiacevoli conseguenze.

Infine, Caio e Sempronio dovevano stipulare un nuovo patto che nella fase interinale, ovverosia quella compresa tra la stipulazione del contratto preliminare e la scadenza del termine di efficacia del diritto di recesso, stabilisse le regole di gestione della partecipazione sociale.

Quella mattina si rivelò tremendamente dura. Fortunatamente c’era la do-menica per recuperare. Il prossimo appuntamento era fissato per il seguente lunedì sera. Anche quella data sarebbe stata estremamente impegnativa. Infatti, vi era da discutere la tematica della pubblicità dei patti parasociali. Non nascondo che quella domenica - al fine di arrivare all’appuntamento più che preparato - studiai l’argomento su alcuni testi che avevo a disposizione. Non volevo fare brutta figura, avevo notato una certa sorpresa nel Professore, ma anche una grande gioia, allorquando notò che le soluzioni del caso da me proposto collimava con la sua. Mi sentivo che potevo dare di più. Passai l’intera domenica a studiare ed ad elaborare casi sulla pubblicità dei patti parasociali da proporre.Ripensando alle ultime considerazioni fatte con riguardo all’ultimo caso, pensai - ove il terzo acquirente avesse cooperato ovvero indotto all’inadempimento del patto parasociale il socio Caio, tanto per recare un danno a Tizio - se quest’ultimo avesse la possibilità di citare in giudizio anche Sempronio per ottenere la sua condanna al risarcimento del danno.Mi determinai in modo positivo, ritenendo applicabili anche in questa sede l’enunciazioni svolte dalla giurisprudenza con riguardo alla doppia aliena-zione immobiliare, al caso Meroni e alle problematiche relative all’induzione all’inadempimento nel caso di matrimonio, ciò soprattutto nel caso in cui il patto era stato pubblicizzato o il terzo ne aveva una diretta conoscenza.

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1.6 La pubblicità dei patti parasociali

Dopo una giornata stressante in Tribunale ed un primo pomeriggio in pa-lestra (avevo trascorso due ore con il mio personal trainer di pugilato), ero pronto alla parte più importante e stimolante della mia giornata: l’incontro con il Professore. Mi recai puntuale, come al solito, al suo negozio, ma ina-spettatamente lo trovai chiuso. Non era il giorno di chiusura, ma nonostante ciò le serrande erano completamente abbassate. Non un messaggio, né un cartello che mi avvertisse delle ragioni di questa chiusura. Strano davvero. Non mi sarei mai aspettato un simile comportamento dal Professore. Non nascondo che alla vista di quella saracinesca chiusa il mio morale cadde fino al centro della terra. Ero veramente dispiaciuto, quasi arrabbiato con il Pro-fessore. Non una giustificazione, né una chiamata. Poi, ragionando con più calma pensai che non aveva il mio numero di telefono (come io non avevo il suo). E se fosse capitato qualcosa di brutto a questo uomo solo e, comun-que, anziano? Non volevo congetturare in modo così negativo. Nel mentre pensavo al da farsi, ad un eventuale piano secondario sul come organizzare il mio pomeriggio ora che l’incontro era saltato, mi sentii chiamare. Era il Professore. Mi disse: “Andiamo!!! Attraversa la strada, oggi lezione nel parco. È una bella giornata, c’è una luce ed una atmosfera primaverile, il luogo è perfetto per una lezione sulla pubblicità dei patti parasociali”. Notai subito il fine paragone tra il tema della pubblicità (e la trasparenza) ed il riferimento alla luce della giornata. Il mio morale improvvisamente era tornato alto, al solito livello. Ero pronto. Attraversai la strada ed insieme entrammo nel vicino parco. Scendemmo le scalette che portavano ad una piazzetta con al centro un’antica fontana (non funzionante), e seduti su una panchina fatta di legno, iniziò a parlare.

Il sistema di pubblicità previsto dal TUIFPer quanto riguarda il sistema di pubblicità previsto per le Società con

azioni quotate in mercati regolamentati la norma a cui fare riferimento è l’art. 122 del TUIF. In particolare, tale norma al comma 1 stabilisce che i patti parasociali, stipulati in forma scritta a pena di nullità, devono essere:a) comunicati alla CONSOB entro 5 giorni dalla stipulazione,b) pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana entro 10 giorni dalla

stipulazione,c) depositati presso il registro delle imprese del luogo ove la società ha

la sede legale entro 15 giorni dalla stipulazione.

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Il Regolamento CONSOB 14 maggio 1999, n. 11971 (il cd. Regolamento emittenti) stabilisce le modalità e i contenuti della comunicazione, del-l’estratto e della pubblicazione del patto parasociale5.

Viene previsto quale deterrente, nel caso di inosservanza degli obbli-ghi dell’art. 122, comma 1 del TUIF, la sanzione della nullità per i patti parasociali. Inoltre, il diritto di voto inerente alle azioni quotate per le quali non sono stati adempiuti gli obblighi di pubblicità suddetti non può essere esercitato. In caso di inosservanza, si applica l’art. 14, comma 5 del TUIF, che prevede la possibilità di impugnare la deliberazione assembleare ex art. 2377 C.C. adottata con il voto determinante di coloro che avreb-bero dovuto astenersi. Soggetto legittimato a proporre l’impugnazione è anche la CONSOB, la quale deve esercitare l’azione nel termine di sei mesi dalla deliberazione o dalla iscrizione della deliberazione nel registro delle imprese ove è previsto tale obbligo.

Il Professore, terminata questa frase mi chiese: “Hai mai letto oppure sai che la CONSOB ogni hanno redige una relazione annuale sull’attività svolta?”. Risposi in senso affermativo, ma precisai di non averne mai letta un’intera. Questi mi disse: “Ora ti dimostro l’importanza di leggere detta relazione”. E iniziò a parlare. Nella relazione CONSOB del 2004 si legge un interessante passo che tocca direttamente la tematica dei patti parasociali e della loro pubblicità. Nei primi sei mesi del 2005 la predetta Autorità ha accertato formalmente l’avvenuta stipulazione di un patto parasociale occulto intervenuto tra la Banca Popolare di Lodi e altre persone fisiche e giuridiche per l’acquisto concertato di azioni della Banca Antonveneta e per l’esercizio anche congiunto di un’in-fluenza dominante. La CONSOB ha imposto ai partecipanti del patto occulto di effettuare una OPA obbligatoria ed ha (ed è questo il dato importante che mi interessava sapere) impugnato la deliberazione assembleare del XXX con la quale erano stati nominati il nuovo Consiglio di Amministrazione ed il nuovo Collegio sindacale, richiedendo il conseguente annullamento della deliberazione al Tribunale di Padova, in quanto i soggetti aderenti al patto non avrebbero potuto esercitare il diritto di voto, risultato decisivo. Questo richiamo per dimostrarmi come funziona in concreto il sistema.Il Professore mi invitava anche a riflettere sul nuovo impianto normativo introdotto nel nostro paese a seguito del recepimento della Direttiva co-munitaria sugli abusi di mercato (Direttiva 2003/6/CE) da parte della Legge Comunitaria del 2004.

5) Per un approfondimento si rimanda all’appendice normativa di cui alla parte finale del presente lavoro.

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La nuova normativa, oltre a prevedere un nuovo e più energico sistema di sanzioni penali ed amministrative (si pensi al reato di abuso di informazioni privilegiate e a quello di manipolazioni del mercato), prevede anche il raf-forzamento dei poteri investigativi della CONSOB, la quale ora può contare sulla collaborazione con l’Autorità Giudiziaria e la Guardia di Finanza e su nuovi poteri di accertamento (del tipo di quelli di cui gode la Commissione CE per scovare gli illeciti antitrust così come rinnovati dal Regolamento CE n. 1/2003). Strumenti che, a suo dire, sicuramente rafforzeranno in positivo gli effetti della sua attività di vigilanza, il tutto a vantaggio della stabilità ed efficienza dei mercati finanziari.Ad un tratto, il Professore mise una mano nella tasca destra della giacca e dal suo interno estrasse un documento. Era il provvedimento con cui la CONSOB aveva accertato il patto di concerto per l’acquisto di azioni della società quotata. Mi invitò a leggerlo. Ci sarebbe stato utile come introduzio-ne per le prossime tematiche che avremmo incontrato (ad esempio, i patti parasociali segreti o occulti). Questo il contenuto di quel documento:

Deliberazione CONSOB del 10 maggio 2005, n. 15029Accertamento dell’avvenuta stipulazione di un patto parasociale avente per oggetto l’ac-quisto concertato di azioni ordinarie della Banca Antoniana Popolare Veneta S.p.a.La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa,VISTA la Legge 7 giugno 1974, n. 216, e successive modificazioni e integrazioni;VISTO il decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni e integrazioni;VISTA, in particolare, la parte IV del decreto legislativo n. 58/1998 e, segnatamente, l’articolo 122;CONSIDERATO che a partire dal mese di novembre 2004 l’andamento delle azioni ordinarie della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. ha evidenziato un progressivo incremento delle quotazioni e dei volumi scambiati;CONSIDERATO che la Consob ha conseguentemente posto in essere una serie di interventi di vigilanza volti ad acquisire ogni elemento utile al fine di verificare il rispetto della normativa vigente e a monitorare l’andamento delle azioni nonché l’evoluzione degli assetti proprietari e dei patti parasociali della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a.;CONSIDERATO che la Consob, con delibera n. 15029 del 10 maggio 2005, ha reso noto che “gli accertamenti compiuti fino al 9 maggio 2005 hanno evidenziato l’esisten-za di elementi sufficienti ad accertare, allo stato, quantomeno l’avvenuta stipulazione di un patto parasociale avente ad oggetto le azioni ordinarie della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a.; patto rilevante ma non comunicato né pubblicato e depositato ai sensi dell’art. 122 del d.lgs n. 58/1998”. In particolare, con tale delibera ha accertato “l’avvenuta stipulazione di un patto parasociale avente per oggetto l’acquisto concertato di azioni ordinarie della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. e l’esercizio anche

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congiunto di un’influenza dominante sulla Banca stessa, per il quale non sono stati adempiuti gli obblighi di cui all’art. 122 del d.lgs n. 58 del 1998, tra: la BANCA PO-POLARE DI LODI s.c.a r.l., il sig. EMILIO GNUTTI, la FINGRUPPO HOLDING s.p.a., la G.P. FINANZIARIA s.p.a., il sig. TIBERIO LONATI, il sig. FAUSTO LONATI, il sig. ETTORE LONATI, il sig. DANILO COPPOLA, (per il tramite di FINPACO PROJECT s.p.a. e di TIKAL PLAZA s.a.); ciò nei tempi, nei modi e per la motivazioni indicati nell’“Atto di accertamento” che è unito alla medesima delibera della quale forma parte integrante e necessaria;CONSIDERATO che, successivamente a tale delibera, la Consob ha proseguito nell’at-tività di vigilanza volta a verificare il rispetto della normativa vigente e a monitorare l’andamento delle azioni nonché l’evoluzione degli assetti proprietari e dei patti pa-rasociali della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a., acquisendo ulteriori elementi utili a tal fine;VISTE le risultanze dell’attività di vigilanza svolta; RITENUTO che gli accertamenti compiuti fino al 20 luglio 2005 hanno evidenziato l’esistenza di elementi sufficienti ad accertare l’avvenuta conclusione di un ulteriore patto parasociale avente ad oggetto le azioni ordinarie della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a.; patto rilevante ma non comunicato né pubblicato e depositato ai sensi dell’art. 122 del d.lgs n. 58/1998; RITENUTA la necessità e l’urgenza di provvedere al formale accertamento del suddetto patto, essendo innanzitutto indifferibile interesse del mercato che sia integrato il quadro informativo attualmente disponibile in merito agli assetti proprietari della Banca Anto-niana Popolare Veneta, anche tenuto conto delle offerte pubbliche di acquisto totalitarie promosse da ABN Amro e da Banca Popolare di Lodi sui titoli emessi dalla suddetta Banca, entrambe in corso di svolgimento, e della connessa necessità di fornire alle parti direttamente coinvolte, in qualità di offerenti, un quadro informativo completo al fine delle decisioni connesse alle predette offerte, la cui assunzione produce rilevanti effetti per il mercato, ed ai soggetti interessati gli elementi conoscitivi necessari onde pervenire ad un fondato giudizio sulle offerte medesime; oltre a ciò, nell’imminenza dell’assemblea ordinaria della Banca Antoniana Popolare Veneta, convocata per il prossimo 25 luglio in prima convocazione e per il 27 luglio in seconda convocazione, appare improcrastinabile, ai fini del suo regolare svolgimento, accertare la esistenza dei presupposti di operatività del divieto di esercizio del diritto di voto di cui all’arti-colo 122, comma 4, del D.lgs. n. 58/1998, conseguente al mancato adempimento degli obblighi di cui al combinato disposto dei commi 1 e 5 dello stesso articolo;SULLA BASE dei fatti, delle valutazioni e delle motivazioni contenute nell’“Atto di accertamento” che è unito alla presente delibera e ne forma parte integrante;

D E L I B E R AÈ accertata l’avvenuta conclusione di un patto parasociale avente per oggetto l’acquisto concertato di azioni ordinarie della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. e l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante sulla Banca stessa, per il quale non sono stati adempiuti gli obblighi di cui all’art. 122 del d.lgs n. 58 del 1998, tra la BANCA POPOLARE ITALIANA - BANCA POPOLARE DI LODI Società Cooperativa e MA-GISTE INTERNATIONAL S.A.; ciò nei tempi, nei modi e per la motivazioni indicati

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nell’“Atto di accertamento” che è unito alla presente delibera della quale forma parte integrante e necessaria.Il patto è stato concluso quantomeno in data 10 marzo 2005.La presente delibera sarà comunicata agli interessati ad ogni effetto di legge e pubblicata sul sito e nel bollettino della Consob.Avverso la presente delibera può essere presentato ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio entro 60 giorni dalla comunicazione.Roma, 22 luglio 2005

Fatto questo breve excursus, che dava all’incontro anche un senso di attua-lità e di approfondimento, ma soprattutto per dimostrare come le norme trovano applicazione nella vita pratica, proseguì a discorrere di pubblicità dei patti parasociali.Prima di proseguire, però, mi informò che il 28 dicembre 2005 con la Legge n. 262 erano state introdotte nel nostro ordinamento le nuove disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari. Un punto di arrivo ormai insperato dopo due anni di attesa dagli scandali finanziari (Cirio e Parmalat) che avevano colpito il nostro paese. Le novità principali, per quanto attiene al governo societario, possono essere così riassunte:1) nuova disciplina del reato di false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622

C.C.), nonché introduzione di una nuova fattispecie criminosa, ovverosia l’omessa comunicazione del conflitto di interessi da parte dell’ammini-stratore di una società con titoli quotati (art. 2629-bis, C.C.)6,

2) introduzione dell’art. 147-ter nel TUIF che prevede la necessità che almeno uno dei membri del Consiglio di Amministrazione di una società quotata sia espressione della lista di minoranza che ha ottenuto il maggior numero di voti e non sia collegata in alcun modo, neppure indirettamente, con la lista risultata prima per numero di voti (si ricorda che, per espressa disposizione legislativo, per le elezioni delle cariche sociali le votazioni devono svolgersi con scrutinio segreto),

3) la possibilità per il collegio sindacale di promuovere l’azione sociale di responsabilità a seguito di sua deliberazione assunta con la maggioranza dei due terzi dei suoi componenti (art. 2393, comma 3, C.C.),

4) introduzione di nuove disposizioni in materia di autorità di vigilanza: Banca d’Italia (artt. 19 e ss.).

6) Richiamava la mia attenzione su un recente provvedimento del Tribunale di Milano del marzo 2006 con il quale è stato condannato un direttore generale di un istituto di credito a risarcire € 30 mila a favore della Consob, che si era costituta parte civile ai sensi dell’art. 187- undecies TUIF, per l’accertato reato di aggiotaggio, che in quanto lede l’interesse pubblico al regolare andamento del mercato e, dunque la fiducia degli investitori, viene ad inficiare i valori che l’Autorità di vigilanza con la sua attività si prefigge di tutelare e, pertanto, giustifica l’irrogazione della sanzione nei confronti del colpevole.

5�

Eseguiti questi flashes, il Professore mi invitava a leggere il provvedimento legislativo ove ne avessi voglia.

Il sistema di pubblicità previsto dal C.C.A sua volta, il sistema di pubblicità dei patti parasociali predisposto

dalla riforma è quello consacrato nell’art. 2341-ter C.C. Tale articolo importa una distinzione a seconda che si discorra di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e società chiuse.

Per quanto riguarda le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, viene stabilito che i patti parasociali devono essere preventivamente comunicati alla società e dichiarati in apertura di ogni assemblea.

Detta norma, dunque impone ai soggetti stipulanti di comportarsi in tal modo sia nel caso di assemblee ordinarie, sia straordinarie. Inoltre, questi soggetti o il loro eventuale rappresentante dovrà specificare l’oggetto del patto e non limitarsi a riferire circa solo alcune parti del patto stesso, dimenticando alcune dello stesso che possono avere una certa rilevanza (ad esempio, la clausola di durata del patto).

La predetta dichiarazione deve, poi, essere trascritta nel verbale e questo deve essere depositato presso il competente ufficio del registro delle imprese.

Mancato adempimento obblighi di pubblicità. ConseguenzeMa cosa accade in caso di mancata osservanza di questa previsione in

materia di pubblicità? La norma non manca di disciplinare le sanzioni nelle quali possono incorrere i partecipanti ad un patto parasociale rilevante che non osservino gli obblighi previsti dall’art. 2341-ter, comma 1, C.C.

In particolare, viene previsto il divieto di esercizio del diritto di voto per le azioni cui si riferisce il patto parasociale non dichiarato in apertura dell’assemblea. Non viene anche stabilita, come invece accade nel sistema di cui all’art. 122 del TUIF, la nullità del patto.

Nulla, al contrario, è previsto per la mancata comunicazione del patto parasociale alla società. Questa mancanza è facilmente comprensibile sol che si rifletta sulla circostanza che la dichiarazione in apertura di assemblea è garanzia della conoscenza della esistenza del patto da parte della società e degli altri soci.

Rimanendo nell’ambito della mancata dichiarazione del patto paraso-ciale in apertura di assemblea deve essere rilevato che, nel caso in cui il diritto di voto venga egualmente esercitato in assemblea dai partecipanti al patto e questo sia determinante nel raggiungimento della maggioranza,

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la deliberazione potrà essere annullata ai sensi e per gli effetti dell’art. 2377 C.C. Secondo quanto disposto dal nuovo art. 2377 C.C., legittimati ad esperire l’impugnazione sono i soci assenti, astenuti o dissenzienti (possessori di una partecipazione sociale minima indicata nell’art. 2377, comma 2 C.C.), gli amministratori, i membri del consiglio di sorveglianza e quelli del Collegio sindacale. Va detto che lo statuto sociale, e questa è una norma di fondamentale importanza nell’ottica della tutela delle mi-noranze azionarie, può ridurre queste soglie (l’uno per mille del capitale sociale delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e il 5% nelle altre) o addirittura eliminarle del tutto.

In relazione alle società le società chiuse il discorso è meno complesso, in quanto in capo a queste ultime non sussiste alcun obbligo specifico di pubblicità. Anche se meno complesso, però, anche in tal caso sorge egualmente un ginepraio di questioni in ordine alla tutela dei soggetti che non sono a conoscenza della esistenza del patto parasociale stipu-lato dagli altri soci e di tutela della stabilità della società. Sarebbe forse stato preferibile rendere anche tali società destinatarie di alcune norme in tema di pubblicità (ad esempio, non ponendo alcuna distinzione con le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio o ancora prevedendo per entrambe il solo obbligo di depositare il patto nel regi-stro delle imprese). Quanto riferito apre la strada alla questione dei patti parasociali segreti.

I patti parasociali segretiAbbiamo detto che per le S.p.A. chiuse non è previsto alcun obbligo

di pubblicità; ciò però non sta a significare che siano ammessi dal nostro ordinamento giuridico e, quindi ritenuti validi i patti parasociali segreti, ovverosia quei patti nei quali i partecipanti si impegnano a mantenere strettamente riservato e a non rivelare agli altri soci qualsiasi informa-zione concernente il patto tra di esse intercorso.

Detti patti devono ritenersi nulli, così come accade nel sistema predi-sposto dal TUIF che sancisce espressamente la nullità del patto parasociale ove gli stipulanti non osservino i severi obblighi di pubblicità che l’art. 122 elenca, non solo nel caso di S.p.A. chiuse, ma anche nel caso di società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. La nullità si fonda sulla circostanza che tali patti sono diretti ad occultare le situazioni di controllo azionario. Il Legislatore della riforma ha omesso di prendere in considerazione il problema della sorte dei patti parasociali segreti. L’interprete è, pertanto, chiamato ad analizzare se la sanzione predetta è efficace e può in concreto contribuire a dotare di tutela i soggetti non partecipanti al patto tenuto segreto, compresa la società.

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Se la nullità è una sanzione sostanzialmente efficace per i soggetti ade-renti al patto (si pensi al caso del socio che voti liberamente in assemblea, contravvenendo in tal modo al patto e, qualora chiamato a rispondere del suo inadempimento, eccepisca la nullità del patto per segretezza al fine di neutralizzare la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento), il discorso muta radicalmente quando ci si pone dal punto di vista dei soggetti non aderenti al patto stesso, che sono rimasti all’oscuro dell’esi-stenza del patto parasociale (nella specie gli altri soci, i creditori sociali ed i terzi più in (nella specie gli altri soci, i creditori sociali ed i terzi più in generale). Spiega effetti utili in tal caso la sanzione della nullità? La risposta non può che essere negativa e ciò per due ragioni fondamentali. Si pone, innanzitutto, come principale punto a sfavore la reale difficoltà per i non partecipanti al patto di venire a conoscenza dell’esistenza del patto stesso e, in secondo luogo, la difficoltà di fornire la prova dell’esistenza del patto parasociale concluso. Infatti, se il patto non riveste la forma scritta come possono detti soggetti fornirne la prova della sua esistenza? Non è il C.C., così come il TUIF, che discorre al riguardo di «patti in qualsiasi forma stipulati?». Per risolvere il problema, si potrebbe allora prendere in prestito un criterio che è utilizzato nel diritto antitrust, e cioè quello degli indizi gravi, precisi e concordanti, utilizzati nell’indagine volta ad accertare l’esistenza di pratiche concordate fra imprese.

Dubbi sorgono, comunque, sulla possibilità di tale traslazione nel campo dei patti parasociali. Infatti, per quello che concerne il diritto antitrust, va detto che il criterio è stato utilizzato dalla AGCM per fornire la prova della sussistenza di pratiche concordate, ovverosia di particolari tipi di intese prive dell’accordo delle parti (per questa ragione difficili da provare), che consistono in «una forma di coordinamento delle attività delle imprese che, senza essere stata spinta fino alla attuazione di un vero e proprio accordo, costituisce in pratica una consapevole collaborazione fra le imprese stesse a danno della concorrenza» (in tal senso Corte di Giustizia CE, caso C-48/69 ICI c/ Commissione). In tal caso, la prova della sussistenza della pratica concordata può essere fornita mediante documenti formali, che provino direttamente la concertazione fra le imprese interessate e desunta dai comportamenti che costituiscano un complesso di indizi seri, precisi e concordanti di una previa concertazione (Corte di Giustizia CE, caso C- 89/85, Ahlstroem Osakeyhtioe c/Commissione)7. Codesti indizi, riba-

7) Mi ricordavo di avere con me degli appunti in materia di pratiche concordatee e al loro interno trovai un documento che mia aveva consegnato un mio amico e collega, Ferdinando Nicotra, avvocato e cultore del diritto della concorrenza, dal quale estrassi molteplici provvedimenti giurisprudenziali

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diti di recente anche dal TAR Lazio con la sentenza n. 368/2002, devono essere rappresentati - alternativamente o cumulativamente - da:a) l’impossibilità di spiegare alternativamente la condotta parallela come

frutto plausibile delle iniziative imprenditoriali;b) dalla presenza di elementi di riscontro rivelatori della concertazione

e della collaborazione autonoma (ad esempio i contatti o lo scambio di informazioni tra imprese).Risulta chiara la particolarità dei parametri tenuti a mente dalla AGCM

e dal Giudice amministrativo per scovare codeste pratiche concordate e la impossibilità di estendere il criterio degli indizi gravi, precisi e concordanti ai patti parasociali segreti (nella specie l’esistenza di un comportamento di due o più imprese che operano in un dato mercato del prodotto/servizio e la mancanza di un accordo fra le stesse).

Tornando al discorso principale, non va negato che la parte che vuole in concreto provare avanti l’autorità giudiziaria l’esistenza del patto avrà dalla sua tutti i mezzi di prova messi a disposizione dall’ordinamento giuridico e previsti dal nostro C.P.C., ovverosia la prova testimoniale, le presunzioni semplici, le consulenze tecniche d’ufficio (ove s’intenda tale strumento come vero e proprio “mezzo di prova”) e l’interrogatorio formale. A queste si aggiunga la confessione spontanea di un aderente al patto circa l’esistenza dello stesso, cosa che, comunque, difficilmente dovrebbe verificarsi nella realtà pratica. Sovviene, al riguardo, un sugge-rimento pratico di cui l’attore deve fare tesoro. Qualora si incardini un giudizio avente ad oggetto una controversia relativa ad un patto paraso-ciale segreto, essendo applicabili le norme concernenti il nuovo processo ordinario societario, sarà bene che l’attore nell’atto introduttivo, essendo richiesto espressamente dall’art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 5/2003, indichi, al fine di non incorrere in preclusioni, in modo espresso i mezzi di prova

concernenti questa delicata fattispecie del diritto della concorrenza, che si richiamano qui di seguito e che mi promisi di analizzare in un secondo momento. In sede comunitaria, Corte Giustizia 14 luglio 1972 causa C-48/69, Imperial Chemical Industries; Corte Giustizia 16 dicembre 1975 causa C-40/73, SuikerUnie; Corte Giustizia 11 gennaio 1990, in causa C-277/87, Sandoz; Corte Giustizia 29 ottobre 1980 in cause riunite 209-215 e 218 Van Landewyck; Corte Giustizia 14 luglio 1981 causa C-172/80, Zuchner c. Bayerische Vereinsbank; Corte Giustizia 8 luglio 1999 causa C-235/92P, Montecatini SpA c. Commissione; Corte Giustizia 8 luglio 1999 causa C-199/92P, Huls AG c. Commissione. AGCM 12 giugno 1997, Produttori di vetro cavo, Boll. N. 24/1997. In sede nazionale, AGCM 8 giugno 2000, Accordi per la fornitura di carburanti, Boll. N. 22/2000; AGCM 28 luglio 2000, RC Auto, Boll. N. 30/2000; AGCM 9 ottobre 1997, Associazione Vendomusica/Case discografiche, Boll. N. 49/1997; AGCM 10 ottobre 1996, Noleggio Autobus Scolastici, Boll. N. 30/2000; AGCM 23 novembre 2000, Bracco/Byk Golden Italia/Farmades e altri, Boll. N. 47/2000. Nonché, Consiglio di Stato, VI, 20 Luglio 2001, n. 1671, Accordi per la fornitura di carburanti; Consiglio di Stato, VI, 22 marzo 2001, n. 1699, Tim/Omnitel tariffe fisso mobile; Consiglio di Stato, VI, 12 febbraio 2001, n. 652, Vendomusica.

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(ed i documenti) di cui intende avvalersi nel processo per supportare la propria domanda.

Tornando più propriamente al rimedio della nullità del patto paraso-ciale segreto e all’efficacia di un suo utilizzo per scovare i patti parasociali segreti, va detto che al suo utilizzo nella realtà pratica si potrebbe in concreto obiettare che la nullità stessa, in quanto tale è imprescrittibile e può essere fatta valere da chiunque abbia interesse. Tali caratteristiche della nullità, però, certo non verrebbero a giovare in un’ottica di stabilità della società; la società, infatti, verrebbe esposta ad una infinita situazione di incertezza, come tale deleteria e assolutamente non proficua. Per non discorrere, poi, dell’eventualità delle molteplici azioni di disturbo che potrebbero essere poste in essere da chiunque, stante la legittimazione da parte di questo chiunque abbia interesse ad agire giudizialmente.

Un ultimo rimedio da prendere in considerazione è quello del risarci-mento del danno ai sensi e per gli effetti dell’art. 2043 C.C. Anche in tal caso però sorgono forti dubbi sulla reale efficacia del rimedio indicato. Ciò perché sono sempre i soggetti danneggiati che devono fornire la prova dell’esistenza del patto e di essere stati danneggiati dallo stesso (ovverosia dell’esistenza del nesso di causalità tra fatto e danno). Non da poco conto è, infine la circostanza che l’azione di risarcimento si prescrive in 5 anni decorrenti dal giorno in cui il fatto si è verificato. A ben pensare gli stessi anni di durata di un patto parasociale. Determinandosi, pertanto, l’attore per l’adozione di questo rimedio si troverà avanti a tutte quelle difficoltà che il socio o un terzo incontra qualora voglia agire nei confronti degli amministratori e dei sindaci ai sensi dell’art. 2395 C.C.8

Se i rimedi fino a questo momento esaminati non convincono in modo alcuno, ve ne è uno - rinvenibile nel nuovo impianto normativo - che potrebbe neutralizzare gli effetti negativi conseguenti al problema dei patti parasociali segreti. Detto rimedio riposa nella norma contenuta nell’art. 2437, comma 4, C.C. in tema di dritto di recesso del socio, che

8) La possibilità di esperire tale azione, che richiede la verificazione di un danno direttamente nella sfera patrimoniale del socio o del terzo, richiede l’esistenza di un pregiudizio, derivante da atti dolosi o colposi degli amministratori compiuti nello svolgimento del loro ufficio o in occasione dello stesso, che consiste: per il socio, nella lesione conseguente alla svendita delle partecipazioni sociali possedute o nell’astensione alla loro alienazione a terzi a causa di notizie o documenti contabili (compreso il bilancio) fuorvianti predisposti dagli amministratori che alternano la valutazione del socio in merito alla possibilità di mantenere o disinvestire la partecipazione dallo stesso possedute nella società; per i creditori sociali, nella esecuzione di una fornitura a favore della società perché indotti a quel comportamento da un bilancio falsificato dagli stessi amministratori, da cui promana una situazione patrimoniale, economica e finanziaria florida della società invece che una reale situazione rovinosa.

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espressamente prevede la possibilità - giustamente limitata al solo caso delle società per azioni chiuse - di inserire liberamente in statuto ulteriori cause di recesso diverse da quelle inderogabili e derogabili di cui ai primi due commi dello stesso art. 2437 C.C.

Le cause di recesso di cui al comma 4 dell’art. 2437Conviene spendere alcune considerazioni su tale norma prima di ve-

dere come in concreto quest’ultima può spiegare in concreto i suoi effetti per neutralizzare gli inconvenienti dovuti alla pratica di stipulare patti parasociali segreti nelle S.p.A. chiuse.

Quello del diritto di recesso è un istituto che esce profondamente rivoluzionato a seguito della riforma del diritto societario.

Il nuovo sistema normativo rispetto al suo predecessore si basa sostan-zialmente sull’ampliamento delle cause di recesso del socio dalla società e sulla previsione di uno specifico procedimento di liquidazione della partecipazione sociale. L’art. 2437 C.C. individua tre categorie diverse di cause di recesso. Una prima categoria, disciplinata dal comma 1 dell’art. 2437 C.C., relativa a tutta una serie di ipotesi di recesso che sono indi-sponibili ovvero non sono eliminabili per clausola statutaria. All’interno di tale categoria rintracciamo, fra l’altro, le ipotesi di recesso già presenti nel vecchio art. 2437 C.C. con l’aggiunta di nuove (ad esempio, la revoca dello stato di liquidazione). Il comma 2 prevede ulteriori cause di recesso, questa volta disponibili ovvero eliminabili per clausola statutaria; nella predetta categoria vi rientra, ad esempio, la proroga del termine di durata della società.

Infine, sono previste altre ipotesi di recesso che sono liberamente introducibili in statuto dalla autonomia statutaria. E sono quelle che ci interessano ai fini del nostro discorso. In tal caso, come anticipato, è l’autonomia statutaria che la fa da padrona: non vi è alcuna limitazione di legge al riguardo. Esse ovviamente sono limitate, come già anticipato, per i pericoli relativi alla turbativa che potrebbero portare nel caso di S.p.A. che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, alle sole S.p.A. a compagine azionaria ristretta.

Le predette ipotesi di recesso possono essere esercitate tanto dal socio di maggioranza, quanto da quello di minoranza; il recesso può concernere tutta o una parte soltanto delle partecipazioni possedute. Legittimati al-l’esercizio del diritto di recesso sono i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti gli avvenimenti elencati tra le cause di recesso, in particolare i soci assenti, dissenzienti o astenuti.

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Concentriamo ora l’attenzione su tali ultime ipotesi di recesso. In tal caso la fantasia regna sovrana: lo statuto potrà prevedere, come anticipato, senza limitazioni di legge, varie ipotesi di recesso del socio.

In tal modo sarà possibile prevedere il diritto di recesso nel caso in cui si verifichi, tra l’altro:a) l’ingresso della società in mercati di ordinamenti giuridici stranieri,b) la revoca di alcune licenze o autorizzazioni di cui è titolare la società,c) la mancata quotazione in un mercato regolamentato entro un deter-

minato lasso temporale,d) la costituzione di patrimoni destinati ad uno specifico affare,e) il mancato compimento di determinate operazioni di M&A. L’elenca-

zione potrebbe proseguire all’infinito.Se la possibilità offerta all’autonomia statutaria rappresenta una conquista

di assoluto rilievo, molteplici sono le preoccupazioni che sorgono dal punto di vista della stabilità della società e della tutela dei creditori sociali.

Dette preoccupazioni trovano tutte il loro fondamento sulla duplice circostanza che il recesso può essere esercitato, come detto, non solo dal o dai soci di minoranza, ma anche da quello di maggioranza e che l’esercizio del diritto di recesso può riguardare tutta o solo una parte delle partecipazioni sociali possedute dal socio recedente (risulta chiaro che gli inconvenienti sono davvero molti nel caso in cui si debba liqui-dare una partecipazione del 45%). A ciò si aggiunga anche il peculiare procedimento di liquidazione della partecipazione del socio che esercita il recesso, nonché la novità introdotta in sede di riforma secondo cui la liquidazione della partecipazione azionaria deve avvenire al suo effettivo valore di mercato. Detto procedimento, cristallizzato nell’art. 2437-quater C.C., può condurre, ove la partecipazione del socio uscente non venga acquistata dagli altri soci o non alienata a terzi o ancora liquidata attra-verso riserve disponibili della società, alla riduzione del capitale sociale e, in alcuni casi, allo scioglimento della compagine societaria. Lo scenario può essere ancora più devastante nel caso in cui la società non si trovi in una florida situazione economico-finanziaria.

Quanto riferito fa avanzare dei dubbi in ordine alla bontà di dar corso alla autonomia statutaria per introdurre in statuto ulteriori ipotesi di recesso. Detta introduzione rimane rischiosa e, comunque, da attuare solo ove sia realmente necessaria.

Un caso in cui potrebbe divenire realmente necessario l’utilizzo di questa libertà conferita all’autonomia statutaria, ovviamente con l’introduzione di temperamenti che vengano a tutelare in qualche modo la stabilità della

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società, è quello della S.p.A. chiusa in cui si può profilare il pericolo che alcuni dei soci addivengano alla stipulazione di patti parasociali e che questi - non essendo dovuto per legge - non diano l’opportuna pubblicità al patto parasociale.

Come muoversi? La risposta è rinvenibile nell’art. 2436, comma 4 C.C. e in quella possibilità di inserire in statuto ulteriori cause di recesso rispetto a quelle di cui ai primi due commi dello stesso articolo. Lo statuto potrebbe in tal modo prevedere nella clausola relativa al diritto di recesso del socio che il recesso è esercitabile quando un socio o un membro dell’organo amministrativo viene a conoscenza (attraverso qualsiasi fonte e in ogni momento) della esistenza di un patto parasociale segreto. Alla scoperta dello stesso, che potrà avvenire anche in un momento successivo ad una deliberazione assembleare o quanto altro, il socio eserciterà il diritto di recesso, ottenendo dalla società la liquidazione della sua partecipazione sociale al valore di mercato. Ovviamente a prima vista questo meccanismo sembra far ricadere solo ed esclusivamente sulla società - che tra le altre cose è formalmente estranea al patto9 - i suoi effetti negativi. Infatti, ove nessun socio acquisti le partecipazioni del socio recedente, sarà la società stessa a doversi sobbarcare tale onere utilizzando le sue riserve con la probabilità di verificazione degli infausti esiti prima descritti.

Per limitare detti effetti, che incidono negativamente sulla stabilità della società (e in alcuni casi possono condurre ad un suo scioglimento), possono essere adottate delle precauzioni. Queste sono essenzialmente due.

La prima delle due prevede il ricorso alla disposizione di cui all’ultimo comma dell’art. 2437 C.C. (quella secondo cui, sono colpiti da nullità i patti che rendono gravoso l’esercizio del diritto di recesso per le ipotesi di cui al primo comma dell’art. 2437 C.C., ovverosia le cause inderoga-bili), la seconda fa leva sugli effetti benefici che possono derivare dalla costituzione di un trust. Vediamo come operano in concreto.

Nel primo caso, sarebbe possibile addivenire alla stipulazione di un patto che sia diretto a rendere più gravoso l’esercizio del diritto di re-cesso da parte del socio uscente. La previsione delle ipotesi di recesso liberamente introdotte in statuto dovrà essere accompagnata da un patto che stabilisca dei meccanismi utili e necessari al fine di neutralizzare o, almeno limitare, gli spiacevoli effetti connessi all’esercizio del diritto di recesso per la stabilità della società.

9) Si ricorda che la società è e rimane soggetto autonomo e distinto rispetto ai soci in forma della per-sonalità giuridica acquisita ai sensi dell’art. 2331 C.C.

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Il patto, preferibilmente stipulato dalla società con tutti o singoli soci inserito in una clausola statutaria o, eventualmente, tra categorie di soci, previsto anche in un patto parasociale, verrà a porsi come deterrente per evitare facili recessi dalla società e come controbilanciamento allo smisurato ampliamento dell’autonomia statutaria realizzato attraverso la previsione di cui all’art. 2437, comma 4, C.C.

Abbiamo detto che il patto dovrà essere stipulato o con tutti i soci indistintamente o con i singoli. Una tale scelta di negoziazione dipenderà dalle circostanze concrete e dagli interessi di cui sono portatori i soci della società. Il patto, in quanto avente come parte la società, potrebbe verosimilmente essere allegato allo statuto della società.

I meccanismi per rendere più gravoso l’esercizio di tale diritto sono i più svariati. Potrebbe rendersi più gravoso l’esercizio del recesso me-diante la specifica previsione nel patto di alcuni meccanismi che facciano riflettere il socio circa la bontà della propria scelta; si potrà, al riguardo, prevedere:a) l’esercizio del recesso diluito nel tempo (ad esempio, un primo 10%

liquidato immediatamente e il restante 90% dopo sei mesi),b) il pagamento di una sorta di penale alla società, la cui somma andrà

a formare una riserva,c) l’obbligo di procurare o prestare garanzie alla società per determina-

te operazioni o anche concedere dei beni strategici per la società in comodato dopo l’esercizio del recesso,

d) il ripianamento di parte delle perdite accumulate nel corso dei prece-denti esercizi in proporzione alle azioni possedute,

e) l’effettuazione di una donazione alla società (attribuzione alla società di parte delle proprie partecipazioni sociali).Infine, nulla si frappone alla possibilità di subordinare l’esercizio del

diritto di recesso alla verificazione di alcune condizioni sospensive, tra cui quella che richiede la sussistenza del voto determinante nella approva-zione delle delibere assembleari dei soci partecipanti al patto parasociale e via dicendo.

Altra via percorribile, come detto, è quella della costituzione di un trust.Ma che cosa è un trust? Il trust è un istituto di origine anglosassone,

introdotto in Italia a seguito della ratifica della Convenzione dell’Aja del 1985, che è strutturato nel modo seguente: vi è un settlor o disponente che trasferisce la proprietà di alcuni beni (mobili, immobili, titoli di credito) al trustee, che è il soggetto che gestisce e amministra detti beni. Ai predetti soggetti si accompagnano uno o più protectors, che hanno il

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compito di controllare l’operato del trustee e la compatibilità della sua attività con gli obiettivi prefissati dal disponente, e, infine, i beneficiari, cioè i soggetti che trarranno profitto dal trust. Nel caso di specie il trust avrà la finalità esclusiva di acquistare le partecipazioni del socio uscente (nel caso in cui gli altri soci o i terzi non le acquistino), corrispondendo al socio uscente un prezzo predeterminato. Così facendo, non ricadranno sulla società gli effetti spiacevoli dell’esercizio del diritto di recesso da parte del socio, ovverosia la riduzione del capitale sociale e (l’eventuale) scioglimento della società.

Disponente potrà essere la società o un terzo, che si spossessa di alcuni beni propri e li trasferisce ad un fiduciario (il trustee), il quale ne acquista la proprietà; quest’ultimo può essere una persona fisica o un’organizzazione, ad esempio una persona giuridica, e deve gestire ed amministrare detti beni, incrementandone il valore economico nel tempo, in vista della realizzazione dello scopo del trust (quello di acquistare le partecipazioni del socio uscente). Beneficiari del trust sono i soggetti che recedono i quali vedranno liquidate le proprie partecipazioni direttamente dal trust (che acquisterà le stesse).

Così facendo la società non dovrà in modo alcuno sobbarcarsi l’onere di intaccare le proprie riserve o addivenire alla pericolosa riduzione del capitale sociale, che può essere, soprattutto nel caso di una non florida situazione economico-finanziaria, il doloroso preludio allo scioglimento della società. L’operazione sembra giuridicamente fattibile non venendo a contrastare con i principi generali del nostro ordinamento; unici pro-blemi potrebbero essere rappresentati dai non irrilevanti costi di gestione del trust e dalla ancora scarsa familiarità dei nostri operatori con tale istituto. Non solo. Potrebbe essere difficile nella realtà trovare soci dispo-sti al momento della costituzione della società a conferire, oltre quanto dovuto a favore della costituenda società, anche dotare di alcuni beni o somme di denaro (che potrebbero essere investite dal trustee) il trust per permettere la fase iniziale di vita dello stesso.

Alla luce di quanto rilevato sembra, pertanto, chiaro come l’introdu-zione di una siffatta causa di recesso libera possa combattere e talvolta neutralizzare (ove il patto parasociale venga scoperto) gli spiacevoli e negativi effetti dovuti alla norma di cui all’art. 2341-ter C.C., che non stabilisce alcuna pubblicità per i patti parasociali nelle S.p.A. chiuse. Sulla società e non sugli aderenti al patto segreto ricadrà detto effetto neutra-lizzante, ma lo stesso sarà ripagato attraverso la previsione di quei vincoli o strumenti di cui abbiamo parlato, che rendono più gravoso l’esercizio

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del diritto di recesso, imponendo al socio una riflessione aggiuntiva sulla bontà o meno della sua scelta di recedere dalla società.

Come al solito, esaurita la parte relativa alla disciplina, arrivava il momento di ragionare sui concetti appena esposti attraverso dei casi pratici. Anche questa volta i casi erano due; due casi per addivenire alla applicazione pratica delle norme appena esposte e per comprendere appieno l’importanza delle stesse nella vita sociale.Il Professore iniziava ad impostare il primo caso. Sullo stesso avremmo in seguito affastellato la nostra discussione. Intanto il parco che ci ospitava stava iniziando a svuotarsi. Tutto ad un tratto il silenzio regnò incontra-stato. Il silenzio era l’accompagno migliore per riflettere sui casi pratici del Professore.L’impostazione di un caso in materia di pubblicità in materia di patti pa-rasociali.

Caso 1: Tizio, possessore del 5% del capitale sociale di Zeta S.p.A., società che fa ricorso al mercato del capitale di rischio, conclude con Caio, che a sua volta è titolare del 5% del capitale sociale di Zeta, un accordo in merito all’esercizio del diritto di voto nelle future assemblee della stessa società. Alla prima assemblea della società - convocata suc-cessivamente alla stipulazione di codesto accordo - né il socio Tizio, né il socio Caio dichiarano in apertura dell’assemblea l’esistenza dell’accordo, e in virtù dello stesso riescono a far nominare dall’assemblea, quale nuovo amministratore delegato, un soggetto di loro fiducia. Filano, titolare del 2% del capitale sociale di Zeta S.p.A. e dissenziente all’assemblea che ha deliberato la nomina del nuovo amministratore delegato, viene a cono-scenza in un secondo momento dell’esistenza del patto che vincolava a votare in quel determinato modo i soci Tizio e Caio. Decide di attivarsi per tutelare le proprie ragioni.

Una corretta soluzione del caso proposto impone di analizzare detta-gliatamente le problematiche sottostanti allo stesso. La prima problematica è quella di comprendere se la società Zeta S.p.A. rientra tra il novero di quelle società a cui è applicabile la nuova norma codicistica contenuta nell’art. 2341-ter C.C. Su questo punto non dovrebbero esserci problemi di sorta, dal momento che è il caso stesso a suggerirci che la società rientra tra quelle cui è applicabile la predetta norma del C.C. La seconda proble-matica, forse più impegnativa della precedente, impone al soggetto che si avvicina al caso per risolverlo di comprendere se l’accordo intercorso tra i soci Tizio e Caio possa essere fatto rientrare tra i patti parasociali

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rilevanti, ovverosia tra quei patti - elencati dall’art. 2341-bis C.C. - e che sono diretti a stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della socie-tà. Abbiamo detto che l’accordo aveva ad oggetto alcune pattuizioni in merito all’esercizio del diritto di voto nelle future assemblee della società Alfa. Questo accordo, senza ombra di dubbio, deve essere fatto rientrare all’interno dei patti parasociali, venendo a porsi come patto parasociale rilevante, stante il fatto che è un patto diretto a stabilizzare il governo della società e ha per oggetto l’esercizio del diritto di voto nella società per azioni (cd. sindacato di voto).

Terza problematica, alla quale si accede solo ed esclusivamente ove venga data risposta positiva alle prime due problematiche - come accade nel caso di specie - è quella di stabilire se gli aderenti al patto hanno ottemperato gli obblighi di pubblicità previsti espressamente dall’art. 2341-ter C.C.

Da un’attenta lettura del caso, detti obblighi non risultano rispettati, infatti, i due soci non hanno provveduto a comunicare il patto parasociale alla società e a dichiarare l’esistenza dello stesso prima della apertura dell’assemblea. Questo loro comportamento - dato per accertato dal caso proposto - importa che i due soci non potevano esercitare in quella data assemblea (ma anche nelle successive, ove il patto non fosse dichiarato) il loro diritto di voto.

Ma il voto è stato, comunque, espresso sia da Tizio, sia da Caio. Questo dato di fatto apre la strada alla quarta problematica. Occorrerà, al riguar-do, valutare se la deliberazione assembleare incriminata è stata adottata con il voto determinante dei due soci. Questo accertamento impone di scandagliare la reale composizione societaria e come i due soggetti (soci) hanno votato nell’assemblea. Così dicendo, se la maggioranza dei soci è stata raggiunta solo ed esclusivamente per mezzo del voto di Tizio e Caio o anche di uno solo di questi, ovverosia il loro voto è stato determinante per il raggiungimento della maggioranza, il socio dissenziente (Filano) ben potrà avvalersi dello strumento di tutela previsto dall’art. 2377 C.C. Al contrario, ove la maggioranza si sarebbe raggiunta egualmente anche senza il voto dei due soci, il socio dissenziente non potrà godere dello strumento di tutela indicato dall’art. 2341-ter C.C. (nella specie, l’art. 2377 C.C.).

Giunti a questo punto, occorre vagliare se il socio Filano - solo ove il voto dei possessori delle azioni riferibili al patto parasociale sia stato determinante - possegga quel dato numero di azioni per essere legittimato ad esperire l’azione di annullamento della deliberazione assembleare per contrarietà alla legge. Il caso precisa che questi è possessore del 2% del

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capitale sociale. Non vi dovrebbero essere ostacoli di sorta all’esercizio dell’impugnazione, la quale andrà a colpire una deliberazione certamente contraria alla legge. Va, comunque, precisato che ove Filano decidesse di attivarsi in tal senso dovrà tenere a mente il ristretto termine di de-cadenza previsto per l’esercizio dell’impugnazione (90 giorni dalla data della deliberazione o dagli altri momenti indicati espressamente dall’art. 2377, comma 6, C.C.).

Mancava ancora un caso. Il Professore mi chiese di articolarne uno personal-mente. Ero preparato all’evenienza. Durante la domenica appena trascorsa, infatti, avevo ideato un mio caso, un caso che tra le altre cose mi era capitato realmente nel corso della mia vita professionale. Lo sottoposi al Professore senza perdere tempo. La soluzione del caso, ad una prima occhiata, poteva sembrare semplice, ma non era così. Al suo interno erano annidate tante problematiche che avevo piacere di condividere con una mente tanto pre-parata in materia.Segue… l’impostazione di un secondo caso.

Caso 2: Tizio, Caio e Sempronio, possessori rispettivamente del 15%, 15% e 10% del capitale sociale della Delta S.p.A. (società chiusa) stipulano un patto parasociale avente ad oggetto l’esercizio del diritto di voto nella prossima assemblea ordinaria della società. In particolare, il sindacato di voto concerneva l’impegno dei suddetti soci di votare la costituzione di un patrimonio destinato ad uno specifico affare, il quale sarebbe stato il mezzo utilizzato dalla società per sbarcare in un mercato dell’estremo oriente (in particolare, cinese). Si trattava di un’operazio-ne altamente rischiosa, che visti gli altalenanti scenari internazionali, avrebbe sicuramente rappresentato una perdita per la società e, in ulti-ma istanza avrebbe potuto condurre al suo fallimento. I tre soci erano intenzionati a votare favorevolmente all’operazione, in quanto avevano degli interessi economici nel territorio della Repubblica Popolare Cinese. Più specificatamente, questi possedevano delle partecipazioni sociali in una società di quel paese operante in un settore complementare a quello in cui la società Delta con il suo patrimonio destinato sarebbe sbarcata. L’idea dei tre soci - consapevoli della rischiosità dell’affare e dei sicuri effetti negativi per la società - era, dunque quello di trovare in Delta un partner commerciale a cui vendere i prodotti di cui aveva bisogno per operare nel mercato cinese. Si trattava, pertanto, di un interesse dei tre soci estremamente in conflitto con quello della società, interesse diretto essenzialmente a recargli più che un vantaggio, un nocumento dal punto

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di vista economico. Da questa operazione i tre soci avevano pianificato di guadagnare molto di più vendendo quei prodotti alla società italiana (o meglio al patrimonio destinato), piuttosto che vendere le partecipazioni sociali possedute in Delta S.p.A. a terzi.

Il piano era studiato nei minimi dettagli. Era stata anche prevista l’in-testazione fiduciaria delle azioni ad un terzo che avrebbe votato in quella data assemblea secondo le importazioni ricevute dai soci sindacati.

I tre soci avevano dalla loro parte anche la circostanza favorevole che la società e, conseguentemente, la vita sociale era caratterizzata da un certo assenteismo degli altri soci. Questa situazione di inattività li avrebbe certamente avvantaggiati. Non tutti i soci però erano passivi. Ve ne era uno in particolare, Tizietto, soggetto giovane ed intraprendente che, sia pur non conoscendo la circostanza che i tre soggetti possedevano delle partecipazioni in una società operante nel mercato cinese, non rimase con le mani in mano. Cominciò a porre in essere un’intensa attività di ricerca diretta a reperire più informazioni possibili su quali fossero le condizioni legislative da rispettare per operare nel mercato cinese, ma anche relative ai tre soggetti e, soprattutto alcune dirette a comprendere se l’operazione che doveva essere deliberata dall’assemblea poteva avere dei risvolti infausti per la società. Mentre i risultati della ricerca arriva-rono immediatamente (quanto all’affare era stato sconsigliato da tutti gli esperti), la seconda informazione (quella sui soggetti) giunse solo dopo che l’assemblea dei soci aveva approvato la costituzione del patrimonio destinato ad uno specifico affare. Anche Tizietto, pertanto, venne a cono-scenza della circostanza che i tre soci avevano un interesse nel mercato cinese, interesse che sicuramente non andava a collimare con quello di Delta S.p.A.

Il tempo a disposizione per agire era scarso, bisognava fare assoluta-mente qualcosa, prendere delle contromisure. Intanto, la deliberazione veniva implementata e tutto era pronto per lo sbarco in Oriente. Tizietto decise allora di recarsi da un consulente di fiducia e vedere se poteva essere fatto qualcosa per prevenire i danni che di lì a poco si sarebbero verificati in capo alla società una volta implementato quello sbarco. Questi informò il consulente, oltre di quanto esposto fino a questo punto, delle seguenti circostanze:1) dell’esistenza del patto parasociale di cui ne era venuto a conoscenza

tramite le sue indagini personali,2) del fatto che il patto parasociale non era stato dichiarato in apertura

dell’assemblea da Tizio, Caio e Sempronio.

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Il consulente interrogato comprese subito che Sempronio non aveva alcuna possibilità di invocare il mezzo di tutela previsto dall’art. 2341-ter C.C.

La Delta S.p.A. era una società chiusa, che non faceva ricorso al mercato del capitale di rischio. Questo dato fondamentale importava che i nominati soci non avevano alcun obbligo di portare a conoscenza della società e degli altri soci l’esistenza del patto parasociale stipulato in apertura di assemblea. Alcuna norma del C.C. in materia di patti parasociali impe-diva agli stessi di manifestare il proprio voto in assemblea dei soci (c’era da scandagliare, però, l’applicabilità delle norme in materia di conflitto di interessi - art. 2373 C.C.).

Ne conseguiva che Tizietto non poteva contare sul mezzo di tutela espressamente previsto dal secondo comma dell’art. 2341-ter C.C. (impu-gnazione della deliberazione assembleare ai sensi dell’art. 2377 C.C.).

Cosa rimaneva da fare? Secondo il consulente ben poco da questo punto vista (si poteva azionare l’impugnazione della deliberazione assembleare per conflitto di interessi dei tre soci, ove non fossero scaduti i termini di impugnazione e il socio Tizietto possedesse la percentuale di capitale sociale richiesta dalla norma per impugnare detta deliberazione). Vi era eventualmente la possibilità di incidere sul piano della nullità del patto parasociale (magari configurando il patto parasociale come segreto).

La strada era tortuosa e si enucleava in quella di proporre un’azione avanti il Tribunale competente volta ad ottenere la dichiarazione della nullità del patto parasociale intercorso tra i soci, in quanto detto patto era diretto non a realizzare l’interesse sociale, ma bensì a realizzare un interesse contrario a quello della società, che determinava un chiaro no-cumento alla stessa e alla sua stabilità patrimoniale. A quel punto, una volta dichiarata la nullità del patto, la società (ove non richiesto nella stessa sede) ben poteva agire direttamente nei confronti dei soci Tizio, Caio e Sempronio per ottenere il risarcimento del danno causato dal negativo sbarco nel continente asiatico. Ovviamente, se la prima azione doveva essere supportata dalla prova dell’esistenza del patto e della volontà dei tre soci di votare in quel modo determinato, nella seconda azione la società aveva l’obbligo di dimostrare gli elementi caratterizzanti l’illecito extracontrattuale (art. 2043 C.C.) al fine di ottenere il risarcimento del danno. Paragonate le vie percorribili, la strada dell’impugnazione della deliberazione per conflitto di interessi dei tre soci era, però, la più fattibile a dire del consulente (art. 2373 C.C.).

Un’ultima possibilità per Tizietto sarebbe stata quella - ove il ma-nagement della società non fosse colluso con i tre soci - di informare

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gli stessi di quanto sarebbe di li a poco accaduto ed evitare in tempo il disastroso sbarco della società nel mercato cinese (unitamente al danno patrimoniale per la stessa e alla sua immagine).

Il mio caso era terminato. Il Professore mi fissò attentamente, aveva capito che avevo preparato in precedenza il caso (era troppo articolato!!!). Disse: “Bene, è un caso interessante. Peccato che nella parte finale esula comple-tamente dal nostro lavoro”.Rimasi pietrificato a queste affermazioni. Il Professore mi spiegò subito quello che voleva dire e mi spronò a riflettere sull’imprecisione per evitare di sbagliare un domani nel corso della vita professionale.Lodò, fin da subito, il fatto di aver rimarcato nell’esempio che la norma di cui all’art. 2341-ter C.C. non trovava applicazione nel caso di società per azioni chiuse. Ma, poi tenne a precisare che nel caso di un impegno di voto relativo a specifiche operazioni (nel caso di specie, costituzione di un patrimonio destinato ad uno specifico affare) si sarebbe dovuto escludere che l’accordo rientrasse nell’ambito dei patti parasociali rilevanti. Il che avrebbe comportato l’impossibilità di applicare la normativa codicistica in materia di patti parasociali. Infatti, detto accordo tutto era tranne che un patto volto a stabilizzare il governo della società, dal momento che non veniva a concre-tarsi in un impegno temporale di medio/lungo termine. Lo stesso veniva a porsi più come una pattuizione spot, che si esauriva con l’esecuzione della specifica operazione.Aggiungeva, infine, che avevo toccato una tematica rilevante: quella della nullità dei patti parasociali e del conflitto di interessi del socio. Mi disse che il primo dei due temi lo avremmo trattato in seguito, in uno dei successivi incontri. In particolare, avremmo approfondito questa tematica con riferi-mento alla nullità del patto parasociale, che può essere eccepita da un socio aderente al patto in sede processuale, allorquando è chiamato a rispondere dell’inadempimento di una delle clausole contenute nel patto medesimo e neutralizzare in tal modo la domanda dell’attore.Precisò, infine, che il socio Tizietto, ove le prove prodotte in uno degli even-tuali giudizi incardinati, fossero state acquisite in contrasto con qualche norma giuridica, ad esempio in materia di privacy, queste non sarebbero state accettate dal Giudicante, in quanto probabilmente da considerare prove illecite.L’incontro era concluso. Si trattava ora di metabolizzare le informazioni rac-colte e di riflettere sugli errori commessi. Primo fra tutti quella secondo cui non mi ero accorto (anzi, meglio non lo sapevo) che vi erano degli accordi che non rientravano nel novero dei patti parasociali.Stante l’impegno profuso nei precedenti incontri, dovuto alla delicatezza degli argomenti trattati, il Professore mi disse che i successivi incontri

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sarebbero stati meno pesanti. Avremmo trattato alcuni temi particolari in materia di patti parasociali, temi sempre rilevanti, ma meno complessi, delle vere e proprie ciliegine sulla torta, che sarebbero venute a completare la mia preparazione.Ero contento, ma ancora non avevo compreso cosa intendesse per ciliegine sulla torta. Non mi restava che attendere pazientemente, fidarmi di quello che aveva detto il Professore (che parlava delle ciliegie con tanto ardore) e ripassare - facendolo mio - quanto sino a quel momento avevamo affrontato nei nostri incontri. L’appuntamento venne, quindi, fissato per il successivo venerdì.

1.7 considerazioni sparse in ordine ai patti paraso-ciali

Quel venerdì sulla città si era abbattuto un forte temporale. Ero arrivato all’an-tica libreria con cinque minuti di ritardo, tutto zuppo (guidare un ciclomotore con la pioggia e in mezzo al traffico non è cosa semplice). Entrai. Il Professore scalpitava, non amava i ritardatari. Passeggiava su e giù per la stanza, nello spazio compreso tra la cassa e la scrivania che ci ospitava, con un passo agitato e pensieroso. Era una immagine devo dire inquietante. Lo salutai. Lui mi rispose con un cenno del capo e mi invitò a prendere posto. Non si preoccupò mini-mamente del mio stato e dei miei vestiti completamente bagnati. Tutto chiuso nella sua libreria, attento solo a quello che accadeva nel suo mondo, era come se fuori non avesse mai piovuto. Da parte mia cercai di rimediare, ponendo il mio cappotto e la giacca su una sedia posta nell’immediatezza di un calorifero. Speravo che si asciugassero prima della fine dell’incontro.Il Professore, fissandomi attentamente in questa attività, aprì il vecchio ma-noscritto e, non appena ebbi finito di sistemare le mie cose, iniziò a parlare. Finalmente avrei scoperto in che cosa consistevano queste famose ciliegie sulla torta di cui tanto andava fiero.

Aspetti positivi e negativi della disciplina introdotta nel C.C. A questo punto, necessariamente prima di altre considerazioni (l’aver

discorso in generale della disciplina dei patti parasociali lo imponeva), dobbiamo riferire circa gli aspetti positivi e negativi della riforma in materia di patti parasociali. Iniziamo dagli aspetti positivi.

Tra gli aspetti positivi emerge un primo dato che certamente sarà in grado di ovviare ad una grande quantità di problemi interpretativi venutisi a creare nella realtà pratica sotto l’impero dell’art. 122 del TUIF.

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Il riferimento è diretto alla intervenuta restrizione da parte dei due articoli ospitati nel C.C: delle ipotesi di patti parasociali rispetto alla disciplina contenuta nel TUIF. L’art. 2341-bis C.C. prevede, infatti, un elenco più breve di patti rispetto al TUIF10, preceduto da un elemento definitorio di ordine più generale.

Tale articolo, infatti, prima di elencare le tre ipotesi di patti parasociali, sancisce che sono patti parasociali solo quelli che sono volti a stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società.

Questa precisazione si segnala per la sua opportunità, in quanto co-stituisce un notevole progresso rispetto al sistema predisposto dal TUIF. Quanto appresso diremo permetterà di comprendere appieno l’opportunità dell’introduzione di un siffatto specifico dato definitorio.

L’impostazione del TUIF in materia di patti parasociali ha portato con sè dei problemi in ordine all’esatta portata da assegnare all’art. 122.

Tali problemi sono stati risolti dalla CONSOB. Più segnatamente, l’Autorità di vigilanza ha fornito un’interpretazione restrittiva della nor-ma in questione, restringendone il campo di applicazione. In particolare, la CONSOB, nella già incontrata comunicazione del 18 aprile 2000 n. 29486, ha affermato che gli elementi menzionati nell’art. 122 TUIF sono necessari, ma non sufficienti per la definizione di patto parasociale.

È, comunque, fondamentale che il contratto persegua la funzione propria dei patti parasociali e cioè quella di dare un indirizzo unitario alla organizzazione e alla gestione sociale e di cristallizzare determinati assetti proprietari.

I problemi che sono conseguiti all’impostazione c.d. allargata dell’art. 122 TUIF e alla sua interpretazione letterale possono essere esemplificati con due considerazioni pratiche. La prima riguarda la categoria dei patti che prevedono l’acquisto di azioni. Tale categoria qualora fosse intesa alla lettera comprenderebbe al suo interno tutti i contratti di vendita pronti o a termine e le opzioni di acquisto o vendita che però non risultano essere patti parasociali, in quanto non sono diretti a fornire un indirizzo unitario di gestione o a cristallizzare determinati assetti proprietari. Sa-rebbe, pertanto, fuori luogo imporne il sistema di pubblicità previsto dal

10) Come abbiamo già posto in risalto, l’art. 122 del TUIF prevede cinque categorie di patti aventi ciascuno uno specifico contenuto:a) patti aventi ad oggetto l’esercizio del diritto di voto (c.d. sindacati di voto),b) patti che istituiscono obblighi di preventiva consultazione per l’esercizio del diritto di voto, i patti

che pongono limiti al trasferimento delle relative azioni (c.d. sindacati di blocco),c) patti che prevedono l’acquisto delle azioni,d) patti che hanno per oggetto o per effetto l’esercizio, anche congiunto, di un’influenza dominante.

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primo comma dell’art. 122, limitarne la durata e ammetterne, essendo le azioni quotate in mercati regolamentati, il recesso nel caso si promossa una OPA obbligatoria (art. 123, comma 3 del TUIF).

Proseguendo negli esempi, lo stesso potrebbe affermarsi per gli accordi di lock up, previsti nell’ambito delle offerte finalizzate alla quotazione in borsa. Tali accordi non hanno la funzione tipica dei patti parasociali, al contrario, tali patti hanno la specifica funzione di evitare una caduta del titolo successivamente alla chiusura dell’offerta per effetto della immissione sul mercato di azioni ulteriori rispetto a quelle collocate.

Eppure, incredibilmente, nella dizione dell’art. 122 TUIF rientre-rebbero in linea di principio anche gli accordi di lock up con tutte le conseguenze in ordine alla disciplina applicabile (pubblicità, durata e diritto di recesso). Non sembra di questo avviso la CONSOB che nella Comunicazione dell’aprile 2000 già riferita ha concluso rispondendo ad un quesito posto da Assonime ritenendo che agli accordi di lock up non è possibile applicare la disciplina di cui agli artt. 122 e 123 del TUIF, in quanto detti accordi non vengono ad incidere sugli assetti proprietari delle società quotate e le relative clausole non perseguono l’obiettivo di stabilizzare determinati assetti proprietari. La pubblicità per detti accordi è garantita dalle informazioni che devono essere contenute nel prospetto di sollecitazione all’investimento e in quello di quotazione.

Quanto riferito si ritiene, altresì, applicabile ai contratti di compra-vendita, ai preliminari di vendita, ai contratti futures, alle opzioni put e call e, infine, alle c.d. overallotment options, a meno che tali contratti non contengano specifiche clausole definibili come “parasociali”, in quanto conformi alle tipologie indicate nell’art. 122 TUIF, così come sopra interpretate (ad es. clausole di blocco, di consultazione, acquisto concertato ecc.).

In tal caso, le clausole saranno soggette al regime di pubblicità e alle ulteriori disposizioni previste dal T.U. per i patti parasociali.

L’art. 2341-bis C.C. ha fatto tesoro anche di quanto elaborato nel cor-so degli anni dalla autorità di vigilanza, la CONSOB; così facendo ha introdotto in apertura di norma un dato definitorio utile e necessario per non correre il rischio di inserire nella categoria dei patti parasociali patti che sono diretti a realizzare finalità differenti ed estranee rispetto a quella di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società11 La

11) Una precisazione. Non ogni patto che appaia diretto a stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società è da considerare valido per effetto del nuovo art. 2341-bis, comma 1 C.C. In tale ottica sono nulli i patti parasociali che impegnano i soci a votare, anziché nell’interesse della società, per

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norma di apertura permette allora di risolvere la questione relativa alla individuazione se determinate ipotesi di accordi possano essere ricondotti o meno all’interno dei patti parasociali e, conseguentemente, sottoposti alla disciplina normativa.

Si rifletta per un attimo sui patti intervenuti per l’esercizio del voto nel caso di azioni date in pegno o sulle quali è stato costituito un diritto reale di godimento, quale l’usufrutto. Nel caso di pegno, qualora il patto fosse accompagnato da una convenzione di voto, potrebbe discorrersi di patto parasociale, in quanto il patto concerne l’esercizio del diritto di voto.

Tale soluzione sarebbe inverosimile. Infatti, facendo rientrare i contratti di pegno aventi ad oggetto la disciplina dell’esercizio del diritto di voto nella categoria dei patti parasociali rilevanti, tutti i contratti di pegno dovrebbero essere assoggettati a pubblicità, sarebbero limitati nella durata quinquennale, nel caso di stipulazione a tempo indeterminato sarebbe garantito alle parti il diritto di recesso e, infine, nel caso di azioni quo-tate, vi sarebbe il diritto di recesso nel caso di OPA obbligatoria. Appare, dunque, preferibile alla luce del nuovo art. 2341-bis C.C. escludere che tale pattuizione rientri all’interno della categoria dei patti parasociali.

Altro caso da portare come esempio utile per dimostrare la funzione positiva che è in grado di svolgere il dato definitorio previsto in apertura dal nuovo art. 2341-bis C.C. potrebbe essere quello rappresentato dall’im-pegno di voto relativo a specifiche operazioni (vedi il caso che mi hai proposto allo scorso incontro). Anche in tale ipotesi si potrebbe escludere che il contratto rientri nell’ambito dei patti parasociali rilevanti. Infatti, sembra non essersi di fronte ad un patto volto a stabilizzare il governo della società, dal momento che non viene a concretarsi in un impegno temporale di medio lungo termine. Anzi la stessa viene a porsi più come una pattuizione spot, che si esaurisce con l’esecuzione della specifica ope-razione, che un impegno temporale di medio-lungo termine.

Nel caso che mi hai proposto il patto prevedeva di coordinare il diritto di voto esclusivamente con riferimento alla deliberazione da parte dell’as-semblea della costituzione del patrimonio destinato ad uno specifico affare. Dunque, si trattava di un impegno spot, che si esauriva con quella specifica deliberazione.

arrecargli nocumento ovvero un patto che preveda l’elusione del procedimento legale di liquidazione della società di capitali o ancora i patti che attribuiscono, indirettamente, efficacia esterna al vincolo di voto. Tali patti seppur diretti a stabilizzare gli assetti proprietari o il governo societario devono essere considerati nulli, in quanto non rientranti nelle categorie dei patti rilevanti e, dunque, devono considerarsi non giustificabili alla stregua dell’art. 2341-bis C.C.

7�

Un ulteriore aspetto positivo della riforma è certamente quello contenuto nell’ultimo comma dell’art. 2341-bis C.C. in merito ai patti accessori. Di questo aspetto non ne abbiamo fino a questo momento parlato.

Lo faremo, sia pur brevemente, in questa sede.L’art. 2341-bis, ultimo comma C.C. precisa, al riguardo, che il limite di

durata previsto per i patti parasociali vale solo per i patti autonomi e non anche per le clausole accessorie di accordi di collaborazione industriale o commerciale che prevedano l’utilizzazione di una società strumentale, interamente posseduta dai partecipanti all’accordo stesso.

Il limite di durata, tendente a consentire il mutamento del controllo e nel governo della società, mal si attaglierebbe con un impegno accessorio ad un patto di collaborazione industriale o commerciale nel quale trova la sua fonte e ragione giustificatrice. Inoltre, le collaborazioni industriali o commerciali richiedono di essere programmate per una durata superiore ai 5 anni. Deleterio, pertanto, sarebbe l’effetto di una differente norma sulle operazioni di joint ventures.

Ma la riforma non è caratterizzata solo da aspetti positivi. Molteplici, infatti sono anche gli aspetti negativi che meritano di essere segnalati.

Deve essere segnalata, in primo luogo, l’impropria adozione della sanzione della sospensione del voto prevista dal secondo comma dell’art. 2341-ter C.C. Quello che in questa sede preoccupa, anche e, soprattutto, dal punto di vista della tutela delle minoranze, è il coordinamento con gli specifici quorum previsti in tema di legittimazione all’impugnazione della deliberazione assembleare presa contrariamente alla legge o allo statuto di cui ai nuovi artt. 2377 e ss. C.C. Abbiamo detto che la legittimazione ad impugnare una deliberazione assembleare invalida (rectius: annullabile) spetta solo ed esclusivamente ai soci che possiedono una determinata soglia di capitale sociale: l’uno per mille del capitale sociale nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e 5% nelle altre.

Pertanto, ai soci che non raggiungono dette percentuali non rimane che esperire un’azione diretta ad ottenere il risarcimento del danno cagionato dall’approvazione della deliberazione, azione questa che non è certamente in grado di tutelare in modo energico il socio e pone lo stesso, ancora una volta, in una posizione di inseguitore, piuttosto che di inseguito nei confronti della maggioranza (nel caso sia titolare di una partecipazione di minoranza nella società). A nulla vale la previsione che conferisce alla autonomia statutaria la facoltà di prevedere percentuali inferiori per esercitare l’impugnazione o addirittura di eliminare queste percentuali (art. 2378, comma 2 C.C.). La norma quasi sicuramente non troverà una sicura applicazione nel panorama imprenditoriale italiano, stante la sua

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struttura e le sue caratteristiche peculiari (in cui è davvero trascurabile numero delle cd. Public companies).

Infine, notevoli problemi derivano dalla circostanza che il Legislatore della riforma non ha apprestato alcuna disciplina dei patti parasociali di fatto, soprattutto, per quanto riguarda la loro prova. Così come per i patti parasociali segreti sarebbe stato sufficiente prevedere un unico sistema di pubblicità per entrambe le S.p.A., sistema consistente nel deposito del patto parasociale nel registro delle imprese.

Una disciplina dei patti parasociali di fatto si rendeva, dunque, indi-spensabile, anche considerando la circostanza che questa pratica si è venuta a diffondere notevolmente in questi ultimi anni nella realtà quotidiana, non addivenendo gli aderenti al patto, il più delle volte, alla stipulazione materiale del loro accordo di massima.

Il Professore aveva terminato la prima parte. Avremmo ora incontrato quelle famose ciliegie sulla torta di cui andava tanto fiero e che non vedeva l’ora di trasferirmi. Nell’ordine, queste ciliegie concernevano:a) l’applicabilità della disciplina dei patti parasociali alle società a respon-

sabilità limitata,b) il ruolo dei patti parasociali nel caso di OPA,c) le intersezioni tra i patti parasociali e il diritto della concorrenza, soprat-

tutto nell’ottica delle operazioni di concentrazione,d) l’eccezione di nullità del patto parasociale quale mezzo per il socio op-

presso di liberarsi dallo stesso,e) la redazione della clausola statutaria concernente la pubblicità dei patti

parasociali.

Avremmo fatto tutta una tirata, a costo di non andare a dormire quella notte. Il professore era pronto. Aspettava solo il mio benestare, il quale giunse immediatamente. Si entrava, dunque nel vivo della presentazione di queste ciliegie sulla torta, ciliegie che sicuramente avrebbero conferito alla mia preparazione un ineguagliabile plus.

1.8 Patti parasociali e Società a responsabilità limitata

Poniamo subito un quesito a cui alla fine del paragrafo cercheremo di dare risposta. Sono applicabili le norme contenute negli artt. 2341-bis e ter C.C. alle società a responsabilità limitata? Ovvero i soci di quel-le società possono stipulare patti parasociali? La risposta necessita di

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un’introduzione su quello che è il ruolo del socio ante e post riforma del diritto societario.

Il Codice del 1942 aveva, rispetto al suo predecessore, il C.C. del Regno d’Italia del 1865, il grande merito di aver introdotto scelte innovative, soprattutto nei libri IV e V, rispettivamente intitolati “Delle obbligazio-ni” e “Del lavoro”, comportando il definitivo passaggio dalla “proprietà all’impresa” e giungendo a quel fenomeno che la dottrina nostrana ha definito come la commercializzazione del diritto civile.

Il C.C. del 1942 fu varato, come è noto, sotto l’influenza di vari e diversi fattori politici ed economici tipici di un più accentuato statuali-smo e del tramonto della concezione liberale classica, con l’affermazione, invece, della tendenza a controllare e a limitare l’autonomia dei privati, della partecipazione dello Stato nelle attività economiche, della concezione produttivistica in tema di proprietà ed impresa e della rilevanza (e pre-valenza) degli interessi generali e pubblici su quelli dei privati. Si pensi, per avere un quadro di riferimento il più concreto possibile, a quello che accadeva in materia di proprietà, più segnatamente alla distinzione, contenuta nell’ormai abrogato art. 811 C.C., concernente i beni rilevanti e non rilevanti per la produzione nazionale; e ancora al significato che era attribuito alla causa, elemento essenziale del contratto (art. 1325 C.C.), che era interpretata come concetto non funzionale all’autonomia privata, ma come vero e proprio sentore anzi, meglio, come una spia di controllo in grado di sondare la compatibilità degli interessi privati con l’ordine pubblico e, conseguentemente, con interessi pubblici.

Gli esempi possono proseguire menzionando anche le norme relative alle società e, più in particolare le norme relative alle società di capitali.

In questo caso siamo di fronte ad un sistema che lascia ben poco spazio all’autonomia privata, che privilegia un impianto improntato su un gran numero di norme inderogabili, da intendersi quali veri e propri paletti (talvolta poco distanti l’uno dall’altro, dunque molto stretti) entro i quali i privati dovevano muovere i loro passi senza sconfinare per non vedere censurata la propria attività da parte dello Stato.

Tale stato delle cose ha regnato incontrastato negli anni, sia pur con addolcimenti dovuti all’introduzione nel 1948 della Carta Costituzionale, che ha avuto il merito, oltre che di affermare il principio di eguaglianza sia sotto il profilo formale, sia sotto quello sostanziale (art. 3), anche di riportare l’attenzione dello Stato e delle norme giuridiche su quel bene unico ed indivisibile rappresentato dalla persona umana.

In tale ottica un ruolo importante è stato giocato anche dalle istituzioni comunitarie che nel corso degli anni hanno avuto il merito di persegui-

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re, soprattutto nel campo societario, un progetto di armonizzazione tra singole legislazioni nazionali. Progetto che ha portato ad introdurre in Italia nuovi schemi che, sempre nel rispetto della tutela degli interessi gravitanti attorno ad una società, hanno condotto ad un ampliamento dell’autonomia privata (si pensi all’introduzione nel 1993 della disciplina della S.r.l. unipersonale).

Comunque, va precisato che a livello comunitario il progetto è ancora in itinere e che nel maggio del 2003 la Commissione CE ha presentato un Piano d’azione diretto alla modernizzazione del diritto societario e al rafforzamento della corporate governance nel territorio dell’Unione europea con la previsione di intervenire con strumenti legislativi e non in un arco temporale compreso tra il 2003 ed il 2009. Alcuni interventi sono già stati introdotti, altri sono in via di approvazione.

Molteplici sono i sentori di questa attività svolta dagli organismi co-munitari, basti pensare all’introduzione della possibilità, nel rispetto di determinate garanzie, di addivenire, come anticipato, alla costituzione di una S.r.l. mediante atto unilaterale o allo Statuto della Società europea o alla proposta concernente le fusioni transfrontaliere (ormai quasi al capolinea).

Anche la giurisprudenza, soprattutto della Corte di giustizia ha avu-to i suoi meriti. Si pensi, infatti, alle famose statuizioni contenute nelle sentenze Centros12, Uberseering13 ed Inspire Art14, statuizioni che hanno permesso di dare consistenza alle norme del Trattato CE che prevedono la libertà di stabilimento delle società di capitali.

Non sono, infine, da dimenticare le influenze che alcuni Stati terzi hanno avuto sul sistema economico e finanziario italiano, prima fra tutti l’influenza degli Stati Uniti d’America. Un chiaro esempio è rappresentato dalla normativa contenuta nel TUIF del 1998; in tal caso siamo di fronte ad un complesso di norme che ha il merito di aver introdotto, soprat-tutto, nella parte relativa alle società quotate, previsioni che privilegiano l’autonomia statutaria.

Alla luce di quanto detto la situazione non poteva rimanere ancorata ad una impostazione propria di un regime corporativo, seppur temperato successivamente dagli interventi succedutisi sia a livello costituzionale, sia

12) Sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 9 marzo 1999, Causa C-212/97 Centros Ltd. C. Erhvervs-og Selskabsstyrelsen.

13) Sentenza della Corte di Giustizia CE del 5 novembre 2002, Causa C-208/00 Uberseering BV v Nordic Construction Company Baumanagement GmbH.

14) Sentenza del Tribunale di primo grado delle Comunità Europee del 30 settembre 2003 Causa C-167/01 Kamer van Koophandel in Fabrieken voor Amsterdam/Inspire ArtLtd.

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a livello comunitario. Se è vero che un Codice è lo specchio della realtà nel quale è calato, ciò non accadeva con riguardo al nostro.

Le esigenze di riforma erano sentite a tutti i livelli e, soprattutto, era necessario il raggiungimento di un obiettivo: ampliare l’autonomia statutaria e limitare al minimo indispensabile le norme di carattere inderogabile.

La definitiva consacrazione dell’autonomia statutaria è avvenuta con la riforma del diritto delle società di capitali, entrata in vigore il 1 gennaio 2004 e disciplinata, per quello che in questa sede interessa, dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, decreto che ha dato attuazione alla Legge 3 ottobre 2001, n. 366 (la c.d. Legge delega) e con il successivo D.Lgs. del 6 feb-braio 2004, n. 37 che introduce ulteriori modifiche al diritto societario. A questi provvedimenti si è aggiunto a fine 2004 il cd. Decreto correttivo bis (D.Lgs. n. 310/2004).

Proprio la Legge delega rappresenta il corpo normativo ispiratore della riforma del diritto societario, il corpo di norme che ha condotto alla creazione del D.Lgs. sopra menzionato. In particolare, in sede di delega era stato chiesto al Governo di ispirare la riforma a tutta una serie di principi generali, quali, inter alia:1) il perseguimento dell’obiettivo prioritario di favorire la nascita, la

crescita e la competitività delle imprese,2) l’ampliamento degli ambiti dell’autonomia statutaria nel chiaro rispetto

dei diversi interessi coinvolti,3) la semplificazione delle disciplina societaria.

La Commissione Vietti ha cercato di dare attuazione a tali principi, introducendo, senza ombra di dubbio, tutta una serie di norme che sono dirette ad ampliare l’autonomia statutaria (si veda, ad esempio, l’introdu-zione dei patrimoni destinati ad uno specifico affare o l’assegnazione di partecipazioni sociali in misura non proporzionale al conferimento effet-tuato), a semplificare la disciplina societaria (si vedano le norme previste in materia di convocazione dell’assemblea dei soci) e ad incentivare la nascita, la crescita e la competitività delle imprese (è il caso della S.p.A. con unico socio).

Se questi sono i principi generali applicabili a tutto il sistema delle società di capitali non manca l’indicazione di altri principi pensati ap-positamente per le S.p.A. e per le S.r.l.

Tralasciando le norme relative alle S.p.A., concentriamo la nostra attenzione sulle S.r.l., rilevando che quello che realmente contava per il Legislatore delegato era la creazione di un complesso di norme modellate sul principio della rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali

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tra i soci. Una società nella quale non è tanto rilevante la partecipazione sociale e la sua circolazione, come, invece, accade nella S.p.A., ma bensì la persona del socio. Quello che è venuto fuori è una S.r.l. a metà strada tra le Società di persone e le Società per azioni. Una società con una propria disciplina, che richiama nei rapporti interni le norme delle società di persone, mentre nei rapporti esterni quelli della Società per azioni. Il tutto condito da questo ampliamento dell’autonomia statutaria.

Proprio tali ragioni farebbero propendere per una risposta negativa ai quesiti che abbiamo posto all’inizio del paragrafo. Infatti, la riforma per quanto riguarda le società a responsabilità limitata lascia campo libero all’autonomia dei soci, i quali non avrebbero bisogno di addivenire alla stipulazione di patti parasociali, in quanto possono di sicuro trovare una risposta e una soluzione per la migliore realizzazione dei propri interessi nella nuova normativa. Si pensi, al riguardo, alla particolare norma contenuta nel testo dell’art. 2468 C.C. nella parte in cui viene fatta salva la possibilità che l’atto costitutivo preveda l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società15 o la distribuzione degli utili16, che renderebbe almeno in parte del tutto inutile - nel caso di società a responsabilità limitata - addivenire alla stipulazione di patti parasociali e giustificherebbe, sempre in parte, la scelta legislativa di prevedere una disciplina dei patti parasociali solo nell’ambito della società per azioni17. Non si dileguano, comunque, i dubbi interpretativi. Infatti, potrebbe opporsi un’utilità anche per i soci di una S.r.l. di stipulare patti parasociali. È il caso, ad esempio, di un patto il quale prevede dei versamenti a fondo perduto da parte dei sog-getti aderenti al patto stesso o di terzi oppure la stipulazione di un patto relativo al finanziamento della società. In questo secondo caso, sarebbe possibile neutralizzare gli spiacevoli effetti stabiliti dall’art. 2467 C.C. in materia di finanziamenti dei soci e di postergazione del loro rimborso

15) Ad esempio i diritti amministrativi potrebbero concernere il diritto in capo al socio di nominare uno o più amministratori di sua espressione, uno o più sindaci effettivi o supplenti.

16) Si potrebbe prevedere la prelazione del socio nel caso di distribuzione degli utili o la postergazione dello stesso nel caso di perdite registrate dalla società.

17) Ciò si giustifica sulla circostanza che nell’ambito dei diritti patrimoniali che vengono attributi al socio per espressa previsione statutaria potrebbero non trovare albergo i vari diritti di covendita, di seguito ecc. che solitamente accompagnano le stipulazioni di patti parasociali nella parte relativa alla discipli-na dell’uscita dei parasoci dalla società (si rimanda all’ultimo capitolo della presente trattazione per una completa disamina di queste clausole). Ove si ritenga estensibile detto ambito, i soci cui vengono attribuiti detti diritti godrebbero di una tutela reale, erga omnes, e non obbligatoria come invece accade, come visto, per i patti parasociali, essendo le predette pattuizioni contenute espressamente nello statuto della società.

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alla soddisfazione dei creditori sociali, soprattutto se la società non è in bonis. In tal caso la valutazione richiamata dall’art. 2467 C.C. andrebbe effettuata al momento di stipulazione del patto e non anche a quello di adempimento dello stesso.

Un altro argomento che possiamo addurre a fondamento della rispo-sta positiva è il seguente: si ritiene che se è permesso derogare al C.C. laddove esso stesso lo prevede è possibile farlo laddove esso taccia, con il solo limite di non contravvenire ai principi generali e alle norme indero-gabili. Pertanto, possiamo concludere affermando che ove la stipulazione del patto parasociale si renda necessaria alle parti per venire incontro e realizzare nel migliore dei modi un proprio interesse, queste ben po-trebbero addivenire alla stipulazione dello stesso (nonostante non vi sia alcuna norma in tema di società a responsabilità limitata che richiami espressamente gli artt. 2341-bis e ter C.C.).

Ancora si potrebbe dire che una giustificazione alla stipula di patti parasociali da parte dei soci di una S.r.l. può essere rintracciata nella formulazione del nuovo art. 2341-bis C.C., laddove non viene a specificare l’esatto tipo delle società «che le controllano».

Un’ultima notazione di carattere pratico in tema di pubblicità: even-tuali patti parasociali concernenti partecipazioni sociali di una società a responsabilità limitata non soggiaceranno ai requisiti di pubblicità previsti dall’art. 2341-ter C.C., applicabili esclusivamente alle società per azioni che ricorrono al mercato del capitale di rischio. In tal caso potrebbero manifestarsi quelle preoccupazioni che abbiamo già rilevato nel paragrafo relativo ai patti parasociali segreti.

1.9 Patti parasociali e tutela nel caso di OPA

I patti parasociali e, in particolare i sindacati di blocco, possono rappresentare uno strumento utile e di difesa in grado di permettere alla società quotata di difendersi nei confronti del lancio di una offerta pubblica di acquisto “ostile” da parte di un’altra società.

Abbiamo detto “in particolare i sindacati di blocco”, ovverosia quei patti che impegnano gli aderenti ad non alienare le proprie partecipazioni sociali per un determinato periodo di tempo (ad esempio, per tre anni dalla data di stipulazione del patto).

Più segnatamente, il sindacato di blocco evita che le predette par-tecipazioni sociali entrino nella sfera patrimoniale del soggetto che ha lanciato l’OPA, a seguito di un rastrellamento delle stesse sul mercato.

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Si scongiurerà in tal modo il pericolo della scalata e del conseguente cambio di controllo.

Esistono, però nella realtà pratica due momenti essenziali, uno con-cernente la natura dei patti parasociali, l’altro la disciplina prevista dal TUIF che non permettono ai sindacati di blocco di operare come in realtà dovrebbero. Questi due momenti, alla fine dei conti, rendono del tutto inutile l’adozione da parte dei soci quale strumento di difesa dal lancio di una OPA ostile.

Il primo momento è rappresentato dalla circostanza che, come evi-denziato nelle prime pagine del presente lavoro, il patto parasociale ha efficacia esclusivamente obbligatoria e vincola solo le parti che lo hanno stipulato.

Le clausole pattuite nello stesso sono delle vere e proprie clausole contrattuali. Dunque, è ben possibile che detti patti, non essendo dotati di efficacia reale, conducano gli aderenti al patto a rendersi inadempienti alle loro pattuizioni. Così facendo il soggetto aderente al patto che non vuole rispettarlo ben potrà alienare la propria partecipazione (o votare in assemblea liberamente, nel caso di sindacato di voto) senza risentire di alcunché da questo suo inadempimento, eccetto che la violazione darà luogo ad una responsabilità da inadempimento. Infatti, l’aderente che non ha rispettato il patto potrà essere destinatario di un’azione, azionata dal parasocio o dai parasoci adempienti, tendente ad ottenere la condanna al risarcimento del danno (art. 1218 C.C.). Ma nulla di più. Anche la clausola penale, eventualmente pattuita per rafforzare l’impegno contrattuale, certo non viene migliorare la situazione. Infatti, l’aderente non adempiente ben potrà votare liberamente in assemblea dei soci o alienare anzitempo le sue partecipazioni sociali. Questi tutt’al più provvederà alla corresponsione della somma pattuita a titolo di penale, la quale - ove troppo ingente - sarà ridotta dal giudicante a norma dell’art. 1384 C.C.

L’altro momento è rappresentato da una norma di diritto positivo. Si tratta dell’art. 123, ultimo comma del TUIF, il quale espressamente dispone - privando di forza l’eventuale patto parasociale stipulato per difendersi dall’OPA, che «gli azionisti che intendono aderire ad una offerta pubblica di acquisito o di scambio promossa ai sensi degli artt. 106 e 107 possono recedere senza preavviso dai patti indicati dall’art. 122. La dichiarazione di recesso non produce effetto se non si è perfezionato il trasferimento delle azioni». La norma parla da sola. È inutile commentarla.

Un ultimo accenno merita la disciplina dei cd. acquisiti di concerto disciplinati dall’art. 109 TUIF. In quella sede si legge che sono solidalmente tenuti agli obblighi previsti dagli artt. 106 (offerta pubblica di acquisto

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totalitaria) e 108 (offerta pubblica di acquisto residuale) - allorquando vengono a detenere, a seguito di acquisti a titolo oneroso effettuati anche da uno solo di essi, una partecipazioni complessiva superiore alle percen-tuali indicate dal Testo Unico in sede di OPA e OPS - gli aderenti ad un patto, anche nullo, previsto dall’art. 122 del TUIF. Per l’applicazione della norma al caso pratico si rimanda al documento riprodotto in precedenza relativo al provvedimento CONSOB relativo alla Banca Antonveneta. Si rappresenta che al momento della finalizzazione di questo lavoro, la CONSOB in data 12 ottobre 2005 ha dichiarato decaduta l’offerta sulle azioni della predetta società quotata (art. 102, comma 3, lett. b).

1.9.1pattiparasocialieacquisizionedipartecipazionisocietarie

I patti parasociali possono anche spiegare un’interferenza nelle opera-zioni concernenti l’acquisto o la vendita di pacchetti azionari non totalitari e non di controllo di una società di capitali (le cd. vendite di pacchetti azionari parziali). Vediamo in che modo.

In tale contesto i patti parasociali saranno lo strumento per contenere clausole che stabiliscono particolari criteri di composizione dell’organo amministrativo e determinati e particolari quorum costitutivi e deliberativi dell’assemblea, ordinaria e/o straordinaria e dell’organo amministrativo (C.d.A.). Nel primo caso detto clausola assicurerà la presenza di membri designati dal socio di minoranza negli organi di amministrazione della società, mentre nel secondo si otterrà che anche il socio di minoranza avrà rappresentata una “propria volontà” in seno agli organi sociali che assumono le decisioni attinenti la gestione dell’impresa18.

1.10 Patti parasociali e diritto della concorrenza

I patti parasociali possono produrre interferenze anche con il diritto della concorrenza e, in particolare con la disciplina del controllo delle operazioni di concentrazione da parte della Autorità Garante per la con-correnza ed il mercato. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 5 della Legge 10

18) Per un approfondimento sulle interferenze tra patti parasociali e operazione di leveraged buy out realizzato mediante fusione si rimanda al capitolo III della monografia di Adducci- Sparano, Profili legali dell’operazione di MLBO, Halley Editrice, Matelica, 2006.

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ottobre 1990, n. 287 (d’ora in avanti Legge antitrust) per operazione di concentrazione deve intendersi qualsiasi operazione che comporti una modifica strutturale delle imprese partecipanti. Tale modifica strutturale delle imprese partecipanti alla operazione può conseguire:a) alla fusione di imprese,b) all’acquisizione del controllo delle imprese o di parti di una impresa,c) alla costituzione di un’impresa comune.

Secondo la definizione data dal Regolamento (CEE) n. 4064/89 e oggi, a seguito dell’entrata in vigore il 1 maggio 2004, dal Regolamento (CE) n. 139/2004, che ha sostituito il precedente testo normativo, vi può essere concentrazione solo quando si verifica un cambiamento del controllo.

Il riferimento operato al controllo impone di scandagliare più approfon-ditamente quale sia la nozione di controllo in diritto della concorrenza.

In merito alla ipotesi di cui al precedente paragrafo, è necessario, in via del tutto preliminare specificare che la “nozione di controllo” è più ampia di quella prevista ai sensi dell’art. 2359 C.C. Più precisamente, il controllo di un’impresa, oggetto di acquisizione, è definito dall’art. 7 della Legge antitrust. A norma di tale articolo:«1. Ai fini del presente titolo si ha controllo nei casi contemplati dall’arti-colo 2359 del codice civile ed inoltre in presenza di diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono, da soli o congiuntamente, e tenuto conto delle circostanze di fatto e di diritto, la possibilità di esercitare un’influenza determinante sulle attività di un’impresa, anche attraverso:diritti di proprietà o di godimento sulla totalità o su parti del patrimonio di un’impresa;diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono un’influenza determinante sulla composizione, sulle deliberazioni o sulle decisioni degli organi di un’impresa.2. Il controllo è acquisito dalla persona o dalla impresa o dal gruppo di persone o di imprese:che siano titolari dei diritti o beneficiari dei contratti o soggetti degli altri rapporti giuridici suddetti;che, pur non essendo titolari di tali diritti o beneficiari di tali contratti o soggetti di tali rapporti giuridici, abbiano il potere di esercitare i diritti che ne derivano».

L’AGCM ha più volte ribadito che, sulla base di quanto elaborato nel corso degli anni dalle istituzioni comunitarie (e la normativa comunitaria in materia di diritto della concorrenza entra direttamente nel nostro ordi-namento giuridico grazie alla particolare previsione contenuta nell’art. 1, comma 4, Legge antitrust), si è di fronte ad un’acquisizione del controllo

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quando uno o più soggetti, congiuntamente, hanno la possibilità di eserci-tare «un’influenza determinante sull’attività di una o più imprese o su parti di esse». La Commissione CE ha, inoltre, specificato che l’acquisizione del controllo può avvenire anche se essa non risulta dichiarata dalle parti19; infatti, ciò che rileva è la mera “possibilità” di esercitare un’influenza determinante e non già l’esercizio effettivo di tale influenza20.

L’acquisizione del controllo non è legata a parametri formali e com-prende tutte le fattispecie attraverso cui si realizza, in forza di diritti, contratti o altri mezzi, la possibilità di esercitare tale influenza determi-nante sulla politica commerciale di una impresa. Nella sua prassi, l’AGCM ha riscontrato come la possibilità di esercitare un’influenza determinante sulle attività di una impresa possa conseguire ad atti di diversa portata. Ciò può accadere, ad esempio, anche con la stipula di contratti di affitto di azienda o di ramo di azienda ovvero, per quello che in questa sede interessa, con la sottoscrizione di un patto di sindacato o ancora con altri patti parasociali (si rimanda a quanto diremo oltre).

Le relazioni di controllo rilevano tanto nell’ipotesi in cui il controllo è diretto, quanto nei casi in cui il controllo è esercitato indirettamente, e cioè quando la relazione non collega immediatamente i due soggetti, ma si realizza per il tramite di rapporti intercorrenti fra più soggetti.

A sua volta il controllo può essere esclusivo o congiunto. Il controllo esclusivo si verifica quando un’impresa acquisisce la maggioranza del capitale sociale e dei diritti di voto di una società. Il controllo congiunto, a sua volta, si verifica nel caso in cui ciascun partecipante all’operazione ha la possibilità di esercitare un’influenza determinante su un’altra impre-sa. L’Autorità ritiene che si abbia un’operazione di concentrazione anche in presenza di modifiche sostanziali dei rapporti di controllo, quali, ad esempio, il passaggio da controllo congiunto a controllo esclusivo.

L’art. 16, comma 1 Legge antitrust prevede che le operazioni di con-centrazione che rispondano ai requisiti stabiliti in materia di c.d. soglie di fatturato debbano essere preventivamente comunicate dalle parti interes-sate alla AGCM; laddove, si deve intendere preventivamente comunicata un’operazione se non si è realizzato alcun atto per cui si possa esercitare l’influenza determinante (prima della traslazione delle azioni, prima del deposito del progetto di fusione ecc.).

19) Decisione della Commissione CE del 5 ottobre 1992, caso IV/M.157 Air France/Sabens.20) Comunicazione della Commissione del 2 marzo 1998, sulla nozione di concentrazione a norma del

Regolamento CEE n. 4064/89 del Consiglio relativo al controllo delle operazioni di concentrazione, in Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee C66 del 2 marzo 1998, paragrafo 9.

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La Legge antitrust stabilisce che debbano essere comunicate tutte le operazioni di concentrazione laddove si realizzi almeno una delle seguenti circostanze:a) il fatturato totale realizzato a livello nazionale dell’insieme delle im-

prese interessate sia superiore a € 420 milioni,b) il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall’impresa di cui è

prevista l’acquisizione sia superiore a € 42 milioni.L’inottemperanza all’obbligo di preventiva comunicazione sottopone

le parti interessate alla irrogazione di una sanzione pecuniaria irrogata dalla stessa AGCM. Tale sanzione, a norma dell’art. 19, comma 2 della Legge, può corrispondere fino all’uno per cento del fatturato dell’anno precedente a quello in cui è effettuata la contestazione.

Dal contenuto delle modalità per la comunicazione di un’operazione di concentrazione fra imprese, predisposte dalla AGCM, emerge che, in base alla Legge antitrust, vi sono anche operazioni che non realizzano una concentrazione e operazioni che non devono essere comunicate alla AGCM. Tra le operazioni che non realizzano una concentrazione, ma che, comunque, devono essere preventivamente comunicate dalle parti interessate alla AGCM possono essere annoverate:a) l’acquisizione di partecipazioni a fini meramente finanziari,b) la costituzione di imprese comuni cooperative,c) le operazioni intragruppo,d) l’acquisizione di società che non esercitano attività economica.

Tra le operazioni che non devono essere comunicate, l’AGCM vi fa rientrare anche le operazioni di acquisizione o di fusione per incorpo-razione di imprese di nazionalità estera che risultino prive direttamente o attraverso imprese controllate, di fatturato in Italia al momento della acquisizione e nei tre anni precedenti. Tali operazioni, comunque, devo-no essere comunicate alla AGCM qualora a seguito della concentrazione l’impresa inizierà a realizzare fatturato in Italia.

La costituzione di imprese comuni e le fusioni in cui almeno una delle parti dell’operazione è di nazionalità estera non devono essere comunicate se la parte estera risulta priva di fatturato in Italia al momento dell’ope-razione e nei tre anni precedenti. Tali operazioni devono, comunque, essere comunicate qualora a seguito della concentrazione l’impresa che ne risulta svolgerà attività economica sul mercato italiano.

Posto ciò, è interessante spendere alcune considerazioni sulle modalità di acquisto del controllo per mezzo di patti parasociali, in particolare riportando i contenuti di alcune decisioni che hanno visto impegnata in questi ultimi anni l’AGCM. Ad esempio nella decisione Elsag/Italdata

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Ingegneria Dell’idea (C4943, Provvedimento n. 10217/2003), l’AGCM ha ritenuto determinante la titolarità di un diritto di veto, nonché il contenuto di alcuni patti parasociali. Più segnatamente, le parti avevano convenuto di stipulare un patto parasociale per la regolazione dei rapporti tra i soci, che prevedeva che il Consiglio di Amministrazione sarebbe stato composto da cinque membri di cui tre nominati da Elsag e che le principali decisioni sulla gestione ordinaria dell’impresa sarebbero state adottate con la maggioranza semplice dei membri.

L’esistenza dei patti parasociali è stata ritenuta di fondamentale impor-tanza anche in un altro caso posto al vaglio della Autorità, De Agostini Professionale/Flynet. Detti patti, secondo l’Autorità, hanno permesso di stabilire che nel caso de quo si fosse concretato un passaggio dal controllo esclusivo a quello congiunto. Il provvedimento in parola era relativo all’ac-quisto da parte di De Agostini del controllo di alcune imprese per mezzo della detenzione di una partecipazione azionaria del 60% e alla possibilità di designare la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione (in particolare tre su cinque). In questo caso, a fronte di quanto previsto a favore della predetta società, la Flynet - altra controllante - aveva la possibilità di influenzare le decisioni relative agli aspetti strategici della gestione tramite l’esistenza di patti parasociali che ne prevedevano il voto in alcune materie riservate, debitamente elencate nel patto (a titolo esemplificativo, le modifiche del business plan, l’acquisto e cessione anche mediante conferimenti di partecipazioni sociali e le modifiche al piano di stock option ecc.). In ciò, dunque consisteva il passaggio del controllo da esclusivo a congiunto.

Altro esempio, infine, può essere rintracciato nel seguente caso. L’Auto-rità Garante ha stabilito che un soggetto per mezzo di una partecipazione di minoranza poteva detenere il controllo esclusivo anche alla luce dei patti parasociali che aveva concluso con gli altri azionisti. Analizzando la notifica Holding Gruppo Marchi/Burgo (C6283)21 l’AGCM ha rilevato che i patti parasociali conferivano al Gruppo Marchi il controllo esclu-sivo, in quanto aveva il potere di nominare cinque dei dieci componenti del Consiglio di Amministrazione ed un membro della famiglia Marchi avrebbe assunto il ruolo di amministratore delegato che, secondo gli accordi, aveva il compito di definire gli indirizzi strategici della società, con l’approvazione del CdA, ed in caso di parità di voti, era titolare del c.d. “casting vote” (voto determinante).

21) Provv. 12923 dell’Autorità Garante del 26 febbraio 2004, Holding Gruppo Marchi/Burgo (C6283), in Bollettino. 9/2004.

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Abbiamo, pertanto, dimostrato in che modo un patto parasociale può avere delle interferenze con il diritto della concorrenza (dal punto di vista delle operazioni di concentrazione e del relativo controllo). Dunque, nel caso in cui il patto importi un’influenza determinante sulla attività del-l’impresa da parte dei soggetti che stipulano detto patto sarà necessario provvedere alla comunicazione dell’operazione di concentrazione alla competente autorità antitrust al fine di evitare l’irrogazione di ingenti sanzioni pecuniarie. Si ricorda che è sufficiente l’esistenza in capo ad alcuni soci (anche di minoranza) di diritti aggiuntivi che conferiscono loro un potere di diritto di veto sulle decisioni strategiche (consistenti nelle decisioni relative al bilancio o alla nomina dei più alti dirigenti) e che vanno al di là dei diritti normalmente riferibili agli azionisti di minoranza al fine di tutelare i loro interessi finanziari.

Ingenti sanzioni pecuniarie che ben possono comportare conseguenze negative sui bilanci della società, facendole perdere risorse preziose che possono essere applicate per la sua attività economica e facendole subire nel mercato che occupa il discredito agli occhi dei consumatori dovuto alla irrogazione di una sanzione pecuniaria (alla quale, poi è dato sempre un forte risalto dalla stampa nazionale).

Da ultimo, non è possibile dimenticare che i patti parasociali possono anche determinare una significativa restrizione della concorrenza, venen-do a violare in tal modo l’art. 2 della Legge antitrust relativo alle intese restrittive della concorrenza vietate.

1.11 La nullità dei patti parasociali. L’eccezione di nullità

Supponiamo che due soggetti addivengano alla stipulazione di un patto parasociale contemplante un sindacato di voto. Per facilità espo-sitiva, si può portare l’esempio di tre soggetti che stipulano il patto di sindacato stabilendo, fra le altre cose, di non votare l’azione sociale di responsabilità nei confronti di un amministratore colpevole di aver recato un danno alla società. I tre aderenti al patto si impegnano, pertanto, a votare secondo un predeterminato indirizzo nell’assemblea dei soci. Uno dei tre aderenti si discosta da quanto pattuito in sede di parasociale e vota in modo difforme. Poniamo anche che l’assemblea, nonostante quale patto riesca egualmente a votare l’azione di responsabilità nei confronti di quel dato amministratore. Viene, dunque a concretarsi una violazione o, meglio, un inadempimento contrattuale di una clausola di quel dato patto parasociale da parte di quel parasocio. Uno dei due soggetti aderenti

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non inadempienti, qualora abbia subito un danno a seguito di questo inadempimento, potrà agire giudizialmente per vedersi riconosciuto dal Tribunale competente il risarcimento del danno patito.

In altre parole potrà ottenere, ove non sia prevista nel patto parasociale una clausola penale, che provveda alla liquidazione forfetaria del danno (salvo che è stata prevista la risarcibilità del danno ulteriore), una sen-tenza di condanna di quel contraente al risarcimento del danno. Questa in linea di principio la prassi. Qualora la domanda sia ben supportata e l’agente dimostri il danno subito, la strada per il riconoscimento del risarcimento sarà tutta in discesa.

Questa regola può subire un’eccezione. Ciò avviene nel caso in cui il patto parasociale stipulato dalle parti risulta essere nullo. Come è stato correttamente evidenziato, il limite alla liceità dei patti paraosociali va individuato nella inconciliabilità dei fini perseguiti dai parasoci per mezzo del contratto con l’utilità sociale22. La giurisprudenza e la dottrina più ac-corta hanno ravvisato la predetta inconciliabilità nei casi che seguono.1) Patti parasociali segreti (di cui abbiamo già parlato), ovverosia quei

patti caratterizzati da una clausola di riservatezza, che sono diretti ad occultare situazioni di controllo azionario. La loro stipulazione viene a violare uno dei principi cardine della nuova riforma del diritto so-cietario che è rappresentato dalla esigenza di incrementare il livello della trasparenza negli assetti proprietari della società e nel governo della stessa,

2) patti parasociali che impegnano i soci a votare secondo un predeter-minato indirizzo che, anziché perseguire e realizzare l’interesse sociale, altro non è diretto a creare un nocumento alla stessa (si pensi al caso già menzionato dell’impegno dei soggetti aderenti al patto di non votare l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti di alcuni degli amministratori, colpevoli di aver arrecato un danno alla società stessa). In tal caso il nocumento alla società è chiaro e lampante e la pattuizione è in contrasto con quello che è l’interesse della società,

3) patti parasociali che attribuiscono - indirettamente - efficacia esterna al vincolo di voto in essi contenuto (si analizzi, al riguardo, le seguenti pronunce rese dalla giurisprudenza sia di legittimità, sia di merito: Cass. n. 9975/1995 e Trib. Bologna, 12 dicembre 1995; Trib. Reggio Emilia, 11 ottobre 1996 e Trib. Varese, 1 marzo 1999). È il caso del patto parasociale che prevede, per il caso di inadempimento, l’acquisto

22) M. Vitali, Collegamento negoziale e nullità del patto parasociale (Commento a Cass. N. 350/2005), in Diritto e prat. delle società, n. 7 del 26 aprile 2005, p. 66.

1. la disciplina deipatti parasociali

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da parte del socio di maggioranza - per un prezzo determinato - delle azioni del socio di minoranza,

4) patti parasociali elusivi del procedimento legale di liquidazione. In tal caso la nullità viene a colpire quei patti con i quali si intende aggirare la necessità della fase scioglimento e liquidazione della società, posti a tutela della società stessa, ma anche e, soprattutto, dei creditori so-ciali. In questi patti lampante è il pregiudizio economico che viene a soffrire la società ed i creditori sociali, i quali vedono stravolte le loro tutele legislativamente previste dall’organizzazione che i parasoci hanno intenso dare alla liquidazione volontaria del patrimonio sociale (per la giurisprudenza si analizzi Cass. n. 5778/1989, Cass. N. 4023/1989, Cass. n. 234/1964 e Corte di Appello di Roma 24 gennaio 1991),

5) patti che impegnano i parasoci a non esercitare il diritto di recesso o a renderne più gravoso il suo esercizio. nelle sue cause inderogabili (art. 2437, comma 1, C.C.).Ma perché la nullità del patto parasociale viene a porsi come un’eccezione

alla regola appena esposta? Questo perché la nullità del patto parasociale può essere fatta valere (si perdoni il gioco di parole) in via d’eccezione dal convenuto citato per il risarcimento del danno al fine di paralizzare la domanda di parte attrice23. Pertanto, il convenuto che si sente stretto e oppresso dal patto parasociale potrà in assemblea dei soci votare libe-ramente e, dunque, votare in modo differente da quanto stabilito in sede di patto e potrà eccepire all’altra parte che lo ha citato in giudizio per ottenere una sua condanna al risarcimento del danno la nullità del patto per contrarietà dello stesso, ad esempio, all’interesse sociale, evitando in tal modo di essere ritenuto responsabile di inadempimento contrattuale e, conseguentemente, condannato al risarcimento del danno.

Ovviamente questo argomento impone di spendere alcune considera-zioni sulle nuove norme che disegnano - a partire dal 1 gennaio 2004 - il rito societario, introdotto contemporaneamente alla riforma di diritto sostanziale delle società con il D.Lgs. n. 5/2003. Ciò per la nota ragione che l’art. 1 del predetto Decreto, in particolare nel comma 3, lett. c) prevede l’applicabilità delle nuove norme sul processo ordinario societa-rio alle controversie relative ai patti parasociali, anche diversi da quelli disciplinati dall’art. 2341-bis C.C. e agli accordi di collaborazione di cui all’art. 2341-bis, ultimo comma C.C. Questo perché dette controversie, pur esulando dalla disciplina della organizzazione societaria, sono, comunque, fortemente connesse con i rapporti sociali veri e propri.

23) In tal senso si veda ancora una volta F. Galgano, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia, Padova, 2004.

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Abbiamo detto che la nullità dovrà essere fatta valere in via d’eccezione dal socio inadempiente al patto parasociale. Vediamo in che modo alla luce delle norme del nuovo processo societario.

L’eccezione di nullità, come noto, è un’eccezione di merito in senso lato, ovverosia è rilevabile anche d’ufficio dal giudice e non rientra tra quelle che devono essere introdotte nel processo necessariamente su istanza di parte. Pertanto, non è necessario alcun impulso, alcuna iniziativa della parte; è il giudice che deve rilevarla anche nell’inerzia della parte. Tutto questo conduce a ritenere che per il convenuto non sarà necessario seguire e rispettare quella rigida tempistica introdotta con il nuovo rito societario (in virtù della tanto ricercata velocità e speditezza del processo) secondo cui il convenuto deve inserire già nella comparsa di Costituzione le ecce-zioni non rilevabili d’ufficio dal giudice (art. 4, comma 1) o nella seconda memoria difensiva (qualora vi siano eccezioni che siano conseguenza delle nuove domande e eccezioni sollevate dall’attore nella memoria di replica alla comparsa di risposta - art. 7, comma 1).

Il giudice, infatti, nel caso di eccezioni rilevabili d’ufficio (e in tale categoria rientra la nullità), deciderà motu proprio e iusta alligata e probata, prendendo in considerazione solo ed esclusivamente i fatti, le circostanze ed i documenti o le prove che siano state tempestivamente dedotte e provate nel contraddittorio delle parti. È, pertanto, consigliabile in tale ottica che la parte interessata adduca, comunque, elementi o fatti fondanti quella eccezione. Si consiglia, comunque, di eccepire sempre nel primo scritto difensivo o nella seconda memoria difensiva la nullità del contratto, anche se l’eccezione, come detto, rientra tra quelle rilevabili d’ufficio (art. 1421 C.C.).

1.12 La redazione della clausola statutaria concernente i patti parasociali

Può accadere che nelle società che fanno ricorso al mercato del ca-pitale di rischio sia necessario inserire una clausola nello statuto sociale concernente la pubblicità dei patti parasociali (eventualmente stipulati dai soci, tra loro o con soggetti terzi più in generale).

Alcune brevi e succinte considerazioni sull’eventuale clausola da inserire nello statuto della società. Detta clausola dovrà necessariamente prevede-re che il presidente, in apertura di ogni assemblea, dia notizia dei patti parasociali comunicati alla società alla data di svolgimento dell’assemblea (in particolare, del loro oggetto).

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Ancora sarà necessaria la previsione secondo cui detta notizia venga trascritta nel verbale dell’assemblea e questo venga depositato, senza ri-tardo, nel registro delle imprese.

Dovrà prevedere, poi un’eguale disciplina per il caso di dichiarazione dell’esistenza dei patti parasociali resa in apertura di assemblea dei soci. Dichiarazione in apertura dell’assemblea che è, secondo quanto abbiamo rilevato, il momento più rilevante e alla cui inottemperanza il Legislatore della riforma ha collegato le conseguenze più importanti (non possibilità di esercizio del voto per i soggetti possessori delle azioni cui il patto parasociale si riferisce e diritto degli altri soci (quelli non partecipanti al patto) di impugnare la deliberazione ai sensi dell’art. 2377 C.C. allorquando questa sia stata adottata con il voto determinante di tali soggetti.

Ovviamente ribadendo quanto appena detto, non sono da dimenticare nella clausola il riferimento alla circostanza che i soci che non hanno dichiarato in apertura di assemblea l’esistenza dei patti parasociali rile-vanti non possono esercitare il diritto di voto e la conseguente sanzione per il caso di inosservanza. Si tratterebbe di un sunto delle disposizioni contenute nell’art. 2377 C.C.

Ma quale potrebbe essere l’esatta collocazione di tale clausola nello statuto sociale? È preferibile adottare un’unica clausola e far confluire tutto al suo interno oppure spezzare la stessa e porre ogni previsione nella parte aderente dello statuto? Alcuni autori, propendendo per la se-conda risposta, hanno tenuto a precisare che le predette disposizioni ben potrebbero confluire nelle clausole relative al presidente dell’assemblea, al verbale, al diritto di voto e alle impugnazioni. Si ritiene, comunque, preferibile, aderendo alla prima risposta, farle confluire in un unico contesto (magari quello generale dei diritti sociali). L’utilità di inserire il tutto in un’unica clausola dello statuto si manifesta allora in tutta la sua chiarezza. Richiamando in una unica sede gli obblighi pubblicitari previsti nell’art. 2341-ter C.C. e le conseguenze previste per il caso di loro inosservanza, gli aderenti al patto terranno bene a mente quale è la sanzione nella quale potrebbero incorrere nel caso in cui omettano di dichiarare in apertura di ogni assemblea l’esistenza del patto parasociale rilevante: l’impugnabilità della deliberazione assembleare presa con il voto determinante dei partecipanti al patto ai sensi del nuovo art. 2377 C.C. da esercitare nel termine di 90 giorni dalla data della deliberazione o, se questa è soggetta ad iscrizione nel registro delle imprese, entro 90 giorni dall’iscrizione o, se è soggetta solo a deposito presso il registro delle imprese, entro 90 giorni da questo.

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Ecco, qui di seguito, un modello di clausola che può essere eventual-mente inserita nello statuto di una società per azioni che fa ricorso al mercato del capitale di rischio:

Articolo X - Dei patti parasociali - PubblicitàIl Presidente, in apertura di ogni assemblea, dà notizia ai partecipanti

dei patti parasociali comunicati alla società alla data di svolgimento del-l’assemblea. Detta dichiarazione è trascritta nel verbale di ogni assemblea e questo è depositato nel registro delle imprese. La predetta disciplina si applica anche nel caso di dichiarazione in apertura di assemblea dell’esistenza di patti parasociali rilevanti ai sensi dell’art. 2341-bis, comma 1, C.C. I titolari delle azioni dedotte nei patti parasociali rilevanti qualora non li abbiano dichiarati in apertura di assemblea non possono esercitare il diritto di voto. Sono impugnabili ai sensi dell’art. 2377 C.C. le deliberazioni assembleari assunte con il voto determinante dei possessori delle azioni riferite ai patti parasociali rilevanti non dichiarati in apertura di assemblea.

1. la disciplina deipatti parasociali

C’era, infine, da discorrere di due recenti novità legislative: i patti di fami-glia e gli atti di destinazione ex art. 2645-ter C.C. E da scandagliare le loro possibili interferenze con i patti parasociali.

1.13 Il patto di famiglia

La nuova disciplinaCon la Legge 31 gennaio 2006, n. 55, pubblicata sulla G.U. del 1°

marzo 2006 ed entrata in vigore in data 16 marzo 2006, il Legislatore italiano, dando attuazione ad un “sentire” comunitario manifestato dalla Commissione CE con la Comunicazione del 28 marzo 1998 relativa al trasferimento delle piccole e medie imprese24, ha introdotto nell’impianto del C.C., in particolare nel Libro III intitolato “Delle Successioni”, oltre ad un’eccezione al primo periodo dell’art. 458 (rubricato “Divieto di patti successori”), anche i nuovi artt. 768-bis e ss. sul patto di famiglia.

24) Proprio la Commissione CE con questo documento individua tra le misure per aumentare la continuità delle imprese, alla lett. d), il patto di famiglia (i cd. Family agreements). Si legge nel documento che «especially in family businesses such agreements can be used in order to mantain a certain number of management rules throughout the change of generations.(…). Where future succession pacts are prohibited (Italy, France, Belgium, Spain, Luxembourg), Member States should consider allowing the conclusion of future succession pacts, as their prohibition makes proper estate planning unnecessarily difficult».

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Il patto di famiglia, che si presenta come un’eccezione al divieto dei patti successori (il nuovo art. 458, comma 1, C.C., infatti esordisce precisando «Fatto salvo quanto disposto dagli artt. 768-bis e ss. …»), si concreta, ai sensi dell’art. 768-bis, in un contratto con cui, «compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti».

Il patto di famiglia, quindi, che si addice perfettamente alle cd. “Family businesses” e viene escluso dal novero dei patti successori vietati dalla legge, può rivestire due forme: la prima quella in cui viene trasferito dal-l’imprenditore ad uno o più discendenti - in tutto o in parte - l’azienda; la seconda quella del trasferimento - sempre in tutto o in parte - delle partecipazioni sociali possedute dal titolare in una società ad uno o più discendenti.

Il contratto nelle due forme indicate, stipulato quando ancora l’im-prenditore - titolare è in vita, deve essere concluso, a pena di nullità, per atto pubblico (art. 768-quater C.C.)25.

Requisito essenziale per la validità ed efficacia del contratto è, ai sensi dell’art. 768-quinquies C.C., la partecipazione al contratto «del coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la succesisone nel patrimonio» dell’imprenditore - titolare26. Si tratta, dunque di un contratto plurilaterale caratterizzato da una fitta serie di prestazioni che vanno rispettivamente a vantaggio dei soggetti protagonisti del patto di famiglia in cui è essenziale la presenza di tutti i soggetti richiesti dalla legge27. In particolare, i protagonisti di questo contratto sono:a) l’imprenditore-titolare,b) gli assegnatari-beneficiari (i “discendenti” dell’imprenditore-titolare),c) i partecipanti non assegnatari (coniuge e altri legittimari).

25) Precisa l’art. 768-ter C.C. che il contratto può essere concluso anche dal rappresentate legale dell’in-capace.

26) A norma dell’art. 536 C.C. sono legittimari: il coniuge, i figli legittimi (a cui sono equiparati i legitti-mati e gli adottivi), i figli naturali e gli ascendenti legittimi. Sono da considerarsi anche i discendenti dei figli legittimi o naturali i quali vengano alla successione in luogo di questi ultimi soggetti.

27) Si veda Caccavale, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, in Notariato, n. 3/2006, pag. 296 e ss. in cui l’autore ritiene il patto di famiglia un negozio bilaterale per tutta una serie di ragioni indicate nella sua analisi. Interessante è «l’elemento di prova desumibile dalla lettera della legge” secondo cui “l’intervento del coniuge o dei legittimari del bene-ficiante è definito in termini di partecipazione al contratto e, dunque, come intervento ad una entità fenomenica già completamente formatasi ad opera di altri».

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Se l’imprenditore-titolare è colui che trasferisce in tutto o in parte la propria azienda o le partecipazioni sociali possedute in una società ai suoi discendenti, gli assegnatari-beneficiari sono quei soggetti che, a fronte del predetto trasferimento, devono - ai sensi dell’art. 768-quinquies, comma 2, C.C. - liquidare i partecipanti al contratto «con il pagamento di una somma di denaro corrispondente al valore delle quote previste dall’art. 536 e ss. C.C.» (sono le quote di legittima loro spettanti). La liquidazione, ove convenuto dai contraenti, può avvenire, in tutto o in parte, anche in natura.

I partecipanti non assegnatori, da parte loro, possono rinunciare, in tutto o in parte, alla predetta liquidazione.

Va precisato, quanto al contratto, che con successivo accordo, purchè sia collegato al primo e vi intervengano i medesimi soggetti che hanno sottoscritto quest’ultimo atto, può essere disposta l’assegnazione dall’im-prenditore-titolare. L’assegnazione - a seconda della strada prescelta - non sarà soggetta per espressa disposizione di legge a «collazione o riduzione» (art. 768-quinquies, ultimo comma, C.C.).

Il Legislatore non dimentica, poi di stabilire la possibilità per i par-tecipanti (non assegnatari) di impugnare il patto per vizi del consenso (art. 1427 e ss. C.C.). Questa azione si prescrive nel termine di un anno (art. 768-sexies, C.C.). Quanto ai terzi, ovverosia al coniuge e gli altri legittimari che alla apertura della successione dell’imprenditore-titolare non hanno partecipato al contratto, l’art. 768-septies, C.C. sancisce che «possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento» della quota di legittima loro spettante, aumentata ovviamente degli interessi legali. L’inosservanza di questa norma costituisce motivo di impugnazione del contratto ai sensi dell’art. 768-sexies C.C. (norma che richiama l’im-pugnazione del contratto per vizi del consenso: errore, violenza e dolo).

Chiude il nuovo impianto normativo l’art. 768-octies C.C. disciplinan-te lo scioglimento del contratto28 e l’art. 768-novies C.C. concernente la devoluzione delle controversie eventualmente insorgenti dalla stipulazione del patto di famiglia o del contratto collegato (o del negozio modificativo) ad uno degli organismi di conciliazione previsti dall’art. 38 del D.Lgs. n. 5/2003 (relativo al nuovo processo societario).

28) La norma in parola prevede che il contratto, oltre ad essere sciolto, può anche essere modificato dalle medesime persone che hanno concluso il patto di famiglia mediante: il diverso contratto, con le medesime caratteristiche e i medesimi presupposti del patto di famiglia, recesso, se espressamente previsto nel contratto stesso e, necessariamente, attraverso dichiarazione agli altri contraenti certificata dal notaio.

1. la disciplina deipatti parasociali

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Possibili interferenze con i patti parasocialiLe possibili interferenze tra patti parasociali e patti di famiglia si

manifestano in due casi, allorquando:a) il patto di famiglia, oltre al classico trasferimento dell’azienda o del-

le partecipazioni sociali, fissi al suo interno, inter alia, le regole per la gestione dell’impresa (o società) una volta intervenuto il trapasso generazionale, specifichi il ruolo ed i compiti assegnati a ciascun asse-gnatario-beneficario nell’impresa, stabilisca la ripartizione degli utili e delle (eventuali perdite) tra i beneficiari, nonché i parametri per verifi-care (e giudicare in un’ottica di futura remunerazione) la produttività di ogni beneficiario, ponga il divieto di porre in essere determinate operazioni (quali l’ingresso in determinati mercati stranieri) ovvero l’alienazione a qualsiasi titolo delle partecipazioni sociali assegnate dal comune dante causa e via dicendo a terzi,

b) non sia stato espressamente previsto nel patto di famiglia il diritto di recesso29.Quanto al primo punto, va detto che sono queste tutte pattuizioni

che possono, invero, ricorrere anche in un patto parasociale. Si ricorda, infatti, che, ai sensi dell’art. 2341-bis, C.C., i patti parasociali rilevanti sono quelli che - in un’ottica di stabilizzazione degli “assetti proprietari o (del) governo della società” - hanno per oggetto l’esercizio del dirit-to di voto in assemblea, le limitazioni al trasferimento delle azioni e l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante sulla società. In questa ottica, non può negarsi che molte delle regole introdotte nel patto di famiglia possono avere l’effetto di determinare quella stabilizzazione degli assetti proprietari e del governo societario prevista dall’art. 2341-bis C.C. È fuori dubbio, infatti, che la previsione di un divieto di alienare le partecipazioni sociali assegnate con il patto di famiglia posto a carico di un assegnatario può avere come effetto la stabilizzazione degli assetti proprietari della società, così come la previsione di regole di gestione della società stessa.

Né si potrebbe obiettare a quanto appena riferito che il patto di famiglia sia esclusivamente deputato ad ospitare esclusivamente il trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali dall’imprenditore - titolare ai suoi discendenti - beneficiari. A questa obiezione osterebbe la circostan-za, che trova fondamento nel pensiero comunitario (in particolare nella

29) Va precisato che quanto in seguito diremo troverà applicazione solo nel caso in cui il patto di famiglia ed il trasferimento interessi più di un discendente dell’imprenditore.

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Raccomandazione della Commissione CE del 7 dicembre 1994 sulla successione nelle PMI - 94/1069/CE) secondo cui «gli Stati membri sono invitati ad adottare le misure necessarie per facilitare la successione nelle piccole e medie imprese al fine di assicurare la sopravvivenza delle imprese ed il mantenimento dei posti di lavoro». Proprio la richiamata necessità di assicurare la sopravvivenza delle imprese (si rammenta che sopravvivenza è un termine che richiama comunque dinamicità, organizzazione, razionalità, oltre che lucidità) impone di prevedere nel patto, oltre all’imprescindibile trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali, anche le regole che permetteranno alla azienda o alla società stessa di essere traghettata nel più efficiente e migliore dei modi possibile nel difficile passaggio da una generazione (quella dell’imprenditore uscente) all’altra (quella dei discendenti dell’imprenditore beneficiari di questa attribuzione) e nella fase immediatamente successiva e futura al ricambio generazionale.

Non da meno la relazione di accompagnamento alla proposta di legge da cui promana la legge che ha introdotto il patto di famiglia nel C.C. Si legge, infatti, in quel contesto che finalità della proposta è quella di «con-ciliare il diritto dei legittimari con l’esigenza dell’imprenditore che intenda garantire alla propria azienda (o alla propria partecipazione societaria) una successione non aleatoria a favore di uno o più dei suoi discendenti».

Il cambio di mano nella gestione dell’impresa impone, pertanto, nell’interesse di tutti i soggetti che sono portatori di interessi gravitanti attorno la società (creditori, lavoratori, soci ecc.), di stabilire in modo forte, preciso e chiaro quelle che sono le regole secondo cui l’azienda o la società saranno nel futuro gestite dai soggetti beneficiari.

Ci si può allora legittimamente chiedere se al patto di famiglia o, più segnatamente alle clausole nello stesso contenute, siano applicabili o meno le nuove norme codicistiche in materia di patti parasociali.

Escludiamo, innanzitutto, in principio l’applicabilità della norma di cui all’art. 2341-ter C.C. relativa alla pubblicità dei patti parasociali, in quanto norma esclusivamente applicabile alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Il patto di famiglia è applicabile essenzialmente ai cd. “Family businesses” o compagini societarie (preferibilmente S.p.A. nel sentimento comunitario) caratterizzate dallo stampo familiare (per le quali la normativa è stata pensata), ragion per cui l’applicazione della norma deve rimanere esclusa. Resta, quindi da considerare l’art. 2341-bis C.C. nella sua parte relativa alla disciplina della durata dei patti parasociali.

È corretto affermare che le previsioni contenute nel patto di famiglia, essendo prevista dall’art. 768-septies C.C. la possibilità di modifica o di scioglimento del contratto, sono previsioni che devono durare nel tempo

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(ovviamente le previsioni in esso contenute non devono restare cristallizzate nel tempo, stante la dinamicità che connota la gestione e l’attività svolta da una azienda o da una società e devono essere rivisitate allorquando ciò sia opportuno). Le previsioni contenute nel patto di famiglia, sono, pertanto, previsioni di durata indeterminata, da modificare nel momento in cui la gestione dell’impresa richieda un cambiamento, un’innovazione o un loro temperamento ove troppo rigide.

Tutto questo significa, e qui entra in gioco il secondo punto (quello dell’altra possibile intereferenza, ovverosia la mancata previsione del diritto di recesso nel patto) che, ove un beneficiario-assegnatario sia intenzionato a modificare queste previsioni o ancora voglia svincolare il suo operato dal “rigido” parametro imposto dalle stesse, ma gli altri beneficiari non siano in alcun modo orientati ad apportare alcuna modifica al patto (rite-nendo efficiente il sistema organizzato nel patto stesso e non essendo stato previsto il diritto di recesso a favore di contraenti), il predetto soggetto, non potendo comunque alienare le sue partecipazioni a terzi (a meno che non decida di sobbarcarsi il rischio di una richiesta risarcitoria avanzata dagli altri beneficiari per inadempimento di una obbligazione prevista nel patto, essendo magari stato previsto in sede di stipulazione di patto una clausola di intrasferibilità delle partecipazioni o della azienda ricevuta), potrà - in applicazione diretta dell’art. 2341-bis C.C. - esercitare il dirit-to di recesso dal patto di famiglia con preavviso di centottanta giorni. Una volta efficace il diritto di recesso il beneficiario sarà svincolato dal patto di famiglia e in tal modo sarà in grado di alienare liberamente le partecipazioni sociali possedute a terzi (possibilmente preferendo ai terzi gli altri beneficiari partecipanti al patto al fine di evitare la disgregazione del patrimonio familiare)30. Quando fino a questo momento affermato, pertanto, dimostra l’esistenza di alcune interferenze tra patto di famiglia e patti parasociali e come il procedimento logico appena esposto condu-ca alla liberazione del beneficiario che non ha più volontà o ragione di permanere nella società e vuole alienare le partecipazioni sociali posse-dute a terzi, allorquando non sia stato espressamente previsto il diritto di recesso dei soggetti contraenti il patto o non si raggiunge un accordo tra gli stessi in merito alla modifica del patto di famiglia31.

30) In questa ottica è bene che lo statuto della società preveda un patto di prelazione per il caso di tra-sferimento delle partecipazioni sociali a favore dei restanti soci.

31) Una ultima notazione da fare è quella secondo cui, in caso di trasferimento di azienda, il beneficiario che ritrasferisce l’azienda ai restanti beneficiari sarà obbligato ai sensi dell’art. 2557 C.C. a non fare concorrenza agli altri beneficiari per il periodo di cinque anni dalla data di stipulazione del contrat-to (con i limiti previsti in quella sede), ciò ove si ritenga preferibile propendere per quella opinione giurisprudenziale che reputa applicabile l’art. 2557 C.C. anche nel caso di retrocessone dell’azienda.

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1.14 Gli atti di destinazione ex art. 2645-ter c.c.

Il patto parasociale potrebbe essere infine il luogo, utilizzato dalla autonomia privata, nel quale due soci assumano a favore della società, beneficiaria, l’impegno a destinare (ma anche l’esecuzione di una desti-nazione “immediata”, senza impegno preliminare) alcuni beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri di loro proprietà o che rientrano nella loro disponibilità, per un periodo di tempo prestabilito a seconda delle concrete esigenze cui la destinazione è subordinata, al fine di rea-lizzare un interesse meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322, comma 2, C.C. della società beneficiaria del predetto atto di destinazione.

La norma cui fare riferimento è quella contenuta nell’art. 2645-ter C.C., rubricato «Trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o altri enti o persone fisiche».

Riportiamo, qui di seguito, il contenuto di tale articolo: «gli atti in forma pubblica con cui i beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’art. 1322, comma 2, del C.C. possono essere trascritti al fine di rendere opponibili a terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’art. 2915, comma 1, del C.C. solo per i debiti contratti per tale scopo».

La riferita norma, che è stata di recente introdotta nel nostro ordinamento proprio sul finire della scorsa Legislatura, in sede di conversione del D.L. n. 273/2005 (il cd. Decreto Mille Proroghe), ha dato luogo ad un acceso dibattito in dottrina, tutt’altro che cessato, tra due opposti schieramenti che vedono nel nuovo articolo una norma, più che sugli atti, sugli effetti (si veda la recente statuizione del Giudice Tavolate di Trieste del 7 aprile 2006 che ha negato «pubblicità sotto forma di iscrizione tavolare all’atto o al diritto trasferito»), essendo stata questa norma inserita nella parte relativa alla trascrizione immobiliare e viceversa, e ancora che la norma viene ad apportare un riconoscimento effettivo nel nostro ordinamento giuridico del trust interno o non lo apporta affatto.

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Fatte queste premesse, veniamo ad analizzare come il patto parasociale può porsi come strumento utile ed efficace per ospitare il predetto atto di destinazione e come l’atto così predisposto permetta la realizzazione di interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322, comma 2, C.C. propri della società beneficiaria dell’atto medesimo. Meritevolezza degli interessi che si rinviene allorquando l’atto posto in essere non sia contrario alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume.

Le norme da prendere in considerazione sono quelle di recente introdotte in materia di patrimoni destinati ad uno specifico affare (artt. 2447-bis e ss. C.C.); in particolare, ve ne è una, contenuta nell’art. 2447-quinquies, comma 3, C.C., secondo la quale la società risponde illimitatamente con il suo patrimonio per le obbligazioni derivanti da fatto illecito32.

Si tratta di una norma che viene ad apprestare una energica tutela a favore dei cd. creditori involontari, impedendo che nei confronti degli stessi venga opposta la limitazione di responsabilità che il vincolo di destinazione appositamente creato in sede di costituzione del patrimonio determina nei confronti dei creditori (volontari) del patrimonio destinato. Quindi, una norma pericolosa la cui operatività può mettere in pericolo la società (che costituisce il patrimonio destinato), soprattutto se l’attività in cui si concreta lo specifico affare sia una attività in grado di provocare danni a terzi (si pensi ad una attività pericolosa ex art. 2050 C.C.).

I prospettati pericoli sono, poi accelerati dalla circostanza che il Legi-slatore della riforma non ha previsto alcuna regola sulla sorte dei crediti vantati dai creditori involontari, ovverosia se degli stessi debba rispondere il patrimonio destinato (che si ricorda, però, non ha personalità giuridica), esclusivamente la società o entrambi secondo regole prestabilite in sede di costituzione dello stesso.

Per ovviare a detti inconvenienti sarà possibile allora per l’autonomia privata fare ricorso ad un atto di destinazione contenuto proprio nel patto parasociale. Proprio l’atto di destinazione, trascrivibile ai sensi e per gli effetti dell’art. 2645-ter C.C., permetterà ai due soci, nella loro qualità di disponenti, di destinare con apposito atto pubblico (si tratta dello stesso patto parasociale, ma nulla vieta che sia un impegno a parte o altro atto allegato al patto parasociale) uno o più beni mobili registrati in pubblici registri o immobili di loro proprietà o di cui hanno la disponibilità, per una durata prestabilita, poniamo di 5 anni (e comunque non superiore a 90), pari al tempo prospettato per la realizzazione dello specifico affare

32) Per un approfondimento sulla norma contenuta nell’ultima parte dell’art. 2447-quinquies, comma 3, C.C. posta a tutela dei cd. creditori involontari si rimanda a Adducci, Patrimoni destinati e tutela dei creditori involontari, in Diritto e Pratica delle Società, n. 10/2006, pp. 22 e ss.

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cui il patrimonio è destinato o di una sua eventuale causa di sciogli-mento, per la realizzazione di un interesse meritevole di tutela facente capo alla società beneficiaria di questo atto e consistente (detto interesse) nel dotare la stessa delle sostanze patrimoniali utili e necessarie per far fronte a eventuali crediti vantati nei confronti della società da parte dei creditori involontari, che hanno subito un fatto illecito nel corso della realizzazione dello specifico affare e che possono contare - in forza del-l’operatività della norma contenuta nell’art. 2447-quinquies, comma 3, C.C. - sull’intero patrimonio della società, che risponde illimitatamente, per veder soddisfatte le proprie ragioni creditorie.

All’atto di destinazione e alla sua trascrizione, nonché alla sussistenza della meritevolezza dell’interesse perseguito ai sensi dell’art. 1322, comma 2, C.C., conseguirà che:a) per la realizzazione di tali interessi potrà agire, oltre al conferente,

qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso,b) i beni conferiti e i loro frutti potranno essere impiegati solo per la

realizzazione del fine di destinazione,c) detti beni e frutti potranno costituire oggetto di esecuzione solo per

i debiti contratti per tale scopo (salvo quanto previsto dall’art. 2915, comma 1, C.C. con riferimento all’iscrizione del pignoramento).L’utilizzo del patto parasociale potrà poi essere utilizzato per inserire

tutte quelle previsioni volte a regolamentare la partecipazione dei due parasoci nella società e, ove possibile, nel patrimonio destinato ad uno specifico affare costituito dalla società. Nulla osta, infine, a che anche un patto di famiglia sia il luogo in cui l’autonomia privata può prevedere l’impegno a porre in essere un atto di destinazione trascrivibile ai sensi e per gli effetti dell’art. 2645-ter C.C.

1. la disciplina deipatti parasociali

Quando il Professore terminò il suo discorso era ormai notte fonda. Per le strade della città non circolava più nessuno. Si sentivano nella lontananza alcuni schiamazzi provenienti da un locale notturno ancora aperto. Era ora di tornare a casa. Prima di andare via il Professore mi consegnò un documento con sopra riportati - a mò di memorandum - i dieci concetti più importanti relativi a tutto quello che avevamo detto in questa prima settimana di incontri.Diciamo che avevo nelle mie mani una specie di sunto dei concetti e delle regole più rilevanti in materia di patti parasociali che era necessario tenere a mente per una loro corretta comprensione. Ma vi era anche qualcosa di più: dei concetti nuovi, di supporto a quello che avevamo detto, che rap-presentavamo sicuramente una buona chance di ulteriore approfondimento. Questo il decalogo ed il suo contenuto.

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1.15 Memorandum

Natura dei patti parasocialiI patti parasociali rappresentano convenzioni estranee all’atto costi-

tutivo e allo statuto della società, che vengono ad aggiungersi (ma non a sostituirsi) ai predetti documenti. Possono essere stipulati dai soci tanto in occasione della costituzione della società, quanto nel corso dello svolgi-mento della sua esistenza. Sono stati inquadrati, quanto alla loro natura, tra i contratti plurilaterali, con propria autonomia causale.

È, poi possibile affermare che mentre i cd. sindacati di voto rientrano nella categoria dei contratti associativi (lo scopo è comune a tutti gli aderenti al patto), i cd. sindacati di blocco fanno parte della categoria dei contratti di scambio (in cui la corrispettività la fa da padrone e le parti si assumono reciprocamente degli obblighi). Rilevante questa distinzione anche dal punto di vista pratico (si pensi, con riferimento ai sindacati di voto, alla disciplina della nullità - art. 1420 C.C. - e all’applicabilità, nel caso di sindacati di blocco, delle norme previste in tema di risoluzione del contratto per inadempimento - art. 1453 e ss. C.C.).

La prescrizione dei diritti maturati in conseguenza della stipulazione di patti paraosciali è quella ordinaria di cui all’art. 2946 C.C. e non anche quella breve, quinquennale, di cui all’art. 2949 C.C.

Patto parasociale a favore di terzo (società)I patti parasociali devono necessariamente essere diretti a realizzare,

in ottemperanza alla norma di cui all’art. 1322, comma 2, C.C., «interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico».

Non solo. La causa del contratto deve essere lecita, ovverosia non contraria alle norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume (art. 1343 C.C.). È stata anche ammessa la stipulazione del contratto parasociale a favore del terzo ai sensi dell’art. 1411 C.C. (che può essere, ad esempio, la stessa società o un socio.)33 Ovviamente lo stipulante deve avere un interesse.

Si rifletta per un attimo sul patto parasociale che ha la finalità di ripianare parte delle perdite accumulate da una S.p.A. nel corso degli anni. Al riguardo, le modalità di intervento sono le seguenti:

33) Per la giurisprudenza si veda Cass. 93/2493 secondo cui configurerebbe un contratto a favore di terzo, in cui terzo è la società beneficiaria, il patto concluso in occasione della cessione del pacchetto azio-nario tra vecchi e nuovi soci in forza del quale i primi si impegnano a mettere le società in grado di pagare determinati debiti pregressi.

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a) mediante la stipulazione di un patto il quale prevede dei versamenti a fondo perduto da parte dei soggetti aderenti al patto (il patto può anche essere esteso ad eventuali terzi),

b) la stipulazione di un patto relativo al finanziamento della società.Con riferimento alla prima ipotesi è possibile affermare che siamo di

fronte a veri e propri incrementi di patrimonio della società e non anche a dei conferimenti. Sono a fondo perduto, in quanto il patto è stipulato dopo il sorgere delle perdite. La struttura proposta viene a congegnarsi come vero e proprio contratto a favore di terzo (art. 1411 C.C.); in tal caso terzo sarà la società stessa, la quale acquista direttamente il suo diritto al versamento non appena è concluso il patto parasociale. L’altro parasocio e anche la società potrà agire per ottenere il versamento in caso di inadempimento del patto. La seconda opzione parasociale può apparire pericolosa alla luce di quanto disposto dal nuovo art. 2467 C.C. in materia di finanziamenti dei soci, soprattutto se la società non è in bonis. (A favore dell’utilizzo di tale patto si potrebbe dire che la valuta-zione richiamata nell’articolo suddetto andrebbe effettuata al momento di stipulazione del patto e non anche a quello di adempimento dello stesso). Anche in tal caso siamo di fronte ad un vero e proprio contratto a favore di terzo; la società acquista diritti immediati dal o dai soci.

Entrambi i patti possono essere rafforzati con la previsione di una clausola penale in caso di inadempimento o ritardo nell’adempimento delle obbligazioni in esso contenute (è possibile anche prevedere la risarcibilità del danno ulteriore). Unica nota negativa di tale suggerimento è che il patto parasociale, in quanto tale, gode di una tutela solo ed esclusivamente obbligatoria e non reale.

Efficacia dei patti parasocialiQuest’ultima notazione apre la strada al terzo momento. Quello secondo

cui i patti parasociali hanno efficacia meramente obbligatoria e non sono opponibili ai terzi non contraenti. Dunque, i patti parasociali vincolano solo i soggetti aderenti al patto ed hanno un’efficacia solo interna.

Va anche precisato che il carattere oggettivamente personale dei vincoli nascenti dai contratti parasociali determinerebbe l’intrasmissibilità delle obbligazioni parasociali, anche in ipotesi di successione a titolo universale (ad esempio, nel caso di morte del parasocio).

L’efficacia obbligatoria dei patti determina che in caso di inadempimento da parte di uno dei sottoscrittori del patto questi sarà obbligato solo ed esclusivamente al risarcimento del danno. Quanto riferito fa riflettere sulla preferibilità, ovviamente nel caso in cui sia possibile, di inserire determi-

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nate clausole nello statuto sociale, piuttosto che in un patto parasociale. Ciò dal momento che una clausola inserita nello statuto sociale acquista carattere sociale ed efficacia reale: la cd. opponibilità erga omnes. Per rafforzare l’adempimento delle clausole contenute nel patto parasociale, anche in tal caso, la pratica ha introdotto l’utilizzo di clausole penali che vengono ad accompagnare il patto medesimo.

Sindacati di voto e di bloccoI sindacati di voto sono quei patti parasociali attraverso i quali alcuni

o tutti i soci della società, conferendo le azioni di cui sono possessori nel patto, si obbligano ad esercitare il diritto di voto in assemblea con-formemente a quanto stabilito nel loro accordo.

Finalità del sindacato di voto possono essere: la tutela degli interessi dei soci di minoranza, che attraverso detto patto, sono in grado di dare maggiore intensità alla loro voce, il rafforzare la posizione dei soci di maggioranza, creando un indirizzo unitario e razionale alla loro politica sociale. Esistono degli escamotage per evitare o quanto meno limitare che il socio violi gli obblighi stabiliti nel sindacato di voto (si rinvia per una loro analitica disamina al capitolo 3).

I sindacati di blocco sono quei patti con i quali i suoi sottoscrittori si impegnano ad non alienare le rispettive partecipazioni sociali sindacate per un determinato periodo di tempo (5 anni) o che subordinano il tra-sferimento delle predette partecipazioni al gradimento degli organi del sindacato o di soggetti terzi o alla prelazione degli altri soggetti aderenti al patto. Funzione dei sindacati di blocco è ogni volta quella della clausola per cui si opta; dunque, ad esempio nel caso di prelazione e gradimento quella di evitare l’ingresso di soci non graditi nella compagine sociale. Con quella di divieto di alienazione per un determinato periodo di tempo di evitare alterazioni degli equilibri tra i diversi soci o gruppi di soci.

È ben possibile in un patto parasociale utilizzare o esclusivamente sindacati azionari o solo quelli di blocco oppure una composizione di entrambi.

Disciplina legislativa applicabile ai patti parasocialiLa disciplina dei patti parasociali è contenuta, oltre che nel TUIF -

artt. 122 e 123 (D.Lgs. n. 58/1998), anche - a seguito della riforma delle società di capitali del 2003 - nel C.C. (artt. 2341-bis e ter). Occorre subito una precisazione: a norma dell’art. 122, comma 5-bis, del TUIF ai patti parasociali indicati nell’art. 122 medesimo non si applicano le nuove nor-me introdotte nel C.C. Questo significa che gli artt. 2341-bis e ter C.C.

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troveranno applicazione - per quanto riguarda disciplina della durata e pubblicità, oltre che la tipologia dei patti - solo ed esclusivamente con riferimento alle S.p.A. chiuse e alle S.p.A. i cui strumenti finanziari sono diffusi tra il pubblico in misura rilevante.

Il C.C. non dice nulla se i patti parasociali e la relativa disciplina possa essere applicata anche nei confronti delle società a responsabilità limitata. Non sembrano esserci problemi a questa applicabilità. Anche nella società a responsabilità limitata, sebbene il nuovo impianto norma-tivo ha di gran lunga ampliato i confini entro cui l’autonomia statutaria può muovere i suoi passi, possono essere stipulati nel caso in cui siano davvero necessari (si pensi ai patti parasociali volti al ripianamento delle perdite della stessa società).

La pubblicità dei patti parasociali

Sistema TUIFQui di seguito lo stingente sistema pubblicitario previsto dal TUIF. I

patti parasociali - in qualunque forma stipulati - (ovverosia quelli di cui al successivo punto 8, prima parte) devono essere:a) comunicati alla CONSOB entro cinque giorni dalla stipulazione;b) pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana entro dieci giorni dalla

stipulazione;c) depositati presso il registro delle imprese del luogo ove la società ha

la sede legale entro quindici giorni dalla stipulazione.Il Regolamento CONSOB 14 maggio 1999, n. 11971 (il cd. Regola-

mento emittenti) stabilisce le modalità e i contenuti della comunicazione, dell’estratto e della pubblicazione del patto parasociale. Si rimanda al Regolamento CONSOB riprodotto in appendice.

Va precisato che il deposito del patto parasociale presso il registro delle imprese non attribuisce efficacia reale al patto stesso. Secondo un autore (R. Costi, Il mercato mobiliare) però il deposito del patto presso il registro delle imprese «dovrebbe quanto meno rendere opponibile ai terzi il contenuto del patto e in ogni caso consente alla generalità dei terzi di conoscere il contenuto integrale della convenzione parasociale».

Sanzioni per il mancato rispetto di questi obblighi pubblicitari sono:a) la nullità del patto (insanabile per la dottrina maggioritaria),b) la sospensione del diritto di voto inerente alle azioni sindacate, con

conseguente annullabilità delle deliberazioni assembleari assunte con il voto determinante delle medesime azioni conferite nel patto (art. 2377 C.C.).

1. la disciplina deipatti parasociali

109

Sistema Codice CivileLa regole di pubblicità sono espressamente contenute nell’art. 2341-ter

C.C. e sono esclusivamente applicabili alle S.p.A. i cui strumenti finanziari sono diffusi in maniera rilevante tra il pubblico - le cd. S.p.A. aperte.

Tali obblighi consistono nella:a) comunicazione dei patti alla società,b) dichiarazione degli stessi in apertura di ogni assemblea,c) trascrizione della dichiarazione nel verbale dell’assemblea dei soci,d) nel deposito - presso il registro delle imprese del verbale dell’assemblea

dei soci.Sanzioni per il mancato rispetto di queste regole sono previste esclu-

sivamente nel caso di mancata dichiarazione del patto parasociale in apertura di assemblea. In particolare, è previsto che i possessori delle azioni conferite nel sindacato non possano esercitare il diritto di voto relativo a quelle azioni e che, nel caso in cui la deliberazione è adottata con il loro voto determinante, detta deliberazione può essere impugnata ai sensi dell’art. 2377 C.C.

Non è stabilita, diversamente da quanto stabilito dall’art. 122, comma 3, TUIF, la nullità del patto parasociale.

Sulle S.p.A. chiuse non è imposto alcun obbligo pubblicitario.

La durata dei patti parasociali

Sistema TUIF- Patti a tempo determinato: la durata del patto non può eccedere i 3

anni. Nel caso in cui venga fissata dalle parti una durata maggiore questa automaticamente sarà ridotta a tre anni. Possono essere rin-novati alla scadenza, ma non tacitamente per le chiare esigenze di trasparenze sottostanti alla disciplina dei patti parasociali nel TUIF.

- Patti a tempo indeterminato: sono leciti, ma ad ogni contraente è at-tribuito il diritto di recesso, che può essere esercitato in qualsivoglia momento. È necessario un preavviso di 6 mesi.Norma da tenere a mente, infine, è quella contenuta nell’ultimo com-

ma dell’art. 123 TUIF secondo cui gli azionisti che intendano aderire ad una OPA o ad una OPS possono recedere - senza preavviso- dai patti parasociali elencati nell’art. 122 TUIF. Ovviamente la dichiarazione di recesso non produrrà alcun effetto sino a quando non si è perfezionato il trasferimento delle azioni.

1. ladisciplina deipatti parasociali

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Sistema Codice Civile- Patti a tempo determinato: la durata del patto non può eccedere i 5

anni. Nel caso in cui venga fissata una durata maggiore questa è ri-dotta automaticamente a 5 anni. È ammissibile rinnovare il patto alla scadenza (ma non tacitamente, ciò in ossequio alle esigenze di traspa-renza che la disciplina codicistica dei patti parasociali persegue).

- Patti a tempo indeterminato: sono leciti, ma ad ogni contraente è at-tribuito il diritto di recesso, che può essere esercitato in qualsivoglia momento. È necessario un preavviso di 180 giorni.

Tipologia dei patti parasociali

Sistema TUIFPer quanto concerne le società di cui al TUIF, ovverosia quelle le

cui azioni sono quotate in uno dei mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell’UE - art. 119 TUIF, le predette norme sono applicabili ai seguenti patti:a) l’esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle

società che le controllano,b) l’istituzione di obblighi di preventiva consultazione per l’esercizio del

diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che le controllano,

c) l’introduzione di limiti al trasferimento delle relative azioni o di stru-menti finanziari che attribuiscono diritti di acquisto o di sottoscrizione delle stesse,

d) la previsione di acquisto delle azioni,e) l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali società.

Sistema Codice CivilePer quello che riguarda le S.p.A. chiuse e quelle i cui strumenti fi-

nanziari (azioni) sono diffuse tra il pubblico in misura rilevante vanno annoverati ai sensi dell’art. 2341-bis, C.C. quei patti, in qualunque forma stipulati, che:a) abbiano per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle Società per

azioni o nelle società che le controllano,b) pongano limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipa-

zioni in società che le controllano,c) abbiano per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di una

influenza dominante su tali società (si legga la norma con riferimento all’art. 2359 C.C. - società controllate e collegate - punto 3).

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Le riferite elencazioni di patti - secondo il pensiero della dottrina do-minante- non dovrebbero avere carattere tassativo. Almeno per quanto concerne le società quotate ci permettiamo di dissentire stante quanto contenuto nell’ultimo comma dell’art. 123 TUIF secondo cui gli azionisti che vogliono aderire ad una OPA o OPS possono recedere senza preavviso dai patti indicati nell’art. 122 TUIF. Una elencazione non tassativa della norma - almeno da questo punto di vista - darebbe luogo ad una lacuna pericolosa. Si propende, pertanto, per la tassatività dell’elencazione.

Si invita, infine, a riflettere sulla impostazione data alla elencazione dei patti parasociali dal Legislatore della riforma che ha ritenuto rilevanti solo i patti diretti a “stabilizzare gli assetti proprietari o di governo della società”.

Il nuovo processo societario (D.Lgs. n. 5/2003)Va opportunamente posto in luce che ai sensi dell’art. 1, lett. c) del

suddetto Decreto le nuove norme di procedura si applicano anche alle controversie relative ai “patti parasociali, anche diversi da quelli discipli-nati dall’art. 2341-bis del C.C., e accordi di collaborazione di cui all’art. 2341-bis, ultimo comma, del C.C.”. L’inciso - anche diversi da quelli disciplinati - lascia intendere che le nuove regole sul processo societario trovano applicazione anche con riferimento alle controversie relative ai patti parasociali disciplinati dal TUIF (art. 122).

Implicazioni di diritto penale societario (art. 2630 C.C.) e sanzioni amministrative

Abbiamo detto che gli obblighi pubblicitari previsti dall’art. 2341-ter C.C. consistono nella:1) comunicazione dei patti alla società,2) dichiarazione degli stessi in apertura di ogni assemblea,3) trascrizione della dichiarazione nel verbale dell’assemblea dei soci,4) nel deposito presso il registro delle imprese del verbale dell’assemblea

dei soci.Si potrebbe profilare una responsabilità ai sensi dell’art. 2360 C.C.

- omessa esecuzione di denuncie, comunicazioni o depositi - in capo al soggetto che deve curare il deposito presso il registro delle imprese del verbale di assemblea dei soci dal quale risulta la dichiarazione di esistenza del patto parasociale. Questi può essere l’amministratore (ove il sistema di amministrazione sia quello tradizionale) o il notaio che non deposita il verbale entro il termine prescritto dalla legge. Si ricorda che la pena stabilita dalla norma è la sanzione amministrativa pecuniaria compresa

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Riposto gelosamente questo documento nella parte più interna della mia ventiquattrore salutai il Professore e mi incamminai verso il mio mezzo di locomozione. La serata sebbene silenziosa era, comunque, animata dal rumore che le foglie dei vicini alberi provocavano stuzzicate dal vento. Il cielo era limpido e la luna risplendeva. La chiarezza del cielo notturno rifletteva il mio stato d’animo e le idee che continuavano a circolare in modo ordinato nella mia mente. Decisi di rielaborare tutto quello che avevamo detto (anzi, per lo più, che il Professore aveva detto) fino a questo momento sui patti parasociali. Avevo una settimana di tempo per farlo, una settimana per fare mio tutto quanto il Professore aveva cercato - con ardore - di trasferirmi. L’appuntamento per il proseguo degli incontri era fissato per il lunedì della successiva settimana. Il tempo era più che sufficiente stava a me spenderlo nel modo giusto.

1. la disciplina deipatti parasociali

in un massimo che va da € 205 ad un minimo di € 2.065 e che può es-sere soggetto attivo di questo reato anche l’amministratore di fatto (art. 2639 C.C.). Per quanto concerne la mancata trascrizione nel verbale di assemblea della dichiarazione del patto parasociale, si ritiene che questa possa dare luogo esclusivamente ad una responsabilità extracontrattuale nel caso in cui si verifichi un danno ingiusto in capo alla società o ad uno dei soci (si pensi al caso dei soci assenti).

Quanto al sistema previsto dal TUIF va detto che l’omissione delle comunicazioni dei patti parasociali previsti dall’art. 122, commi 1 e 2 e 5, nonché la violazione dei divieti previsti dall’art 122, comma 4, sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquemila ad euro cinquecentomila (art. 193, comma 2, TUIF). così come modificata dalla recente legge posta tutela del risparmio.

113

2. La giurisprudenza italiana in materia di patti parasociali

Posso dire con certezza che con l’ultimo appuntamento si era concluso quello che potremo definire il “primo ciclo” dei nostri incontri. Dovevamo andare avanti. Ci aspettava un esame della giurisprudenza italiana degli ultimi venti anni. Non sapevo cosa aspettarmi. Mi interrogavo su quale approccio questa volta il Professore avrebbe adottato. Non possono negare che questo mistero mi affascinava. Anche se non avevo una risposta, la cosa importante era che avrei assistito - con ogni energia ed con il massimo impegno - alle sue lezioni. Si, alla fine dei conti proprio di lezioni si trattava.In questo primo ciclo di incontri il Professore aveva dimostrato una cultu-ra spaventosa in materia di patti parasociali. Una cultura che sicuramente andava ben oltre e non si limitava alla scienza giuridica.Devo dire che a distanza di due settimane dal nostro primo incontro avevo completamente cambiato idea sulla sua persona. I racconti uditi in Tribunale dagli avvocati più anziani non corrispondevano completamene alla realtà dei fatti. Erano, come spesso accade in casi simili, portati all’eccesso, estremizzati. A me era sembrato di aver conosciuto una persona vivace, razionale, buona, cordiale, ordinata e - nonostante l’età - con ancora tanta gioia di vivere. Una persona, che per l’esperienza che possedeva, rappresentava un patrimonio indescrivibile per chi (come me) aveva la fortuna di incontrarla e riusciva a carpirne anche solo un minimo respiro.Mi ricordava molto un anziano professore dell’Università del Sannio, conosciuto alcuni anni prima durante un ciclo di seminari estivi, che, nonostante gli anni, nel discorrere della vita e, soprattutto, di questioni giuridiche, dimostrava una passione ed un ardore (non esagero nel riferirlo) adolescenziale.La settimana appena trascorsa era stata intensa e veloce. Udienze, di cui una fuori città a metà settimana, appuntamenti di lavoro, un seminario in mate-ria di testimonianza nel processo civile e alcune cene con amici. Accanto a tutto questo, non avevo dimenticato una rilettura - meditata - del materiale che ero riuscito a raccogliere durante il primo ciclo di incontri. Avevo anche preso qualche appunto, nonostante il Professore mi aveva ripetuto più volte che preferiva che ascoltassi, piuttosto che concentrarmi a scrivere appunti.

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Come il primo giorno eccomi qui fuori la porta del suo negozio, aspettan-do lo scoccare della fatidica ora del nostro appuntamento. L’entusiasmo di proseguire le lezioni era indescrivibile.Mi vide aspettare fuori della porta, si avvicinò alla vetrina e mi fece un cenno con la mano destra, come se volesse dirmi cosa diavolo stavo facen-do li fuori e cosa aspettavo ad entrare nella sua libreria. Entrai immedia-tamente. Inaspettatamente, il Professore stava fumando un sigaro italiano di buona fattura, mi sembrava un Antico Toscano, che emanava un buon odore e rendeva l’ambiente circostante più familiare e confortevole. Dentro di me mi domandai se era possibile fumare in quella libreria. Mi avvicinai di più al Professore e notai che il suo sigaro era tagliato in modo - diciamo - “rimediato” (come se lo avesse spezzato con le mani). La mia impressione non era sbagliata. Si trattava di un taglio manuale. Decisi allora di fare, nel mio piccolo, qualcosa per il Professore, anche per sdebitarmi per la pazienza dimostrata nei miei confronti e della sua ospitalità.Mi ripromisi, prima della fine dei nostri incontri, di fargli un presente, un omaggio. Pensai ad un taglia sigari. Nelle vicinanze del Tribunale c’era un negozio specializzato in prodotti da fumo. Lo avrei acquistato lì. Certo in tal modo avrei incentivato il Professore a fumare, ma non avevo altra scelta. Non lo conoscevo ancora molto e questo mi sembrava un regalo che sicuramente non lo avrebbe fatto sentire troppo in imbarazzo e, comunque, lo avrebbe fatto contento (sembrava una persona pratica, dunque un regalo pratico era quello che ci voleva). Avevo deciso.Notai, poi uno strano scatolone. Questo era poggiato ai piedi della scrivania che solitamente ci ospitava durante gli incontri. Mi chiedevo dentro di me cosa fosse, ma soprattutto cosa ci fosse al suo interno. La curiosità era molta, tanto che mi venne spontaneo chiederlo direttamente al Professore. Questi rispose dicendo che dentro quel contenitore si trovava il materiale per il nostro “secondo ciclo” di incontri. Era raccolta - in ordine cronologico - la giurisprudenza integrale resa dalle Corti italiane in questi ultimi venti anni in materia di patti parasociali. Ovviamente i provvedimenti che secondo il Professore erano più rilevanti. Li avremmo letti uno ad uno, ragionatoci sopra, discusso e fatto delle considerazioni.Il lavoro che ci aspettava era duro, ma i risultati che almeno io potevo rag-giungere e, di conseguenza, gli effetti benefici per il mio bagaglio professionale, erano sicuramente indescrivibili. In altre parole il gioco valeva la candela.Per chiare esigenze organizzative in questo secondo ciclo di incontri ci saremmo visti ogni sera della settimana, dopo l’orario di chiusura della libreria. A me andava benissimo questo programma. Il giorno avrei svolto il mio lavoro, la sera mi sarei dedicato all’apprendimento.Il Professore, riposto temporaneamente il suo sigaro nel posacenere, mi

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chiese gentilmente di sollevare quello scatolone e di riporlo sopra una se-dia che aveva posto in precedenza vicino al tavolo. Senza esitare esegui il suo ordine. Ancor di più perché avevo notato che indossava, si intravedeva sotto la camicia, uno di quei cerotti che emanano calore e che servono per alleviare dolori muscolari, reumatici e quanto altro (dolori nel suo caso causati dall’età).Una volta poggiato lo scatolone sulla paglia della sedia il Professore vi si avvicinò e come un uomo posto avanti uno scrigno contenente un tesoro di immenso valore prese con le mani i due estremi della copertura, li sollevò, portandoli a sé in direzione del petto. A questo quanto la scena più com-movente: sempre con le mani occupate, spinse la sua testa in avanti quasi a voler scrutare il contenuto del contenitore e con occhio vigile e materno fissava intensamente i documenti ivi riposti (tutto ciò per controllare se il loro livello era diminuito nel tempo, ma anche per farsi assalire dai piacevoli ricordi del passato).Sorrise. Era tutto al suo posto, tutto come la volta dell’ultima consultazione. Estrasse detti documenti e li poggiò con cura sul tavolo.A mia sorpresa le sentenze erano tutte copie fatte direttamente dall’originale di ciascuna decisione. A quella vista, si moltiplicava dentro di me il desiderio di iniziare e di conoscerne il loro contenuto dalla prima all’ultima parola. Sono stato sempre più interessato a leggere e (a studiare) una sentenza nel suo formato originale, piuttosto che in quel freddo formato riprodotto nelle riviste giuridiche. La sentenza mi sembrava più vicina, più personale quasi come se il caso risolto da quella corte mi avesse visto protagonista. Il Pro-fessore non mi fece aspettare molto. Prese il primo provvedimento in mano, una sentenza della Corte di Appello di Milano del 1987, me la passò e mi invitò a leggerla nei successivi dieci minuti in modo critico ed attento, dopo di ché proseguì a fumare il suo sigaro.Prima di iniziare la lettura, domandai al Professore il motivo per il quale la lettura delle sentenze era riferita “solo” agli ultimi venti anni. Non riu-scivo a capire e la mia preoccupazione si leggeva negli occhi. Avevo letto da qualche parte che il dibattito sui patti parasociali e sulla loro liceità era iniziato già sotto l’egida del Codice commerciale del 1882 e di come dottrina e giurisprudenza si contendevano il campo per la prevalenza dell’una (liceità) o dell’altra posizione (illiceità). Il Professore compreso il mio disagio mi ras-sicurò, affermando che fino agli anni ottanta la nostra giurisprudenza aveva dimostrato un atteggiamento di chiusura nei confronti dei patti parasociali, sancendone la nullità allorquando gli stessi erano contrari all’interesse della società. Questa rigida posizione, contrastata dalla dottrina, si è venuta addol-cendo nel corso degli anni. Infatti, con la pronuncia n. 14865/2001, che viene a ribaltare i principi enunciati in Cassazione n. 9975/1995 (che leggeremo

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più avanti), la giurisprudenza della Corte di Cassazione (anche sulla scorta del sempre più pregnante riconoscimento legislativo dei patti parasociali culminato, dapprima settoriale, si pensi al suo richiamo in materia di con-centrazioni nella Legge n. 287/1990, poi con la loro introduzione, dapprima nel TUIF e poi - per la prima volta - nel testo del libro V del C.C. del 1942) si è orientata a ritenere leciti di massima i patti parasociali, demandando ad un accertamento concreto e fattuale la sussistenza o meno della conflittualità tra interessi della società e dei soggetti firmatari del patto parasociale, che giustifica la dichiarazione della nullità del patto parasociale allorquando si venga a verificare (anche solo potenzialmente) una situazione di danno nei confronti dei soggetti non aderenti al patto (soprattutto la società). Ricevuta la risposta che fugava ogni mio dubbio, iniziai a leggere.Appena poggiati gli occhi sulla intestazione della sentenza notai che la stessa era anche massimata (mi chiedevo se anche per le successive vi fosse stata la massima). Questa mi avrebbe sicuramente aiutato ad avere un’idea preliminare, ma anche un primo avvertimento relativamente alla fattispecie che la sentenza avrebbe trattato.

2.1 corte di Appello di Milano, sentenza 5 giugno 1987

Non è illegittimo l’accordo con il quale i soci di due società stabiliscano, a titolo personale, di far nominare se stessi liquidatori di entrambe le società; così come è illegittima la clausola diretta ad impegnare le parti a farsi au-torizzare a prestabiliti criteri di liquidazione dagli organi sociali competenti o ad adottare tali criteri, una volta ricevuta la nomina a liquidatori, nello svolgimento della propria attività di liquidazione dei beni della società. È, invece, nullo il patto parasociale, qualora esso contenga violazione del prin-cipio della salvaguardia degli interessi della società o integri una evidente violazione delle norme concernenti i poteri e gli obblighi dei liquidatori delle società di capitali.

Presidente Di Prima - Relatore Vitale

La Corte (omissis).Sostiene l’appellante Piva, col principale motivo di gravame, che il patto 7 gennaio 1982 deve ritenersi valido, sia perchè, essendo stato stipulato dai due unici soci della società nella loro veste di amministratori liquidatori, rappresenta per ciò stesso la volontà delle società medesime, sia perchè la vendita in esso prevista a persona nominata dai soci per un prezzo predeterminato appare legittima in quanto stabilità nell’osservanza delle

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norme sulla liquidazione delle società e per un importo (L. 2.000.000.000) ampiamente sufficiente al pagamento delle passività sociali (accertate in L. 82.259.850) e quindi senza pregiudizio degli interessi delle società.La doglianza deve ritenersi infondata.Appare, innazitutto, opportuno richiamare la parte di carattere più strettamente ne-goziale della convenzione 7 gennaio 1982.In essa (pag. 1) Piva e Carlucci, quali proprietari “direttamente o indirettamente”, della totalità del capitale delle società S. Felice del Golfo e della Immogarda s.r.l., nonchè di due appartamenti, “si impegnano a titolo personale a nominare se stessi liquidatori di ciascuna delle due società con la firma del presente accordo, che prevede altresì le modalità di liquidazione delle due società e di vendita degli appartamenti 25 e 26.A questo riguardo i dottori Carlucci e Piva si impegnano ciascuno in qualità di socio, amministratore e futuro liquidatore delle due società, nonchè comproprietario degli appartementi 25 e 26, a operare come segue: Le società S. Felice del Golfo e Immo-garda e i contraenti, per quanto di competenza, venderanno a non più di quattro persone, anche giuridiche - d’ora in avanti, chiamate persone - due da nominare da Piva e due da Carlucci, due lotti di beni di loro proprietà, uno alle persone nominate da Piva (lotto a-) e uno alle persone nominate da Carlucci (lotto b-) al prezzo di lire un miliardo per lotto, entro mesi due dalla firma della presente”.Orbene, al fine di valutare la validità o meno del menzionato patto, va ricordato quanto affermato - in via di principio - dalla Suprema Corte in un caso analogo (ma non identico). Essa ha, infatti, ritenuto che ricorre l’ipotesi di contratto parasociale quando i soci o alcuni di essi attuano un regolamento di rapporti, non vincolante nei confronti della società, difforme o complementare rispetto a quello previsto dall’atto costitutivo o dallo statuto della società stessa (come, per es., quello diretto a dividersi il patrimonio sociale).Condizione indispensabile per la validità di tale contratto è che esso non pregiudichi gli interessi della società, e tale condizione indubbiamente non ricorre allorchè i soci di una società di capitali, in contrasto con le norme imperative dal legislatore dettate in materia di scioglimento e di liquidazione di tale tipo di società, convengono, fra loro, di attribuirsi l’intero patrimonio dell’ente, sottraendo all’ente medesimo, che viene, pertanto, ad essere leso in uno dei suoi interessi primari, quale quello della conservazione per il conseguimento dei fini sociali, del proprio patrimonio.La partecipazione, poi, ad un contratto parasociale di tutti i soci di una società di capitali non esclude la possibilità di un pregiudizio agli interessi dell’ente sociale, at-teso che la società di capitali è soggetto giuridico distinto e diverso dai soci, mentre, quanto ai terzi che hanno rapporti con la società, se si considera che le norme in tema di scioglimento e di liquidazione delle società di capitali sono dettate anche nel loro interesse, non può disconoscersi che, allorquando i soci si dividono tra loro, fuori di tali norme, l’intero patrimonio sociale, spogliandone la società (come nel caso consi-derato dalla Suprema Corte), il fine della legge viene ad essere frustrato, in quanto la personalità giuridica della società viene ridotta a una mera parvenza, priva di qualsiasi sostanziale contenuto, e, come tale, affatto incapace di garantire gli interessi di terzi.

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La convenzione in esame, essendo contraria a norme imperative, è da ritenersi affetta da nullità insuscettibile di sanatoria ex art. 1423, codice civile (cfr. Cass. 22 dicembre 1969, n. 4023).Si tratta ora di accertare se, nel caso di specie, la convenzione 7 gennaio 1982 si ponga, di per sè, in contrasto con la disciplina stabilita dalla legge per la liquidazione delle società di capitali e prescriva comportamenti e modalità idonei a creare un pregiudizio alle società e agli eventuali creditori.Circa il primo punto, il menzionato contrasto, limitatamente alla parte della convenzione concernente l’impegno per la nomina dei liquidatori, non è ravvisabile, in quanto nella convenzione le parti si sono semplicemente impegnate, “a titolo personale” (e quindi non quali amministratori) a far nominare le stesse liquidatori di ambedue le società, impegno da attuarsi, evidentemente, nella legittima sede sociale, mediante delibera assembleare (il che, in parte, è avvenuto).Un accordo siffatto, stipulato dagli unici soci delle società in data e sede diverse da quelle stabilite per l’assemblea delle società, non può essere ritenuto illegittimo (se au-tonomamente considerato), non comportando alcuna violazione di norme relative alla disciplina prevista dalla legge, nè, di per sè, obblighi e poteri diversi da quelli previsti da dette norme (tanto che, con la delibera assembleare 4 marzo 1982, la società S. Felice del Golfo ha nominato il Piva e il Carlucci liquidatori della società conferendo agli stessi “tutti i poteri di legge”).Nella menzionata convenzione, inoltre, le parti si sono peraltro impegnate, ciascuno quale socio, amministratore e futuro liquidatore delle due società, “a operare e a far operare (evidentemente le società )” in modo da eseguire la liquidazione secondo criteri prestabiliti nella convenzione, e cioè, in particolare, mediante la vendita dei beni di proprietà personale e delle società, suddivisi in due lotti, a non più di quattro persone, anche giuridiche, uno alle persone nominate da Piva e uno alle persone nominate da Carlucci, al prezzo di lire un miliardo per lotto.Anche in tal caso non si tratta di una clausola della convenzione autonomamente ope-rativa (per le società), e come tale idonea a sottrarre immediatamente i beni suddetti alla disponibilità delle società, bensì ancora di un impegno delle parti a fare autoriz-zare detti criteri di liquidazione dagli organi sociali competenti, ovvero ad adottare detti criteri, una volta ricevuta la nomina a liquidatori, nello svolgimento della propria attività di liquidazione dei beni della società.Orbene, deve ritenersi che, già di per sè, il criterio della rigida predeterminazione del prezzo di vendita dei due lotti di bene (complessivamente fissato in L. 2.000.000.000.) in una cifra pacificamente di gran lunga inferiore al reale valore di detti immobili, valore aggirantesi intorno ai quindici miliardi, come riconosciuto dallo stesso Piva nella propria citazione di appello (d’altra parte tra tali beni figuravano centosettanta appartementi, due dei quali sono stati venduti dall’amministratore giudiziario nominato dal Tribunale proprio dal Piva e dal Carlucci al prezzo di L. 70 milioni ciascuno, come risulta dai documenti, prodotti dall’appellato), costituisca un’eclatante violazione del principio della salvaguardia degli interessi delle società, correttamente considerate, appunto, quali soggeti giuridici autonomi, essendo evidente che l’ingiustificata applicazione del

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menzionato prezzo di vendita del patrimonio immobiliare comporterebbe un’enorme perdita economica per la società e, correlativamente, un’illegittima decurtazione delle garanzie finanziarie per i terzi creditori delle società (tra cui l’Erario).Quanto, poi, ai macchinosi criteri stabiliti dalle parti per l’individuazione dei compra-tori (criteri dettati da scopi piuttosto evidenti e comunque irrilevanti in questa sede), essi, tendendo a limitare in modo arbitrario la libera ricerca degli acquirenti dei beni, integrano un’evidente violazione delle norme imperative che disciplinano i poteri e gli obblighi dei liquidatori delle società di capitali (quali risultano dal combinato disposto dagli artt. 2497, 2452, 2276, 2260 e 1710, codice civile), tra i quali primeggia l’obbligo di espletare il proprio incarico con la diligenza del buon padre di famiglia.Una predeterminata e programmata violazione di detti obblighi non può che comportare, ai sensi degli artt. 1418 e 1423, codice civile, la nullità insanabile della convenzione impugnata.La nullità, infatti, dalla parte concernente le modalità per la liquidazione della società (costituendo, con ogni evidenza, l’adozione di modalità lo scopo principale del patto menzionato) non può che comportare, ai sensi dell’art. 1419, codice civile, la nullità dell’intero contratto.Quanto, poi, agli asseriti contratti preliminari di vendita contenuti, secondo l’appel-lante, nella convenzione 7 gennaio 1982, essi, anche a prescindere dalla fondamentale considerazione che la ritenuta nullità della convenzione li travolgerebbe comunque, non appaiono peraltro sussistenti, essendosi le parti limitate a impegnarsi al fine di indurre le società a stipulare detti contratti nelle idonee sedi sociali.D’altronde una valida diretta stipulazione di tali contratti da parte del Piva e del Carlucci quali amministratori delle società avrebbe richiesto, trattandosi di atti di straordinaria amministrazione, una preventiva autorizzazione dell’assemblea dei soci, così come prescritto dagli statuti delle società. (omissis).La domanda attrice è infondata e deve pertanto essere rigettata.

Considerazioni

Di tutta la decisione letta in quei dieci minuti, il Professore mi invitò a riflettere su due passaggi fondamentali.

a) Innanzitutto, il patto parasociale non deve venire a pregiudicare gli interessi della società. A dire del Giudicante tale condizione ricorre in concreto allorché i soci di una società di capitali, in contrasto con le norme imperative dal legislatore dettate in materia di scioglimento e di liquidazione di tale tipo di società, convengono, fra loro, di attribuirsi l’intero patrimonio dell’ente, sottraendolo all’ente medesimo, che viene, pertanto, ad essere leso in uno dei suoi interessi primari, ovverosia quello della conservazione per il conseguimento dei fini sociali, del proprio patrimonio,

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b) in secondo luogo, la partecipazione ad un contratto parasociale di tutti i soci di una società di capitali non esclude la possibilità di un pre-giudizio agli interessi dell’ente sociale, atteso che la società di capitali è soggetto giuridico distinto e diverso dai soci.Quanto ai terzi (ad esempio, i creditori sociali) che hanno rapporti con

la società, se si considera che le norme in tema di scioglimento e di liquida-zione delle società di capitali sono dettate anche nel loro interesse, non può disconoscersi che, allorquando i soci si dividono tra loro, fuori di tali norme, l’intero patrimonio sociale, spogliandone la società, il fine della legge viene ad essere frustrato, in quanto la personalità giuridica della società viene ridotta a una mera parvenza, priva di qualsiasi sostanziale contenuto, e, come tale, affatto incapace di garantire gli interessi di terzi.

La convenzione in esame, dunque, essendo contraria a norme impe-rative, è da ritenersi affetta da nullità insuscettibile di sanatoria ex art. 1423, C.C. (per un caso analogo si veda Cass. 22 dicembre 1969, n. 4023, ma anche Cass. 11 gennaio 2005, n. 350).

Da parte mia, e questo ultimo rilievo me lo confermava, collegavo imme-diatamente la sentenza alla parte del primo ciclo di incontri relativa alla nullità dei patti parasociali e al loro rilievo in via di eccezione per paralizzare la richiesta di risarcimento del danno avanzata dall’aderente al patto non inadempiente nei confronti del soggetto inadempiente.Ancora pensai a quelli che potevano essere i momenti che avevano spinto il Giudicante a determinarsi in tal modo. La risposta non fu difficile da rintracciare; si trattava, in primo luogo, della violazione del principio di salvaguardia degli interessi della società nella parte del criterio della rigida predeterminazione del prezzo di vendita degli immobili, di gran lunga in-feriore (nel suo incasso da parte della società) al loro valore di mercato; in secondo luogo, il patto veniva a violare le norme che disciplinano i poteri e gli obblighi dei liquidatori della società (ciò nella parte in cui erano previ-sti quei criteri che limitavano arbitrariamente la libera ricerca da parte dei liquidatori degli acquirenti degli immobili). Infine, la mia attenzione era catturata dalla sorte che veniva a colpire gli “asseriti contratti preliminari”; essi sarebbero stati travolti dalla nullità del patto parasociale. Rilevante era anche la qualificazione che il Giudicante forniva di tali contratti: si trattava di “atti di straordinaria amministrazione”, la cui stipulazione necessitava la preventiva autorizzazione assembleare (comunque contemplata negli statuti delle due società). Mi interrogavo, infine, su quale poteva essere il pregiudizio in concreto sofferto dalla società. Esso andava ravvisato “nella enorme perdita economica, nonché una illegittima decurtazione delle garanzie finanziarie

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per i creditori sociali”, dovuta alla previsione di un prezzo di gran lunga inferiore al reale valore degli immobili di proprietà della società.Si procedeva con il secondo documento. Senza necessità di un invito presi delicatamente il provvedimento in mano e lo iniziai a leggere.

2.2 cassazione civile, Sezione I, sentenza 18 gennaio 1988, n. 326

La convenzione fra i soci di una Società per azioni, amministratori e detentori dell’intero pacchetto azionario, la quale sia rivolta a trasferire i beni sociali, in favore dei soci stessi o di terzi, senza il preventivo soddi-sfacimento dei creditori della società, è nulla, per violazione delle norme imperative che tutelano la integrità del patrimonio della società a garanzia dei creditori, e che ne consentono l’assegnazione ai soci solo nel caso e con la procedura dello scioglimento e messa in liquidazione dell’ente.

Presidente Zucconi Galli Fonseca - Relatore Vercellone

La Corte (omissis).Il primo motivo del ricorso denuncia violazione degli artt. 1327 e 1362, codice civile, nonché contraddittorietà della motivazione. I giudici di merito avrebbero violato l’art. 1372, codice civile, in quanto avrebbero definito come contratto immediatamente traslativo della proprietà la vendita fatta da un soggetto che, dichiaratamente, non era proprietario della cosa venduta che risultava infatti essere di un terzo, cioè della società DENAP. Che le parti intendessero invece stipulare una vendita di cosa altrui risultava altresì dal fatto che nella convenzione dell’agosto, richiamata dal contratto del settembre, erano proprio previsti gli ulteriori incombenti necessari perché avesse luogo il trasferimento della proprietà. Altro errore, sempre secondo i ricorrenti, sarebbe stato quello di considerare quegli ulteriori incombenti come formalità non idonee a sanare un atto radicalmente nullo, senza invece comprendere che l’atto non era nullo appunto perché semplicemente costitutivo di obbligazione di trasferire, obbligazione cui Appendino avrebbe dovuto adempiere proprio realizzando quegli altri passaggi necessari (essenzialmente la deliberazione del consiglio di amministrazione).Ancora violazione dell’art. 1362 nonché dell’art. 1411 (e sempre contraddittorietà della motivazione) è denunciata nel secondo motivo del ricorso.I ricorrenti mettono in evidenza la clausola che prevedeva l’obbligo dei soci di sopperire a tutte le esigenze sociali, contribuendo con versamenti propri; ed affermano che tale clausola rendeva legittima tutta la procedura, pur anomala rispetto al procedimento di liquidazione. La clausola, era, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici torinesi,

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pienamente efficace a favore dei terzi creditori e della società semplice trattandosi di negozio a favore di terzi ax art. 1411, codice civile.Infine i ricorrenti si dolgono della violazione degli artt. 2448, n. 5; 2452 e 2280, codice civile. Essi affermano che il nostro ordinamento non vieta che insindacabilmente ed in qualsiasi momento i soci possano far cessare la società (art. 2448, n. 5, codice civile) e che in sede di liquidazione i soci possano assegnarsi i beni sociali (art. 2452 e 2280, codice civile). Unico limite è che prima della assegnazione si proceda al pagamento dei creditori sociali. Ora, secondo i ricorrenti, tale condizione sarebbe stata realizzata appunto con la stipulazione pattizia dell’obbligo dei soci di procedere a versamenti personali ove necessità sociali si fossero presentate.I tre motivi ora esposti possono essere esaminati congiuntamente in quanto tra loro coordinati allo scopo di dimostrare la liceità del patto dell’agosto 1979 se visto nel suo insieme e considerato nei suoi effetti.Ma tutti e tre risultano infondati perché quella convenzione è certamente nulla, anche se sono opportune alcune precisazioni (più che una modificazione della motivazione ex art. 384, codice procedura civile).Può ammettersi, seguendo alcuni degli argomenti portati dalla difesa dei ricorrenti, che, al di là delle intenzioni dei compratori e del venditore (anzi dei promittenti compratori e venditori), il negozio del settembre del 1979 debba ritenersi come preliminare non di vendita immediatamente traslativa sibbene di vendita obbligatoria, nella specie di vendita di cosa altrui.Tale almeno inevitabilmente era la sua efficacia, più ridotta rispetto forse a quanto potevano pensare i promittenti acquirenti, dato che la situazione di diritto era quella che era, che cioè la proprietà degli immobili persisteva ancora in capo alla società DENAP e il contratto del settembre era a tutta evidenza stipulato, come promittente venditore, da Appendino personalmente e non nella sua qualità di rappresentante organico della società DENAP.Può anche ammettersi che la stessa convenzione dell’agosto tra Appendino e Dente non aveva in sé l’efficacia di trasferire immediatamente e direttamente ai due soci i beni immobili della società: per ottenere questo risultato, infatti, sarebbero stati neces-sari altri adempimenti, quali quelli appunto previsti nella convenzione stessa, cioè il successivo trasferimento della società agli assegnatari, trasferimento che sarebbe stato fatto a mezzo di procuratori nominati dal consiglio di amministrazione che appunto a quel fine doveva essere convocato a norma della clausola XI.Ma tutto questo non muta sostanzialmente i termini della questione relativamente al punto della nullità della convenzione dell’allegato.Con essa, infatti, i soci si impegnavano reciprocamente a tenere alcuni comportamenti, a tollerarne altri (da parte dell’altro socio mediante i quali si sarebbe addivenuto ad un risultato finale certamente illecito, in quanto contrario ad alcune regole imperative in materia di società e più in specie di società per azioni). Essenzialmente è il fatto che, ove i patti fossero stati rispettati, alla fine della intera operazione, pur persistendo la società come ente personificato, ad essa non avrebbe più fatto capo la titolarità della proprietà dei beni immobili che costruivano la parte essenziale del suo patrimonio: infatti, a seguito dei trasferimenti di cui alla clausola VI, eseguiti con lo strumento

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di cui alla clausola XI, tutti i beni immobili sarebbero divenuti di proprietà di terzi (i terzi individuati per ciascun lotto rispettivamente da Appendino e Denti) e di proprietà individuale dei singoli soci.E, ciò che più conta, a questa pressoché totale cessione patrimoniale immobiliare so-ciale non avrebbe fatto fronte un relativo afflusso nel patrimonio sociale del danaro corrispondente al prezzo effettivamente stipulato ed incassato per ogni vendita di immobile.Infatti, così come ha messo in evidenza la Corte d’Appello nella sua interpretazione della convenzione dell’agosto 1979, interpretazione non suscettibile di critica in que-sta fase di legittimità e comunque sostanzialmente non contestata da questo punto di vista da parte dei ricorrenti, doveva figurare un prezzo uniforme di L. 500.000 al mq. di certo assolutamente inferiore a quello che si sarebbe ricavato in ogni vendita e nemmeno quella parte di prezzo sarebbe stato versato nelle casse sociali. L’operazione nel suo complesso avrebbe dunque ottenuto il risultato finale per cui:a) la società non sarebbe più stata proprietaria di alcun immobile;b) sarebbero divenuti proprietari degli immobili ex sociali dei terzi o i due soci;c) solo una minima parte del prezzo ricavato dalla vendita (da società a terzi, da società a soci) sarebbe entrata nelle casse sociali.L’intera operazione dunque avrebbe condotto a risultati in aperta violazione di una serie di norme positive (artt. 2280, comma primo, 2433, 2445, codice civile) tanto im-perative da giustificare una sanzione penale (artt. 2621, n. 2; 2623, n. 2), tutte volte ad impedire che, in un modo o nell’altro, somme sotto forma di utili sociali o addirittura il patrimonio sociale possano essere attribuiti ai soci senza che siano state adempiute formalità essenziali e soprattutto senza che risultino pagati i creditori sociali.Da questa constatazione si deduce ad evidenza l’infondatezza dei motivi di ricorso.Il primo, perché non ha alcun rilievo il fatto che il contratto del settembre 1979 non potesse essere traslativo di proprietà: infatti il trasferimento di proprietà si sarebbe invece poi avuto, proprio se si fosse dato corso all’accordo (nullo) dell’agosto ed in specie alle clausole VI e IX. Il primo anche, perché appunto l’adempimento delle clau-sole stesse, lungi dal sanare alcunché, avrebbe proprio portato ad effetto la volontà dei due soci di spogliare la società dell’intero suo patrimonio, cioè avrebbe determinato le conseguenze vietate dalla legge con le già ricordate norme imperative.Il secondo ed il terzo infine, perché l’impegno dei due soci (clausola IV) di “sopperire” a tutte le esigenze sociali contribuendo con versamenti personali di pari “importo” non è certo surrogato idoneo e sufficiente all’unica vera garanzia dei creditori sociali, cioè l’integrità del patrimonio sociale, e la sua aggredibilità diretta ed immediata per l’adempimento delle obbligazioni sociali.Certo, i soci possono quando vogliono sciogliere la società; ed è previsto che a seguito dello scioglimento si possa avere anche assegnazione ai soci (senza corrispettivo alcuno), ma resta fermo che prima di far propri i beni sociali (gli immobili o il denaro ricavato dalla vendita degli immobili) debbono essere stati pagati tutti i creditori sociali. Men-tre, nel caso di specie, vendita ed assegnazione sarebbero dovuti avvenire e dunque il patrimonio sociale sarebbe stato sostanzialmente annullato, senza previo pagamento dei creditori. Né l’obbligo assunto personalmente di provvedere in seguito, ove necessario,

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al pagamento in proprio può ritenersi equivalente all’accantonamento delle “somme necessarie per pagarli” (i creditori della società, art. 2280) o alla prestazione di idonea garanzia (art. 2445, codice civile). Ciò che esige la legge, a protezione degli interessi della società come ente giuridico con proprio patrimonio, ma essenzialmente a pro-tezione degli interessi dei creditori è che questi ultimi possano integralmente contare (art. 2740, codice civile) su tutti i beni presenti e futuri del loro unico debitore che è appunto la società persona giuridica. A tal fine, oltre che le norme finora richiamate, è prevista l’obbligatoria procedura della liquidazione a norma degli artt. 2449 e ss., codice civile: non è ammissibile che tutta questa rigorosa protezione sia aggirata mettendo i creditori nella necessità di dover rincorrere i soci della s.p.a., individuare i loro patrimoni individuali e aggredirli con procedure singolari.Viene dunque ribadita la nullità della convenzione dell’agosto 1979 tra Appendino e Dente, rigettando tutti i motivi del ricorso, tutti, come si è visto, incentrati sull’affer-mazione della validità di essa.Nessun motivo è stato invece sollevato sull’altro capo della sentenza della Corte di Appello che dalla nullità della convenzione Appendino-Dente ha dedotto la nullità anche del contratto Appendino da un lato, Griotti, Audero, Ferrero, Orsi dall’altro: capo che dunque è passato in giudicato. (omissis).

ConsiderazioniAnche in tale pronuncia il Giudice adito concludeva il suo accertamento

con la dichiarazione di nullità del patto parasociale stipulato dalle parti in causa. La Suprema Corte ha ritenuto sussistente la nullità del patto stante la circostanza che questo era diretto ad aggirare le norme previste dal Legislatore in materia di scioglimento e liquidazione della società. In tal caso la decisione era animata dalla necessità di tutelare la società, ma sopratutto i creditori sociali i cui interessi erano messi a repentaglio dalla pattuizione parasociale posta in essere dai soci della stessa società. Infatti, il patto parasociale stipulato dai due soci avrebbe avuto come effetto che la società «non avrebbe più fatto capo la titolarità della proprietà dei beni immobili che costituivano la parte essenziale del suo patrimonio» e quello che più conta che la cessione «non avrebbe fatto fronte un relativo afflusso nel patrimonio sociale del denaro corrispondente al prezzo …».

Per quanto concerne i creditori sociali, venendo il patto parasociale ad aggirare le norme in tema di liquidazione della società, il meccansismo architettato dai soci avrebbero posto i creditori «nella necessità di dover rincorrere i soci della S.p.A., individuare i loro patrimoni individuali e aggredirli con procedure singolari».

Interessante è, infine, la considerazione che l’impegno assunto dai soci di sopperire a tutte le esigenze sociali, contribuendo con versamenti per-sonali di pari importo, non è stato considerato dal Giudicante «surrogato idoneo e sufficiente all’unica vera garanzia del creditori sociali» ovverosia l’integrità del patrimonio sociale.

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Si proseguiva di buona lena. Eravamo giunti al terzo provvedimento.La procedura era la solita (lettura e considerazioni). La decisione che mi apprestavo a leggere concerneva sempre il rapporto tra patto parasociale e procedimento di liquidazione (l’avvertimento era del Professore, il quale con un sorriso - quasi di sfida - mi rimandava alla fine della lettura della sentenza per vedere se mi ero accorto di una circostanza molto importante utile per una migliore e più proficua comprensione dei problemi emergenti da questa pronuncia).

2.3 cassazione civile, Sezione I, sentenza 22 dicem-bre 1989, n. 5778

I contratti parasociali sono validi soltanto se non compromettono gli interessi della società: di conseguenza, in sede di liquidazione, è nullo il patto che impone ai soci-liquidatori di una società di capitali, quali contraenti del patto, di svendere il patrimonio sociale ad un prezzo irrisorio rispetto al suo vero valore, contravvenendo, così, all’obbligo loro imposto per legge di espletare il loro incarico di amministratori liquidatori di un patrimonio ancora “altrui” con la diligenza del buon padre di famiglia.

Presidente Bologna - Relatore Borruso

La Corte (omissis).Col primo motivo di ricorso il Piva denunzia violazione degli artt. 2452, 2497, 1418 e 1419, codice civile, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5, codice procedura civile, sostenen-do che i patti parasociali potrebbero legittimamente convenire quanto legittimamente potrebbe essere deliberato dalla società: conseguentemente, poichè ai sensi del secondo comma del citato art. 2452, l’assemblea dei soci può derogare alla disciplina legale dei poteri dei liquidatori, anche i patti parasociali lo potrebbero al fine di dividere tra i soci il patrimonio sociale. Nè, in contrario, avrebbe potuto essere opposto - come erroneamente fatto nella sentenza impugnata che, predeterminando un prezzo di vendita inferiore a quello che avrebbe potuto essere ricavato, ciò nella specie avrebbe costituito un pregiudizio per le società e per i terzi. Tale pregiudizio, infatti, nella specie non avrebbe potuto essere ritenuto sussistente sia per la totale coincidenza tra gli interessi delle società e gli interessi degli unici soci Piva e Carlucci, sia perchè il prezzo predeterminato (2 miliardi) era largamente sufficiente a coprire i debiti delle società (accertati in appena 82.259.850) come i giudici di merito avrebbero omesso di considerare, sia infine perchè la violazione delle garanzie dei terzi avrebbe dovuto essere accertata in concreto e non, invece - come a torto avrebbero fatto i giudici di merito - con riferimento ad una ipotetica diversa situazione.

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Il suesposto motivo è privo del benchè minimo fondamento.Infatti, come questa Corte ha più volte affermato (cfr. sentt. nn. 4023 del 1969 e 234 del 1964) i c.d. “contratti parasociali”, tra i quali rientra certamente quello posto in essere il 7 gennaio 1982 tra il ricorrente ed il resistente per gli obblighi che assumevano in proprio, sono validi soltanto se non compromettono gli interessi della società. Ed i giudici di merito, con apprezzamento di fatto insindacabile in questa sede perchè perfettamente motivato sul piano logico-giuridico, hanno, invece, ritenuto che tale pregiudizio, nella specie, sus-sistesse e consistesse nel costringere i soci contraenti a svendere, quali liquidatori della società, il patrimonio di una società di capitali (cioè di un soggetto giuridico perfetta-mente distinto da essi) per un prezzo irrisorio rispetto al suo vero valore, contravvenendo, così, all’obbligo loro imposto per legge di espletare il loro incarico di amministratori liquidatori di un patrimonio ancora “altrui” con la diligenza del buon padre di famiglia. A ciò può aggiungersi che - come del resto accennato nella stessa sentenza impugnata con l’esatto richiamo dell’art. 1418, codice civile, - il contratto parasociale stipulato tra il Piva ed il Carlucci è nullo anche per l’illiceità o, quanto meno, per la mancanza di una causa plausibile, giacchè da un lato non è dato scorgere quale interesse, meritevole di tutela giuridica, potesse perseguire l’obbligarsi reciprocamente a svendere a terzi i beni di una società di capitali amministrata dai contraenti ad un prezzo irrisorio e a porre, così, in essere una sorta di contratto oneroso mixtum cum donatione a favore di estranei, dall’altro lato contrasta con tutte le norme d’ordine pubblico economico che impongono la trasparenza in tutti gli atti che riguardano la contabilità sociale (ivi compresa la fase liquidatoria) far apparire, mediante la corrispondenza ad un prezzo artificioso, che il valore del patrimonio sociale realizzato alla fine dell’esistenza della società fosse di gran lunga inferiore a quello potenziale.Ciò spiega anche perchè neppure l’assemblea dei soci potrebbe, ai sensi del secondo comma dell’art. 2452, autorizzare i liquidatori a compiere un atto così contrario ai loro doveri e come, pertanto, non giovi al ricorrente richiamare la citata norma.Nè le suddette considerazioni sembrano perdere di valore qualora l’atto del 7 gennaio 1982 fosse stato posto in essere per svendere il patrimonio sociale non a terzi, ma agli stessi soci-amministratori e liquidatori della società. Infatti, se è ben vero che i soci sono perfettamente liberi di porre la società in liquidazione e - detratti tutti i debiti - di ripartirsene l’attivo, è anche vero, però, che, a tal fine, devono servirsi delle forme legali appositamente previste dalla legge proprio per il suo conseguimento, senza che possano ritenersi loro consentiti altri atti distorsivi della realtà e, in quanto tali, incompatibili con il principio della chiarezza che deve essere osservato in tutti i momenti della vita della società.Col secondo motivo di ricorso si denunzia la violazione degli artt. 1362 e 1369, codice civile in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5, codice procedura civile, lamentando che i giudici di merito non avrebbero potuto ravvisare inesistenti nella convenzione del 7 gennaio 1982 due contratti preliminari di compravendita con cui le società S. Felice del Golfo e Immogarda si erano impegnate a trasferire al Piva ed al Carlucci i rispettivi patrimoni immobiliari (gli stessi patrimoni, cioè, oggetto del contratto parasociale) per il prezzo da esse insindacabilmente stabilito. La convenzione de qua, infatti, era stata espressamente sottoscritta dal Piva e dal Carlucci non soltanto in proprio, ma anche nella qualità di soci

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amministratori e futuri liquidatori delle due società e conteneva, altresì, altre espressioni letterali che dovevano necessariamente far riferire gli impegni assunti anche alle due società, espressioni che nella sentenza impugnata, invece, erano state completamente ignorate. Del resto la sussistenza dei suddetti contratti preliminari era confermata dal comportamento dello stesso Carlucci: tanto vero che egli, in altra causa pendente dinanzi al Tribunale di Milano, aveva chiesto che gli venisse trasferita dalle società la proprietà degli immobili oggetto di detti contratti preliminari e del patto parasociale.Parimenti la Corte d’appello sarebbe incorsa in ulteriore errore considerando comun-que invalidi i medesimi contratti preliminari sol perchè stipulati senza le necessarie delibere assembleari.In proposito, invero, avrebbero omesso di considerare che le società avevano ratificato e parzialmente eseguito i contratti preliminari de quibus con le delibere delle assemblee totalitarie del 4 marzo 1982.Infatti, dato il dissidio tra il Piva ed il Carlucci, la forma totalitaria di dette assemblee si poteva spiegare solo con la volontà dei soci, recepita dalle assemblee stesse, di auto-nominarsi liquidatori per dare esecuzione ai predetti contratti preliminari.Su codesta circostanza si sarebbe offerto di testimoniare lo stesso avvocato (Pistolesi) che ha sottoscritto il ricorso per cassazione ora in esame “sicchè la gravata sentenza avrebbe dovuto tenerne conto e, occorrendo, avrebbe dovuto, in applicazione dell’art. 295, codice procedura civile, sospendere il presente giudizio in attesa dell’esito dell’altro”.Anche questo secondo motivo è assolutamente infondato sia perchè l’interpretazione della comune volontà delle parti (e quindi anche della veste con cui essi vollero contrat-tare) costituisce un apprezzamento di fatto, come tale rimesso al giudizio insindacabile del giudice di merito quando non sia inficiato da distorsioni logico-giuridiche che il ricorrente non riesce a dimostrare, sia perchè - a tutto concedere - trattandosi, secondo l’assunto del ricorrente, di un preliminare di vendita posto in essere dalle società (rap-presentate dai loro amministratori) a favore di essi medesimi (o delle persone che essi avrebbero nominato), questi avrebbero dovuto astenersi da ogni delibera al riguardo per l’evidente conflitto d’interessi (preso in considerazione anche penalisticamente nell’art. 2631, codice civile) con gli interessi della società. E quanto sopra è sufficiente a rendere vane tutte le argomentazioni esposte nel motivo in esame. (omissis).

Fortunatamente ero dotato di una buona memoria. Mi aveva salvato in sva-riate occasioni, soprattutto all’università. Questa era una di quelle.Mi accorsi immediatamente di quello a cui il Professore si riferiva: la sen-tenza che avevo appena letto era l’impugnazione avanti la Suprema Corte di cassazione della decisione resa dalla Corte di appello di Milano del 5 giugno 1987 (letta in precedenza- la prima sentenza), la quale aveva rigettato il ricorso, confermando la statuizione del giudice del gravame.Prosegui a leggere una altra pronuncia; questa volta un Tribunale di Milano. Devo dire che il Professore rimase contento della attenzione da me mostrata nel corso della lettura.

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2.4 Tribunale Milano, Ordinanza 14 aprile 1989

I patti di “sindacato di voto” non possono essere considerati validi quando producono l’effetto di rimettere la formazione della volontà sociale in capo a una maggioranza sindacata, consistente talvolta in una ristretta base azionaria.

Presidente ed Estensore Porqueddu

Il Giudice istruttore (omissis).Letti gli atti e udite le parti;ritenuta la propria competenza, quale giudice investito della causa di merito, e rite-nuto che la non integrità del contraddittorio in detta causa di merito non impedisce l’emissione di provvedimenti cautelari ed urgenti ai sensi dell’art. 700, codice procedura civile, tanto più che la particolare tutela cautelare ivi prevista può essere attuata anche mediante decreto inaudita altera parte, salva la successiva audizione (onde è possibile, nella specie, ordinare l’integrazione del contraddittorio a tutti gli stipulatori del patto di sindacato, che conferirono mandato alla società per azioni Siref, sia ai fini di una loro comparizione successiva al provvedimento urgente sia ai fini del giudizio di merito);ritenuto che l’urgenza della situazione suggerisce dunque di provvedere immediatamente sul ricorso, salva l’integrazione del contradditorio;rilevato che i patti di “sindacato di voto” pur menzionati in disposizioni legislative - e del resto già per l’innanzi ritenuti validi da gran parte della dottrina e dalla giu-risprudenza - non possono comunque valere a stravolgere i principi generali dettati a presidio del fisiologico funzionamento delle assemblee di società ed a tutela della volontà dei soci;ritenuto, quindi, che tali patti non possono essere considerati validi quando producano l’effetto di rimettere la formazione della volontà sociale nelle mani di una maggioranza sindacata, talora consistente in una ristretta base azionaria;considerato che ancor più risultano scossi i generali principi in tema di tutela della volontà dei soci e della maggioranza allorquando il patto sindacale riguardi ogni possibile oggetto, ivi comprese - come nella specie - le questioni attinenti la responsabilità degli ammini-stratori, e quindi questioni che riguardano il corretto funzionamento della società;rammentato che la giurisprudenza, a parte i limiti più volte enunciati ai fini della validità dei patti sindacali (a proposito della determinatezza dell’oggetto, dei limiti di tempo e della tutela della volontà di tutti i soci sindacati), ha mostrato attenzione al tema della tutela della volontà del socio, ritenendo l’invalidità della procura generale per il voto assembleare anche al di là degli stretti limiti di cui all’art. 2372, codice civile;rilevato che i dubbi sollevati dalle ricorrenti sulla validità del patto sindacale - inte-granti, per quanto interessa la presente fase di sommaria cognizione, il fumus boni juris - si riverberano anche sulla validità ed operatività del mandato conferito alla Siref dalle ricorrenti (unitamente ad altri soci) con specifico riferimento e richiamo al patto di sindacato, nel senso che la società fiduciaria procuratrice non può pretendere

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di esprimere il voto sulla base delle indicazioni di una maggioranza che si formerebbe all’interno del sindacato in virtù di un patto nullo: onde essa non può non tener conto della diversa volontà manifestata dalle singole componenti sindacali;considerato che, d’altronde, la nullità e comunque l’inefficacia del mandato di cui si tratta non potrebbe giustificare (secondo la drastica alternativa prospettata dalla re-sistente), una volta scartata l’ottemperanza al voto di maggioranza, soltanto l’inerzia, giacchè la Siref è tuttora legittimo possessore delle azioni in base ad una procura, anche se, non avendo ritenuto di restituirle tempestivamente alle ricorrenti al fine della loro partecipazione all’assemblea, non può che attenersi alle loro istruzioni in sede di voto (ponendo in essere, in difetto, un comportamento pregiudizievole nei confronti delle ricorrenti a vantaggio di altra parte del sindacato sulla base di istruzioni fondate su patto invalido);rammentato come, d’altro canto, la dottrina e la giurisprudenza ammettano il voto divergente da parte di un unico procuratore che rappresenti più parti, senza che in tal caso possa parlarsi di voto contraddittorio;ritenuto che, oltre al sopra segnalato fumus, esista anche il periculum in mora costituito dalla perpetuazione di un contegno della Siref pregiudizievole per il diritto delle ricorrenti di concorrere autonomamente alle scelte della società (ed a proposito, in particolare di un’azione di responsabilità nei confronti di amministratori, la cui fondatezza o meno non deve nè può - ovviamente - costituire oggetto di esame in questa sede);rilevato infine che la capacità o meno del voto delle ricorrenti di ottenere un risultato utile nell’assemblea è questione che non può essere addotta ad argomento contro la misura cautelare, essendo ben noto che l’assunto su cui si poggia la scelta stessa legi-slativa a favore del sistema assembleare maggioritario è quello secondo cui la libera discussione e la libera manifestazione del voto può concorrere a determinare le scelte della società;riservato a successiva fase ogni ulteriore provvedimento ai fini dell’integrazione del contraddittorio nel giudizio di merito. (...) ordina alla Società italiana di revisione e fiduciaria Siref s.p.a. (...) nella qualità di girataria per procura dei pacchetti azionari di proprietà della Gibinvest s.r.l., di L.C. in C., di M.A.C. in M. e di N.C. ved. C. di partecipare all’assemblea della G.C. s.p.a. convocata per il 14 aprile 1989 (...) e di espri-mere il voto spettante alle 97.500 azioni della prima, alle 10.834 azioni della seconda, alle 10.834 azioni della terza ed alle 10.835 azioni della quarta, secondo le istruzioni che ciascuna di esse le avrà impartito. (omissis).

ConsiderazioniAnche in tal caso, come nei precedenti, si discorreva di nullità dei

patti parasociali. Questa volta la sanzione della nullità non era stata comminata dal giudicante per colpire l’aggiramento delle norme poste a tutela del procedimento di scioglimento e liquidazione della società, ma per colpire un patto che «rimetteva la formazione della volontà sociale nelle mani di una maggioranza sindacata, talora consistente in una ri-stretta base azionaria».

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2.5 Tribunale Milano, Ordinanza 28 marzo 1990

È nulla la convenzione di voto la quale preveda la girata per procura delle azioni, spettanti ai soci ad essa aderenti, in favore di una società fiduciaria perchè voti nell’assemblea della società, che ha emesso le azioni, conformemente al voto, espresso anche a maggioranza, nella riunione dei soci aderenti alla convenzione.

Estensore Castellini

Il G.I. in ordine alle diverse questioni che le istanze della ricorrente involvono, osserva quanto segue.1. Riguardo, anzitutto, alle questioni d’indole processuale, sollevate in limine dalle parti, relativamente, in primo luogo, all’esistenza di precedenti provvedimenti ex art. 700, codice procedura civile, che non consentirebbero l’emissione di nuovi provvedimenti della stessa natura, va rilevato che una simile preclusione non può certo operare con riguardo ai provvedimenti anticipatori in vista della decisione sulla nullità del patto di sindacato, questione che è sempre stata fatta salva nelle pronuncie già emesse, le quali la rimettono espressamente al giudice del merito e quindi anche al suo inter-vento cautelare.Per quanto riguarda la domanda di accertamento della invalidità del patto non perchè vietato, ma perchè ne sono venute meno le condizioni di operatività, proposta in via su-bordinata dalla ricorrente, ma che aveva già formato oggetto di richiesta da parte sua di provvedimenti ex art. 700, codice procedura civile al pretore adito ante iudicium, doven-dosi pacificamente escludere che la reiezione di una simile istanza possa ostare alla sua riproposizione, la preclusione è stata prospettata per la ragione che la concessione di una misura che rendesse inoperante il patto di sindacato si porrebbe in contrasto con il prov-vedimento del pretore che ha impartito disposizioni al fine di renderlo funzionante.Nessuna interferenza può tuttavia sussistere, nè direttamente nè indirettamente, con la pronuncia della precedente fase cautelare, della quale non è stata richiesta la revoca, essendo quello richiesto nella presente sede un provvedimento destinato a regolare in modo globale una situazione nella quale il primo Giudice è intervenuto solo per un aspetto, senza che la sua opinione di risolvere ogni problema al riguardo possa vincolare l’esigenza cautelare, che rappresenta il solo criterio della reiterazione di pronunce. Allo stesso modo, per fare un esempio elementare, l’ordine di demolizione di un muro pericolante, emesso dal pretore in via d’urgenza, può ben essere seguito dal successivo ordine, emesso anche dal giudice del merito, investito, in via cautelare, della demolizione dell’intera casa, quando, malgrado l’intervento del giudice, essa riveli ancora lo stesso pericolo.Indipendentemente dalle ragioni che in dottrina e giurisprudenza militano a favore della revoca dei provvedimenti d’urgenza anche da parte del giudice del merito, questo Giudice ritiene, quindi, di poter nuovamente pronunciare sulle istanze della ricorrente anche in questa materia.

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In secondo luogo, per quanto riguarda le richieste dei resistenti di attendere a provve-dere che avvenga la riunione del presente giudizio con quelli riguardanti il sequestro di quote di azioni appartenenti rispettivamente a due delle parti contendenti, si osserva trattarsi di vicende processuali che attengono ad un patto particolare che si aggiunge al patto di sindacato, di cui si discute nella presente sede, nella quale i sequestri già concessi rilevano come semplici eventi di fatto.La riunione delle diverse cause non appare, quindi, condizionare l’emissione dei prov-vedimenti richiesti.2. A proposito della questione circa la validità del sindacato di voto intercorso tra le parti, che forma oggetto della prima domanda della ricorrente, sembra necessaria una premessa di ordine generale.La dottrina più recente in materia, favorevole alla validità delle convenzioni di voto, invoca un nuovo argomento, offerto dal richiamo, contenuto nell’art. 2, quinto comma della legge sull’editoria (legge 5 agosto 1981, n. 416, non modificata su questo punto dalla riforma del 1987), la quale stabilisce che i sindacati di voto devono essere comu-nicati al Servizio dell’editoria. Secondo un autore, in particolare, un simile richiamo equivarrebbe ad un vero e proprio riconoscimento della inesistenza di ogni contrasto o incompatibilità tra la disciplina legale delle società per azioni e i sindacati di voto, facendo venir meno in particolare la tesi che la volontà degli azionisti si deve formare nell’assemblea, che il socio deve formare la propria convinzione liberamente, senza vincoli, così come verrebbe meno la tesi del contrasto di questi patti con il principio maggioritario (perchè darebbero luogo a “maggioranze fittizie”).A questa impostazione si deve obiettare che l’obbligo di segnalazione previsto dalla legge sull’editoria, che riguarda non solo i sindacati di voto, ma tutti i patti parasociali, assume in realtà un diverso significato che deve essere piuttosto ricollegato con il carattere di segretezza che contraddistingue questi patti (si vedano le norme sul rilascio delle copie: art. 20 del patto in esame, oltre allo stesso richiamo all’“impegno morale e di onore”, menzionato nell’art. 19, a rafforzamento degli obblighi di carattere giuridico).In effetti, i patti parasociali che hanno carattere così esteso da dare vita quasi ad una società nella società dovrebbero essere posti a confronto con il divieto dell’art. 18 della Costituzione, riguardante le associazioni segrete. La legge 25 gennaio 1982, n. 17, che ha dato parziale attuazione al principio costituzionale, ha chiarito che si con-siderano associazioni segrete anche quelle operanti all’interno di associazioni palesi. Come hanno rilevato i costituzionalisti, anche obblighi di comunicazione di carattere amministrativo riguardanti fenomeni societari che interessa far conoscere si fondano sul principio di cui all’art. 18 della Costituzione.L’esigenza di trasparenza dei sindacati di voto, avvertita dalla dottrina più sensibile, dipende dal fatto che essi assolvono pur sempre un ruolo di “modificazione ad efficacia obbligatoria della struttura organizzativa societaria”.L’obbligo di segnalare l’esistenza dei sindacati di voto si riconnette quindi a ragioni di questa specie. Si tratta, pur sempre, di un intervento limitato dallo scopo di rendere possibile il controllo contro le concentrazioni nell’editoria (come si ricava dalla corre-lazione con l’azione di nullità, esercitabile dal garante, di cui all’art. 5, quinto comma della legge). Analoghi i limiti della comunicazione alla Consob.

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Per soddisfare appieno il precetto costituzionale, occorrerebbe rendere conoscibili i patti anche da parte di futuri azionisti e degli attuali soci, estendendo l’obbligo della comunicazione dei patti mediante il deposito presso la società stessa.Concludendo, si rivela condizione imprescindibile per il riconoscimento della validità dei patti di sindacato, che essi escano dalla clandestinità (la legge spagnola sulle società anonime dice esplicitamente che son nulos los pactos que se mantengon reservados: art. 6 della legge 7 luglio 1951).Nel dialogo aperto dal legislatore con il giudice nella Relazione al codice civile (vedi n. 972) a proposito della valutazione dei sindacati di voto, che è stata demandata al giudice, quest’ultimo non può quindi fare a meno di rimandare al legislatore l’esecu-zione degli interventi che gli competono.Sembra, quindi, opinione preferibile quella secondo cui la menzione del fenomeno dei sindacati di voto contenuta nella legislazione speciale, così come nella Relazione al codice, abbia il significato di un semplice rinvio “in bianco”, che è compito dell’in-terprete di riempire, stabilendo quale sia l’attuale compatibilità di questa figura con l’ordinamento, senza tuttavia pervenire ad una pratica negazione della loro esistenza e senza sottrarsi, giusta il richiamo dei resistenti, al confronto con altri ordinamenti, in particolare con quelli della CEE, con i quali è già avanzato un processo di integrazione normativa specialmente in materia societaria.Procedendo ad una simile indagine, nei limiti delle esigenze della presente fase giudiziale, si osserva come il tema delle convenzioni di voto registri una profonda divaricazione di opinioni fra la giurisprudenza ed una parte notevole della dottrina, da un canto, e altra parte della dottrina, specie la più recente, dall’altro. Occorre, tuttavia, andare alle radici di un simile contrasto per tentarne, se possibile, una composizione che realizzi una certa concordanza almeno su taluni punti fondamentali della materia.A tal fine, appare indispensabile muovere da un’analisi tipologica delle convenzioni, che la dottrina ha da tempo delineato ed ha costantemente avuto presente. Una rilettura della dottrina e della stessa giurisprudenza alla luce di tale distinzione di base può forse consentire un primo avvicinamento delle opposte posizioni ed in certi casi una loro convergenza. In effetti, i motivi di avversione di parte della dottrina nei confronti dei sindacati di voto si rivelano, a ben vedere, diretti verso determinati tipi, così come la tesi opposta della validità eccettua talune fattispecie. Analogo è il discorso per la giurisprudenza che si è trovata a decidere ipotesi tra loro diverse. Infine, contraria-mente a quanto affermano i resistenti, non sembra vero che gli ordinamenti stranieri non facciano distinzione fra le diverse figure di sindacato azionario.La dottrina ha individuato una prima categoria di convenzioni, avente come contenu-to il semplice obbligo dei soci sindacati di votare nelle assemblee sociali nello stesso modo deciso dalla maggioranza in sede sindacale. Una variante di tale tipo consiste nella particolarità che, anzichè recarsi personalmente all’assemblea della società, i soci deleghino, dopo ciascuna votazione in sede sindacale, un rappresentante comune che esprima all’assemblea della società lo stesso voto già espresso dalla maggioranza in sede sindacale (per la descrizione dettagliata del contenuto di una convenzione di questa specie, si veda il caso deciso da Cass. 31 luglio 1949, n. 2079, in Foro it., 1949, c. 290). La giurisprudenza si era dimostrata, inizialmente, sfavorevole anche verso

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una pattuizione di questa specie, obiettando circa la natura antitetica del mandato, in tal modo, conferito al rappresentante e circa la conseguenza della formazione di una fittizia maggioranza.In realtà, queste obiezioni potrebbero superarsi rilevando che, come si desume dallo stesso testo della convenzione citata, la prima votazione effettuata in sede sindacale si risolve in una sorta di consultazione preventiva, che i soci si impegnano a fare propria nella successiva votazione assembleare, rappresentante la vera votazione alla quale i soci parteciperanno personalmente o a mezzo del loro mandatario comune. Si assiste, quindi, ad una vera e propria reiterazione del voto che viene espresso una seconda volta in modo unanime (altre forme di sindacato prevedono, invece, l’unanimità anche nella prima fase).Anche il mandato al rappresentante è conferito sulla base di una volontà ormai con-corde e unitaria. Non diversamente avviene nelle delibere degli organi collegiali che decidono in segreto facendo apparire, all’esterno, una decisione unica che risulta dalla interna composizione delle opinioni di maggioranza con quelle rimaste minoritarie.In effetti, una parte della dottrina si oppone anch’essa al riconoscimento della validità dei patti di questo tipo facendo rilevare che il metodo collegiale è tipico delle assemblee sociali e non può essere adottato al di fuori di esse.La critica di un illustre autore (riportata anche nel provvedimento pretorile) di collo-carsi alla preistoria del diritto, era rivolta alla giurisprudenza che a quell’epoca non riconosceva la validità neppure di questo tipo di patti di sindacato.Più recentemente, tuttavia, la stessa giurisprudenza ha compiuto un importante pro-gresso nella materia, ritenendo superabile l’esigenza che la volontà del socio venga, oltre che ad esprimersi, anche a maturarsi in assemblea (sociale), costituendo la discussione che normalmente precede la deliberazione materia rimessa alla disponibilità dei soci (così testualmente Cass. 25 aprile 1969, n. 1290, in Giust. civ., 1969, I, 1695, la quale, enunciando questi principi, ha cassato la decisione del giudice di merito).Applicando, coerentemente, questi criteri, è quindi prevedibile che la giurisprudenza possa mutare il proprio orientamento precedente, con riguardo a questa specie di convenzioni a carattere meramente obbligatorio. Simili patti, ove contenuti in conve-nienti limiti di tempo e di oggetto e ove rispondano ad un criterio di meritevolezza generale e speciale, rappresentato dall’interesse sociale, indicato dallo stesso relatore al codice, possono essere riconosciuti anche nel nostro ordinamento, al pari di altri ordinamenti, come dimostrano le ricerche comparatistiche (in particolare quella pro-dotta dai resistenti).Invero, queste convenzioni ad efficacia meramente obbligatoria consentono il rispetto dei limiti legali preposti a ciascuna delibera. Ad esempio, il socio che si trovi in conflitto di interessi potrebbe legittimamente rifiutare di adempiere all’obbligo di votare, previsto dalla convenzione, opponendo il proprio diritto a non esercitare il voto, sancito dallo stesso art. 2373, primo comma, codice civile, come ha già rilevato la dottrina, che è precipuamente lo scopo che il relatore voleva salvaguardare.Certo, le convenzioni della specie ora considerata hanno sempre incontrato problemi di efficacia, nel senso di ottenere l’adempimento da parte dei soci sindacati. Sono noti ad esempio i rimedi cui si è fatto ricorso in Germania ed in Francia, ricorrendo

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a penali o a vere e proprie astreintes e, in Italia, ipotizzando un ricorso all’art. 700, codice procedura civile.Deve trattarsi, tuttavia, di mezzi adeguati, dovendosi ritenere da un lato, che non sia legittima l’imposizione di penali eccessive e dall’altro, che non possano nemmeno istituirsi forme di commercio del voto.L’esame analitico dei patti sui quali ci si è soffermati consente di rilevare, con maggiore evidenza, la diversità con quello di cui si discute nel presente giudizio.Anch’esso prevede anzitutto che “i partecipanti si impegnano all’adempimento di quanto stabilito dal presente accordo” (vedi art. 19) e conferisce ad una società fiduciaria il compito di intervenire alle assemblee sociali legittimandola, mediante una girata per procura delle azioni (cfr. art. 15); queste ultime vengono depositate presso la fiducia-ria medesima nell’interesse di tutti i partecipanti (art. 1), aspetti tutti riconducibili al contenuto dei sindacati obbligatori ed alle loro possibili modalità di attuazione.A ciò si aggiunge, però, un mandato irrevocabile (ex art. 1726, codice civile) a favore della società fiduciaria (art. 1), la quale è delegata all’esercizio del diritto di voto in assemblea (sociale) e “dovrà attenersi a quanto deliberato in sede di assemblea di sindacato” (art. 15) (si veda invece la differenza con la delega ad hoc conferita per l’assemblea del 5/6 dicembre 1986: allegato b al doc. 2 dei ricorrenti).Predisponendo un simile meccanismo di attuazione delle delibere del sindacato si compie in realtà un salto qualitativo, che fa collocare il tipo ora in esame fra quelli che la dottri-na ricomprende in una categoria ex se. Ogni problema di adempimento dell’obbligo di votare in conformità a quanto deciso dal sindacato è risolto, in partenza, dal fatto che i soci hanno conferito una volta per tutte un mandato ad un terzo a votare nel senso deciso dal sindacato, mentre il blocco delle azioni presso il depositario impedisce che il socio dissenziente si rechi a votare autonomamente nell’assemblea della società.Con questo sistema, a differenza di quanto si è cercato di vedere in quello dei sindacati della specie considerata in precedenza, non si assiste ad alcuna reiterazione del voto da parte dei soci che hanno già votato nel sindacato, nè vi è alcuna delega successiva a votare in modo unanime, conferita alla società fiduciaria.Più che un sindacato ad efficacia obbligatoria, ci si trova quindi in presenza di un sin-dacato che opera con una efficacia affidata non al semplice strumento dell’obbligo, bensì a carattere per così dire (poichè si tratta pur sempre di efficacia limitata agli aderenti al patto) reale, così come afferma la ricorrente. Nè potrebbe sostenersi che la volontà del socio sindacato di fare propria la volontà espressa dalla maggioranza sindacale, così da rendere il voto espresso in assemblea sociale dal rappresentante come un voto unanime, come si è visto avvenire nei sindacati della prima categoria, sia contenuta nel conferimento del mandato. Non può, infatti, ravvisarsi una valida volontà in questo senso che si manifesta facendo proprio per relationem il contenuto di una delibera ancora futura, senza comportare una aperta rinuncia preventiva ad esercitare il proprio voto. La disponibilità del diritto di voto, ammessa dalla giurisprudenza sopra citata, non può estendersi sino ad accettare una disposizione preventiva.Nei tipi di sindacato cui appartiene quello concluso tra le parti vi è quindi un’unica espressione del voto, quella compiuta nell’assemblea del sindacato, che viene riversata nell’assemblea della società.

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Si prospetta, quindi, un duplice ordine di problemi che fanno capo in primo luogo alla legittimità del mandato conferito in modo irrevocabile a votare nell’assemblea ed in secondo luogo il problema che scaturisce dalla divergenza tra il voto espresso nell’assemblea sociale in nome di tutti i soci sindacati e quindi con un quoziente pari a quello di tutte le azioni sindacate, da un lato, e la quota che rappresenta la maggio-ranza effettivamente espressasi in modo favorevole, dall’altro (problema già definito delle “maggioranze fittizie”).Sotto il primo profilo, occorre ricordare la connessione esistente tra il problema delle convenzioni di voto e quello, che nella storia degli istituti ha avuto uno svolgimento parallelo, della rappresentanza dei soci nell’assemblea.Già prima delle modifiche apportate recentemente alla disciplina dell’istituto della rappresentanza, la dottrina aveva sollevato dubbi circa la validità del mandato irre-vocabile, adottato come strumento di attuazione di un patto di voto (salvo il caso, espressamente previsto dall’art. 2347, codice civile) ed aveva in ogni caso posto in evidenza le ripercussioni sulla validità dei patti di voto delle possibili modifiche (anche volontarie) al regime della rappresentanza in assemblea.Successivamente alla emanazione della legge 7 giugno 1974, n. 216, che ha modificato la disciplina della rappresentanza nelle assemblee della società per azioni, stabilendo tra l’altro che essa possa essere conferita soltanto per singole assemblee (vedi art. 2372, secondo comma, nella nuova formulazione), i primi commentatori della legge hanno subito avvertito le ripercussioni negative di questa disciplina restrittiva sul tema connesso dei sindacati azionari che operino con questi meccanismi, i quali avrebbero ricevuto un trattamento indiretto di sfavore.Basti ricordare che, prima della legge citata, il progetto Ascarelli (che è interessante riportare perchè contiene una sintetica analisi della struttura dei due tipi di sindacati in discussione, ai quali si voleva riservare un trattamento differenziato) prevedeva all’art. 7 che “i patti e le convenzioni con le quali i soci si impegnano a seguire in assemblea lo stesso atteggiamento o a votare secondo la stessa direttiva o con i quali si impegnano a procedere alla nomina di un comune rappresentante sono validi quan-do specifichino il contenuto del voto che i paciscenti si impegnano a prestare o che dovrà prestare il comune rappresentante”. Il progetto considerava invece invalido “il patto con il quale i paciscenti si obblighino a votare secondo le direttive che possono essere fissate dalla maggioranza dei paciscenti stessi o si impegnino a nominare un rappresentante comune o a non revocare il rappresentante eventualmente nominato, quando questi possa votare secondo la propria discrezionalità o secondo le direttive della maggioranza dei paciscenti”. Appare evidente che un analogo risultato normativo poteva ottenersi intervenendo nella fase della disciplina della nomina e dei poteri del rappresentante nelle assemblee sociali.Anche recentemente, in una riflessione comparatistica sul regime dei sindacati azionari, sono state sollevate forti perplessità sull’ammissibilità di attribuire una sorta di delega in bianco, e magari senza limiti di tempo, al comitato direttivo o al presidente del sindacato, senza riferimenti a determinate riunioni assembleari e a puntuali ordini del giorno, ammissibilità che appariva difficile riconoscersi in quegli ordinamenti, come il nostro, che pongono vincoli all’esercizio dei poteri rappresentativi nelle assemblee.

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Come si apprende dalla stessa ricerca prodotta dai resistenti, anche nell’ordinamento degli Stati Uniti i voting trust incontrerebbero difficoltà al loro riconoscimento proprio a causa del regime della delega (proxy).Per quanto riguarda il nostro ordinamento, la giurisprudenza ha fornito anche recente-mente un’interpretazione rigorosa della nuova normativa, che richiede che la procura sia conferita per singole assemblee, precisando che vi deve essere piena contezza della convo-cazione di questa e del relativo ordine del giorno (cfr. Cass. 20 luglio 1988, n. 4709).Resterebbero da considerare le conseguenze di una possibile dichiarazione di nullità del mandato irrevocabile, contenuto nella convenzione di cui è causa, sulla validità del contenuto obbligatorio del patto, in applicazione del principio di cui all’art. 1419, codice civile, ove potesse dimostrarsi che i contraenti avrebbero concluso il patto anche senza potergli attribuire efficacia c.d. reale. In caso positivo, il patto potrebbe sopravvivere come mera obbligazione, restando le parti libere di attenervisi o di non attenervisi. Tale conclusione presuppone, tuttavia, che tra il patto ed il suo strumento di attuazione non sussista quel collegamento negoziale che rende applicabile la regola simul stabunt simul cadent.Il problema della validità del mandato irrevocabile, che è stato aggiunto al patto di sindacato in discussione, riveste, certamente, carattere assorbente di ogni ulteriore consi-derazione in quanto o farebbe cadere l’intero patto oppure lo renderebbe semplicemente obbligatorio, come avviene per i patti che invece possono considerarsi validi.Nondimeno, anche sotto il diverso profilo del problema delle maggioranze, devono ricordarsi gli ulteriori ostacoli, da tempo individuati, che si frappongono al riconosci-mento della validità del sindacato che si attui con le modalità sopradescritte.Come è già stato prima precisato, non può accogliersi l’obiezione, riproposta dai re-sidenti, secondo la quale la volontà espressa dal delegato avrebbe in realtà carattere omogeneo per effetto del consenso a farla propria, manifestato dai soci con il conferi-mento del mandato al rappresentante. Il direttore del sindacato si limita a trasmettere alla società fiduciaria le istruzioni desumendole dal risultato della votazione all’interno del sindacato. Privato del supporto rappresentato dal consenso della generalità dei soci sindacati, il mandato, anche se fosse valido, non potrebbe avere altro valore all’infuori di quello di conferire appunto un simile potere di esprimere nell’assemblea della società la volontà della maggioranza del sindacato.Non si può quindi sfuggire al problema del conflitto con il principio maggioritario, che si prospetta da un duplice punto di vista. In primo luogo, vi è la questione dello scarto tra le maggioranze effettivamente espresse dal sindacato e quelle richieste, sotto forma dei quorum, volta a volta costitutivi e deliberativi, previsti per le diverse assemblee ordinarie e straordinarie, di prima, di seconda ed eventualmente di terza convocazione, dagli artt. da 2368 a 2369-bis codice civile le quali possono modificarsi solo stabilendo maggioranze più elevate e quindi assumono carattere inderogabile.Un secondo profilo è invece rappresentato dall’esigenza che la maggioranza che si forma nell’assemblea abbia un contenuto effettivo, ossia non si riveli soltanto apparente o “fittizia”.Questo secondo aspetto, si delinea dalla considerazione che se venissero sommati i voti di minoranza manifestati all’interno del sindacato con quelli che si sono formati

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all’esterno, potrebbero consolidarsi maggioranze diverse da quelle risultanti dall’ope-rare del meccanismo sindacale. In effetti, il metodo del voto sindacato, operando la sterilizzazione della minoranza creatasi all’interno di esso, le impedisce di contare con la minoranza esistente fuori del sindacato e di dar luogo eventualmente ad una maggioranza effettiva di segno opposto.Basti considerare il caso della convenzione in esame, che inizialmente raccoglieva il 100% delle azioni della società finanziaria. In un simile momento, vi era coincidenza tra la maggioranza che il sindacato esprimeva e quella dell’assemblea sociale. Ma già nel momento in cui la quota sindacata venne a ridursi all’82% dell’intero capitale, a causa del gioco delle maggioranze interne al sindacato, era possibile che la maggio-ranza così formatasi risultasse inferiore alla somma dei voti rimasti in minoranza nel sindacato e di quelli al di fuori di esso.Un sistema che determini un simile occultamento dei voti di minoranza, sottraendoli al computo complessivo, si rivela un evidente aggiramento delle regole maggioritarie, come aveva da tempo osservato la dottrina.Certo, sin che il patto rimane celato, i voti espressi dal rappresentante del sindacato possono apparire omogenei e di ammontare pari all’intero quoziente delle azioni riunite nel sindacato, ma questo modo di operare nascostamente è una delle caratteristiche del negozio in fraudem legis, che cade sotto la sanzione dell’art. 1344, codice civile.È stato obiettato, i resistenti ripropongono queste argomentazioni, che un risultato simile a quello prodotto dal meccanismo del sindacato di voto nelle assemblee sociali si verifica anche nell’ipotesi di comunione di azioni oppure in presenza di altra società che voti in assemblea (come nel caso della holding).Si rivela, tuttavia, insuperabile la replica fatta da tempo dalla dottrina a questi argo-menti sul rilievo, in estrema sintesi, che sia la comunione come il fenomeno societa-rio rappresentano istituti tipici creati dalla legge per dare rilevanza unitaria a figure soggettivamente complesse: un fenomeno di tale specie si realizza in forma piena nelle persone giuridiche, ma anche in altre figure associative e nella stessa comunione, per quanto organizzata in forma rudimentale, il vincolo dei partecipanti alla volontà della maggioranza (art. 1105, secondo comma, codice civile) sembra giustificare la rilevanza attribuita al gruppo in quanto tale, il quale detiene la titolarità del diritto.Questi caratteri di unitarietà difettano ai sindacati azionari, in assenza di uno specifico riconoscimento normativo, a meno che questi adottino, come avviene in altri Paesi, una veste giuridica specifica e purchè, come deve sempre avvertirsi, ciò non avvenga al solo fine di eludere le norme di legge.È stato del pari rilevato da tempo come le altre figure invocate per sostenere la le-gittimità del superamento delle regole maggioritarie, quali le assemblee speciali, di cui all’art. 2376, codice civile, tra diverse categorie di azioni e le assemblee separate delle società cooperative, di cui all’art. 2533, codice civile, costituiscono casi del tutto particolari, che concernono pur sempre organi sociali, caratteri che difettano anch’essi al sindacato azionario.Sostengono, tuttavia, i resistenti, anche se sotto una diversa prospettazione, che le cause eventuali di invalidità dei sindacati di voto non comporterebbero la nullità dell’intera convenzione, ma si rifletterebbero, esclusivamente, sulla validità della singola assemblea,

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onde, in presenza di rimedi specifici al riguardo (quali l’art. 2378, quarto comma, codice civile), verrebero meno le ragioni di urgenza fatte valere dai ricorrenti.Anche con riguardo alla invalidità derivante dall’aggiramento delle norme sulle mag-gioranze si potrebbe sostenere che la sanzione che colpisse l’intera espressione del voto sindacato potrebbe risultare eccessiva in quanto distruggerebbe anche una notevole parte del voto che vi è stato espresso.Se fosse, quindi, consentito sottoporre ad una sorta di prova di resistenza la votazione complessiva, ricalcolando la maggioranza effettiva sulla base di quella espressa nel sindacato, detratti quindi i voti di minoranza in esso manifestati, che andrebbero ad aggiungersi a quelli dello stesso segno espressi al di fuori del sindacato, sì da ricostruire la volontà realmente manifestata dall’assemblea, potrebbe emergere che la votazione compiutasi nel sindacato corrisponde ad una effettiva maggioranza e che quindi la delibera può ritenersi valida con quel risultato. Del pari, anche i requisiti dei quorum stabiliti dagli artt. 2368-2369-bis, codice civile, potrebbero rivelarsi sostanzialmente rispettati pur calcolando le maggioranze nella loro effettiva consistenza.Una simile ricomposizione del voto assembleare, alla stregua delle maggioranze effettive espresse nel sindacato, incontrerebbe nondimeno l’ostacolo di tipo formale-procedi-mentale, rappresentato dall’impossibilità di riconoscere valore ad un voto raccolto al di fuori dell’assemblea ed all’interno di un rapporto per il quale nessuna garanzia è stata predisposta dall’ordinamento. Come è stato incisivamente rilevato in dottrina, il sindacato funzionerebbe in questi casi come una sorta di “sezione elettorale”, mentre anche i fautori della tesi della validità dei sindacati riconoscono come principio inde-rogabile che il voto possa essere espresso solo nell’assemblea ancorchè maturato prima e fuori di essa (si veda quanto sopra asserito circa i sindacati della prima specie).Per tutti i suddetti motivi, deve ritenersi che la sanzione di invalidità debba essere conservata per le convenzioni di voto della specie cui appartiene il sindacato Amef, così come avviene del resto negli altri ordinamenti per i patti analoghi.3. Anche la domanda perchè venga accertata la invalidità sopravvenuta del patto di sindacato, per essere venuta meno la sua composizione soggettiva originaria, si rivela provvista di fumus. In effetti, l’esclusione di un gruppo di azioni, divenute oggetto di un precedente provvedimento di sequestro, dal quorum necessario di volta in volta per formare le maggioranze richieste dal patto di sindacato, disposta dal provvedi-mento d’urgenza citato all’inizio dell’esposizione, sia pure per una durata limitata a quella del sequestro medesimo, ha comportato l’inserimento nel contratto, così come originariamente concluso dalle parti, di un diverso contenuto, con un duplice ordine di conseguenze.a) In primo luogo, così modificato, il patto prevede ora la possibilità della formazione, all’interno del sindacato, di maggioranze ancora più esigue di quelle originarie, che si ripercuotono in modo ancor più grave sulle maggioranze dell’assemblea sociale grazie all’operare del patto di sindacato. Sembra infatti rimasta inalterata la quota del capitale sociale che figura nel sindacato, malgrado il rapporto sia stato di fatto ridotto (dall’originario 82% al 57%).Ci si trova, quindi, di fronte, per coloro che, con autorevole dottrina, ritengono con-figurabile questa categoria, ad una specie di invalidità sopravvenuta, che è propria dei

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negozi di durata ed è dovuta alle stesse cause dell’invalidità originaria, quando esse si verifichino in un momento successivo a quello del perfezionamento del negozio e dell’inizio della sua efficacia, con la conseguenza che esse operano ex nunc.b) Secondariamente, il venir meno della quota di uno dei partecipanti al sindacato azionario, conseguente alla sua eliminazione dal quorum, può per sè sola comportare un’ulteriore ragione di invalidità successiva del patto per il difetto sopravvenuto del-l’elemento soggettivo.I patti di sindacato possono infatti essere conclusi da due soli soggetti oppure da una pluralità (come dimostra la presente vicenda in cui un accordo particolarmente venne stretto tra due sole parti), onde si versa nell’ipotesi, prevista dall’art. 1321, codice civile di contratto eventualmente plurilaterale, con la conseguenza che le vicende riguardanti uno dei soggetti la cui partecipazione sia essenziale sono destinate a riflettersi sulla validità dell’intera convenzione.Nel patto in esame, una simile essenzialità risulta sia oggettivamente sia soggettivamente.La ricorrente ha dimostrato come la presenza di tutte le quote sindacate sia indispen-sabile per la formazione delle maggioranze nel patto.Dal punto di vista soggettivo, la volontà di conservare “immutata la situazione sog-gettiva esistente al momento della conclusione del patto la cui stabilità è fondamentale interesse dei partecipanti e scopo basilare del presente patto di sindacato” si trova ripetuta in diverse clausole, volta a volta come ragione del divieto di alienazione (art. 8/2), per l’eventualità di pignoramenti o sequestri (art. 8/3) e per il caso di aumenti di capitale (art. 11/1), così da assurgere ad effettivo presupposto esplicito del patto al di là dei fini contingenti per i quali è stata affermata.Non occorre quindi ricorrere alla presupposizione, intesa come condizione inespressa, per giustificare la caducazione del patto in seguito al venir meno di una delle partecipazioni.Una volta dimostrato il carattere essenziale di ognuna di esse nell’economia del patto, queste conclusioni non possono essere smentite dal principio di cui all’art. 1420, codice civile, dettato per i contratti con pluralità di parti, diretti al conseguimento di uno scopo comune, il quale da un lato formula un’eccezione per il caso in cui la nullità riguardi la partecipazione non essenziale di una delle parti e dall’altro conferma l’estensione della nullità all’intero contratto quando invece tale partecipazione si riveli essenziale (ed è quindi stato invocato, per le rispettive proposizioni, da entrambi i contendenti). Lo stesso deve dirsi del richiamo alle analoghe norme di cui agli artt. 1459 e 1466, codice civile, per il caso di risoluzione e di scioglimento del contratto plurilaterale, le quali però presuppongono la validità del patto.Del pari assorbite risultano le altre eccezioni, sollevate dalla ricorrente in merito alla possibilità di recedere per giusta causa del mandato e alla risoluzione per inadempi-mento del patto, le quali presuppongono rispettivamente la validità del mandato e quella del patto, che invece sono apparse seriamente contestabili.4. Riguardo infine all’urgenza di provvedere ed alla natura dei provvedimenti da adot-tare, si osserva come la prima non possa suscitare dubbi, attesa l’imminenza di riunioni assembleari della società, nelle quali il sindacato di voto potrebbe perpetuare i propri effetti, malgrado le plurime ragioni di invalidità che sono state sopra indicate.In merito al secondo punto, pur essendo stata presentata in via subordinata un’istanza di sequestro, che costituisce una misura cautelare tipica, nondimeno, si rileva da un lato

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che il provvedimento d’urgenza chiesto in via principale e di cui ricorrono i presupposti, attribuendo il pieno controllo sulle azioni ai rispettivi titolari, assicura indubbiamente una tutela più ampia di quella che potrebbe conseguire al semplice sequestro e dall’al-tro lato che di quest’ultima misura non sembra ricorrere invece i presupposti. Anche a causa dell’atteggiamento assunto nel presente giudizio dal depositario delle azioni sindacate, il quale si è rimesso a giustizia, più che una controversia sulla proprietà o sul possesso delle azioni, che non sembrano messi in discussione, qui si agita del vincolo gravante su questi beni per via dell’operare del patto di sindacato.Atteso quindi che è emersa la invalidità, sia per ragioni estrinseche sia per ragioni intrinseche, di tale patto, nonchè il suo stesso stato di attuale dissolvimento, dimostrato dalle dimissioni del suo presidente, sembra opportuno adottare i provvedimenti di cui all’art. 700, codice procedura civile, impartendo disposizioni affinchè la ricorrente società CIR e la spa SOPAF, che ne ha fatto istanza subordinatamente alla concessione di analogo provvedimento a favore della prima, riprendano la libera disponibilità delle proprie azioni, depositate presso la società fiduciaria SIREF. (omissis).

ConsiderazioniIl caso sottoposto alla attenzione del Tribunale di Milano era molto

particolare. Questo concerneva la validità o meno di un patto parasociale in cui veniva conferito dalle parti mandato ad una società fiduciaria di intervenire in assemblea, legittimandola mediante girata per procura delle azioni. Dette partecipazioni venivano depositate dai soci presso la fiduciaria. Accompagnava il patto, come riferito, un mandato irrevocabile a favore della società, la quale era delegata all’esercizio del diritto di voto in assemblea sociale in conformità a quanto emerso in sede di assemblea di sindacato.

Tale patto è stato ritenuto nullo dal Tribunale proprio per l’esistenza del meccanismo illustrato che impedisce al socio - che si determina come dissenziente in un secondo momento, successivo a quello della stipula del patto parasociale - di recarsi a votare in modo autonomo e difforme nella assemblea dei soci da quanto pattuito in sede di parasociale.

Proprio questa efficacia esterna del patto viene ad essere contestata dal Tribunale giudicante e posta a fondamento della dichiarazione di nullità del patto stesso. Si rinvia ancora una volta al paragrafo 1.9 del primo capitolo per un approfondimento su questa delicata questione.

Il Professore, comunque, mi rimandava ad uno dei successivi incontri (quelli relativi all’esame delle clausole pratiche) per l’approfondimento degli strumenti elaborati nella pratica per rafforzare l’adempimento dei patti parasociali.

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2.6 corte di Appello di Roma, sentenza 24 gennaio 1991

In materia di diritto societario sono assolutamente inderogabili le norme che salvaguardano gli interessi essenziali della società e, attraverso di essi, quelli generali della collettività. Appartengono quindi all’ordine pubblico - in quanto espressive di principi assiomatici e perciò dotate di cogenza superiore - le norme che definiscono la struttura delle società dotate di personalità giuridica, la posizione dei loro organi e ne disciplinano le re-lative attribuzioni, il funzionamento ed i reciproci rapporti.

Presidente Valente - Relatore Metta

La Corte (omissis).15 - Col secondo motivo d’impugnazione, i sigg. Formenton chiedono, appunto, che sia dichiarata la nullità del lodo arbitrale per avere esso rigettato l’eccezione di nullità della convenzione 21 dicembre 1988: essi, infatti, avevano chiesto che il Collegio accertasse la nullità, per contrarietà a norme inderogabili di ordine pubblico, del sindacato di voto previsto nella convenzione stessa e, quindi, l’invalidità dell’intero contratto, attesa l’inscindibilità, per espressa volontà delle parti, di tutte le sue clausole e pattuizioni, sancita dall’art. 9.Richiamata la giurisprudenza, secondo la quale anche nell’ipotesi, ricorrente nella specie, di arbitrato rituale di equità, gli arbitri sono tenuti ad osservare le norme fondamentali e cogenti di ordine pubblico, la cui violazione comporta nullità della decisione, i sigg. Formenton hanno dedotto che, nel caso in esame, le norme di ordine pubblico che gli arbitri hanno violato concernono le disposizioni ed i principi giuridici che rendono indisponibile l’assetto organizzativo ed il funzionamento degli organi delle società di capitali e che assumono il criterio maggioritario quale principio fondante: tali norme e principi rendono indisponibile il diritto di voto nel senso che una convenzione non può avere legittimamente per effetto l’attribuzione ad una minoranza del potere de-liberativo in assemblea.Dopo aver ricordato l’evoluzione della giurisprudenza del Supremo Collegio, in origine rigorosamente ispirata al criterio di ritenere nulla qualsiasi pattuizione con la quale i soci vincolassero, sotto qualunque profilo, le proprie determinazioni in assemblea, poi pervenuta ad affermare i criteri alla luce dei quali deve essere accertata la vali-dità dei sindacati di voto, nel senso che sono da ritenere nulli i patti che svuotano permanentemente l’assemblea di funzione e di contenuto, ovvero, sopprimendo la libertà del voto in assemblea, consentono la formazione di maggioranze fittizie, o, infine, quando il vincolo imposto al voto risulti in contrasto con l’interesse sociale, i sigg. Formenton hanno ricordato che nel corso del giudizio pendente fra le stesse parti avanti al Tribunale di Milano ad iniziativa della C.I.R. ed avente ad oggetto il patto di sindacato tra i soci della AMEF, il giudice istruttore, adito in sede d’urgenza

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ex art. 700, codice procedura civile, ha ritenuto l’invalidità del patto sulla base delle seguenti concorrenti considerazioni:- il patto di sindacato ad efficacia c.d. reale, che ricorre nell’ipotesi in cui, essendo previsto l’affidamento delle azioni sindacate ad un terzo che parteciperà all’assemblea e voterà in conformità alle istruzioni ricevute dalla maggioranza dei soci facenti parte del sindacato, ha l’effetto di privare il socio di minoranza della facoltà di partecipa-zione personale all’assemblea e quindi di esercitare liberamente in essa il voto, anche in contrasto con le decisioni della maggioranza;- è in contrasto con la prescrizione dell’art. 2372, secondo comma, codice civile, e perciò invalida, l’obbligazione assunta dal socio, per un numero indeterminato di as-semblee, di conferire mandato ad un terzo affinché questo eserciti il voto secondo le istruzioni ricevute dalla maggioranza del sindacato, anche eventualmente in contrasto con le proprie determinazioni;- il patto di sindacato a maggioranza, dotato di efficacia c.d. reale, è nullo perché eversivo dei principi di ordine pubblico che presiedono all’organizzazione della società e strutturalmente idoneo a privare l’assemblea del compito, inderogabilmente affidatole dalla legge, di luogo dove la volontà dei singoli soci, grazie al principio maggioritario, assurge a volontà della società.Fatta questa premessa, i sigg. Formenton nell’atto d’impugnazione hanno particolar-mente censurato:- il richiamo - ritenuto inconferente - a norme, come gli artt. 2352, 2347 e 2353, codice civile, che regolano rapporti particolari con effetti incidenti sull’espressione del voto;- l’asserita validità del patto sulla base della sua ritenuta congrua temporaneità (quin-quennale) e della limitatezza dell’oggetto, considerando esso “ipotesi di delibere rimesse all’assemblea straordinaria di rara verificazione”;- l’omessa valutazione della illiceità delle diverse clausole incidenti sull’assetto societario, sulla funzione tipica dell’assemblea e sulle competenze degli organi di gestione;- la ritenuta ininfluenza dell’indagine circa la validità delle clausole dell’art. 2, che disciplina il c.d. periodo transitorio di vigenza del sindacato AMEF;- l’asserzione che il sindacato di voto non è nè del tipo a maggioranza nè del tipo ad efficacia c.d. reale;- l’assunta - peraltro in termini contraddittori - scindibilità delle clausole della con-venzione e l’asserita incomunicabilità della eventuale nullità dei patti parasociali alla promessa di permuta.La C.I.R. ha contestato, nella comparsa di costituzione e nei successivi scritti difensi-vi, che ogni dissertazione ed ogni censura riguardo alla validità dei patti parasociali contenuti nella convenzione è preclusa e comunque è priva di concludenza, poiché la sentenza arbitrale ha respinto l’eccezione di nullità dei patti parasociali, assumendo che questi rivestissero, nell’economia complessiva della convenzione, una rilevanza del tutto marginale ed accessoria e che fossero pertanto scindibili dalla promessa di permuta.Nella specie, poiché gli arbitri sono stati autorizzati a decidere secondo equità con lodo dichiarato non impugnabile, non possono avere ingresso, ad avviso della C.I.R., censure che investano l’accertamento e la valutazione della concreta volontà contrattuale delle parti in ordine alla posizione che talune pattuizioni contenute nella convenzio-

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ne (i patti parasociali) sono destinate ad assumere rispetto ad altre (in particolare, la promessa di permuta). Di qui, appunto, secondo la difesa della C.I.R., l’inammissibilità delle censure svolte dagli impugnanti contro quella parte del lodo che, con giudizio di fatto da ritenere insindacabile, ha affermato la scindibilità della convenzione e, con essa, l’irrilevanza delle altre censure mosse dai sigg. Formenton, concernenti il giudizio espresso dagli arbitri sulla validità dei patti parasociali.Anche a voler ritenere - afferma in sostanza la C.I.R. - che gli arbitri abbiano errato nel giudicare validi i patti di sindacato contenuti nella convenzione, l’insindacabile valutazione di scindibilità relativa a tali patti costituisce, in ogni caso, l’esauriente fondamento della sentenza arbitrale e ne preclude la dichiarazione di nullità.In effetti, nella complessa e articolata motivazione del lodo, uno degli argomenti per i quali gli arbitri hanno ritenuto di poter respingere l’eccezione di nullità della conven-zione 21 dicembre 1988 consiste nel rilievo che l’art. 9 della stessa, nel quale le parti si danno atto che le pattuizioni in essa contenute sono destinate a costituire un insieme equilibrato ed inscindibile di diritti e di doveri e vanno, di conseguenza, considerate nella loro interezza, non precluda un’indagine tendente ad accertare se alcune di esse, che singolarmente fossero colpite da nullità, debbano considerarsi parti obiettivamente scindibili del regolamento negoziale.Ad avviso degli stessi arbitri, non vi era dubbio che, nel caso di specie, tale indagine dovesse risolversi nel senso della scindibilità e, quindi, della non comunicabilità della eventuale nullità delle clausole dei patti parasociali alla rimanente parte del negozio, affermando testualmente: “in una valutazione complessiva dei diritti e dei doveri che risultano obiettivamente attribuiti alle parti, si deve ritenere che queste ultime avrebbero concluso la convenzione nonostante le clausole affette da nullità” (...).Ebbene, secondo la C.I.R., questa parte della motivazione riguarderebbe un accerta-mento di puro fatto avente ad oggetto la concreta volontà delle parti circa la rilevanza, nell’economia complessiva della convenzione, delle clausole eventualmente contrastanti coi principi inderogabili del vigente ordinamento societario; un siffatto giudizio non potrebbe formare oggetto di alcuna censura, neppure sotto il profilo della sua logicità, avendo le parti dispensato gli arbitri dall’osservanza delle regole di diritto, autorizzan-doli a giudicare solo secondo equità.16 - La tesi, secondo cui la Corte d’Appello dovrebbe astenersi dal portare il suo esame sulla questione della scindibilità o meno delle clausole della convenzione 21 dicem-bre 1988, non può condividersi alla stregua dei principi - comunemente accettati in dottrina ed in giurisprudenza - in tema di limiti alla potestà degli arbitri nei giudizi di equità, essendo essi, comunque, tenuti a correttamente interpretare ed applicare le norme fondamentali e cogenti di ordine pubblico e ad osservare, fra gli obblighi for-mali, quello della motivazione, tanto è vero che anche il lodo di equità è pur sempre impugnabile, ove sia incorso in errores in procedendo, a norma dell’art. 829, primo comma, codice procedura civile.È incontrovertibile che, sotto il primo profilo, anche quando le parti abbiano autoriz-zato gli arbitri a pronunciarsi secondo equità, questi ultimi sono tenuti, in ogni caso, all’osservanza delle norme e dei principi di ordine pubblico.

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Infatti, in relazione ad essi, non può parlarsi di giudizio equitativo, trattandosi di prescrizioni che devono indefettibilmente trovare applicazione in ogni sede, tant’è che, sul punto, neppure la C.I.R. ha espresso dubbi di sorta (...).Se le norme di ordine pubblico costituiscono in ogni caso un limite che s’impone agli arbitri anche nei lodi di equità, non può esservi alcuna differenza tra i giudizi di fatto, tra accertamenti normativi e qualificazione del contenuto dei contratti e della volontà dei contraenti, giacché la protezione dei principi fondamentali e di ordine generale (quando di questi effettivamente si tratti nelle singole fattispecie) è sempre protezione piena e totale, che postula un controllo esteso a tutto l’operato degli arbitri e che attribuisce alla Corte d’appello il compito di accertare che la soluzione adottata dalla sentenza arbitrale non contravvenga a quelle norme ed a quei principi.Invero non può rilevare, ai fini dell’esigenza di salvaguardia di questi, che il con-travvenirvi sia una conseguenza del loro mancato apprezzamento, o, invece, derivi da erronei giudizi degli arbitri sulla volontà dei contraenti ovvero sulla natura e sul contenuto del contratto, che siano valsi a svincolare il contratto medesimo dall’ambito di operatività di quei principi. La stessa tutela privilegiata che, nel nostro ordinamento, ricevono le norme di ordine pubblico deve far ritenere che, quando queste vengono in considerazione, il controllo del giudice dell’impugnazione non può essere limitato e circoscritto all’individuazione delle norme di ordine pubblico che possono impingere la particolare fattispecie per verificarne la compatibilità con quelle; tale controllo si allarga, necessariamente, a tutto l’ambito delle valutazioni compiute dagli arbitri e, quindi, bensì alla individuazione delle norme di ordine pubblico ed alla loro inter-pretazione, ma anche alla qualificazione della concreta fattispecie, all’accertamento dei fatti, alla ricostruzione della volontà dei contraenti e del contenuto del contratto nonché a quant’altro necessita ai fini di una concreta definizione della lite in senso conforme a quei principi.Peraltro la stessa C.I.R. non pare voler affermare un indiscriminato regime di insin-dacabilità degli accertamenti di fatto costituenti il presupposto dell’applicazione delle norme di ordine pubblico ed ammette che compete al giudice dell’impugnazione il controllo della qualificazione della fattispecie.Il contrasto emerge allorché si vanno a definire i limiti entro i quali tale controllo deve essere svolto, che, nella specie, dovrebbe arrestarsi al contenuto delle clausole parasociali direttamente investite dalla questione di nullità e non dovrebbe estendersi al riscontro del rapporto tra dette clausole e le altre, giacché tale rapporto non coin-volgerebbe alcun problema di rispetto delle norme di ordine pubblico.Ma anche in questa più contenuta prospettiva, l’assunto non convince.In particolare, non può essere condiviso il rilievo secondo cui l’accertamento del legame esistente tra le clausole eventualmente viziate da nullità e le altre lascerebbe comun-que indenne il valore invalidante delle norme di ordine pubblico. È vera, invece, la proposizione inversa: allorché alcune clausole del contratto risultino affette da nullità per contrarietà a norme di ordine pubblico, l’accertamento della unitarietà o inscin-dibilità del contratto medesimo deve essere compiuto, come ha esattamente rilevato la difesa dei sigg. Formenton, allo specifico fine di stabilire fino a qual punto si estenda, nella concreta fattispecie negoziale, il disvalore giuridico derivante da quelle norme:

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se inscindibile è il contratto nell’intenzione delle parti, la norma di ordine pubblico lo colpisce tutto, inscindibilmente.Nell’ipotesi in cui la clausola immediatamente colpita da nullità assuma, alla stregua della inequivoca volontà dei contraenti, una posizione centrale e decisiva nell’assetto di interessi voluto, una valutazione erronea da parte degli arbitri che, stravolgendo quel-l’assetto, releghi tale clausola in posizione marginale ed insignificante, sì da estraniarla da ciò che effettivamente le parti hanno voluto, si risolve in una arbitraria e sostanziale negazione dell’applicazione delle norme di ordine pubblico ad una fattispecie complessa, che, invece, da tali norme doveva ricevere la sua qualificazione.In siffatta ipotesi, la lesione dei principi di ordine pubblico non è diversa nè meno grave dei casi in cui l’errore non riguardi l’accertamento del rapporto di inscindibilità delle varie clausole del contratto, ma investa direttamente l’interpretazione della clausola contrattuale la cui nullità sia stata eccepita.Infatti, nell’uno come nell’altro caso, il risultato al quale gli arbitri pervengono con la loro valutazione erronea della volontà dei contraenti è quello di sottrarre il contratto all’operatività delle norme di ordine pubblico: ma è proprio a questo risultato che agli arbitri, neppure a quelli autorizzati a pronunciare secondo equità, non è consentito pervenire.Affermare, in definitiva, come fa la C.I.R., che in tema di valutazione della effettiva estensione che l’illiceità assume nella concreta fattispecie, vi siano ambiti in cui l’ob-bligo di motivazione secondo diritto possa essere surrogato da ponderazioni equitative, sottraibili ad ogni controllo, significa negare la validità della premessa da cui muove la stessa C.I.R. e cioè che in subiecta materia non possano esservi deroghe all’obbligo di giudicare secondo diritto.È questa, dunque, la ragione per la quale anche il giudizio di scindibilità delle clausole della convenzione C.I.R. - Formenton compiuto dal collegio arbitrale, sebbene abbia ad oggetto la ricostruzione della volontà dei contraenti, è suscettibile di rivalutazione in questa sede d’impugnazione.L’ipotesi che sia irrilevante e priva di concludenza l’indagine intorno alla denunciata contrarietà all’ordine pubblico dei patti parasociali contenuti nella convenzione del 21 dicembre 1988, va, pertanto, disattesa, poiché nessun ostacolo sussiste a che, ove si ritenga fondata l’eccezione di nullità di detti patti, sia portato l’esame sul rapporto tra questi e la promessa di permuta contenuta nell’art. 3 della stessa convenzione per eventualmente concludere nel senso della inscindibilità delle diverse pattuizioni e conseguente comunicazione della nullità di alcune all’intero contratto.17 - Peraltro l’inesistenza di limiti all’indagine intorno alla volontà dei contraenti per ciò che riguarda la questione della scindibilità del contratto va apprezzata, nella specie, anche con riferimento all’altro profilo cui si è fatto cenno dianzi, e cioè con riferimento alla rilevazione di eventuali vizi logici della motivazione della pronuncia arbitrale, pienamente ammissibile nonostante si tratti di lodo di equità.Il contrario assunto presupposto nelle tesi preclusive sostenute dalla C.I.R., secondo la quale, in buona sostanza, l’arbitrato di equità riposerebbe sopra una illimitata delega di poteri decisionali attribuita agli arbitri dall’ordinamento giuridico, che conferirebbe il crisma della giurisdizionalità alla loro pronunzia sulla base di un controllo meramente

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estrinseco e formale del loro operato, con la conseguenza che ogni diversa forma di sindacato si tradurrebbe in una indebita interferenza sul loro libero convincimento ed in una impossibile rinnovazione delle loro autonome determinazioni, non è asso-lutamente condivisibile.Infatti, altro è riconoscere la “discrezionalità” delle valutazioni e delle scelte degli ar-bitri, e quindi l’insindacabilità nel merito delle loro opinioni, e tutt’altro è pretendere che il potere di giudicare sia per ciò stesso illimitato ed incontrollabile: anche quando il giudizio prescinde dall’apprezzamento di norme giuridiche e attinge i principi del bonum et aequum è bensì libero, ma non per questo è privo di regole, prime fra tutte le regole della logica, che costituiscono la base ed il fondamento dell’ordinamento.Il riscontro sulla logicità dei provvedimenti, dunque, deve potersi esercitare, ed in effetti si esercita, attraverso il controllo sulla loro motivazione, la quale, d’altro canto, ha proprio la funzione di consentire la verifica della correttezza dell’iter logico seguito dall’autorità che ha emesso il provvedimento stesso, e quindi della legittimità della pronuncia, in guisa che possa stabilirsi la sua conformità o meno ai principi dell’or-dinamento e che sia possibile attribuirvi o negarne la giuridica validità ed efficacia.Attraverso il generale obbligo di motivare i provvedimenti adottati, il diritto intende perciò tutelare il rispetto della logica, inteso quale corretto processo mentale di associa-zione delle idee o quale insieme dei principi della ragione, mediante i quali si giudica del giusto e dell’ingiusto. La violazione di tale esigenza di razionalità non è priva di rimedio, giacché correlativamente alla generalizzazione dell’obbligo di motivare, si è generalizzata la possibilità d’impugnare i provvedimenti viziati nella motivazione - e quindi nel fondamento logico da essa manifestato - perché è evidente che la valutazione dell’operato del giudice non è fine a se stessa, ma tende a rimuovere il provvedimento che non sia conforme a giustizia.Nè è a dirsi che il giudizio di fatto possa costituire in assoluto il limite alla sindacabilità dei provvedimenti, giacché anche il giudizio di fatto - che è pur sempre un giudizio nel quale il giudice si avvale di una effettiva discrezionalità, nel senso che ci sono due “possibili” rispetto ai quali egli esercita un’opzione - non è arbitrario, ma ha una sua logica interna che riduce fortemente la discrezionalità senza eliminarla del tutto. L’incontrollabilità del giudizio di fatto - come nel caso del giudizio di equità - è solo apparente, perché il controllo si esercita, sub specie iuris, sulla sua logica, e solo in quanto sia rispettata in ogni caso la logica l’opzione può ritenersi legittima.Tali principi di carattere generale non possono non valere anche per la sentenza arbi-trale, essendosi dimostrati del tutto vani i tentativi di interpretazioni riduttive fondate sulla lettera dell’art. 829, primo comma n. 5, codice procedura civile, che sancisce la nullità della pronuncia arbitrale per la sola ipotesi di totale omissione della motivazione e non pure per le ipotesi di omessa valutazione di punti decisivi o di inadeguatezza logica, previste invece dall’art. 360, primo comma n. 5, codice procedura civile, come ipotesi di nullità della decisione del giudice ordinario.L’argomento letterale, infatti, è sopravanzato dall’argomento logico, giacché non avrebbe senso imporre l’obbligo della motivazione, se poi il suo esame dovesse essere meramente estrinseco e formale e se il controllo dovesse consistere nella semplice constatazione che una qualunque motivazione ci sia o non ci sia.

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La dottrina e la giurisprudenza sono ormai concordi nell’affermare che l’impugnazione del lodo è senz’altro ammessa, qualora si registrino vizi della motivazione che impedi-scano di cogliere la ratio decidendi: nè potrebbe ritenersi altrimenti, perché anche per il lodo arbitrale, che ha la forza ed il valore dell’atto giurisdizionale, sussiste l’obbligo della motivazione, e perché anche la motivazione del lodo arbitrale deve avere, per sua stessa natura, la finalità di consentire il controllo sull’iter logico seguito dagli arbitri per giungere al loro convincimento.Esattamente il Supremo Collegio ha rilevato che “l’espressione ... che il giudizio d’im-pugnazione del lodo è diretto soltanto ad accertare se per ciascuna statuizione è stato soddisfatto l’obbligo della motivazione imposto dalla legge” è di per sè incompleta ed inesatta, perché “non una qualsiasi motivazione risulta idonea a sorreggere una pro-nuncia arbitrale sui singoli punti controversi, ma soltanto quella immune dai vizi, che rendono censurabile ogni decisione del giudice; l’esposizione dei motivi può bensì essere sommaria, ma non incompleta, illogica, contraddittoria ed erronea” (Cass. 24 dicembre 1968, n. 4075, in Foro it., 1969, I, 1206). Di conseguenza, “tra i vizi in procedendo che rendono ammissibile l’impugnazione per nullità del lodo, ai sensi dell’art. 829, primo comma, codice procedura civile, è indubbiamente compreso anche il difetto di uno degli elementi essenziali della decisione arbitrale, ossia della motivazione, quando questa, o per la sua mancanza su punti decisivi della controversia o per contraddittorietà o per insufficienza, non consenta di cogliere la ratio decidendi a sostegno del dispositivo” (Cass. 28 marzo 1966, n. 815, in Giust. civ., 1966, I, 1049; e successivamente: Cass. 23 novembre 1973, n. 3171, ivi, 1974, I, 437; Cass. 29 aprile 1976, n. 1537, in Foro it., Rep., 1976, voce Arbitrato, n. 48; Cass. 14 marzo 1977, n. 1006, ivi 1977, voce cit., n. 41; Cass. 25 ottobre 1986, n. 6264, in Foro it., Mass., 1986, 1077).Gli identici principi valgono per l’arbitrato di equità, che costituisce pur sempre un giudizio secondo ragione, nel quale occorre dare giustificazione logica e coerente delle determinazioni assunte.Ciò è provato in primo luogo dalla circostanza che anche il lodo pronunciato secondo equità deve essere motivato, e che anche in questo caso la motivazione non può avere altra funzione che quella di consentire l’esame ed il controllo dell’iter logico seguito dal collegio giudicante, tanto è vero che può essere impugnato per i vizi in procedendo previsti dall’art. 829, primo comma, codice procedura civile, e quindi ai sensi del n. 5 del predetto comma, in riferimento all’art. 823 n. 3, codice procedura civile.D’altronde non è questo l’unico caso d’impugnazione di una decisione di equità per vizi di motivazione: la pronuncia d’equità di cui all’art. 114, codice procedura civile, se è inappellabile, per il disposto dell’art. 339, secondo comma, codice procedura civile, in quanto non sarebbe possibile un iudicium novum che si sovrapponga alle libere e discrezionali determinazioni del giudice di equità, è sicuramente ricorribile ex art. 360, primo comma n. 5, codice procedura civile, e cioè per “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”.Queste considerazioni trovano puntuale riscontro nella giurisprudenza del Supremo Collegio, il quale ha da tempo rilevato che “è sempre necessario che la sentenza, anche quando è pronunciata secondo equità, riveli ed esprima nella sua struttura esteriore l’intrinseca natura di vero e proprio giudizio, il che significa che deve contenere l’espo-

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sizione logica degli argomenti che hanno determinato la decisione, in modo che questa si manifesti per quello che deve essere, e cioè non già un arbitrario atto di volontà, ma la conclusione oggettiva di un corretto ragionamento, verificabile e controllabile secondo i comuni criteri di razionalità e di coerenza” (Cass. 13 novembre 1973, n. 3001, in Foro it., 1974, I, 2427). E nella stessa sentenza si è ulteriormente precisato che se “il giudice che pronuncia secondo equità non è tenuto ad osservare rigorosamente tali norme (cioè le norme sostanziali), ma, almeno d’ordinario, è vero anche, come è stato osservato dalla giurisprudenza e dalla più attenta dottrina, che la sentenza di equità contiene necessariamente dei riferimenti, espliciti o impliciti, alla qualificazione giuridica dei fatti ed alla valutazione giuridica delle loro conseguenze; in tal caso questi giudizi di diritto costituiscono le fondamentali premesse logiche della finale decisione di equità, onde questa risulta irrazionale, ingiustificata e sostanzialmente priva di motivazione, quando quelle premesse si rivelano del tutto fallaci ed erronee”.18 - Alla stregua delle considerazioni che precedono, deve riconoscersi la fondatezza dell’altra censura che, sotto il profilo della congruenza, della logicità e della razionalità della decisione, i sigg. Formenton hanno formulato nei riguardi della motivazione con la quale il collegio arbitrale ha ritenuto di poter affermare che, nella circostanza, i patti parasociali fossero parte oggettivamente scindibile del contratto: proprio nell’accer-tamento della pretesa scindibilità del contratto è dato rilevare evidenti ed insanabili contraddizioni della sentenza arbitrale.In proposito, ancora una volta va ricordato che nell’art. 9 della convenzione le parti avevano espressamente qualificato inscindibili le diverse clausole del contratto “in quanto costituente un insieme inscindibile ed equilibrato di diritti e di doveri”, dichiarando, in conseguenza, che le stesse andavano “considerate attuate nella loro interezza”.Dunque, primario compito degli arbitri era quello di stabilire innanzi tutto quale fosse il valore di una simile espressa dichiarazione.Su questo punto, pur dopo la premessa che la valutazione, volta a verificare se l’eventuale invalidità del patto di sindacato o di talune delle sue clausole si comunichi all’intera convenzione o se, invece, questa rimanga salva nella parte non coinvolta nell’invali-dità, andasse fatta “con particolare spirito critico e con particolare rigore” (...), il lodo oscilla tra più soluzioni fra loro contrastanti che fanno venir meno le basi logiche e argomentative della decisione: il che è tanto più grave, ove si consideri che il problema era, come si è appena detto, ben presente all’attenzione degli arbitri.Riguardo alla validità della clausola contenuta nell’art. 2, che disciplinava i rapporti tra le parti nel periodo intercorrente tra la stipulazione della convenzione e la permuta azionaria prevista entro il mese successivo alla scadenza dell’allora vigente convenzione AMEF, il lodo ha ritenuto irrilevante l’indagine sul presupposto - affermato, ma non dimostrato - che l’espressa dichiarazione di inscindibilità delle clausole, contenuta nell’art. 9, riguardasse solo quelle destinate ad operare nel quinquennio successivo alla permuta. Si afferma testualmente: “Il tenore di questo articolo, interpretato se-condo quella che appare logicamente essere l’intenzione delle parti, porta a ritenere che l’affermata inscindibilità riguardi essenzialmente una connessione fra le clausole (...) che riguardano la regolamentazione dei loro rapporti per il periodo successivo alla scadenza del patto di sindacato AMEF” (...).

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In effetti, pare che il lodo ritenga che il contratto consti di una regolamentazione per periodi autonomi, indipendenti, nel senso che una cosa sarebbero gli obblighi assunti in costanza di vigenza del patto AMEF e cosa diversa sarebbero stati quelli destinati ad osservarsi dopo la sua scadenza: nell’intenzione delle parti, dunque, l’inscindibilità riguarderebbe la promessa di permuta ed i patti parasociali di cui all’art. 5 della con-venzione, mentre estranee alla previsione dell’art. 9 del contratto e, quindi, scindibili, sarebbero le pattuizioni dell’art. 2 della stessa convenzione, concernenti gli accordi parasociali per il periodo di vigenza del sindacato AMEF.Ma questa apparente ricostruzione della volontà dei contraenti è smentita dallo stesso lodo allorché, prospettandosi l’eventualità della rimozione per nullità di talune delle pattuizioni parasociali contenute nell’art. 5 e destinate ad operare per il periodo succes-sivo alla scadenza del patto AMEF, ha affermato la scindibilità anche di tali pattuizioni dalla promessa di permuta, “dovendo ragionevolmente presumersi che le parti avreb-bero ugualmente concluso la convenzione”, pur senza le clausole del contratto viziate da nullità (...). Più in particolare, nell’esaminare l’incidenza della liceità del patto di sindacato relativamente alle clausole f) e g) dell’art. 2 (sicuramente destinate ad operare anche per il periodo successivo in virtù del richiamo contenuto nell’art. 5), il collegio arbitrale, che pure ha appena dichiarato inscindibili le clausole contenute nell’art. 3 (permuta) e nell’art. 5 (sindacato di voto per il quinquennio), così testualmente si smen-tisce: “L’affermata inscindibilità non preclude affatto l’indagine tendente ad accertare se talune clausole della convenzione, che singolarmente fossero colpite da nullità, siano da considerarsi parti obiettivamente scindibili del regolamento negoziale” (...). In tal modo, se in precedenza si era affermata una scindibilità temporale, con riferimento ai diversi periodi di vigenza della convenzione, ora si afferma una scindibilità tematica, con riferimento ai contenuti della stessa convenzione e, soprattutto, con riferimento ad una stessa regolamentazione negoziale.Si tratta, in verità, di una contraddizione che non consente di ricostruire un coerente pensiero della sentenza arbitrale sul valore dell’art. 9, in quanto se in un primo momento si assegna a tale previsione la funzione di sancire il carattere unitario della permuta e dei patti parasociali, sia pure per il quinquennio successivo alla scadenza della con-venzione AMEF, in un secondo momento, senza che emergano i motivi di un simile mutamento di prospettiva, si nega in pratica all’art. 9 qualsiasi funzione e si riduce la sostanza del contratto ad una pura e semplice permuta di azioni AMEF contro azioni Mondadori, che le parti avrebbero voluto anche senza tutte le altre pattuizioni.E si arriva, perciò, a sostenere che “in una valutazione complessiva dei diritti e dei doveri che risultano obiettivamente attribuiti alle parti, si deve ritenere che queste ultime avrebbero egualmente concluso la convenzione, nonostante le clausole colpite da nullità. Nella convenzione 21 dicembre 1988, le clausole indicate poco sopra, per le quali potrebbero prospettarsi dubbi di invalidità, hanno caratteristiche tali da non incidere sull’intero accordo, restando - tra l’altro - assicurata, dal complesso della ri-manente e preponderante parte della convenzione, la finalità della cogestione garantita alla minoranza al di là della misura della partecipazione. Ad ognuna di quelle clausole non si potrebbe quindi mai attribuire il carattere di condicio causam dans dell’intero negozio, e comunque si dovrebbe riconoscere che esse rimangono fuori dell’ambito

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delle pattuizioni corrispettive strettamente collegate alla permuta prevista dall’art. 3 della convenzione” (...).Consegue che le stesse clausole dei patti parasociali, degradate a livello di pattuizioni insignificanti, sono divenute nella logica della sentenza arbitrale non coordinate l’una all’altra, ma scindibili a loro volta perché tutte marginali ed accessorie e, quindi, coinvolgibili in una operazione disgregativa del contratto.In definitiva, comparando tra loro le diverse parti della motivazione della sentenza arbitrale, l’effettiva volontà dei contraenti risulta formare oggetto di ricostruzioni con-traddittorie, nessuna delle quali può, quindi, essere posta a fondamento di un giudizio in una controversia che concerne l’applicabilità e l’incidenza di norme e principi di ordine pubblico.Pertanto, anche nella configurazione più riduttiva dei poteri cognitivi della Corte d’ap-pello che volesse contenere il sindacato sugli apprezzamenti di fatto al solo controllo di logicità e di razionalità, la strada per una completa rivalutazione dei fatti e della volontà dei contraenti sul punto della scindibilità della convenzione deve ritenersi completamente aperta, poiché la motivazione del lodo non è assolutamente in grado di superare il vaglio di coerenza e di non contraddittorietà, se non sul punto di evitare che la nullità delle clausole sul sindacato di voto travolgesse quella sulla permuta, di cui si è voluta, comunque, salvaguardare la validità e l’efficacia.L’irragionevolezza, peraltro, appare ancor più grave e manifesta, ove si consideri che quelle testè denunziate si inseriscono in un quadro generale di più ampie, profonde e generalizzate contraddizioni, che finiscono per dover imporre un giudizio di non senso al complesso delle valutazioni espresse dagli arbitri.Basti considerare che, da una parte, si afferma che la funzione del contratto sarebbe stata quella di assicurare ai sigg. Formenton un’influenza sulla gestione della Mon-dadori superiore alla loro percentuale di partecipazione azionaria, ma, nel contempo, si è minimizzato il contenuto del patto, del valore e del significato delle delibere alle quali esso faceva riferimento, assumendosi addirittura che “alla convenzione di voto rimangono estranee le delibere della assemblea ordinaria, che sono quelle attinenti alla normale gestione della società; nella clausola sono contemplate ipotesi di delibere rimesse all’assemblea straordinaria, di rara verificazione e che nel corso del quinquen-nio (...) verosimilmente non occorreranno, in ogni caso non necessarie alla gestione ordinaria di una società” (...).Insomma, da una parte si esalta la posizione che i sigg. Formenton sarebbero venuti ad acquistare all’indomani della permuta (partecipazione al controllo della Monda-dori, nonostante la loro posizione minoritaria), facendo così intendere che le garanzie stabilite a favore di costoro assumevano carattere di essenzialità e di centralità nella complessiva composizione degli interessi operata con la convenzione, e dall’altra si sostiene una rilevanza “del tutto marginale ed accessoria” delle clausole sospettate di contrarietà all’ordine pubblico, così riducendo - ripetesi - l’essenza della convenzione ad una pura e semplice permuta.19 - Da tutto quanto precede deriva che il giudizio di scindibilità formulato dagli arbitri deve essere censurato sia sotto il profilo della incoerenza, della contradditto-rietà e della irrazionalità della motivazione, sia sotto il profilo della non consentita

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svalutazione delle norme di ordine pubblico - che presiedono l’assetto della disciplina societaria - perseguita, appunto, attraverso la ritenuta scindibilità delle pattuizioni della convenzione del 21 dicembre 1988.Con riferimento a quest’ultimo particolare profilo, è necessario ora procedere alla specifica indagine - necessaria per quanto ancora serve ai fini dell’annullamento del lodo, in accoglimento del secondo motivo d’impugnazione, ma, altresì, per quanto occorre ai fini della valutazione delle domande di merito proposte dalle parti - se il peculiare sindacato azionario, previsto negli artt. 2 e 5 della citata convenzione, sia valido, come ritenuto dalla sentenza arbitrale, o sia, invece, nullo, come affermano gli impugnanti per violazione di norme di ordine pubblico, le quali, com’è noto, rappre-sentano un limite invalicabile anche per gli arbitri autorizzati dalle parti a pronunciare secondo equità.In materia di diritto societario, appartengono all’ordine pubblico - in quanto espressive di principi assiomatici e perciò dotate di cogenza superiore - le norme che definiscono la struttura delle società dotate di personalità giuridica, la posizione dei loro organi e ne disciplinano le relative attribuzioni, il funzionamento ed i reciproci rapporti.Il rafforzato regime giuridico della disciplina concernente l’organizzazione ed il funzionamento delle società emerge sia dalla giurisprudenza della Suprema Corte in tema di limiti di validità delle clausole compromissorie che devolvono in arbitri le relative controversie (Cass. 24 maggio 1965, n. 999, in Giust. civ., 1965, I, 1575; Cass. 18 febbraio 1988, n. 1739, ivi, 1988, I, 1502); sia dalla elaborazione giurisprudenziale in materia di delibere assembleari aventi contenuto illecito ai sensi dell’art. 2379, co-dice civile, ipotesi ritenuta ricorrente nei casi in cui risultino violate norme di diritto societario destinate a salvaguardare non un mero interesse del singolo socio, ma un interesse generale che fa capo ai terzi o all’intera collettività (Cass. 3 febbraio 1965, n. 175, in Dir. fall., 1965, II, 298; Cass. 25 maggio 1966, n. 1358, in Giust. civ., 1966, I, 1208; Cass. 18 aprile 1975, n. 1499, ivi, 1975, I, 1090; Cass. 9 febbraio 1979, n. 906, in Cass. civ., Mass., 1979, 635).La ragione di tale peculiare qualificazione delle anzidette norme è nota. Nel momento in cui il legislatore attribuisce alle società di capitali la personalità giuridica nonché la correlativa e totale separazione del patrimonio dell’ente da quello dei suoi soci, impone loro una struttura tipica la cui integrità è preservata, a tutela dei terzi e della collettività, mediante la sottrazione ai soci del potere di disporre o, comunque, di menomarla con atti di privata autonomia.In questo contesto di principi di ordine pubblico, senz’altro vincolanti per gli arbitri di equità, va, dunque, inquadrato il tema dei sindacati azionari di voto e dei limiti entro i quali alla luce del vigente sistema di diritto societario, essi possano ritenersi consentiti.Non è necessario ripercorrere nel dettaglio l’evoluzione giurisprudenziale sulla validità dei sindacati azionari, se non per ricordare che ad un rigoroso indirizzo che escludeva radicalmente la validità dei sindacati sul presupposto della non negoziabilità del voto (Cass. 13 gennaio 1932, in Foro it., 1932, I, 331; 10 maggio 1934, ivi, 1934, I, 1862; 3 marzo 1938, n. 706, ivi, 1938, I, 612) è subentrato un meno drastico orientamento, a partire dalle sentenze Cass. 5 luglio 1958, n. 212 (in Banca, borsa e tit. cred., 1958,

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I, 384) e Cass. 24 luglio 1962, n. 2080 (in Foro it., 1962, I, 1888), nelle quali trovasi affermato che la questione della nullità o meno dei patti parasociali, che vincolano la libertà di voto, deve essere risolta in base all’esame delle singole situazioni, “avendo presente che la limitazione di ordine pubblico può riguardare soltanto quei casi nei quali può sussistere un conflitto di interessi tra i soci e la società in quanto solo a protezione di questa si vuole evitare che il voto, vincolato prima della riunione, possa formare artificialmente una maggioranza”.Sempre sul presupposto che “le norme che disciplinano la struttura ed il funziona-mento delle società regolari, data l’incidenza della loro attività nella vita commerciale ed industriale del Paese, cioè in una sfera d’interessi generali della collettività, non sono di interesse privato, ma d’ordine pubblico”, la Suprema Corte nella sentenza 25 gennaio 1965, n. 136 (in Giust. civ., 1965, I, 1452) affermò che “ogni patto fra soci, che stabilisca un assetto organizzativo o funzionale dell’organismo societario, diverso da quello stabilito dal legislatore, è nullo, ai sensi dell’art. 1418, codice civile, essendo contrario a norme imperative, come nullo è il patto con cui vengono predeterminati, dai soci invece che dall’assemblea sociale, così ledendo le prerogative sovrane di questa, riconosciute dalla legge, i criteri di nomina degli amministratori”.Successivamente il Supremo Collegio, nella sentenza 23 aprile 1969, n. 1290, in Giust. civ., 1969, I, 1695, nel ribadire il principio che la questione della nullità dei patti para-sociali, concernenti l’esercizio del voto, deve essere risolta in base all’esame delle singole statuizioni, ha affermato che sono da ritenere nulli i patti azionari che sopprimano la libertà di voto in assemblea consentendo la formazione di maggioranze fittizie ovvero svuotino permanentemente l’assemblea stessa di funzione e di contenuto, o, infine, quando i vincoli pattizi sul voto risultino contrari all’interesse sociale.La Corte ha, inoltre, affermato la contrarietà ai principi dell’ordine pubblico societario dei sindacati di voto a maggioranza, quelli cioè che consentano ad una minoranza della società, che sia maggioranza del sindacato azionario, di dominare l’assemblea sociale.Caduto - come correttamente affermato nella sentenza arbitrale - il dogma della non negoziabilità del voto, poiché si riconosce che il voto è un diritto personale del socio attribuitogli dalla legge per il perseguimento del suo esclusivo interesse (salvo il limite del conflitto con l’interesse sociale), la giurisprudenza di legittimità si è, perciò, attestata su posizioni tendenti a salvaguardare l’essenza del principio maggioritario (che costitui-sce principio fondamentale della disciplina delle società) e ad impedire che la volontà della società non corrisponda alla effettiva volontà dei soci partecipanti all’assemblea (in tal senso cfr. Cass. 23 aprile 1975, n. 1581, in Giur. comm., 1975, II, 575).La successiva giurisprudenza di legittimità, pur esaminando particolari e specifici aspetti d’incidenza dei patti parasociali sull’assetto societario normativamente stabi-lito, è stata sempre concorde nell’affermare l’assoluta inderogabilità delle norme che salvaguardano gli interessi essenziali della società e, attraverso di essi, quelli generali della collettività (cfr. Cass. 18 gennaio 1988, n. 326, in Foro it., 1989, I, 513; Cass. 22 dicembre 1989, n. 5778, in Le Società , 1990, 468; Cass. 17 aprile 1990, n. 3181, in Dir. prat. comm., 1990, 2256).Se, in definitiva, la questione della nullità dei patti parasociali deve essere risolta in base all’esame delle singole statuizioni, non è dubbio che il sindacato contenuto nella

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convenzione C.I.R.-Formenton, diversamente da quanto ritenuto dagli arbitri, è affetto da nullità proprio per contrasto con quei principi di ordine pubblico che fungono da limite ad ogni tipo di giudizio arbitrale.Come si è già rilevato nelle premesse, la convenzione del 21 dicembre 1988 è un arti-colato accordo tra la C.I.R. e la Famiglia Formenton, quali azionisti della Mondadori e della AMEF, che ha essenzialmente la finalità complessiva di regolare - facendo leva, ovviamente, sul peso determinante dei possessi azionari (diretti o tramite AMEF) delle due parti - sia le vicende sia il governo della Mondadori e delle società del Gruppo per uno spazio di tempo che, nel suo insieme, va dalla sottoscrizione della convenzione stessa sino a tutto il 1995; questo spazio di tempo, a sua volta, è suddiviso in due pe-riodi, di cui il primo termina con la scadenza (31 dicembre 1990) del patto di sindacato AMEF ed il secondo (da iniziarsi subito dopo, con la conclusione della permuta delle azioni AMEF di proprietà dei sigg. Formenton e delle azioni Mondadori della C.I.R.), perdura ancora per cinque anni.Gli artt. 2 e 5 dettano, rispettivamente, le regole per la gestione del primo e del secondo periodo e, in entrambi i casi, investono aspetti essenziali della vita societaria.Invero:a) è disciplinata la composizione del consiglio di amministrazione, la designazione predeterminata e “in modo vincolante” delle persone del presidente, del vice presidente e dell’amministratore delegato della Mondadori, nonché la predeterminazione degli incarichi al vice presidente, comprese le cariche che questi avrebbe dovuto ricoprire in società collegate della Mondadori; inoltre, per il primo periodo, è stabilito che “tutte le designazioni vincolanti indicate nei precedenti commi verranno rinnovate alla sca-denza dei relativi mandati per tutta la durata della presente convenzione”; mentre per il secondo periodo si stabilisce, analogamente, che durante il suo corso il consiglio di amministrazione della Mondadori sarà composto, in modo paritetico, dalla C.I.R. e dalla Famiglia Formenton, con presidente ed amministratore delegato designato dalla C.I.R. e vice presidente designato dall’altro Gruppo contraente; la distribuzione in parti uguali dei posti in consiglio di amministrazione riguarda anche i consigli di società che venissero successivamente acquistate ovvero quello della stessa Mondadori, ove avesse sostanzialmente mutato la propria struttura “legale”;b) è sancita la necessità del preventivo accordo dei due contraenti sulle “delibere di particolare rilevanza” che dovessero essere assunte “da parte di singoli amministratori, dei consigli di amministrazione e/o delle assemblee della AMEF e della Mondadori”, in particolare per quanto riguarda l’acquisizione e la cessione delle partecipazioni, nonché gli effetti e i contratti di gestione di aziende e/o testate, la nomina e la revoca degli amministratori, dei direttori generali e dei direttori delle testate;c) per il caso che non fosse raggiunto l’accordo, la convenzione rimette ai consiglieri di amministrazione dell’AMEF e della Mondadori e, quando necessario, alle assemblee i poteri e le facoltà istituzionali che loro competono; mentre per le fusioni, gli aumenti di capitale, i conferimenti o acquisti o cessioni di aziende di cui alle lettere c), d), e) dell’art. 2, in difetto di accordo, la decisione è rimessa ad un collegio di tre esperti; quanto alle modifiche dell’oggetto sociale o agli aumenti di capitale con esclusione del diritto di op-zione, essi potranno essere adottati esclusivamente ove vi sia l’accordo delle parti;

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d) quanto al secondo periodo, le regole sono analoghe perché il sesto comma dell’art. 5 rinvia al nono comma e successivi dell’art. 2, precisandosi che per le delibere sottoposte alle assemblee Mondadori riguardanti le materie di cui alle lettere c), d), e), f) e g) la fiduciaria “Plurifid voterà secondo le indicazioni congiunte della Famiglia Formenton e della C.I.R., ed in difetto si asterrà dal voto”.È sufficiente il semplice enunciato delle disposizioni più qualificanti contenute negli artt. 2 e 5 per rendersi conto che l’assetto extra-societario configurato dalla convenzione del 21 dicembre 1988 è in profondo ed insanabile contrasto con le norme essenziali e inderogabili che regolano l’assetto istituzionale delle società di capitali.La nullità investe l’intera struttura della convenzione, giacché il criterio ispiratore dei contraenti, fatto palese dalla speciale attenzione con la quale si sono soffermati sulla tipologia delle diverse determinazioni, è stato quello di condizionare, sia nel periodo fino alla scadenza del patto AMEF, sia nei cinque anni successivi a tale scadenza, l’in-tera compagine della Mondadori e delle società del Gruppo in tutte le sue articolazioni (dalle assemblee ai consigli di amministrazione), ben al di là, dunque, delle particolari fattispecie esaminate dal Supremo Collegio nelle sentenze in precedenza riferite.20 - L’esame specifico e dettagliato di quelle stesse disposizioni dà ragione dell’assunto.A) Predeterminazione della composizione degli organi sociali.Si è detto che, per effetto degli artt. 2 e 5 della convenzione, alla C.I.R. ed alla Famiglia Formenton sono riservate rappresentanze paritetiche nei consigli di amministrazione e le relative indicazioni delle persone (art. 5, primo comma); alla C.I.R. è riservata la designazione “in modo vincolante” del presidente della AMEF e della Mondadori, nonché dell’amministratore delegato della stessa Mondadori, mentre alla Famiglia Formenton è riservato il diritto di designare, sempre in modo vincolante, il vice pre-sidente della Mondadori (art. 2, terzo comma e art. 5, primo comma); nel caso in cui, per qualsiasi ragione, dovessero essere sostituiti uno o più amministratori dell’AMEF o della Mondadori, è previsto l’impegno della C.I.R. e della Famiglia Formenton “a fare quanto necessario affinché vengano nominate, quali nuovi amministratori e/o sindaci, le persone designate di comune accordo” (art. 2, ottavo comma). È, poi, stabilito che “tutte le designazioni vincolanti indicate (...) verranno rinnovate alla scadenza dei re-lativi mandati, per tutta la durata della presente convenzione” (art. 2, quinto comma). In definitiva, i due gruppi di soci si sono ripartite le rispettive rappresentanze nel consiglio di amministrazione e attribuite cariche ben determinate.Orbene, secondo quanto ha affermato la Suprema Corte nella già citata sentenza n. 136 del 1965, poiché ogni patto fra soci che stabilisca un assetto organizzativo e funzionale dell’organismo societario, diverso da quello stabilito dal legislatore, è nullo, ai sensi dell’art. 1418, codice civile, in quanto contrario a norme imperative, è nullo il patto con cui vengono predeterminati, dai soci, anziché dall’assemblea sociale (artt. 2364, primo comma n. 2 e 2383, codice civile), così ledendo le prerogative sovrane di questa, riconosciutele dalla legge, i criteri di nomina degli amministratori. E quand’anche si volesse accedere alla tesi prospettata dalla dottrina più liberale, attestata su un indi-rizzo non aprioristicamente negatore della liceità del patto di eleggere determinate persone a far parte del consiglio di amministrazione, non può ignorarsi che quella stessa dottrina afferma decisamente - e correttamente - che un limite viene comunque

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in rilievo; ed è quello che deriva dal principio della revocabilità degli amministratori, sancito dall’art. 2383, codice civile.Si riconosce, infatti, che la potestà di revoca concessa dall’assemblea dalla citata di-sposizione costituisce principio di ordine pubblico e, come tale, inderogabile dai soci mediante qualsiasi patto destinato ad impedirne l’esercizio.Di conseguenza, allorché le parti, come nella convenzione in oggetto, hanno previsto che le designazioni vincolanti andranno rinnovate alla scadenza dei relativi mandati per tutta la durata del patto, hanno reso praticamente inoperanti le scadenze legali e statutarie che determinano la permanenza in carica degli amministratori. Il che, esclu-dendo la possibilità di revoca medio tempore, contrasta col principio di revocabilità, in qualunque tempo, previsto dal citato art. 2383, codice civile.Ai criteri indicati, è altresì ispirata la già citata sentenza Cass. n. 3181 del 1990, che ha dichiarato la nullità di un contratto col quale era stata regolamentata la nomina di un amministratore in violazione sia dell’art. 2383, codice civile che dell’art. 2386 codice civile, che affida agli altri amministratori la sostituzione dell’amministratore venuto a mancare nel corso dell’esercizio, affermandosi, ancora, che trattasi di “norme inderogabili, in quanto di ordine pubblico per la loro incidenza su interessi generali della collettività”.B) Ingerenza nelle competenze degli organi di gestione.Del tutto correttamente, i sigg. Formenton, fin nel giudizio arbitrale, avevano dedotto che, dato il contenuto della convenzione, il consiglio di amministrazione - nel caso di accordo fra le parti - è stato ridotto a mero esecutore di decisioni assunte dalla compagine extrasocietaria, laddove le competenze degli organi di gestione sono fissate da principi inderogabili sull’organizzazione delle società, ciò essendo imposto dalla necessaria tutela degli interessi dei terzi, che, nell’ordinamento giuridico vigente, è assicurata da sanzioni di responsabilità civile e penale di varia intensità a carico degli amministratori.Al riguardo il lodo ha eluso l’applicazione di fondamentali principi di ordine pubblico, affermando che le parti avevano dedotto in contratto il fatto del terzo, la cui libertà sarebbe rimasta impregiudicata, salve le conseguenze previste dall’art. 1381, codice civile.Orbene, pur senza considerare che agli arbitri è evidentemente sfuggito il contenuto del settimo comma dell’art. 2, per effetto del quale “in relazione a quanto sopra pre-visto gli amministratori dell’AMEF e della Mondadori, eletti su designazione della C.I.R. e della Famiglia Formenton, sottoscrivono le dichiarazioni allegate alla presente convenzione sub A e sub B” nonché il contenuto di detti allegati, nei quali è assunto l’impegno che “nello svolgimento del mandato di amministratori terremo conto per quanto possibile dell’unità di intenti raggiunta tra la C.I.R. e la Famiglia Formenton sui criteri di gestione della AMEF Finanziaria e della Arnoldo Mondadori Editore nonché delle intese relative alle persone che avranno particolari incarichi e svolgeranno specifiche funzioni” nella Mondadori e nelle società controllate o collegate, non può non rilevarsi l’esattezza dell’assunto, secondo il quale quando è illecito o immorale il fatto del terzo dedotto nell’obbligazione, diviene necessariamente illecita la promessa di tale fatto, con conseguente nullità del contratto. E poiché gli amministratori, in

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ossequio a tale fondamentale principio di ordine pubblico, sono tenuti ad agire nel-l’esclusivo interesse sociale e non secondo le disposizioni che loro provengono dagli azionisti di maggioranza, le parti hanno dedotto in contratto un patto illecito, con l’ovvia conseguenza che anche l’obbligazione assunta dal promittente, privata del suo presupposto di validità, non può non essere colpita da nullità.È noto, peraltro, che, secondo unanime dottrina e costante giurisprudenza, non è in alcun modo consentito all’assemblea sottrarre agli amministratori le loro competenze (fra le più significative, cfr. Cass. 7 febbraio 1972, n. 296, in Giust. civ., 1972, I, 688) così come è pacifico che i designati alla carica di amministratore non possono vincolare il loro futuro comportamento, relativamente alle funzioni proprie della carica o del-l’organo di cui entreranno a far parte. Al riguardo, la Suprema Corte ha chiaramente escluso che l’amministratore possa essere obbligato ad attenersi a particolari direttive dategli da soci o estranei in contrasto con gli interessi della società o dei singoli soci o comunque lesive dei diritti e delle facoltà riconosciute dalla legge o dallo statuto alla società o ai soci (Cass. 10 aprile 1965, n. 635, in Giust. civ., Mass., 1965, 323).C) Obbligo di votazione in conformità delle proposte dei consigli di amministrazione.L’art. 2 della convenzione dispone che, nel caso di mancato accordo sulle materie di cui alle lettere a) e b) (e si tratta di materie certamente non irrilevanti, quali l’acqui-sizione e la cessione di partecipazioni, nonché gli affitti ed i contratti di gestione di aziende e/o testate ovvero la nomina e la revoca degli amministratori delle società, dei direttori generali e dei direttori delle testate giornalistiche), i contraenti non sarebbero rimasti liberi di votare in assemblea ciascuno secondo le proprie autonome determina-zioni - come accade nel caso dei cc.dd. sindacati all’unanimità, che la giurisprudenza ritiene validi - ma avrebbero dovuto attenersi alle indicazioni formulate dai consigli di amministrazione.Al riguardo non constano precedenti giurisprudenziali, ma la dottrina - anche quella il cui atteggiamento di principio nei confronti delle convenzioni di voto è particolar-mente liberale - è unanime nel riconoscere l’illiceità di una convenzione siffatta, non foss’altro che per evitare che gli amministratori e gli azionisti “padroni” della società abusino del loro potere, con rischio di sacrificio dell’interesse sociale.D’altronde non può non ricordarsi che l’art. 35 della V Direttiva CEE, nella “proposta modificata” del 19 agosto 1983 (in Giur. comm., 1983, I, 960) è, in materia, inequi-vocabile, disponendo che “sono nulle le convenzioni in virtù delle quali un azionista si impegna a votare: a) seguendo sempre le istruzioni della società o di uno dei suoi organi; b) ovvero approvando sempre le proposte fatte da questi”.21 - Ma il quadro di più evidente, incontestabile e radicale nullità si definisce ulte-riormente ed irreparabilmente con l’esame dell’art. 2, dodicesimo comma, e dell’art. 5, sesto comma, della convenzione.È previsto, infatti, che, nel caso di mancato accordo sulle materie di cui alle lettere c), d) ed e) del citato art. 2 (concernenti talune ipotesi di aumento di capitale, le operazio-ni di fusione e le acquisizioni e cessioni di aziende o rami di aziende), le indicazioni vincolanti sarebbero pervenute, addirittura, da un collegio di esperti, ancorché adottate indubbiamente alla luce dell’interesse sociale.

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In questo caso il requisito di validità della libera determinazione del contraente eventualmente dissenziente è assolutamente carente; per di più si attribuisce valore vincolante alle determinazioni di terzi estranei, con svuotamento delle funzioni tipiche dell’assemblea.Quel che, poi, più conta e che vale a fugare ogni dubbio sulla illiceità del sindacato di voto contenuto nella convenzione, è la previsione, nell’art. 5, per il periodo successivo alla scadenza del patto AMEF, della consegna fiduciaria delle azioni sindacate alla Plurifid, la quale, per le deliberazioni previste alle lettere c), d), e), f), e g) (riguardanti, queste ultime due, le modifiche dell’oggetto sociale della Mondadori, nonché gli aumenti di capitale della Mondadori con esclusione del diritto di opzione dei soci a favore di terzi estranei ai settori di attività della Mondadori stessa) dell’art. 2, dovrebbe votare in assemblea secondo le istruzioni congiunte della C.I.R. e dei sigg. Formenton o, in difetto, astenersi dal voto.Fra tutte, questa è l’ipotesi più certa di illiceità dei sindacati azionari, che anche la dottrina più aperta si è ben guardata dal difendere e che - è il caso di rilevarlo - è stata censurata anche nell’ampia e argomentata ordinanza del giudice istruttore del Tribunale di Milano, adito dalla C.I.R. per sentir dichiarare l’illiceità della convenzione di voto AMEF del 6 gennaio 1986 (ord. 28 marzo 1990, in Giur. it., 1990, I, 2, 337).Fino a che il vincolo negoziale ad esprimere un determinato voto in assemblea conserva i caratteri di una obbligazione c.d. personale del socio potrebbe anche sostenersi, sia pure in contrario avviso ai più rigorosi enunziati della giurisprudenza del Supremo Collegio, che l’espressione del voto in assemblea sia libera, salvo l’ovvio limite del conflitto con l’interesse sociale. Sicché, in questa prospettiva, si potrebbe finanche affermare che il voto orientato dall’esterno resta pur sempre un voto espresso dal socio e, quindi, autentico.Tuttavia, quando il vincolo sul voto acquista i caratteri della realità (ciò che avviene, ap-punto, nei cc.dd. sindacati ad efficacia reale, mediante i quali il socio viene spogliato del possesso delle azioni e, così, privato del diritto di partecipare all’assemblea e di esprimere in quella sede il proprio voto, non importa se formatosi aliunde), il voto perde il suo inde-fettibile carattere di autenticità e l’organo assembleare viene irrimediabilmente svuotato della funzione che le norme inderogabili di diritto societario gli assegnano.È quanto, per l’appunto, accade nel peculiare sindacato prefigurato nell’art. 5 della con-venzione, in cui, nell’eventualità di contrasto tra i soci sindacati, la fiduciaria cui è affida-to, con mandato irrevocabile e con girata delle azioni, il diritto esclusivo di partecipare all’assemblea, esprime in questa non già una volontà corrispondente a quella dei soci, ma trasforma le contrapposte determinazioni di questi ultimi in una astensione.In queste fattispecie di sindacati azionari, lo stravolgimento dei principi di diritto societario in tema di corretto funzionamento delle assemblee sociali è ben più grave di quello, pure configurato dagli attuali indirizzi della Corte Suprema, che si produce con la formazione di maggioranze fittizie nei semplici sindacati a maggioranza.Infatti, in tali evenienze, è in gioco il diritto del socio di partecipare all’assemblea e di esprimervi direttamente le proprie autentiche determinazioni, quali che esse siano e quali che siano le ragioni, anche negoziali, che le hanno prodotte.

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Non può, perciò, condividersi la tesi espressa nella sentenza arbitrale, secondo la quale, nella specie, non ricorrerebbe tanto un’ipotesi di “sindacato azionario”, quanto un accordo mediante il quale un socio di maggioranza attribuisce al socio minoritario una qualche incidenza sulla gestione sociale. Ad avviso del lodo, si verserebbe, cioè, in una di quelle situazioni, perfettamente lecite anche quando siano contemplate negli statuti delle società, in cui, a garanzia delle minoranze, si attribuiscono ad esse poteri maggiori di quelli che spetterebbero in forza delle azioni possedute (maggioranze assembleari qualificate, partecipazione proporzionale negli organi di gestione o di controllo, ecc.).A rendere diverso il contenuto dell’art. 5 della convenzione dalle clausole statutarie di società, ipotizzate dagli arbitri, che prevedono maggioranze qualificate o consimili garanzie delle minoranze, vi sono la previsione della consegna delle azioni sindacate alla fiduciaria Plurifid ed il conferimento a quest’ultima del mandato irrevocabile di portare in assemblea una volontà difforme (l’astensione, appunto) dalle divergenti determinazioni dei soci partecipanti al patto. Ed è in questa situazione, e non in quelle ipotizzate dal lodo e non ricorrenti nella specie, di semplice coinvolgimento di minoranze nella gestione, che si verifica, senza alcun dubbio, l’espropriazione del diritto del socio di partecipare all’assemblea con potenziale falsificazione dell’esito delle votazioni; falsificazione che, nella specie, diviene tanto più evidente se si considera che l’astensione della fiduciaria comporta addirittura la neutralizzazione della maggioranza istituzionale della società, con conseguente inevitabile formazione di quelle “maggio-ranze fittizie”, irrimediabilmente sanzionate di nullità, secondo il pacifico indirizzo della Suprema Corte.Oltre tutto, il Collegio non può astenersi dal rilevare che le argomentazioni del lodo su tale decisivo punto non solo sono errate per le considerazioni appena svolte, ma urtano contro validi elementi di fatto emergenti dalla convenzione ed evidentemente trascurati dagli arbitri.Nella specie, la C.I.R. aveva dedotto in sindacato solo azioni rappresentanti il 40% del capitale sociale; in siffatta ipotesi non si può mai parlare di coinvolgimento delle minoranze in posizione di controllo, poiché il controllo è conseguito proprio gra-zie all’accordo tra i soci, come accade, appunto, coi sindacati di voto. Le eventuali eccedenze rispetto al numero complessivo di azioni sindacate restavano nella piena disponibilità della C.I.R., che avrebbe potuto, come del resto essa stessa riconosce ... “eventualmente utilizzare (tali azioni) dandole in garanzia, come è sovente opportuno e necessario nell’ambito delle operazioni finanziarie comuni in attività di impresa”. Ma la garanzia può anche comportare perdita del diritto di voto (ex art. 2352, codice civile), restando però la C.I.R., grazie al sindacato di voto con i sigg. Formenton, in posizione di controllo.Anche sotto questo ulteriore ed autonomo profilo, nei patti parasociali di cui all’art. 5 della convenzione, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza arbitrale, va ravvisato di certo un sindacato di voto ad efficacia reale, comportante l’esproprio del diritto del socio di esternare in assemblea le proprie autentiche determinazioni.Non ha senso, dunque, affermare, come fa il lodo, nel tentativo di salvaguardare la validità della convenzione, che non si tratta di sindacato ad efficacia reale, bensì di

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un patto avente “indole esclusivamente obbligatoria”, dal momento che “le parti sono tenute nel loro interno al rispetto dei vincoli, ma conservano piena libertà all’esterno, e precisamente nella sede dell’assemblea a cui partecipano a mezzo della Plurifid”, sicché sarebbe “rispettato il procedimento assembleare nel senso in cui la giurispru-denza lo intende, con riguardo al luogo dove la volontà dei soci si esprime, anche se ha potuto altrove formarsi” (ibidem). Tanto infondata appare siffatta affermazione, sol che si consideri che riesce veramente difficile scorgere libertà di espressione di voto quando un socio esprima l’avviso di votare a favore di una determinata delibera ed il suo mandatario, poiché l’altro socio si è espresso in termini diversi, si astenga dal votare, in forza delle direttive irrevocabilmente ricevute in precedenza. Vero è che in tale situazione viene a configurarsi quella ipotesi sanzionata dalla Suprema Corte - ed anche la dottrina è assolutamente concorde al riguardo - la quale ha escluso la liceità dei patti di sindacato “quando venga ad essere soppressa la libertà del voto con possibilità della formazione di maggioranze assembleari fittizie” (Cass. n. 1581/1975 citata).Le considerazioni che precedono esimono dal prendere in esame gli ulteriori aspetti di invalidità, che pure la convenzione impone di evidenziare in tutta la loro consi-stenza, e cioè:- la violazione dell’art. 2372, codice civile, essendo stata la delega rilasciata in modo irrevocabile alla Plurifid, non già per votare per singole assemblee, ma perché voti per tutte le assemblee (cfr. per riferimenti, Cass. 20 luglio 1988, n. 4709, in Le Società , 1989, 1030);- l’estensione dei contenuti e l’indeterminatezza dell’oggetto delle delibere prese in considerazione dagli artt. 2 e 5 della convenzione, riguardanti materie tutt’altro che anomale e di rara verificazione, essendo, invece, molte di esse attinenti a materie concernenti la gestione ordinaria del gruppo, quali l’acquisto e la cessione delle par-tecipazioni, l’affitto e la gestione di aziende o testate, la nomina degli amministratori, dei direttori generali e dei direttori di testata, cioè gli indirizzi più qualificanti della gestione ordinaria della società, determinandosi in tal guisa quell’effetto di completo “svuotamento della funzione del metodo assembleare”, anche al di là del rispetto del principio maggioritario, che rende il patto illegittimo per contrarietà all’ordine pubblico (cfr. Cass. n. 1581/1975 citata);- la irragionevolezza della durata del patto (complessivamente sette anni, di cui due nell’ambito della convenzione AMEF), ritenuta congrua dagli arbitri con riferimento alle norme in tema di limiti convenzionali alla concorrenza (artt. 2125 e 2596, codice civile), che nulla hanno a che vedere con la materia societaria e che, per il loro rife-rimento a diritti dei privati, non si vede perché e come possano assurgere a valore fondante sul quale apprezzare il contenuto, la consistenza e la cogenza dei principi inderogabili in tema di organizzazione delle società per azioni.Alla stregua di quanto sin qui esposto, non può revocarsi in dubbio che il patto di sindacato è nullo per contrasto coi principi di ordine pubblico che, anche nell’interesse dei terzi e del corretto funzionamento della persona giuridica, definiscono la posizio-ne che spetta all’assemblea ed agli organi di gestione nell’organizzazione societaria. (omissis).

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ConsiderazioniInteressante in questo provvedimento l’excursus della Corte di Appello

di Roma con riferimento a quella che negli anni era stata l’evoluzione giurisprudenziale sulla validità dei sindacati azionari.

La Corte ricorda che «ad un indirizzo rigoroso», che «escludeva radi-calmente la validità dei sindacati sul presupposto della non negoziabilità del voto» - orientamento rappresentato da Cass. 13 gennaio 1932 ed altre pronunce ivi indicate - è subentrato un orientamento - a partire da Cass. 5 luglio 1958, n. 212 ed altre - il quale ha affermato che la questione della nullità dei patti parasociali, che vincolano la libertà di voto, deve essere risolta in base alle singole situazioni, avendo presente che «la limitazione di ordine pubblico può riguardare soltanto quei casi nei quali può sussistere un conflitto di interessi tra i soci e la società in quanto solo a protezione di questa si vuole evitare che il voto, vincolato prima della riunione, possa formare artificialmente una maggioranza».

Ancora la Corte di Appello ha richiamato una interessante pronuncia della Corte di Cassazione del 25 gennaio 1965, n. 136 secondo cui «ogni patto fra soci, che stabilisca un assetto organizzativo o funzionale dell’or-ganismo societario, diverso da quello stabilito dal legislatore, è nullo, ai sensi dell’art. 1418, codice civile, essendo contrario a norme imperative, come nullo è il patto con cui vengono predeterminati, dai soci invece che dall’assemblea sociale, così ledendo le prerogative sovrane di questa, rico-nosciute dalla legge, i criteri di nomina degli amministratori».

Con una successiva sentenza, il Supremo Collegio (si tratta della sen-tenza del 23 aprile 1969, n. 1290), nel ribadire il principio che la questione della nullità dei patti parasociali, concernenti l’esercizio del voto, deve essere risolta in base all’esame delle singole statuizioni, ha affermato che sono da ritenere nulli i patti azionari che sopprimano la libertà di voto in assemblea consentendo la formazione di maggioranze fittizie ovvero svuotino permanentemente l’assemblea stessa di funzione e di contenuto, o, infine, quando i vincoli pattizzi sul voto risultino contrari all’interesse sociale.

La Corte ha, inoltre, affermato la contrarietà ai principi dell’ordine pubblico societario dei sindacati di voto a maggioranza, quelli cioè che consentano ad una minoranza della società, che sia maggioranza del sindacato azionario, di dominare l’assemblea sociale.

Va, infine, tenuto a mente che la successiva giurisprudenza (Cass. 18 gennaio 1988, n. 326 ed altre) è stata sempre concorde nell’affermare l’assoluta inderogabilità delle norme che salvaguardano gli interessi es-senziali della società e, attraverso di essi, quelli generali della collettività.

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Proprio l’analisi del patto, con un occhio di riguardo alle singole statui-zioni, criterio questo sicuramente di indubbio rilievo pratico e ancorato a quella che è la realtà ovvero al fatto concreto, è stato tenuto a mente dalla Corte di Appello di Roma per statuire sulla controversia, sancendo la nullità del patto parasociale sottoscritto dalle parti.

Proseguivo nella lettura delle decisioni.

2.7 corte di cassazione, Sezione I, sentenza 27 luglio 1994, n. 7030

Il patto con il quale i soci di una S.r.l. si impegnano nei confronti di un terzo, socio uscente ed ex amministratore unico della società, a non delibe-rare l’azione sociale di responsabilità nei confronti dello stesso, abdicando al diritto di voto pur in presenza dei presupposti dell’indicata azione, è affetto da nullità, in quanto il contenuto della pattuizione realizza un conflitto di interessi tra la società ed i soci fattisi portatori dell’interesse del terzo ed integra una condotta contraria alle finalità inderogabilmen-te imposte dal modello legale della società, non potendo i soci non solo esercitare, ma neanche vincolarsi, negozialmente ad esercitare il diritto di voto in contrasto con l’interesse della società, a nulla rilevando che il patto in questione riguardi tutti i soci della società, né che la sua compagine sociale sia limitata a due soci aventi tra loro convergenti interessi (nella specie, coniugi).

Presidente Salaria - Relatore Bibolini

Con citazione notificata il 27 gennaio 1982 il sig. Battista Montanari conveniva davanti al Tribunale di Milano i coniugi sig.ri Carlo Migliozzi e Luisa Zanni e, premesso: che egli, unitamente a Carlo Migliozzi, aveva costituito la s.r.l. “Mi-Mo”, avente ad oggetto la costruzione di un edificio; che sopravvenuti dissensi in seno alla società lo avevano reso destinatario di numerose azioni giudiziali promosse ad iniziativa del sig. Carlo Migliozzi, con il quale, alla fine, era pervenuto ad un accordo in base al quale esso Montanari aveva ceduto per il prezzo di L. 4.000.000 lo proprie quote della s.r.l. Mi-Mo (quote in quel tempo intestate fiduciariamente a tale sig. Festari) alla moglie del sig. Migliozzi, sig.ra Luisa Zanni e i due coniugi (ormai unici soci della s.r.l. Mi-Mo), si erano impegnati a non promuovere azione sociale di responsabilità nei confronti del sig. Battista Montanari, che della predetta società era stato amministratore unico, pur restando il Migliozzi libero di proporre l’eventuale azione prevista dall’art. 2395 c.c.;

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che, peraltro, avvenuta la cessione di quote, i coniugi predetti, riuniti in assemblea, avevano deliberato l’azione sociale di responsabilità, azione che era poi stata promossa con citazione 7 febbraio 1970 davanti al Tribunale di Milano e che, dopo varie vicen-de, si era conclusa di una somma che, da originarie 15.000.000, era aumentata a L. 130.000.000 per danni da svalutazione monetaria ed interessi; ciò premesso, l’attore chiedeva che i convenuti, resisi inadempienti all’accordo indicato, fossero condannati a rimborsargli quanto egli sarebbe stato costretto a versare alla società, oltre al risar-cimento dei danni. Egli sosteneva, inoltre, che Carlo Migliozzi si era anche impegnato a tenerlo indenne da ogni effetto pregiudizievole derivante da eventuali azioni di responsabilità sociale e deduceva prova per testi.Contestata la lite, il Tribunale di Milano pronunciava con sentenza 3 maggio 1984 con cui rigettava le domande attoree, compensando le spese tra le parti.Riteneva il Tribunale che l’accordo invocato dall’attore, e risultante da una scrittura 4 luglio 1969, costituiva una convenzione di voto, con i due soci della s.r.l. Mi-Mo, convenzione che, in quanto contrastante con l’interesse sociale, era nulla ed impro-duttiva di effetti.Riteneva, inoltre, il giudice di prima istanza che nella predetta scrittura non fosse rin-venibile traccia dell’altro obbligo indicato dall’attore (obbligo di manleva) per cui non ammetteva la prova per testi, in quanto palesemente in contrasto con la scrittura inter partes intervenuta. Su appello del sig. Battista Montanari (a seguito del suo decesso, nel giudizio di appello si costituiva la vedova sig.ra Alda Barbieri, mentre rimanevano contumaci gli altri eredi, nei cui confronti il giudizio era stato integrato) ed appello incidentale dei sig.ri Luisa Zanni e Carlo Migliozzi in punto spese, pronunciava la Corte d’Appello di Milano con sentenza n. 1727-89 confermativa di quella di primo grado, in ordine alle questioni di merito controverse mentre, dando accoglimento all’appello incidentale, condannava l’attore-appellante principale al pagamento delle spese di en-trambi i gradi di giudizio. In particolare la motivazione della Corte milanese veniva svolta con una serie cadenzata di argomentazioni, così riassumibili:a) In ordine alla tesi dell’appellante principale, secondo cui la convenzione di voto non era nulla perché non aveva comportato artificiosa precostituzione di una maggioranza a scapito di una minoranza, e ciò in quanto il vincolo aveva coinvolto la totalità dei soci (i coniugi Migliozzi), la Corte del merito riteneva l’irrilevanza del fatto che il patto fosse stato voluto da tutte le persone che erano all’epoca socie della società di capitali, e ciò in quanto la nullità era stata dichiarata dal Tribunale, non perché il patto avesse dato luogo ad un vincolo della maggioranza della compagine sociale a danno della minoranza, ma solo perché il tenore della convenzione di voto era in contrasto con l’interesse sociale. Al fine la Corte del merito richiamava la sentenza 23 aprile 1969 n. 1290 di questa Corte Suprema secondo cui la validità del patto di voto deve essere esclusa, non solo nell’ipotesi indicata dall’appellante, ma anche quando il voto risulti vincolato ad interessi in contrasto con quelli sociali o a favore di persone in conflitto di interessi con la società. Quest’ultima era la situazione ritenuta sussistente nel caso di specie.b) In via subordinata non veniva considerata valida la tesi di parte appellante principale secondo cui, indipendentemente dalla nullità del patto parasociale, i coniugi predetti,

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dovrebbero essere condannati al risarcimento dei danni per avere tratto vantaggio economico cui non avevano dato attuazione; richiamava ancora la corte del merito la nullità del patto che esonerava le controparti da qualsiasi obbligo di adempimento con conseguente non configurabilità di responsabiltà per l’inadempimento stesso, insussistente.c) La Corte del merito riteneva, infine, infondata la richiesta di prova testimoniale, volta che nella scrittura 4 luglio 1969, consacrante gli accordi intervenuti tra le parti, non vi era traccia di manleva da parte del sig. Migliozzi a favore del sig. Montanari, mentre non aveva effetto a quel fine (quale principio di prova scritta) una lettera in data 30 giugno 1969 perché, trattandosi di documento proveniente dallo stesso Montanari, non poteva costituire prova a suo favore.Avverso detta decisione proponeva ricorso per Cassazione, articolato su due motivi, la sig.ra Alda Barbieri Ved. Montanari; si costituivano con controricorso i sig.ri Luisa Zanni e Carlo Migliozzi.DirittoI MOTIVO. 1a) Con il primo mezzo di cassazione la ricorrente deduce la violazione di legge con riferimento agli artt. 1381, 1372, 1453, 1418 e 1424 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.Richiamato l’orientamento giurisprudenziale cui la sentenza della Corte del merito si era uniformata, la ricorrente ritiene che detto indirizzo sia meritevole di opportuna revisione, quanto meno nei casi di società di capitali a ristretta compagine, soprattutto se articolata su base familiare, come nel caso di specie. Sostenere, in detti casi, l’esi-stenza di un interesse sociale da salvaguardare, distinto ed autonomo rispetto a quello dei sue soli soci (che con la ricordata scrittura si erano obbligati ad un determinato comportamento in assemblea), significherebbe dare luogo ad una costruzione fittizia ed artificiosa. La ricorrente richiama, al fine, la sentenza Cass. 5 luglio 1958 n. 2422, secondo cui la nullità, o non, dei patti che vincolano la libertà di voto, deve essere risolta contemperando le opposte esigenze della pratica e della buona fede in base al-l’esame delle singole situazioni, avendo presente che le limitazioni di ordine pubblico nel vincolo di voto possono riguardare solo i casi di conflitto di interessi tra i soci e la società. Ma questa situazione si può individuare, in tesi, sol quando venga precostituita una maggioranza assembleare artificiosa a scapito delle minoranze, non quando tutti i soci assumono un conforme impegno divoto. Ricorda che la Cass. 23 aprile 1969 n. 1290 ha ribadito chela libertà di voto rimane salva nel caso in cui l’accordo sul voto debba, in sede di sindacato, essere preso all’unanimità. Diversamente argomentando si addiverrebbe all’individuazione di un ente sociale corrispondente ad un organismo superiore ed assolutamente distinto dalla posizione dei soci.1b). In via di subordine la ricorrente sostiene che i patti parasociali possono consi-derarsi complementari o collaterali rispetto al contratto di società senza avere alcuna influenza sull’organizzazione societaria. Da ciò deriverebbe che, seppure i patti non vincolano la deliberazioni dell’organo assembleare, esso continuano a vincolare, con efficacie meramente obbligatoria le parti del contratto.

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In particolare, una delibera assunta in assemblea in attuazione del patto, qualora com-porti l’insorgere di un conflitto di interessi del socio con la società, inficia la validità della deliberazione ex art. 2373 c.c.; ciò, però, non postulerebbe, in tesi, l’assoluta invalidità del patto parasociale.Illecita sarebbe, quindi, la semplice estensione per relationem del concetto di nullità dalla delibera al patto.Il tema dedotto in controversia, quale emerge dal dibattito tra le parti, non deve neces-sariamente trovare soluzione nell’ambito del più ampio problema relativo alla validità dei sindacati di voto in quanto tali, problema sul quale l’orientamento più recente del legislatore rende non sempre sostenibili posizioni negative sulla legittimità del sindacato di voto di per sè considerato (si veda l’art. 27 della L. n. 287-90; l’art. 37 della L. 6 agosto 1990 n. 223; l’art. 26 lett. b) del D.L. 9 aprile 1991 n. 127; art. 5 quater del D.L. (NDR: così nel testo) 27 gennaio 1992 n. 90 in tema di attuazione della direttiva 88-627 CEE), in presenza di norme che presuppongono vincoli di voto tra soci; problema in cui si individuano, sul piano delle opinioni, da un lato un’aprioristica condanna in blocco, cui si contrappone una generale apertura da parte di indirizzi dottrinari più recenti. Il problema, nel caso di specie, ha portata più limitata ed attiene alla validità di un limite di voto pattizio intervenuto tra soci e non socio (tra socio subentrante nonché socio già esistente, da un lato, e socio uscente dall’altro) a tutela di un interesse del socio uscente nella sua veste, peraltro, di ex amministratore unico della società di capitali. Una convenzione pattizia del genere indicato, con cui i soci esistenti si sono vincolati a non deliberare l’azione sociale di responsabilità nei confronti dell’ex amministratore-socio uscente, ha in astratto un possibile duplice ed alternativo significato, e cioè: il riconoscimento dell’insussistenza dei presupposti di un’azione di responsabiltà sociale dell’amministratore, con una funzione di accertamento negoziale quale presupposto del vincolo di voto; una funzione abdicativa all’esercizio del diritto di voto nel senso indicato, in presenza dei presupposti di una possibile azione di responsabilità.L’accertamento di fatto su cui si è basata la duplice pronuncia conforme dei giudici del merito, imposta la questione nell’ambito della seconda ipotesi, e tale rimane la linea della disamina, non impugnata sul punto, in sede di legittimità.Inoltre, l’analisi del fatto ha portato ad individuare nella convenzione una tutela a favore dell’amministratore uscente con violazione correlativa dell’interesse sociale, poiché la rinuncia alla delibera dell’azione di responsabilità sociale, se da un lato doveva costituire una forma di tutela dell’amministratore uscente, dall’altro lato detta tutela perseguiva precludendo alla società l’esercizio di ragioni di credito che dall’azione di responsabilità conseguirebbero (come in fatto ne sono conseguite mediante l’esercizio di detta azione), in virtù del vincolo di delibera assembleare previsto dall’art. 2393 C.C. Assume, pertanto, rilievo non tanto la convenzione di vincolo di voto in sè, quanto il contenuto del patto che, ponendo un conflitto di interessi tra il terzo e la società (e quindi tra la società ed i soci, che dell’interesse confliggente del terzo si sono fatti portatori nel negozio in esame), comporta condotte contrarie a finalità imposte dal modello legale. Quand’anche si ritenga che al socio, portatore dell’interesse a tutelare e gestire la sua partecipazione nella società, il potere di votare sia attribuito essenzialmente perché lo eserciti nel suo personale interesse; quand’anche si ritenga ulteriormente che, così inquadrato, detto

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potere sia disponibile e vincolabile negozialmente, diffusa è l’opinione di dottrina, e costante è l’indirizzo della giurisprudenza, secondo cui il potere dispositivo trova un limite nel conflitto di interesse con la società.Se, quindi, il socio non può esercitare il diritto di voto in conflitto con l’interesse sociale, a maggior ragione esso non può disporne, vincolandosi negozialmente ad eser-citarlo, non solo per il perseguimento dell’interesse di un terzo estraneo alla società, ma soprattutto per il contrasto con l’interesse della società.La linea logica in tale senso espressa dalla giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 23 aprile 1969 n. 1290; Cass. 20 ottobre 1969 n. 3423; Cass. 22 dicembre 1969 n. 4023) merita continuità, malgrado le ricordate aperture normative, e trova ulteriore argomento specifico nella disciplina dell’art. 239 c.c. (richiamato per le società a responsabilità limitata dall’art. 2487 c.c.) che vincola la rinuncia all’esercizio dell’azione di responsa-bilità (e la transazione), ad espressa deliberazione dell’assemblea, con il richiamo quindi di una situazione operativa e strutturale inerente al tipo, specifica e non derogabile a pena di nullità (Cass. sent. n. 2681-72; n. 2012-83).Se quella ora indicata è la ragione viziante il negozio in esame, che rende non solo incoercibile l’esercizio del diritto di voto, ma di per sè nulla la clausola pattizia perché contrastante con le finalità imposte dal modello legale, nessun rilievo può assumere la ristretta base della compagine sociale o della comunione di interessi tra i soci, così come nessun rilievo può conferirsi al fatto che con il patto si erano vincolati tutti i soci della società. Ed invero, da un lato la tutela dei soci di minoranza è indubbiamente situazione presente nella disciplina normativa dell’art. 2393 c.c. (tanto che oltre alla maggioranza prevista per la rinuncia, è considerata posizione vincolante anche quella delle minoranze al di sopra di un certo limite); ciò malgrado la tutela inerente alle forme sociali vincolanti non attiene solo ai soci, ma anche ai soggetti terzi che con la società siano entrati in rapporti di credito e che nella conservazione del patrimonio trovano la tutela essenziale delle rispettive situazioni giuridiche soggettive.D’altro lato, seppure si può ritenere che l’esercizio del voto venga attribuito ai soci per l’esercizio e la tutela dei loro interessi personali nell’ambito della società, come già rilevato, ciò non porta necessariamente a fare coincidere l’interesse sociale con quello dei singoli soci, per cui anche il vincolo di voto dell’intera compagine sociale non preclude la causa di nullità indicata, nè consente di superare il limite dell’inte-resse sociale col vincolo di voto pattizio. Nè può, sotto diverso profilo, riguardarsi la situazione in esame sotto il profilo della promessa del fatto del terzo, sia perché detta prospettazione appare inammissibilmente nuova, non emergendo nella specificità dei motivi di appello, sia perché, comunque, il vincolo di voto non si traduce nella promessa del fatto del terzo, ma nella promessa del fatto proprio da parte del socio.Le svolte osservazioni, consentono di confermare sul punto la pronuncia della Corte del merito, nè permettono di dare fondatezza alla subordinata prospettazione formulata dalla ricorrente, volta che la nullità del patto, in quanto improduttiva di qualsiasi effetto, non può essere posta a base nè di pretese risarcitorie, nè di pretese indennitarie.II ) Con il secondo mezzo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 2722 e 2724 c.c. oltre ad erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione agli artt. 360 n. 3 e 5 C.P.C.

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Nella specie la ricorrente si duole della disposta inammissibilità della prova testimoniale, sostenendo in particolare che la Corte del merito si sarebbe limitata alla considerazione del documento 4 luglio 1969 sottoscritto dalla sig.ra Zanni, senza valutare gli accordi nella loro completezza, i quali avevano inizio con la lettera 30 giugno 1969 del sig. Montanari. Ed invero, con dichiarazione stasa su carta intestata di un avvocato in data 30 giugno 1969, il sig. Montanari, confermava il suo assenso al trasferimento al sig. Migliozzi della propria partecipazione, pari al 50% del capitale sociale della s.r.l. Mi-Mo, a condizione di essere sollevato da responsabilità nei confronti della società stessa.Sottoscrivendo la scrittura 4 luglio 1969 la sig.ra Zanni dichiarava: con riferimento (...) alla cessione delle quote della s.r.l. Mi-Mo, già di pertinenza del sig. Battista Montanari, che l’azione di responsabilità, già respinta dall’assemblea, non sarebbe stata riproposta, mentre il sig. Migliozzi sarebbe stato libero di proporre sue personali azioni.La stessa dichiarazione veniva separatamente sottoscritta dal sig. Migliozzi “p. cono-scenza”, e secondo la ricorrente egli ne accettava il contenuto.Se con ciò il Migliozzi accettava tutte le pattuizioni costituenti il contenuto del negozio, accettava anche la clausola della scrittura 30 giugno 1969 con cui il Montanari inten-deva essere manlevato da responsabilità nei confronti della società. Questo costituiva il principio di prova scritta a sostegno dell’ammissibilità delle prove orali.Inoltre la Corte del merito non avrebbe considerato che il divieto di prova testimo-niale di patti aggiunti e contrari al contenuto di un documento, si riferisce solo ad un documento contrattuale, formato con l’intervento di entrambe le parti, e non proveniente da una sola parte.Limitando la considerazione al documento datato 4 luglio 1969, la Corte del merito non si è accorta che esso era documento proveniente da una sola parte.La doglianza non merita accoglimento. Ed invero, anche considerando che la conven-zione sia il risultato di due scritture (una costituita dalla lettera 30 giugno 1969 del sig. Battista Montanari, l’altra dalla nota 4 luglio 1969 della sig.ra Luisa Zanni, sotto-scritta per conoscenza dal sig. Migliozzi), l’interpretazione della convenzione è stata data, con coerente valutazione di merito, da parte della Corte d’Appello, in conformità con quella del Tribunale, nel senso che essa conteneva essenzialmente il vincolo di voto. Conseguentemente, la liberazione “da ogni e qualsiasi responsabilità di carattere sociale” da parte del sig. Migliozzi si era tradotta nel vincolo di voto per l’azione di responsabilità, e come tale era stata attuata dalle parti. Ipotizzare la persistenza, dopo la raggiunta convenzione nel senso del vincolo di voto, di un’autonoma e separata manleva a favore del sig. Montanari ed a carico del sig. Migliozzi, è situazione che, nell’interpretazione della Corte del merito, condivisibile nella sua logica coerenza, si pone come aggiuntiva e contraria alla convenzione scritta e come tale ricadente nella preclusione dell’art. 2722 C.C. Nè assume autonoma rilevanza la scrittura 30 giugno 1969 sotto il profilo dell’art. 2724 n. 1 C.C., sia perché, se considerata autonomamente, essa costituisce atto unilaterale della parte che intende avvalersene e, quindi, estranea alla fattispecie invocata; sia perché, se considerata come proposta contrattuale, secondo l’attuale prospettazione della ricorrente, essa confluisce nell’unico contratto sopra in-dividuato ed avente come unico contenuto il vincolo di voto, per cui comunque esula ancora dalla fattispecie indicata dell’art. 2724 C.C.

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Conseguente è il rigetto del ricorso.La soccombenza regge l’obbligo della rifusione delle spese del giudizio di legittimità.P.Q.MLa Corte, rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in L. 154.900, oltre agli onorari che liquida in L. 4.000.000. Roma 18 ottobre 1993.

ConsiderazioniÈ stata individuata nella convenzione intervenuta tra le parti da parte

del Tribunale una tutela a favore dell’amministratore uscente, con viola-zione correlativa dell’interesse sociale. La rinuncia alla delibera dell’azione di responsabilità sociale, abdicando gli aderenti al patto al diritto di voto «pur in presenza dei presupposti dell’indicata azione», se da un lato doveva costituire una forma di tutela dell’amministratore uscente, dall’altro lato precludeva alla società l’esercizio delle ragioni di credito che dall’azione di responsabilità conseguirebbero. Assume, pertanto, rilievo non tanto la convenzione di vincolo di voto in sé, quanto il contenuto del patto che, ponendo un conflitto di interessi tra il terzo e la società comporta condotte contrarie a finalità imposte dal modello legale. Il socio aderente al patto, come non può esercitare il diritto di voto, non è neppure in grado di vincolarsi negozialmente ad esercitare il diritto di voto in contrasto con l’interesse della società.

A questi rilievi il Professore mi rimandava per l’argomento sempre al para-grafo 9 del primo capitolo e faceva seguire una notazione di carattere più generale: la riforma del diritto societario mediante l’introduzione del nuovo art. 2391-bis C.C. ha previsto la legittimazione del singolo socio - che pos-segga una determinata percentuale di capitale sociale (è interessante notare che lo statuto può abbassare queste percentuali) - di esperire direttamente, senza la necessità della deliberazione assembleare, l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore che ha violato con il suo comportamento le norme di comportamento previste a suo carico dal Codice civile ed è venuto ad arrecare un danno alla società. Non solo. Con la richiamata leg-ge sulla tutela del risparmio il Legislatore ha legittimato anche il collegio sindacale ad esperire l’azione sociale di responsabilità (si veda il nuovo art. 2393, comma 3 C.C.).

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2.8 corte di cassazione, Sezione I, sentenza 29 ot-tobre 1994, n. 8927 Il divieto del c.d. patto leonino posto dall’art. 2265 C.C. (ed estensibile a tutti i tipi sociali, attenendo alle condizioni essenziali del tipo “contratto di società”) presuppone una situazione statutaria - costitutiva dei diritti e degli obblighi di uno o più soci nei confronti della società ed integra-tiva della loro posizione nella compagine sociale - caratterizzata dalla esclusione totale e costante di uno o di alcuni soci dalla partecipazione al rischio di impresa e dagli utili, ovvero da entrambe. Pertanto, esulano dal divieto le pattuizioni regolanti la partecipazione alle perdite e agli utili in misura difforme dall’entità della partecipazione sociale del singolo socio, sia che si esprimano in una misura di partecipazione difforme da quella inerente ai poteri amministrativi (situazione di rischio attenuato), sia che condizionino in alternativa la partecipazione, o la non partecipazione, agli utili o alle perdite al verificarsi di determinati eventi giuridacamente rilevanti. Peraltro, il divieto di esclusione dalla partecipazione agli utili o alle perdite deve essere riguardato in senso sostanziale, e non formale, per cui esso sussiste anche quando le condizioni della partecipazione agli utili o alle perdite siano, nella previsione originaria delle parti, di realizzo impossibile, e nella concretezza determinino una effettiva esclusione totale da dette partecipazioni.

Presidente Salaria - Relatore Bibolini

Svolgimento del processoSulla base di un accordo stipulato in data 1° settembre 1980 con i signori Alfredo, Valentina, Francesca, Giovanni e Massimo Galotto (soci titolari del capitale sociale della s.p.a. Laminatoio di Buttrio), la s.p.a. Friulia (finanziaria regionale) aveva acquisito una partecipazione azionaria di lire 100.000.000 della società predetta (10%). Nell’ac-cordo era previsto l’obbligo dei soci di svolgere un programma di riorganizzazione e di sviluppo della società (clausola n. 5), programma comprendente:a) il completamento di investimenti per lire 70.000.000;b) l’impiego di 56 unità lavorative;c) il raggiungimento ed il consolidamento di un fatturato di almeno 13.000.000.000 di lire nel 1982.In caso di inadempimento a dette condizioni (clausola n. 13) era previsto che la s.p.a. Friulia potesse esigere che i Galotto riacquistassero le azioni della società vendute alla Friulia, al prezzo dalla stessa esborsato e maggiorato dell’interesse semplice del 7% annuo.

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Nel caso, invece, di esito favorevole del programma, era previsto per i Galotto il di-ritto di riscattare dalla s.p.a. Friulia le azioni della s.p.a. Laminatoio di Buttrio, e ciò a prezzo predeterminato ed entro un certo termine.L’accordo predetto era riconfermato, anche negli obiettivi, con atto in data 5 ottobre 1982, in occasione dell’aumento di capitale della s.p.a. Laminatoio di Buttrio e dell’en-trata nella compagine di un azionista tedesco (Sebastian Andorfer OHG), a sua volta sottoscrittore dell’accordo, con la previsione dell’impiego di almeno 50 unità lavorative ed il raggiungimento del fatturato consolidato di 10/12 miliardi entro il 1983.Con ricorso in data 7 novembre 1985 la s.p.a. FRIULIA chiedeva ed otteneva dal Pre-sidente del Tribunale di Trieste ingiunzione di pagamento di lire 136.150.685 contro i Galotto sul presupposto che, dopo avere raggiunto le finalità fissate nell’accordo, la s.p.a. Laminatoio di Buttrio non aveva continuato l’attività e con delibera assembleare del 5 luglio 1985 aveva deciso la cessazione dell’attività produttiva e la rottamazione degli impianti al fine di fruire del contributo statale previsto dall’art. 2 della legge n. 193/84 in favore delle imprese siderurgiche.Su opposizione dei signori Galotto il Tribunale di Trieste pronunciava con sentenza 18 marzo 1987 la revoca del D.I., sul presupposto, ritenuto, dell’insussistenza del credito in coerenza con l’accertata natura di “lettera di patronage” dell’atto in contestazione in relazione alle obbligazioni assunte dai soci; in relazione al fatto che da una lettera di patronage può nascere solo una responsabilità acquiliana, e non contrattuale, e che detta responsabilità nella specie non era sorta in quanto le promesse erano state mantenute per quanto attineva al raggiungimento del fatturato preventivato, mentre la Friulia non aveva manifestato il suo dissenso per la cessazione dell’attività, tanto che, quale socio partecipante ad altra società (la s.p.a. Acciaierie Weissenfels) aveva in assemblea espresso voto favorevole a che il contributo conseguente alla cessazione della s.p.a. Laminatoio di Buttrio venisse reimpiegato nell’aumento di capitale della Weissenfels.Su appello della finanziaria regionale, e nel contraddittorio dei soci Galotto, pronun-ciava la Corte d’appello di Trieste con sentenza n. 309/89 confermativa di quella di primo grado, ancorché con diversa motivazione.In particolare la Corte del merito, escluso che nella specie fosse individuabile una lettera di “patronage”, secondo una delle ipotesi standardizzate dalla prassi delle let-tere di conforto, ed esaminando i patti parasociali, i partecipanti dei quali, almeno per il secondo accordo, erano tutti soci della s.p.a. Laminatoio di Buttrio, riteneva che assumessero rilievo, non tanto gli impegni assunti dai Galotto, pur inquadrabili nell’ambito della “promessa del fatto del terzo”, quanto il regime stabilito per il caso di inadempimento, nel caso che la società fosse rimasta al di sotto di un certo livello di fatturato.Ed invero, l’obbligo dei precedenti soci di riacquistare la quota venduta alla Friulia in caso di inadempienza, e l’obbligo della Friulia di vendere a condizioni predetermina-te ai vecchi soci in caso di adempimento, sottraeva la socia Friulia alternativamente alle perdite ed ai profitti societari, configurando sotto entrambi gli aspetti un “patto leonino” contrario al precetto dell’art. 2265 C.C.

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Né detto patto, così configurato, troverebbe giustificazione alcuna nel fatto che la s.p.a. Friulia era una finanziaria regionale istituita in base alla legge regionale 5 agosto 1966 n. 18 con la finalità di promuovere lo sviluppo economico della regione non solo con l’assistenza finanziaria e tecnico-amministrativa, ma anche mediante la partecipazione a società per azioni. Riteneva la Corte del merito che detta partecipazione dovesse comunque avvenire in conformità a legge, conformità non ravvisabile nella specie per il contrasto con il ricordato art. 2265 C.C.Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione la s.p.a. Friulia sulla base di due motivi, integrati da memoria; si costituivano con controricorso i signori Alfredo, Francesca, Valentina, Giovanni e Massimo Galotto.Motivi della decisione.Con il primo mezzo di cassazione la ricorrente deduce la falsa applicazione dell’art. 2265 C.C. in relazione all’art. 360, n. 3, C.P.C. sostenendo, sul ritenuto patto leonino, che l’intera motivazione svolta dalla Corte del merito era basata su assiomi, non es-sendo stato riguardato il complesso dei patti, né sotto il profilo soggettivo, né sotto quello oggettivo.Sostiene la ricorrente che se la Corte del merito avesse valutato il complesso delle clau-sole delle pattuizioni in esame, anziché limitarsi ad isolare le sole ipotesi conseguenti all’inadempimento, avrebbe rilevato che la Friulia era entrata nella compagine sociale come “socio d’impulso”; la Friulia, cioè, non era entrata nella s.p.a. Laminatoio di Buttrio per finanziarla con l’acquisto di azioni, ma per assisterla dal di dentro con le proprie capacità (non esclusivamente, ma anche finanziarie) e concorrere a risollevarne la condizione economica di impresa, unitamente agli altri soci.In questa prospettiva, che è coerente con la finalità della finanziaria regionale secondo la legge regionale di previsione, le clausole esaminate dalla Corte non avrebbero costituito patto leonino, ma clausola “penale” a favore di una parte in caso di inadempimento e clausola “premiale” per l’altra parte in caso di adempimento. In questa prospettiva né l’una né l’altra clausola costituirebbero patto leonino. Non la prima perché non si esclude la sopportazione di perdite da parte della Friulia, in caso di gestione negativa per cause diverse dall’inadempimento. Non la seconda che conferma il diritto della Friulia, finché socia, alla percezione degli utili, la cui detrazione opera soltanto in funzione della determinazione del prezzo della eventuale cessione delle azioni ai soli soci Galotto.II Con il secondo mezzo la ricorrente deduce la violazione (mancata applicazione) degli artt. 1381 e 1382 C.C. ed omessa motivazione, sotto il profilo dell’art. 360 nn. 3 e 5 C.P.C.La ricorrente, richiamando le proprie difese dei gradi di merito, sostiene che la fat-tispecie deve essere inquadrata nella promessa del fatto del terzo (art. 1381 c.c.) ove oggetto della promessa era la realizzazione di un programma di riorganizzazione e sviluppo aziendale, promittenti erano i Galotto nel 1980 nonché i Galotto e la Seba-stian Andorfer OHG nel 1982, quali azionisti di maggioranza e gestori della società; promissaria era la Friulia; terza la s.p.a. Laminatoio di Buttrio.La conseguenza dell’inadempimento erano le situazioni risolutive e risarcitorie previ-ste dalle clausole 13 dell’atto 1° settembre 1980 e 14 dell’atto 5 ottobre 1982. Rispetto

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alla promessa del fatto del terzo, dette clausole null’altro erano se non clausole penali sanzionanti l’inadempimento del patto.I due motivi meritano una trattazione congiunta coinvolgendo un unico problema visto sotto diversi punti di vista.La controversia, quale emerge dal dibattito tra le parti, pone un quesito fondamentale, e cioé: se l’omessa partecipazione alle perdite o agli utili integri la condotta negoziale vietata dall’art. 2265 C.C. per la società semplice, ed estensibile a qualsiasi tipo socia-le, quand’anche la relative clausole pattizie non siano parte del contratto sociale ma di patti parasociali e quand’anche il limite di partecipazione agli utili o alle perdite non sia assoluto, ma sottoposto a condizioni coordinabili con il perseguimento di una funzione, in ipotesi meritevole di tutela giuridica a norma dell’art. 1322 C.C., ed espressione dell’autonomia negoziale.La tesi rigoristica ed unitaria seguita dalla Corte di Trieste, uniformatasi a rilevanti voci di dottrina sul punto, merita opportuna considerazione, così come merita adeguato rilievo la tesi aperta a più ampie possibilità sostenuta dalla ricorrente nell’ipotesi in cui la limitazione del socio alla percezione degli utili ed alla partecipazione alle perdite sia parte di una più ampia negoziazione parasociale, che ha trovato riscontro in alcune voci di dottrina ed in alcune datate pronunce di questa Corte, che ben raramente ha avuto occasione di esprimersi sulla disciplina dell’art. 2265 C.C.Innanzi tutto occorre individuare il caso di specie, nella sua configurazione negoziale, secondo le indicazioni emergenti dalla sentenza oggetto del ricorso e dai riferimenti incontroversi delle parti nel giudizio di legittimità.La s.p.a. FRIULIA - FINANZIARIA REGIONALE FRIULI VENEZIA GIULIA - è una finanziaria regionale operante per scopi di pubblico interesse, volti a promuovere lo sviluppo economico regionale ed operante con la finalità di reintegrazione di condizioni di economicità di imprese in crisi, ovvero di promozione di nuove attività economiche, nella regione costituente l’ambito di esplicazione della sua attività.In tale veste la Friulia, convenendo con i soci della s.p.a. Laminatoio di Buttrio, re-sponsabili dell’impostazione produttiva e della gestione azienda, un programma pro-mozionale cui essa contribuiva finanziariamente (programma individuato mediante il conseguimento entro un certo termine di determinati risultati), aveva acquisito azioni per lire 100.000.000 convenendo con i soci stessi due ipotesi alternative, e cioè:1) in caso di mancato conseguimento del risultato convenuto, la Friulia si riservava il diritto di rivendere ai soci le azioni allo stesso prezzo di acquisto, maggiorato l’in-teresse del 7%;2) in caso di raggiungimento e di consolidamento del risultato convenuto, i soci Galotto si riservavano il diritto di riscattare le azioni dalla Friulia al prezzo di acquisto.La liquidazione della quota, quindi, nell’un caso e nell’altro, secondo la tesi espressa dalla Corte di Trieste, avrebbe neutralizzato la Friulia dalla partecipazione alle perdite nel primo caso e dalla partecipazione agli utili, nel secondo caso.Già da questi dati fondamentali, peraltro, emerge che la neutralizzazione della quota societaria acquisita dalla Friulia rispetto alla partecipazione agli utili ed alle perdite non era caratteristica assoluta né costante, quanto meno secondo il dato testuale delle

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clausole richiamate. Ed invero, sotto il primo profilo (quello delle perdite) la Friulia, con il diritto di rivendere agli altri soci le azioni allo stesso prezzo di acquisto oltre ad interessi convenzionali (diritto convenuto solo nel caso di mancato adempimento da parte dei soci, esprimenti in maniera determinante l’amministrazione e la gestione dell’impresa sociale, all’obbligazione di fare conseguire alla società partecipata deter-minati risultati), avrebbe avuto in tale ipotesi indubbiamente il potere di scaricare le perdite sulle quote patrimoniali degli altri soci e non sulla quota rappresentata dalle azioni a mani della Friulia. L’esclusione dalle perdite, peraltro, si sarebbe verificata solo in tale ipotesi, collegata al diritto della rivendita delle azioni a condizioni preconcor-date. Nel caso pertanto che, pur con il conseguimento di quei risultati (individuati non con riferimento ad un utile di bilancio, né esclusi dalla sussistenza di una perdita, ma ragguagliati ad entità di aumento di capitale, di fatturato e di mano d’opera im-piegata) la società fosse stata comunque in perdita, ovvero il mancato conseguimento dei risultati convenuti non fosse ascrivibile a responsabilità colposa o dolosa degli altri soci, la Friulia non avrebbe avuto il potere di rivendere le azioni alle condizioni predeterminate ed essa avrebbe dovuto subire, come qualsiasi altro socio, la perdita sul valore delle proprie azioni, perdita che si sarebbe quantificata sia nell’ipotesi di vendita delle azioni, sia nella eventuale fase di liquidazione della società.Ed ancora, sotto il secondo profilo, la mancata partecipazione della Friulia agli utili, secondo l’illustrazione della Corte del merito, sarebbe collegata al potere, da parte degli altri soci, di riscattare le azioni della Friulia a condizioni predeterminate. Ciò è vero, però, solo in parte; è vero, in particolare, per gli utili non distribuiti e cumulati con il capitale; non è vero per gli utili che fossero stati distribuiti con i bilanci an-nuali durante il periodo di titolarità delle azioni da parte della finanziaria regionale, utili distribuiti che nessuna incidenza avrebbero potuto avere sul valore del capitale e delle azioni.In conclusione, vi era indubbiamente la possibilità concreta che la Friulia, per la quo-ta sociale acquisita non rispondesse di perdite, né percepisse utili, ma ciò non come situazione costante caratterizzante comunque la sua partecipazione sociale, ma come situazioni alternative, ricorrenti in presenza di determinate condizioni, e non sussistenti in altre. Ciò, quanto meno, secondo la letteralità delle clausole del patto parasociale.Tanto premesso in ordine alla situazione in discussione, occorre puntualizzare in linea di diritto che il precetto vincolante dell’art. 2265 C.C., indubbiamente estensibile a tutti i tipi sociali in quanto attinente alle condizioni essenziali del tipo “contratto di società” è, secondo la fattispecie derivante dalla norma, caratterizzata da due situa-zioni, e cioè:a) il patto leonino nullo sussiste quando un socio viene escluso, in via alternativa, da “ogni” partecipazione agli utili o alle perdite, ed a maggior ragione quando venga escluso da entrambe le forme di partecipazione indicate;b) il patto, in via di normalità, costituisce parte del contratto sociale, individuando la posizione di un socio nell’ambito societario e nella compagine sociale.In ordine alla caratteristica sub a), di conseguenza, il patto leonino non caratterizza la posizione di un socio che pur possa partecipare alle perdite ed agli utili, in misura

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non coerente all’entità delle azioni possedute; la mancata rispondenza, nell’entità per-centuale rispetto al capitale sociale, tra poteri corporativi e diritti o rischi patrimoniali, è situazione che esula dal precetto dell’art. 2265 C.C. ed in esso rientra sol quando la mancata rispondenza tra poteri, da un lato, diritti e rischi dall’altro, riduca questi ultimi a nulla, caratterizzando in tal senso la posizione del socio “leo”.È opportuno ricordare, per il tipo “società per azioni” richiamabile nella specie, la di-sciplina dell’art. 2351, secondo comma, c.c. che, nella previsione delle azioni privilegiate, raggruppa in modo indifferenziato tutte le azioni munite di diritti patrimoniali maggiori di quelli normalmente attribuiti dalla partecipazione sociale, lasciando all’autonomia negoziale (statutaria) la determinazione dell’entità e del modo d’essere del privilegio, con l’unico limite dell’art. 2265 c.c., senza che giochi nel sistema un’esigenza di bilan-ciamento tra la componente patrimoniale e quella amministrativa dell’azione.È pur vero che, quale criterio informatore del sistema, emerge un’esigenza che alla compressione della componente amministrativa debba necessariamente corrispondere un rafforzamento quantitativo di quella patrimoniale (esempio ne sono le azioni a risparmio). Peraltro nel nostro ordinamento quell’esigenza è recepita soltanto quando l’autonomia statutaria interviene a comprimere i diritti amministrativi e, in particolare il diritto di voto; non è vero, però, il contrario (quando alla pienezza dei diritti ammi-nistrativi corrisponda una compressione di quelli patrimoniali), in quanto il contenuto patrimoniale dell’azione è modellabile dagli statuti senza alcun vincolo di equilibrio interno con le altre componenti (come emerge dall’art. 2351, secondo comma, c.c. che consente, ma non impone, la limitazione del diritto di voto spettante alle azioni privilegiate), che non sia il patto leonino.Al fine di individuare la sussistenza, o non, di un patto statutario contrario al precetto dell’art. 2265 c.c., quindi, non è sufficiente individuare uno squilibrio tra poteri cor-porativi e poteri patrimoniali privilegiati per alcuni soci e compressi per altri (quando i primi non siano a loro volta compressi), né assume rilievo mera graduazione statu-taria del rischio di impresa, ma assume rilievo l’individuazione dell’eliminazione del rischio di impresa, nella duplice, ed alternativa, previsione della esclusione “da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”.Ciò che la legge, con il precetto dell’art. 2265 c.c., pone come limite invalicabile al-l’autonomia statutaria, non è il mancato bilanciamento tra poteri amministrativi e poteri patrimoniali (che pur costituisce l’ipotesi di normalità in base alla disciplina dell’art. 2263), né una graduazione della ripartizione dei rischi e degli utili dell’im-prsa sociale difforme dalla quota di partecipazione sociale, ma l’esclusione in modo assoluto e sostanziale dai rischi della perdita e dai diritti agli utili per alcuni dei soci rispetto ad altri.Come è stato rilevato in dottrina, rapportando il divieto in questione alla nozione di capitale sociale, la ragione per cui la legge ha imposto non solo la costituzione di un patrimonio sociale, ma anche la formazione ad opera di tutti i soci, è da ricercare nella volontà di rendere tutti i membri del gruppo partecipi del rischio d’impresa conseguente all’attività svolta al fine di garantire, nell’interesse generale, un esercizio avveduto e corretto dei relativi poteri. La possibilità di perdere, infatti, il valore econo-mico rappresentato dal proprio conferimento, dovrebbe costituire un sufficiente stimolo

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a spingere il socio ad astenersi da operazioni eccessivamente aleatorie ed a prodigarsi per il favorevole esito dell’impresa. Coerentemente con questa impostazione, la legge, vietando l’esclusione delle perdite ha voluto che il socio fosse fosse partecipe del ri-schio sociale per ragioni di politica economica, in quanto colui che non partecipasse al rischio, ma solo all’utile, non porterebbe nella formazione della volontà sociale il medesimo interesse degli altri soci, ponendosi in conflitto di interessi rispetto agli stessi che possono sia perdere che guadagnare. In situazione omologa e contraria, l’esclu-sione dagli utili si ricollega alla necessità di impedire che un socio possa partecipare alla gestione in difetto di interesse alla stessa. Conseguentemente partecipazione agli utili e partecipazione alle perdite, in relazione al conferimento eseguito, costituiscono elementi essenziali ed inscindibili della partecipazione sociale, differenziando il socio dal semplice associato.Peraltro, perché il limite all’autonomia statutaria dell’art. 2265 C.C. sussista, è neces-sario che l’esclusione dalle perdite o dagli utili costituisca una situazione assoluta e costante. Assoluta, perché il dettato normativo parla di esecuzione “da ogni” parteci-pazione agli utili o alle perdite, per cui una partecipazione condizionata (ed alternativa rispetto all’esclusione in relazione al verificarsi, o non, della condizione) esulerebbe dalla fattispecie preclusa. Costante, perché riflette la posizione, lo status, del socio nella compagine sociale, quale delineata nel contratto di società.Pertanto, l’esclusione dalle perdite o dagli utili, in quanto qualificante lo status del socio nei suoi obblighi e nei suoi diritti verso la società e la sua posizione nella compagine sociale, secondo la previsione dell’art. 2265 C.C., viene integrata quando il singolo socio venga per patto statutario escluso in toto dall’una o dall’altra situazione o da entram-be. Quando, per contro, sussista una regolamentazione della partecipazione al rischio ed agli utili in misura non coerente al capitale conferito, ci si troverebbe in presenza di espressione di autonomia statutaria nella regolamentazione della partecipazione al rischio, non rientrante nella previsione della nullità in esame. E la regolamentazione del rischio, che esuli “da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”, può essere anche integrata dalla previsione di ipotesi (purché coerenti ad interessi rilevanti), in cui il socio partecipi ad utili ed a perdite in alternativa ad ipotesi in cui detta partecipazione sia esclusa, e pertanto non integrante una esclusione totale e costante.Peraltro, tanto ritenuto in linea di principio, si rileva che l’esclusione, oggetto del di-vieto, deve individuarsi con un riferimento sostanziale alle situazioni giuridiche che dal patto possono derivare, non formale. Pertanto se la previsione di esclusione delle perdite o dagli utili, sia subordinata a limiti tali da rendere la partecipazione alle perdite o agli utili praticamente impossibile, si verterebbe sempre in una convenzione leonina camuffata, soggetta al precetto dell’articolo in esame che ne sanziona la nullità.La Corte del merito, quindi, che non ha ampliato l’analisi ad una concreta interpre-tazione delle clausole in esame, ritenendole senz’altro integranti un patto leonino in carenza di una disamina completa secondo i parametri che la fattispecie richiedeva, è chiamata ad un riesame della situazione sulla base dei principi sopra esposti, riesame volto ad individuare se le clausole in esame integrino, in quanto tali, o non, un patto leonino vietato. In caso di risposta negativa, ovviamente, sarebbe chiusa l’analisi senza ulteriore considerazione del fatto che nella specie le clausole controverse non facevano

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parte di un contratto di società, ma di un patto parasociale, in quanto se tali clausole non fossero nulle qualora comprese in un contratto sociale (che costituisce la fattis-pecie direttamente prevista dall’art. 2265 c.c.), a maggior ragione la loro validità non verrebbe posta in discussione, sotto il profilo indicato, qualora costituissero contenuto di un patto parasociale.I principi cui la Corte del merito, nella nuova disamina, si atterrà sono i seguenti:1) il divieto di cui all’art. 2265 c.c. integra una situazione statutaria, costitutiva dei diritti e degli obblighi di uno o più soci nei confronti della società ed integrativa della loro posizione nella compagine sociale, situazione caratterizzata dalla “esclusione to-tale e costante” di alcuni soci dalla partecipazione al rischio di impresa e dagli utili, ovvero da entrambe;2) esulano dal divieto le pattuizioni regolanti la partecipazione al rischio ed agli utili in misura difforme dall’entità della partecipazione sociale del singolo socio, costituenti espressione dell’autonomia statutaria, che nelle società per azioni trovano riscontro nella previsione delle azioni privilegiate, sia che si esprimano in una misura di partecipazione difforme da quella inerente ai poteri amministrativi (situazioni di rischio attenuato), sia che condizionino in alternativa la partecipazione, o la non partecipazione, agli utili o alle perdite al verificarsi di determinati eventi giuridicamente rilevanti;3) il divieto di esclusione dalla partecipazione agli utili o alle perdite, deve essere ri-guardata in senso sostanziale, e non formale, per cui esso sussiste, anche in presenza di una delle ipotesi del precedente numero 2), quando le condizioni della partecipa-zione agli utili o alle perdite siano, nella previsione originaria delle parti, di realizzo impossibile, e nella concretezza determinino una effettiva esclusione totale da dette partecipazioni, con la costanza ragguagliata al periodo di partecipazione del socio in posizione dominante.L’analisi delle clausole contrattuali, per valutarne la concreta corrispondenza ad una o ad altre delle situazioni indicate nei principi enunciati, rientra nella funzione del giudice del rinvio, pur rilevando che già dall’enunciazione delle clausole riportate nella sentenza oggetto di ricorso, emerge sotto il profilo formale che l’esclusione dalle perdite e dagli utili non è, nel caso di specie, né totale né costante.Qualora la Corte del rinvio giungesse a ravvisare nelle clausole in esame la sussistenza del c.d. patto leonino, occorrerebbe valutare la diversa posizione indicata sub b) nell’im-postazione di premessa. Occorre valutare, vale a dire, se abbia, o non, incidenza il fatto che le clausole in esame non erano espressione di autonomia statutaria, ma di un patto parasociale intervenuto tra i soci della s.p.a. Laminatoio di Buttrio e la finanziaria regionale s.p.a. Friulia, in un primo tempo non socia, quindi essa stessa socia della società operativa in occasione della conferma dei patti dopo l’entrata del socio straniero.È ovvio, innanzi tutto, che se il patto parasociale avesse la funzione essenziale di elu-dere il divieto dell’art. 2265 c.c., esso diverrebbe un negozio in frode non meritevole di autonoma tutela ed incorrente a sua volta nella previsione di nullità dell’articolo citato, in quanto, come è stato rilevato in dottrina, se la legge ha sottoposto un rapporto a norme imperative, ed ha imposto degli obblighi ai contraenti, non è certo perché questi debbano rispettarli come parti del contratto sociale, ma possano al tempo stesso contraddirli come terzi.

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Diversa, però, potrebbe essere la situazione qualora il negozio costituente patto para-sociale, pur contenendo una clausola di esclusione da rischi e da utili che verrebbero caricati agli altri contraenti (i quali siano a loro volta soci), abbia una sua autonoma funzione meritevole di tutela a norma dell’art. 1322 c.c. In tale senso si è espressa una datata sentenza di questa Corte sotto la vigenza del presente codice (Cass. 14 giugno 1939 n. 2475) che, distinguendo tra contratto e patto parasociale, ammetteva la validità della convenzione in quanto integrante un accordo causalmente separato dal contratto sociale (un autonomo contratto di garanzia). Nella stessa linea, ancorché in diversa fattispecie, si può richiamare Cass. 22 giugno 1963 n. 1686 che aveva escluso il patto leonino in una convenzione che importava il pagamento di una somma quale corrispettivo del godimento di diritti temporalmente trasmessi da un gruppo di soci ad altro gruppo di soci, ed inoltre Cass. 25 marzo 1966 n. 787, per quanto riferita a diversa fattispecie.Si consideri che l’esclusione dalle perdite e (non “o”) dagli utili (come si verificherebbe nel caso di specie qualora si ravvisasse il patto leonino nella previsione esaminata sub a)), lascia al socio privilegiato soltanto i poteri corporativi.La figura del soggetto che possa disporre di azioni al solo fine di esercitarne i poteri amministrativi, ancorché in relazione ad una funzione meritevole di tutela, non è estranea al nostro ordinamento societario, solché si consideri la fattispecie del pegno di azioni (art. 2352 C.C.), in cui al creditore fruente del pegno spetta il diritto di voto, ancorché la funzione di garanzia dell’obbligazione possa sfumare, assumendo invece funzione essenziale l’attività di controllo esercitabile mediante la partecipazione all’organo deliberante assembleare. Si pensi all’ipotesi del pegno di azioni a garanzia di un credito fatto alla stessa società, partecipata con dette azioni; è evidente che il valore delle azioni non sarà superiore a quello del patrimonio sociale, per cui il credito insoddisfatto verso la società per incapienza patrimoniale non potrà trovare maggiore soddisfazione nella vendita delle azioni, che dello stesso patrimonio sono rappresenta-tive; ciò malgrado la funzione di controllo dell’andamento sociale attraverso l’esercizio del diritto di voto è espressione dell’interesse del creditore al buon andamento della società, ed all’esplicazione di attività societaria per il suo conseguimento, quanto meno ai fini satisfattori delle sue ragioni creditorie.Lo stesso risultato, conseguibile mediante il rapporto di costituzione in pegno delle azioni a garanzia di obbligazioni della società partecipata, può perseguirsi in via in-diretta, ma ciò malgrado non meno meritevole di tutela, mediante l’acquisizione di azioni (ovviamente dagli altri soci) della società al cui buon andamento economico e funzionale si abbia interesse, e nel contempo privando lo status di socio (mediante contratto parasociale stipulato con gli stessi soci alienanti delle azioni), dei poteri e dei rischi patrimoniali; poteri e rischi che permangono negli altri soci contraenti, lasciando persistere per l’acquirente solo i poteri corporativi.Come in precedenza rilevato, la ragione del divieto dell’art. 2265 C.C., deve ravvisarsi nel fatto che la partecipazione agli utili ed al rischio dell’esercizio dell’impresa costitui-scono il migliore incentivo all’esercizio avveduto e corretto dei poteri amministrativi; essi costituiscono, inoltre, nella compagine societaria ed in virtù della funzione del contratto di società, l’unico ed essenziale incentivo all’esercizio, in un senso produttivo,

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in altro senso non avventato, dei poteri corporativi, e giustificano una scelta di politica legislativa nel senso indicato dall’art. 2265 C.C. Ciò non toglie che l’esercizio degli stessi poteri possa essere conferito, con un rapporto che presuppone il contratto sociale ma che con esso non si confonde (per l’appunto un contratto parasociale), a soggetti che pur non partecipando alle perdite o agli utili, traggano l’incentivo all’esercizio produttivo, e nel contempo corretto ed avveduto, dei poteri amministrativi, da una serie di interessi rilevanti di altra natura che al buon esito dell’andamento dell’impresa sociale siano connessi. In tale caso, analogamente a quanto avviene con la costituzione in pegno delle azioni, un contratto parasociale avente una funzione causale autonomamente meritevole di tutela e non volta unicamente alla violazione del disposto dell’art. 2265 C.C., ma espressione di un interesse alla buona gestione dell’impresa, può rientrare in una valutazione di validità, non essendo espressione di quelle ragioni di politica economica che sono alla base del precetto dell’art. 2265 C.C.Possono giocare in tale senso la funzione di impulso e di controllo che una finanziaria a finalità pubblicistiche, coerente al proprio oggetto sociale ed alla disciplina normativa regionale inerente alla sua istituzione, abbia dedotto come oggetto del contratto para-sociale a garanzia dell’impegno, anche finanziario, da essa impiegato per risollevare le sorti di un’impresa ovvero per incentivarne la costituzione o lo sviluppo; gioca in tale senso la deduzione espressa nel contratto parasociale della funzione incentivante allo sviluppo di imprese regionali, rispetto alla quale la responsabilità degli altri soci, aventi funzione preponderante nella determinazione della gestione di impresa, ovvero l’attribuzione a detti soci in via esclusiva degli utili della gestione, costituiscono l’indice di clausole contrapposte penali o premiali, che non qualificano il disinteresse della finanziaria regionale alla gestione dell’impresa, ma che al contrario possono qualificare detto interesse e realizzarlo mediante l’apporto coordinato dell’attività incentivante e finanziaria della società regionale e l’attività gestoria degli altri soci, che ad una buona gestione sono a loro volta indotti proprio dalla funzione di garanzia e promozionale delle clausole penali e premiali.Non sarebbe sufficiente addurre, quindi, che comunque, l’accollo di tutte le perdite da parte degli altri soci (nel caso che in tale senso volgesse l’indagine sostanziale del giudice del rinvio sul punto indicato sub a)) e la riserva agli stessi di tutti gli utili, delineerebbe comunque la mancanza di interesse ad un corretto uso dei poteri amministrativi da parte della Friulia, carenza di interesse che è alla base, come già rilevato, del divieto dell’art. 2265 C.C., potendosi individuare, in senso opposto, che l’esistenza di detto interesse può costituire l’oggetto principale dedotto espressamente nel contratto parasociale, delineato attraverso la indicazione di parametri economici da perseguire: potrebbe rilevarsi che l’interesse della società partecipante sul piano finanziario è atto ad assumere tale rilievo da indurre, con clausole penali e premiali, gli altri soci (costituenti la assoluta maggioranza dalla quale dipendeva in modo assoluto la gestione dell’impresa) ad attivarsi utilmente in quella stessa direzione, onde evitare l’adagiarsi su situazioni di comodo assistenzialismo pubblicistico.Una volta quindi ammesso, come la Corte di Trieste ha ammesso, sia pure in via mera-mente concessiva, che il contratto parasociale esprima una promessa del fatto del terzo, la funzione del negozio parasociale (ancorché comporti in via di ipotesi la sottrazione della Finanziaria regionale dalla partecipazione alle perdite ed agli utili), è tutt’altro

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che irrilevante, dovendosi accertare se detta sottrazione abbia una finalità meramente elusiva del divieto dell’art. 2265 C.C. (ed in tale caso cadrebbe nella previsione di nullità di detto articolo), ovvero integri una funzione autonomamente meritevole di tutela, validamente deducibile in un contratto distinto dal contratto sociale, ancorché presupponga un contratto sociale, e non in contrasto con le ragioni fondamentali che sono alla base del divieto dell’art. 2265 c.c. In tale caso, si impone un’analisi partico-lareggiata devoluta al giudice del merito che, se svolta nel senso meritevole di tutela della funzione perseguita col singolo contratto, non esclude la validità dello stesso, validità che potrebbe essere affermata.Detta analisi, svolta secondo i criteri normativi di ermeneutica negoziale ed in coerenza con la disciplina dell’art. 1322 C.C., non è stata fatta dal giudice di secondo grado e deve essere svolta dalla Corte del rinvio, cui è pure demandato, infine, di accertare, a seconda dell’esito delle analisi indicate, se sussista, o no, la situazione creditoria dedotta in controversia originariamente dalla s.p.a. Friulia.Alla Corte del rinvio è devoluta anche la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.La Corte, accoglie il ricorso; cessa e rinvia, anche per le spese del giudizio di legitti-mità, ad altra sezione della Corte d’Appello di Trieste.

ConsiderazioniLa domanda che si pone il giudicante è la seguente: ovvero se l’omessa

partecipazione alle perdite o agli utili integri la condotta negoziale vietata dall’art. 2265 C.C. (divieto del patto leonino) - il cui divieto è applicabile ad ogni tipo di società - anche quando le relative clausole patrizie non siano parte del contratto sociale, ma bensì di un patto parasociale.

Secondo il procedimento logico seguito dalla Corte giudicante sarà necessario interrogarsi sulla funzione del negozio parasociale, dovendosi accertare se detta sottrazione (nella specie, l’esclusione dalle perdite e dagli utili) abbia una finalità meramente elusiva del divieto dell’art. 2265 C.C. (ed in tale caso cadrebbe nella previsione di nullità di detto articolo - patto leonino), ovvero integri una funzione autonomamente meritevole di tutela, validamente deducibile in un contratto distinto dal contratto sociale, an-corché presupponga un contratto sociale, e non in contrasto con le ragioni fondamentali che sono alla base del divieto dell’art. 2265 C.C.

Quello che si impone, pertanto, è un’analisi particolareggiata - devoluta al giudice del merito - che se dimostra meritevole di tutela la funzione perseguita col singolo contratto, non esclude la validità dello stesso.

Detta analisi, deve essere svolta secondo i criteri normativi di erme-neutica negoziale ed in coerenza con la disciplina dell’art. 1322 C.C. A detti parametri doveva uniformarsi il giudice del rinvio per statuire sulla controversia.

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Entrambi esausti decidemmo di concludere il nostro incontro a questa pro-nuncia. Ci salutammo, dandoci appuntamento per l’indomani pomeriggio. Il Professore lasciò tutto il materiale sul tavolo, pronto per la ripresa dei lavori l’indomani.Stavo cominciando a sentire una leggera stanchezza. Quella notte caddi in un sonno profondo. Non riuscii neppure a mettere la sveglia. Solo i raggi di sole della mattina seguente mi svegliarono. Erano le 10.30, avevo dormito otto ore. Fortunatamente non avevo udienze quella mattina, altrimenti le avrei perse di sicuro. A quel punto decisi di dedicare la mattina e parte del pomeriggio a me stesso. Fatti alcuni “giri”, mi recai presso il rivenditore di prodotti da fumo per acquistare quel presente da regalare al Professore. Come già stabilito, optai per un taglia sigari trasparente, a ghigliottina. Ovviamente mi premurai che il taglia sigari fosse ben limato. Si trattava di taglia sigari sobrio ed elegante, ma allo stesso tempo pratico.Pregai il negoziante di farmi un bel pacco regalo, decorato con una piccola coccarda bianca posta nella parte anteriore destra dello stesso. Riposi il regalo nel cruscotto della mia vettura (soprattutto per non dimenticarlo).Era ormai pomeriggio inoltrato, si era quasi fatta l’ora dell’incontro.Mi diressi, una volta parcheggiata la vettura, con passo deciso, verso la antica libreria. Ci aspettavano altre sentenze.Una volta entrato nel locale, come ormai tradizione, il Professore, dopo i soliti convenevoli, non perse tempo in chiacchiere e mi invitò a prendere posto e a proseguire nella lettura delle sentenze che restavano.Nel frattempo lui, premurandosi che il negozio fosse chiuso, diversamente da quanto aveva fatto l’ultima volta, iniziò a fumare con molta tranquillità il suo sigaro. Quella volta ebbi la conferma che il Professore, sia pur fosse stato un accanito fumatore, non aveva un taglia sigari su cui contare.Avevo certamente optato per il regalo giusto.

2.9 corte di cassazione, Sezione I, sentenza 20 set-tembre 1995, n. 9975

In una società per azioni la convenzione tra alcuni soci avente ad oggetto la designazione di componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, valida ed efficace se di durata prefissata, è nulla per conflitto con il principio generale dell’invalidità delle obbligazioni di durata indefinita, se non contiene una data di scadenza.

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Presidente Cantillo - Relatore Rordorf

La Corte (omissis).Venendo dunque ad esaminare le ragioni di doglianza prospettate dalle ricorrenti incidentali con riguardo all’affermata validità del patto parasociale di cui si discute, è necessario anzitutto ricordare che, con tale patto, i germani Sciarretta si sono vin-colati per far sì che “colui o coloro che complessivamente detengono o deterranno” le partecipazioni azionarie attualmente in possesso di essi Sciarretta abbiano e con-servino la possibilità di designare un certo numero di amministratori e sindaci dello Stabilimento Laterizi s.p.a.: e precisamente due consiglieri di amministrazione da parte di Vincenzo Sciarretta, titolare del 25 per cento del capitale sociale, un consigliere di amministrazione, un sindaco effettivo ed un supplente, a turno, da parte delle quattro sorelle, titolari ciascuna del 6,25 per cento del capitale.Questo accordo - per la cui intelligenza è necessario aggiungere che un coevo analo-go patto era stato stipulato dai germani Sciarretta, unitariamente, con un altro socio titolare della restante metà del capitale della medesima società - è stato interpretato dalla Corte d’appello non come implicante una potestà di nomina diretta delle cariche sociali, rimessa ai soci al di fuori dell’assemblea, bensì nel senso che, in occasione delle deliberazioni assembleari di nomina degli amministratori e dei sindaci, i soci firma-tari si siano obbligati a votare in conformità alle indicazioni formulate da quello tra essi cui l’accordo conferisce l’indicata facoltà di designazione preventiva. E, nessuna censura essendo stata sollevata a tale interpretazione (del resto plausibile e coerente con il principio di conservazione della validità dei contratti) essa va senz’altro tenuta ferma anche in questa sede.L’accordo di cui si discute può essere quindi con sicurezza annoverato nell’ambito dei patti parasociali, ed in particolare dei cosiddetti sindacati di voto, di cui la legge non fornisce regolamentazione alcuna, ma che sono notissimi alla prassi in quanto desti-nati, appunto, a disciplinare in via meramente obbligatoria tra i soci contraenti - senza però effetti diretti nei riguardi della società - il modo in cui dovrà atteggiarsi il loro diritto di voto in assemblea. Non occorre aggiungere (essendo cosa ben risaputa) che sulla validità dei sindacati di voto, la cui concreta conformazione può essere peraltro assai varia, la giurisprudenza ha assunto nel tempo posizioni piuttosto oscillanti, delle quali molto naturalmente si è discusso anche in dottrina.Ora, la difesa delle ricorrenti incidentali, talvolta riprendendo alcune delle argomenta-zioni che tradizionalmente sono state addotte contro la validità dei sindacati di voto, ha sostenuto nei precedenti gradi del giudizio, e tuttora sostiene, che un patto del genere di quello stipulato dai germani Sciarretta sarebbe affetto da assoluta nullità.Giova però distinguere, a tal riguardo, le argomentazioni di ordine generale, che come si vedrà non appaiono persuasive, da quelle che specificamente si riferiscono alla conformazione del patto in esame, ad alcune delle quali, invece, non può negarsi fondamento.Non persuade, innanzitutto, in termini generali, l’affermazione secondo la quale il sindacato di voto, ed in specie l’accordo parasociale avente ad oggetto la nomina di organi della società, svuoterebbe l’assemblea di ogni significato e la priverebbe del

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potere di scegliere la forma dell’organo amministrativo (se monocratico o collegiale), nonché le persone degli amministratori e dei sindaci, di fatto così sanzionando una sorta di inerzia assembleare che, ove protratta, dovrebbe addirittura condurre allo scioglimento della società ai sensi dell’art. 2448, n. 3, codice civile.Se una tesi siffatta fosse condivisibile, nella sua assolutezza, ne conseguirebbe eviden-temente l’invalidità di tutti i patti di sindacato il cui oggetto consista nel disciplinare in vario modo l’esercizio del diritto di voto dei soci in assemblea anche, e soprattutto, con riferimento alla nomina delle cariche sociali. Ma, come ormai anche la quasi una-nime dottrina ha acclarato, non sussiste alcun valido motivo giuridico che giustifichi una simile conclusione.Non è esatto, in particolare, che, vincolando con dei patti parasociali la propria libertà di voto, i soci finirebbero per svuotare l’assemblea delle funzioni e dei poteri che ad essa la legge attribuisce. Così argomentando, si confondono infatti piani diversi. Il vincolo nascente dal patto di sindacato opera su un terreno che è esterno a quello dell’organizzazione sociale (donde, appunto, il carattere parasociale del patto) e non impedisce in alcun modo al socio di determinarsi all’esercizio del voto in assemblea come meglio egli creda, sicché il funzionamento dell’organo assembleare non è in questione. Il fatto che il socio medesimo si sia, in altra sede, impegnato a votare in un determinato modo ha rilievo solo per l’eventuale responsabilità contrattuale nella quale egli incorrerebbe - ma unicamente verso gli altri firmatari del patto parasociale - violando quell’accordo.Il vincolo obbligatorio assunto opera, cioè, né più né meno che come qualsiasi altro possibile motivo soggettivo ed individuale che possa spingere un socio ad assumere in assemblea un certo atteggiamento e ad esprimere un determinato voto. Ma nessuno potrebbe impedire a quel socio di optare per il non rispetto del patto di sindacato ogni qual volta, a suo personale giudizio, l’interesse ad un certo esito della votazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere dell’inadempimento verso gli altri partecipanti al patto di sindacato. Il che - è persino superfluo sottolinearlo ulte-riormente - non mette di per sé minimamente in discussione la validità del deliberato assembleare, qualunque sia la scelta operata dal socio, almeno fin quando non risulti possibile dimostrare, in concreto, l’esistenza di un conflitto d’interessi rilevante ai sensi dell’art. 2373, codice civile, o la violazione di altre specifiche disposizioni regolanti il diritto di intervento e di voto del socio in assemblea.Altro è, insomma, riconoscere il potere dell’assemblea, come organo collegiale, di deliberare sugli oggetti di sua competenza, altro è pretendere (un pò utopisticamente, invero) che la volontà individuale di coloro che sono chiamati a votare in assemblea si formi spontaneamente in quella stessa sede, libera e monda da qualsiasi eventuale pregresso condizionamento. E come non si dubita della validità dell’assemblea in cui il rappresentante delegato dal socio abbia votato secondo le istruzioni da quest’ultimo impartitegli, né tanto meno si dubita della validità del deliberato assembleare assunto con il voto del rappresentante comune di più comproprietari delle medesime azioni, ex art. 2347, codice civile, benché anche in tali casi sia evidente che la volontà del votante è condizionata da vincoli assunti al di fuori della sede assembleare, così non si comprende per qual ragione dovrebbe ritenersi che la potestà dell’organo assembleare

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possa esser messa in discussione dall’esistenza di pregressi accordi obbligatori tra i soci in ordine al modo in cui costoro eserciteranno il loro diritto di voto.Non può, inoltre, non considerarsi come la più recente legislazione alluda ormai con tale e tanta frequenza all’ipotesi di patti di sindacato aventi ad oggetto l’esercizio del voto in assemblea da rendere ormai davvero improponibile la tesi di un’incompatibilità di principio tra l’ordinamento societario e gli accordi parasociali destinati a disciplinare l’esercizio del diritto di voto in assemblea. Senza alcuna pretesa di completezza, basterà citare l’art. 25, D.P.R. 22 ottobre 1973, n. 936 (concernente la tariffa per le prestazioni professionali dei dottori commercialisti), l’art. 2, secondo comma, L. 5 agosto 1981, n. 416 (sull’editoria), l’art. 13, settimo comma, L. 6 agosto 1990, n. 223 (sulla disciplina del sistema radiotelevisivo), l’art. 27, commi secondo e sesto, L. 10 ottobre 1990, n. 287 (in tema di tutela della concorrenza e del mercato), l’art. 26, secondo comma, D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 356 (sui gruppi creditizi), l’art. 4, terzo comma, L. 2 gennaio 1991, n. 1 (istitutiva delle società d’intermediazione mobiliare), l’art. 26, secondo comma, lett. b), D.Lgs. 9 aprile 1991, n. 127 (sulla disciplina del bilancio consolidato), gli artt. 7, secondo comma, e 10, commi primo, secondo, terzo e quarto, L. 18 febbraio 1992, n. 149 (sulle offerte pubbliche di vendita, sottoscrizione, acquisto e scambio di titoli), e l’art. 23, D.Lgs. 15 settembre 1993, n. 385 (testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia). Norme tutte che, più o meno esplicitamente, contemplano appunto accordi del genere di quelli di cui si sta discutendo, sull’inespresso ma evidente presupposto che tali sindacati abbiano piena cittadinanza nel vigente ordinamento giuridico.Né varrebbe ancora obiettare che la validità dei sindacati di voto, quando questi ab-biano ad oggetto la designazione di amministratori e sindaci della società, troverebbe ostacolo nella regola che attribuisce all’assemblea il relativo potere di nomina (art. 2383, primo comma, codice civile). L’inderogabilità di tale regola non è, infatti, in discussione: perché, come già ripetutamente chiarito, i sindacati di voto, operando su un piano parasociale, non incidono sui poteri e sulle funzioni dell’organo assembleare. E non può d’altronde farsi a meno di rilevare ancora come alcune tra le disposizioni delle leggi speciali sopra menzionate si riferiscano proprio ad accordi tra soci riguar-danti la nomina delle cariche sociali, al dichiarato scopo di regolamentare i rapporti di controllo che ne derivano, presupponendone dunque la piena validità. (omissis).L’impugnata sentenza non è invece immune da censure, a giudizio di questa corte, nella parte in cui ha ritenuto che la mancanza di qualsiasi termine finale non si ri-fletta sulla validità del patto parasociale in discorso, ma possa essere colmata con il riconoscimento ex lege del diritto di recesso in favore di ciascun contraente.Nel valutare tale questione occorre però preliminarmente farsi carico dell’obiezione sollevata dal ricorrente principale, il quale contesta l’affermazione del giudice a quo, secondo la quale l’accordo parasociale di cui si tratta sarebbe da considerare a tempo indeterminato, e sottolinea come, viceversa, vi sia un evidente rapporto di accessorietà tra il patto di sindacato ed il contratto sociale: onde dovrebbe desumersi che, essendo quest’ultimo a tempo determinato, anche il patto di sindacato sia da considerare tale e venga a scadere in concomitanza con il maturare del termine finale della società. Né varrebbe obiettare che, nella specie, la durata della società è presumibilmente destinata a superare la vita dei contraenti, non essendovi in ciò nulla di anomalo, come nulla

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di anomalo v’è, appunto, nel fatto che venga stipulata una società destinata a durare più a lungo dei suoi soci fondatori. Cosa che, del resto, sarebbe stato ben presente alla mente dei firmatari dell’accordo parasociale, come si deduce dall’esplicito riferimento anche ai loro eventuali aventi causa nella titolarità delle azioni della società.Quest’obiezione non pare però persuasiva. È certo innegabile l’esistenza di un collega-mento causale tra il patto parasociale ed il contratto di società cui quel patto si riferisce; ma da ciò non discende che tale patto sia da considerare a tempo determinato - per l’aspetto che qui rileva - sol perché è stabilita la scadenza della società.L’art. 2328, primo comma, n. 11, codice civile, prescrive che l’atto costitutivo di una società per azioni deve sempre indicare la durata della società: se dunque si volesse sostenere che, in difetto di pattuizioni diverse, la durata di un patto parasociale di sindacato naturalmente coincide con quella della società, si perverrebbe alla singo-lare conclusione di escludere sempre e comunque la configurabilità stessa di patti di sindacato a tempo indeterminato. Viceversa, occorre rilevare che l’indicazione di durata contenuta nell’atto costitutivo della società si riferisce, appunto, alla società come tale, ossia all’ente collettivo, che pur prendendo vita dal contratto stipulato dai soci fondatori ben può aver poi un proprio distinto sviluppo ed una durata diversa da quella dei singoli rapporti di partecipazione facenti capo a questo o a quel socio. Prova ne sia che, in diverse situazioni, è possibile il venir meno del singolo rapporto partecipativo (quando, ad esempio, il socio non sottoscriva il capitale ricostituito dopo l’integrale perdita, o in tutti i casi nei quali è consentito il recesso), senza alcun riflesso sul perdurare della società. E ciò giustifica la diffusa prassi di fissare termini di durata della società assai lontani nel tempo (come anche nella specie risulta esser stato fatto), di gran lunga eccedenti rispetto a qualsiasi ragionevole aspettativa di vita dei singoli soci fondatori, termini che appunto per questo si stenterebbe a riferire alla posizione delle singole persone fisiche dei soci.Ma allora, stando così le cose ed attenendo i patti parasociali di sindacato non già all’organizzazione ed alla vita dell’ente collettivo, bensì a rapporti di carattere perso-nale facenti capo unicamente ai firmatari del patto, ben s’intende come sia arbitrario trasformare sic et simpliciter il termine di durata della società in una scadenza con-venzionale fissata per il patto di sindacato. Sul quale patto la cessazione della società potrà sì riflettersi - pur sempre in modo indiretto -, ma nella sola evenienza in cui la società abbia termine quando il sindacato è ancora in vigore ed unicamente perché non vi sarebbe più, in tal caso, la possibilità di dare esecuzione agli accordi paraso-ciali sottoscritti; non per una pretesa naturale coincidenza tra la durata della società e quella del patto di sindacato.È dunque corretta e da condividere l’affermazione dell’impugnata sentenza, laddove, premesso il carattere meramente obbligatorio del rapporto derivante dal patto di sin-dacato di cui si tratta, e tenuto conto dell’eccedenza della prevista durata della società rispetto alla presumibile vita fisica dei firmatari di quell’accordo, lo ha definito come un accordo a tempo indeterminato.Tanto chiarito, occorre ora valutare in qual misura un patto così concepito, privo cioè di determinazione di durata (o di durata eccedente la prevedibile vita fisica dei firmatari), possa esser considerato valido alla luce del principio - cui la stessa corte

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territoriale si richiama nell’impugnata sentenza - secondo il quale l’ordinamento non tollererebbe l’istituzione di vincoli obbligatori a carattere permanente.Sull’esistenza di un principio assoluto ed inderogabile di temporaneità dei rapporti ob-bligatori nel nostro ordinamento - principio che taluni definiscono di ordine pubblico e che si è soliti ricollegare sia all’esigenza di tutelare la libertà personale degli individui, sia alla protezione dell’interesse generale alla non eccessiva immobilizzazione delle risorse economiche - non è forse necessario prendere qui posizione. Basterà osservare che, innegabilmente, il legislatore ha mostrato un netto disfavore per le obbligazioni a tempo indeterminato, dettando una serie di norme che, in relazione ad una molteplicità di fattispecie tipiche disciplinate dalla legge, valgono appunto ad evitare il sorgere di obbligazioni siffatte, talvolta espressamente subordinandone la validità alla predeter-minazione della durata (si pensi agli artt. 1379 e 2125, primo comma, codice civile) o direttamente stabilendo per esse un limite temporale (si pensi agli artt. 1574, 1630, 2125, secondo comma, 2143, 2596 e 2604, codice civile), altre volte contemperando la mancata prefissazione di un termine finale con la potestà di recesso unilaterale dei contraenti (si pensi agli artt. 1596, secondo comma, 1616, 1750, secondo comma, 1810, 1833, primo comma, 1845, ultimo comma, e 2118, primo comma). Ed è importante sottolineare come tale disfavore non riguardi solo i contratti di scambio, ma sia altresì riscontrabile nella disciplina legale dei contratti associativi, come palesemente attestano l’art. 24, secondo comma, e l’art. 2285, primo comma, codice civile. Né varrebbe obiettare che, tuttavia, nelle società di capitali il recesso è disciplinato in termini assai limitativi anche quando la durata della società sia eccedente rispetto alle naturali speranze di vita dei soci: giacché la particolare regolamentazione del recesso, in società di questo tipo, unicamente dipende dalla diversa e prevalente esigenza di garantire la stabilità del capitale sociale (sola garanzia dei creditori, atteso il regime di responsabilità limi-tata dei soci) e trova comunque il proprio contrappeso nell’illegittimità di vincoli che (almeno nelle società azionarie) impediscano o eccessivamente riducano la possibilità del socio di liberarsi della propria partecipazione trasferendola a terzi.Ora, in presenza di un così marcato disfavore dell’ordinamento per le obbligazioni destinate a durare indefinitamente, sarebbe davvero arduo ammettere che l’autonomia negoziale privata possa dar vita ad accordi di carattere atipico idonei a produrre vincoli giuridici indeterminati nel tempo. O dunque deve risultare possibile identificare, nel meccanismo stesso del patto stipulato dalle parti, la previsione del naturale venir meno delle obbligazioni dei contraenti ad una prefissata scadenza (o anche del loro venire meno in conseguenza del verificarsi di determinate situazioni di fatto da cui derivi la liberazione dell’obbligato oppure il suo potere di recedere dal contratto), o, altrimen-ti, non potrà quell’accordo superare il vaglio di meritevolezza cui il secondo comma dell’art. 1322, codice civile, assoggetta i contratti atipici ed in difetto del quale da tali contratti non possono discendere obbligazioni giuridicamente vincolanti. Che i patti parasociali di sindacato, non foss’altro per la frequenza con cui la legislazione ad essi si riferisce, siano di per se stessi da considerare delle convenzioni atipiche meritevoli di tutela non è da porre in dubbio; e lo si è già detto. Ma sarebbe, invero, manifestamente contraddittorio definirli meritevoli di tutela, ai sensi della citata disposizione dell’art. 1322, ove ne derivassero obbligazioni indefinite nel tempo per le quali l’ordinamento mostra un così palese disfavore.

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Non è possibile sottrarsi all’alternativa così delineata ipotizzando una sorta d’integrazione legale del contratto atipico, che verrebbe realizzata mediante l’inserzione di una clausola di recesso unilaterale non prevista dalle parti. Il principio di conservazione del contratto può spingersi sino al punto da configurare l’esistenza di una clausola siffatta, ma pur sempre a condizione di rimanere sul terreno dell’interpretazione di quanto i contraenti hanno inteso pattuire, giacché tale principio è appunto espresso dall’art. 1367, codice civile, nell’ambito delle regole di ermeneutica del contratto. Con la conseguenza che, quando la regolamentazione convenzionale sia inequivocabilmente diretta all’istituzione ed al mantenimento di vincoli a tempo indeterminato, sarebbe arbitrario interpretarla invece come implicante la possibilità di scioglimento unilaterale di quei medesimi vincoli in contrasto con quanto le parti stesse hanno mostrato di volere.Né potrebbe utilmente qui invocarsi la disposizione dell’art. 1339, codice civile, la quale per un verso presuppone l’esistenza di uno schema negoziale tipico in cui la disposizione imperativa possa inserirsi, sostituendo quella difforme ipotizzata dai contraenti, e, per altro verso, richiede che la clausola da inserire sia a propria volta ben determinata dal legislatore in rapporto a quel tipo di contratto. Condizioni tutte che, con ogni evidenza, non ricorrono nel caso di contatti atipici contrastanti con il già accennato generale atteggiamento di disfavore legislativo verso le obbligazioni di durata indeterminata (per non dire, poi, che è quanto meno dubbia la possibilità stessa d’ipotizzare lo scioglimento di un vincolo contrattuale per recesso unilaterale di una delle parti in base ad un principio generale e fuori dai casi tassativamente ed espressamente contemplati dalla legge).Stando così le cose, e tornando a considerare più da presso il patto di sindacato stipulato dai germani Sciarretta, sembra al collegio che debba essere rovesciata la conclusione cui è pervenuta la Corte di Campobasso.È innegabile che si è qui in presenza di un negozio atipico, e si è già visto che esso implica l’insorgere di vincoli la cui scadenza non è determinata nel tempo. Vero è che, per ciascun singolo socio contraente, il vincolo riguardante il voto da esprimere in assemblea potrebbe trovare la sua naturale scadenza nel venir meno della qualità stessa di socio, ove egli si determinasse a trasferire le proprie azioni a terzi, atteso il già più volte ricordato carattere personale delle obbligazioni nascenti dal patto in esame. Non può peraltro ignorarsi che, come pure già notato, i firmatari dell’accordo si sono altresì impegnati a far sì che anche i loro eventuali aventi causa assumano analoga obbligazione, e per ciò stesso si sono necessariamente vincolati a non cedere le loro azioni se non alla duplice condizione che sia serbato inalterato l’attuale rapporto reciproco di partecipazione al capitale sociale e che anche i futuri cessionari siano disposti ad aderire al sindacato di voto.L’insieme di tali previsioni denota quindi con evidenza l’intento delle parti di cri-stallizzare il più possibile nel tempo la situazione fotografata nel patto di sindacato, evitando che eventuali iniziative negoziali di uno solo o di alcuni tra i contraenti possano rendere inoperante il sindacato stesso a dispetto della volontà degli altri. E ciò conferma che l’inserzione in un tal contesto negoziale di una clausola di recesso unilaterale, quale quella ipotizzata dalla Corte d’appello, non sarebbe in alcun modo in linea con la volontà negoziale manifestata dagli interessati: ché, al contrario, essa

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finirebbe per imprimere all’intera fattispecie una torsione opposta a quella voluta dalle parti. Né, d’altro canto, può farsi a meno di considerare che una siffatta ipotesi di recesso unilaterale, priva di ogni regolamentazione circa i tempi ed i modi del suo esercizio, rischierebbe di svuotare l’impegno delle parti, come sopra lo si è descritto, di qualsiasi carattere di serietà: giacché, ad esempio, consentirebbe a ciascuno dei fir-matari dell’accordo di recedere da esso non appena gli si desse l’opportunità di cedere in tutto o parzialmente le proprie azioni anche ad un terzo che non fosse disposto a prestare adesione al sindacato.Esclusa la praticabilità del recesso, è però inevitabile giungere alla conclusione che il patto stipulato dai germani Sciarretta è privo dei necessari requisiti di meritevolezza e di validità giuridica. Dovrebbe risultare ormai ben chiaro, infatti, alla stregua di quanto sopra esposto; che la stretta connessione tra il vincolo avente ad oggetto l’eser-cizio del voto e quello gravante sulla trasferibilità delle azioni a terzi rende quanto mai ipotetico, se non addirittura del tutto improbabile, che il socio sottoscrittore di un simile patto parasociale sia mai in grado di liberarsi in futuro dalle obbligazioni in tal modo assunte. E tanto basta per far ricadere quel patto nell’area di disfavore che circonda le obbligazioni destinate a durare indefinitamente nel tempo e per impedire di considerarlo meritevole di tutela, e perciò giuridicamente valido, a norma del citato art. 1322, secondo comma. (omissis).

ConsiderazioniLa riferita sentenza è di vitale importanza e deve essere opportuna-

mente letta alla luce di quanto abbiamo già rilevato nel primo ciclo di incontri nella parte relativa alla durata dei patti parasociali.

Viene a rappresentare quell’orientamento - abbandonato in seguito dalla giurisprudenza (si veda e si confronti con la successiva sentenza della Corte di Cassazione n. 14865/2001) - secondo cui il patto avente ad oggetto la designazione dei componenti del Consiglio di Amministrazio-ne e del collegio sindacale è nullo per «conflitto con il principio generale dell’invalidità delle obbligazioni di durata indefinita» se non contiene una data di scadenza precisa o quanto meno desumibile dal contesto.

Il Collegio giudicante, al fine di dare conforto alla sua impostazione, riporta esempi concreti - rinvenibili nel nostro ordinamento giuridico - di come il Legislatore abbia mostrato un certo disfavore per le obbli-gazioni a tempo indeterminato. Sarebbe, dunque, davvero arduo ritenere che l’autonomia negoziale possa dare vita ad accordi di carattere atipico idonei a produrre vincoli giuridici indeterminati nel tempo. Accordi che sono diretti a cristallizzare il più possibile nel tempo la situazione foto-grafata nel patto di sindacato e che non possono trovare nel diritto di recesso alcun conforto, stante la circostanza che il predetto diritto mal si concilierebbe con la volontà negoziale manifestata dai soggetti aderenti al patto parasociale.

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Altro momento interessante della statuizione era quella disamina chia-ra e limpida utilizzata dal giudicante per confutare l’assunto che i soci, vincolando la propria libertà di voto con dei patti parasociali, finirebbero per svuotare l’assemblea dei suoi poteri e delle sue funzioni.

Il Giudice, al riguardo, ha opportunamente rilevato che il vincolo nascente dal patto parasociale «opera sul terreno esterno a quello dell’or-ganizzazione sociale» e «non impedisce al socio di determinarsi all’eser-cizio del voto in assemblea come meglio crede». Detto impegno assunto dal socio rileva solo ed esclusivamente per una eventuale responsabilità contrattuale nella quale lo stesso potrebbe incappare ove violasse detto patto. Proseguivo con la lettura della successiva sentenza.

Importante, infine da rilevare un ulteriore profilo che la sentenza affronta, ovverosia quello del collegamento negoziale fra contratto sociale e patto parasociale, giungendo a stabilire che, sebbene è innegabile l’esistenza di un collegamento causale tra il patto parasociale ed il contratto di società, da ciò non può discendere «che tale patto sia a tempo determinato (…) sol perché è stabilita la scadenza della società»34.

2.10 Tribunale Bologna, sentenza 12 dicembre 1995

La convenzione di voto in virtù della quale il socio di maggioranza di una società per azioni si impegna a nominare quale componente del Consiglio di Amministrazione una persona designata dal socio di minoranza, nel contempo assumendo l’obbligazione di acquistare il pacchetto azionario del socio di minoranza ad un prezzo prestabilito nell’ipotesi di un proprio

34) Per completezza va riferito che l’impostazione dell’esistenza di un collegamento negoziale (necessario di carattere unilaterale) tra contratto sociale e patto parasociale, sia pur preminente tra gli studiosi che si sono occupati di patti parasociali, non è l’unica ad occupare il campo. A questa si contrappone l’isolata tesi di un autore (Farenga, I contratti parasociali, Milano, 1987, pp 227 e ss.) che ritiene in-sussistente il predetto collegamento negoziale, venendo il patto parasociale a porsi come un contratto modificativo, con efficacia obbligatoria e limitata alle parti, del contratto sociale. Secondo tale tesi, non essendoci due negozi autonomi e casualmente distinti, non potrebbe discorrersi di collegamento negoziale. Le due predette impostazioni sono state di recente criticate da un autore R. Costi (I patti parasociali ed il collegamento negoziale, in Giur. comm., marzo/aprile 2004, I, pp. 200 e ss.), il quale ha tentato di dimostrare come la prima impostazione viene contraddetta dalle norme presenti nel nostro ordinamento giuridico in materia di patti parasociali (art. 2341-ter C.C. e art. 122 TUIF) che manifestano una rilevanza del rapporto parasociale sul contratto sociale, in quanto tendono a tutelare gli interessi coinvolti dal rapporto sociale, che potrebbero essere pregiudicati dalla inosservanza di quelle stesse norme. Quanto alla seconda impostazione (Farenga), l’autore ricorda che il contratto sociale può essere modificato solo nel rispetto delle norme dell’oridnamento societario e non anche da un patto parasociale, sia pur di efficacia obbligatoria e personale.

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inadempimento al patto parasociale, sebbene valida in via di principio, è nulla in quanto la clausola relativa al trasferimento obbligatorio delle azioni la rende contraria al principio di libera revocabilità degli amministratori da parte dell’assemblea ed in quanto configurante una fonte di conflitto di interessi fra i soci e la società.

Presidente Drudi - Relatore Dalla Casa

Il Tribunale (omissis).Superata perciò la prima eccezione, ed affermata la legittimazione ad agire dell’attrice, occorre ora domandarsi se il contratto intercorso tra le parti, e in particolare le clausole che ci interessano, sia affetto da nullità.Si premette che l’impegno di F.G.F. e Futura a nominare Bonvini nel consiglio di am-ministrazione di Sintris si rinviene nella prima delle scritture intercorse tra le parti, quella cui partecipò anche Ruggeri.In quella successiva, essendo evidentemente Bonvini già membro del c.d.a., il patto non si ripete, ribadendosi peraltro che il consiglio doveva delegare i poteri per la gestione sociale anche a Bonvini.Lo scopo di assicurare alla minoranza una rappresentanza nel consiglio di ammini-strazione delle società non è, in sé considerato, uno scopo riprovato dall’ordinamento; a conferma di ciò sta il fatto che sono generalmente ritenute ammissibili clausole statu-tarie che raggiungono lo stesso obiettivo, stabilendo che si debba procedere all’elezione dell’organo amministrativo mediante l’adozione di sistemi di voto proporzionali e per liste di candidati (arg. ex art. 2368, codice civile, secondo il quale l’atto costitutivo, per la nomina alle cariche sociali, può stabilire norme particolari).Si tratta di vedere se le parti in causa, nello stipulare il patto parasociale in esame, abbiano perseguito tale scopo in forme consentite, e in specie se abbiano violato la sovranità dell’assemblea della società.Ciò non pare. Innanzitutto in nessuna parte del patto si afferma l’intenzione dei con-traenti di “scavalcare” l’assemblea, facendo derivare l’investitura degli amministratori direttamente dal patto parasociale, o comunque da un atto unilaterale di designazione compiuto dai singoli soci.Con l’accordo in questione i contraenti si impegnano solo a manifestare il proprio voto in assemblea conformemente all’accordo intercorso.Quando si consideri che l’oggetto dell’accordo riguarda una sola delibera assembleare e che ad esso hanno partecipato i soci Sintris titolari dell’intero capitale sociale, si deve concludere che nessun vulnus è stato inferto alla sovranità dell’assemblea, avendo i soci semplicemente anticipato i risultati cui sarebbero pervenuti in sede di discussione assembleare.L’accordo intercorso degrada a semplice motivo della manifestazione di voto espressa, non illecito, e perciò irrilevante; ed il fatto che i sottoscrittori del patto siano gli unici soci di Sintris esclude che si possa argomentare la violazione del principio di collegia-

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lità delle decisioni, essendosi limitati i soci a porre in essere una previa concertazione interna, senza sviare il principio maggioritario che regge l’assemblea.Risale ad una pronuncia ormai risalente nel tempo (Cass. 23 aprile 1969, n. 1290, in Giust. civ., 1969, I, 1695) la distinzione tra discussione e deliberazione, e perciò tra formazione ed espressione della volontà del socio, la prima restando materia “rimessa alla libertà dei soci”, “essendo concepibile e valida una determinazione adottata sen-za previa discussione, così com’è valido il voto espresso a mezzo di rappresentante munito di istruzioni precise”; ancor più risalente nel tempo è una pronuncia che, in merito all’accordo sulla nomina degli amministratori, coinvolgente tutti i soci, non ne affermava l’automatica illiceità, dovendosi viceversa esaminare in concreto se sussista un conflitto di interessi tra i soci e la società (Cass. 5 luglio 1958, n. 212, in Banca e borsa, 1958, II, 384 e 550).Dalla legittimità della clausola concernente la nomina di Bonvini ad amministratore della società non discende però automaticamente la legittimità di quella concernente gli effetti della revoca.È indubbio che il potere dell’assemblea di revocare gli amministratori ex art. 2383, codice civile, attenga all’ordine pubblico societario e non possa essere limitato con accordi parasociali.È vero che nel patto in esame il potere di revoca non è né escluso né limitato di-rettamente; tuttavia la revoca è presa in considerazione come condizione costitutiva dell’obbligo per il socio di maggioranza di acquistare, a prezzo prefissato, le azioni del socio di minoranza, di modo che così questi veda realizzato il suo interesse ad uscire dalla società nel cui consiglio non è più rappresentato.È ragionevole pensare che la predeterminazione del prezzo di acquisto delle azioni svolga nell’economia del contratto una funzione di tutela del socio di minoranza da possibili violazioni del patto da parte del partner maggioritario; è ragionevole ritenere quindi che il prezzo prefissato sia superiore all’effettivo valore di mercato delle azioni, conglobando anche una misura predeterminata di risarcimento dei danni.Sotto questo punto di vista, dovrebbe affermarsi la nullità del patto perché limitativo della libertà di voto del socio di maggioranza, il quale perciò, per il fatto di essersi ripreso la sua libertà di azione, non potrebbe essere chiamato a risarcire danni o a pagare penali.Pare tuttavia al Collegio che la nullità del patto possa essere ritenuta sotto un profilo ancora più generale.Si è detto che sorge il sospetto che il valore delle azioni convenzionalmente determi-nato sia superiore a quello reale; tale convinzione poggia però solo su un argomento presuntivo, desunto dalla lettura degli interessi economici sottesi al patto.Non può sfuggire tuttavia il forte connotato di aleatorietà assunto già in linea astratta dal patto, nel senso che, ove il valore reale delle azioni fosse risultato superiore a quello pattuito, l’accordo stesso si sarebbe risolto in un vantaggio patrimoniale per l’acquirente; ove il valore reale fosse stato inferiore, il vantaggio sarebbe arriso al venditore.In tal modo il patto precostituiva una situazione di conflitto di interessi tra i soci (in particolare quello di maggioranza) e la società, nel senso che il socio chiamato ad esprimersi sulla revoca, sarebbe stato portatore non solo dell’interesse sociale, ma

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anche, in potenziale conflitto col primo, del proprio a revocare (o a non revocare) l’amministratore.La possibilità che si dia conflitto di interesse tra società e socio è sempre stata ritenuta causa di nullità del patto, e al contempo, secondo la giurisprudenza della Cassazione, limite alla legittimità di vincoli al voto del socio.Il patto di sindacato si configura come figura sintomatica di un possibile conflitto di interessi, o, se vogliamo, come fonte o presupposto del conflitto: se esso nella sua dimensione “reale” invalida la delibera assembleare, nella sua dimensione “potenziale” colpisce il patto che lo ha generato; nel primo caso si ha una annullabilità ai sensi degli artt. 2373 e 2377, codice civile; nel secondo una radicale nullità del patto per contrarietà a una normativa di ordine pubblico.Resta solo da dire che il conflitto di interessi qui è sicuramente ravvisabile nelle conse-guenze, non necessariamente negative, ma comunque interessate, che si produrrebbero, per effetto del voto, comunque indirizzato, nella sfera patrimoniale dei soci.Va pertanto dichiarata la nullità del patto intercorso tra le parti, con la conseguenza che per effetto del voto espresso in sede di revoca dell’amministratore Bonvini, il socio F.G.F. a nulla può essere tenuto. (omissis).

ConsiderazioniQuello che è interessante far notare in questa sentenza è il passo -

riferibile a quanto abbiamo detto in merito alla eccezione di nullità del patto parasociale azionabile dal soggetto inadempiente al patto citato dall’attore avanti l’autorità giudiziaria per ottenere una sua condanna a risarcire il danno cagionato alla altra parte - in cui il Tribunale afferma che «dovrebbe affermarsi la nullità del patto perché limitativo della liber-tà di voto del socio di maggioranza, il quale perciò, per il fatto di essersi ripreso la sua libertà di azione, non potrebbe essere chiamato a risarcire danni o a pagare penali».

Questa sentenza fornisce la riprova effettiva di quanto avevamo detto nel primo ciclo di incontri e dell’importanza dell’eccezione di nullità per paraliz-zare la domanda di risarcimento del danno per inadempimento contrattuale. Rilevato ciò, procedevo nella lettura delle restanti sentenze.

2.11 Tribunale napoli, sentenza 18 febbraio 1997

Il patto parasociale con il quale il socio maggioritario di una s.n.c. nel contratto preliminare di alienazione di una quota della società promette all’acquirente di conferirgli in esclusiva l’amministrazione della società non è efficace nei confronti dei soci che non lo hanno sottoscritto, né nei

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confronti della società, trattandosi di negozio autonomo rispetto a quello societario, né è esperibile un’azione ex art. 2932, C.C., per ottenere una sentenza che produca gli effetti delle obbligazioni inadempiute.

Presidente ed Estensore Cultrera

Il Tribunale (omissis).Ai fini di una compiuta indagine sulla questione come sopra prospettata, nonché per esigenze di chiarezza espositiva, conviene sinteticamente riepilogare i fatti. L’atto controverso, definito dal Rusciano quale preliminare del contratto di cessione della partecipazione nella società convenuta, ha ad oggetto la promessa del Baiano, qualifi-candosi socio al 50 per cento ma unico in fatto, di cedere il 49 per cento di essa quota in favore dell’attore nonché l’impegno ad affidare all’acquirente l’amministrazione e la contabilità dell’ente societario. Alla clausola n. 3, immediatamente precedente tale ultimo patto, si afferma che entro la data del 31 dicembre 1985, fissata per la stipula del definitivo, il Baiano avrebbe rilevato il 48 per cento della quota dell’altro socio. La cessione fu perfezionata, come risulta documentalmente accertato, con atto rogato dal notaio Sica entro il termine pattuito e la gestione della società fu, almeno di fatto, affidata all’attore. Questi lamenta l’inadempimento dell’altro contraente, assumendo non aver dato esecuzione alla promessa di conferirgli l’incarico formale di ammini-stratore e per l’effetto chiede che questo tribunale adito vi provveda in applicazione del disposto normativo contenuto nell’art. 2932 c.c. con conseguente declaratoria di decadenza del Baiano dalla carica ancora ricoperta in seno alla società, cui imputa, peraltro, fatti e iniziative di concorrenza sleale che ne comportano la decadenza dalla carica ricoperta.Così chiariti i fatti, va rilevato che l’indagine sul petitum, articolato da esso istante in più capi, evidenzia una palese commistione tra la vicenda contrattuale che vede quale controparte esclusiva il Baiano e fatti e circostanze che, al contrario, riguardando la società quale autonomo soggetto giuridico, si rifletterebbero sul suo assetto. Orbene, si rende necessario, data la stringata prospettazione e l’ancor più sintetica postulazione attorea, operare un distinguo fra i capi della domanda il cui petitum trae origine dal denunciato inadempimento del preliminare in esame e quelli che si fondano su fatti posti in essere dal Baiano nella qualità di soggetto facente parte della compagine so-ciale, in relazione ai quali può profilarsi, almeno in linea astratta, un interesse anche delle altre parti vocate a partecipare al presente giudizio.E dunque, in relazione appunto all’eccezione formulata dalla convenuta Musella come sopra indicata, devesi senz’altro ritenerne la fondatezza con riguardo alla domanda avente ad oggetto la pronunzia richiesta ex art. 2932 C.C. per l’assoluta estraneità di essa convenuta, nonché della società, al preliminare, che l’attore denuncia ineseguito, che rappresenta nei loro confronti res inter alios acta. E, invero, la pronunzia invocata a mente dell’art. 2932 C.C., che dovrebbe nelle intenzioni dell’istante tener luogo della convenzione oggetto del compromesso di cui sopra pattuita col Baiano e in forza della quale questi si era obbligato a conferirgli l’incarico di amministratore della società di cui egli era entrato a far parte, trascurando ogni valutazione sulla validità di tale

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patto che in seguito verrà esaminato sotto tale profilo, non sarebbe, ove venisse as-sunta, idonea a spiegare effetto alcuno al di fuori della sfera dei soggetti contraenti essendo essa destinata a sostituirsi all’atto promesso e non perfezionato del quale né il socio titolare della quota residua né l’ente sociale furono parti né necessarie, non essendo la partecipazione al contratto loro imposta da alcuna disposizione normativa, né volontarie, essendo ad esso rimasti in tutto indifferenti. Come leggesi all’art. 7 del compromesso de quo, il cedente subordinò la nomina del nuovo entrato alla carica di amministratore alla modifica dei patti sociale che sarebbe stata effettuata dopo l’acquisto da parte di esso alienante del 48 per cento della partecipazione degli altri soci. Tale evento, evidentemente, non si è verificato e delle conseguenze che ne sono derivate il Baiano è di certo tenuto a rispondere, nei soli confronti, però, della parte verso la quale aveva assunto l’obbligazione. Di qui l’inutilità della chiamata in causa della società e dell’altro suo componente atteso che essi non ebbero parte alcuna alla vicenda cui rimasero estranei e alla quale appaiono interessati solo indirettamente. Evidentemente l’invocata pronunzia costitutiva non potrebbe sostituirsi all’atto traslativo presupposto ai fini dell’avvicendamento dell’organo gestorio, poiché non figura nel preliminare in oggetto alcun impegno del socio Musella, cui è subentrata per successione la convenuta, a cedere al Baiano la sua quota nella misura indicata nell’atto né tantomeno risulta che alle determinazioni relative all’amministrazione dell’ente avessero preso parte, come imposto dalla legge, tutti i soci.Ancorché accertato, l’inadempimento del Baiano alla promessa fatta non dispiega effetto alcuno con riferimento agli altri convenuti, né tantomeno consente l’adozione del rimedio invocato ex art. 2932 C.C.L’attore pretende, in sostanza, nel presente giudizio che alla nomina promessagli provveda questo Tribunale e, presumibilmente consapevole dell’impraticabilità di ogni percorso giuridico fondato sulla disciplina in materia societaria, introduce la richiesta sotto un profilo meramente privatistico riferibile all’assetto contrattuale disposto con l’altro socio e nel contempo, coinvolgendo in tal guisa anche la società ed i suoi residui componenti, avanza, agendo su diverso binario una richiesta di decadenza del Baiano dalla carica tuttora ricoperta, ed una collegata domanda di risarcimento danni, fondata su atti di concorrenza sleale compiuti dal medesimo quale componente di società di persone operante nello stesso settore produttivo della società di cui essi fanno parte.In sostanza, consapevole dell’impossibilità di richiedere in giudizio la sua nomina ad amministratore, l’attore affaccia l’ipotesi della revoca del Baiano dalla carica che tuttora ricopre prospettandola quale un caso di decadenza e deducendo un suo comportamento estraneo alla vita dell’ente e, peraltro, pregiudizievole dei suoi propri interessi (n.b. non già dell’interesse sociale) al punto da richiedere che gli vengano risarciti i danni che la sua sfera patrimoniale per l’effetto avrebbe subito.Si impone con riguardo a suddetta domanda una necessaria premessa: si verte nel caso in esame in materia di società di persone, per le quali, alla stregua del principio contenuto nell’art. 2257 C.C. l’amministrazione della società spetta disgiuntamente a ciascun socio, salvo patto contrario che deve intervenire fra tutti i soci, ovvero, evi-dentemente, che deve essere contenuto nello statuto. Trattasi di una norma di ordine pubblico sicché non è consentito ai soci interferire sulla disciplina che regola la fonte

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del potere gestorio loro attribuito, se non nel limite loro concesso dianzi indicato, a mezzo una regolamentazione privatistica derogatrice della norma civilistica che è dettata non solo nel loro interesse ma anche nell’interesse dei terzi. L’impegno assunto da uno dei soci nei confronti di un terzo estraneo ovvero anche di uno dei soci, e che attenga alla vita ovvero all’amministrazione della società non spiega effetto, perciò, nell’ambito dell’assetto societario ove esso non si trasfonda in una iniziativa assunta con i mezzi e nel rispetto delle norme societarie. La società rimane in sostanza del tutto indiffe-rente a patti o fatti intervenuti al di fuori del suo ambito che non le sono opponibili e tantomeno spiegano effetto al suo interno ove non siano conformi alle disposizioni generali che la governano. Nel caso di specie risulta dall’esame dello statuto societario che il Baiano venne nominato amministratore nel contratto sociale cosicché egli in tanto poteva essere revocato dalla carica in quanto tutti i soci vi avessero consenti-to. In sostanza, cioè, nonostante la promessa fattagli dal Baiano, occorreva, affinché l’impegno assunto nel preliminare potesse trovare giuridica attuazione, che ad esso partecipassero anche gli altri soci e cioè la Musella, ancora titolare del 49 per cento, affinché si raggiungesse quella unanimità dei consensi che la norma, data l’intangibilità del contratto sociale se non per contraria volontà di ciascuno dei contraenti, come sopra chiarito postula. (omissis).

ConsiderazioniFondamentale in questa pronuncia il punto relativo agli effetti di cui è

dotato un patto stipulato da un socio con un terzo estraneo alla società. L’impegno assunto da uno dei soci nei confronti di un terzo estraneo al patto, e che attenga alla vita ovvero all’amministrazione della società, non spiega effetto nell’ambito dell’assetto societario ove esso non si tra-sformi in una iniziativa assunta con i mezzi e nel rispetto delle norme societarie.

La società rimane in sostanza del tutto indifferente a patti o fatti inter-venuti al di fuori del suo ambito che non le sono opponibili e tanto meno spiegano effetto al suo interno ove non siano conformi alle disposizioni generali che la governano. Rimane, però il fatto che al patto parasociale possono partecipare anche soggetti terzi, non soci della società.

2.12 Tribunale Torino, sentenza 28 aprile 1998

Gli effetti di un patto parasociale, aperto all’adesione di altri soci e avente per oggetto la prelazione degli altri contraenti nel caso di alienazione delle quote di capitale da parte di uno o più dei contraenti stessi, non possono farsi valere da un socio il quale non abbia aderito al patto nella forma prescritta dal patto stesso.

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Giudice istruttore Scotti

Il Tribunale (omissis).5) La domanda basata sul patto di prelazione e sull’operatività dei patti parasociali Il giudice non ritiene infatti condivisibile la tesi attorea secondo cui l’adesione ai patti parasociali sia stata validamente manifestata per fatti concludenti da parte del Consorzio.Effettivamente nell’accordo parasociale prodotto il Comune di Chieri e la Inpar avevano contemplato la possibilità della successiva adesione di altri enti pubblici o privati che dovessero entrare nella compagine sociale Inser (per vero nell’originaria previsione dell’ingresso nella compagine di una società per azioni in ipotesi costituenda con partecipazione comunale).L’art. 5 dei patti parasociali in questione peraltro prevedeva per tale ipotesi la forma scritta per l’adesione ai patti da parte dei nuovi eventuali soci della Inser (“Il Comune e la Inpar faranno sottoscrivere, per accettazione, il presente accordo agli altri enti, pubblici o privati, che entreranno nella compagine azionaria della Inser”).Non si vede come sia possibile dubitare che una siffatta clausola integri un patto conven-zionale sulla forma disciplinato dall’art. 1352 c.c., con la conseguenza della presunzione legale della prescrizione della forma convenzionale ad substantiam actus.Se pertanto è vero che, in ossequio al principio generale di libertà delle forme, il patto parasociale di per sé non esige una forma speciale o solenne per la sua stipulazione (essendone ammessa anche la conclusione verbale o per comportamenti tacitamente rivelatori della volontà delle parti), non è men vero che nella fattispecie la pattuizione di un accordo sulla forma esigeva che la conclusione del negozio di adesione avvenisse in forma scritta a pena di invalidità.In tal senso opera la presunzione di legge e d’altra parte il comportamento successivo delle parti ex art. 1362, secondo comma, c.c. suona chiaramente a conferma della ritenuta necessità di una pattuizione scritta dell’adesione del Consorzio al patto parasociale.Si vedano, fra i documenti attorei, il doc. 6 (lettera Inpar 21 marzo 1991), il doc. 7 (lettere Inser 21 marzo 1991), il doc. 8 (lettera Consorzio 5 febbraio 1992) e soprattutto il doc. 9 (lettera Consorzio 5 marzo 1992) in cui si parla espressamente di sottoscri-zione dei patti parasociali.Addirittura nella lettera 17 novembre 1995 (doc. 16), redatta già in fase precontenzio-sa, il Consorzio sollecita una modifica dei patti parasociali che prenda atto del suo ingresso in società, ad evidente dimostrazione della convinzione del Consorzio circa la necessità di un accordo scritto per procedere alle modifiche, in palese contrasto con la sua tesi giudiziale secondo cui la modificazione in quel momento sarebbe stata già effettuata per effetto del concreto accordo di volontà tacitamente manifestata per fatti concludenti.Tale stipulazione per iscritto, pacificamente e per espressa ammissione attorea, non è mai avvenuta.La più autorevole dottrina reputa che anche i patti abrogativi dell’accordo sulla forma debbano rivestire forma scritta (al pari del patto di forma) per evitare che le parti vengano sottoposte a quell’alea probatoria che invece con l’originaria sottoscrizione del patto avevano inteso escludere.

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Il Tribunale non ignora che un orientamento giurisprudenziale più liberale suole rica-vare dal principio della libertà delle forme nella manifestazione di volontà risolutiva del contratto per mutuo consenso ex art. 1372, secondo comma, c.c. l’ammissibilità di una risoluzione del patto sulla forma convenzionale attuata per fatti concludenti incompatibili con la volontà di mantenere l’accordo (cfr. Cass. 22 gennaio 1988, n. 499; Cass. n. 766/1982; Cass. n. 5839/1982).Tuttavia, anche a voler accogliere siffatta prospettazione e così ad ammettere teo-ricamente la possibilità di un accordo successivo tacitamente manifestato e diretto all’adesione del Consorzio agli accordi in vigore, pare assorbente la considerazione che nessuna prova di una condotta logicamente e giuridicamente incompatibile con la volontà di non procedere alla modificazione dei patti risulta manifestata da parte di tutti gli interessati (Consorzio, Inpar e Comune di Chieri).Tale accordo non sarebbe provato, si è detto, neppure dai capi di prova dedotti da parte attrice, quand’anche ritenuti ammissibili, perché l’accordo verbale ivi contemplato, a tutto concedere, sarebbe del tutto privo di un concreto oggetto, vista la pacifica esigenza di rimodulazione negoziata del contenuto dei patti previgenti.Né tale carenza può venir superata dalla tesi dell’adesione alla richiesta del Consorzio di immissione di suoi rappresentanti in Consiglio di amministrazione, in difetto di qualsiasi elemento per ritenere che la cooptazione del Balestracci sia stata l’esecuzio-ne di un dovere contrattuale stabilizzato e vincolante e non già, tuttalpiù, una libera determinazione attuata dalla maggioranza per le più svariate ragioni, non esclusi la condiscendenza o lo spirito di cooperazione.La documentazione in atti esclude peraltro che quanto oggetto di capitolazione attorea e precisamente quanto capitolato sub 2 (ossia la conclusione di un accordo parasociale di determinato ancorché non esplicitato contenuto) corrisponda al vero.Con la lettera del 5 febbraio 1992 (doc. 8 attore) il Consorzio affermava chiaramente la necessità di un incontro (fissato per il 19 febbraio 1992) per una eventuale modifica dei patti parasociali, in evidente riscontro alla richiesta della Inpar di adesione contenuta nella lettera del 21 marzo 1991 (doc. 7 attore).Tuttavia anche in esito a tale incontro è evidente che nessuna intesa venne concreta-mente raggiunta, se con la successiva lettera del 5 marzo 1992 (doc. 9) il Consorzio continua a rinviare al futuro, all’esito dell’approvazione del Comune, la “sottoscrizione” dei patti parasociali.Infine, ancora con la lettera del 17 novembre 1995 (doc. 16) il Consorzio sollecita la modifica dei patti parasociali, così confessando che la stessa in concreto non era ancora stata attuata.D’altra parte, l’assoluta impossibilità di esplicazione degli accordi parasociali previdenti in presenza di un terzo socio discende chiaramente, ad esempio, dall’art. 2 in tema di rappresentanza consiliare: i patti esigevano infatti sul punto una congrua rimodula-zione, come ripetutamente ammesso dallo stesso Consorzio.La nomina del Balestracci, anche se fosse ritenuta l’esecuzione di un preciso impegno assunto nei confronti del Consorzio, ancora non spiega come gli equilibri fra gli altri soci si sarebbero assestati in conseguenza della quota di rappresentanza attribuita al Consorzio (a parte il fatto che tale tesi contrasta con quanto sostenuto nella lettera

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2 dicembre 1992 del Consorzio in cui il presidente, ad ennesima riprova della vaga indeterminabilità dell’intesa che si assumerebbe raggiunta, sosteneva che al Consorzio sarebbero spettati due consiglieri e un sindaco revisore dei conti).6) Conseguenze In conseguenza di quanto argomentato nel precedente paragrafo il giudice ritiene che non sia stata provata la valida adesione del Consorzio ai patti parasociali in vigore fra i soci Comune e Inpar.Ne consegue l’inoperatività della clausola compromissoria con la derivante competenza del giudice adito e la piena proponibilità della domanda.Ne consegue altresì l’infondatezza nel merito della pretesa dell’attore di avvalersi del patto di prelazione nei confronti della Inpar per quanto attinente alla cessione di quote pari al 59,5% del capitale sociale iscritta a libro soci in data 7 dicembre 1995 in favore della Servizi Ecologici s.p.a.Ogni argomentazione circa l’inopponibilità alla Servizi Ecologici della clausola di prelazione contenuta in accordi di carattere parasociale, non trasfusi nel vigente e pub-blico statuto, e circa la consequenziale inammissibilità di domande basate sull’efficacia “reale” e non meramente “obbligatoria” del patto di prelazione societario in questione appaiono ovviamente assorbite. (omissis).

ConsiderazioniIl giudice è giunto a quella data conclusione reputando assolutamente

non provato dalla parte la valida adesione del Consorzio ai patti parasociali in vigore. Quanto assunto proprio per l’esistenza nel patto parasociale di una clausola che finiva con l’esigere che la conclusione del negozio di adesione agli stessi patti da parte dei nuovi soci dovesse avvenire in forma scritta a pena di nullità. In tale ottica, inoltre, il giudicante ha tenuto a precisare che dalla documentazione in atti si desume chiaramente la circostanza che il Consorzio sollecitava la modifica dei patti parasociali e che rinviava al futuro la “sottoscrizione dei patti parasociali”.

2.13 Tribunale Varese, sentenza 1° marzo 1999

Il socio astenuto è legittimato ad impugnare la delibera dell’assemblea ordinaria di una società per azioni avente ad oggetto la nomina degli amministratori.

Presidente e Relatore Santangelo

Il Tribunale (omissis).La Banca ha eccepito in via preliminare che l’attore Stella, non avendo fatto constare in sede di votazione il proprio dissenso o la propria astensione in ordine alla delibera

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di nomina del consiglio di amministrazione, non avrebbe legittimazione ad impugnare la medesima. Al riguardo deve peraltro osservarsi come alla pagina n. 2 del verbale di assemblea ordinaria dei soci redatto il 18 febbraio 1997 risulti espressamente la di-chiarazione del socio Stella in ordine alla propria volontà di astenersi dalla votazione. Non può peraltro negarsi che nella specie la qualifica di astenuto, necessaria ai fini di acquisire il diritto all’impugnazione sussista e pertanto il rilievo da parte convenuta non può essere accolto.La convenuta ha altresì eccepito la decadenza del diritto dell’avv. Valcavi ad intervenire nel presente giudizio di impugnazione in quanto risultava già decorso il termine di impugnazione previsto dalla legge, in specie dall’art. 2377, secondo comma. C.C.L’intervento dell’avv. Valcavi deve, a parere del collegio, essere qualificato come liti-sconsortile in quanto propone una impugnazione autonoma ma di contenuto del tutto analogo a quella già proposta dagli attori.Nell’ipotesi peraltro di impugnazione della delibera assembleare di una società per azioni, a prescindere dal fatto che con detta impugnazione, si lamenti una inesistenza, una nullità o una mera annullabilità della delibera, il disposto dell’art. 2377, terzo comma, c.c. che prevede che l’annullamento della delibera abbia effetto rispetto a tutti i soci (norma che ha fatto ritenere sussistente nella specie un’ipotesi di efficacia riflessa del giudicato civile a soggetti che non sono né parti né aventi causa ex art. 2909 c.c.) induce a ritenere che il socio interveniente non debba subire preclusioni al proprio intervento dal decorso del termine decadenziale previsto dalla disposizione in oggetto soprattutto quando, come nel caso di specie, non vi sia alcun ampliamento del contraddittorio rispetto a quello originariamente instauratosi fra attori e convenuti. Non si ravviserebbe alcuna logica nella decisione che impedisse al socio di affermare autonomamente le proprie ragioni in ordine alla supposta invalidità della delibera e poi lo sottoponesse comunque alla efficacia di quella decisione emessa in un processo al quale egli aveva, inutilmente, ma legittimamente, richiesto di partecipare.La convenuta ha poi ancora rilevato come anche l’intervento della Associazione azio-nisti e amici della Banca popolare di Luino e di Varese sarebbe inammissibile, in quanto l’Associazione non era socia della Banca all’atto della emissione della delibera assembleare.Peraltro l’intervento spiegato in giudizio dall’Associazione appare, alla luce delle con-clusioni svolte, palesemente di natura adesiva dipendente e pertanto, stante la pacifica acquisizione, in corso di giudizio, da parte dell’Associazione, di certificati azionari della Banca, non vi è dubbio che l’Associazione medesima abbia un interesse a sostenere le ragioni dei soci che hanno impugnato in via principale la delibera. Anche tale eccezione della Banca deve pertanto essere disattesa.Ai fini dell’esame del merito della quaestio juris oggetto del contendere, ritiene il collegio di dover preliminarmente esaminare la contestata incidenza, sulla validità della delibera in oggetto, del protocollo d’intesa sottoscritto tra la Banca popolare Commercio e Industria e la Banca popolare di Luino e di Varese in data 20 dicembre 1995 e dunque in epoca precedente alla trasformazione della Banca popolare di Luino e Varese da cooperativa a società per azioni e all’acquisizione da parte di Banca popolare di Commercio e Industria di partecipazione azionaria nella Banca poi trasformata.

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Ed invero trattasi dell’unico vizio esogeno dedotto dagli attori e dall’intervenuto, in ordine alla predetta delibera, mentre i restanti vizi concernono lo svolgimento della assemblea medesima e i profili formali della sua indizione.In detto protocollo d’intesa si dava atto al punto 4 che il consiglio di amministra-zione sarebbe stato composto, all’atto dell’ingresso della Commercio e Industria nel capitale della Luino e Varese, quale socio maggioritario di controllo, da 13 membri, dei quali almeno 3 sarebbero stati espressi dalla Commercio e Industria e i restanti 10 dal resto della compagine sociale (e cioè dai soci privati), secondo i criteri tradizio-nalmente adottati nell’ambito della Luino e Varese. L’espressione letterale adottata in detta clausola contrattuale, laddove si attribuisce alla Banca Commercio e Industria il diritto di esprimere 3 amministratori, appare fare riferimento al concetto “omologo” di designazione dei medesimi e dunque di proposizione all’assemblea di 3 nominativi anziché dell’intero numero dei consiglieri.Non si spiegherebbe altrimenti l’individuazione del soggetto titolare del potere di indicazione degli altri 10 consiglieri, nei “soci privati” della Banca. Detti soci privati infatti non costituivano e non costituiscono oggi un corpus organico, un soggetto con unitarietà di struttura e di indirizzi che possa contrapporsi al socio di controllo Commercio e Industria e dunque godere di un potere, non di mera proposizione, ma di scelta ed elezione dei successivi 10 consiglieri. Non appare pertanto configurabile nella specie alcun obbligo in capo a Commercio e Industria di astensione dalla vo-tazione relativa ai residui 10 consiglieri o comunque alcun obbligo di Commercio e Industria di conformarsi alla volontà espressa in ordine a tali nomi attraverso la proposizione di una lista da parte dei soci privati. Del resto tale obbligo sarebbe stato, come si è verificato nel caso di specie, di contenuto del tutto indeterminato e come tale inattuabile, poiché ben potevano i soci privati (in unità indistinta) presentare più liste senza pertanto poter attribuire in capo a Commercio e Industria alcun obbligo di votare l’una anziché l’altra.Qualora peraltro accedendo alla tesi prospettata dagli impugnanti si dovesse ritenere che nella specie vi sia stato un patto avente quale contenuto proprio tale obbligo, non vi è dubbio che detto patto dovrebbe essere qualificato come parasociale in quanto afferente l’impegno da parte di un (prossimo) socio ad adottare in sede assembleare determinati comportamenti vincolati, concordati in precedenza.Il patto parasociale deve infatti essere definito come una convenzione con la quale i soci, o alcuni di essi, attuano un regolamento di rapporti in modo difforme o complemen-tare rispetto a quanto previsto dall’atto costitutivo o dallo statuto della società stessa, e nel caso di specie non vi è dubbio che lo statuto della Banca popolare di Luino e di Varese, quale conformato all’atto della sua trasformazione in società per azioni, non contenga alcun riferimento al protocollo di intesa stipulato in epoca precedente.La qualificazione come patto parasociale di tale protocollo di intesa condurrebbe, alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte formatasi tra gli anni sessanta ed ottanta, ad affermare che nel caso di specie detto patto sarebbe nullo ex art. 1418 c.c. per contrarietà a norme imperative (v. Cass. n. 1290/69 che ha affermato la nullità del patto di sindacato azionario di voto, quando l’assemblea della società risulti perma-

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nentemente svuotata di funzione di contenuto, quando venga ad essere soppressa la libertà del voto con la possibilità della formazione di maggioranza assembleare fittizie o quando il voto risulti vincolato ad interessi in contrasto con quelli della società o a favore di persone in conflitto di interessi con la società stessa).La Suprema Corte ha, poi, in data 25 gennaio 1965 con sentenza n. 136, affrontato una fattispecie che presenta rilevanti punti di contatto con quella oggetto di esame, in quanto in quel giudizio era stata dedotta la violazione denunciata dalla società Saacen, dell’accordo da essa stretto con due società francesi (la Mure e Les Forges de Ciney) nel senso che sarebbe dovuta essere paritetica la loro rappresentanza nel consiglio di amministrazione della società Tecnotermo che avevano progettato di costituire fra loro e che poi costituirono. I giudici di appello avevano accertato che le tre predette società avevano avuto inizialmente in conformità al pregresso accordo, una rappresentanza paritetica nel consiglio di amministrazione del nuovo organismo societario, nel quale ciascuna di esse era stata rappresentata da due amministratori. Successivamente però, in seguito alle dimissioni degli amministratori, si era determinato lo scioglimento del consiglio di amministrazione e l’assemblea della Tecnotermo aveva nominato, in sede di ricomposizione dell’organismo, i nuovi amministratori in difformità agli accordi parasociali e senza garantire dunque alcuna rappresentanza paritetica ai soci.La Suprema Corte, nel confermare la decisione dei giudici di appello, ebbe modo di affermare che le norme che disciplinano la struttura e il funzionamento delle società regolari data l’incidenza della loro attività nella vita commerciale ed industriale del paese, cioè in una sfera di interessi generali della collettività, non sono di interesse privato, ma di ordine pubblico, con la conseguenza che ogni patto fra soci che stabi-lisca un assetto qualificativo e funzionale dell’organismo societario diverso da quello stabilito dal legislatore è nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c., essendo contrario a norme imperative: come nullo è il patto con cui vengano predeterminati dai soci, invece che dall’assemblea sociale, le prerogative sovrane di questa, riconosciute dalla legge e il criterio di nomina degli amministratori. Sicché qualora l’assemblea, nei casi previsti dalla legge, nomini gli amministratori della società senza uniformarsi ai criteri fissati in un preventivo accordo tra i soci, non è configurabile alcuna responsabilità della società stessa e dei soci, che parteciparono alla deliberazione assembleare, sotto il profilo della violazione di un simile accordo, che è da considerare, data la sua nullità, privo di ogni effetto giuridico.Tale costante orientamento è stato oggetto di rivisitazione (a detta di alcuni commen-tatori obiter) da parte della Suprema Corte con la decisione n. 9975/95.Il Supremo Collegio ha, nella parte motiva, contestato l’affermazione secondo la quale il sindacato di voto ed in specie l’accordo parasociale avente per oggetto la nomina di organi della società, svuoterebbe l’assemblea di ogni significato e la priverebbe del potere di scegliere la forma dell’organo amministrativo nonché le persone degli amministratori e dei sindaci ed ha escluso che, vincolando con i patti parasociali la propria libertà di voto, i soci finirebbero per svuotare l’assemblea delle funzioni e dei poteri che ad essa la legge attribuisce, affermando che così argomentando si confon-dono piani diversi. Il vincolo nascente dal patto di sindacato opera su un terreno che è esterno a quello dell’organizzazione sociale e non impedisce in alcun modo al socio

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di determinarsi all’esercizio del voto in assemblea come meglio egli creda; dunque il regolare funzionamento dell’organo assembleare non è in alcun modo pregiudicato. Il fatto che il socio medesimo si sia, in altra sede, impegnato a votare in un determi-nato modo ha rilievo solo per l’eventuale responsabilità contrattuale nella quale egli incorrerebbe - ma unicamente verso gli altri firmatari del patto parasociale - violando quell’accordo.Il vincolo obbligatorio assunto opera, cioè, né più né meno che come qualsiasi altro possibile motivo soggettivo ed individuale che possa spingere un socio ad assumere in assemblea un certo atteggiamento e ad esprimere un determinato voto, ma nessuno potrebbe impedire a quel socio di optare per il non rispetto del patto di sindacato ogni qualvolta il suo personale giudizio di interesse ad un certo esito della votazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere di un inadempimento verso gli altri partecipanti al patto di sindacato, il che non mette di per sé minimamente in discussione la validità del deliberato assembleare, qualunque sia la scelta operata dal socio, almeno fino a quando non risulti possibile dimostrare in concreto l’esistenza di un conflitto di interessi rilevante ai sensi dell’art. 2373 c.c.L’excursus sin qui compiuto consente di concludere per la irrilevanza, ai fini della dedotta invalidità, del protocollo di intesa stipulato in data 20 dicembre 1995. Detto protocollo, per un verso appare non contenere l’obbligo specifico, e giuridicamente azionabile, in capo a Commercio e Industria di esprimere il proprio voto in assem-blea secondo determinate modalità, per altro verso qualora debba essere interpretato nel senso voluto dagli impugnanti, detto patto sarebbe comunque nullo ai sensi della pregressa giurisprudenza della Suprema Corte, o comunque, più correttamente, alla luce della attuale giurisprudenza che qui si condivide, del tutto ininfluente sul piano assembleare e societario, in quanto afferente al diverso profilo dell’inadempimento di un socio all’obbligo assunto nei confronti di altri soggetti, di esprimere in un determi-nato modo il proprio voto in assemblea. L’organismo societario dunque manterrebbe pienamente in sede assembleare il potere di autodeterminazione e qualora questo criterio fosse stato esercitato da alcuni soci in modo difforme dai patti stipulati in pregresso, l’unica azione esperibile dal soggetto che assume di essere stato parte del patto inadempiuto sarebbe quella di danno in relazione al contratto stipulato e non certo di impugnazione della delibera assembleare pronunciata con il concorso dei soci inadempienti.Ciò premesso può procedersi all’esame dei motivi di impugnazione afferenti al proce-dimento formativo della volontà assembleare.Si lamenta da parte degli attori che nel caso di specie non ricorreva l’ipotesi prevista dall’art. 12 dello statuto della Banca di Luino e Varese per il rinnovo del consiglio di amministrazione e per la conseguente convocazione dell’assemblea da parte del presi-dente del collegio sindacale. L’assunto è peraltro del tutto infondato: l’art. 12, secondo comma, prevede che nel caso in cui nel corso dell’esercizio vengano contemporanea-mente a mancare per qualsiasi motivo 3 o più amministratori decade l’intero consiglio di amministrazione e dovrà essere convocata senza indugio, dal presidente del collegio sindacale, l’assemblea per la nomina del nuovo consiglio di amministrazione.

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Le produzioni offerte dalla Banca hanno consentito di accertare che in data 24 gennaio 1997 i consiglieri Ferrini, Lamberti, Babini Cattaneo, Niada, Cantalupi, Compagnoni, Gerini e Malerba ebbero a rassegnare le dimissioni dal consiglio di amministrazione. Non vi è dubbio pertanto che anche l’interpretazione più rigida e forse poco condivi-sibile della dizione “contemporaneamente” contenuta nell’art. 13 sia nella specie stata rispettata.Altre deduzioni formulate dagli attori in ordine alle scelte effettuate dal presidente del collegio sindacale, quanto alla convocazione, e, in particolare, alla inserzione su-gli annunci a pagamento della Gazzetta Ufficiale alla convocazione in giorno feriale, riguardano presunte inadempienze al protocollo d’intesa che come innanzi detto non spiega alcuna efficacia nel caso di specie.Può pertanto procedersi all’esame dei vizi che attengono al concreto svolgersi della assemblea, ed in particolare alla contestata esistenza e validità del procedimento for-mativo della volontà assembleare, quanto alla nomina degli amministratori.Gli attori nell’atto introduttivo hanno testualmente scritto: “ogni votazione sui nomi è stata effettuata nonostante l’opposizione palese di molti presenti in questa stravagante maniera: si chiedeva chi era favorevole alla lista di maggioranza in blocco, si chiedeva poi chi era contrario e chi si asteneva (...) l’adozione del sistema di cui si è appena detto ha portato peraltro ad una soluzione aberrante: avendo proceduto ad una espressione di gradimento generico solo sulla prima lista (quella cioè che presentava i 13 nomi), il presidente dell’assemblea non ha neanche ritenuta opportuna la votazione sull’altra lista considerando in tal modo definitivamente chiusa la partita”, e alla pag. 20: “se infatti fosse accolto il principio per cui la lista di 13, votata dalla maggioranza.”.Trattasi in tutta evidenza di ammissione del procuratore, peraltro presente, quale socio, all’assemblea in oggetto.Nella propria comparsa di intervento l’intervenuto avv. Giovanni Valcavi, intervenuto in proprio e dunque parte nel presente giudizio, così scriveva “il presidente del col-legio sindacale, di provenienza di Commercio e Industria che presiedeva la riunione, assecondando la volontà del gruppo di controllo e del suo singolare alleato, ha messo ai voti esclusivamente la lista dei 13 nominativi proposta dal predetto Cerini e li ha proclamati eletti. Non fu neppure messa ai voti e neppure votata la lista dei 10 candidati proposta dai soci di minoranza il cui curriculum era stato illustrato.La proclamazione degli eletti è avvenuta per alzata di mano e non a voto scritto o comunque espresso in modo da distinguere la minoranza dal gruppo di controllo”.Alla pag. 15: “gli amministratori eletti per alzata di mano con il voto determinante di Commercio e Industria (...)”.Non può che condividersi allora al riguardo il rilievo di parte convenuta sulla esistenza di una confessione giudiziale che forma piena prova contro colui che l’ha fatta in ordine a circostanze sfavorevoli, come nella specie la esistenza di una votazione per alzata di mano, confessione alla quale significativamente si affianca l’ammissione attorea.Gli attori e l’intervenuto hanno peraltro nel corso del giudizio modificato l’originaria prospettazione, affermando che non vi sarebbe stata alcuna votazione per alzata di mano e che si sarebbe proceduto esclusivamente alla conta dei contrari e degli astenuti mediante deposizione delle schede nelle rispettive urne.

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L’intervenuto avv. Valcavi, in sede di discussione orale, ha rilevato che ammissione di contenuto contrario vi sarebbe stata da parte della Banca convenuta nella memoria 10 novembre 1997, nella quale si dava atto che la circostanza di cui al capitolo 7 de-dotto dall’Associazione azionisti ed amici della Banca con memoria 20 ottobre 1997 era ammessa.Nella memoria della Banca si legge espressamente: “la circostanza di cui al capitolo 7 (calcolo dei voti a favore per differenza rispetto ai voti contrari e astenuti) è am-messa”.Il capitolo 7 risulta, nella memoria 20 ottobre 1997 dell’Associazione, così formulato “se la proclamazione della nomina dei componenti il consiglio di amministrazione di tale assemblea sia avvenuta considerando voti favorevoli il numero degli iscritti con detrazione del numero dei voti contrari ed astenuti, questi ultimi risultanti dalle schede immesse nelle urne esclusivamente per chi votava in tal senso”.Non può che rilevarsi allora, sul punto, che il capitolo dedotto dall’Associazione e la connessa ammissione della Banca concernono non il diverso e precedente momento dell’effettuazione della votazione e del rito della “alzata di mano”, quanto quello suc-cessivo della proclamazione degli eletti medesimi, questa sì avvenuta, pacificamente, ai fini del calcolo della maggioranza, attraverso la detrazione del numero dei voti contrari ed astenuti dai voti favorevoli, desunti dal numero degli iscritti che risultavano ancora presenti in aula.Non risulta pertanto ricorrere nella specie la ammissione da parte della Banca di una mancata votazione sulla nomina dei componenti del consiglio di amministrazione.Gli attori e l’intervenuto avv. Valcavi hanno peraltro ulteriormente richiamato a fon-damento della propria tesi, il contenuto, e del verbale dell’assemblea come redatto dal segretario, e del verbale del collegio sindacale in data 16 aprile 1997.L’esame del verbale di assemblea non appare peraltro fornire conferma alcuna della mancanza della votazione per alzata di mano sui componenti del consiglio di ammi-nistrazione.Nel verbale il presidente ricordava che le votazioni sarebbero avvenute per alzata di mano e che, ove necessario, si sarebbe preceduto a raccogliere la scheda degli azionisti contrari o astenuti rappresentata da uno dei tagliandi in possesso da ciascuno interve-nuto. Si procedeva alla votazione in ordine alla nomina del presidente dell’assemblea e si dava atto che “procedutosi alla votazione nel modo anzidetto risultavano favorevoli gli azionisti presenti o rappresentati ad eccezione di voti contrari in numero 11.516 e astenuti numero 310.340”.Si procedeva poi con le medesime modalità alla votazione per la nomina a segretario del notaio Domenico Sciolon e, dopo la votazione effettuata con le medesime modalità di cui sopra, e cioè per alzata di mano, e per controprova con consegna, da parte dei contrari e degli astenuti, dei tagliandi in loro possesso, anche tale votazione aveva esito favorevole per il proposto segretario.Nel verbale si dava poi atto della votazione relativa alla individuazione in 13 del numero dei componenti il consiglio di amministrazione. Anche in ordine a tale votazione il presidente ricordava chi si sarebbe votato con le modalità già illustrate nella prima votazione e dava atto che la proposta era messa ai voti e, dopo prova e controprova, approvata all’unanimità.

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Il segretario dava atto che erano stati posti in votazione i 13 nominativi e che, pro-cedutosi alla votazione con prova e controprova, dopo essere ricorsi all’inserimento nell’urna del tagliando numero 3, prima da parte dei soci contrari, e poi dagli astenuti, la proposta era stata approvata.La verbalizzazione utilizzata nel dare contezza delle 4 votazioni svoltesi in data 18 febbraio 1997 appare sostanzialmente omogenea e, in particolare, quanto alla quarta votazione, risulta specificamente indicato che detta votazione risulta effettuata con prova e controprova. Non vi è dubbio che la controprova, come espressamente verba-lizzato, quanto alla votazione nr. 2 di nomina del segretario, risulta rappresentata dalla consegna, da parte dei contrari e degli astenuti, del tagliando nr. 2. Non vi è dubbio conseguentemente che la prova in oggetto sia costituita proprio dalla alzata di mano e dunque dalla osservazione dell’esistenza in concreto di una volontà di parte dei soci favorevoli alla delibera oggetto di votazione.Anche l’esame del verbale del collegio sindacale in data 16 aprile 1997 non consente a parere del collegio di trarre le conclusioni volute dagli attori e dall’intervenuto avv. Giovanni Valcavi, in ordine ad una ammissione, da parte dei sindaci, della inesisten-za di una votazione per alzata di mano, e dunque in ordine all’esistenza di un fatto nuovo costituito da tale documento proveniente dalla convenuta, che avrebbe indotto le controparti a mutare prospettazione, mutamento questo che comunque mal si con-cilierebbe con la presenza in assemblea, e dell’intervenuto avv. Valcavi, e degli attori e del loro legale. (omissis).Deve pertanto concludersi sul punto che la confessione giudiziale da parte dell’inter-venuto, l’ammissione degli attori, il tenore e del verbale di assemblea e del successivo verbale del collegio sindacale, forniscono tranquillante conferma dell’esistenza, in ordine alla nomina dei consiglieri, di una votazione per alzata di mano, e dunque escludono l’ammissibilità del capitolato di prova dedotto in ordine alla inesistenza di detta vota-zione, nonché in tutta evidenza l’accoglibilità del correlato motivo di impugnazione.Una volta accertato che una votazione per alzata di mano vi fu, occorre chiedersi se la stessa fosse modo legittimo di manifestazione della volontà assembleare, circostanza questa oggetto di giudiziale contestazione.Per vero tale metodo di manifestazione della volontà assembleare risulta, sulla base delle produzioni effettuate da parte convenuta, adottato, non solo da primarie aziende nazionali ma anche dalla Banca popolare di Luino e di Varese all’epoca in cui la società cooperativa era presieduta proprio dall’avv. Valcavi.A prescindere da tale rilievo, che di per sé non da contezza della legittimità di tale metodo, va affermato, con Tribunale di Genova 28 dicembre 1994, che non è inva-lida la deliberazione di assemblea di società per azioni che sia stata adottata con la maggioranza assoluta dei voti espressi per alzata di mano. In tale provvedimento il presidente del Tribunale di Genova ha avuto modo di affermare che il voto per alzata di mano costituisce modo espresso di manifestazione del voto, e come tale, ritiene questo collegio che non vi sia motivo di contestarne la legittimità.Tale metodo di votazione non risulta contrario alla normativa vigente in materia di procedimento di formazione delle deliberazioni assembleari, né è dato dedurne la

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contrarietà sulla scorta della, dedotta dagli attori, disomogeneità tra raccolta del voto degli astenuti e dei contrari a mezzo schede, e individuazione del voto favorevole per differenza.Tale momento attiene invero alla fase, successiva, della rilevazione del voto, e non inficia dunque il pregresso momento della manifestazione della volontà assembleare. Anche in ordine alla rilevazione del voto non può che affermarsi, che, una volta individuati i presenti-votanti e proceduto alla rilevazione dei contrari e degli astenuti, condivi-sibili esigenze di speditezza, ben giustificano l’individuazione dei voti favorevoli per differenza. Del resto proprio in materia di rilevazione del voto, quanto alle società con azionariato diffuso, la comunicazione della Consob n. Soc-93002635 dell’8 aprile 1993, ha richiesto che venissero inseriti nei verbali assembleari o negli allegati i nominativi dei soggetti che avessero espresso voto contrario o si fossero astenuti o si fossero al-lontanati prima di una votazione senza dunque procedere alla rilevazione positiva per schede dei voti favorevoli, legittimamente dunque individuati, per differenza negativa, rispetto ai contrari e agli astenuti.Ai fini che ci occupano merita altresì di essere sottolineato che la proposta del presidente di procedere in tutte le votazioni, e in particolare in quella oggetto di contestazione, alla votazione per alzata di mano, risulta tacitamente approvata dalla maggioranza dei soci intervenuti, in quanto solo il socio oggi intervenuto avv. Valcavi risulta aver manifestamente contestato in assemblea tale proposta del presidente. (omissis).

ConsiderazioniLa sentenza riferita viene a toccare il delicato tema del rapporto in-

tercorrente tra patto parasociale e deliberazione assembleare o meglio l’influenza dell’eccepito inadempimento di una parte al patto parasociale sulla validità della deliberazione assembleare.

La Corte giunge alla seguente conclusione, rilevando che il vincolo obbligatorio assunto dalle parti opera, né più né meno che come qualsiasi altro possibile motivo soggettivo ed individuale che possa spingere un socio ad assumere in assemblea un certo atteggiamento e ad esprimere un determinato voto. Nessuno potrebbe impedire a quel socio di optare per il non rispetto del patto di sindacato ogni qualvolta il suo perso-nale giudizio di interesse ad un certo esito della votazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere di un inadempimento verso gli altri partecipanti al patto di sindacato, il che non mette di per sé mini-mamente in discussione la validità del deliberato assembleare, qualunque sia la scelta operata dal socio, almeno fino a quando non risulti possibile dimostrare in concreto l’esistenza di un conflitto di interessi rilevante ai sensi dell’art. 2373 C.C.

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2.14 Tribunale como, provvedimento 31 gennaio 2000

È inammissibile l’istanza di cancellazione d’ufficio del deposito di un patto parasociale nullo poiché l’istituto della cancellazione d’ufficio è applicabile esclusivamente agli atti soggetti ad iscrizione, non anche a quelli soggetti a mero deposito, quali i patti parasociali.

Giudice del Registro Imprese, Dott. Nardecchia

Il Giudice, a scioglimento della riserva che precede, premesso che:- nell’ottobre 1999 il comune di Como, nell’intento di privatizzare in parte ACSM s.p.a. (in seguito: ACSM), di cui era unico socio, procedeva, con il coordinamento di Caboto SIM s.p.a. (in seguito: Caboto) ad un’offerta globale di n. 9.300.000 azioni ordinarie, rappresentanti il 25% del capitale sociale di ACSM;- in funzione di tale offerta globale (suddivisa in un’offerta pubblica rivolta al pubbli-co indistinto e un collocamento privato rivolto ad investitori professionali italiani e ad investitori istituzionali esteri) ACSM richiedeva l’ammissione delle proprie azioni ordinarie alla quotazione presso il mercato telematico azionario organizzato e gestito da Borsa italiana s.p.a.;- l’ammissione alla quotazione veniva disposta da Borsa italiana con provvedimento n. 680 dell’11 ottobre 1999;- il prospetto informativo veniva depositato presso la Consob il 13 ottobre 1999, a seguito di nulla osta comunicato con nota in pari data;- in data 20 ottobre 1999, il comune di Como e ACSM concludevano, con il consorzio di istituti di credito e società di intermediazione mobiliare coordinato e diretto da Caboto, un contratto di collocamento e garanzia per la vendita delle azioni nell’ambito del collocamento privato;- in forza di tale contratto ACSM ed il comune di Como assumevano una serie di impegni aventi ad oggetto, tra l’altro, il divieto di effettuare operazioni sul capitale di ACSM, di cedere od offrire le azioni di proprietà del comune di Como sino alla scadenza del sesto mese successivo alla data di sottoscrizione del contratto (il c.d. “periodo di Lock-up”), senza il consenso scritto di Caboto;- a seguito del buon esito dell’offerta, Borsa italiana s.p.a. emetteva il provvedimento di autorizzazione all’inizio delle negoziazioni in data 27 ottobre 1999;- da tale data ACSM diveniva soggetta alla disciplina speciale delle società con stru-menti finanziari quotati in borsa e procedeva agli adempimenti disposti dal D.Lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998, tra i quali, in particolare, quelli relativi alla pubblicazione dei patti parasociali di cui all’art. 122;- il contenuto degli impegni assunti dal comune di Como e da ACSM nel contratto, rientrava nell’ambito di tale articolo in quanto “aventi per oggetto l’esercizio del diritto di voto” in ACSM (il comune di Como si era infatti impegnato, in particolare, a non votare nelle assemblee di ACSM aumenti di capitale ovvero emissioni di qualsivoglia

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titolo convertibile o scambiabile in azioni ordinarie ACSM ed a non votare autorizza-zioni all’acquisto ovvero ad altre operazioni aventi ad oggetto azioni proprie);- di conseguenza ACSM procedeva alla comunicazione alla CONSOB, alla pubblica-zione sul quotidiano MF e al deposito presso il registro delle imprese di Como, ove la società è iscritta al n. 32309;- tale deposito veniva effettuato in data 17 novembre 1999 ed accettato dal conservatore, il quale riceveva in deposito i patti e ne eseguiva l’iscrizione nel registro;- tuttavia, rilevato che il deposito era avvenuto oltre il termine di 15 giorni stabilito dall’art. 122, D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58, il conservatore del registro delle imprese di Como faceva istanza a questo tribunale chiedendo che ne venisse ordinata con decreto la cancellazione;- il conservatore assumeva la nullità dei patti parasociali perché depositati dopo la scadenza del suddetto termine di 15 giorni dalla loro stipulazione (o di inizio delle negoziazioni delle azioni della società);- la società ACSM si opponeva a tale richiesta, ovvero, in subordine, riteneva la stessa accoglibile limitatamente all’avvenuta iscrizione dei patti di cui si tratta, senza alcun pregiudizio per il deposito che ne è stato fatto, di cui si chiedeva la dichiarazione di conformità alla legge;rilevato che:- la stessa lettura del citato art. 122, D.Lgs. n. 58/1998 conforta la prospettazione di ACSM circa la non iscrivibilità dei patti parasociali;- tali patti sono soggetti esclusivamente a deposito ai sensi dell’art. 14, D.P.R. n. 581/1995, procedimento che la stessa normativa vigente costruisce in parallelo al di-verso procedimento di iscrizione di cui all’art. 11 D.P.R. citato;- lo stesso conservatore nella memoria del 24 gennaio 2000 ha accolto tale prospettazione, precisando che il provvedimento richiesto a questo giudice consiste nella cancellazione del deposito ai sensi dell’art. 2191 c.c., non avendo egli provveduto ad un’iscrizione ex art. 11, D.P.R. n. 581/1995, ma intendendo descrivere con la parola iscrizione, in termini informatici, l’operazione materialmente eseguita, cioè la memorizzazione degli estremi dell’atto nel registro come previsto dall’art. 14 D.P.R. citato;- istanza la cui ammissibilità deve essere vagliata, poiché la normativa applicabile al deposito, a differenza di quella relativa all’iscrizione, prevede espressamente solo il controllo del conservatore all’atto del deposito, controllo limitato, al di là degli aspetti legati alla sottoscrizione ed alla compilazione della domanda, alla mera corrispondenza tra l’atto presentato ed il modello di atto per il quale la legge prescrive il deposito, controllo dal quale può derivare la mancata accettazione del deposito, nel qual caso trovano applicazione, in forza del richiamo fattone dall’art. 14, comma 10, D.P.R. n. 581/1995, gli artt. 2189, terzo comma, e 2192 c.c.;- la prima osservazione riguarda il mancato richiamo dell’art. 2191 c.c., norma pre-supposta dall’istanza del conservatore;- questo giudice ritiene che tale mancata menzione non possa qualificarsi come una mera dimenticanza, alla quale porre riparo attraverso il ricorso all’interpretazione analogica, derivando l’inammissibilità di una successiva cancellazione d’ufficio diret-tamente dalle caratteristiche della fattispecie deposito;

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- invero il deposito costituisce un mero fatto giuridico, un’attività materiale, un acca-dimento il cui verificarsi è attestato dalla memorizzazione del dato nel registro delle imprese, mentre l’iscrizione è un atto giuridico consistente nella manifestazione di volontà di inserire tale atto nel registro al fine di renderlo conoscibile ed eventualmente opponibile ai terzi;- di conseguenza mentre la cancellazione d’ufficio di un’iscrizione assume il significato della contrapposizione di un nuovo e diverso atto giuridico, avente contenuto opposto e contrario alla deliberazione di iscrizione, l’ipotizzata cancellazione d’ufficio, di un deposito effettivamente avvenuto, acquisterebbe il significato incongruente di negare un mero accadimento, il verificarsi del fatto storico attestato dalla menzione nel regi-stro, senza poter coinvolgere, come invece sembrerebbe prospettare il conservatore, il diverso piano della validità dell’atto depositato;- l’istanza del conservatore è basata sul mancato rispetto di un termine espressamente previsto dall’art. 122, D.Lgs. n. 58 del 24 febbraio 1998, dal quale la legge fa derivare la nullità del patto medesimo;- mancato rispetto del termine che non poteva comunque dar luogo al rifiuto dell’atto da parte del conservatore, essendo l’ambito del controllo previsto dalla legge limitato, per quel che interessa, all’accertamento della mera corrispondenza (da intendersi come corrispondenza il modello tipico previsto dal legislatore), tra l’atto di cui si chiede il deposito e l’atto per il quale il deposito è prescritto;- in questo caso l’atto depositato corrisponde al modello astratto di patto parasociale soggetto a tale formalità, ma è affetto da nullità non perché viziato nei suoi elementi costitutivi, ma proprio perché depositato presso il registro delle imprese oltre i quindici giorni indicati dalla legge;- ritiene questo giudice alla luce della disciplina che regola i bilanci, altro gruppo di atti soggetti a deposito e non ad iscrizione, che la nullità da qualunque causa essa derivi non possa essere rilevata dal conservatore in sede di procedimento di deposito, né lo legittimi, rispettato il requisito della conformità formale all’attuale modello legislativo di bilancio sociale, a rifiutarne il deposito;- non si rinvengono, in assenza di alcuna previsione legislativa, motivi sufficienti a configurare, nel caso in esame, una diversa soluzione;- è bene precisare che, pur condividendo le perplessità espresse dalla dottrina circa la difficile coesistenza tra la previsione della nullità, per mancata osservanza di un requisito anteriore rispetto agli elementi costitutivi del negozio, e l’ulteriore previsio-ne del congelamento del diritto di voto relativo alle azioni comprese nel patto non pubblicizzato, il dato testuale e le origini della norma depongono incontestabilmente a favore della ricostruzione della sanzione comminata dal legislatore in termini di nullità e non di mera inefficacia;- pur tuttavia non può negarsi che tale ricostruzione, se non temperata, comporterebbe la violazione non solo dei principi generali che reggono la materia societaria, quanto dei principi costituzionali sul libero esplicarsi dell’iniziativa economica, configurando, non essendo previsto alcun termine finale, una sorta di espropriazione non solo dei diritti di partecipazione alla formazione della volontà sociale, quanto dello stesso valore economico delle azioni, il cui congelamento, alla luce della formulazione del comma

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4 dell’art. 122, sembrerebbe addirittura indipendente dalla qualità di partecipante al patto del titolare;- si impone quindi una lettura del dato testuale, di per sé insuperabile da parte dell’in-terprete, che renda la previsione compatibile con i principi generali dell’ordinamento, alla luce della stessa ratio della norma che consiste non nel divieto di stipulare patti di governo delle società quotate, quanto nella necessità che tali patti siano conoscibili e valutabili da tutti gli interessati;- l’unica strada per conciliare tali opposti dati normativi è rappresentata dalla possi-bilità di far rientrare il caso in esame nelle ipotesi, sia pur di natura eccezionale, di nullità sanabile;- ipotesi di sanatoria dell’atto nullo (ad esempio la conferma del testamento e delle donazioni nulle; la conferma dell’atto di vendita immobiliare nel quale manchino le menzioni urbanistiche previste dalla L. n. 47/1985; la sanatoria dell’atto traslativo nullo di cui all’art. 2, comma 57, L. n. 662/1992; e in materia societaria il recupero dell’atto costitutivo di società di capitali qualora la causa di nullità sia stata eliminata da una modificazione dell’atto costitutivo iscritta nel registro delle imprese prevista dall’art. 2332, ultimo comma, c.c.) la cui caratteristica consiste nell’espressa previsione di legge, mentre nel caso in questione la possibilità di sanatoria, attraverso il completamento tardivo delle formalità di pubblicità prescritte, dovrebbe trarsi indirettamente dalla previsione di un congelamento che se fosse o dovesse intendersi come indeterminato quanto al soggetto che dovrebbe subirlo e soprattutto quanto alla durata, apparirebbe in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento;- l’inammissibilità di una sanatoria apparirebbe ancor più incongruente e contraria alla stessa ratio della norma nei casi, simili al caso di specie, nei quali è palese la volontà dei soci legati dal patto parasociale di non mantenerlo segreto e quindi di rispettare la volontà della legge, ma, indipendentemente dal motivo che ne è causa, il meccanismo di pubblicità si sia inceppato. (omissis).

2.15 cassazione civile, Sezione I, sentenza 23 no-vembre 2001, n. 14865

I patti parasociali (e, in particolare, i cosiddetti sindacati di voto) sono, nella loro composita tipologia (che non consente, pertanto, la riconduzio-ne ad uno schema tipico unitario), accordi atipici, volti a disciplinare, in via meramente obbligatoria tra i soci contraenti, il modo in cui dovrà atteggiarsi, su vari oggetti (nella specie, circa la nomina di amministra-tori societari), il loro diritto di voto in assemblea. Il vincolo che discende da tali patti opera, pertanto, su di un terreno esterno a quello dell’or-ganizzazione sociale (dal che, appunto, il loro carattere “parasociale” e, conseguentemente, l’esclusione della relativa invalidità ipso facto), sicché

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non è legittimamente predicabile, al riguardo, né la circostanza che al socio stipulante sia impedito di determinarsi autonomamente all’esercizio del voto in assemblea, né quella che il patto stesso ponga in discussione il corretto funzionamento dell’organo assembleare (operando il vincolo obbli-gatorio così assunto non dissimilmente da qualsiasi altro possibile motivo soggettivo che spinga un socio a determinarsi al voto assembleare in un certo modo), poiché al socio non è in alcun modo impedito di optare per il non rispetto del patto di sindacato ogni qualvolta l’interesse ad un certo esito della votazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere dell’inadempimento del patto.

Presidente Carnevale - Relatore Morelli

La Corte (omissis).Con i tre motivi della propria impugnazione, il Luzi - denunciando violazione degli artt. 112, 113 c.p.c.; 1322, 1343, 1346, 1418 e 2383 c.c. e vizi di motivazione - critica i giudici dell’appello per avere, rispettivamente:- omesso di pronunciare, prendendo posizione, sulla natura dei patti in discussione (coincidenti con la prevista durata della società, fino al 2050) quali patti a tempo in-determinato ovvero a termine, eccessivamente protratto;- erroneamente ritenuto la validità, comunque, dei patti stessi;- immotivatamente, infine, respinto la censura relativa alla domanda di reiezione della penale.Con i due motivi del ricorso incidentale, la “21 Investimenti”, a sua volta, reitera l’eccezione di nullità del lodo - per mancata indicazione della sede dell’arbitrato e del luogo della sua sottoscrizione - e di invalidità dei patti parasociali per cui è causa.I due ricorsi, vanno previamente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c.Ancora in via preliminare, va esaminata ai fini della esatta delimitazione del thema decidendum la questione sulla ammissibilità del ricorso incidentale della “21 Inve-stimenti”, in relazione anche alla eccezione, in tal senso formulata dal Di Gregorio, sia pur limitatamente al primo mezzo di detta impugnazione. Ritiene al riguardo il Collegio che il ricorso incidentale della “21 Investimenti” sia inammissibile nella sua interezza, in relazione al suo contenuto di impugnazione autonoma (parallela e non contrapposta alla impugnazione principale del Luzi) e per la sua tardiva proposizione (il 30 novembre 1999) dopo l’intervenuta scadenza (il 22 ottobre precedente) del termine ordinario annuale di impugnazione incrementato dei periodi di sospensione feriale, decorrente dalla data (24 luglio 1998) di deposito della sentenza d’appello.Per il combinato disposto degli artt. 370, 371 c.p.c., solo alla parte contro la quale è diretto il ricorso principale è consentito, infatti, di presentare ricorso (nei confronti di qualsiasi capo della sentenza impugnata ex adverso: cfr. nn. 9470/90; 3502/99) nelle forme e nei termini del ricorso incidentale ex art. 334 c.p.c., poiché soltanto questa può avere interesse a contraddire e presentare ricorso incidentale anche tardivo (così n. 5675/99). Per cui, appunto, quando il ricorso abbia, invece, come nella specie,

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contenuto autonomo i termini della impugnazione incidentale sono inapplicabili ed il ricorso deve essere proposto nel termine di decadenza previsto dagli artt. 325, 327 c.p.c. (cfr. pure n. 1066/99).Senz’altro infondato, è poi il primo motivo del ricorso principale. La circostanza che la Corte di merito, nell’escludere l’invalidità dei patti parasociali in discussione, ab-bia espressamente ritenuto che tale soluzione s’imponga identicamente quale che sia la durata, indeterminata o non, dei patti stessi, esclude evidentemente che, in ordine alla qualificazione dei predetti patti, per il profilo della loro durata, possa configurarsi l’omissione di pronuncia prospettata dal ricorrente. Tale pronuncia risultando, viceversa, adottata nel senso, appunto, dalla irrilevanza della dimensione temporale della clausola, ai fini della sua validità e, sostanzialmente, risolvendosi in una doppia pronuncia di esclusa nullità dei patti sub iudice nella loro duplice possibile eccezione dei patti vuoi a tempo indeterminato che a termine coincidente con la durata stessa della società.Il secondo complesso motivo del ricorso del Luzi ripropone la questione centrale sulla validità dei patti di sindacato stipulati tra le parti e si articola su un triplice e gradato livello di contestazione alle affermazioni della Corte di merito sulla validità “in via di principio” dei cd. sindacati di voto; sulla validità del patto di voto anche quando relativo alla nomina di amministratori della società; sulla esclusa nullità, infine, di siffatti patti pur ove stipulati, come nella specie, senza prefissazione di termine o di un termine, comunque, ragionevole.Sostiene, infatti, in contrario, il ricorrente che nulli siano, invece, “di regola”, i patti parasociali di voto, perché espropriativi delle funzioni e dei poteri dell’assemblea; che nulli siano in particolare i sindacati di voto sulla nomina di amministratori per contrasto con la norma imperativa dell’art. 2383 c.c. (che attribuisce all’assemblea il potere di quella nomina), che nulli siano, comunque, patti siffatti ove stipulati a tempo indeterminato od a termine eccessivamente protratto, per l’ulteriore profilo di loro contrasto con il principio generale dell’ordinamento di non tolleranza di vincoli obbligatori a tempo indeterminato.Nessuno di tali rilievi critici può, però, essere condiviso.1. Nella eccezione emersa, ed imposta, dalla prassi (sulla spinta di esigenze, tra l’altro, di assicurazione di nuclei stabili di soci in grado di ispirare la strategia imprendito-riale delle società) e poi, comunque, considerata per acquisita o presupposta da varie discipline di settore (v. L. n. 223/1990, art. 26; L. n. 1/1991, art. 1; D.Lgs. n. 127/1991, art. 26; L. n. 149/1992, artt. 7, 10; D.Lgs. n. 385/93, art. 23; e v., da ultimo, il D.Lgs. n. 58/98, sulla intermediazione finanziaria, il cui art. 123, non applicabile ratione temporis e ratione materiae, alla fattispecie, stabilisce ora una durata avente per oggetto l’eser-cizio del diritto di voto nelle s.p.a. quotate in borsa, con automatica riduzione, in tali limiti, dei termini stipulati per durata superiore) i patti parasociali e, in particolare i cosiddetti sindacati di voto sono, nella loro varia tipologia (che non ne consente, allo stato, la riconduzione ad uno schema tipico unitario) accordi (quindi) atipici volti a disciplinare, in via meramente obbligatoria tra i soci contraenti, il modo in cui dovrà atteggiarsi (su vari oggetti) il loro diritto di voto in assemblea (non dissimilmente dall’accordo, ad esempio, sul contenuto del voto che preventivamente intervenga tra più comproprietari delle medesime azioni, ex art. 2347 c.c.).

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Il vincolo, che da tali patti discende, opera, pertanto, su un terreno esterno a quello della organizzazione sociale (dal che, appunto, il loro carattere parasociale), per cui non può dirsi, senza confondere i due diversi piani del rapporto parasociale e del rapporto sociale; né che al socio, stipulante un tal patto, sia in alcun modo impedito di determinarsi all’esercizio del voto in assemblea come meglio creda, né, quindi, che il patto stesso ponga in discussione il funzionamento dell’organo assembleare.Come ben chiarito dalla sentenza n. 9975/1995 (che si è motivatamente discostata da alcuni precedenti di segno contrario), “il fatto che il socio si sia, in altra sede, impe-gnato a votare in un determinato modo ha rilievo solo per l’eventuale responsabilità contrattuale nella quale egli incorrerebbe - ma unicamente verso gli atti firmatari del patto parasociale - violando quell’accordo”.Sicché il vincolo obbligatorio, così assunto, opera non dissimilmente da qualsiasi altro possibile motivo soggettivo che possa spingere un socio ad esprimere il suo voto in assemblea in un determinato modo. Senza che nessuno possa impedire a quel socio di “optare per il non rispetto del patto di sindacato, ogni qualvolta, a suo personale giudizio, l’interesse ad un certo esito della violazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere dell’inadempimento del patto” (n. 9975/95 cit.).Non sussiste il paventato effetto di svuotamento dei poteri assembleari riconducibile al patto parasociale e ciò conduce ad escludere (come correttamente ha fatto la Corte milanese) che possa per quel motivo sostenersi la tesi della invalidità, “per principio” dei patti parasociali.2. Neppure, per altro, poi sussiste l’ipotizzato contrasto con la norma imperativa del-l’art. 2383 c.c. da cui si vorrebbe, in via gradata, far discendere la nullità di sindacati di voto sulla nomina di amministratori della società.L’inderogabilità della norma attributiva del potere di nomina, di detti organi, all’as-semblea non è posta, infatti, in discussione dall’eventuale accordo di voto che, per il già rilevato suo effetto interamente interno al rapporto parasociale, non incide su quel potere assembleare, cui il patto non pone (per come dimostrato) limiti od ostacoli sul piano dell’organizzazione societaria. Dal che l’esclusione, del pari correttamente ritenuta dai giudici a quibus, di una ragione generale di invalidità della subcategoria di patti in esame.3. Residua il profilo di doglianza relativo alla mancata predeterminazione di (una ragionevolmente contenuta) durata, dalla quale il ricorrente assume che la Corte del merito avrebbe dovuto, comunque, inferire la nullità dei patti per cui è lite.Al riguardo questo Collegio non ignora che la già richiamata sentenza n. 9975/1995 (sul punto invocata dal ricorrente) ha affermato che l’indeterminatezza della durata, o la durata non ragionevolmente contenuta, del patto parasociale ne determina la caduta “nell’area di disfavore che circonda le obbligazioni destinate a durare indefinitamente nel tempo ed impedisce di considerarlo meritevole di tutela e, per ciò, giuridicamente valido, a norma dell’art. 1322, comma 2, c.c.”.Ma ritiene di doversi ora discostare da tale soluzione di principio, per ragioni in primo luogo di coerenza con l’ammessa validità, in via generale, delle convenzioni di voto, non potendo il sottostante giudizio di meritevolezza della correlativa tutela, ex art. 1322 c.c. essere sovvertito in presenza e in dipendenza di patologie circoscritte al

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mero profilo della durata (indeterminata od eccessiva) del patto. A fronte delle quali, la sanzione della nullità, applicata alla pattuizione nella sua interezza, appare eccessiva, ed anche eccentrica rispetto alla ratio (cui la sanzione sarebbe informata) di evitare, semplicemente, la perpetuità del vincolo negoziale.Esistono, ben vero, altri rimedi, dettati dall’ordinamento, per assicurare la tempora-neità dei rapporti obbligatori ed in particolare quello, cui anche nella specie può farsi ricorso, dell’applicazione dell’istituto del recesso unilaterale ad nutum, con obbligo di preavviso o per giusta causa.La prevalente dottrina e la più recente giurisprudenza (che circoscrive la portata del-l’art. 1373 c.c. al suo contenuto disciplinatorio del recesso, nei contratti di durata, ove tale facoltà sia prevista dalle parti, senza alcuna implicazione ostativa alla recedibilità anche in caso di mancata previsione pattizia al riguardo: cfr. Cass. n. 4597/93; n. 8360/96; n. 1594/97) concordano, infatti, nell’enucleare, dalle singole disposizioni che ne fanno applicazione con riguardo a specifici contratti tipici a tempo indeterminato, un principio generale di risolubilità ad nutum, individuando nel recesso unilaterale una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, rispondente all’esigenza, appunto, di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio (cfr. n. 6427/98).Il riferito principio è agevolmente estensibile ai contratti atipici, a maggior ragione ove gravitanti (come quelli in esame) nell’area del fenomeno societario (cfr. artt. 24, secondo comma, 2285 c.c.).L’obiettivo di evitare la durata indeterminata od eccessiva dei patti di voto può così ben essere raggiunto - salvaguardando, nel contempo, la validità ed efficacia del vincolo negoziale - attraverso il ricorso ad uno strumento più adeguato e bilanciato, quale il recesso unilaterale che abiliti le parti a mettere fine ad un rapporto di durata indefinita con effetto ex nunc, in luogo che attraverso la via della eliminazione del rapporto ex tunc (in quanto, in tesi nullo): via (quest’ultima) che potrebbe essere anche artatamente percorsa dal contraente che abbia violato l’impegno assunto.Né rileva in contrario la previsione di invalidità dei patti di divieto di alienazione “non contenuti entro convenienti limiti di tempo” di cui all’art. 1379 c.c. e la “stretta connessione” (cui fa riferimento la citata sentenza del 1995), che spesso sussiste, “fra il vincolo avente ad oggetto l’esercizio del voto e quello gravante sulla trasferibilità delle azioni a terzi”.Una tale eventuale connessione non comporta, infatti, necessariamente l’invalidità all’intero patto contratto a tempo indeterminato ma la nullità della sola clausola li-mitativa del potere di disposizione di azioni sindacate; risultandone, per l’effetto, solo indebolito, ma non anche svuotato di ogni contenuto, il patto di voto che vincolerà comunque i contraenti fino a quando restino proprietari delle azioni.Il ricorso allo strumento del recesso ad nutum, per assicurare la temporaneità del vincolo negoziale, nei contratti, anche atipici, a tempo indeterminato (od a termine eccessivamente protratto) risponde, d’altra parte anche ad una non eludibile esigenza di conformazione del contratto a buona fede che si impone in fase esecutiva in virtù del disposto dell’art. 1375 c.c. (cfr. sent. n. 8360/90), e per via stessa di integrazione del contratto, in ragione della riconducibilità della clausola di buona fede al dovere

2. la giurisprudenza italiana inmateriadipatti parasociali

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costituzionale di solidarietà, operante, come già sottolineato, anche all’interno del rapporto negoziale e con forza di norma inderogabile, immediatamente e direttamente precettiva (cfr. sentenze nn. 3775/1994; 10511/1999).Resiste, quindi, a censura la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha escluso la nullità del patto di voto pur di durata indeterminata od eccessivamente protratta.Dal che conclusivamente l’infondatezza del secondo mezzo impugnatario in ognuna delle tre subcensure.Né a miglior sorte può andare incontro la residua terza doglianza del Luzi, in punto di denegata riduzione della penale. Avendo, al riguardo, la Corte territoriale (anche in ragione dei limiti del sindacato devolutole sul lodo impugnato), correttamente escluso l’asserita violazione dell’art. 1384 c.c., sul rilievo che gli arbitri avevano respinto la domanda di riduzione sulla base della verificata insussistenza dei correlativi presup-posti di parziale esenzione della obbligazione principale e di manifesta eccessività della penale stessa in relazione all’interesse del creditore. Circostanze queste, di fatto, evidentemente non suscettibili di riesame in questa sede di legittimità.Il ricorso principale va, pertanto, a sua volta integralmente respinto. (omissis).

ConsiderazioniRilevanti due principi enunciati in questa sentenza della Suprema

Corte di Cassazione. Il primo (che lo abbiamo già analizzato con riferi-mento ad altre statuizioni) è quello secondo cui il vincolo che discende dai patti parasociali opera su di un terreno esterno a quello dell’orga-nizzazione sociale (dal che, appunto, il loro carattere “parasociale” e, conseguentemente, l’esclusione della relativa invalidità ipso facto), sicché non è legittimamente predicabile, al riguardo, né la circostanza che al socio stipulante sia impedito di determinarsi autonomamente all’esercizio del voto in assemblea, né quella che il patto stesso ponga in discussione il corretto funzionamento dell’organo assembleare (operando il vincolo obbligatorio così assunto non dissimilmente da qualsiasi altro possibile motivo soggettivo che spinga un socio a determinarsi al voto assembleare in un certo modo), poiché al socio non è in alcun modo impedito di optare per il non rispetto del patto di sindacato ogni qualvolta l’interesse ad un certo esito della votazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere dell’inadempimento del patto.

Per quanto concerne il secondo e in ciò consiste il suo di scostamento dalla pronuncia resa dalla Suprema Corte (la n. 9975/1995), il giudice di legittimità tiene a precisare che i sindacati di voto sono validi anche se stipulati a tempo indeterminato o per l’intera durata della società, essendo la loro temporaneità assicurata dall’esercizio del diritto di recesso - ad nutum - con obbligo di preavviso.

2. lagiurisprudenza italiana in materiadipatti parasociali

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La sentenza è, infine, rilevante poiché viene a porsi in quel dibattito che ha visto fronteggiarsi alcuni orientamenti in merito al problema della individuazione di un criterio distintivo tra un patto parasociale ed un patto sociale.

Detta sentenza viene a preferire quell’orientamento secondo cui per risolvere il problema è necessario analizzare se l’accordo determina o meno il sorgere di obblighi con effetti limitati ai rapporti tra soci (si avrà allora un patto parasociale) o se tali effetti vengono a coinvolgere anche la società si avrà un patto sociale.

2.16 cassazione civile, Sezione I, sentenza 21 no-vembre 2001, n. 14629

In tema di società per azioni, il patto cosiddetto “parasociale” con il quale alcuni soci concordino tra loro condizioni e modalità di sottoscrizione di un aumento del capitale sociale vincola, per definizione, esclusivamente i soci contraenti, e non anche la società che è, rispetto al patto stesso, terza.

Presidente Carnevale - Relatore Morelli

La Corte (omissis).Con i sei motivi della impugnazione, la Banca ricorrente critica, nell’ordine, la Corte di appello per avere:a) violato l’art. 1420 c.c. sulla nullità del contratto plurilaterale, non avvedendosi della “essenzialità” degli apporti pubblici annullati, comportante la caducazione anche del conferimento CIS (1° motivo):b) disatteso e non adeguatamente valutato il patto parasociale stipulato tra tutti gli azionisti di N.C.A., dal quale, avrebbe dovuto desumersi l’inscindibilità dell’aumento di capitale della stessa N.C.A. (2° e 3° mezzo);c) violato altresì gli artt. 1345 e 1418 c.c., non rilevando la nullità di tutti i conferimenti concernenti il predetto aumento di capitale, in quanto ispirati da un “comune motivo illecito” (quello di ottenere un indebito aiuto di Stato a favore di N.C.A. (4° motivo);d) disapplicato le norme relative alla risoluzione del contratto per impossibilità so-pravvenuta, di cui agli artt. 1256 e 1466 c.c. (5° mezzo);e) omesso di esaminare la prospettata presupposizione (di conformità a legge di tutti i conferimenti su richiamati) e di trarre le conseguenze del suo mancato avveramento, in termini di caducazione dell’intera operazione di aumento di capitale N.C.A.Ogni censura è infondata.1. Non sussiste, in primo luogo, la denunciata violazione dell’art. 1420 c.c.

2. la giurisprudenza italiana inmateriadipatti parasociali

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Lamenta, infatti, al riguardo, la ricorrente che nell’escludere l’essenzialità dei conferimenti SIVA e SAF (dalla cui successiva dichiarazione di nullità avrebbe dovuto desumersi, ex articolo cit., la nullità dell’intera operazione di aumento del capitale sociale della NCA e, quindi, anche del conferimento CIS) - la Corte di merito abbia erroneamente fatto riferimento alla sola fase genetica del rapporto (sul rilievo che “la partecipazio-ne all’aumento di capitale sociale, da parte di soggetti estranei alla società, fra cui il CIS, era prevista in forma del tutto autonoma ed indipendente con riguardo ai singoli soggetti come tipico aumento scindibile, a norma dell’art. 2439, secondo comma, c.c., quale risultante dal rogito che prevedeva, in caso di mancata sottoscrizione parziale, l’aumento del capitale in misura pari alle sottoscrizioni raccolte”) e non abbia preso in considerazione, come viceversa avrebbe dovuto, anche la successiva fase funziona-le, relativa all’esecuzione del rapporto. In relazione alla quale, ai fini della nullità del contratto plurilaterale, la stessa Corte avrebbe dovuto “allora stabilire (...) in concreto se, rispetto al capitale effettivamente sottoscritto, la sopravvenuta dichiarazione di nullità di una o più delle sottoscrizioni non costituisse (come, in tesi della ricorrente, costituiva) un ostacolo insormontabile per realizzare lo scopo comune, rivestendo così il carattere di partecipazione essenziale”.Ma la doglianza così articolata è appunto priva di giuridica consistenza.Poiché, diversamente dall’assunto della Banca, la Corte territoriale non ha, in real-tà, trascurato di prendere in esame anche il profilo funzionale del rapporto. Ed, in relazione a questo, ha correttamente considerato, in punto di diritto, che l’eventuale impossibilità di raggiungere l’oggetto sociale, che fosse conseguita all’annullamento di taluni dei conferimenti già eseguiti, non rilevava in termini di nullità dell’originario contratto ex art. 1420 c.c., configurando invece - nel diverso quadro di previsione dell’art. 2448, primo comma, n. 2, stesso codice - una causa di scioglimento, quale la liquidazione della società ormai impossibilitata al perseguimento dello scopo societario statutariamente prefissata.Conclusione, questa, che neppure può dirsi contraddetta, come preteso dalla ricorrente, dalla successiva ammissione della NCA alla procedura di amministrazione straordina-ria ai sensi della L. 25 marzo 1993, n. 80 (introduttiva dell’art. 1 bis della c.d. “legge Prodi”, n. 95/1979). Atteso che, come è dato desumere anche dalla relazione di accom-pagnamento della predetta legge, l’amministrazione straordinaria si pone come valida alternativa, appunto, alla messa in liquidazione in situazioni, come quella della NCA, di crisi aziendale di grande impresa conseguente a decisioni di istituzioni comunita-rie che impongono la restituzione di aiuti pubblici di ingente entità, da cui derivi un indebitamento della impresa tale da comprometterne gli equilibri economici.2. L’esclusa “essenzialità” dei conferimenti, poi annullati, dei soggetti pubblici comporta l’infondatezza anche della censura (di cui al quinto, subordinato, motivo del ricorso) che su quella medesima premessa basa la tesi della risolubilità dell’intero riferito aumento di capitale della NCA, per impossibilità sopravvenuta, ai sensi dell’art. 1466 c.c.3. Del pari insussistenti sono la violazione dell’art. 2439 c.c. ed il vizio di motivazione, denunciati con i due connessi motivi secondo e terzo della stessa impugnazione, in ragione dell’asserita omessa considerazione, da parte della Corte di merito, di un patto parasociale tra tutti gli azionisti NCA, dal quale avrebbe dovuto desumersi “l’inscin-dibilità dell’aumento di capitale” su menzionato.

2. lagiurisprudenza italiana in materiadipatti parasociali

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In punto di diritto è, infatti, esatto il principio, cui si è correttamente attenuta quella Corte, per cui un patto “parasociale” vincola, per definizione, esclusivamente i (soci) contraenti e non anche la società, che è, rispetto ad esso, terza (cfr. n. 9975/95).Né a quel giudice può addebitarsi di non aver preso in considerazione la circostanza del richiamo del suddetto patto nella delibera di aumento del capitale. Avendo essi, sul punto (che non hanno invero trascurato di esaminare), esattamente osservato che da quel richiamo non poteva in ogni caso desumersi la pretesa inscindibilità dell’aumento di capitale, una volta che nella delibera, in cui quel richiamo si conteneva, l’assemblea aveva espressamente ed inequivocabilmente manifestato, come già detto, la volontà, invece, di procedere ad un aumento scindibile. Il che si risolve, in un giudizio di fatto della Corte del merito, sul contenuto del deliberato assembleare, non suscettibile, come tale, di riesame in sede di legittimità.4. Neppure può poi condividersi la violazione degli artt. 1345, 1418 c.c., adombrata nel quarto mezzo del ricorso, sul rilevo che la Corte cagliaritana non si sarebbe avveduta della “nullità di tutti i conferimenti concernenti l’aumento di capitale NCA perché ispirati da un comune e determinante motivo illecito”.Anche per tale profilo corretto risulta, infatti, la valutazione espressa dalla stessa Corte nel senso che il carattere privatistico dell’attività del CIS in occasione della sottoscri-zione dell’aumento di capitale in discussione conduce ad escludere che il predetto istituto possa essersi reso autore del preteso “illecito in aiuto di Stato”, collaborando con i sottoscrittori pubblici e condividendone, in tesi, il motivo illecito che li deter-minava, una volta che il CIS agiva, invece, per sua natura, per il diverso e specifico motivo, ad esso proprio, di una speculazione privata (come, del resto, ritenuto anche dalla Commissione CEE).5. Non maggior pregio ha, infine, la residua doglianza, di cui al sesto motivo, in or-dine ad un preteso mancato esame della prospettata “presupposizione”, di conformità a legge di tutti i conferimenti più volte citati, il cui mancato avveramento avrebbe dovuto comportare la caducazione della intera operazione e, di riflesso, il diritto del CIS a ripetere il suo apporto in società.Premesso, infatti, che la presupposizione (o, c.d. condizione non svolta) è configurabile solo quando dal contenuto del contratto risulti che le parti abbiano inteso concluderlo subordinatamente all’esistenza di una data “situazione di fatto” che assurga a presup-posto della volontà negoziale, la mancanza del quale comporta appunto la caducazione del contratto stesso, ancorché a tale situazione comune ad entrambi i contraenti (ed indipendente, nel suo verificarsi, dalla volontà dei medesimi) non si sia fatto, nell’atto, espresso riferimento (cfr. Cass. nn. 8200/90, 5460, 191, 8689/95; 3083/98); e ribadito, altresì, che l’indagine diretta a stabilire se una determinata situazione sia stata dai contraenti, nella formulazione del consenso, tenuta presente secondo il delineato schema della “presupposizione” si esaurisce sul piano propriamente interpretativo del contratto e costituisce, pertanto, anch’essa una valutazione di fatto riservata al giudice del merito, incensurabile sede di legittimità ove immune di vizi logici e giuridici (cfr. n. 3083/98; 191/95), deve appunto escludersi, nella specie, che presti il fianco a censura il giudizio al riguardo espresso dal giudice dell’appello secondo cui “non potrebbe integrare la presupposizione uno stato soggettivo, quale la coscienza delle legittimità dei conferi-

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menti, ed un tale stato non potrebbe comunque essere ricondotto a presupposizione addirittura del CIS, che nulla aveva a che fare con gli aiuti di Stato”.Il ricorso va, pertanto, integralmente respinto. (omissis).

ConsiderazioniCosì come la sentenza che precede anche quest’ultima incide diretta-

mente sul tema dell’efficacia dei patti parasociali, sancendo espressamente che un patto parasociale con il quale «alcuni soci concordano tra loro le condizioni e modalità di sottoscrizione di un aumento di capitale» vincola esclusivamente i soggetti aderenti al patto e non anche la società che è rispetto al patto terza.

2.17 Tribunale Genova, Ordinanza 8 luglio 2004

È valido il patto parasociale comportante l’obbligo di votare in assemblea conformemente alle decisioni prese a maggioranza (per teste) dei parteci-panti all’accordo prima della delibera assembleare.

G.D. Maganza

Il Giudice, sciogliendo la riserva che precede;visto il ricorso depositato ai sensi dell’art. 700 c.p.c. da D.V.F. e B.P., con il quale si chiede che venga posto rimedio, in via di urgenza, alla situazione determinatasi dal-l’avere V.G. violato il sindacato di blocco e di voto fra di essi stipulato con accordo del 31 ottobre 2003, relativamente alla loro rispettiva partecipazione nella GT FIN s.r.l.; sentiti il Difensore del V. e l’Avv. E.M., suo procuratore per la vendita delle quote, sentito altresì il Difensore di SPAFID s.p.a. (socia a sua volta di GT FIN, intestataria fiduciaria delle quote del V.), e visti gli atti;ritenuto che va anzitutto disattesa la eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal V. e dall’Avv. M., in comparsa di costituzione e risposta, ai sensi dell’art. IX della convenzione conclusa il 31 ottobre 2003, in relazione alla clausola compromissoria ivi contenuta;che, invero, i termini usati nella clausola invocata da parte resistente, ed il complessivo tenore della clausola anzidetta, inducono ad affermare la natura rituale dell’arbitrato a mezzo del quale debbono venire risolte le controversie “comunque derivanti dalla presente Convenzione”, con la conseguente esperibilità di ricorsi di urgenza e cautelari davanti alla Autorità giudiziaria, come in concreto é avvenuto su iniziativa del D.V. e del B.;ritenuto, nel merito, che va disattesa la eccezione di nullità della convenzione anzidet-ta, sollevata dai resistenti sull’assunto che il patto di sindacato perseguirebbe finalità

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non meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico, quali la “totale paralisi di ogni eterogenea capacità volitiva” e la “cristallizzazione del gruppo di controllo” di GT FIN, una volta considerato come sulla ammissibilità dei patti parasociali si sia espressa favorevolmente la più recente giurisprudenza, anche di legittimità, e come essi costituiscano attualmente oggetto di esplicito riconoscimento normativo - vuoi sotto il profilo del sindacato di voto, vuoi sotto quello del sindacato di blocco - da parte degli artt. 2341 bis e 2341 ter c.c., che ne disciplinano anche la durata e le forme di pubblicità: norme, queste, che non risultano violate dalle specifiche previsioni della Convenzione intervenuta nell’ottobre del 2003 fra i due ricorrenti e V.G.;rilevato che la volontà del V. di non ottemperare al patto di voto si evince con ra-gionevole fondatezza dalla produzione n. 25 dei ricorrenti, e cioè dal verbale della riunione tenutasi, in conformità all’art. IV della convenzione, in data 8 giugno 2004 su convocazione del D.V., riunione finalizzata a decidere le determinazioni da assumere, e quindi il voto da esprimere, da parte dei Soci GT FIN aderenti alla convenzione medesima, nella assemblea della società già fissata per il 16 giugno 2004 una volta evidenziato come V.G. non abbia partecipato a detta riunione, senza comunicare agli altri aderenti al patto alcuna giustificazione della sua assenza, e senza delegare alcuno degli stessi in vista delle determinazioni da assumere;rilevato, ancora, che risulta dal fissato bollato prodotto in copia dallo stesso resistente, e dalla allegata attestazione notarile, che il 18 maggio 2004 egli ha ceduto parte delle sue quote in GT FIN, da lui detenute tramite la fiduciaria Spafid, alla società “Timone Fiduciaria” s.p.a., e cioè ad altro socio di GT FIN, con conseguente accrescersi della partecipazione di Timone al capitale sociale, ed acquisizione di maggior consistenza di quest’ultima nella formazione della maggioranza, e pertanto nel possibile consolidarsi del controllo della società con un assetto diverso da quello a garanzia del quale era stata appunto, stipulata la convenzione fra i tre soci;ritenuto che la cessione così effettuata dal V. risulta non solo lesiva dell’art. III della Convenzione anzidetta, ma si pone altresì in contrasto con l’art. 6 dello Statuto di GT FIN, perché viola il diritto di prelazione spettante a tutti i soci in caso di cessione di quote, diritto di prelazione a tutela del quale chi intenda cedere le sue quote sociali deve prima darne comunicazione scritta alla Amministrazione ed agli altri soci: in-combente, questo, che non risulta nella specie essere stato assolto;ritenuto che, se il ricorso proposto appare dunque sorretto, alla luce delle considera-zioni che precedono, dal c.d. fumus boni juris, deve altresì ravvisarsi, nella situazione a cautela della quale il D. V. ed il B. agiscono, il requisito del periculum in mora, una volta evidenziato come, l’eventuale rimedio, di contenuto risarcitorio, che i due potessero conseguire dall’esito ad essi favorevole del giudizio di merito, non sarebbe comunque di alcuna utilità, a fronte del danno, in ricorso prospettato, che fosse stato frattanto cagionato dal ribaltamento nell’assetto di controllo di GT FIN, quale reso possibile dalle molteplici violazioni addebitabili al V., di cui sopra si é detto;che va, in conclusione, sospesa la efficacia della cessione di quote effettuata da V.G. in violazione del patto di sindacato concluso con i ricorrenti il 31 ottobre 2003, dispo-nendosi, in particolare, che non venga ascritto a libro soci qualsiasi trasferimento di

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2. lagiurisprudenza italiana in materiadipatti parasociali

quote della Società GT FIN s.r.l. intestate al V. o a Spafid s.p.a., sua fiduciaria, nei confronti di terzi, anche se a loro volta soci di GT FIN, e va inoltre ordinato a V.G. ed alla sua fiduciaria di esprimere il loro voto, quanto alla quota sindacata pari al 15% del capitale sociale, nella assemblea GT FIN già fissata per il 16 giugno 2004 - assemblea la cui sospensione, disposta con decreto inaudita altera parte del 12 giugno 2004 rimane superata in forza della presente ordinanza - in conformità alla delibera adottata a maggioranza nella riunione tenutasi l’8 giugno 2004 ai sensi dell’art. IV della convenzione del 31 ottobre 2003: e ciò intervenendo in assemblea ovvero rilasciando a terzi apposito mandato con le istruzioni di voto deliberate nella anzidetta riunione in data 8 giugno 2004. (omissis).

ConsiderazioniLa sentenza incide sul tema della cd. efficacia reale dei patti parasociali,

in particolare dei sindacati azionari a maggioranza.Il Tribunale adito in tale ottica ha accordato ai ricorrenti la misura

cautelare richiesta con il ricorso di cui all’art. 700 C.P.C. - la sospensione dell’efficacia della cessione delle partecipazioni sociali - anche se l’accordo parasociale non era intervenuto tra tutti i soci della società. Parte della dottrina, dunque, stante il tenore della decisione, si è correttamente chiesta se il patto parasociale fosse dotato di efficacia reale35.

Si era appena concluso anche il secondo ciclo di incontri36.Il Professore aveva sicuramente pensato di impiegare più tempo. Avevamo percorso venti anni di giurisprudenza in due soli incontri. Non era stato facile. La nota positiva di questo ciclo di incontri era che avevo integrato – dal punto di vista della giurisprudenza – le informazioni trasferitemi dal Professore nel precedente ciclo di lezioni. Ora era tutto molto più chiaro.

35) Per tutti si veda G. Semino, I patti parasociali hanno assunto efficacia reale, in Le società, n. 10/2004, pp. 1267 e ss.

36) Nella operata ricognizione giurisprudenziale mancava il richiamo ad una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (la sentenza era la n. 350 dell’11 gennaio 2005) con cui la Corte, per quanto concerne la materia dei patti paraoscilai, veniva a confermare l’operato della Corte di appello di Milano secondo cui l’accordo stipulato dalle parti in data 10 aprile 1991 (la scrittura provata) era un patto parasociale di cui andava dichiarata la nullità «perché stipulato dai soci della M di M. S.r.l. con un terzo in danno della società, in ragione del fatto che da esso sarebbe derivata l’alienazione di parte del patrimonio immobiliare della società in favore dei soci che avevano promesso la cessione delle loro quote, e ciò senza reale contropar-tita per la proprietaria dei terreni». L’accordo dell’aprile del 1991 espressamente stabiliva che i soci della società a responsabilità limitata M. di M (società proprietaria di terreni nel Comune di M. e titolare di licenza edilizia per la costruzione di un complesso edilizio) dichiaravano di vendere le quote detenute nella società ad un terzo che avrebbe dovuto costruire le unità immobiliari sui detti terreni, stabilendo che la permuta tra le due cessioni sarebbe stata formalizzata dopo la dichiarazione di abitabilità degli immobili realizzati dall’impresa appaltatrice designata e la fatturazione sarebbe stata effettuata al prezzo di costo quale desumibile dalla contabilità della società M di M.

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A questo punto mancava solo da affrontare la parte pratica dei patti para-sociali, quella relativa alla analisi delle clausole più rilevanti degli stessi, le loro finalità, il contenuto e l’organizzazione dei patti medesimi e i mezzi per garantire l’adempimento del patto parasociale (quest’ultimo profilo lo ave-vamo già incontrato in una delle sentenze). A mio modo di vedere le cose, questa era la parte più interessante del nostro viaggio, essendo ovviamente il profilo più pratico dell’intera trattazione. Il nostro viaggio si stava per concludere, un viaggio nel corso del quale avevo appreso molto e tanto ancora avevo da apprendere. L’appuntamento venne fissato dal Professore per l’indomani. Mi invitò a portarmi a casa alcune delle sentenze che avevo letto e che insieme avevamo discusso. Non solo. Mi chiese di ricordarmi di portare con me un blocco per i successivi incontri. Disse che mi sarebbe servito per provare a “buttare giù” qualche clausola di patto parasociale, così tanto per esercizio. Ero ancora più eccitato di prima, non vedevo l’ora di mettermi alla prova.Quella notte, al pensiero del nostro prossimo incontro, non riuscii a pren-dere sonno. Pensavo a come pormi avanti ad una clausola di parasociale, a come organizzarla, a come scriverla. L’utilizzo di un linguaggio corretto ed appropriato era sicuramente importante.Volevo fare una impressione positiva al Professore. Dovevo, comunque, controllare questa mia quasi impercettibile ansia, che sicuramente non mi avrebbe aiutato nella stesura della clausola.Ah, quasi dimenticavo. Dovevo ricordare di prendere il taglia sigari riposto nel cruscotto della mia vettura, che avevo comprato per il Professore. Non sapevo ancora con precisione se il prossimo fosse l’ultimo dei nostri incontri o se ve ne fossero stati degli altri. Era preferibile approfittare di questa certa occasione per consegnare l’omaggio al Professore.

2. la giurisprudenza italiana inmateriadipatti parasociali

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3. clausole in materia di patti parasociali

La mattina seguente, era sabato, decisi, anche se non era una giornata di lavoro, di alzarmi comunque di buon ora. Alle sette ero già in piedi. Volevo fare tutto con calma. In verità quell’orario per me così mattutino - soprattutto di sabato - aveva una sola ed unica ragione: non dimenticare il taglia sigari da regalare al Professore. Al fine di evitare di andare incontro a probabili dimenticanze decisi di prendere la mia autovettura per andare dal Professore. In quel modo sicuramente non avrei dimenticato il regalo!Quel sabato mattina la città era molto tranquilla; sembrava una città deserta, quasi fantasma, forse perché la maggior parte delle persone che la popolano durante la settimana sono principalmente stranieri e pendolari. Comunque, dopo una robusta colazione, accompagnata dalla lettura di alcuni quotidiani del giorno prima e una occhiata a vari telegiornali nazionali ed internazionali trasmessi dal satellite, uscii di casa, pronto per recarmi all’antica libreria.Appena entrato in macchina, aprii subito il cruscotto per vedere se il regalo era ancora li, al suo posto ed intatto. Fortunatamente era ancora al suo posto, pronto per essere donato al Professore. Questa mia ansia per il taglia sigari era giustificata sulla circostanza che una volta persi nella parte retrostante del cruscotto un mazzo di chiavi di casa. Rimasi fuori di casa tutta la notte. Per questa volta l’avevo scampata.Non sarei dovuto ritornare dal negoziante per acquistare un nuovo taglia sigari o cambiare addirittura presente.Avevo ancora un’ora a disposizione. Decisi di percorrere una strada alter-nativa, una strada che passava all’interno di un parco. La vista degli alberi e del verde avrebbe addolcito quella levataccia. La giornata si caratterizzava per un clima piacevole, né troppo caldo, né troppo freddo, nonostante la stagione autunnale fosse ormai avanzata. Aprii anche la cappotta della mia autovettura per godere dei deboli raggi di sole. Un poco d’aria e la luce del sole mi avrebbe fatto sicuramente bene. Infatti, queste ultime settimane l’intensa attività di studio e i frequenti incontri con il Professore mi avevano permesso davvero poco di vedere la luce del sole. Avevo, pertanto, bisogno di quell’aria mattutina. Devo dire che era anche abbastanza pulita, lo smog non colpiva forte al naso come durante i giorni lavorativi. L’indomani era stato previsto anche il blocco totale delle autovetture da parte del Comune.

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L’ambiente circostante non poteva, quindi, che trarne giovamento.Parcheggiata l’autovettura in un parcheggio situato nelle vicinanze della libreria, richiusa con cura la cappotta e preso il regalo, controllai di aver chiuso anche l’autovettura e mi incamminai verso il luogo dell’incontro.Mi sentivo tranquillo avevo tutto quello che mi serviva con me. Almeno così apparentemente mi sembrava!Il Professore era sulla soglia della porta d’ingresso della libreria. Non so se mi aspettasse o magari stesse li fuori anche lui per godere gli effetti benefici dell’aria mattutina. Mi intravide e ad alta voce, eravamo ad una ventina di metri di distanza, mi disse “Hai portato con te il blocco?”.Mi guardai le mani, da un lato tenevo le chiavi dell’autovettura, dall’altro la busta con il regalo. Del blocco alcuna traccia. Lo avevo dimenticato a casa. Dentro di me pensai che non era stato sufficiente mettere la sveglia un ora prima quella mattina e risposi di averlo dimenticato e chiesi se nelle vicinanze ci fosse stato un tabaccaio o una cartoleria per acquistarne uno. Mi consigliò di provare di fronte al suo negozio, nella tabaccheria dove Egli comprava i suoi sigari.Acquistai lì il mio blocco. Come detto avevo le mani completamente occu-pate. Il Professore era rientrato forse per iniziare a preparare il materiale utile per il nostro incontro. Dovetti aprire la porta con un piede. Una volta dentro, poggiai il pacco regalo, le chiavi della autovettura ed il blocco sul banco che ospitava anche un non modernissimo registratore di cassa. Presi con me il blocco e mi incamminai verso la scrivania che solitamente ci ospitava. Il regalo lo avrei consegnato al Professore durante la prima pausa o alla fine dell’incontro.Inaspettatamente, non pensavo - visto anche il registratore di cassa - che il Professore fosse un uomo tecnologico, anzi sembrava proprio il contrario, addirittura un tecnofobo, questi era seduto avanti ad un computer portatile. Detto computer non si addiceva in modo alcuno né all’ambiente circostan-te, né al Professore. Una volta accanto a lui, notato che aveva un rapporto abbastanza sciolto con quello strumento tecnologico, mi accorsi che stava reperendo al suo interno alcuni files, che pensai subito ci sarebbero stati utili per l’incontro. Scopri immediatamente che la mia sensazione non era affatto errata. Salutatolo cordialmente (lui rispose guardandomi per un at-timo negli occhi, invitandomi a prendere posto), estrassi la mia penna nera dall’interno della giacca e mentre lui era intento nella ricerca, io iniziai a fare qualche scarabocchio sulle pagine ancora bianche del mio blocco, così senza un ordine o una forma ben precisa.Ad un tratto il Professore esclamò “Trovato! Siamo pronti per iniziare”. Aveva aperto un file nominato - Patti parasociali schemi contrattuali - e avanti a noi avevamo la prima pagina di un patto parasociale vero e proprio, che

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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era stato sottoscritto alcuni anni prima per dare sostanza agli interessi dei soci di una società di capitali, alcuni dei quali (mi disse) erano investitori istituzionali, in particolare per regolare la loro partecipazione - in ottica dell’esercizio del diritto di voto - nelle assemblee dei soci ed il loro com-portamento per quanto riguardava il trasferimento delle azioni possedute e conferite nel patto stesso.Risultavano cancellati dal patto i nomi dei partecipanti (non riuscii a soddisfare la curiosità di conoscere a quali parti effettivamente il patto si riferisse). Il Professore a questo punto prese la parola e mi disse “Prima di passare ad analizzare le singole clausole rilevanti di un patto parasociale è bene che tu conosca come un patto è organizzato, quale è la sua struttura e, dunque quello che solitamente puoi trovare al suo interno”. Ovviamente tenne a precisare che ogni patto parasociale ha una vita a sé stante e che non potevamo fare un discorso generale, omnicomprensivo, valevole per tutti i casi, ma che comunque (riferendosi a quello che aveva intenzione di mostrarmi) era un buon esempio per comprendere il contenuto di un patto parasociale. Iniziò, pertanto, a parlare.Mentre parlava, teneva costantemente come punto di riferimento quel patto parasociale riprodotto sullo schermo del suo computer. Altrettanto mi invitò a fare. Aveva inizio, quindi, la prima lezione del terzo ciclo di incontri.

3.1 Il contenuto e l’organizzazione dei patti parasociali

Come saprai certamente, è, infatti un’usanza pratica che anima la ste-sura e la stipulazione di ogni contratto, all’inizio di un patto parasociale è necessario provvedere all’individuazione delle parti che sottoscrivono il patto e sono vincolate dalle pattuizioni ivi contenute (art. 1372 C.C.), ad indicare le informazioni relative alla composizione del capitale sociale (e la percentuale di partecipazioni sociali conferite nel patto da ciascuna parte), a fissare le premesse e le definizioni, ovverosia la definizione dei termini più rilevanti (nell’ottica dell’economia del patto) menzionati nel patto parasociale. Ma procediamo con ordine.

Una volta indicato il luogo e la data di stipulazione del patto, è opportuno identificare dettagliatamente le parti dell’accordo, ovverosia coloro che do-vranno sottoscrivere il patto parasociale e saranno vincolate nel futuro dalle pattuizioni ivi contenute. Sarà allora necessario indicare la sede sociale o la residenza (o domicilio, compresa la data di nascita) a seconda che si tratti di persona fisica o giuridica o altro ente non caratterizzato dalla personalità

3.clausole inmateriadipatti parasociali

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giuridica, così come dovrà essere indicato l’esatto codice fiscale ed il numero di iscrizione nel registro delle imprese di ciascuna parte. A ciò si aggiunga la necessità di indicare gli estremi di un’eventuale iscrizione all’albo necessaria, ad esempio per il caso delle SIM e delle Società di gestione del risparmio e, ovviamente il tipo di società (ad esempio, ove si tratti di società di capitali, di S.p.A., S.r.l. o S.a.p.a.).

Non solo. È anche fondamentale specificare nel dettaglio la persona che rappresenta (ovverosia colui che ha il potere di vincolare) la persona fisica o giuridica nella stipulazione del contratto e l’atto che giustifica questo potere di rappresentanza. Questo ultimo punto e la sua esatta verificazione da parte dei partecipanti - prima della sottoscrizione del patto - rappresenta un momento di cruciale importanza nella conclu-sione dell’accordo e della sua futura efficacia. È, pertanto, sempre bene controllare e verificare attentamente, prima della sottoscrizione del con-tratto, che il rappresentante si dotato dei necessari poteri per vincolare il soggetto rappresentato in quella particolare stipulazione. Un controllo preliminare del predetto potere di rappresentanza (nella sostanza della procura) eviterà il verificarsi di possibili problemi e ritardi nel corso dello svolgimento del rapporto.

Si riporta, qui di seguito, un esempio di quanto abbiamo siano a questo momento detto:

PATTO PARASOCIALEStipulato il (…) 2005, in Roma

tra- ALFA SIM S.p.A. con sede legale in via (…) n. 10, Roma, iscritta al Registro delle

Imprese di Roma C.F. n. 000000000000 e all’albo SIM al n. 000, rappresentata da (…) nella sua qualità di (…) autorizzato alla stipulazione del presente atto in forza di (…) (qui di seguito “La SIM”),

e- Il sig. Tizio, nato a Boiano, il 0.0.0000, residente in Roma, via (…), n. 1, Codice

Fiscale 00000000000000 (qui di seguito il “sig. Tizio”).

È bene anche indicare l’esatta composizione del capitale sociale (riferito a tutta la compagine sociale - ove fosse utile - o riferito esclusivamen-te alle parti che partecipano al patto e che hanno sindacato le proprie partecipazioni sociali), con la precisazione del numero di partecipazioni conferite nel patto e la relativa percentuale di capitale sociale che rap-presentano.

La clausola avrà un’importanza fondamentale soprattutto nel caso in cui venga previsto all’interno del patto che le parti non potranno possedere

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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più di una predeterminata quantità di partecipazioni. Il controllo in tal caso, avendo come schema la predetta clausola, magari con la previsione di un suo costante aggiornamento, sarà facilitato anche nell’ottica della individuazione di eventuali inadempimenti di uno o più aderenti al patto, che nel corso dello stesso vengano a possedere ulteriori partecipazioni sociali in spregio al divieto posto contrattualmente.

Vediamo in che modo deve essere predisposta tale clausola. In linea di principio è possibile accompagnare detta clausola con una tabella riepilogativa (nb: le cifre sono inserite casualmente):

le parti si danno reciprocamente atto che nella tabella che segue sono indicate le per-centuali delle azioni Alfa S.p.A. da ciascuna delle parti conferite rispetto al numero totale delle azioni conferite e al numero totale delle azioni ordinarie di Alfa S.p.A.

Numero azioni conferite

% sulle azioni conferite

% sulle azioni ordinarie emesse

Tizio 200 5% 5%Caio 500 15% 15%Tizietto 1000 30% 30%

Un ulteriore esempio, da adottare anche nel caso in cui l’intento delle parti sia quello di inserire le cd. anti dilution clauses (tradotto “clausole anti diluizione”, per la loro spiegazione si veda oltre), potrebbe essere il seguente:

ciascuna parte conferisce in sindacato un numero di azioni ordinarie Alfa S.p.A. che, per ciascuna di esse, non deve essere inferiore alla percentuale del 2% e non deve superare la percentuale del 20% delle azioni ordinarie.Alla data di sottoscrizione del presente patto le azioni sindacate risultano pari al 45% delle azioni ordinarie in circolazione e sono ripartite nel modo seguente:- Zeta S.p.A. ( %),- Delta S.p.A. ( %),- Tizio ( %).Le percentuali indicate nel primo comma non potranno essere rispettivamente modi-ficate se non per accordo unanime delle parti.

Quanto alle premesse, va detto che esse vengono a contenere le fi-nalità perseguite dalle parti con il patto parasociale (ad esempio, quella di pervenire ad una stabilità della società mediante la previsione di un

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sindacato di blocco). Non solo. Queste ripercorrono anche la storia e gli avvenimenti che hanno indotto e determinato le parti alla stipula del patto parasociale; danno anche notizia di particolari rilevanti quali, ad esempio, l’esistenza di precedenti transazioni o di pregressi rapporti tra le parti oppure l’indicazione dei motivi o ragioni che hanno spinto i sog-getti partecipanti al patto o solo alcuni di essi a sposare un dato progetto che con lo stesso patto si vuole realizzare o quanto meno facilitarne il raggiungimento. Ma anche riferire circa il rapporto di controllo che lega alcuni o tutti i partecipanti ad alcune società ove si vuole esercitare una influenza comune. Sono, dunque indicazioni che possono coadiuvare gli interpreti a comprendere cosa realmente vogliono le parti e quali sono i loro interessi, soprattutto in ottica di eventuali e future controversie. Va rilevato, infatti, che le premesse di un patto parasociale possono essere utilizzate da un tribunale o da un collegio arbitrale per decidere in me-rito ad una controversia in materia di patti parasociali o per risolverne una collegata.

Da ricordare, infine, nella stesura della relativa clausola, di inserire l’avvertimento che le stesse formano parte integrante e sostanziale del contratto stesso. Solitamente detta clausola contiene anche il riferimento agli allegati del contratto. Gli allegati del contratto possono essere i più svariati. Si pensi, infatti, ad un documento che contenga dati tecnici ed economici necessari per specificare una data prestazione o addirittura per calcolare il prezzo di vendita delle partecipazioni sociali a terzi, o alla indicazione della lista degli azionisti che hanno sindacato le proprie partecipazioni sociali.

Ecco un esempio di premesse e di clausola che richiama le stesse premesse e allegati quali parti integranti e sostanziali del patto parasociale:

- che le Parti ritengono opportuno disciplinare, nel loro rispettivo specifico interesse, nonché nell’obiettivo interesse di Alfa S.p.A., i loro rapporti connessi e conseguenti alle loro rispettive partecipazioni nella stessa società e in particolare, alcune materie riguardanti la gestione della medesima, e delle altre società del Gruppo Alfa, nonché le altre questioni appresso indicate,- che le Parti in una prospettiva di collaborazione ribadiscono il comune impegno di assicurare la stabilità dell’assetto azionario di Alfa S.p.A.

TUTTO CIÒ PREMESSOquale parte integrante e sostanziale del presente contratto Tizio, Beta S.p.A. e la sig.ra Caia (nel presente Contratto indicati più generalmente anche come le “Parti”) con-vengono e stipulano quanto segue.

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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Abbiamo, infine, le definizioni. Queste sono dirette a dare un signifi-cato univoco e certo ad alcuni termini utilizzati nel patto dalle parti e ritenuti di vitale importanza nell’economia del contratto, che potrebbero far sorgere qualche problema tra le stesse in ordine alla loro corretta interpretazione.

Definito tale termine, le parti non potranno più discutere su quella che è la sua esatta portata ed identificazione.

Si pensi per un attimo al termine “trasferimento” usato miriadi di volte nella stesura dei patti parasociali. Con questo esempio vogliamo dimostrare come è opportuno, in un’ottica di efficienza contrattuale, che le parti provvedano a definirne il contenuto ed i confini di un termine dalle stesse utilizzato, soprattutto quando si tratta di un termine dotato di una ampiezza sconfinata. Quindi, si potrebbe prevedere una sua de-finizione che ponga l’accento su qualsiasi forma di vendita e di qualsiasi altro negozio, a titolo oneroso o gratuito, inclusi - in via non limitativa - la permuta, la donazione, il trasferimento fiduciario, il trust ecc. che sia diretto a realizzare in via diretta o indiretta il risultato del trasferimento ad altri soci o a terzi della proprietà sulle partecipazioni sociali.

La necessità delle definizioni si manifesta soprattutto allorquando le parti partecipanti al patto parasociale non parlano la stessa lingua. Una corretta definizione della terminologia utilizzata in contratto, soprattutto con riferimento a quelle parole che possono avere - ove tradotte - un differente significato nei vari ordinamenti giuridici di appartenenza delle parti (si pensi al termine agency/agenzia) comporta il superamento delle talvolta insormontabili barriere linguistiche.

Qui di seguito, una clausola di definizione. Per brevità si riportano solo alcune definizioni scelte a caso da un patto parasociale. Interessante notare nella prima definizione l’esclusione dell’ipotesi di controllo basato su particolari vincoli contrattuali.

Per “Controllate” si intendono: le società che risultino tali nell’allegato al bi-lancio della controllante, con esclusione delle controllate di cui all’art. 2359, comma 1, n. 3, C.C.Per “Trasferimento” si intende: qualsiasi forma di vendita e di qualsiasi altro negozio, a titolo oneroso o a titolo gratuito (inclusi in via non limitativa la permuta, il riporto, il conferimento in società, la fusione o la liquidazione, la donazione, il trasferimento fiduciario, compreso il trust e la modifica della titolarità del rapporto sottostante a eventuale mandato fiduciario), in forza del quale si consegua in via diretta o indiretta il risultato del trasferimento ad altri soci o a terzi anche parzialmente della proprietà o di altri diritti sulle partecipazioni sociali.

3.clausole inmateriadipatti parasociali

22�

Per “Sindacato”: il sindacato di blocco, di voto e di gestione di cui al presente accordo.Per “Depositario”: il sig. (…) presso cui sono depositate le azioni sindacate.

Esaurita la fase preliminare, il nostro patto parasociale iniziava con una clausola relativa ai vincoli sulle partecipazioni sociali. Detta clausola deve espressamente prevedere al suo interno che ciascuna delle parti vin-coli tutte le rispettive partecipazioni sociali possedute nella data società. Non va dimenticata, poi l’inclusione di tutte quelle partecipazioni di cui ciascun aderente al patto diverrà titolare nel futuro a qualsiasi titolo. Ciò per non porre nel nulla l’effetto perseguito dalle parti con questa clausola, ovverosia di lasciare inalterati gli equilibri tra le parti.

La clausola potrebbe opportunamente contenere un’elencazione dei casi in cui le azioni acquistate devono essere vincolate al patto parasociale. Si avrebbe allora il caso delle partecipazioni sociali acquisite a qualsiasi titolo e, in particolare a seguito di compravendita, esercizio di opzioni di acquisto, donazioni, conferimenti, pegno, usufrutto, trust e quanto altro. Ancora, quello delle partecipazioni sociali di nuova emissione da parte della società (a seguito di aumento di capitale) cui il patto è riferito ovvero le obbligazioni convertibili in partecipazioni sociali della società di cui fosse eventualmente deliberata l’emissione. Infine, è bene chiudere questa individuazione non dimenticando di far ricadere nell’ambito di operatività della clausola tutte le partecipazioni sociali acquisite in base all’esercizio di clausole di prelazione, opzione ecc eventualmente previste in contratto.

È questa, poi la sede per inserire un sindacato di blocco. A tal fine, le parti si impegneranno a non trasferire ovvero a non costituire in pegno, usufrutto o altri diritti reali di godimento e/o di garanzia le partecipa-zioni sociali di cui sono titolari. In tal caso, detta previsione andrà letta nell’ottica della definizione fornita in precedenza relativamente al termine “trasferimento”. Tutte quelle ipotesi in quella sede elencate e previste non dovranno essere poste in essere dalle parti, pena la realizzazione di un inadempimento contrattuale e la conseguente eventualità di rimanere esposti ad una azione di risarcimento danni da parte del contraente non inadempiente al patto.

Ovviamente, la particolare previsione appena enunciata dovrà essere contenuta entro dei prefissati limiti temporali. Per le società per azioni chiuse e le cui azioni sono diffuse tra il pubblico in misura rilevante questo termine è di cinque anni (art. 2355-bis, comma 1, C.C.).

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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Detta norma dovrebbe essere applicabile, almeno in linea di principio, anche alle società quotate. Adottiamo il condizionale dal momento che in tali società è sempre preferibile prevedere limitazioni alla trasferibilità delle azioni più contenute nel tempo o non prevederle affatto, ciò per ren-dere maggiormente appetibile la società agli occhi di eventuali investitori interessati ad apportare nuovo capitale nella stessa.

L’interesse perseguito dalle parti con un sindacato di blocco risulta, poi del tutto apprezzabile e si concreta nella esigenza delle stesse di raf-forzare la coesione tra soci sindacati e dare maggiore vigore all’eventuale sindacato di voto previsto nel proseguo del patto parasociale.

La clausola potrebbe essere anche accompagnata dalla previsione di una penale per l’inadempimento della suddetta previsione. Se ne sconsiglia, comunque, l’utilizzo per i problemi che potrebbero sorgere con riferimento alla sua quantificazione ed ad una eventuale riduzione - anche d’ufficio - da parte del giudice in caso di controversia portata avanti un Tribunale da uno dei parasoci. È, quindi, preferibile optare per altri strumenti (si veda avanti paragrafo 3) o, quantomeno, accontentarsi di poter citare il soggetto inadempiente avanti il tribunale competente per vedersi risarcito il danno subito, anche se va detto, risulta molto difficile fornire la prova del danno sofferto.

Si potrebbe, infine, anche prevedere che se tutte le parti sono d’accordo tra loro e manifestano espressamente il loro consenso alla cessione, ciascuna parte possa, comunque, dare corso al trasferimento delle partecipazioni sociali a terzi nonostante il tenore della predetta clausola parasociale.

Ecco riprodotta una clausola tipo per ottenere il suddetto blocco delle azioni sindacate dai parasoci nel patto:

gli aderenti al patto si obbligano a non trasferire per tutta la durata del patto e, co-munque, per 5 anni dalla sottoscrizione del presente accordo, e a non porre in essere negozi, anche a titolo gratuito, che comunque possano far conseguire, in via diretta o indiretta a terzi, neppure transitoriamente, la proprietà o la disponibilità e, in ogni caso, il diritto di voto per tutte o parte delle azioni, nonché di quelle che dovessero da essi venire in futuro acquisite a seguito di aumento di capitale o per effetto dell’esercizio dei diritti contenuti negli articoli 8 e 9 del presente patto.

Disposizioni relative agli organi socialiDiviene di fondamentale importanza, soprattutto allorquando la società

è di nuova costituzione o deve ancora essere costituita o vi sono nuovi soci, introdurre delle previsioni relative agli organi sociali della società e al loro funzionamento. Qui di seguito si riporta il contenuto delle rela-

3.clausole inmateriadipatti parasociali

230

tive pattuizioni con riferimento dapprima all’assemblea dei soci, poi al Consiglio di Amministrazione e, infine, al Collegio sindacale.

Per quanto riguarda le assemblee dei soci, è necessario innanzitutto fissare quelli che sono i quorum costitutivi e deliberativi attraverso cui le assemblee - ordinaria e straordinaria - delibereranno. Si potrebbe pre-vedere che le assemblee dei soci - tanto ordinarie, quanto straordinarie - saranno validamente assunte con la presenza (quorum costitutivo) ed il voto favorevole (quorum deliberativo) di tanti soci che rappresentino più del (inserire una determinata percentuale) del capitale sociale.

È possibile prevedere per delicate e particolari materie la necessità di un quorum più elevato. Le materie sono le più disparate e possono essere quelle relative alle seguenti operazioni:a) fusione e scissione,b) costituzione di patrimoni destinati ad uno specifico affare,c) distribuzione dei dividendi,d) modifica dell’oggetto sociale, trasferimento della sede sociale all’estero

e trasformazione della società,e) emissione di obbligazioni,f) modificazione dei quorum costitutivi o deliberativi della assemblea

dei soci o del C.d.A.L’inclusione di un lungo e dettagliato elenco di operazioni cui spetterà

all’assemblea l’approvazione dovrà essere evitato nel caso in cui la società è caratterizzata da una scarsa partecipazione dei soci all’assemblea o quan-do gli aderenti al patto sono tutti d’accordo a sacrificare la collegialità a favore della rapidità delle decisioni relative alla gestione dell’impresa.

Segue la relativa clausola:

le deliberazioni dell’assemblea ordinaria e straordinaria dei soci di Alfa Holding S.p.A. saranno validamente assunte con la presenza ed il voto favorevole di tanti soci che rappresentino il 55% (cinquantacinque per cento) del capitale sociale, salvo che per le seguenti deliberazioni per le quali sarà richiesta la presenza ed il voto favorevole di almeno il 75% (settantacinque per cento) del capitale sociale:a) operazioni di fusione e scissione,b) costituzione di patrimoni destinati ad uno specifico affare e contratti di finanzia-

mento destinato ad uno specifico affare,c) trasformazione della società,d) modifica della denominazione sociale e dell’oggetto sociale.

Ma ancora si potranno prevedere a favore di soci di minoranza dei poteri di veto su alcune decisioni strategiche che l’assemblea dei soci deve votare. Si pensi al veto su decisioni relative alla programmazione

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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degli investimenti, alla concessione di finanziamenti e alla approvazione del bilancio o del business plan. La presenza di questi diritti di veto avrà un’importanza soprattutto dal punto di vista del diritto antitrust, potendo comportare il sorgere di una situazione di controllo o un passaggio da controllo esclusivo a congiunto di un ente giuridico, che dovrà essere preventivamente comunicato alla Autorità Garante per la tutela della con-correnza e del mercato al fine di evitare l’irrogazione di una sanzione per mancata comunicazione preventiva dell’operazione di concentrazione.

Passando al Consiglio di Amministrazione, sarà necessario definire il numero dei membri che parteciperanno al consiglio di amministrazione oppure un range compreso tra due numeri, uno minimo ed uno massimo (per esempio, 3 e 7 oppure 7 e 14). È, comunque, sempre preferibile indi-care un numero di amministratori dispari per evitare stalli decisionali.

A questa pattuizione si aggiunga quella relativa al numero di consi-glieri che ciascun aderente al patto avrà il diritto di nominare. Sarebbe preferibile prendere in considerazione ogni ipotesi a seconda del numero effettivo di consiglieri per il quale in concreto si propenda (3, 5 o 7). Così dicendo una parte potrà avere diritto a nominare un consigliere nel caso in cui il C.d.A. sia composto da 3 membri, due in quello composto da cinque membri e 3 in quello composto da sette membri e così via.

Si dovrebbe, anche precisare a chi spetti la nomina del Presidente del C.d.A.

La clausola dovrà, infine, provvedere alla definizione dei quorum co-stitutivi e deliberativi del Consiglio di Amministrazione. Solitamente si propende per la maggioranza degli amministratori. Questa regola, però, potrebbe subire delle eccezioni per determinate materie (materie di parti-colare rilevanza). Potrebbe essere, al riguardo, prevista una maggioranza particolare o che tali materie possano essere deliberate solo con il voto favorevole di un determinato amministratore. Tra queste delicate materie è possibile annoverare:a) la concessione di garanzie reali,b) l’approvazione ed eventuale modifica e/o integrazione del budget an-

nuale,c) l’acquisto e/o cessione di beni immobili, azienda e rami di azienda,d) l’ingresso in determinati mercati esteri.

Ecco riportata una clausola standard per quanto concerne il Consiglio di Amministrazione:

salvo diverso accordo tra le Parti, l’organo amministrativo di Beta S.p.A. e delle altre società del Gruppo Beta sarà costituito da 3 o 5 membri. Sino a che il sig. Tizio disporrà

3.clausole inmateriadipatti parasociali

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nella indicata società di una partecipazione pari ad almeno il 15% (quindici percento) del capitale della stessa, il sig. Tizio avrà diritto di designare ed avere in carica un amministratore (nel caso di consiglio composto da tre consiglieri) e due amministra-tori (nel caso di consiglio composto da cinque consiglieri); le persone designate non dovranno però essere ragionevolmente sgradite dagli altri aderenti al Patto.Le deliberazioni del consiglio di amministrazione di Beta S.p.A. e/o delle altre società del Gruppo Beta, saranno validamente assunte con la presenza ed il voto favorevole della maggioranza degli amministratori, salvo che per le seguenti deliberazioni per le quali sarà richiesto il voto favorevole del sig. Tizio:a) costituzione di patrimoni destinati ad uno specifico affare,b) approvazione di business plan e budget annuali,c) concessione di garanzie a società facenti parte del Gruppo Beta o a terzi per un

valore superiore a € (…),d) operazioni di M&A.

Sarà anche opportuno prevedere una clausola relativa all’Amministratore delegato, indicando espressamente il soggetto che deve assumere questa carica o, quanto meno, dei parametri per individuarlo, la durata del suo incarico, per esempio 3 anni, ma anche la precisazione dei suoi poteri (in particolare, se questi sono solo quelli di ordinaria amministrazione o entrambi o solo alcuni di straordinaria amministrazione da esercitare o meno unitamente al presidente del C.d.A.).

Ovviamente la previsione relativa al conferimento dell’incarico all’am-ministratore delegato deve essere accompagnata dall’impegno degli altri aderenti al patto di far si che per la durata prescelta quell’amministratore sia designato e mantenuto in carica (a meno che non si verifichino suoi comportamenti dolosi o colposi nella esecuzione del suo incarico). Sarebbe anche opportuno, per evitare che l’amministratore delegato rimanga di-sorientato o che la società resti esposta al suo arbitrario comportamento, indicare detti poteri nello specifico e inserirli magari in un allegato al patto parasociale, che formi parte integrante e sostanziale dello stesso. Chiudono clausola, sono da inserire le previsioni relative alla indicazione del compenso di questo amministratore (e altri benefits, quale ad esem-pio l’utilizzo per tutta la durata dell’incarico di una autovettura della società), al relativo inquadramento contrattuale, eventualmente con la precisazione che il rapporto non crei alcun vincolo di subordinazione e la regolamentazione della cessazione dalla carica (andranno indicate le cause che in concreto faranno venire meno detto rapporto; per esempio, è possibile prevedere il non svolgimento della funzione di amministra-tore delegato per un periodo consecutivo superiore a 5 mesi, dovuto a malattia, incidente o altra causa o ancora alla morte del soggetto o alla

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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sua intervenuta incapacità. Comunque opportuna in tale ottica, la pre-visione dei diritti e la scansione delle attività che dovranno essere poste in essere dalle altre parti per acquistare le partecipazioni dell’eventuale socio/amministratore deceduto).

È necessario prevedere che in caso di dimissioni dell’amministratore delegato questi non avrà nulla a chiedere e pretendere nei confronti degli aderenti al patto per qualsivoglia titolo o ragione. È opportuno anche ricordare di inserire una clausola relativa alla cessazione dell’incarico anche in sede di C.d.A. di ogni singolo componente. Qui di seguito, si riporta un esempio di massima della relativa clausola:

per tutta la durata del presente Patto, Tizietto si impegna per un periodo complessivo di 3 (tre) anni dalla data odierna a rivestire la carica di amministratore ed ammi-nistratore delegato di Alfa S.p.A. e di ciascuna delle altre società del Gruppo Alfa, con ampi poteri di ordinaria amministrazione, esclusi in ogni caso i poteri di cui all’Allegato 1 al presente Patto. Tizietto si impegna, pertanto, ad accettare anche in sede di ogni eventuale rielezione, la relativa nomina, nonché le deleghe, i poteri e le responsabilità conferitigli dal Consiglio di Amministrazione di Alfa e delle altre società del Gruppo Alfa.Per tutta la durata del presente Patto e fino a che Tizietto sia socio di Alfa S.p.A., Caio e Sempronio si impegnano a far sì che, per un periodo di 3 (tre) anni dalla data odierna, Tizietto venga designato e mantenuto nella carica di amministratore e am-ministratore delegato di Alfa e di ciascuna delle altre società del Gruppo Alfa, salvo che per una o più di queste ultime le Parti concordino di designare altra persona di comune fiducia.Tizietto, sempre nel rispetto del migliore interesse della società e delle altre società del Gruppo Alfa, si impegna a perseguire il Piano di Sviluppo sottoscritto in separata sede dalle Parti e a fare del proprio meglio per raggiungere gli obiettivi ivi fissati.Quale remunerazione dell’attività complessiva comunque prestata da Tizietto, sia per le cariche di amministratore e amministratore delegato di Alfa e delle altre società del Gruppo omonimo, che per tutti gli impegni assunti ai sensi del presente Accordo, Alfa corrisponderà a Tizietto un emolumento globale e omnicomprensivo lordo, riferito ad anno pari ad Euro 000.000 per il primo anno e che a partire dal secondo anno verrà aumentato ogni anno di € 00.000.Tizietto avrà inoltre diritto per il periodo in cui ricoprirà la carica di amministratore delegato di Alfa (1) all’uso della vettura che ha attualmente a disposizione o altra equivalente, (2) all’uso dell’appartamento di Roma che attualmente occupa ed alla polizza di assicurazione attualmente in corso o ad altra equivalente.

Chiude la disamina degli organi sociali il collegio sindacale. Anche in tal caso sarà necessario prevedere il numero preciso (o almeno un range) dei membri del collegio sindacale, quanti membri le parti possano nominare

3.clausole inmateriadipatti parasociali

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ciascuna e a quale aderente al patto spetti la nomina del Presidente del collegio. Da prevedere anche le maggioranze per l’adozione delle decisioni e delle deliberazioni. Quanto alla clausola relativa al collegio sindacale, si propone la seguente:

Sino a che disporrà nella Società, direttamente e/o tramite società fiduciarie, di una partecipazione pari ad almeno il 15% del capitale della società, il sig. Verdi avrà diritto di designare ed avere in carica, nell’ambito del Collegio Sindacale della Società e di ogni altra società del Gruppo cui fa capo detta Società, due sindaci di sua designazio-ne. Gli attuali componenti dei Collegi Sindacali della Società e delle altre società del Gruppo sono indicati nell’All. 2.

Un’ultima notazione nel caso di eventuale inserimento di clausola relativa ai revisori. Può essere previsto l’impegno delle parti di conferire - entro una dato termine - l’incarico ad un revisore o ad una società di revisione di effettuare annualmente la revisione dei bilanci (e la loro certificazione) della società. Ecco una possibile clausola:

Le Parti si impegnano a fare in modo che, a far tempo dall’esercizio sociale in corso, venga conferito ad una primaria società di revisione - scelta tra quelle indicate nell’Al-legato 10 del Patto - l’incarico di effettuare annualmente la revisione e la certificazione dei bilanci della Holding, sia su base consolidata che su base non consolidata.

Proseguendo, va detto che il patto parasociale potrebbe contenere anche un sindacato di voto. Si rimanda per una sua definizione a quanto espressamente rilevato nel capitolo 1 del presente lavoro. In questa sede è opportuno rilevare che è possibile prevedere nel sindacato di voto tanto l’impegno di un aderente al patto a votare in modo che una data opera-zione venga deliberata dalla assemblea dei soci (ad esempio l’ammissione della società alla quotazione dei suoi strumenti finanziari in un mercato regolamentato nazionale), tanto a votare in modo negativo nei confronti della stessa o ad astenersi dalla votazione.

La scelta dipenderà da quelli che sono nella realtà, o meglio nel caso concreto gli interessi che le parti intendono perseguire con il patto pa-rasociale sottoscritto. Si pensi al caso dell’impegno di un aderente al patto volto ad astenersi nella votazione concernente la deliberazione di un aumento di capitale. Qui di seguito, si riportano due esempi di clausola contenente un sindacato di voto:

A) In occasione della prossima assemblea di Alfa S.p.A. convocata per il prossimo 25 e 26 febbraio 2006, e per quella del 28 e 30 marzo 2006 ed aventi ad oggetto la

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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deliberazione di modifica della clausola dell’oggetto sociale, nonché l’aumento del numero dei consiglieri di amministrazione, il sig. Tizio si impegna a partecipare alle assemblee dei soci e a votare in modo favorevole nelle deliberazioni concernente la modifica dell’oggetto sociale e l’aumento del numero dei membri del consiglio di amministrazione.B) Gli aderenti al patto si obbligano ad esprimere nell’assemblea ordinaria della società il loro voto al fine concorrere alla deliberazione della nomina ed il rinnovo dei membri del collegio sindacale. Il sig. Caio, nel contempo, si impegna ad astenersi in relazione alla deliberazione di cui sopra.

Come detto nel primo capitolo il sindacato di voto talvolta concerne l’impegno di un soggetto di non esprimere voto favorevole nella delibe-razione dell’azione di responsabilità nei confronti di uno o più ammini-stratori. Nonostante l’ombra di illiceità che contorna questa previsione (lo abbiamo visto nel capitolo secondo nella sentenza della Corte di Cassazione n. 7030/1994)37, ecco riportata qui di seguito una clausola orientata in tal senso:

Caio rinuncia espressamente con la sottoscrizione del presente patto a votare in modo favorevole in assemblea dei soci nel caso di votazione concernente la deliberazione dell’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dei seguenti amministratori: Mevio, Tizio e Filano.

Va anche pattuita, soprattutto a seguito della riforma del diritto so-cietario che ha introdotto il nuovo art. 2393-bis, C.C. una clausola del seguente tenore:

Alfa S.p.A., socia di Beta S.p.A., rinuncia espressamente con la sottoscri-zione del presente atto, all’esercizio diretto ai sensi dell’art. 2393-bis C.C. della azione di responsabilità e/o a far valere qualsiasi diritto e/o azione nei confronti degli amministratori e dei sindaci di Beta S.p.A.

37) Si riproduce, qui di seguito, il contenuto della massima: «Il patto con il quale i soci di una S.r.l. si impegnano nei confronti di un terzo, socio uscente ed ex amministratore unico della società, a non deliberare l’azione sociale di responsabilità nei confronti dello stesso, abdicando al diritto di voto pur in presenza dei presupposti dell’indicata azione, è affetto da nullità, in quanto il contenuto della pattui-zione realizza un conflitto di interessi tra la società ed i soci fattisi portatori dell’interesse del terzo ed integra una condotta contraria alle finalità inderogabilmente imposte dal modello legale della società, non potendo i soci non solo esercitare, ma neanche vincolarsi, negozialmente ad esercitare il diritto di voto in contrasto con l’interesse della società, a nulla rilevando che il patto in questione riguardi tutti i soci della società, né che la sua compagine sociale sia limitata a due soci aventi tra loro convergenti interessi (nella specie, coniugi)».

3.clausole in materiadipatti parasociali

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Abbiamo detto nei precedenti incontri che anche il patto parasociale può avere al suo interno degli organi (alcuni autori discorrono di società nella società). Questi sono:a) l’assemblea composta dai rappresentati dei soggetti aderenti al patto,b) il comitato direttivo,c) il Presidente del comitato direttivo,d) la segreteria del comitato.

Vediamoli uno ad uno, ponendo attenzione sugli aspetti fondamentali di ciascuna clausola che li contiene.

Si consiglia di introdurre le seguenti pattuizioni con una clausola di carattere generale e riepilogativa quanto agli organi del patto:

Gli organi del sindacato sono:a) l’assemblea composta dai soggetti aderenti al sindacato o dai loro rappresentati

previamente indicati,b) il comitato direttivo, composto da un numero di membri pari a quello delle parti

aderenti al patto e dal Presidente,c) il Presidente viene eletto dal comitato direttivo con il voto favorevole di almeno il

55% delle azioni sindacate.La segreteria del comitato può essere attribuita ad un soggetto esterno, professionista scelto nella lista di cui all’Allegato 10, alla Alfa S.p.A., che sarà vincolato al rispetto del segreto professionale.

Assemblea degli aderenti al patto parasociale. È composta, come detto, dai rappresentati dei soggetti aderenti al patto o da questi ultimi perso-nalmente. La relativa clausola dovrà prevedere in linea di principio che l’assemblea è convocata dal Presidente del comitato direttivo ogni qualvolta questi lo ritenga opportuno con preavviso inviato agli aderenti al patto o ai loro rappresentati mediante fax, lettera raccomandata o e-mail (o altri mezzi la cui scelta è rimessa alle parti) almeno dieci giorni prima.

È, poi possibile prevedere la convocazione dell’assemblea quando ne faccia richiesta scritta anche una delle parti. È importante fissare un termine entro il quale la riunione dei soci deve essere tenuta.

Da inserire nella clausola anche le previsioni relative alla possibilità per l’assemblea di discutere liberamente ed approfondire ogni argomento di interesse comune e relativo alla gestione della società, ovviamente fermo restando - nel caso in cui non vengano previsti poteri decisionali dell’as-semblea - i poteri del comitato direttivo al quale spetta la gestione del patto stesso. Una possibile clausola potrebbe essere quella che segue:

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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l’assemblea è convocata dal Presidente ogni qualvolta lo ritenga opportuno con preavviso inviato mediante fax, telegramma o posta elettronica almeno 7 giorni prima.L’assemblea deve, inoltre, essere convocata quando ne faccia richiesta scritta al Presi-dente o al comitato direttivo una delle parti e la riunione dovrà essere tenuta entro 15 giorni dalla data della richiesta.L’assemblea può liberamente discutere ed approfondire qualunque argomento di in-teresse comune e, comunque, attinente alla gestione della società Alfa S.p.A. e delle società facenti parte del Gruppo Alfa, fermi restando i poteri decisionali del comitato direttivo.

Quanto al Comitato direttivo è necessario stabilire da quanti membri è composto, che può essere anche pari al numero delle parti aderenti al sindacato, ovviamente oltre al Presidente. È opportuno prevedere la possibilità per i membri del comitato di farsi sostituire nelle riunioni del comitato in caso di loro impedimento e le formalità relative da determinati soggetti. Questo organo, va precisato nella clausola, deve essere convocato dal Presidente ogni volta che lo ritenga opportuno o allorquando ne faccia espressa richiesta un suo membro con preavviso di almeno 3 giorni (o altro termine) inviato via e-mail, fax o telegramma. Possono essere previsti tempi inferiori per il caso in cui si manifestino delle urgenze o fatti sopravvenuti di particolare rilevanza (sarebbe in entrambi i casi opportuno anche precisarli) e il momento entro il quale detta riunione dovrà tenersi.

Stante l’eventualità che il Presidente non vi provveda, può essere sta-bilito che il comitato dovrà almeno riunirsi con cadenza bimestrale e, comunque, prima di ciascuna riunione del C.d.A. Si dovrà passare, poi a regolare l’attività del comitato. Sarà, al riguardo, necessario prevedere che questo organo può discutere e approfondire argomenti di interesse comune e, comunque, attinente alla gestione del patto. Possono essere indicate delle materie da sottoporre all’esame preventivo del comitato. Tra queste potranno essere elencate:a) il budget annuale della società e di eventuali controllate,b) la politica e la strategia del gruppo (nel caso vi siano società soggette

ad altrui attività di direzione e coordinamento),c) il progetto di bilancio, gli acquisti o le cessioni da parte della società

di rami di azienda,d) gli aumenti di capitale, fusioni e scissioni. Detta elencazione non ha

ovviamente carattere tassativo.Può accadere che in alcuni patti parasociali al comitato direttivo venga

conferito il diritto di nominare il Presidente, l’amministratore o ammini-

3.clausole inmateriadipatti parasociali

23�

stratori delegati e i direttori generali della società o delle sue controllate. Questa una via percorribile nella stesura della clausola:

Il comitato direttivo è convocato dal Presidente ogni qualvolta lo ritenga opportuno o quando ne faccia espressa richiesta uno dei suoi membri, con preavviso di almeno 5 giorni - e nei casi di urgenza almeno 24 ore - inviato tramite lettera raccomandata, fax o posta elettronica. La riunione dovrà tenersi entro 10 giorni dalla data della richie-sta (salvi i casi di urgenza). In ogni caso resta inteso che il comitato direttivo dovrà riunirsi almeno con cadenza bimestrale e, comunque, prima di ciascuna riunione del consiglio di amministrazione della Società e delle sue controllate.Il comitato direttivo può discutere o approfondire qualunque argomento di interesse comune. Più segnatamente, sono sottoposti all’esame preventivo del comitato direttivo i seguenti argomenti:a) politica del gruppo,b) aumenti di capitale, fusioni, scissioni e altre operazioni di M&A,c) quotazione in un mercato regolamentato nazionale o europeo,d) budget annuale della società.

E chiudiamo con il Presidente. Dovrà espressamente prevedersi da quale organo il Presidente sarà eletto e con quali percentuali di voto (ad esempio, dal comitato con il voto favorevole del 50% più una delle azioni sindacate). Non solo. Sarà opportuno prefissare la durata del suo incarico e inserire una previsione in merito alla sua attività (partecipazione alle riunioni della assemblea o del comitato e convocazione dell’assemblea o del comitato). Questo ufficio, così come il comitato esecutivo, può essere coadiuvato - ove previsto in patto - da un segretario, segretario che può anche essere una persona esterna alla società o non avente rapporti con gli aderenti al patto. Da ricordare - nel caso in cui si opti per un soggetto esterno - di vincolare quest’ultimo al rispetto del segreto professionale.

Opportuna da introdurre nell’accordo è anche una pattuizione relativa ai diritti degli azionisti; in questa ottica sarà possibile inserire previsioni relative al rilascio di informazioni, report, financial statement e accesso diritto alle informazioni societarie da parte degli aderenti al patto o di alcuni di questi. Queste previsioni andranno a rafforzare i diritti dei soci aderenti al patto e accompagneranno i diritti di cui il socio già gode per previsione legislativa. Dubbi sulla validità di tale clausola ove non intervenga anche l’adesione al patto della stessa società. Si riporta, comunque, una bozza di clausola:

resta inteso tra le parti che il sig. Tizio avrà diritto ad accedere - almeno trimestral-mente - alle informazioni relative a Alfa S.p.A. e alle sue controllate. Alla fine di ogni

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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anno il sig. Tizio avrà diritto a ricevere da parte degli amministratori della società un report relativo all’attività svolta dalla società.

Quanto, poi alla clausola di confidenzialità e riservatezza, andrà pre-cisato che un eventuale soggetto - aderente al patto (magari un socio che viene nominato amministratore delegato) - che viene a conoscenza a causa del suo incarico di informazioni, conoscenze e rapporti con clienti, fornitori, agenti, distributori con cui la società intrattiene rapporti (potrebbe essere il caso di un amministratore o di un socio/amministra-tore) dovrà impegnarsi a usare le predette informazioni per il periodo di durata del patto parasociale o del rapporto di collaborazione e a non rivelare - sia nel corso, sia successivamente alla scadenza del rapporto di collaborazione o del patto parasociale le informazioni a qualsivoglia persona fisica e/o giuridica o altro soggetto più in generale. Si potrebbe accompagnare detta clausola, rafforzandone in tal modo l’adempimento con una clausola penale.

Qui di seguito, una bozza di clausola:

Beta S.r.l. dà espressamente atto che le conoscenze, informazioni e rapporti con i clienti e altri terzi più in generale che siano in relazioni di affari con Alfa S.p.A. e/o altra società del Gruppo Alfa, nonché le informazioni relative ai sistemi, metodi, piani, politiche e know-how relative a Alfa S.p.A. e/o ogni altra società del Gruppo Alfa che sono e/o saranno dalla medesima conosciute in relazione al rapporto di collaborazione con la società stessa, costituiscono un patrimonio rilevante ed unico di proprietà di Alfa S.p.A. o delle altre società del Gruppo Alfa e che la diffusione di tali conoscenze costituisce un danno irreparabile per le medesime società. Di conseguenza Beta S.r.l. - per mezzo dei suoi organi - si impegna:1) ad usare le Informazioni Confidenziali esclusivamente per il periodo di durata del

rapporto di collaborazione con Alfa ed al solo fine di adempiere ai propri compiti nei confronti di Alfa stessa e/o delle società del suo Gruppo,

2) a non rivelare, sia durante, sia dopo la scadenza del rapporto di collaborazione con Alfa S.p.A. e le altre società del Gruppo Alfa le Informazioni Confidenziali a qualsiasi persona, società od altro soggetto.

Molte compagini societarie sono caratterizzate dalla presenza di soci che sono dotati di un certo know-how utile e necessario per la soprav-vivenza della società o siano titolari di un marchio. Si potrebbe allora prevedere all’interno di un patto parasociale anche una clausola relativa alle questioni attinenti alla proprietà intellettuale e al know-how.

Dovrà essere specificato il soggetto a vantaggio del quale tutti i diritti di autore e/o di sfruttamento economico dei marchi e brevetti esistenti,

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anche non brevettabili, e know- how spetteranno e sui quali gli altri sog-getti non potranno attivare alcun claim. Si potrebbe anche prevedere una disciplina volta a regolare la gestione di un marchio comune (ovverosia la cui titolarità spetti a più soggetti).

Opzioni di acquisto. Si concreta nella previsione che, a favore di un soggetto determinato partecipante al patto, le altre parti o una determinata parte conceda - in casi espressamente stabiliti nel patto stesso - un’opzione di acquisto su una parte delle partecipazioni sociali di cui sono titolari.

Sarà necessario prevedere una clausola che fissi il numero delle azio-ni sulle quali è possibile esercitare l’opzione o stabilisca una regola per determinarne il loro numero preciso. L’opzione potrà essere concessa per tutta la durata del patto parasociale o per un termine più breve e il suo esercizio potrà essere condizionato al verificarsi di alcune avvenimenti precisi precisati nel patto stesso (ad esempio, che il soggetto mantenga la carica di amministratore della società per tutta la durata del patto o ancora la quotazione della società in un mercato regolamentato nazionale).

Sembra anche possibile l’inserimento della previsione che, una volta avveratesi le condizioni, le parti che hanno concesso il diritto di opzione comunichino per iscritto alla parte beneficiaria l’opportunità di esercitare l’opzione di acquisto con l’indicazione di un termine finale entro cui esercitare - in una modalità da determinare (ovviamente per iscritto) - tale diritto, a pena di decadenza.

Il patto parasociale può, ancora, prevedere al suo interno una clausola di prelazione o un diritto di first refusal.

Va detto che la relativa clausola si concreta nella espressa previsione che il trasferimento a qualsiasi titolo posto in essere da un determinato aderente al patto o di tutti gli aderenti al patto è soggetto al diritto di prelazione di un determinato soggetto (è necessario indicare precisa-mente chi è questo soggetto preferito). Si dovrà prevedere una specifica procedura per dar corso alla prelazione (a tutela del titolare del diritto), che dovrà essere pedissequamente seguita dalle parti. La relativa clau-sola dovrà essere coordinata con le pattuizioni concernenti il sindacato di blocco eventualmente previsto in contratto e le clausole di covendita, nonché il diritto di seguito eventualmente previsto (si veda oltre per queste clausole).

Passando alla struttura della clausola, va precisato che la relativa clau-sola possiede i seguenti connotati. Esso consiste nella specifica pattuizione

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che il trasferimento - a qualsiasi titolo da parte di uno o più soggetti determinati aderenti al patto parasociale (Tizio o Tizio e Mevio) delle partecipazioni sociali possedute - ad uno o più soggetti terzi, esclusi i soci della società o quelli di altre controllate in caso di gruppo, è soggetto ad un diritto di first refusal di un altro soggetto aderente al patto (Caio) da esercitarsi prima dell’inizio della procedura di vendita. Tizio o Tizio e Mevio dovranno comunicare a Caio il prezzo a cui intendono cedere le proprie partecipazioni e le relative modalità di vendita. Caio, entro un predeterminato termine (poniamo 30 giorni; questo può essere inferiore o superiore), successivo al ricevimento di questa comunicazione, avrà fa-coltà di esercitare il diritto di first refusal mediante comunicazione scritta indirizzata a Tizio o a Tizio e Mevio. In caso di esercizio del diritto su tutte le partecipazioni di Tizio o Tizio e Mevio l’acquisto delle stesse da parte di Caio dovrà avvenire entro un termine preciso decorrente dalla scadenza di quello di 30 giorni (ovvero altro termine stabilito dalle parti). Va anche precisato che, qualora Tizio o Tizio e Mevio non ricevessero entro il primo termine fissato la comunicazione dell’esercizio del diritto o tale diritto non sia esercitato dall’altra parte su tutte le partecipazioni sociali, Caio decadrà dal diritto e si darà luogo alla vendita di quelle partecipazioni a terzi.

Può, infine, essere previsto che, nel caso in cui il prezzo di vendita delle partecipazioni fosse successivamente ridotto, si darà luogo al rinnovo dell’intera procedura e Caio potrà esercitare il diritto di first refusal.

Nel patto è possibile anche inserire una clausola di covendita (nella specie: diritto di covendita). A norma della stessa, viene stabilito che nel caso in cui uno o più degli aderenti al patto (poniamo Caio) ricevessero da un terzo una offerta per l’acquisto dell’intero capitale sociale della società - ad un prezzo, comunque, non inferiore ad un dato parametro limite - gli altri aderenti al patto si impegnano per quella eventualità a vendere al predetto terzo anche le loro partecipazioni agli stessi termini, condizioni e prezzo unitario di vendita stabiliti per i soggetti cui è per-venuta la proposta.

Sarà necessario prevedere una procedura affinché gli altri aderenti al patto rispettino l’impegno assunto da parte di Caio (ciò può avvenire con il conferimento irrevocabile a quest’ultimo o ad altro soggetto sta-bilito nel patto dei pieni poteri per la vendita delle loro partecipazioni in loro nome e per conto al o ai terzi). Anche tale clausola necessiterà di essere coordinata con il diritto di first refusal, che abbiamo visto in precedenza.

3.clausole inmateriadipatti parasociali

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In relazione al diritto di seguito, va detto che esso viene a configu-rarsi allorquando nel caso in cui uno o più aderenti al patto (poniamo, per facilità espositiva, Filano) intenda trasferire le proprie partecipazioni sociali a terzi, l’altro o gli altri aderenti al patto (per esempio, Caia) avrà diritto di cedere pro quota le proprie partecipazioni agli stessi termini e alle stesse condizioni della cessione effettuata a terzi da Filano.

Due precisazioni sono opportune:a) potrà prevedersi una esclusione dal novero dei soggetti terzi dei soci

della società o delle sue eventuali controllate o società collegate,b) il riferimento al pro quota va a specificare che l’operazione dovrà

avvenire nella stessa proporzione tra partecipazioni possedute e par-tecipazioni vendute da Filano.Dovrà essere, poi pattuito che Filano debba informare subito il terzo

acquirente dell’esistenza a suo carico dell’obbligo di cui al patto paraso-ciale. Ancora su Filano andrà previsto che questi, sempre che tale vendita si perfezioni, ottenga che il terzo acquisti anche le partecipazioni di Caia, qualora questi dichiarino di aderire alla operazione; oppure in caso di rifiuto del terzo acquirente acquisti esso stesso le azioni di Caia qualora la stessa abbia manifestato adesione alla operazione.

Sarà opportuno, infine, prevedere un termine entro il quale Caia manifesti la dichiarazione di adesione alla operazione. Non solo. Non dovrà essere dimenticata la previsione secondo cui Filano debba fornire a Caia pronta notizia della prospettata cessione. Necessario sarà il coor-dinamento di tale clausola con quella di covendita e con il diritto di first refusal al quale Caia rinuncerà implicitamente ove intenda avvalersi del diritto di seguito.

Un discorso a parte merita la cd. shotgun clause. Essa viene ad operare nel modo che segue (poniamo che l’accordo sia bilaterale): l’azionista A offre le partecipazioni sociali possedute all’azionista B ad un determinato prezzo per azione. L’azionista B può accettare la predetta offerta o, a sua volta, offrire agli stessi termini e condizioni all’azionista A le proprie azioni. Qualora ciò avvenga l’azionista A dovrà accettare questa offerta.

La finalità perseguita dalla clausola è chiara e lampante; questa, infatti, assicura che l’azionista A offra le partecipazioni sociali possedute ad un prezzo corretto e ragionevole. Infatti, ove ciò non fosse, nel caso in cui l’altro azionista offra a sua volta le proprie azioni in vendita, il primo offerente dovrà acquistare le stesse al prezzo più elevato al quale aveva intenzione di cedere le proprie azioni. Se ne consiglia l’utilizzo soprattut-

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to in compagini azionarie ristrette e laddove la società venga a svolgere attività economiche di modeste dimensioni (cd. small business).

Quanto agli strumenti per garantire adempimento del patto parasociale, non può che rimandarsi a quanto diremo successivamente nel prossimo paragrafo del presente capitolo. In questa sede è possibile porre in rilie-vo l’importanza della previsione di clausole penali introdotte nel testo contrattuale per rafforzare l’adempimento da parte degli aderenti al patto di alcune particolari pattuizioni.

Si pensi a quelle volte ad impedire che i soci aderenti al patto vengano a possedere una percentuale di partecipazioni sociali superiore a quella limite stabilita nel patto medesimo. Allorquando un aderente al patto per effetto di acquisti si troverà a possedere più della prefissata percentuale si verrà a concretare un inadempimento e scatterà il meccanismo previsto nella clausola penale, con la conseguente corresponsione da parte del soggetto inadempiente della somma pattuita a titolo di penale, la quale fungerà da liquidazione forfettaria del danno. Il che, ovviamente, se non è stata pattuita dalle parti la risarcibilità del danno ulteriore.

Si ricorda, infine, che la penale, per espressa disposizione legislativa, è dovuta indipendentemente dalla prova del danno (art. 1382, comma 2 C.C.). Qui di seguito, il contenuto di due clausole contenenti la previsione di una penale:

A) Le parti di comune accordo stabiliscono che in caso di mancato adempimento degli obblighi previsti nell’articolo 5 del patto, la parte venditrice sarà tenuta a corrisponde-re alle altre parti a titolo di penale convenzionale un importo pari al 50% del valore globale delle partecipazioni sociali cedute (ovvero un importo pari a € 50.000).B) Qualsiasi eventuale inadempimento alle disposizioni del presente accordo parasociale o alle deliberazioni assunte dal comitato direttivo per conto di tutti i partecipanti sarà sanzionato applicando all’inadempiente una penale pari a circa € 00000000, che dovrà essere versata al comitato direttivo entro e non oltre (…) giorni dall’invio di formale comunicazione di irrogazione della sanzione indirizzata ai rappresentati indicati nel-l’art. 18 del presente patto.

La disamina prosegue con le clausole relative alla costituzione di pegno sulle azioni o del diritto di usufrutto o di altri vincoli sulle azioni.

La loro costituzione può essere inibita alle parti o ancora è possibile dare atto nel patto stesso che una percentuale determinata di partecipazioni possedute da un aderente al patto sono state costituite in pegno a favore di un altro soggetto (poniamo, ad esempio, un istituto di credito).

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Sarà necessario, poi prevedere delle specifiche regole per disciplinare la sorte del diritto di voto, ovverosia a chi spetterà tra il creditore pignoratizio ed il debitore. Segue una clausola che non ammette la possibilità per gli aderenti al patto di non costituire pegno o usufrutto sulle azioni:

I partecipanti al Patto si impegnano, altresì, a non costituire diritti di pegno o di usufrutto sulla totalità o su una parte delle partecipazioni sociali sindacate e di quelle che in futuro potrebbero essere dalle stesse acquisite a qualsiasi titolo e da qualsiasi soggetto.

Importante anche la previsione di una clausola prevedente l’obbligo di non concorrenza a carico di uno dei soci aderenti al patto nei confronti degli altri partecipanti. Questo patto dovrà avere una durata non superiore ai 5 anni e dovrà prevedere l’astensione del soggetto gravato dall’obbligo dal porre in essere o iniziare una nuova attività che per oggetto, ubicazione o altre circostanze (ad esempio, il possedere un certo particolare know-how) sia idonea a sviare la clientela della società. È possibile prevedere un corrispettivo a favore del soggetto obbligato per il rispetto del suddetto patto. Ecco un esempio di clausola:

Tizio e Caio si impegnano - per tutta la durata del patto (non superiore, comunque, a 5 anni) (o, alternativa, per tutta la durata di una particolare operazione, es. la quotazione dei titoli della società in un mercato regolamentato nazionale) a non svolgere, diretta-mente o indirettamente, né far svolgere da società da loro controllate o partecipate in una misura pari o superiore al 5% del capitale sociale, attività economiche concorrenti con quella della società Alfa. Altresì, dette parti si impegnano a non prestare la loro attività o a mettere a disposizione le proprie conoscenze specifiche a terzi. Gli ade-renti al Patto prendono reciprocamente atto che il corrispettivo per tale patto di non concorrenza ammonta a € 0000 annuali. In caso di violazione del suddetto patto di non concorrenza, Tizio e Caio corrisponderanno la somma pari a € 0000 a titolo di penale, somma da corrispondersi in due trance da € 00 ciascuna, entro 30 giorni dalla contestazione scritta dell’inadempimento da parte degli altri aderenti al Patto.

Quanto alla durata del patto parasociale e al suo scioglimento, le parti dovranno stabilire un termine di scadenza del contratto fissato in 5 anni (o inferiore) per le società per azioni chiuse e per quelle i cui strumenti sono diffusi tra il pubblico in misura rilevante. Tre anni (o inferiore) per le società quotate in un mercato regolamentato.

Si consiglia di non introdurre un termine superiore, dal momento che automaticamente - stante la sostituzione automatica di clausole - questo verrà riportato e reso conforme alla disciplina legale (di 5 o 3 anni).

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È preferibile indicare una data di scadenza del patto parasociale, essendo il patto stipulato a tempo indeterminato assoggettato ex lege all’esercizio del diritto di recesso da parte di qualsiasi aderente al patto con preavviso di 180 giorni (o 6 mesi nell’impianto del TUIF).

Sarà, poi preferibile precisare la data di decorrenza degli effetti del patto parasociale e stabilire delle regole per il suo rinnovo. Solitamente i patti parasociali stabiliscono il tacito rinnovo di anno in anno (oppure di tre anni in tre anni e così via) alla scadenza, salva la facoltà di cia-scuna delle parti di recedere alla scadenza originaria o prorogata con un preavviso di almeno sei mesi. Da stabilire le formalità da porre in essere per la comunicazione del recesso dal patto.

È, infine, possibile prevedere delle cause specifiche al cui verificarsi si determini lo scioglimento del patto parasociale (si pensi ad esempio, la circostanza in cui una delle parti non venga più a possedere alcuna azione nella società oppure al verificarsi di incapacità di una delle parti, la dichiarazione di fallimento, un inadempimento ad una delle clausole essenziali del patto parasociale ecc.). Segue una clausola di durata:

Il presente Patto resterà in vigore per (max 5 anni) decorrenti dalla data odierna e successivamente sarà soggetto a tacito rinnovo di tre anni in tre anni, salva la facoltà di ognuna delle Parti di recedere alla scadenza originaria o prorogata con un preavviso di almeno 6 (sei) mesi. Il preavviso dovrà essere comunicato per iscritto mediante lettera raccomandata (anticipata via fax), spedita entro il suddetto termine, a tutte le altre Parti. Il presente Patto peraltro si intenderà in ogni caso sciolto nel momento in cui una delle Parti cessi di essere proprietaria di qualsiasi Azione di Alfa S.p.A., in base a quanto previsto e nel rispetto del presente Patto Parasociale, limitatamente a detta Parte o nel caso di ingresso della predetta società in un mercato straniero (per tale da intendersi un mercato al di fuori della Unione europea).

Adesione al patto parasociale da parte degli acquirenti delle parteci-pazioni sociali sindacate nel patto stesso. Si tratta dell’ipotesi in cui il parasocio abbia assunto, oltre all’obbligo parasociale principale, anche l’obbligo accessorio di trasferire la partecipazione solamente a chi abbia preventivamente accettato di assumere gli obblighi parasociali gravanti sul proprio dante causa. Tale obbligo ulteriore, anch’esso parasociale, e attraverso il quale i parasoci cercano di assicurarsi negozialmente la “rea-lità” dell’obbligo parasociale (ossia l’opponibilità erga omnes del vincolo) costituisce un limite legittimo al libero trasferimento della partecipazione sociale, avente carattere esclusivamente obbligatorio, assolutamente ini-doneo a creare una particolare categoria di partecipazioni sociali incor-

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porante l’obbligo parasociale principale, il quale viceversa passa in capo al cessionario della partecipazione solo grazie a un suo spontaneo atto di volontà: l’adesione al patto parasociale.

In tal caso, dal punto di vista giuridico, non si ha un negozio di trasferimento di una medesima obbligazione da un soggetto ad un altro unitamente alla partecipazione sociale, ma all’estinzione dell’obbligazione in capo al vecchio socio (originario firmatario del patto parasociale) il quale nella maggior parte dei casi non è più in condizione di adempiervi (anche se vi possono essere delle ipotesi in cui i parasoci convengono che sull’originario parasocio gravi la garanzia dell’adempimento dell’obbligo parasociale da parte del cessionario della partecipazione sociale) e alla nascita (con l’adesione al patto parasociale) di una nuova obbligazione.

Solitamente la clausola che disciplina l’adesione al patto da parte dei soggetti acquirenti partecipazioni sindacate nel patto da uno dei parasoci, è strutturata mediante la previsione - a monte - di una impossibilità per il parasocio di alienare le proprie partecipazioni a terzi ove l’acquirente, se non sia già parte del patto, non abbia espressamente aderito e abbia accettato per iscritto di essere vincolato anche esso da tutte le obbliga-zioni che derivano dal patto e di sottomettersi a tutte le disposizioni e condizioni come se avesse firmato fin dall’origine il patto parasociale medesimo. Questi ove vincolatosi in tal modo beneficerà di tutti i diritti di cui beneficiava la parte che gli ha alienato le partecipazioni sociali sindacate nel patto.

Per quanto concerne le previsioni relative alla soluzione delle contro-versie, è opportuno scegliere tra l’inserimento nel patto della clausola sul foro competente, ovverosia la scelta di far risolvere la eventuale contro-versia insorgente tra i parasoci da un Tribunale, secondo le nuove norme di cui al D.Lgs. n. 5/2003 (nuovo processo societario), o della clausola compromissoria (nella specie è preferibile optare per un arbitrato rituale) o di una conciliazione stragiudiziale.

La scelta dipenderà da tutta una serie di fattori dei quali sono, qui di seguito, indicati solo quelli più rilevanti: la natura e la particolarità della controversia (certe volte è preferibile affidare la soluzione a dei tecnici (arbitri) che per la loro formazione ed esperienza trattano queste materie nella vita quotidiana, piuttosto che ad un magistrato, che le incontra solo in rare e sporadiche occasioni); ancora la celerità o meno della decisione a seconda che si opti per il ricorso alla autorità giudiziaria o al collegio arbitrale (la lentezza nel primo caso, la celerità nel secondo - dovrem-mo vedere però l’impatto che avranno le nuove norme sulla riforma del processo civile e societario); ai costi con cui verrà risolta la controversia (certamente più consistenti nel caso di arbitrato).

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Vi può essere, poi una strategia più subdola delle parti sottesa alla scelta della clausola relativa alla soluzione delle controversie. Una par-te aderente al patto, che fin dall’inizio è sicura di non tenere fede ad alcune delle clausole previste nel patto (ma che deve necessariamente sottoscriverlo per conoscere, poniamo dei segreti, di un altro aderente al patto), potrebbe optare e spingere in sede di negoziazione - in ottica difensiva, stante la rilevata lentezza della autorità giudiziaria (da vedere, comunque, alla luce delle nuove norme sul processo societario) - per l’in-serimento nel patto parasociale della clausola del foro competente. Una volta chiamata a rispondere per l’inadempimento di una clausola questa parte potrà godere delle lungaggini proprie di un procedimento avanti l’autorità giudiziaria. Si confida, comunque, che con l’introduzione delle norme sul nuovo processo societario venga posta fine a questa insana e non corretta abitudine.

Si richiama l’attenzione dei lettori su una particolarità che è stata introdotta in materia di arbitrato e, in particolare di redazione della clausola arbitrale per la soluzione di controversie societarie, dall’art. 34, comma 2, del D.Lgs. n. 5/2003, a norma del quale la clausola dovrà conferire, tra le altre cose, a pena di nullità il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società. Tale norma dovrà essere dagli operatori tenuta nella massima considerazione per evitare che in caso di azionamento della clausola prevista in statuto venga opposta da una delle parti la nullità della clausola arbitrale.

Anche la conciliazione stragiudiziale può rappresentare un valido stru-mento per la soluzione delle controversie, uno strumento che è attento (nel senso che non trascura) a quelli che sono i reali interessi delle parti e tende a trovare una soluzione realmente efficiente e soddisfacente per le parti.

Da questo punto di vista, però, preoccupa non poco, essendo da poco in vigore tale possibilità nel nostro paese, che i professionisti chiamati a conciliare non siano dotati di quel bagaglio e di quella esperienza ne-cessaria (non dico giuridica, ma per esempio economica e psicologica) per portare a termine con successo il loro compito. Anche in tal caso dovremmo attendere per avere una risposta più precisa in merito agli effetti positivi o negativi di questa importante novità.

Nel caso vi fossero soggetti aderenti al patto non italiani, sarà poi necessario prevedere - fin da subito - quale è la legge applicabile al contratto. Qui di seguito, una clausola relativa la foro competente e alla clausola arbitrale:

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La legge applicabile al presente patto è quella italiana.Tutte le controversie derivanti dal presente Patto, ivi incluse quelle relative alla vali-dità, interpretazione, esecuzione e scioglimento del medesimo, saranno sottoposti alla competenza esclusiva dei giudici del Foro di Napoli.I fratelli Tizio e Caio faranno tutto quanto in loro potere per risolvere bonariamente ogni controversia o disputa di qualsivoglia genere, connessa o relativa in qualsiasi modo al presente patto. Qualora ciò non avvenisse in un tempo ragionevole e, a tale proposito ciascuna delle parti potrà fissare alle altre un termine, la questione verrà sottoposta - a cura della parte che ne ha interesse - ad arbitrato rituale di diritto amministrato dalla Camera Arbitrale di Roma, secondo il regolamento pro tempore vigente adottato dalla stessa.

Può accadere, ma soprattutto nelle joint venture paritetiche, ovverosia quelle in cui i due soci possiedono il 50% ciascuno del capitale sociale, o ancora nel caso di patti parasociali che prevedono dei quorum più elevati sia in assemblea o nel Consiglio di Amministrazione per l’adozione di determinate deliberazioni, che vengano a porsi delle situazioni di blocco, di vero e proprio stallo decisionale. Non è possibile, dunque superare quella data impasse e permettere agli ingranaggi di continuare a funzio-nare. Questo stallo decisionale può essere deleterio per la società. È bene, pertanto che nel patto parasociale vengano previste alcune clausole volte alla soluzione delle situazione di stallo decisionale (cd. dead lock).

Abbiamo assistito al proliferare di differenti e svariate soluzioni per porre rimedio a questa situazione di impasse decisionale. Gli strumenti utilizzati nella pratica anzi, meglio le clausole, sono classificabili in due schemi a seconda che siano dirette a trovare una composizione amichevole della controversia (la soluzione dello stallo viene demandata alle cariche più elevate delle rispettive società - presidente o amministratore delegato - o ad un terzo o a dei conciliatori, la cui decisione sarà vincolante per le parti) oppure a determinare, soprattutto allorquando lo stallo perduri nel tempo, lo scioglimento del rapporto associativo.

Tra queste ultime clausole, che entrano in gioco soprattutto allorquan-do non si giunga ad una soluzione dello stallo da parte del Presidente o del terzo, vanno annoverate, oltre alla classica clausola russian roulette38,

38) Detta clausola consiste nella presentazione, da parte dell’aderente al patto più celere, di una offerta irrevocabile nello stesso tempo di acquisto delle azioni degli altri aderenti al patto e di vendita della propria ad un prezzo determinabile sulla base della valutazione dell’intero capitale della società (va-lutazione operata dal parasocio offerente).

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anche quella di asta competitiva39, quella di break up40 e le put and call incrociate, clausole che realizzano l’uscita di una delle parti mediante l’alienazione della partecipazione sociale posseduta.

Da non sottovalutare anche il ricorso all’operazione di scissione per mezzo della quale sarà possibile splittare in due distinte società la prece-dente ed assegnare ad un socio le partecipazioni di quella che si occupa di commercializzazione di un dato prodotto e all’altro la parte che si occupa della produzione del prodotto medesimo.

Potrebbe essere questa un’alternativa per risolvere uno stallo decisionale insanabile. Naturalmente, dovrà essere previsto in una clausola (contenuta nel patto parasociale) che le parti si impegnano ora per allora a deliberare una scissione allorquando si verifichi una situazione di stallo decisionale tale da impedire l’operatività della società (o in sede di assemblea o in sede di C.d.A. o entrambi con riguardo a specifiche e riservate materie).

Si riporta una clausola della prima categoria proprio per la circostanza che essa rappresenta il punto base e di partenza per la previsione - in caso di esito negativo - dell’uscita di uno dei partner dalla compagine sociale.

Qualora il C.d.A. o l’assemblea dei soci per due volte consecutive non dovesse rag-giungere le maggioranze richieste dallo statuto o dal presente patto parasociale al fine di poter deliberare sulle materie espressamente riservate a tali organi dagli articoli 5 e 8 del presente patto, le parti dovranno tentare di risolvere la situazione di stallo decisionale ai termini ed alle condizioni qui di seguito esposte.Entro 10 giorni lavorativi dal verificarsi della situazione di stallo decisionale, la parte che intende iniziare una procedura di conciliazione dovrà darne comunicazione scritta all’altra parte. Nei 5 giorni lavorativi successivi a detta comunicazione, la parte che ha proposto l’instaurazione della procedura di conciliazione e l’altra parte dovranno ciascuna individuare e comunicare all’altra il nome di un loro rappresentante che faccia parte del rispettivo management al più alto livello.I rappresentati delle parti dovranno obbligarsi entro 10 giorni lavorativi dalla loro individuazione a trovare una soluzione bonaria alla situazione di stallo decisionale. Qualora entro il suddetto termine i rappresentanti non siano riusciti a raggiungere una soluzione bonaria alla situazione di stallo decisionale, le parti dovranno avviare una seconda fase del tentativo di risolvere bonariamente la situazione di stallo.In tale ottica, ciascuna parte dovrà procedere alla designazione di un conciliatore e

39) È la clausola per mezzo della quale un aderente al patto presenta una offerta di acquisto delle azioni possedute dagli altri aderenti al patto, la quale si considera risolutivamente condizionata al fatto che nessuno degli altri aderenti presenti una offerta di acquisto con offerta economica migliore.

40) È una clausola che realizza lo scioglimento della joint venture attraverso la previsione di una scissione o la liquidazione.

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darne comunicazione all’altra parte entro 5 giorni lavorativi dalla scadenza del ter-mine entro cui i rappresentati delle parti avrebbero dovuto trovare una composizione bonaria della controversia.I conciliatori nominati dovranno entro 3 giorni lavorativi dalla loro nomina nominare un presidente che dovrà essere una persona indipendente scelta tra quelle indicate nell’allegato n. 11 al presente patto. I conciliatori dovranno entro 7 giorni lavorativi dalla nomina del presidente convocare le parti e la parte proponente dovrà fornire la documentazione in grado di illustrare la situazione di stallo decisionale.Entro 20 giorni lavorativi dal ricevimento della documentazione i conciliatori dovranno tentare di risolvere in comune la situazione di stallo decisionale. La soluzione cui i conciliatori sono giunti dovrà essere comunicata immediatamente alle parti, al c.d.a. o all’assemblea e ciascuno dei predetti soggetti, per quanto di rispettiva competenza, dovranno assicurare l’attuazione della decisione resa dai conciliatori.Qualora i conciliatori si rendano conto che non è possibile addivenire ad una solu-zione bonaria dello stallo decisionale entro il predetto termine, ne informano le parti e dovranno, conseguentemente, inviare loro una dichiarazione con cui dichiarano concluso il loro incarico.

A questo punto, qualora sia impossibile giungere ad una composizione bonaria dello stallo, potrebbe essere previsto a favore di una delle parti o entrambe la facoltà di esercitare il diritto di vendita della propria partecipa-zione nella società a terzi, che comunque accettino preventivamente il patto parasociale, o all’altro socio, che corrisponderà il prezzo (calcolato mediante i parametri indicati in un eventuale allegato al patto parasociale).

Chiude il patto parasociale la clausola relativa alla esatta indicazione degli indirizzi delle parti, indicazione utile e necessaria per ricevere co-municazioni relative al patto sottoscritto. È necessario precisare che tutte le comunicazioni dovranno essere fatte per iscritto. È possibile prevedere un rappresentante per ciascuna parte che riceva queste comunicazioni.

Ecco riportato un esempio di clausola:

tutte le comunicazioni relative al presente patto parasociale sono da effettuarsi per iscritto mediante lettera raccomandata, anticipata via fax, ai seguenti indirizzi:a) per il contraente A, alla cortese attenzione del sig. (…), Via (…), cap. n. (…), Roma,

fax n. (…);b) per il contraente B, alla cortese attenzione del sig. (…), Via (…), cap. n. (…), Torino,

fax n. (…).

Il Professore aveva terminato l’esame del patto parasociale proiettato sullo schermo del suo computer. Prima di chiudere, però, richiamò la mia at-tenzione su alcune regole che dovevo tenere a mente allorquando nel corso

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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dello svolgimento della vita professionale mi fosse capitato di prestare un consiglio pratico ad un mio cliente intenzionato a stipulare un patto para-sociale. Innanzitutto, non dovevo assolutamente perdere di vista quelli che erano gli interessi perseguiti dal cliente per mezzo della data operazione. In particolare, avrei dovuto conoscere prima di iniziare a scrivere le bozze del patto cosa era davvero importante per il mio cliente.Avuto ben chiaro nella mente questo interesse, potevo entrare più nello specifico e preparare un accordo o quanto meno negoziarne uno con le controparti che avrebbe permesso al mio cliente (almeno - i seguenti sono presupposti di tutela indefettibili) di vendere le sue partecipazioni in caso volesse svincolarsi dal patto prima della sua naturale scadenza o recedere dallo stesso, comprare da altri soggetti ulteriori partecipazioni ove se ne fosse presentata la necessità, proteggere i suoi interessi con la previsione di espresse pattuizioni (diritti di informazione e accesso ai documenti, la previsione di penali e quanto altro utile in quell’ottica - si pensi alla possibilità di nomina di uno o più amministratori).Infine, era utile conoscere in anticipo quale fosse la sua responsabilità in caso di suo inadempimento al patto parasociale e la sua conseguente (even-tuale esposizione), soprattutto economica, nei confronti degli altri aderenti al patto.Il Professore mi disse, poi che vi era ancora un altro tema particolare da affrontare e di cui era necessario tenere conto per una buona riuscita della negoziazione del patto parasociale. Questo era il tema della comunicazione non verbale, ovverosia della interpretazione di tutti quei segni che il nostro corpo produce, congiuntamente alle parole, e che ove interpretati in modo corretto possono fornire informazioni importanti su quella persona e sul suo specifico grado di affidabilità su cui le altre parti possono contare per una corretta impostazione della trattativa e della finalizzazione del patto parasociale. In particolare, tenendo a mente i segni del corpo, potevamo conoscere in anticipo l’affidabilità della controparte, ovvero se la stessa in quel momento stava recitando una parte (al fine di ottenere informazioni, che altrimenti le sarebbero state negate) o credeva veramente nella stipulazione del patto parasociale.Così dicendo, mi disse che non era facile notare a prima vista e, conseguen-temente, comprendere questi messaggi non verbali; era necessaria molta pratica.Mi elencò alcuni segni che potevano essere interpretati come sentori di scarsa disponibilità alla trattativa, menzogna e poca affidabilità del nostro referente di turno. I segni principali, basilari che mi indicò, oltre quello del sorriso menzognero caratterizzato dall’esclusivo movimento della parte bassa del volto, furono i seguenti: innanzitutto, il toccarsi il naso mentre una persona

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discorre è sintomo di una bugia sottesa a quelle parole o, comunque, immi-nente; contrariamente, la parte che mentre noi parliamo si toglie gli occhiali indica un comportamento di apertura, un comportamento di una persona sicuramente collaborativa che sta togliendo le barriere che si frappongono fra noi e lui per dare corso ad una collaborazione proficua; in secondo luogo, i messaggi che possono giungere dalla bocca e, in particolare un sorriso che provoca una asimmetria del volto è sintomo di una simulazione di una tranquillità che nella realtà dei fatti non esiste; ancora, è indicatore di una menzogna il coprirsi la bocca nel mentre si dà una risposta ad una domanda posta da un interlocutore; infine, il comparire di segni esteriori che sono segno di nervosismo e non di tranquillità o di chiusura verso l’interlocutore, quali il tamburellare con le dita sul tavolo o il comparire di goccioline di sudore sulla fronte (quando ovviamente non è estate e non fa caldo!!!) o il giocare manifestamente con una pallina, con l’anello nuziale (se il soggetto è sposato) o quanto altro.Mi ripromisi di fare attenzione ai messaggi non verbali del corpo della controparte alla prima occasione disponibile, di interpretarli e di adoperarli proficuamente per la massima tutela del mio cliente. Non solo. Decisi di andare oltre: mi sarei iscritto ad uno di quei corsi, tenuti specialmente da psicologi diretti alla esemplificazione di queste tecniche di comprensione dei messaggi prodotti dal corpo umano.Fatte queste precisazioni di ordine pratico, il Professore mi spiegò come aveva intenzione di proseguire l’incontro. Avremmo trattato solo un altro argomento: quello delle clausole più rilevanti contenute nei patti parasociali. Poi ci sarem-mo rivisti l’indomani. Mi disse di fare molta attenzione a questo argomento; si trattava di una parte delicata. Disse anche che prima di iniziare avremmo fatto una pausa di un quarto d’ora per ricaricare le batterie. Decisi di approfittare di questa pausa per consegnare al Professore il taglia sigari.Alla vista del pacchetto e, soprattutto, della coccarda, il Professore rimase un pò disorientato (aveva, comunque, capito che il regalo era per lui). Con voce trattenuta e rauca (non tanto per l’emozione, ma perché ero stato in silenzio per circa un ora senza proferire verbo) dissi che questo presente era per lui e che lo ringraziavo moltissimo per il tempo che mi aveva dedicato, e per l’avermi trasferito tutti questi concetti, informazioni e nozioni sui patti parasociali. Ovviamente lui, visibilmente imbarazzato (mi disse, in seguito, che non era abituato a ricevere doni), rispose con una frase di circostanza che non avrei dovuto fargli questo regalo, non c’era alcun bisogno (e che per lui i regali erano inutili ed era, comunque, un piacere insegnare, into-nato a voce più bassa del solito per farsi a mala pena sentire). Sembrava, comunque, contento del regalo. Lo si leggeva nei suoi occhi. Aprì, dunque il regalo, strappando con ardore l’involucro che si frapponeva tra lui ed il

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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regalo. Quella scena me lo fece immaginare da bambino nei giorni di festa quando scartava i doni dei suoi genitori.Alla vista del taglia sigari rimase davvero sorpreso. Esclamò “È bellissimo!!! Avevo in mente di comprarne uno. Voglio utilizzarlo subito, in tuo onore”. Estrasse un sigaro intero dal cassetto della scrivania (dimenticò ovviamente quanto aveva detto prima relativamente alla inutilità dei regali) e lo tagliò con il suo nuovo strumento, riponendolo non appena tagliato gelosamente nella tasca dei pantaloni. Si accese il suo sigaro, questa volta tagliato precisa-mente, e ringraziandomi ancora una volta per l’utile regalo, si diresse verso l’uscita per fumare tranquillamente il suo sigaro. Da parte mia io rimasi seduto, aspettando per la ripresa della lezione. Non avevo alcuna voglia di uscire fuori. Ne approfittai per dare una occhiata al patto parasociale che il Professore aveva utilizzato come base per la sua esposizione. Passarono dieci minuti. La lezione doveva ricominciare. Non fece in tempo a mettere piede nel negozio, tanta era la voglia di riprendere, che il Professore cominciò subito a parlare. “Dobbiamo analizzare il contenuto di alcuni dei patti parasociali che ho appositamente disposto qui sul tavolo e rintracciare quelle clausole che non abbiamo ancora incontrato nel nostro viaggio o per le quali è necessario fare ancora qualche considerazione. È giunto il momento di concentrarci sulla clausola di prelazione, di gradimento, di opzione di acquisto e via dicendo. Dunque, procediamo”. Ero pronto con il mio blocco per prendere appunti. Questa volta era possibile (il Professore non si era opposto). Ero desideroso di riportare sui fogli ancora bianchi, soprattutto le informazioni relative alla finalità a cui assolveva ciascuna clausola o, almeno, quelle più rilevanti.

3.2 Altre clausole particolari rinvenibili nei patti pa-rasociali

Clausole di corporate governanceSi riproduce una clausola che ha per oggetto l’attribuzione ad un aderente

al patto della facoltà di incidere sulla corporate governance della società. Dobbiamo dire che questa clausola potrà avere il contenuto più disparato, dovendo dare una sistemazione a quelle che sono le scelte di corporate governance che le parti intendono perseguire con il patto parasociale.

La clausola è la seguente:

Banca Alfa avrà facoltà di:a) nominare un membro del consiglio di amministrazione di Beta S.p.A. e delle sue

controllate,

3.clausole inmateriadipatti parasociali

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b) designare il presidente del collegio sindacale di Beta S.p.A. e di ciascuna società da questa controllata,

c) ottenere trimestralmente informazioni contabili.

Patto di non alienazione e non costituzione diritti di pegno e usu-frutto

Abbiamo già detto in precedenza in cosa consistono questi patti.Qui di seguito si riporta il contenuto di una clausola di non aliena-

bilità:

per un periodo di almeno 3 anni dalla data odierna e, comunque, sino a che Tizio rivesta cariche nel consiglio di amministrazione di Beta S.p.A., lo stresso Tizio, salvo il preventivo consenso scritto dagli altri aderenti al patto, si impegna a non cedere ovvero a non costituire, neppure in parte, diritti reali di godimento e/o di garanzia e/o di altra sorta e/o comunque a non disporre e a non procedere al trasferimento in alcun modo (neppure parzialmente) delle proprie partecipazioni sociali.

Talvolta, allorquando vi siano in ballo interessi di un gruppo o vi siano delle società controllate o addirittura le società stipulanti il patto siano controllate da una altra società, è possibile rintracciare all’interno dei patti parasociali clausole come quella che segue:

le parti potranno trasferire le azioni o una parte di esse a favore di proprie controllanti e controllate, o controllate dalla medesima controllante, sempreché il cessionario assuma gli obblighi previsti nel presente accordo, nonché l’obbligo di rivenderle al cedente, che dovrà dal canto suo impegnarsi al riacquisto, nel caso venga meno il rapporto di controllo rilevante ai fini del presente articolo. Il cedente dovrà darne preventiva comunicazione al depositario del presente accordo, che ne informerà tutti i partecipanti.

Sarà anche utile accompagnare tale pattuizione da una clausola di definizione che venga a definire cosa debba intendersi per controllate ovvero se debba farsi riferimento alla nozione di cui all’art. 2359 C.C. o abbia un contenuto più o meno ampio. In tal modo si eviterà di andare incontro a controversie tra le parti eventualmente sorgenti dalla messa in atto della clausola riportata (si veda in tal senso quanto detto nel precedente paragrafo).

Ingresso di nuovi partecipanti. CondizioniUna possibile clausola di questo genere, mirante ad impedire l’ingresso

di nuovi partecipanti nel patto e, conseguentemente, nella società, po-trebbe essere la seguente:

3. clausole inmateriadipatti parasociali

255

L’ingresso di nuovi partecipanti al sindacato sarà soggetto alla approvazione unanime del comitato direttivo, comunque subordinato a che essi sottoscrivano totalmente e incondizionatamente il testo del presente accordo parasociale e il contestuale perfe-zionamento del deposito fiduciario.

Patto di prelazione e prelazione reciprocaPer quanto riguarda la prelazione più in generale si rimanda a quanto

riferito nel primo capitolo. In questa sede, a completamento di quanto già rilevato in merito alla prelazione, va detto che le parti possono prevedere la corresponsione di un determinata somma di denaro quale corrispettivo per la concessione di un diritto di prelazione.

Si riporta, dapprima un esempio di prelazione semplice e, poi un esempio di clausola di prelazione reciproca entrambe senza la previsione di un corrispettivo:

A) Il partecipante che intenda trasferire a terzi a qualsiasi titolo, anche a titolo gra-tuito, o mediante conferimento in natura o scissione, le proprie azioni dovrà darne comunicazione a tutti gli altri aderenti al patto al loro domicilio risultante dal libro soci e al presidente del comitato direttivo, indicando il nominativo del potenziale acquirente ed i termini e le condizioni dell’atto di disposizione, nonché il prezzo, le modalità di pagamento ovvero le azioni e l’eventuale conguaglio in denaro, assegnate in con cambio in base ai quali gli altri aderenti al patto possono sostituirsi al predetto potenziale acquirente nella acquisizione delle disponende azioni.Il prezzo per l’esercizio del diritto di prelazione sarà uguale a (inserire parametri o quanto altro per determinare questo prezzo - parte rimessa alla autonomia delle parti).Gli altri partecipanti avranno facoltà di esercitare il diritto di prelazione mediante (inserire la procedura da seguire o rimandare espressamente ad un allegato al patto parasociale che la contenga).B) In ogni caso in cui una delle parti intenda trasferire in tutto o in parte - per atto tra vivi - la propria partecipazione sociale nel Gruppo Alfa, l’altra parte avrà diritto di prelazione per l’acquisto di tale partecipazione, alle condizioni qui di seguito sta-bilite:a) la parte che intende cedere o, comunque, trasferire la propria partecipazione (il

cedente) dovrà farne offerta all’altra parte (la controparte), comunicandole nelle forme di cui all’art. 10 (Comunicazioni tra soggetti aderenti al patto), il nominativo del terzo potenziale acquirente, il prezzo da questi offerto e le eventuali condizioni di pagamento,

b) qualora la controparte intenda esercitare il diritto di prelazione, dovrà farlo con riferimento a tutta la partecipazione offerta mediante dichiarazione di pura e sem-plice accettazione, che dovrà essere trasmessa alla parte cedente entro (…) giorni dall’invio dell’offerta di cui alla precedente lettera; una accettazione parziale o non integrale o modificativa dell’offerta sarà considerata come mancata accettazione,

3.clausole inmateriadipatti parasociali

256

c) in caso di esercizio del diritto di prelazione, la controparte dovrà provvedere al pagamento integrale del prezzo entro (…) giorni dalla data di invio della accetta-zione di cui alla precedente lettera,

d) qualora, invece, la controparte non faccia pervenire la propria accettazione nel ter-mine di cui alla lettera b) ovvero, pur avendo fatto pervenire la propria accettazione, non provveda al pagamento integrale del prezzo entro il termine di cui alla lettera c), la prelazione si considererà a tutti gli effetti non esercitata e la parte cedente sarà libera di cedere la sua partecipazione, ma solo ai terzi indicati nell’offerta, nei termini e ad un prezzo non inferiore a quello dichiarato nella medesima.

Doppia sequelaQuesta clausola, che andrà coordinata con quella relativa al diritto di

prelazione, può avere il seguente contenuto:

qualora Alfa intenda cedere a terzi, in tutto o in parte, la sua partecipazione nel Gruppo Gamma, e Beta non eserciti il diritto di prelazione ad essa spettante ai sensi del pre-cedente articolo, Beta avrà essa stessa diritto di cedere ad Alfa – su semplice richiesta di Beta - l’intera sua partecipazione, negli stessi termini e ad un prezzo proporzionale a quello offerto dal terzo a Alfa.Qualora Alfa intenda cedere a terzi l’intera sua partecipazione nel Gruppo Gamma e Beta non eserciti il diritto di prelazione ad esso spettante ai sensi del precedente articolo, Beta si impegna a cedere a tali terzi - su richiesta di Alfa - l’intera sua parte-cipazione, negli stessi termini e ad un prezzo proporzionale a quello offerto dal terzo ad Alfa, a condizione che il prezzo di vendita di tale partecipazione non sia inferiore all’investimento effettuato a fronte dell’acquisto della stessa. Per investimento deve in-tendersi la somma del prezzo pagato per l’acquisto di tale partecipazione, incrementato dell’importo, tra nominale e sovrapprezzo, degli eventuali aumenti di capitale effettuati, oltre interessi legali, dedotta ogni eventuale distribuzione.Ai fini del presente articolo, la richiesta di Alfa o di Beta, a seconda dei casi, dovrà essere comunicata entro 30 giorni dalla scadenza del termine di cui all’articolo precedente (da coordinare con clausola di prelazione). In ogni caso di esercizio dei diritti previsti nel presente articolo, Beta dovrà formalizzare il trasferimento della partecipazione in favore del terzo o di Alfa contemporaneamente al trasferimento di Alfa al terzo.

Alienazione condizionataIn questo caso la condizione si concreta nel fatto che il terzo cessio-

nario delle partecipazioni sociali accetti preventivamente di aderire al patto di sindacato cui fa parte almeno fino a quando la cessione non è perfezionata anche il cedente.

Si può optare per l’inserimento di una condizione sospensiva o per una condizione risolutiva. La differenza sta nel fatto sostanziale che, mentre nel primo caso il contratto di cessione non produce alcun effetto

3. clausole inmateriadipatti parasociali

257

fino a quando il terzo cessionario non ha dichiarato di voler aderire al patto parasociale, nella seconda ipotesi il contratto di cessione produce i suoi effetti - fin dal momento della sua sottoscrizione, ma detti effetti potrebbero venire meno se, entro una data prestabilita in contratto, il cessionario non dichiari di voler aderire al patto in cui sono sindacate le azioni che ha acquistato.

Il mancato avveramento della condizione nel primo caso (sempre entro un termine stabilito dalle parti) e l’avveramento della condizione nel secondo caso determinano il venir meno del contratto di cessione. Le parti ritorneranno nelle rispettive posizioni originarie, come se non fosse stato stipulato alcun contratto.

Va anche detto che, in pendenza della condizione la parte cessionaria avrà, comunque, diritto a porre in essere tutti gli atti conservativi pre-visti dal nostro ordinamento giuridico (ad esempio, sequestro, azione surrogatoria ecc.). Proponiamo, qui di seguito, una clausola di tal genere e sorta:

Tizio sarà libero di alienare in qualsiasi momento e a qualsiasi titolo la partecipazione sociale conferita nel presente patto parasociale senza alcun obbligo di preavviso nei confronti degli altri soggetti aderenti al patto alla condizione che contemporaneamente alla data di stipulazione del contratto di cessione delle partecipazioni sociali il terzo cessionario accetti espressamente per iscritto di aderire al presente patto.

GradimentoAnche in tal caso si rimanda a quanto detto nel primo capitolo con

riguardo ai sindacati di blocco. Si riporta, qui di seguito, una bozza di una clausola di gradimento:

in caso di trasferimento inter vivos delle partecipazioni sociali possedute da un soggetto aderente al presente patto è richiesto il preventivo consenso del comitato direttivo (o del Presidente o degli altri soggetti aderenti al patto). Pertanto, la parte che intenda alienare le proprie partecipazioni sociali dovrà comunicare mediante lettera raccomandata, anti-cipata via fax, al comitato direttivo la proposta di alienazione, indicando precisamente la persona del cessionario, il prezzo e le altre modalità di trasferimento.Le partecipazioni sociali potranno essere trasferite unicamente a favore di soggetti che:a) siano cittadini italiani,b) non svolgano attività in concorrenza con la società Beta,c) non siano titolari di quote di società di persone. Il comitato direttivo dovrà - senza

indugio - comunicare all’aderente al patto interessato la decisione assunta.

3.clausole inmateriadipatti parasociali

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Anti dilution clauseRientrano in questa categoria tutte quelle clausole che impediscono la

verificazione di una diluizione della partecipazione di uno dei parasoci rispetto agli altri, al fine di far rimanere paritetico il rapporto ed il peso di ciascuna parte nel patto. Tra queste vanno annoverate:

A) Acquisto proporzionale di partecipazioni socialiEcco riportato, qui di seguito, un esempio di clausola:

qualora Alfa S.p.A. intenda acquisire da un terzo - direttamente o indirettamente - una ulteriore partecipazione nel Gruppo Delta, Beta S.r.l. avrà diritto di acquistare da Alfa, per un prezzo proporzionale a quello dell’acquisto diretto o indiretto di Alfa, una quota di tale ulteriore partecipazione pari alla percentuale di capitale sociale da Beta all’epoca detenuta nel Gruppo Delta.Ai fini del precedente comma, Alfa S.p.A. dovrà comunicare a Beta S.r.l. la sua intenzione di acquistare la suddetta ulteriore partecipazione nel Gruppo Delta, specificandone i termini e le condizioni economiche e si applicheranno le disposizioni di cui al prece-dente articolo (si veda quanto proposto nella clausola di prelazione reciproca).

B) Limiti al possesso azionarioL’inserimento di detta clausola nell’economia di un patto parasociale

diviene opportuno allorquando vi siano due o più gruppi di partecipanti al patto e si vuole garantire la stabilita dell’assetto azionario della società mediante la pariteticità della partecipazioni complessiva di ciascun gruppo di aderenti al patto.

Sarà anche necessario precisare, al fine di rafforzare il raggiungimen-to di quell’obiettivo, prevedere che i gruppi si impegnino a mantenere vincolate al patto parasociale la totalità delle loro partecipazioni sociali o, quanto meno quelle conferite nel patto e a non acquistare ulteriori partecipazioni sociali. Avremo in tal caso la seguente clausola:

al fine di assicurare la pariteticità fra il Gruppo A ed il Gruppo B, ciascuno degli stessi si impegna a mantenere vincolate al presente accordo la totalità delle azioni. Ciascun partecipante del Gruppo A non potrà possedere - direttamente o indirettamente - più della percentuale del capitale di Alfa S.p.A. indicata nella colonna 1 dell’allegato 2 al presente accordo. Nessun partecipante al Gruppo B potrà possedere - direttamente o indirettamente - più del 2% del capitale di Alfa S.p.A.

C) Impegno a non acquistare ulteriori partecipazioni socialiLa clausola sarà del seguente tenore e potrà essere rinforzata mediante

la previsione di una penale:

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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le parti si obbligano a non acquistare e a non detenere, né direttamente, né indiret-tamente, né tramite società fiduciarie facenti parte del loro medesimo gruppo, azioni ordinarie di Alfa S.p.A. non sindacate, senza il preventivo benestare del Presidente.In caso di violazione di tale obbligo chi direttamente o indirettamente o mediante il gruppo di cui fa parte ha acquistato di fatto la disponibilità delle azioni non sindacate di Alfa S.p.A. sarà tenuto a corrispondere alle altre parti a titolo di penale un importo pari al 25% del valore delle partecipazioni acquisite.

D) Altre clausole (aumento di capitale sociale)

In caso di operazioni societarie che comportino una diluizione della partecipazione della Banca Delta in Alfa S.p.A. al di sotto del 49%, l’assemblea di Alfa dovrà conte-stualmente deliberare un aumento di capitale al nominale facendo si che Banca Delta possa sottoscriverlo in misura tale da consentire alla Banca medesima di ripristinare la partecipazione ad un livello tale che questa rappresenti il 51% del capitale sociale di Alfa post aumento di capitale.

Esclusione del soggetto aderente al pattoSi riproduce, qui di seguito, il contenuto di una clausola disciplinante

alcune cause di esclusione di un parasocio dal patto parasociale e dalla sua organizzazione:

costituisce causa di esclusione del partecipante al patto, il superamento da parte dello stesso del limite del possesso del capitale di Alfa S.p.A., nonché la violazione degli obblighi di cui all’art. 1 del presente accordo (le previsioni relative alla intrasferibilità delle partecipazioni sociali).Il presidente del comitato direttivo, accertato il fatto, deciderà se richiedere al par-tecipante di cedere l’intera partecipazione vincolata agli altri partecipanti al patto ai quali spetterà - pro quota e con accrescimento - il diritto al rilievo da esercitarsi entro 15 giorni dal ricevimento della comunicazione al prezzo pari alla media dei prezzi di compenso degli ultimi tre mesi da corrispondersi nei 25 giorni successivi contro trasferimento delle azioni.Nel caso di azioni invendute si procederà alla loro vendita a soggetti terzi, procurando in anticipo la adesione degli stessi al presente patto parasociale.

Put and CallRappresenta una tipica clausola accessoria da introdurre qualora la parte

o le parti vogliano riservarsi una via di uscita dal patto parasociale.È possibile prevedere che l’esercizio del diritto di opzione sia subor-

dinato al verificarsi di alcune condizioni (per esempio, l’inadempimento di un dato obbligo - mancata deliberazione di un aumento di capitale

3.clausole inmateriadipatti parasociali

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necessaria per ripristinare il livello del possesso azionario tra le parti aderenti al patto; ancora, riguardo alle regole di corporate governance - mancata designazione dal soggetto a ciò legittimato del presidente del collegio sindacale; o ancora nel deterioramento della situazione patrimo-niale di una data società - questo soprattutto nel caso in cui un istituto di credito, che possiede un certo numero di azioni sindacate, stia sostenendo la società nella fase di risollevamento economico e finanziario).

Detta clausola è strutturata nel modo che segue.

Opzione putBeta avrà il diritto di vendere la sua intera partecipazione nel Gruppo Gamma a Alfa, che da parte sua dovrà acquistarla, qualora, essendo Delta Assicurazioni adempiente al contratto commerciale di cui all’allegato n. 5 al presente patto, si verifichi, per cause diverse dall’adempimento ad obblighi di legge, che l’importo dei premi procurati da Delta Assicurazioni al Gruppo Gamma e/o dalle controllate nel corso dei primi 3 anni di efficacia del predetto contratto commerciale risulti inferire a € 000000000.Tale opzione di vendita dovrà essere esercitata entro 30 giorni dalla scadenza del terzo anno solare di efficacia del contratto commerciale.Il prezzo al quale Beta avrà diritto di vendere la sua partecipazione, in caso di eser-cizio dell’opzione, sarà pari all’investimento effettuato da Beta a fronte dell’acquisto della partecipazione, intendendo per tale la somma del prezzo di tale partecipazione, incrementata dell’importo tra nominale e sovrapprezzo, degli eventuali aumenti di capitale effettuati, maggiorata di interessi computati al tasso del 2% annuo a far tempo da ogni versamento, e dedotta ogni eventuale distribuzione. Il pagamento del prezzo dovrà essere effettuato contestualmente al transfert della partecipazione in conformità con le previsioni di legge applicabili, essendo inteso che tale transfert debba avere luogo entro e non oltre (…) giorni lavorativi successivi al ricevimento da parte di Alfa della comunicazione di esercizio dell’opzione.

Opzione callAlfa avrà diritto di acquistare l’intera partecipazione nel Gruppo Gamma posseduta da Beta, che dovrà venderla, qualora Delta Assicurazioni sia ina-dempiente al contratto commerciale di cui all’allegato n. 5 al presente accordo o, essendo essa inadempiente, siano decorsi almeno 2 anni dalla stipula del contratto commerciale.Tale opzione di acquisto potrà essere esercitata entro 180 giorni dal verificarsi della causa di inadempimento ovvero 180 giorni dal decorso del termine dei 2 anni.Il prezzo al quale Alfa avrà diritto di acquistare tale partecipazione, in caso di esercizio del diritto di opzione, sarà pari al più alto tra la somma del prezzo pagato per l’acquisto di tale partecipazione, incrementato dell’importo, tra nominale e sovrapprezzo, degli eventuali aumenti di capitale effettuati, oltre interessi legali, e dedotta ogni eventuale distribuzione e il valore pro quota

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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del patrimonio netto del Gruppo Gamma quale risultante dall’ultimo bilancio approvato. Detto valore deve essere accertato con riferimento al tempo in cui si è verificato l’evento che ha causato l’esercizio del diritto di opzione ed alla data della comunicazione relativa all’esercizio del diritto di opzione. Il pagamento del prezzo dovrà essere effettuato contestualmente al transfert della partecipazione in conformità con le previsioni di legge applicabili, essendo intenso che tale transfert debba avere luogo entro e non oltre (…) giorni lavorativi successivi al ricevimento da parte di Alfa della comunicazione di esercizio dell’opzione. Nel caso di esercizio di tale opzione da parte di Alfa, il portafoglio costituito dalle polizze procurate a Beta dalla stessa Alfa e/o dalle controllate sarà liberalizzato in favore di Alfa a far tempo dalla data di trasferimento della partecipazione.

La scrivania che ci ospitava era ormai sommersa da appunti. Trenta fogli scritti con appunti più o meno precisi, bozze di clausole, punti esclamativi posti vicino alle tematiche che non avevo ben compreso e quelle che neces-sitavano un ulteriore approfondimento.Fortunatamente avevo numerato le pagine. Non fu molto difficile ordinarle e riporle nella mia borsa. L’incontro era concluso. Era ormai ora di cena. Entrambi avevamo una fame da lupi. Già da un ora il mio stomaco aveva iniziato a lamentarsi; non da meno quello del Professore.Presi le mie cose e mi avviai verso l’uscita della libreria. All’altezza della soglia il Professore mi chiese se avevo voglia di un pizza. Aggiunse anche che ormai era tardi e che sarebbe stata dura tornare a casa e mettersi a preparare qualcosa da mangiare. Il Professore non aveva tutti i torti. A casa avevo ben poco, escluso il necessario per una spaghettata di emergenza. Inoltre, sarebbe stato davvero faticoso, alla fine della giornata, mettersi ai fornelli (per mangiare poi - alla fine dei conti - da solo).Decisi di accettare l’invito. Dietro l’angolo c’era una antica pizzeria napo-letana famosa nella nostra città; di giorno la pizzeria era sempre piena, di sera non arrivava neppure a venti coperti. Ciò era dovuto al fatto che il quartiere, caratterizzato dalla presenza di uffici e sedi di società, di sera si svuotava completamente. Non era, poi così male, dopo una giornata faticosa ed impegnativa, trovare un poco di ristoro in un posto calmo e tranquillo. Avremmo avuto la possibilità di parlare, di conoscerci meglio e magari, se entrambi ne avevamo ancora voglia, di proseguire a discorrere di patti parasociali. Al Professore la voglia sicuramente non mancava. Inoltre, ero contento di questo invito; il Professore teneva alla mia compagnia e prima o poi si sarebbe aperto, spogliandosi di quella scorsa che lo rendeva agli occhi di chi non lo conosceva un tipo chiuso e sulle sue.Una volta sul marciapiede mi disse che avremmo trattato a tavola, magari alla fine della cena, l’ultimo argomento che ci rimaneva da affrontare (quello degli strumenti diretti a garantire l’adempimento di un patto parasociale).

3.clausole inmateriadipatti parasociali

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Entrati nella pizzeria ci sedemmo in un tavolo posto vicino al forno; il calore irraggiato dal forno nell’ormai vuoto locale ci riscaldava. Entrambi eravamo clienti della pizzeria. Sapevamo già cosa scegliere. Ordinammo in un lampo e altrettanto velocemente ci servirono le pizze.Terminata la cena, il Professore estrasse l’altra metà del sigaro che aveva tagliato dalla giacca e portato il sigaro verso il naso ne testò l’odore, la con-sistenza e la fragranza. Dal sigaro proveniva un odore forte, intenso e deciso e la fragranza era ottima. Non restava che accenderlo e iniziarlo a fumare. Dentro di sé il Professore pensava a che peccato non poter fumare il suo sigaro nella pizzeria. Decise, comunque, di non riporlo nella giacca, ma di continuare a tenerlo in bocca, quasi a simulare la ritualità del fumare.La presenza del sigaro per me era sentore, un campanello di allarme del fatto che, di li a poco, avrebbe avuto inizio un discorso giuridico; in altre parole, la prosecuzione delle sue lezioni sui patti parasociali.E, infatti, il Professore esclamò “Bene, abbiamo mangiato e bevuto, ci sia-mo riposati abbastanza. È ora di riprendere con l’esame di quelli che sono i principali mezzi utili e necessari per garantire l’adempimento di un patto parasociale”. Dopo una breve e succinta premessa sulla possibilità che, nono-stante le previsioni contenute in un patto (si pensi ad un sindacato di voto), un aderente alla fine dei conti rimane sempre libero di comportarsi come vuole e crede e, quindi, di dare o meno esecuzione agli impegni assunti con il patto, iniziò il suo discorso, ponendo l’accento sulla funzione che i mezzi di cui avremmo discusso vengono a svolgere nel caso concreto.“Essi sono necessari per garantire l’esecuzione ovvero l’adempimento delle pattuizioni previste in un patto parasociale”, tuonò il Professore. “Posto ciò, procediamo pure”. E diede inizio a quello che sarebbe stato il nostro ultimo argomento.

3.3 I mezzi per garantire l’adempimento dei patti pa-rasociali

Intestazione delle azioni conferite in sindacato ad una società fiduciaria

Il mezzo in commento si concreta nella intestazione delle azioni sin-dacate ad una società fiduciaria, alla quale si conferisce anche il mandato ad esercitare il diritto di voto in assemblea della società secondo quelle che sono le istruzioni fornite dagli organi del sindacato (per esempio, il comitato direttivo) o prestabilite nel patto stesso.

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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Chiara, pertanto, la funzione che viene ad assolvere la predetta previ-sione: il socio aderente al patto viene spogliato della sua partecipazione sociale, la quale è trasferita, unitamente a quella degli altri aderenti al patto alla società fiduciaria, la quale società - al posto degli aderenti al patto - parteciperà alla assemblea dei soci ed eserciterà il diritto di voto, avendo contestualmente ricevuto mandato (solitamente irrevocabile) ad esercitare detto diritto di voto dai soggetti che si sono spogliati delle partecipazioni, nella direzione indicata dall’assemblea dei rappresentati del sindacato o dal comitato direttivo o dal presidente o da altro organo previsto nel patto parasociale (o, più generalmente, la direzione indicata nel patto parasociale).

La clausola che prevede l’intestazione fiduciaria delle partecipazioni ad una società fiduciaria può assolvere a diverse funzioni.

Detta clausola può essere pattuita al fine di risolvere il problema del mancato accordo dei partecipanti al sindacato in merito alle deliberazioni da adottare in sede di assemblea dei soci. Si potrà, al riguardo, prevedere che le decisioni adottate dall’assemblea degli aderenti al sindacato ven-gano attuate da una società fiduciaria alla quale vengono trasferite dai partecipanti al patto le azioni conferite nel patto dagli stessi aderenti.

Ecco riportata, qui di seguito, la struttura della relativa clausola, uni-tamente ad altre varianti:

la fiduciaria Beta:a) dovrà intervenire in assemblea in forza della legittimazione che le compete quale

girataria per procura delle azioni,b) dovrà attenersi a quanto deliberato in sede di assemblea di sindacato nell’esercizio

del diritto di voto in assemblea,c) dovrà deliberare, nell’assemblea della Alfa S.p.A., qualora fosse necessario, l’autoriz-

zazione a svolgere attività in concorrenza con quella della società, dovrà esprimere in assemblea voto contrario alle proposte presentate in assemblea e su cui non sia raggiunto l’accordo in sede di assemblea di sindacato.

La finanziaria Delta voterà secondo le indicazioni congiunte della Famiglia Tuscolana e della Beta S.r.l. ed in difetto si asterrà dal voto.

Ancora, si potrebbe utilizzare l’intestazione fiduciaria quando il patto parasociale preveda esclusivamente un sindacato di blocco, ovverosia l’assunzione di un patto a non trasferire le azioni conferite nel sindacato per un dato periodo di tempo o per tutta la durata del patto.

Per assicurarsi che le parti non alienino le partecipazioni sindacate sarà allora possibile trasferire le stesse ad una società fiduciaria. L’aderente al patto, una volta spogliato delle proprie partecipazioni, difficilmente po-

3.clausole inmateriadipatti parasociali

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trà non adempiere alla clausola di intrasferibilità prevista nel medesimo patto.

Deposito nell’interesse comune presso un terzo o la stessa so-cietà con mandato irrevocabile a disporre delle partecipazioni in conformità al patto parasociale

Sia il presente strumento, sia quello precedentemente presentato pos-sono portare con sé - come abbiamo visto anche nel corso del capitolo secondo - discussioni in ordine alla loro liceità.

Va subito detto che alcuni autori, ma anche e, soprattutto, la giurispru-denza ne ha posto in rilievo un intento quasi fraudolento da rintracciare nella parte in cui, togliendo ai parasoci la disponibilità delle loro azioni, vengono a far si che l’accordo parasociale assuma un’efficacia esterna, an-ziché interna come in realtà deve essere. In altre parole, la loro previsione finirebbe con l’incidere sul piano sociale, impedendo ai soci (aderenti al patto) di autodeterminarsi liberamente in assemblea dei soci o di cedere liberamente le partecipazioni sociali possedute a terzi. Non sarebbe più possibile un inadempimento del sindacato di voto e/o di blocco previsto nel patto parasociale, ciò nell’ottica dell’efficacia esclusivamente obbliga-toria dei patti parasociali.

Sebbene unite nella sorte riguardo a tali effetti, i due strumenti de-vono essere tenuti ben separati e distinti, in quanto nel primo la società fiduciaria acquista (anche se a titolo fiduciario, cioè dovrà ritrasferire alla scadenza del termine previsto le partecipazioni ricevute) la titolarità delle azioni, nel deposito il depositario non viene ad acquistare alcun diritto di proprietà sulle stesse, ma custodisce le stesse nel rispetto degli scopi perseguiti dai parasoci con il patto parasociale.

Vediamo come opera nella pratica detto strumento. Fondamentale in tale clausola l’esatta individuazione del soggetto che fungerà da depositario (questi può essere la società o un terzo), il conferimento di tutti i poteri necessari per porre in essere le funzioni alle quali è stato assegnato dagli aderenti al patto (conferimento del mandato a disporre delle partecipazioni secondo le modalità stabilite nel patto), la previsione di alcune clausole di protezione del depositario (quali il rimborso per le spese effettuate ed il suo compenso, nonché la manleva per il caso di perdita delle azioni conseguenti a dolo o colpa grave dello stesso) e le previsioni riguardo al suo rinnovo e alla circostanza che detto deposito verrà a coprire anche le partecipazioni sociali che perverranno in futuro nella disponibilità degli aderenti al patto a qualsiasi titolo (anche mortis causa).

Si riporta una clausola tratta da un patto parasociale:

3. clausole inmateriadipatti parasociali

265

Le azioni della società, oggetto del sindacato, saranno consegnate da parte dei par-tecipanti al sindacato al sig. Tizio, che agirà in veste di depositario, che le tratterà in deposito fiduciario, inserendole in singoli dossier intestati a ciascun partecipante, in conformità alle condizioni di cui all’atto di deposito fiduciario il cui testo si allega al presente accordo parasociale sub b).Al depositario vengono sin da ora a tutti gli effetti conferiti, anche in qualità di manda-tario, tutti i poteri necessari a disporre delle azioni in conformità al presente accordo parasociale e al deposito fiduciario ed ad esercitare i diritti tutti di cui all’art. 8 del de-posito fiduciario.In tale contesto, al depositario vengono conferiti tutti i poteri necessari al fine di poter espletare i poteri di rappresentanza conferiti ai sensi del presente accordo parasociale, del deposito fiduciario e/o per procura. Il depositario, pertanto, a titolo esemplifica-tivo, potrà richiedere a favore del rappresentante del sindacato le procure per la par-tecipazione alle assemblee dei soci della società, procedere ai necessari depositi delle azioni, trattenere le azioni in proprio possesso per ogni ipotesi di inadempimento dei partecipanti a qualsivoglia obbligo dell’accordo parasociale.Il depositario avrà facoltà di effettuare ogni ragionevole spesa, ivi incluse a titolo esemplificativo, le spese relative al conto deposito titoli, spese di consulenza necessaria alla esecuzione dell’incarico in questa sede conferito.Il depositario verrà remunerato in base a (…).Il deposto avrà durata sino alla scadenza del presente patto parasociale. Il deposito e i poteri di cui al presente accordo parasociale e al deposito fiduciario potranno inten-dersi automaticamente rinnovati nel caso in cui i partecipanti al sindacato decidano all’unanimità di rinnovare o estendere la durata del presente accordo parasociale.I partecipanti si impegnano sin da ora a tenere indenne e a manlevare il depositario da qualsiasi perdita, costo o spesa che possano allo stesso derivare dallo svolgimento dell’incarico di depositario, e a rinunciare a qualsiasi diritto, azione o pretesa - pre-sente o futura - nei suoi confronti o derivante o comunque connesse allo svolgimento dell’incarico di depositario, ivi incluse quelle relative ad eventuali rapine alla banca presso la quale le azioni verranno materialmente custodite.Il deposito fiduciario si estenderà alle azioni che dovessero essere successivamente acquisite da ciascuno dei partecipanti a qualunque titolo e, dunque anche a seguito di acquisizioni in qualsiasi forma a terzi, ivi incluso, a titolo puramente esemplifica-tivo, conferimenti, fusioni, esercizio dei diritti di opzione e prelazione o a seguito di aumento del capitale.

Una volta inserita detta clausola all’interno del patto parasociale sarà necessario prevedere una ulteriore clausola che preveda espressamente l’obbligo dei partecipanti a sottoscrivere il testo del deposito fiduciario allegato al patto parasociale. Deposito fiduciario che dovrà intendersi parte integrante e sostanziale del patto parasociale. Non solo. Dovrà essere prevista una clausola che venga a disciplinare il caso in cui il

3.clausole inmateriadipatti parasociali

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depositario receda dal suo incarico (meglio se accompagnata dall’indi-cazione specifica di un altro depositario che prenda il posto del primo - cd. sostituzione).

Detta clausola eviterà di far perdere tempo prezioso e impedirà una battuta a vuoto del patto stesso e dei risultati che gli aderenti al patto con lo stesso intendono perseguire.

Conferimento delle azioni sindacate in una holdingIn tal caso gli aderenti al patto si impegnano a trasferire le partecipa-

zioni sindacate in una holding, soggetto che può essere di nuova costitu-zione o già esistente. Dovrà essere previsto che gli amministratori della holding possano deliberare sulle istruzioni da impartire al rappresentate della holding stessa, il quale le porrà in essere, votando, nel corso dello svolgimento delle assemblee della società. Anche detto strumento, come quello della intestazione fiduciaria delle partecipazioni societarie, è diretto ad impedire che il singolo aderente al patto esprima in assemblea dei soci un voto difforme da quello concordato in sede di patto parasociale.

Comunione delle azioni sindacateQuanto alla comunione delle azioni sindacate, va detto che codesto

mezzo necessita della volontà degli aderenti al patto di costituire in comproprietà le azioni conferite nel patto parasociale e nella conseguente (necessaria) nomina di un rappresentate comune, il quale dovrà attenersi a quanto stabilito dall’art. 2347 C.C., soprattutto per quanto riguarda il diritto di voto. Detto diritto dovrà essere esercitato dal rappresentate comune secondo quelle che sono le istruzioni fornite dai comproprietari riuniti in assemblea.

Si applicheranno le norme relative alla comunione ordinaria, soprattutto quelle concernenti la formazione della volontà dei comunisti.

Clausola penaleQuanto alla clausola penale non può che rimandarsi a quanto già

ampiamente rilevato in precedenza. In questa sede si tiene a precisare che la clausola penale, la quale opererà nel caso di inadempimento di una obbligazione prevista nel patto parasociale da parte di un parasocio (si pensi alla vendita delle azioni a terzi nonostante la presenza di una clausola di intrasferibilità) o nel ritardo nell’adempimento di una pre-stazione (ove prevista), può consistere nel pagamento di una somma di denaro; oppure nell’obbligo previsto in capo al soggetto inadempiente di vendere la propria partecipazione agli altri contraenti o terzi. Sono stati

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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manifestati dubbi sulla liceità di questa seconda previsione, comportan-do il trasferimento della proprietà delle partecipazioni sociali a seguito dell’inadempimento di un parasocio. Si ritiene, pertanto, sconsigliabile inserirla in un patto paraosciale al fine di evitare inconvenienti legati ad un eventuale pronuncia di nullità del patto parasociale.

Questo, infatti e la clausola in esso contenuta, potrebbero essere rite-nuti privi di quell’interesse meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico previsto dall’art. 1322 C.C.

Si consiglia, poi, al fine di superare problemi di carattere interpretativo della clausola contenente una penale, di specificare, per ogni obbligazione di cui si tiene a rafforzarne l’adempimento, la penale che l’accompagna e non fare mai affidamento su una clausola penale che richiami gene-ricamente qualsiasi inadempimento alle pattuizioni contenute nel patto parasociale.

Ulteriore aspetto da rilevare è che secondo quanto stabilito dalla Suprema corte di cassazione - Sezioni Unite - con una recente sentenza (la n. 18128 del 13 settembre 2005) la clausola penale può essere ridotta d’ufficio dal giudice chiamato a decidere sulla sua eccessività.

Esecuzione del patto parasociale mediante il TrustUn’ultima notazione merita l’istituto del trust. Abbiamo già chiarito

nel capitolo primo, anche se in modo semplice, la struttura di questo istituto.

Qui di seguito, alcune considerazioni su come il trust può essere uti-lizzato dall’autonomia privata per dare concreta attuazione alle previsioni contenute in un patto parasociale e rafforzare in tal modo il vincolo che viene a legare gli aderenti al patto.

Impostiamo un caso pratico. Abbiamo una Società per Azioni che per comodità chiameremo Alfa S.p.A. Questa società ha una compagine sociale caratterizzata dalla presenza di 15 soci. Il capitale sociale è inte-ramente sottoscritto da questi soci. Nel corso della vita di Alfa S.p.A., dieci soci addivengono alla stipula di un patto parasociale, patto che oltre a prevedere un sindacato di blocco, prevede anche un sindacato di voto. I soci aderenti al patto, in altre parole, si impegnano a non alienare - a qualsiasi titolo - le partecipazioni possedute in Alfa S.p.A. e a votare nelle future assemblee dei soci, tanto ordinarie, quanto straordinarie, in modo uniforme, secondo quello che sarebbe stato deciso dall’assemblea dei rappresentati degli aderenti al patto.

Detti soci, preoccupati per il buon esito e la riuscita del patto para-sociale (la preoccupazione risiede proprio nell’efficacia esclusivamente

3.clausole inmateriadipatti parasociali

26�

obbligatoria del patto e delle clausole nello stesso contenute), decidono di rivolgersi ad un consulente per conoscere se è possibile fare uso di qualche strumento giuridico per garantire l’adempimento del patto parasociale e non deprimerne gli effetti cui è diretto a realizzare.

Il consulente propone un ventaglio di ipotesi. Si sarebbe potuto utiliz-zare una o più clausole penali, il trasferimento delle azioni sindacate ad una holding o ancora un deposito presso una persona di fiducia o una intestazione fiduciaria con mandato di votare in assemblea secondo le istruzioni imparite dai partecipanti al patto o dagli organi del sindacato. Tutte ipotesi percorribili in linea di principio. Il consulente, però, non dimenticava di avvertire i suoi clienti dei problemi legati all’utilizzo di alcuni di questi strumenti, problemi che, una volta verificatisi nella realtà pratica, ne sconsigliavano l’utilizzo.

La clausola penale - il più delle volte pattuita con la previsione al suo interno della corresponsione di una somma di denaro assai elevata a carico del parasocio che si rende inadempiente - avrebbe potuto portare con sé dei problemi, soprattutto in sede giudiziale, con riferimento alla sua riducibilità da parte del giudice richiesta dal convenuto; ancora il trasferimento delle azioni sindacate alla holding necessitava - ove non esistente - la costituzione di una società ad hoc con chiare conseguenze in ordine alla moltiplicazione dei costi necessari per la gestione del patto e la costituzione della nuova società (oltre agli organi del patto andava assegnato un corrispettivo anche a favore degli organi di quella società e del loro rappresentate che in concreto avrebbe dovuto manifestare di volta in volta nelle assemblee della società la volontà dei parasoci a questi edotta direttamente dagli amministratori della holding); infine, il deposito fiduciario o l’intestazione fiduciaria. Anche in tal caso le preoccupazioni erano davvero molte. Avrebbero tutti i parasoci trovato un accordo sul-l’accordo di deposito fiduciario da allegare al patto parasociale o sulla persona a cui consegnare i beni o trasferire in proprietà i beni? Tutti questi problemi conducono il consulente a presentare un’ultima proposta: l’applicazione al caso de quo dell’istituto del trust.

Alcuni dei parasoci non avevano mai sentito parlare di questo strumento giuridico di derivazione anglosassone, altri, invece, lo conoscevano.

Un parasocio addirittura ne aveva goduto gli effetti benefici allorquan-do aveva pianificato con detto istituto gli interessi patrimoniali della sua famiglia. Il consulente pensò che fosse necessaria e quanto mai utile una ricognizione di carattere generale sul trust, prima di enunciare in modo analitico i veri passi in cui si sarebbe strutturata l’operazione e attuati gli effetti sperati riguardo all’adempimento del patto parasociale.

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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Il trust ha una struttura trilaterale. Si viene a creare un rapporto di natura fiduciaria in cui un soggetto - detto settlor o disponente - attri-buisce ad un altro soggetto - trustee - la gestione e l’amministrazione di alcuni beni e/o diritti (in altre parole il primo soggetto si spoglia della proprietà di questi beni e/o diritti) nell’interesse di uno o più beneficiari, che possono anche coincidere con il disponente. Uno o più guardiani controllano l’operato del trustee e che questo persegua quelli che sono i scopi del trust stesso.

Requisiti essenziali del trust sono:a) la volontà del disponente di costituire un trust,b) a precisa e dettagliata determinazione dei beni e/o diritti che vengono

conferiti nel trust e dei diritti spettanti ai beneficiari,c) la prefigurazione degli scopi che si perseguono con la costituzione del

trust.Tratto essenziale del trust, che ne giustifica l’utilizzo nella pratica, sta

nella segregazione del patrimonio costituito in trust, ovverosia nel fatto che i creditori personali del trustee non potranno in nessun caso rivalersi sui beni e/o diritti conferiti nel trust, così come i creditori personali del disponente, che (ad eccezione del caso in cui l’istituzione del trust venga posta in essere in un periodo sospetto per distrarre dei beni ai creditori, beni rappresentanti la garanzia patrimoniale su cui il creditore confida. In tal caso saranno applicabili i soliti rimedi previsti nel C.C., tra cui l’actio pauliana di cui all’art. 2901 e ss. C.C.) non potranno vantare alcun diritto su quei beni. Il trust con il suo patrimonio verrà a garantire solo ed esclusivamente i creditori particolari che sono entrati in contatto o messi in relazione con il trust stesso. Va detto, infine, che il trust, pur dando origine alla costituzione di un patrimonio separato, non può es-sere qualificato né come un soggetto dotato di personalità giuridica, né come una comunione.

Fatte queste brevi premesse, il consulente procedeva ad enucleare i momenti salienti dell’operazione e a specificare come detto trust venga ad incidere in modo positivo sul piano della realizzazione concreta di quanto pattuito dai parasoci nell’accordo parasociale.

L’operazione sarà caratterizzata dai seguenti steps:a) controllo preliminare se nello statuto o nell’atto costitutivo della so-

cietà Alfa vi siano eventuali clausole di prelazione o di gradimento o ancora clausole di intrasferibilità assoluta delle partecipazioni sociali a terzi che impediscono il trasferimento delle partecipazioni sociali se prima non si è attuato il procedimento - ad esempio - previsto in caso di patto prelazione necessario al fine di porre il soggetto preferito

3.clausole inmateriadipatti parasociali

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nella posizione di esercitare la prelazione stessa. Detto controllo è rile-vante in un ottica pratica, soprattutto per evitare che la società Alfa, stante l’efficacia erga omnes di cui godono le pattuizioni previste nel contratto di società e nello statuto, non iscriva nel libro soci il nuovo proprietario, con conseguente perdita di tempo e spreco del denaro utile per la istituzione del trust ed il suo funzionamento; in caso di accertamento negativo,

b) predisposizione da parte dei parasoci di una letter of wishes dalla quale risultino i desideri che gli aderenti al patto intendono perseguire con la istituzione del trust (il protector nominato dovrà vigilare sulla compatibilità tra l’operato del trustee e questi desideri),

c) istituzione del trust da parte dei disponenti,d) conseguente trasferimento della titolarità delle azioni conferite nel sin-

dacato di voto al trustee (detto step può, comunque, essere ricompresso nel primo punto al fine di evitare ulteriori spese; avremo, infatti, una istituzione del trust e nella stessa sede il contestuale trasferimento delle azioni dai disponenti del trust allo stesso trustee. Le parti dovranno stabilire se il trasferimento deve avvenire a titolo oneroso o gratuito. Per evitare una inutile circolazione di denaro è preferibile propendere per la soluzione della gratuità. Necessario, poi pattuire il ritrasferimento delle partecipazioni agli originari titolari alla scadenza del trust),

e) iscrizione nel registro delle imprese del luogo ove ha sede il trust della istituzione del trust medesimo e della iscrizione della qualifica di trustee (ciò al fine di ottenere quello che come abbiamo visto è l’effetto utile del trust, ovverosia la segregazione del patrimonio conferito e la sua separazione dal patrimonio personale del trustee),

f) i relativi aggiornamenti sul libro soci della società Alfa S.p.A. e l’adempimento delle prescrizioni di cui all’art. 2355 C.C. relativo alla circolazione delle azioni.Rilevati i singoli passaggi dell’operazione, analizziamo il contenuto

che l’atto istitutivo di trust deve possedere per permettere l’attuazione del patto parasociale. Prima ancora, però, occorre spendere alcune con-siderazioni sulla importanza di un controllo preliminare dell’esistenza in statuto della società Alfa di clausole di prelazione, gradimento e, più in generale, di limitazione alla circolazione delle azioni.

Supponiamo che lo statuto preveda la seguente clausola:

il trasferimento delle azioni a terzi è sottoposto alle seguenti condizioni.Il termine “trasferimento” è da intendersi comprensivo di qualsiasi forma di vendita (anche se in blocco con altri beni) e di qualsiasi altro negozio, a titolo oneroso o a

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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titolo gratuito (inclusi in via non limitativa, permuta, riporto, conferimento in società, fusione o liquidazione, donazione, trasferimento fiduciario e modifica della titolarità del rapporto sottostante a eventuale mandato fiduciario), in forza del quale si conse-gua in via diretta o indiretta il risultato del trasferimento ad altri soci o a terzi anche parzialmente della proprietà o di altri diritti sulle azioni.Il socio o i soci che intendono alienare a terzi le proprie azioni dovranno comunicare la propria offerta agli altri soci… (previsione di un diritto di prelazione- si rimanda al paragrafo precedente per la struttura della clausola).

Cosa accadrà in tal caso? L’istituzione del trust con al suo interno il trasferimento a titolo gratuito della partecipazione sociale rientrerà nei confini definiti dalla predetta clausola? La risposta non può che essere positiva. Dalla strutturazione della clausola si comprende - soprattutto analizzando la parte relativa alla definizione di cosa deve intendersi per “trasferimento” - che la prelazione prevista a favore degli altri soci opera nel caso di “qualsiasi altro negozio, a titolo oneroso o a titolo gratuito (…) in forza del quale si consegua in via diretta o indiretta il risultato del trasferimento ad altri soci o a terzi anche parzialmente della proprietà o di altri diritti sulle azioni”.

Viene, quindi, ad essere ricompresso al suo interno anche l’atto isti-tutivo di trust comprensivo del trasferimento a titolo gratuito delle par-tecipazioni sociali possedute dagli aderenti al patto parasociale. Essendo prevista detta clausola, i parasoci disponenti dovranno prima di tutto offrire in prelazione le proprie partecipazioni agli altri soci e, poi, in caso di mancato esercizio della prelazione, addivenire alla istituzione di trust con contestuale trasferimento delle azioni.

Pertanto, al fine di evitare una impasse di tal genere e sorta, prima di dar corso all’operazione è quanto mai opportuno, come detto, procedere ad un ceck preliminare tra la compatibilità della stessa operazione e le previsioni contenute nell’atto costitutivo e statuto della società. Si consiglia, soprattutto, in sede di redazione dello statuto societario di modulare la clausola relativa ai limiti alla circolazione delle azioni ove si intenda in futuro prossimo fare uso dello strumento del trust per realizzare l’adem-pimento del patto parasociale.

Va subito detto che per evitare una situazione paradossale di ina-dempimento reciproco (il patto parasociale, infatti, prevede un sindacato di blocco), sarà necessario prevedere che l’intrasferibilità non concerne anche il trasferimento delle azioni al trustee, in quanto questa è funzio-nale alla realizzazione degli interessi sottesi al patto parasociale ovvero una reciproca rinuncia a diritti o azioni derivanti dal patto nel caso di conferimento in trust delle partecipazioni sindacate.

3.clausole inmateriadipatti parasociali

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E giungiamo al contenuto dell’atto istitutivo di trust, ovverosia alla parte delle previsioni che permetteranno di dare compimento ai due sindacati, di voto e di blocco, contenuti nel patto parasociale.

Si riportano, qui di seguito, le clausole più rilevanti del nostro trust:

Scopo del trust e divietiIl trust viene costituito con lo scopo specifico di:a) esercitare, secondo le istruzioni impartite di volta in volta dalla assemblea del

sindacato azionario, il diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie di Alfa S.p.A.,

b) impedire - mediante il trasferimento a titolo gratuito delle partecipazioni sindacate al trustee - la violazione da parte dei disponenti dell’espresso sindacato di blocco previsto nel patto parasociale che si allega al presente atto.

Il raggiungimento dei predetti scopi è realizzato alla luce di quanto risultante dalla letter of wishes predisposta dai parasoci in data xxx che si allega al presente atto, la quale dovrà animare qualsiasi attività che venga posta in essere dal trustee.

Oggetto del trustPossono essere vincolati in trust nel corso del suo svolgimento, oltre

ai beni mobili ed immobili, diritti reali ed obbligatori, titoli di credito, titoli azionari od obbligazionari, partecipazioni in società, in Italia ed all’estero, che i fiducianti vogliano trasferire al fiduciario e destinare al perseguimento dello scopo di cui innanzi. I disponesti dispongono che i futuri trasferimenti avvengano sempre in forma scritta, da comunicarsi al protector.

Sono, comunque, sottoposti al vincolo fiduciario i frutti dei beni co-stituiti in trust ed ogni altro bene o diritto acquistato con il prezzo del trasferimento degli stessi o con il loro scambio. Detto vincolo fino alla data di scadenza del trust o del suo scioglimento anticipato per una delle cause previste dagli articoli seguenti.

Trasferimento titolarità partecipazioni socialiI disponenti trasferiscono a titolo gratuito la proprietà delle partecipa-

zioni sociali possedute sindacate nel patto parasociale allegato al trustee, il quale accetta e si impegna a gestire e ad amministrare dette partecipazioni nel rispetto delle previsioni che seguono e nell’ottica della realizzazione delle finalità e scopi di cui sopra e della letter of wishes. (Inserire una descrizione dettagliata di queste azioni, il loro numero, la percentuale di capitale che rappresentano ed il titolare che ne ha disposto ecc.).

Il trustee procederà a richiedere l’iscrizione nel libro soci di Alfa S.p.A. ed a esercitare i diritti di voto nascenti dalle partecipazioni trasferite

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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secondo le istruzioni che perverranno di volta in volta, necessariamente prima dell’assemblea ordinaria e straordinaria della società, dalla assem-blea del sindacato azionario.

Disposizioni relative al trusteeLa proprietà e l’amministrazione - ordinaria e straordinaria - del

patrimonio vincolato in trust spettano al fiduciario, che può essere una persona fisica o giuridica, al quale compete ogni potere e facoltà di go-dimento e disposizione dei singoli beni, pur con i vincoli e le limitazioni derivanti dal rispetto dello scopo per il quale il trust è costituito e dalle letter of wishes.

In particolare il trustee:a) è titolare della piena proprietà dei beni costituiti in “trust”, dei loro

frutti e rendite,b) nell’esercizio della propria attività è tenuto a seguire pedissequamente

le istruzioni di voto impartite di volta in volta dalla assemblea dei soci sindacati e a votare nell’assemblea dei soci, tanto ordinaria, quanto straordinaria, secondo quelle particolari istruzioni ricevute, istruzioni che dovranno pervenire in tempo utile almeno due giorni prima della assemblea cui si riferiscono. Inoltre, il trustee si impegna espressamente a ritrasferire la titolarità delle predette partecipazioni sociali, compresi i frutti e le rendite, ai soggetti disponenti alla cessazione del trust o ai suoi eredi (da individuare - ad esempio, il coniuge non separato e i figli) nel caso in cui, limitatamente al determinato disponente, si verifichi la morte o una situazione di inacacità di uno dei disponenti. È inibito al trustee di porre in essere investimenti o atti di disposizione aventi ad oggetto i beni oggetto del trustee,

c) ha capacità processuale attiva e passiva in relazione ai beni del trust ed alle loro vicende. In tal caso dovrà impostare la sua condotta processuale secondo quello che verrà indicato dalla assemblea del sindacato,

d) compare nella sua qualità dinanzi a notai ed a qualunque Pubblica Autorità, senza che gli si possa eccepire mancanza, insufficienza o indeterminatezza di poteri,

e) non può delegare a terzi l’esecuzione dei suoi obblighi o sostituire altri a sé nell’esercizio dei poteri; in particolare, non può delegare l’ammini-strazione dei beni in trust, salvo il compimento di singole e determinate attività, materiali o negoziali, per un tempo determinato,

f) assolve qualunque imposta a carico dei beni vincolati applicata da qualsiasi Stato in relazione alla esistenza ed agli effetti del trust, al

3.clausole inmateriadipatti parasociali

274

reddito ed ai frutti prodotti dai beni stessi, pur non essendo soggetto passivo d’imposta,

g) è responsabile per i propri atti ed omissioni esclusivamente nel caso in cui violi le istruzioni impartite dalla assemblea del sindacato e le disposizioni normative vigenti in materia, gli obblighi nascenti dal presente contratto ovvero quando abbia agito in conflitto di interessi, anche potenziale. Al trustee è, in particolare, fatto espresso divieto di contrattazione con parenti ed affini in linea retta o collaterale entro il secondo grado nel caso sia persona fisica e nel caso sia persona giuri-dica con società controllate e collegate, con eventuali altri settlors di cui egli sia fiduciario e con il protector in carica, nonché di rendersi acquirente, per interposta persona, di diritti di qualsiasi natura sui beni in trust,

h) in caso di violazione di tale divieto, oltre al risarcimento dei danni da accertarsi in sede giudiziaria, i disponenti o il protector potranno avviare la procedura per la estinzione del trust, con le conseguenze di cui al successivo art. (…),

i) tiene una chiara e trasparente contabilità; rende il conto della gestione predisponendo, alla fine di ogni anno solare, l’inventario dei beni in trust ed una sintetica relazione sull’amministrazione da sottoporre al protector. È, altresì, obbligato a subire eventuali verifiche contabili ed amministrative ad opera di un professionista qualificato nominato dallo stesso.

SpeseLe spese e gli oneri relativi all’amministrazione dei beni in trust sono

a carico del patrimonio gestito o, in caso di insufficienza, a carico dei disponenti.

Segregazione patrimoniale dei beni oggetto del trustSalvi i limiti delle norme imperative e dei principi inderogabili di

ordine pubblico dell’ordinamento giuridico italiano, i beni trasferiti in trust, pur facendone parte, restano separati dal patrimonio personale del trustee, non rientrano nella di lui successione ereditaria, non sono sotto-posti al suo regime patrimoniale familiare, né possono formare oggetto di convenzioni matrimoniali, non sono sequestrabili ed assoggettabili ad esecuzione forzata da parte dei suoi creditori personali, in sede di procedura individuale o concorsuale.

All’uopo, allo scopo di palesare ai terzi il carattere della separatezza dei beni personali da quelli costituiti in trust, il trustee è tenuto a richiederne l’iscrizione, la trascrizione o l’annotamento nella sua qualità o in altro

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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modo del presente atto (nel Registro delle imprese) che riveli l’esistenza del vincolo del “trust”, con dispensa dei soggetti responsabili della tenuta dei detti registri da ogni responsabilità al riguardo.

Durata del trust e estinzione del trustIl trust avrà una durata di 5 anni, fermo restando il diritto dei di-

sponenti di prorogarne la sua durata mediante comunicazione scritta da inviarsi al trustee.

Oltre al decorso del predetto termine, il trust si estingue con la morte o con la sopravvenuta incapacità legale o naturale - non occasionale - del trustee, nel caso di scioglimento o mancata proroga del patto parasociale allegato al presente atto, ancora in caso di gravi abusi o cattiva ammi-nistrazione da parte dello stesso, ovvero di confusione dei beni in trust con quelli personali, da accertarsi ad opera del protector.

Rinuncia da parte del trusteeIl trustee può rinunciare all’incarico fiduciario con dichiarazione uni-

laterale di volontà da effettuarsi con lettera raccomandata A.R. indirizzata ai fiducianti ed al protector, la quale avrà l’effetto di estinguere il trust decorsi trenta giorni dal ricevimento dell’ultima delle comunicazioni.

I disponenti si riservano la facoltà di nominare, entro quindici giorni dalla conoscenza del verificarsi di una delle cause estintive, un altro trustee, persona fisica o giuridica, che succeda al precedente secondo le norme previste dalla legge regolatrice, al quale dovrà essere trasferita la proprietà dei beni costituenti il patrimonio in trust.

Disposizioni relative al ProtectorIl protector, nominato dall’assemblea del sindacato, ha il compito di:

1) esercitare il controllo sulla attività del trustee al fine di garantire il perseguimento dello scopo di cui sopra e la realizzazione della letter of wishes allegata al presente patto,

2) tutelare, in via giudiziale e stragiudiziale, gli interessi dei beneficiari finali dei beni in trust,

3) gestire temporaneamente il patrimonio in tutti i casi di estinzione del trust, in attesa della nomina di un nuovo trustee.Il protector presta la sua opera a titolo oneroso e verrà ricompensato

secondo (inserire i parametri indicati dai costituenti).

Legge applicabileAl presente trust si applicano le disposizioni della Convenzione Inter-

nazionale dell’Aja del 1° luglio 1985, ratificata dalla Repubblica Italiana

3.clausole inmateriadipatti parasociali

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Legge n. 364, 16 ottobre 1989, salvo successive disposizioni di legge di maggior favore. Ai sensi degli artt. 6 e 8 della detta Convenzione, i disponenti dispongono che il trust sia disciplinato dalla legge inglese e dal diritto non scritto applicato dai giudici inglesi per quanto concerne la validità, gli effetti, l’interpretazione e l’amministrazione dei beni, con il limite del rispetto delle norme imperative e dei principi generali e di ordine pubblico dell’ordinamento giuridico italiano.

ControversieIn caso di insorgenza di qualsiasi controversia circa la validità, gli

effetti, l’interpretazione e la esecuzione del presente atto sarà competente per la loro soluzione esclusivamente il Foro di Roma; mentre per i pro-blemi conseguenti alla interpretazione della legge inglese si stabilisce, sin da ora, che la soluzione della controversia sarà rimessa ad un collegio arbitrale secondo le regole e procedure stabilite dalla Camera Arbitrale di Roma.

Con questa interessante disamina dell’istituto del trust quale mezzo per giungere all’adempimento di un patto parasociale il nostro ciclo di incontri si chiudeva. Il Professore mi invitò a provare a “buttare giù” qualche clausola di patto parasociale, così, tanto per esercitarmi. Il risultato non fu poi tanto male. Mi disse che solo la pratica e l’esercitazione continua, unita allo studio della dottrina e giurisprudenza, mi avrebbe reso perfetto.Mi riproposi di esercitarmi a casa, ogni tanto, per non perdere l’allena-mento.In queste ultime settimane il Professore ed io avevamo trascorso molto tempo insieme. Sarebbe stato veramente difficile tornare alle abitudini quotidiane. Da parte sua il Professore mi disse di “non sparire”, di venirlo a trovare, comunque, nella libreria, soprattutto ora che le lezioni erano finite e anche se non avevo intenzione di comprare alcun libro, così per un semplice saluto o per fare una chiacchiera. Promisi solennemente di tornare a trovarlo. Ci salutammo, entrambi visibilmente commossi e provati da quello che sembrava sicuramente un arrivederci più che un addio.Nel mentre che uscivamo dalla pizzeria ed io mi incamminai verso la mia autovettura, il Professore mi chiamò e disse “Hai dimenticato qualcosa!”. Risposi di no. Comprendendo che non avevo capito a cosa facesse riferimento, si diresse verso di me con le mani dietro la schiena, come se nascondesse qualcosa. Una volta uno di fronte all’altro, il Professore estrasse da dietro la schiena il manoscritto sui patti parasociali e riponendolo con cura nelle mie mani disse “Hai dimenticato il tuo libro sui patti parasociali”.

3. clausole inmateriadipatti parasociali

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Era il manoscritto, proprio quel manoscritto che tanto mi aveva colpito il giorno della mia prima visita nell’antica libreria e che era stato la causa di tutto questo, il punto di partenza di un viaggio sui patti parasociali che si stava ormai concludendo. Ci fissammo negli occhi, nessuno dei due disto-glieva lo sguardo dall’altro. Ognuno tirava le somme di questo incontro: positivo, negativo chissà.Quello che importava era che da parte mia, oltre ad aver accresciuto il mio bagaglio di conoscenze giuridiche, avevo vinto una paura (ero, infatti, entrato nell’antica libreria) ed il Professore aveva trovato un amico, una persona che dopo più di venti anni di completo isolamento aveva permesso a questi di vivere di nuovo quella magia che aveva provato l’ultima volta al tempo dei suoi insegnamenti universitari.

Il sogno

Ad un tratto suonò la sveglia. Erano le otto di mattina. Era ora di alzarsi. Quella avanti a me sarebbe stata una giornata particolare: avevo fissata per mezzogiorno un’udienza davvero importante…

3.clausole inmateriadipatti parasociali

APPendIce

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1. codice civile

R.D. 16 marzo 1942, n. 262“Approvazione del testo del Codice Civile”

(pubblicato in G.U. 4 aprile 1942, n. 79)

(Omissis)

Art. 2341-bisPatti parasociali

1. I patti, in qualunque forma stipulati, che al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società:a) hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano;b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano;c) hanno per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali società, non possono avere durata superiore a cinque anni e si intendono stipulati per questa durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore; i patti sono rin-novabili alla scadenza.2. Qualora il patto non preveda un termine di durata, ciascun contraente ha diritto di recedere con un preavviso di centottanta giorni.3. Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai patti strumentali ad accordi di collaborazione nella produzione o nello scambio di beni o servizi e relativi a società inte-ramente possedute dai partecipanti all’accordo.

Art. 2341-terPubblicità dei patti parasociali

1. Nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio i patti parasociali devo-no essere comunicati alla società e dichiarati in apertura di ogni assemblea. La dichiara-zione deve essere trascritta nel verbale e questo deve essere depositato presso l’ufficio del registro delle imprese.2. In caso di mancanza della dichiarazione prevista dal comma precedente i possessori delle azioni cui si riferisce il patto parasociale non possono esercitare il diritto di voto e le deliberazioni assembleari adottate con il loro voto determinante sono impugnabili a norma dell’art. 2377.

(Omissis)

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Art. 223-vicies semeldisp. att.

Il limite di cinque anni previsto dall’art. 2341-bis si applica ai patti parasociali stipulati prima del 1º gennaio 2004 e decorre dalla medesima data.

(Omissis)

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2. TUIF

Decreto legislativo 24 febbraio 1998 n. 58“Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi

degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52”(pubblicato in G.U. 26 marzo 1998, n. 71)

(Omissis)

Art. 122 TUIFPatti parasociali

1. I patti, in qualunque forma stipulati, aventi per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che le controllano sono:a) comunicati alla CONSOB entro cinque giorni dalla stipulazione;b) pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana entro dieci giorni dalla stipulazione;c) depositati presso il registro delle imprese del luogo ove la società ha la sede legale entro quindici giorni dalla stipulazione.2. La CONSOB stabilisce con regolamento le modalità e i contenuti della comunicazione, dell’estratto e della pubblicazione.3. In caso di inosservanza degli obblighi previsti dal comma 1 i patti sono nulli.4. Il diritto di voto inerente alle azioni quotate per le quali non sono stati adempiuti gli obblighi previsti dal comma 1 non può essere esercitato. In caso di inosservanza, si ap-plica l’art. 14, comma 5. L’impugnazione può essere proposta anche dalla CONSOB entro il termine indicato nell’art. 14, comma 6.5. Il presente articolo si applica anche ai patti, in qualunque forma stipulati:a) che istituiscono obblighi di preventiva consultazione per l’esercizio del diritto di voto nelle società con azioni quotate e nelle società che le controllano;b) che pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o di strumenti finanziari che attribuiscono diritti di acquisto o di sottoscrizione delle stesse;c) che prevedono l’acquisto delle azioni o degli strumenti finanziari previsti dalla lett. b);d) aventi per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza dominante su tali società.5-bis . Ai patti di cui al presente articolo non si applicano gli artt. 2341-bis e 2341-ter del codice civile.

Art. 123 TUIFDurata dei patti e diritto di recesso

1. I patti indicati nell’art. 122, se a tempo determinato, non possono avere durata supe-riore a tre anni e si intendono stipulati per tale durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore; i patti sono rinnovabili alla scadenza.

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2. I patti possono essere stipulati anche a tempo indeterminato; in tal caso ciascun con-traente ha diritto di recedere con un preavviso di sei mesi. Al recesso si applica l’art. 122, commi 1 e 2.3. Gli azionisti che intendano aderire a un’offerta pubblica di acquisto o di scambio pro-mossa ai sensi degli artt. 106 o 107 possono recedere senza preavviso dai patti indicati nell’art. 122. La dichiarazione di recesso non produce effetto se non si è perfezionato il trasferimento delle azioni.

(Omissis)

Art. 193 TUIFInformazione societaria e doveri dei sindaci e delle società di revisione

1. Nei confronti di società, enti o associazioni tenuti a effettuare le comunicazioni pre-viste dagli articoli 113, 114 e 115 è applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria da cinquemila a cinquecentomila euro per l’inosservanza delle disposizioni degli articoli medesimi o delle relative disposizioni applicative. Si applica il disposto dell’articolo 190, comma 3. Se le comunicazioni sono dovute da una persona fisica, in caso di violazione la sanzione si applica nei confronti di quest’ultima.1-bis. Alla stessa sanzione di cui al comma 1 soggiacciono coloro i quali esercitano fun-zioni di amministrazione, di direzione e di controllo presso le società e gli enti che svol-gono le attività indicate all’art. 114, commi 8 e 11, nonché i loro dipendenti, e i soggetti indicati nell’art. 114, comma 7, in caso di inosservanza delle disposizioni ivi previste nonché di quelle di attuazione emanate dalla CONSOB.1-ter. La stessa sanzione di cui al comma 1 è applicabile in caso di inosservanza delle disposizioni previste dall’art. 114, commi 8 e 11, nonché di quelle di attuazione emanate dalla CONSOB, nei confronti della persona fisica che svolge le attività indicate nel com-ma 1-bis e, quando non ricorra la causa di esenzione prevista dall’art. 114, comma 10, nei confronti della persona fisica che svolge l’attività di giornalista.2. L’omissione delle comunicazioni delle partecipazioni rilevanti e dei patti parasociali previste rispettivamente dagli artt. 120, commi 2, 3 e 4, e 122, commi 1 e 2 e 5, nonché la violazione dei divieti previsti dagli artt. 120, comma 5, 121, commi 1 e 3, e 122, comma 4, sono punite con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquemila ad euro cinquecentomila (1).3. La sanzione indicata nel comma 2 si applica:a) ai componenti del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza e del comitato per il controllo sulla gestione che commettono irregolarità nell’adempimento dei doveri pre-visti dall’articolo 149, commi 1, 4-bis, primo periodo, e 4-ter, ovvero omettono le comu-nicazioni previste dall’articolo 149, comma 3;b) agli amministratori delle società di revisione che violano le disposizioni contenute nell’art. 162, comma 3.3-bis. Salvo che il fatto costituisca reato, i componenti degli organi di controllo, i qua-li omettano di eseguire nei termini prescritti le comunicazioni di cui all’art. 148- bis, comma 2, sono puniti con la sanzione amministrativa in misura pari al doppio del-la retribuzione annuale prevista per l’incarico, relativamente al quale è stata omessa la

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comunicazione. Con il provvedimento sanzionatorio è dichiarata altresì la decadenza dall’incarico.----------(1) A seguito della introduzione della Legge sulla tutela del risparmio n. 262/2005 è stato previsto che, dal-l’art. 36, comma 3, che le sanzioni amministrative pecuniarie previste dal testo unico di cui al decreto le-gislativo 1° settembre 1993, n. 385, dal testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, dalla legge 12 agosto 1982, n. 576, e dal decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, che non sono state modificate dalla presente legge, sono quintuplicate. Per effetto di tale ultima disposizione gli importi devono intender-si, rispettivamente così modificati: euro cinquemila in euro venticinquemila; euro cinquecentomila in euro duemilionicinquecentomila.

(Omissis)

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3. Regolamento emittenti n. 11971/1999

Regolamento Emittenti n. 11971/1999“Regolamento Consob n. 11971 di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio

1998, n. 58 concernente la disciplina degli emittenti”

(Omissis)

Capo IIPatti parasociali

Sezione IComunicazione del patto

Art. 127Soggetti obbligati e contenuto della comunicazione

1. Gli aderenti a un patto parasociale previsto dall’articolo 122 del Testo Unico sono soli-dalmente obbligati a darne comunicazione alla Consob.2. La comunicazione è effettuata mediante trasmissione di:a) copia integrale del patto dichiarata conforme all’originale;b) copia dell’estratto pubblicato ai sensi della Sezione II del presente Capo; ove non ancora pubblicato l’estratto è trasmesso alla Consob entro il giorno di pubblicazione;c) informazioni concernenti:- gli elementi di identificazione, compreso il codice fiscale, degli aderenti al patto e dei soggetti ai quali fa capo il controllo degli stessi;- la data di deposito presso il registro delle imprese; se il deposito non è stato ancora effet-tuato, la data è comunicata entro due giorni dal deposito stesso;- il quotidiano nel quale l’estratto previsto dalla Sezione II del presente Capo è pubblicato e la data di pubblicazione; ove tali dati non siano disponibili, gli stessi sono comunicati entro il giorno della pubblicazione.3. Fermo il disposto del comma 2, i documenti indicati nelle lettere a) e b) dello stesso comma sono trasmessi anche mediante riproduzione su strumenti informatici, unitamen-te al modello previsto dall’Allegato 4C, redatto secondo le istruzioni contenute nell’Alle-gato 4D.

Art. 128Altre comunicazioni

1. Entro cinque giorni dal loro perfezionamento sono comunicate alla Consob:a) le modifiche del patto, mediante trasmissione di copia integrale del patto modificato con evidenza delle variazioni intervenute ovvero di copia del separato accordo che ha mo-

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dificato il patto originario; il patto modificato o l’accordo modificativo è altresì trasmesso mediante riproduzione su strumenti informatici;b) le variazioni delle azioni e degli strumenti finanziari che attribuiscono diritti di acquisto o di sottoscrizione di azioni complessivamente o singolarmente apportati al patto e delle altre informazioni previste dall’articolo 130, comma 1, lettera b) e c) qualora dette varia-zioni non debbano essere comunicate ai sensi della precedente lettera a);c) la notizia del rinnovo, anche tacito, e dello scioglimento del patto;d) la data di deposito presso il registro delle imprese dell’accordo modificato; se il deposito non è stato ancora effettuato, la data è comunicata entro due giorni dal deposito stesso.2. Copia dell’estratto e di quanto pubblicato ai sensi dell’articolo 131 è trasmesso alla Con-sob, anche mediante riproduzione su supporto informatico, entro il giorno di pubblica-zione, con indicazione del quotidiano e della data di pubblicazione. Nelle ipotesi previste dall’articolo 131, comma 2, il supporto contiene l’ultimo estratto del patto pubblicato ai sensi dell’articolo 130, ovvero dell’articolo 131, comma 1, aggiornato con le modifiche intervenute. Ove necessario, il supporto è integrato con il modello previsto dalla Allegato 4C contenente l’indicazione dei dati aggiornati e redatto secondo le istruzioni contenute nell’Allegato 4D.3. Nell’ipotesi di recesso prevista dall’articolo 123, comma 2 del Testo Unico la notizia del preavviso è trasmessa alla Consob, a cura del recedente, entro cinque giorni dal suo inoltro.

Sezione IIEstratto del patto

Art. 129Modalità di pubblicazione dell’estratto

1. L’estratto è pubblicato su un quotidiano a diffusione nazionale, con veste tipografica idonea a consentirne un’agevole lettura. 2. Contestualmente alla pubblicazione, l’estratto è inviato alla società i cui strumenti fi-nanziari sono oggetto del patto e, per la diffusione dello stesso, alla società di gestione del mercato.

Art. 130Contenuto dell’estratto

1. L’estratto contiene le informazioni necessarie per una compiuta valutazione del patto e almeno le seguenti indicazioni:a) la società i cui strumenti finanziari sono oggetto del patto;b) il numero delle azioni e degli strumenti finanziari che attribuiscono diritti di acquisto o di sottoscrizione di azioni o diritti di voto ai sensi dell’articolo 2351, ultimo comma, del codice civile, complessivamente conferiti, la loro percentuale rispetto al numero totale delle azioni rappresentative del capitale sociale e degli strumenti finanziari emessi della medesima categoria e, nel caso di strumenti finanziari che attribuiscono diritti di acqui-

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sto o sottoscrizione, il numero complessivo delle azioni che possono essere acquistate o sottoscritte;c) i soggetti aderenti al patto, esplicitando:- il numero delle azioni o degli strumenti finanziari che attribuiscono diritti di acquisto o di sottoscrizione di azioni o diritti di voto ai sensi dell’articolo 2351, ultimo comma, del codice civile, da ciascuno conferiti;- le percentuali delle azioni da ciascuno conferite rispetto al numero totale delle azioni conferite e al numero totale delle azioni della medesima categoria rappresentative del ca-pitale sociale; se il patto ha ad oggetto strumenti finanziari che attribuiscono diritti di ac-quisto o di sottoscrizione di azioni o diritti di voto ai sensi dell’articolo 2351, ultimo com-ma, del codice civile, le percentuali di strumenti da ciascuno conferiti rispetto al numero totale degli strumenti conferiti e al numero totale degli strumenti emessi della medesima categoria nonché il numero delle azioni che possono essere acquistate o sottoscritte;- il soggetto che in virtù del patto esercita il controllo della società o che è in grado di determinare la nomina di un componente dell’organo di amministrazione o controllo ri-servata a strumenti finanziari.Nei patti conclusi in forma associativa e in quelli conclusi fra più di cinquanta sogget-ti, le informazioni relative agli aderenti aventi una partecipazione non superiore allo 0,1 per cento possono essere sostituite dall’indicazione del numero complessivo di tali sog-getti, del numero delle azioni complessivamente conferite e delle percentuali da queste rappresentate rispetto ai parametri sopra indicati. Entro sette giorni dalla pubblicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea di bilancio della società, ovvero dell’assemblea convocata ai sensi dell’articolo 2364-bis del codice civile, è trasmesso alla società stessa un elenco contenente l’indicazione aggiornata delle generalità di tutti gli aderenti e del numero delle azioni da ciascuno conferite. L’elenco è reso disponibile dalla società per la consultazione da parte del pubblico;d) il contenuto e la durata del patto;e) l’ufficio del registro delle imprese presso cui il patto è depositato e, se già noti, la data e gli estremi del deposito;2. Le informazioni previste dal comma 1, lettera c) sono integrate, se oggetto di previsione nell’accordo, dall’indicazione di:a) tipo di patto tra quelli previsti dall’articolo 122, comma 5, del Testo Unico;b) organi del patto, compiti ad essi attribuiti, modalità di composizione e di funziona-mento;c) disciplina del rinnovo del patto e del recesso dallo stesso;d) clausole penali;e) soggetto presso il quale gli strumenti finanziari sono depositati.

Art. 131Variazioni, rinnovo e scioglimento del patto

1. In occasione di modifiche di clausole del patto cui si riferiscono le informazioni previste dall’articolo 130, il patto è pubblicato per estratto nella versione modificata secondo le disposizioni degli articoli precedenti, evidenziando le modifiche intervenute.

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2. Se le modifiche riguardano esclusivamente i soggetti aderenti e il numero degli stru-menti finanziari complessivamente o singolarmente apportati al patto, ovvero le percen-tuali previste dall’articolo 130, è consentito pubblicare solo le modifiche intervenute. Le modifiche, diverse da quelle riguardanti l’ingresso e l’uscita dal patto dei soggetti aderenti, sono pubblicate entro dieci giorni dalla conclusione di ciascun semestre dell’esercizio, in-dicando la situazione al momento esistente, qualora nessuna delle percentuali menzionate nell’anzidetto articolo 130, comma 1, lettere b) e c), secondo alinea vari di più di due punti percentuali.3. Con le modalità previste dall’articolo 129, sono pubblicate:a) nell’ipotesi di recesso prevista dall’articolo 123, comma 2, del Testo Unico, la notizia del preavviso, a cura del recedente, entro dieci giorni dall’inoltro dello stesso;b) la notizia del rinnovo, anche tacito, e dello scioglimento del patto entro dieci giorni dal loro perfezionamento.

(Omissis)

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4. circolare dell’Agenzia del Territorio 7 agosto 2006, n. 5

Circolare dell’Agenzia del Territorio 7 agosto 2006 n. 5

Oggetto: Art. 2645-ter del codice civile - Trascrivibilità degli atti di destinazione per fini meritevoli di tutela - Modalità di attuazione della pubblicità immobiliare.

PremessaL’art. 39-novies (Termine di efficacia e trascrivibilità degli atti di destinazione per fini meritevoli di tutela) del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, aggiunto dalla legge di conversione 23 febbraio 2006, n. 51, ha inserito, dopo l’art. 2645-bis del codice civile, l’art. 2645-ter, avente ad oggetto la trascrizione di atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche.La portata innovativa della citata disposizione - entrata in vigore il 1 marzo 2006 - ha subito innescato un vivace ed articolato dibattito a livello dottrinario, che ha già fatto emergere posizioni non del tutto allineate in ordine alla corretta individuazione della natura giuridica della peculiare fattispecie negoziale correlata all’art. 2645-ter c.c., nonché dei suoi possibili profili applicativi.Poiché, peraltro, alcuni Uffici provinciali hanno già segnalato l’avvenuta presentazione di alcune richieste di trascrizione di atti ai sensi dell’art. 2645-ter c.c., con la presente Cir-colare si ritiene opportuno fornire le prime indicazioni, anche di carattere operativo, in ordine alle relative modalità di attuazione della pubblicità immobiliare, al fine di garantire uniformità e omogeneità di comportamenti in tutto il territorio nazionale.

Caratteri generali degli atti di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c.L’art. 2645-ter c.c. dispone che “Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di inte-ressi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realiz-zazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo”.La disposizione in parola, in sostanza, prevede espressamente la possibilità di trascrivere gli atti in forma pubblica con cui un soggetto (di seguito qualificato come “conferente”) costituisce, su beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, un vincolo di destina-zione finalizzato, per un periodo di tempo determinato (non superiore a novanta anni) o per la durata della persona fisica beneficiaria, a realizzare interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, c.c., riferibili ai soggetti individuati, peraltro con ampia formulazione, dalla stessa disposizione (cc.dd. “beneficiari”).

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In estrema sintesi, con gli atti di cui trattasi è possibile costituire un vincolo di destina-zione su di una massa patrimoniale che, pur restando nella titolarità giuridica del “con-ferente”, assume, per la durata stabilita, la connotazione di massa patrimoniale “distinta” (separata) rispetto alla restante parte del suo patrimonio, proprio in virtù del vincolo di destinazione impresso e reso opponibile nei confronti dei terzi con l’esecuzione della formalità di trascrizione.La fattispecie negoziale correlata alla disposizione in parola, se pure assimilabile, quanto agli effetti prodotti (di tipo vincolativo), ad istituti giuridici già presenti nel nostro ordi-namento - ad esempio, nell’ambito del diritto di famiglia, il fondo patrimoniale (art. 167 e seguenti c.c.), oppure, nell’ambito del diritto societario, i patrimoni destinati a specifici affari (art. 2447-bis c.c.) - sembra caratterizzata da una connotazione del tutto atipica e peculiare; infatti, la norma che prevede la trascrivibilità della fattispecie negoziale stessa (art. 2645-ter c.c.) - unica disposizione di riferimento per la fattispecie - in realtà non pre-vede né una tipizzazione delle possibili finalità cui è preordinato il vincolo di destinazione costituito con gli atti in parola, né specifiche regole preordinate all’amministrazione o alla gestione dei beni oggetto di vincolo.In effetti, la disposizione in esame contiene un generico riferimento alla compatibilità degli interessi sottesi alla costituzione dei vincoli in parola con l’art. 1322 c.c., che, come è noto, ammette la stipulazione di contratti atipici, purché “...diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”.Il generico riferimento al parametro costituito dagli “...interessi meritevoli di tutela...ai sensi dell’art. 1322, secondo comma...” - ad avviso di autorevole dottrina - potrebbe, quindi, rappresentare il vero punctum dolens della nuova disposizione, soprattutto in relazione alla ineludibile esigenza di conciliare il parametro della meritevolezza degli interessi cui è preordinata la costituzione del vincolo di destinazione con l’interesse dei creditori del “conferente” all’integrità della garanzia patrimoniale (secondo il principio generale contenuto nell’art. 2740 del codice civile).La seconda parte della disposizione in esame prevede che i beni conferiti - cioè sottoposti al vincolo di destinazione costituito con gli atti in parola - e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione soltanto per debiti contratti per tale scopo, purché, in conformità al disposto di cui all’art. 2915, comma primo, codice civile, l’atto di disposizione sia stato trascritto anteriormente al pignoramento.

Le modalità di attuazione della pubblicità immobiliare

a) Profili generaliDelineati i connotati essenziali degli atti di destinazione di cui all’art. 2645-ter c.c., occorre ora fornire alcune indicazioni finalizzate a garantire la corretta attuazione della pubblicità immobiliare degli atti medesimi.La possibilità di trascrivere gli atti di destinazione in parola è espressamente prevista dall’art. 2645-ter c.c. e limitata agli atti di destinazione redatti in forma pubblica (“Gli atti in forma pubblica...possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione...”).

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La richiamata disposizione, in sostanza, ha introdotto, per gli atti di cui trattasi, un regime di facoltatività della trascrizione, ancorato al requisito minimo di forma normativamente stabilito (nella specie l’“atto in forma pubblica”). In relazione a tale ultimo aspetto, quindi, detta previsione normativa porterebbe ad escludere, in deroga a quanto previsto dall’art. 2657 c.c., la trascrivibilità di atti di destinazione redatti con la forma della scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente.Quanto ai profili di merito, sembra opportuno ribadire preliminarmente la circostanza che detti atti di destinazione producono soltanto effetti di tipo “vincolativo”. Come già in parte accennato, infatti, i beni oggetto degli atti di destinazione, pur venendo “segregati” rispetto alla restante parte del patrimonio del “conferente” - al fine di garantire la realiz-zazione degli interessi meritevoli di tutela cui è preordinato il vincolo - restano comunque nella titolarità giuridica del “conferente” medesimo.Nell’ambito del particolare meccanismo negoziale delineato dall’art. 2645-ter c.c., quindi, i “beneficiari”, ricoprendo il ruolo di soggetti di riferimento degli interessi (meritevoli) che il vincolo di destinazione è preordinato a realizzare, non sono destinatari di effetti traslativi o costitutivi di diritti reali.

b) Profili applicativiDal punto di vista prettamente operativo, almeno nella fase di prima applicazione dell’art. 2645-ter c.c., si ritiene che la peculiare situazione giuridica generata dagli atti di destinazione in parola possa essere adeguatamente rappresentata, sul piano della pubblicità immobiliare, con l’esecuzione di una formalità di trascrizione redatta sulla base dei seguenti criteri: - Quadro A: in attesa di un eventuale adeguamento delle codifiche attualmente dispo-nibili, nel campo “Dati relativi alla convenzione”, va indicato il codice generico “100”, utilizzando la seguente descrizione: “Atto di destinazione per fini meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 2645-ter c.c.”; - Quadro C - Soggetti: va utilizzata l a sola parte “contro”, con l’indicazione degli estremi anagrafici o dei dati identificativi del “conferente”, nonché della quota del diritto reale oggetto dell’atto di destinazione; - Quadro D: in questo quadro, oltre agli aspetti contenutistici essenziali dell’atto di destinazione (a mero titolo esemplificativo: durata del vincolo, eventuali regole inerenti all’amministrazione e gestione dei beni oggetto di vincolo, cause e modalità di scioglimento del vincolo medesimo), vanno indicati, analiticamente, i beneficiari degli atti medesimi con i relativi estremi anagrafici, o con tutti i dati identificativi (se trattasi di soggetti im-personali o di enti specificamente determinati), ovvero con i criteri di individuazione (se trattasi di soggetti solo determinabili, riguardando una categoria di persone).Va, peraltro, chiarito, che l’art. 2645-ter c.c., pur prevedendo espressamente la trascrivibilità nei pubblici registri immobiliari del vincolo in parola, non fornisce alcuna indicazione in ordine alle modalità da seguire per garantire un’adeguata pubblicità anche alle vicende modificative-estintive del vincolo medesimo.A tale riguardo, peraltro, va evidenziato che il decorso del periodo vincolativo - con riferimento ad entrambe le ipotesi normativamente disciplinate (decorso del periodo di tempo determinato dal “conferente”, non superiore a novanta anni, o durata della vita della persona fisica beneficiaria) - comporta ex se la cessazione degli effetti giuridici del vincolo.

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Ciononostante, al fine di realizzare una esaustiva informazione della vicenda estintiva dei vincoli in esame sui registri immobiliari, appare opportuno ipotizzare l’eseguibilità di una formalità di annotazione a margine della trascrizione dell’atto di destinazione costitutivo del vincolo medesimo, da qualificare come annotazione di “inefficacia”.La predetta annotazione, che determina l’inefficacia della formalità principale (nel caso di specie trascrizione dell’atto di destinazione), sembra infatti preferibile rispetto alla formalità di annotazione di cancellazione che comporterebbe, invece, l’estinzione giuri-dica della formalità principale. Da ciò consegue che nei certificati ipotecari dovrà essere ricompresa non soltanto la formalità di annotazione di inefficacia, ma anche la formalità principale (trascrizione dell’atto di destinazione); e tale circostanza, considerata la pecu-liarità dei vincoli in questione, assume senza dubbio positivo rilievo, consentendo, sul piano pratico, la possibilità di garantire la conoscibilità permanente delle fasi evolutive del periodo vincolativo.In considerazione della delicatezza della materia, nonché della sua portata innovativa e rilevanza generale si è ritenuto opportuno acquisire sull’argomento l’autorevole parere del Ministero della Giustizia che, con nota DAG Prot. n. 79177 del 24/7/2006, nel concor-dare con le indicazioni fornite con la presente Circolare - sia sotto il profilo generale che più strettamente operativo - ha ravvisato la necessità di apportare alcune integrazioni e modifiche, peraltro totalmente recepite dal presente testo.Le Direzioni Regionali sono invitate a vigilare sul puntuale adempimento e sulla corretta applicazione della presente Circolare.

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Glossario

Antidiluizione (clausola): clausola che impedisce la verificazione di una diluizione della partecipazione di uno dei parasoci rispetto agli altri, al fine di far rimanere paritetico il rapporto ed il peso di ciascuna parte nel patto parasociale.

Atto di destinazione ex art. 2645-ter C.C.: ai sensi dell’art. 2645- ter C.C. sono gli atti in forma pubblica con cui i beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell’art. 1322, comma 2, C.C. trascritti al fine di rendere opponibili a terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agi-re, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’art. 2915, comma 1, C.C. solo per i debiti con-tratti per tale scopo.

Covendita (clausola): con tale clausola viene stabilito che nel caso in cui uno o più degli aderenti al patto ricevessero da un terzo un’offerta per l’acquisto dell’intero capitale sociale della società - ad un prezzo, comunque, non inferiore ad un dato para-metro limite - gli altri aderenti al patto si impegnano per quella eventualità a vendere al predetto terzo anche le loro partecipazioni agli stessi termini, condizioni e prezzo uni-

tario di vendita stabiliti per i soggetti cui è pervenuta la proposta.

Dead lock: rappresenta il termine con cui si suole indicare una situazione di stallo decisionale in cui versa un ente, allorquando nella sua compagine sociale vi siano dei soci titolari dello stesso numero di partecipazio-ni sociali (ad esempio, il 50% ciascuno del capitale sociale).

Gradimento (clausola): è la clausola che sottopone al placet o al gradimento di un determinato organo sociale, sovente gli amministratori o altri soggetti predetermi-nati dalla autonomia statutaria, l’ingresso di nuovi soci (non graditi) all’interno della compagine sociale.

Lock- up (accordi di)

Normativa antitrust: complesso di nor-me diretto ad evitare la formazione di concentrazioni industriali monopolistiche o oligopolistiche che possano impedire il funzionamento del libero mercato.

Opzione put: è il diritto a vendere le azioni possedute alle condizioni prefissate, ad una certa data, oppure al verificarsi di determi-nati eventi.

Opzione call: è il diritto di acquistare, a condizioni prefissate, un determinato quantitativo di azioni non oltre una data scadenza.

296

Patto di famiglia: è il patto con il quale, compatibilmente con le disposizioni in ma-teria di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda e il titolare di partecipazioni societarie trasfe-risce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti.

Patti parasociali: sono gli accordi con i quali, superando quanto previsto nell’atto costitutivo o nello statuto, i soci o parte di essi, regolano, eventualmente insieme a terzi, uno o più profili concernenti l’esecuzione del rapporto sociale.

Patti di concertazione: sono quei patti che hanno per oggetto o per effetto l’esercizio, anche congiunto, di una influenza domi-nante sulla società per azioni o sulle società che la controllano.

Patti di consultazione: sono quegli ac-cordi che intercorrono fra i soci i quali si impegnano a discutere insieme le materie, specificate nel patto, oggetto di voto in una prossima assemblea.

Prelazione (clausola): per clausola di pre-lazione si intende qual patto che ricorre quando taluno - pur essendo libero di stipulare o di non stipulare un contratto - non è libero nella scelta della persona con cui stipularlo.Il soggetto tenuto al rispetto del patto di pre-lazione non può addivenire alla stipulazione di un contratto con un terzo se prima non ha messo in grado il prelazionario di concluder-lo con lui alle medesime condizioni.

Riservatezza (accordo): accordo scritto con

il quale due soggetti si impegnano a non rivelare a terzi soggetti, non direttamente coinvolti nell’operazione, i contenuti della trattativa in corso e tutte le notizie acquisite nell’ambito di essa.

Seguito (diritto di): viene a configurarsi allorquando nel caso in cui uno o più ade-renti al patto intenda trasferire le proprie partecipazioni sociali a terzi, e l’altro o gli altri aderenti al patto avrà diritto di cedere pro quota le proprie partecipazioni agli stessi termini e alle stesse condizioni della cessione effettuata a terzi dal primo (o dai primi ) aderenti al patto.

Sindacato di blocco: sono quei patti para-sociali che hanno per oggetto l’esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano, il cui obiettivo primario è quello di dotare di una certa stabilità il governo della società di cui fanno parte i partecipanti al patto.

Sindacato di voto: sono i patti che pon-gono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che la controllano.

Trust: si tratta di un istituto di origine an-glosassone in cui vi è un settlor o disponente che trasferisce la proprietà di alcuni beni al trustee, che è il soggetto che gestisce e amministra detti beni. Ai predetti soggetti si accompagnano uno o più protectors, che hanno il compito di controllare l’operato del trustee e la compatibilità del sua attività con gli obiettivi prefissati dal disponente, e, infine, i beneficiari, cioè i soggetti che trarranno profitto dal trust.

pattodifamiglia

297

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bibliografia

299

Indice analitico

AAnti dilution clause, 225, 258Antitrust 55, 60, 87, 89, 91, 231

CClausola penale 36, 38, 40, 85, 92, 239, 243,

266-268Clausola statutaria 31, 63, 66, 79, 94Collegamento negoziale 136, 187Concentrazione 18, 79, 86-91, 231

DDanno 24, 33, 35-36, 38, 40-41, 47, 49-52,

60, 62, 72-73, 78, 85, 91-93, 106, 112, 116, 120, 143, 162, 167, 190, 200, 218, 219, 225-226, 229, 239, 243

Deposito fiduciario 37, 255, 265, 268Durata patti parasociali 43-48, 100, 109, 186

EEfficacia dei patti 38, 106

GGradimento 35-36, 107, 201, 253, 257, 269, 270

HHolding 266, 268

IIntestazione fiduciaria 29, 33, 37, 71, 263,

266, 268

Intrasferibilità partecipazioni 34

MMorte del parasocio 106

NNon alienazione 45, 254Nullità patto 58-60, 62, 72-73, 79, 91-93,

108, 116, 120, 124, 130, 140, 161-163, 165, 189-190, 198, 207, 213, 267

O

Offerta pubblica di acquisto 47, 49, 84-86, 132

PPartecipazione non socio 41, 164Patti parasociali 30-32, 38-39, 41-49,

51-63, 65, 67-69, 72-79, 83-86, 88-95, 98, 100-101, 104-107, 109-111, 113-116, 120, 125, 129, 131, 140, 142-143, 145, 148-150, 152, 158, 160, 163, 169, 171, 180-181, 183-184, 186-187, 194-196, 199, 205-206, 208-211, 213, 217-219, 221, 223, 226-227, 238, 245, 248, 252-254, 261-262, 264, 276-277

Patti parasociali e S.r.l. 79Patti parasociali segreti 55, 59, 61-63, 79, 92Patto di famiglia 96-101, 104Pegno, usufrutto 228Pregiudizio 37, 62, 93, 117-118, 120, 125-

126, 206Prelazione 34, 40, 49, 101, 107, 193-194,

196, 218, 228, 240, 253, 255-256, 258, 265, 269-271

300

Prova 183Pubblicità 19, 41, 44, 46, 52-54, 57-59, 65,

67-69, 75-77, 79, 84, 94, 100, 102, 108-109, 208, 218

Put and call 249

R

Recesso 19, 45-48, 50-52, 63-68, 76-77, 85, 93, 98, 100, 109, 182-186, 212-213, 245

Regime transitorio 19, 21

SS.p.A. che fanno ricorso al mercato del

capitale di rischio 63S.p.A. chiuse 20, 59, 63, 67, 108-110

Sindacati di blocco 24, 33, 36, 45, 75, 84, 105, 107, 257

Sindacati di gestione 37Sindacati di voto 23, 29, 31, 37, 44-45, 75,

105, 107, 131-132, 137, 141, 152, 158, 160, 164, 180, 182, 208, 210-211, 213

Società quotate 20, 45, 75, 81, 106, 111, 131- 132, 137, 141, 152, 158, 160, 164, 180, 182, 208, 210-211, 213

Strumenti per garantire adempimento 243

TTrust 66, 267

VVoto di lista 30-33

indice analitico

• Manuale del processo tributario M. Tocci Editoria• Il terrorismo. Le fattispecie di un reato in evoluzione nelle disposizioni

italiane ed internazionali P. Balbo Editoria• La tutela giudiziaria dei disabili. La difesa contro le discriminazioni

prevista dalla Legge n. 67/2006 C. Crapanzano Editoria• La tutela del consumatore. Clausole vessatorie, commercio elettronico e

Codice del consumo M. Gobbato Editoria• Il nuovo arbitrato. Profili pratici M. De Giorgi Editoria• L’arbitrato nelle controversie di lavoro O. D’Agostini Editoria• Diritti e doveri dei lavoratori. Casi pratici e lineamenti teorici F. Buffa, G. De Lucia Editoria• Danni da trattamento illegittimo di dati personali M. Gobbato Editoria• Rifugiati e asilo. Il diritto reale soffocato: excursus tra direttive europee

e leggi nazionali P. Balbo Editoria• Liberi professionisti e antiriciclaggio. Nuovi obblighi e responsabilità F. Buffa Editoria

• Professionisti senza albo. Adempimenti amministrativi, contabili, fiscali e previdenziali

V. Cuzzola, L. Masullo Editoria• Guida all’avviamento e gestione di un negozio. Gli adempimenti am-

ministrativi, contabili e fiscali per avviare un’attività commerciale V. Cuzzola, A. Nocera Editoria

• Il ruolo del privato nel dialogo con le Pubbliche Amministrazioni a cura di G. Perulli Editoria

• La ricerca giuridica in Internet M. Iaselli Editoria• L’amministrazione di sostegno G. Cassano Editoria• Il mandato G. Baldini Editoria• La revocatoria ordinaria e fallimentare nel decreto sulla competitività N. Santi Di Paola Editoria• I reati edilizi ed urbanistici S. Aterno Editoria• Errati pagamenti F. Sassano Editoria

• Manuale operativo per la tutela del credito I. P. Cimino Editoria

• Concorsi, esiti negativi e ricorsi E. Brandolini Editoria

• Diritto del turismo e tutele M. Cistaro Editoria

• La responsabilità del medico M. Sgroi, M. Frazzini Editoria

• Lo stato di malattia del lavoratore S. Cui Editoria

• Le tutele nei rapporti con la banca R. Cafaro, A. Tanza Editoria

• La responsabilità dell’appaltatore e del direttore dei lavori F. Ballati Editoria

• Dividere l’eredità V. Raiola, L. Salomone Editoria

• Le locazioni di immobili urbani F. Ballati, A. Marino Editoria

• La responsabilità da reato degli Enti L. D. Cerqua (a cura di) Editoria

• Opposizioni alle cartelle esattoriali ed al fermo amministrativo R. Cafaro Editoria

• I crimini informatici S. Amore, V. Stanca - S. Staro Editoria

• Il controllo preventivo di legittimità sugli atti amministrativi G. Festa, F. Lillo Editoria

• Opposizione alle contravvenzioni al Codice della strada D. Maffei Editoria

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