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I Piccoli Fratelli di Gesù Anno VIII N° 15 - I Semestre - 2006

I Piccoli Fratelli di Gesù

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Page 1: I Piccoli Fratelli di Gesù

I Piccoli Fratellidi Gesù

Anno VIII N° 15 - I Semestre - 2006

italiano cop n. 15 28-06-2006 9:40 Pagina 1

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I PICCOLI FRATELLI DI GESÙ

BOLLETTINO SEMESTRALE

Tribunale Civile di Roma

Sezione per la Stampa e

l’Informazione

n. 00385/98 - 30/07/1998

Direttore Responsabile: A. Patané

Casella Postale 13195

00185 Roma 4 Terme

email:[email protected]: Parole&Colore Roma, 2006

I Piccoli Fratelli di Gesùc/c 44603447Casella Postale 48410121 Torino

Voti di Xavier.Benedizione della mamma.

Non prevediamo unabbonamento per questa

piccola rivista, per nonlimitarne la diffusione.

Le spese di stampa e dispedizione, infatti, sono

contenute. Ognipartecipazione a

queste spese sarà,comunque, gradita.

Ai nostri nuovi lettori

Questo opuscolo ècomposto con brani di

lettere - in Fraternitàvengono chiamati “diari” -

che i Piccoli Fratelli si scrivonoliberamente per darsi notiziedelle loro vite nelle differenti

parti del mondo. Speriamo chequesta loro comunicazione vi

interessi e saremmo contenti dipoter leggere le vostre

impressioni.

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Abbiamo vissuto nella Fraternità dei momenti pieni di emozioniin occasione della beatificazione del Padre de Foucauld.

Assai meravigliati di vedere tanta gente con noi per la cerimo-nia in San Pietro e nella Chiesa del Monastero Trappista delle TreFontane.

Veramente, non ce l’aspettavamo. Ecco l’ultima sorpresa di fra-tel Carlo! Una folla inattesa, arrivata a Roma da tutto il mondo peronorarlo!

Lui che aveva vissuto nel fondo del Sahara, trai Tuareg, dive-nendo uno di loro per imitare così il suo ”beneamato fratello e si-gnore Gesù” - sicuramente non pensando a futuri riconoscimenti -viene indicato, ora, come un esempio da seguire!

È il momento di ricordarsi quello che lui stesso scriveva:

«Guardiamo i santi, ma non attardiamoci nella loro contempla-zione, contempliamo con essi Colui la cui contemplazione ha riem-pito la loro vita. Approfittiamo dei loro esempi, ma senza fermarci alungo né prendere per modello completo questo o quel santo, eprendendo di ciascuno ciò che ci sembra più conforme alle parolee agli esempi di Nostro Signore Gesù, nostro solo e vero modello,servendoci così delle loro lezioni, non per imitare essi, ma per me-glio imitare Gesù» Opere Spirituali, Antologia. p.13 – Ed.Paoline

Senza dimenticare l’insegnamento del testo di fr.Carlo che ab-biamo appena letto, vi comunichiamo il diario di Ian, un fratello del-la fraternità di Londra-Peckham, che ci racconta quei giorni di fe-sta.

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Pubblichiamo poi: - un testo scritto da Marc, il nostro Priore, apparso sulla rivista

del Servizio delle Vocazioni della Diocesi di Dax, nel mese di mag-gio;

- e una testimonianza di Christian, un fratello della fraternità diTorino, già pubblicata sul bollettino delle Piccole Sorelle di Gesù ita-liane.

L’uno e l’altro parlano del P. de Foucauld in una maniera nonabituale ed è per questo che vi invitiamo a leggerli.

Proseguiamo, infine, comunicandovi dei diari che vengono dal-la Spagna, dalla Polonia, dall’India, dall’America Latina, dall’Euro-pa, da Cuba. Sarà per voi una lettura più consueta: qualche rac-conto di vita, delle semplici riflessioni su di essa.

“Malgrado tutto, al punto della vita cui sono giunto,non posso fare a meno di provare una specie di stuporepieno di gratitudine per la vita che Dio mi ha dato e diconfusione per tante infedeltà ed errori commessi. Ci sisente molto piccoli e in pace nel cuore misericordioso diGesù. Essendo la mia vita conclusa e la mia missioneterminata, non devo più interrogarmi su un avvenire ter-reno che non esiste più, ma pensare a un’altra esisten-za, nel Regno di Cristo.” (R.Voillaume – Ch.de Foucaulde i suoi discepoli – San Paolo 2001 – pag.550)

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da Ian, della fraternità di Londra-Peckham

Ognuno di noi avrà sicura-mente avuto un’esperienzapersonale di quest’avvenimen-to, io non faccio altro che rac-contare la mia. Prima di andar-ci ero molto esitante : non sipuò forse partecipare altret-tanto bene da lontano, col

pensiero e la preghiera? È ve-ramente una cosa così impor-tante? D’altra parte, avevo giàfatto lo sforzo la prima volta al-la Pentecoste. Infine, in ognicaso, ho paura delle lunghecerimonie (avendo bisogno diun posto a sedere e soprattut-

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Entrando nell’Abbazia delle Tre Fontane.

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to di un gabinetto accessibi-le!). Ma, dopo l’accoglienza diFrancesco all’aeroporto e l’ac-compagnamento di Franco al-la nostra magnifica, ma curio-sa residenza (vale, da sola,tutta una storia !) sono statosubito conquistato ed entusia-smato dalle tre cerimonie, del-le vere celebrazioni, dagl’in-contri così vari e numerosi, eda quell’atmosfera di universa-lità, così piena di speranza perl’avvenire.

La prima celebrazione, lasera di sabato dai Trappisti del-le Tre Fontane, metteva l’ac-cento sul ricordo vivente di fra-tel Carlo: uomo preso da Gesù,uomo donato agli altri, uomo dipreghiera. Per me il più emozio-nante è stata la triplice testimo-nianza:

- quella di Giovanni, un ita-liano la cui moglie era stataguarita per intercessione diCarlo de Foucauld;

quella della giovane algeri-na, guida a Tamanrasset,

quella della danza di unapiccola sorella della RepubblicaCentroafricana.

Il marito, ‘amico’ fin da gio-vane di fratel Carlo, gli facevaurgentemente l’appello di veni-re in aiuto di sua moglie: «Car-lo, vieni, aiutaci, guarisci la miapovera moglie, non dimenticareil nostro ultimo figlio ancora pic-colino. Sicuramente capisci il

nostro dialetto [il brianzolo],conto su di te!».

L’amica algerina aveva tuttoun altro stile: delicato, esitante,pieno di sfumature, cercando laverità nel confronto delle opinio-ni, col ‘timore di perdere la pro-pria identità’, riconoscendo ilbene nascosto nelle ambiguitàdegli avvenimenti, e convintache ‘la vera rivoluzione comin-cia con una trasformazione in-teriore’: insomma, una testimo-nianza di una qualità eccezio-nale.

La danza liturgica centroafri-cana aveva un ritmo pieno di vi-ta, ad un tempo vitale in sestessa e trasmettitrice della vi-ta. Infine, più tardi nella serata,ci fu una danza ispirata al de-serto, di un amico tuareg, formadi preghiera con i movimenti delcorpo, altra espressione dellalode dell’Altissimo, ma semprepresente, al corpo come all’ani-ma.

Lo stesso atto della ‘beatifi-cazione’ era integrato nellamessa domenicale, il cui Van-gelo lodava «il servitore buonoe fedele»: una breve dichiara-zione in latino, accompagnatada una altrettanto breve storiadelle tre persone, due fondatri-ci italiane ed il nostro fratel Car-lo – con la fotografia in bianco enero di fr.Carlo, quella cono-sciutissima di Beni-Abbès, che

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sembrava piuttosto austera allato dei dipinti pieni di colori edei sorrisi delle suore! La litur-gia, per me, è stata caratteriz-zata dall’uso di molte lingue (in-cluso l’arabo, il swahili, il man-darino e l’indonesiano), segnodell’universalità del messaggio,sia per noi come per gli altripartecipanti. L’insieme, malgra-do la grandiosità barocca di

San Pietro (per me, britannico,di un gusto artistico e religiososconvolgente!), rimaneva, infondo, molto semplice e fami-liare (si applaudiva liberamentee i canti erano facili, di stile po-polare, a prescindere dalla lin-gua). Ma come avviene troppofrequentemente, vi era una sot-tolineatura nettamente clericale(accentuata nel servizio televi-

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Danza Tuareg.

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sivo): lunghe file di vescovi e dipresbiteri (dei quali, debbo am-metterlo, anche io facevo par-te) messe ancora più in eviden-za della folla dei religiosi deidue sessi, ‘senza contare’ poila grande maggioranza dei pre-senti, i laici!

Lunedì mattina, nuovamen-te dai Trappisti ha avuto luogouna bella Messa di ringrazia-mento. Il Vangelo (Giov. 15, 9-17) faceva eco, almeno per me,al motto di fr.Carlo, JESUS-CA-RITAS, come anche al suo de-siderio di accogliere l’amiciziadi Gesù e vivere questa stessaamicizia con i suoi vicini. Il mo-mento forte è stata forse l’ome-lia di Claude Rault, il vescovodel Sahara. Cito solo la suaconclusione: «Carlo…ci lasciaun’opera incompiuta….è nostrocompito continuare il solco trac-ciato…non vi è altro camminoche quello che passa per Gesùdi Nazareth, lui che ha presol’ultimo posto».

Tutti, io credo, siamo statiimpressionati dalla molteplicitàdegli incontri. Ad ogni momentosi era chiamati da un fratello,una sorella, un membro dellafraternità laica, a volte qualcunoconosciuto più o meno bene,ma altre volte una ‘sorella’, un‘fratello’ (nel senso di una qual-siasi relazione fraterna) che siera appena appena visto o ma-gari per niente. È stato come se

le porte delle relazioni tra lapersone si fossero cominciatead aprire più facilmente del so-lito: le barriere naturali lasciava-no passare un dialogo semplicee amichevole.

Aggiungo solamente la sen-sazione assai generale – l’unoo l’altro me lo hanno conferma-to – di una universalità vissuta.Non si trattava del sogno diun’amicizia illimitata, ma dellaconcretezza della presenza digente di ogni origine geografi-ca, culturale, sociale e in certicasi religiosa, che si mescola-vano naturalmente – cosa cosìrara nella vita di ogni giorno.

Da qui, per concludere, unsentimento, che mi sembra benfondato, di speranza per l’avve-nire. Speranza che il camminotracciato dal nostro fr.Carlo restiben aperto: un cammino comu-ne per l’essenziale, ma conmolte e differenti possibilità daesplorare. Penso sia alla va-rietà dei carismi già esistentinella ‘famiglia spirituale’ e sia anuove forme di vivere ciò cheabbiamo ricevuto. Non vi sonodelle possibilità finora insospet-tate di vivere da Piccolo Fratel-lo di Gesù? Lo penso proprio, elo spero.

D’altra parte il Signore non èdi certo privo di immaginazione,mi sembra, e la festa di Natalece lo mostra abbondantementeogni anno !

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da Marc Hayet

Carissimo Carlo, fratellomio,

sarei stato curioso di vedereche faccia facevi il 13 novem-bre, mentre veniva srotolato iltuo ritratto formato gigante dalbalcone della Basilica di SanPietro a Roma. Mi domando sehai davvero apprezzato tuttociò. Allora vorrei spiegarti per-ché per noi era importante farequesta festa e perché la tua vi-ta ci coinvolge.

Sinceramente debbo dirtiche la tua vita l’avevi propriocominciata male.

Orfano fin da piccolo, in esi-lio a causa della guerra, eccoticon ferite affettive che lascianocicatrici e che avrebbero potutodistruggerti. Poco c’è mancato,infatti, che ti perdessi. «A 17 an-ni ero come se fossi impazzito»,hai scritto tu stesso. Avevi mol-to danaro e ne facevi abbon-dantemente uso, ma non erisoddisfatto; al contrario speri-mentavi «un vuoto doloroso,

una tristezza, un disgusto, unanoia infinita», ti esprimi propriocosì. Quello che trovo meravi-glioso è che questa tua parteferita, questa sete di essereamato e di amare, diviene lamolla della tua vita. Non è uncaso che “fratello” sia una delleparole che preferisci, una paro-la di relazione e di apertura al-l’altro. Non lo hai mai saputo,ma quando il tuo “accompagna-tore”, l’abbé Huvelin, ti presentòal padre abbate di un monaste-ro, dove ti inviava per fare un ri-tiro, gli scrisse: «Quest’uomo fadella religione un amore.” Que-sto mi riempie di speranza difronte alle conseguenze delleferite della vita.

Sei stato molto fedele allatua famiglia e ai tuoi amici, affet-tuoso e vicino. Hanno conserva-to le tue lettere, sono migliaia!Ma vi è una cosa che mi colpi-sce molto: Gesù era per te unamico reale, vivente e vicino tan-to quanto lo erano gli altri. Certosei stato un monaco per molti

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anni poi eremita. Madopo, nel Sahara,quando scrivi che«dalle 4,30 del mat-tino alle 8,30 dellasera, [tu] non lasmetti di parlare e di ricevere visite:schiavi, poveri, ma-lati, soldati, viaggia-tori, curiosi», comefacevi per conserva-re il tuo cuore indi-rizzato verso Gesùvivente? Ci hai rive-lato il tuo segretoquando dici: «Tor-niamo al Vangelo.Bisogna che vi sfor-ziate di impregnarvidello spirito di Gesùleggendo e rileg-gendo, meditando erimeditando senzatregua le sue parolee i suoi esempi chefacciano come lagoccia d’acqua checade e ricade suuna pietra sempreallo stesso pun-to…». Per quantopossano essere oc-cupate le nostre vi-te, c’è uno spazioper l’amicizia conGesù. E frequentareGesù non ci mettesu di una nuvoletta,

può portarci a diveni-Il fratel Carlo de Foucauld.

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re umani tanto quanto lo sei sta-to tu, umani alla maniera di Ge-sù.

È una delle grandi cose checi hai insegnato. Essere «uma-ni», a volte, è l’unico modo perfar cadere gli steccati e parlaredi Dio. Alla fine della tua vita,sei andato da solo in mezzo adun popolo sconosciuto e l’unicacosa che hai fatto è stata di av-vicinarti a loro rispettandone evalorizzandone la cultura, la-sciando che ti accogliessero edi credere che Dio è al lavoro,anche se ha bisogno «di seco-li» come dicevi.

Quando sei morto, Moussa,il capo tuareg, ha scritto a tuasorella queste semplici parole:« Carlo, il marabut, non è mortosolo per voi, è morto anche pertutti noi. Che Dio gli concedamisericordia, e che ci si possaincontrare con lui in paradiso!».Adesso, lo sai bene, si parla

molto di comunicazione, peròognuno si rinchiude in un suopiccolo gruppo perché la diver-sità ci fa paura. Tutto il contrariodi te, andare verso il più lontanoera la tua passione e la hai vis-suta fino in fondo. Che spinta cidai!

In fondo, lo so che facciaavevi il 13 novembre: avevi unafaccia da beato! Quella che hainella fotografia che ti accludo. Èun po’ sfumata , ma si vede be-ne che sorridi e cammini versol’altro, teso verso l’incontro. Tusei proprio fatto così! Ed è que-sto quello che ci piace tanto inte.

Mi permetterai di finire que-sta lettera come terminavi le tueal tuo amico Gabriele: « Ti doun bacio con tutto il mio cuoretanto quanto ti voglio bene.»

Marc,il tuo fratello più piccolo

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da Christian, della fraternità di Torino

Raccontare il mio incontrocon Charles De Foucauld, miproietta indietro di circa trent’anni. Sono stati momenti decisi-vi e fondanti per il resto dellamia vita.

La mia ricerca di Dio partivadal contesto assai semplice diuna vita di contadino aperto alcreato e al ritmo di lavoro e direlazioni caratteristico di un pic-

colo villaggio. Quando sono ve-nuto a conoscenza di quest’uo-mo, ho preso maggiore co-scienza di molte cose che giàvivevo, alle quali ormai potevodare un nome, una spiritualità divita: Nazaret!

Ho deciso, nel mio intimo, diconsacrarmi al Signore, conti-nuando a vivere il più normal-mente possibile la vita di sem-pre, nutrito da una preghieraeucaristica che corrispondevabenissimo a una forte aspirazio-ne al silenzio e al tu per tu conGesù.

Forse le cose potevano ri-manere così, ma il fascino cheesercitava su di me la vita diquest’uomo e la sua ricerca diDio attraverso una condivisionereale della vita con il popolotuareg, stimolava in me unideale che mi spingeva al di làdei confini del mio paese diven-tato ormai troppo piccolo perme.

Decisi quindi di far cono-scenza dei piccoli fratelli di Ge-sù e d’intraprendere un cammi-

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Christian preparando la cena.

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no religioso con uomini attrattidallo stesso stile di vita.

Vivo in Fraternità da più di25 anni. Ho avuto, in tutti questianni, tanti modi per concretiz-zare il suo ideale, purificatodalla vita stessa, messo a con-fronto con la vita fraterna in co-munità e con la vita di tantepersone che spesso a loro in-saputa, tramite le loro vicende,tramite gesti semplici, nella ba-nalità del quotidiano, mi hannosvelato la presenza discreta diun Dio che fa parte delle nostrestorie.

Quello che mi rimane tutto-ra impresso, è come CharlesDe Foucauld, docilmente, do-nandosi totalmente a quel pic-colo gruppo di Tuareg, in unluogo cosi insignificante comepoteva essere Tamanrasset aquell’epoca, abbia vissuto unavita eucaristica piena. L’atten-zione all’altro, diverso in tutto,quanto a cultura, a religione e amentalità gli ha permesso direalizzare effettivamente, au-tenticamente l’incontro con unDio di carne; con “quel Gesù diNazaret” che ha passato la suavita a legarsi a noi, vivendo l’in-timità con il Padre in una esi-stenza umana, condividendo intutto e per tutto la nostra vitaper offrirci di condividere lasua.

Charles De Foucauld, con il

passare dei giorni e degli anni,ha sperimentato una vera fami-liarità con questo popolo. Daquesto stare accanto nel quoti-diano, sono nate profonde ami-cizie. Così, la stima e la fiduciareciproca hanno permesso diabbassare muri e pregiudizi, edi giungere a farsi carico l’unodella vita dell’altro. Per lui èstato scoprire ulteriormente ilvolto di Dio insieme crescere inumanità. Per lui, in questa co-mune fiducia e reciproca gra-tuità, nella quotidianità e nellacondivisione della vita, si face-va intravedere l’azione e la pre-senza di Dio: Dio nel fratello. Ene è nato un autentico e origi-nale cammino di vita contem-plativa.

Aveva creduto di dover por-tare la presenza di Dio nei luo-ghi più sperduti, capì inveceche Dio l’aveva preceduto edera già presente, lo aspettavaproprio lì in questa parte diumanità, in questo piccolo grup-po di nomadi.

Spero di incontrare un giornoqueste persone del deserto chehanno accolto e accompagnatofrère Charles: vorrei esprimereloro la mia profonda gratitudineper essere state inconsapevol-mente il tramite di una forma edi una spiritualità di vita centra-ta sul mistero dell’Incarnazione.

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Mi è dato di continuare a vi-vere questo mistero insieme aimiei fratelli, quelli con cui mi so-no legato per la vita in Frater-nità, e quelli con cui condivido

ogni giorno la fatica e le gioiedel quotidiano, nelle relazioni,sul lavoro e nel nostro quartie-re. Questo per me è motivo digioia e di grande serenità!

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Christian con i compagni di lavoro.

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Sta finendo l’Avvento. È il momento nel quale mi faccio semprela stessa domanda: ma aspettiamo veramente qualcuno?

Questi ultimi giorni sono passati tra la visita di un ragazzo delquartiere che aveva avuto il permesso di uscire qualche giorno dalcarcere per vedere la sua famiglia. Incontrarlo con sua moglie (unaragazzina!) e suo figlio di 5 anni, pensando che hanno un avvenirecosì nero e così pieno di ostacoli; e poi stare con José e Anabella ei loro figli, José e Fali – tutti insieme non arrivano a quaranta anni –che fanno delle sbandate sulla strada della vita - in due anni hannocambiato cinque volte casa, sempre senza danaro e una vita dapazzi - e malgrado tutto questo, si amano; e ancora: vedere il quar-tiere, e conoscere Vicente ricoverato in ospedale con l’AIDS (Miguello va a trovare ogni giorno) e Milindris che dorme in un vecchio ca-mioncino; stare anche con Pepe e salutare Lazaro e ascoltare Vickye sapere che sono loro ad avere il cuore spezzato e bisognoso, as-setato come una spugna e tenero e umano e grande e aperto pergridare “con tutta la loro vita”: «Aspettiamo un fratello che accetti disporcarsi con noi nel fango, che si sieda nelle nostre strade, che ciguardi negli occhi». Di fronte a tutto questo non so che dire, ma cre-do che ‘non aspetteremo nessuno’ se non ci mettiamo al loro lato,se non prendiamo il rischio di essere al posto giusto il giorno in cuiverrà.

da un fratello della regione di Spagna

…nel nostro quartiere vi sono anche delle case abitate da alcu-ne famiglie di zingari. Dopo la seconda guerra mondiale sono statiobbligati a sedentarizzarsi, così in Polonia non ci sono più delleroulotte. Mi piace molto il nostro quartiere e i suoi abitanti. Sono co-me delle pecore senza pastore, che giorno per giorno cercano laforza, la speranza. Qui, nel nostro “Nazareth” ci si può domandare:« può venirne fuori qualcosa di buono? » Lo penso proprio. Vi sipuò trovare la vedova che offre due monetine per non perdere lasperanza, per essere guarita. Mi piace molto restare con la gentenella strada o nel cortile.

da un fratello della Polonia

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da Michel, della fraternità di Mylasandra (India)

….Non so se è un segno divecchiaia, ma attualmente pas-so una parte del mio tempo adascoltare gli anni passati. Shan-ti ha redatto un primo progetto diuna storia della fraternità d’A-lampundi e mi ha domandato dicompletarlo rileggendo la ma-niera nella quale ho vissuto que-sti primi anni dopo la fondazionenel 1964. Mi sono anche messoin testa di scrivere una storiabreve della Fraternità dalla fon-dazione del 1933. Visto che non

ho dei documenti, ho preso l’ul-timo libro di R.Voillaume (Ch.deFoucauld e i suoi primi discepo-li) e cerco di seguire la storiache ha portato i primi fratelli auscire da El Abiodh. Mi limito adutilizzare le frasi di René sempli-ficandole e traducendole in in-glese. Può essere interessanteper i fratelli dell’Asia.

Allora mi sono detto che puòessere bene ascoltare anchequesti ultimi anni passati a Ban-galore.

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Jérome, Bernard, Mani.

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La nostra fraternità di Myla-sandra è grande e ci si può abi-tare facilmente in 6 o 7 fratelli,c’è anche un orto dove abbiamopiantato degli alberi da frutto.Potremo forse vivere, nel futu-ro, di questo lavoro agricolo?Non ne so nulla perché ciò im-plica che gli alberi crescano eche ci sia almeno un fratelloesperto del mestiere. Come si èspiegato, tutti noi - i fratelli dellaregione – abbiamo adottatoquesto progetto di una fraternitàgrande dove poter ricevere deigiovani interessati dalla nostravita e anche capace di esserela ‘casa di famiglia’ per la nostraregione nella quale poterci riu-nire tutti e dove i fratelli anziani(tra i quali sono anch’io) possa-no venire ad abitare. Si deveaggiungere che questo è piena-mente nelle abitudini della so-cietà indiana nella quale ognu-no conserva ancora delle radicinel villaggio degli antenati chedà una certa identità e dove siha piacere di ritrovarsi di tantoin tanto.

La Chiesa indiana è moltoattaccata alle tradizioni e la vitache vogliamo condurre è pococompresa. È senza dubbio op-portuno iniziare progressiva-mente quelli che vengono. Lafraternità di Bangalore con unavita più regolare è una primatappa che dovrà essere seguitada una seconda in una frater-

nità più inserita. Noi cerchiamodi comprendere e accettarequesta Chiesa indiana piena divita ma con degli aspetti tradi-zionali molto sconcertanti!

C’è, qui in India, un aspettodella vita sociale che marca tut-ti gli individui: l’appartenere auna comunità. Senza una co-munità un essere umano nonha una identità: questo marcafortemente la nostra Chiesa equindi ogni cristiano. La nostrafraternità di Bangalore, cercan-do di essere la ‘casa di famiglia’della nostra regione risponde aquesto bisogno di apparteneread una comunità visibile. Que-sta insistenza sulla comunità miha portato a riflettere sulle miereazioni spontanee che anda-vano piuttosto in senso inverso.C’è in me un individualismomolto legato alla mia educazio-ne, e anche all’eredità dellaFraternità! Abbiamo talmenteprivilegiato l’inserimento indivi-duale da avere, forse, tropposottostimato il valore di una vitainsieme capace di essere unsostegno prezioso e dare unatestimonianza di un altro tipo.Vorrei cercare una espressionedi vita comunitaria e fraternacon uno stile appropriato allanostra vocazione: una sorta distile familiare dove tutti i mem-bri non vivono necessariamentesotto lo stesso tetto ma dovetutti si ritrovano spesso per par-

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larsi in maniera personale…So-gno forse, è bello però a voltefare dei sogni! Evidentementetutta la vita quotidiana è influen-zata, in India, da questa appar-tenenza a una comunità con lesue proprie espressioni e segnivisibili.

Dopo questi due anni comesi svolge la mia vita in questafraternità?

Mi sembra che quello che miispira è il desiderio di far fiduciaai miei fratelli, di uscire dallamia propria storia e dalla miaesperienza con i suoi orienta-

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Dopo la cerimonia, foto di gruppo.

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menti precisi, di lasciar fare glialtri poiché ho accettato questoprogetto comune e di parteci-parvi attivamente. Evidente-mente la mia sensibilità non vasempre in questa direzione, manon si deve camminare insie-me? Non è questa la base diquella vita comune e fraternache cerco?

Prima di cominciare a viverequi, all’inizio del nuovo millen-nio, ho avuto quasi la voglia dimandare tutto a quel paese e ditrovarmi un posticino a mio gu-sto per terminarvi i miei giorni.Non l’ho trovato.

Nello stesso tempo, mi sem-bra che Dio mi abbia mostrato ilcammino con dei segni discretima chiari: c’è stata la scopertadella meditazione buddistachiamata ‘Vipasana’; su di unaltro piano, si è svolta la riunio-ne dei fratelli anziani dell’Asia;c’è stata la vicinanza discreta epiena di attenzione dei miei fra-telli che non desideravano lamia partenza.

Mi sono reso conto, alla riu-nione dei fratelli dell’Asia, cheper molti di noi era difficile ac-cettare i nostri fratelli più giova-ni originari di una cultura diffe-rente dalla nostra. Di per se,non è sorprendente, malgradola buona volontà di tutti – in ef-fetti il ‘generation gap’ [il fossa-to tra le generazioni] è un feno-meno universale. Ma questa

difficoltà mi ha posto dei proble-mi sulla maniera di affrontarla,mi dicevo che ero soprattutto ioche dovevo interrogarmi. Lameditazione buddista ‘Vipasa-na’ mi ha aiutato molto in que-sta presa di coscienza delle miereazioni personali. Ho seguitosolo 3 sessioni di ‘Vipasana’ enon pratico regolarmente que-sta tecnica, me ne rimangono,comunque, alcune reazioni perprendere qualche distanza neimiei confronti e fare così un po’il vuoto.

Ho visto in tutto questo uninvito a lasciare il piano dellamia storia personale con le sueesperienze felici e infelici e adentrare in un campo più profon-do per scoprirvi una chiamatapressante a spazzar via gliostacoli a questa amicizia conGesù che cerco. Si trattava diripartire.

Adesso sono il vecchio non-no in questa fraternità di giova-ni. Frequentemente mi ci sentomesso in discussione perchévanno troppo svelti per me. Micapita di volerli seguire. Ma mirendo rapidamente conto deimiei limiti e non posso far altroche accettarmi come sono!

Comunque, posso sempreessere là, iniziare l’uno o l’altroall’inglese, fare dei lavoretti incasa, occuparmi un poco del-l’orto, ma non molto altrimenti lamia schiena protesta. Ma si trat-

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ta fondamentalmente di esserepresente, seduto sul sedile po-steriore della macchina, con ilsentimento di essere assai inu-tile e sforzandomi di fare fiduciaagli altri.

Questo tempo di vecchiaiami sembra essere per me unmomento importante per impa-rare ad accettare: accettare i li-miti fisici e mentali (la memoriache parte!), accettare di non po-tersi più controllare pienamentee di diventare maniaco, accetta-re di non prendere le decisionee lasciarle prendere agli altri,ecc. Ogni volta che faccio un

passo in questa direzione sco-pro una certa liberazione. Evi-dentemente, è un apprendista-to. Questo vuol dire che è diffi-cile e che comporta degli alti edei bassi! Mi sembra che tuttovada bene così, continuandocomunque a borbottare e abrontolare: alcuni fratelli mi di-cono: «dunque, non cambieraimai?» Ci sono due fari che miguidano e che sono molto co-nosciuti: provare a discernere lavolontà del Signore per l’oggisenza pensare al domani, e lapresenza e il sacrificio Eucari-stico.

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…Ma con te, Signore, quando ci siamo incontrati l’ul-tima volta? Non quella che ho segnato sul mio orario,ma quando mi hai fatto una improvvisata. Quella per cuiho dovuto cambiare i miei piani, fare attenzione a te, ri-conoscerti nell’imprevisto. Quella nella quale mi sei ap-parso senza che ti avessi cercato e in cui scomparividalla scena appena ti avessi riconosciuto. Quella nellaquale mi hai “sconcertato”, mi hai fatto tornare indietro.Quella che mi ha fatto tornare dai miei fratelli.

da un fratello dell’America Latina

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da Lorenzo, della regione d’Italia

Alla fine della nostra ultimariunione, sono stato “scelto”(come si sa fare così bene tra dinoi quando nessuno è disponi-bile!) per scrivere queste pocherighe, perché sembra che l’unoo l’altro fratello si domandi:«Cosa è questo gruppo sullasecolarizzazione?» È compren-sibile che ci si faccia questa do-manda perché, qui o là, capitadi sentir parlare di alcuni fratelliche si riuniscono per discuteredi questo tema. Di che cosa sitratta?

Si dice frequentemente chei testi dei Capitoli sono piutto-sto inutili, perché li si legge (for-se, può essere) e sono poi de-posti rapidamente in fondo a uncassetto per esservi dimentica-ti. Fortunatamente non capitasempre così. Infatti il capitolo diYaoundé ha proposto che i fra-telli di una stessa area cultura-le provino a creare dei legamial fine di sviluppare le relazionitra le regioni: questa idea non èrestata ‘lettera morta’; fu letta ericordata; è seguendo questatraccia che, a poco a poco, si è

formato il nostro gruppo (e –me lo auguro – altri gruppi difratelli).

Siamo sei fratelli dell’Europache cercano di condividerequalcosa della loro vita tenendoconto della specificità europea.Siamo in sei fratelli rispettandocosì la diversità dalle quali ècomposto il nostro continente.Veniamo dalla Polonia, dallaSvizzera e dalla Germania, dal-l’Italia, dalla Francia e dallaSpagna. È un gruppo natospontaneamente; ciò vuol direche ci siamo scelti, di comuneaccordo, senza l’intervento deinostri responsabili regionali; an-che se questo non vuol dire chenon ne fossero al corrente enon fossero d’accordo! Il criteriodella nostra scelta era di avereuna certa conoscenza tra di noiper poterci incontrare per riflet-tere centrati su un interesse co-mune. Da questo punto di vista,il nostro gruppo è differente dauna commissione nominata dal-la fraternità generale che avreb-be il fine di lavorare “a nomedella Fraternità”. Siamo sempli-

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cemente dei fratelli che vannod’accordo fra di loro, che sonocontenti di ritrovarsi insieme eche sono interessati a condivi-dere qualcosa che ha a che fa-re con ciò che è al centro dellaloro vita di piccolo fratello in Eu-ropa. Che i nostri scambi diidee possano essere utile oltreche ai sei partecipanti anche adaltri mi sembra che sia ovvio,come il fatto che qualsivoglia la-

voro o riflessione di uno di noiarricchisce tutta la Fraternità.Ma questo non vuol dire che ciriuniamo “a nome delle” nostreregioni. Non ci è stato doman-dato di farlo. Le proposte delcapitolo di Yaoundé ricevono,sempre di più un’evidente con-troprova del loro realismo: laFraternità dispersa nel mondointero è unita da una stessa vo-cazione originale; questo e cer-

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Un grattacielo moderno, una chiesa antica... solo un problema architettonico?

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to. Ma è altrettanto certo che,con il passar del tempo ci carat-terizziamo sempre di più secon-do le culture e gli ambienti neiquali viviamo. Questa evoluzio-ne della Fraternità non può es-sere che benvenuta; sottolineainfatti quanto apparteniamo ve-ramente a coloro tra i quali vi-viamo, cioè che quando parlia-mo di Nazareth non rimaniamosulle nuvole.

Restando, dunque, con ipiedi ben appoggiati sulla terra,ci siamo trovati d’accordo su diuna constatazione: è chiaro chein Europa viviamo in società(più o meno) secolarizzate eche ciò non può non porre delledomande a una vita che si pre-senta come una “vita religiosa”.Vogliamo dunque cercare dicomprendere un poco di checosa si tratta? Prima di tutto co-sa si vuol dire quando si parla di“secolarizzazione”? In che cosaciò ha delle ripercussioni sullavita mia e di quelli con cui vivo?Non si tratta per noi di impe-gnarci in lunghe ricerche teori-che; in effetti siamo più un grup-po di condivisione che di studio;ciascuno fa personalmentequello di cui si sente capace(problemi di tempo, di diversitàdi maniere di studiare…) Ci ri-troviamo intorno ad un testoproposto da qualcuno di noi e loleggiamo insieme: lo ascoltia-mo, ci domandiamo cosa ne ab-

biamo compreso, ne discutia-mo… È un metodo eccellenteche ci permette di evitare glislanci facili e le affermazionisempliciste; ci aiuta alla com-prensione e al rispetto delle dif-ferenze.

Ciascuno di noi non ha –certamente – che un tempo li-mitato da poter consacrare aquesto ’lavoro’. Abbiamo decisodi riunirci due volte l’anno. Finoad ora ci siamo ritrovati a Zuri-go dove la fraternità è sufficien-temente spaziosa per ricevercie, per noi, assai centrale….e,per di più, Carlo e Marcel ci ri-servano un’accoglienza moltocalorosa!

I testi dei quali ci siamo ser-viti fino ad ora erano tali da per-metterci differenti punti di vistanell’esaminarli (teologici, o so-ciologici, o storici, o filosofi-ci….). Questa diversità di atten-zione è un importante aiuto vi-sta la grande diversificazionedelle realtà in cui noi viviamo:dalla cattolica Polonia post-co-munista alla Francia laica, dal-l’Italia marcata dall’influenza delclero sulla cosa pubblica allaGermania rispettosa di tutte leconfessioni sorelle tra di loro,dalla Spagna post-franchistache si ribella alla Svizzera gelo-sa delle sue tradizioni, senza di-menticare gli altri paesi euro-pei…! Dire “secolarizzazione”non è dunque cosa semplice,

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Contrasto o coesistenza?

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anche se questo fenomeno hauna unità nella cultura europea:a partire dal tempo dell’Illumini-smo le scienze sono state auto-nome, e il fatto religioso è dive-nuto una realtà (riconosciuta,accettata, rifiutata, combattu-ta…) tra le altre. Eppure la no-zione stessa di ‘secolarizzazio-ne’ è molto contestata…esisteveramente? Si tratta di una in-venzione dei sociologi…Bastavedere l’attuale recrudescenzadel fenomeno religioso…Noninteressa che gli affossatori del-la Chiesa…!

Al momento attuale, non ab-biamo da comunicarvi altro cheil semplice fatto della nostra ini-ziativa. È ancora in una fase ini-ziale, di scoperta. Non è possi-bile, ora, dire più di questo, an-che perché la nostra ricerca re-sta modesta non solamentequanto al suo progetto, ma an-che nei fatti. Quel che ci sem-bra importante è il non tapparsigli occhi davanti la realtà nellaquale viviamo nè il cullarsi condelle illusioni dicendo semplice-mente che la secolarizzazioneè un bene, un male, una spe-ranza, un mito….Ma di vederequale è il senso della libertà checi è dato di vivere in Europa: è

una fortuna (una grazia ?!) checi invita a vivere in una società“meno coerente” di quanto losiano le società religiose, mache situa in un nuovo posto lapersona umana?…”il suo” po-sto? E come viviamo tutto que-sto, noi che siamo dei “religio-si”?

Sappiamo che non c’è nes-suna necessità né dovere diesportare il modello europeo.Sappiamo anche che è bene ri-cevere e accettare le criticheche ci vengono fatte da altrovenel rispetto di quel che è vissu-to in altre culture. Però nondobbiamo, comunque, rinnega-re l’originalità di ciò che vive ilnostro continente e arrendercidi fronte alle difficoltà che ciòimplica nei confronti di ciò chepuò sembrare nuovo, incoeren-te o inquietante.

Questo messaggio vuolecomunicare a tutti e a ciascunoche il nostro piccolo gruppo difratelli non solo non ha niente diriservato, ma anche non ha nul-la di certo…al di fuori dell’esse-re aperto, curioso e animato daun spirito che ama il mondo nelquale gli è dato di vivere, allaluce della tradizione della Fra-ternità.

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da Humberto, della fraternità di Holguin (Cuba)

Il 12 luglio 1965, con un cal-do torrido, Enrique ed io atterra-vamo a l’aeroporto de La Haba-na, nessuno era lì ad aspettar-ci…Un autentico tuffo nell’igno-to…! Il 12 luglio, abbiamo dun-que passato la soglia dei 40 an-ni sulla nostra isola. Non abbia-mo fatto nessuna celebrazioneper il semplice fatto che erava-mo separati.

In questa occasione ho rivi-sto nella mia memoria e il miocuore i tanti anni vissuti con lanostra gente, così tanti avveni-menti intensi nel nostro piccolopaese, tanti volti: compagni dilavoro, amici, vicini incontrati eamati…Abbiamo visto nasceredei bambini che ora sono nonni.Altri non ci sono più.

In questa occasione mi è ve-

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La fraternità all’angolo della strada.

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nuta l’idea di scrivervi, ma senzaavere molte idee. Si dà il casoche il mese scorso abbia scritto,per me, una piccola riflessionerispondendo ad una domandache era stata fatta alle piccolesorelle. L’avevo comunicata aifratelli di Londra (la fraternità ge-nerale) che mi dissero che si sa-rebbe potuta pubblicare con idiari. E allora eccomi qua. Sarà ilmio diario dei 40 anni.

La domanda era: «Ma a co-sa serve la vostra vocazione?»Da molto tempo avevo voglia diriflettere su questo tema dellafecondità della nostra vita. Ave-vo pensato che dopo il Capitolosarebbe continuato l’approfon-dimento del tema “Suscitare lavita” con il corollario “Salvatoricon Gesù”.

Vedevo anche che nei testipreparatori alla riunione dei re-gionali, molti dicevano di sentir-si contro-corrente nella Chiesae nella società. Di sicuro, nonsiamo più molto compresi…Hoscritto allora questo piccolo te-sto. Non so cosa ne penseretee se possa suscitare un qual-che interesse…è comunqueun’occasione di comunicare tradi noi.

L’idea fondamentale è chel’amore è fecondo, “l’Amore dàVita”. Questa fecondità è moltoinvisibile e misteriosa, è anchequesta una realtà di Fede e diSperanza,…

« A cosa serve, la tua vo-cazione ? “

Apparentemente ‘a nulla’, èvero, come per ogni vita con-templativa. (Ci si ricordi l’episo-dio di Marta e Maria).

Forse non è inutile ripeterequalcuna delle cose di cui sonoconvinto. Perché credo nellamia vocazione e sono contentodi vivere così…?

La mia unica “opera” è ama-re: Amore e Amicizia gratuiti perGesù e per la gente di umilecondizione sociale, lavoratori,ecc.

L’amore di Gesù mi spinge alavorare come Lui al Progettodel Padre: il Regno che è libe-razione e amore universale di fi-gli e di fratelli.

Seguendo Ch. de Foucauldsono un appassionato di Gesùdi Nazareth a Nazareth, questosegnerà tutta la mia maniera divivere e di amare.

Allora in questo mondo diviolenza, di corruzione, di mise-ria e di esclusione, come parte-cipo a questo progetto di Dioche è Amore e Vita?

In questo mondo in cui qua-si tutto è “interesse” e “effica-cia”, amo vivere la gratuità del-l’amicizia e, contemporanea-mente, credo alla misteriosa fe-condità della mia vita donatamalgrado e con le mie “mise-rie”…

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In un mondo diviso da “di-scriminazioni” e da “esclusioni”politiche o ideologiche, tento divivere l’unità, la comunione, lamisericordia, il perdono, la ri-conciliazione e il rispetto di ognipersona come è e nella sua dif-ferenza.

In un mondo come il nostroche opprime e scava il fossatotra ricchi e poveri, oramai anche

a Cuba, tengo a mantenere lamia opzione preferenziale (nonesclusiva) per i poveri perchéabbiano stima in sé stessi (“haivalore ai miei occhi”) e una vitapiù umana e più degna.

In un momento nel qualenella nostra Chiesa e nella no-stra società, molti tentano difuggire o di evadere dalla duracondizione di vita, trovo un

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Humberto con dei vicini.

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profondo senso evangelico acondividere la vita reale dellagente con le loro difficoltà, le lo-ro gioie, le loro miserie, “restri-zioni” e limitazioni.

In un mondo tentato dallaconsumazione e una Chiesa,generalmente piuttosto privile-giata, amo vivere nella sempli-cità e in una solidarietà e comu-nità di sorte: “poveri con i pove-ri” per uscire dalla povertà.

Nella nostra Chiesa tropposovente trionfalista e che cercaimportanza e visibilità, credonella “grandezza di ciò che èpiccolo”, la mistica del quotidia-no e dell’ordinario che è il desti-no più comune degli uomini nelmondo intero.

In una Chiesa frequente-mente conservatrice e in re-gressione rispetto al Concilio,cercando di vivere la “sicurez-za” e una morale piuttosto di-fensiva, voglio centrare la miavita su Gesù solo, ritornando alVangelo.

In presenza di una Fedespesso intimista, carismatica,lontana dalla vita, tento di vive-re la preghiera, legata alla vita:vita come “inno” (alla San Fran-cesco) vita come intercessionee vita eucaristica e pasquale,nella convinzione che Dio ha

una via invisibile e misteriosa di“salvezza” per ogni uomo nellasua vita concreta, così povero evulnerabile che egli sia.

Di fronte alla non credenza,all’indifferenza e al sincretismodella nostra società tengo ad af-fermare l’Assoluto di Dio trami-te la mia preghiera prolungata esilenziosa come con dei sog-giorni in solitudine.

Si, constato che sovente, unpo’ dappertutto, siamo contro-corrente nella Chiesa e nellaSocietà, può darsi che non ap-portiamo gran che, ma può es-sere che la crescita invisibiledel Regno passi dalla “casa delpovero”… Non sono altro cheun piccolo segno, un piccolo se-me e un umile invito, ma forsenon completamente inutile all’o-ra del nostro mondo postmo-derno e della nostra Chiesa po-st-conciliare. Dio solo sa…Ilmomento non è tanto quello diinterrogarsi ma di vivere.

Mi sento unito a tutti quelliche nel mondo intero lottano,ognuno alla sua maniera, perun vero “vivere insieme” e un’al-tra qualità di vita a tutti i livelli:materiale, morale e spirituale.

«Là dove c’è amore, là c’èDio».

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INDICE

da Londra-Peckham (Regno Unito) pag. 5

da Marc Hayet » 9

da Torino » 12

da Mylasandra (India) » 16

dall’Italia » 21

da Holguin (Cuba) » 26

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