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10 prepotentemente e violentemente riportato nel gor go delle sue tempeste esistenziali. Così La guerra del 1954 già allora significativamente contrastava con il tentativo di ‘evasione’ rappresentato dalla Ballerina picassiana ovvero dalle equivoche e sensuali ‘donne dei marinai’ rammentate. Nel 1958, lasciata oramai la Marina, Orler fu invitato per la prima volta dal conservatore Dor de la Souchère a tenere una personale al Musée Grimaldi di Antibes, il rinomato centro d’arte moderna dove era presente anche Marc Chagall e dove con lui esporrà anche Schweizer , ricevendo positivi commenti dalla critica. Precedentemente Orler aveva esposto le sue opere in una località non distante dal suo paese natale: a San Martino di Castrozza, un antico castrum romano all’e- stremità settentrionale della sottostante Valle di Primiero, dove sor gerà, nel Medioevo, lo ‘spedale’ per ‘bianti’ dei Santi Martino e Giuliano (cioè l’ospizio per i viandanti provenienti o diretti nella Val di Fiemme attra- verso il Passo Rolle), poi località sciistica e turistica fin dalla seconda metà dell’Ottocento; proprio l’Alpe di Castrozza, insieme a Mezzano, diverrà un luogo magico nei suoi ricordi. Specialmente la mostra francese dette la possibilità ad Orler di aprire la sua arte ad esperienze internazio- nali e di conoscere alcune delle figure più eminenti nel panorama culturale dell’epoca, come lo stesso ‘sacro mostro’ Pablo Picasso (al quale, tra gli artisti italiani, si era precocemente avvicinato, al di là delle mode ‘servi- li’), la scultrice Germaine Richier (1904-1959), gli scrittori e poeti Jean Cocteau (1889-1963, che fu anche illustratore delle sue stesse opere e pittore) e Jacques Prévert (1900-1977). Inoltre, a Venezia aveva avuto la possibilità di entrare a far parte di quella sorprendente élite di giovani artisti emer genti, nella quale si incon- travano e si scontravano le nuove poetiche e le nuove filosofie neorealiste, neoespressioniste, astrattiste e informali. Come fosse allora letta e sentita l’ope- 15. Meli in fiore in laguna , 1961, olio su tela, cm 67x100 16. Case a Sant’Erasmo , 1961, olio su tela, cm 70x100

I sentieri dell'anima

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sentieri anima

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prepotentemente e violentemente riportato nel gor godelle sue tempeste esistenziali. Così La guerra del 1954già allora significativamente contrastava con il tentativodi ‘evasione’ rappresentato dalla Ballerina picassianaovvero dalle equivoche e sensuali ‘donne dei marinai’rammentate.

Nel 1958, lasciata oramai la Marina, Orler fu invitatoper la prima volta dal conservatore Dor de la Souchère atenere una personale al Musée Grimaldi di Antibes, ilrinomato centro d’arte moderna dove era presente ancheMarc Chagall e dove con lui esporrà anche Schweizer ,ricevendo positivi commenti dalla critica.

Precedentemente Orler aveva esposto le sue opere inuna località non distante dal suo paese natale: a SanMartino di Castrozza, un antico castrum romano all’e-stremità settentrionale della sottostante Valle diPrimiero, dove sor gerà, nel Medioevo, lo ‘spedale’ per

‘bianti’ dei Santi Martino e Giuliano(cioè l’ospizio per i

viandanti provenienti o diretti nella Val di Fiemme attra-verso il Passo Rolle), poi località sciistica e turistica findalla seconda metà dell’Ottocento; proprio l’Alpe diCastrozza, insieme a Mezzano, diverrà un luogo magiconei suoi ricordi.

Specialmente la mostra francese dette la possibilitàad Orler di aprire la sua arte ad esperienze internazio-nali e di conoscere alcune delle figure più eminenti nelpanorama culturale dell’epoca, come lo stesso ‘sacromostro’ Pablo Picasso (al quale, tra gli artisti italiani, siera precocemente avvicinato, al di là delle mode ‘servi-li’), la scultrice Germaine Richier (1904-1959), gliscrittori e poeti Jean Cocteau (1889-1963, che fu ancheillustratore delle sue stesse opere e pittore) e JacquesPrévert (1900-1977). Inoltre, a Venezia aveva avuto lapossibilità di entrare a far parte di quella sorprendenteélite di giovani artisti emer genti, nella quale si incon-travano e si scontravano le nuove poetiche e le nuovefilosofie neorealiste, neoespressioniste, astrattiste einformali.

Come fosse allora letta e sentita l’ope-

15. Meli in fiore in laguna,1961, olio su tela, cm 67x100

16. Case a Sant’Erasmo , 1961, olio su tela, cm 70x100

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ra di Orler lo possiamo constatare nelle ‘datatissime’recensioni del critico Paolo Rizzi dalle colonne del“Gazzettino”. Nel 1957, in occasione della mostra allaFondazione Bevilacqua La Masa, egli parlava di “foco-so temperamento, sempre alla ricerca di nuove forme diespressione” e individuava subito in lui una matricepicassiana, del resto già presente fin dalle composizionieseguite dall’artista nel 1954 (opere nelle quali MarilenaPasquali avrebbe in seguito individuato un modellopicassiano relativamente alle “figure contorte, brulican-ti, fortemente espressive che popolano le Tempeste, iPorti e le Guerre”). La ceramica con un San Giorgio,esposta appunto alla Bevilacqua La Masa, aveva, a suodire, un “calore primitivo”, che colpiva l’osservatore.Qualche mese più tardi, nel 1958, Orler espose, con l’a-mico Schweizer, ancora alla Bevilacqua La Masa: que-sta volta fu notato come più evidente il suo picassisme;ma vi erano pure delle composizioni più libere nellequali, secondo Rizzi, l’artista “riesce meglio ad espri-mere le sue innegabili qualità espressive”. Seguiva unapersonale al galleria del Centro San Vidal,

sempre a Venezia, sul finire del 1959. Ed è in quell’oc-casione che “la pittura di Orler acquista il significato diuna riscoperta, fatta con occhi nuovi e smaliziati”.Furono allora esposti alcuni paesaggi montani nei quali,sempre secondo Rizzi, “par di sentire l’espressioneintensa di un ricordo lontano, pieno di calore”. I branipiù riusciti erano quelli che “ritraggono, in uno stile cheha il fascino del racconto ingenuo e un po’rozzo, le vec-chie case del paese natio, cariche di suggestivi toni bru-niti, rischiarate qua e là da macchie vive di colore”:significativo, in tal senso, è l’olio del 1956, con il pae-saggio montano di Mezzano (fig. 5), dominato, quasi perdissonanze, dai prati verdi e dagli alberi naïf (la sua naï-veté verrà sottolineata anche dal rammentato de laSouchère), dalla chiesa e dalle case rurali tipicamentetrentine (con la legnaia e il piol per l’essiccazione delgranturco) deformate nella volumetria e, in parte, cubi-sticamente dissezionate. Accenti naïf,intrisi di reminiscenze

17. Venezia, 1960, olio su tela, cm 100x75

18. Campo Santa Maria Mater Domini, 1961,

olio su tela, cm 78x100

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esistenzialiste amaramente nostalgiche verso certoambiente meridionale, immortalato da GiuseppeMigneco, sono riscontrabili anche ne La Toch, del 1958(fig. 6) o ne La Processione in costume sar do (fig. 7) ene La Raccolta delle olive (fig. 8), ambedue del 1959.

Anche altri critici, come Guido Perocco e GigiScarpa, lodano la forza “nativa” di Orler, la verità dellasua nostalgia montana, l’essenza sentimentale e liricadi una pittura al di fuori dei manierismi di moda.Ancora recentemente (in “Arte a Cortina”, inverno2004) Paolo Rizzi ricorda, di allora, “quei quadri rozzie forti, ricolmi di ener gia” e “fuori dalle maniere […],densi di colore, talora agitati secondo l’impulso vango-ghiano” e Davide Orler come un “montanaro […], un‘puro’ che ha sempre viaggiato lungo la stradadell’Utopia, tra primitivo e colto […]. In sostanza: ilsenso rude della terra natia rivelato attraverso una pit-

tura visionariamente espressiva”.Sta qui, proba-

bilmente, il motivo primo e più ‘superficiale’ del suc-cesso dell’artista e forse anche dei vari riconoscimentipubblici e privati che egli ottenne nel fecondo periodoveneziano degli Anni Cinquanta, calcando allora lamano sugli aspetti esteriori e cromatici di quella sorta disuo indubitabile lirismo naïf, naïveté che la Pasquali,però, nel 2003 ha voluto addirittura, ma impropriamen-te, negare, dando a tale termine, oltre tutto, una conno-tazione quasi di falsità e demagogia, per altro, nonrispondente alla realtà storica di tale ‘movimento’. Cosìfacendo, però, a nostro avviso si era perso di vista ilsignificato più autentico e profondo sotteso alle sueopere, che sarebbe più liberamente sgor gato solo nellasua produzione posteriore.

Così, ‘ naïf’ e ‘picassismo’ avrebbero segnato pertroppi anni, nella critica, l’opera orleriana, decontestua-lizzando tali caratteristiche dalla forza oniricamente pro-fetica (o poetica?) sottesa ai suoi dipinti ‘esistenziali’,fortemente emotivi, che così venivano ad essere, in qual-che modo, banalizzati e ridotti nel più genuino messag-

gio artistico, ancorché il picassismo di

19. Un canale a Venezia, 1961, olio su tela, cm 100x90

20. Interno d’atelier, 1963, olio su tela,

cm 154x99,5

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quegli anni, in Italia, vada ancora considerato come‘precoce’ e non certo un’adesione alla moda o di manie-ra, come, purtroppo, lo sarà in seguito in molti ambientie per vari pittori.

Significativo resta, invece, l’incontro-scontro conPeggy Guggenheim, nel cui salotto era stato introdottodall’amico spazialista Tancredi (1927-1964): un’occa-sione perduta, certamente (come egli stesso ci ricorda),ma anche una conferma dell’onestà del suo tempera-mento di uomo e di artista, che la dice lunga sulla suaconcezione dell’arte, ben al di là dei suoi “toni bruni delpaese natio” o della scontata volontà di voler ricercare inlui una matrice picassiana, in seguito (ma, ribadiamo,solo in seguito!) praticamente comune a tutti i pittori.

Più significativa per comprendere il vero Orler, senzaincorrere in equivoci o abbagli storiografici, a nostroavviso, è la serie di splendidi ritratti del 1957-1958,alcuni di ascendenza latamente tedesca e kirchneriana,dalla Figura di donna (fig. 9), resa con veloci pennella-te nere ed ocra, alla Ragazza in poltrona (un olio daiforti accenti espressionisti: fig. 10), al

Ritratto dello scultor e Silvio Alchini (dagli accenti piùmarcatamente realisti e psicologici: fig. 1 1), allaMaternità (fig. 12), di gusto - questa sì - più simbolica-mente picassiano. Pause di serenità sono, in questoperiodo, alcune composizioni plastiche e di immediatorealismo, come, ad esempio, il gioco sapiente di pan-neggi, oggetti e animali dello smalto su carta Gatti e chi-tarra, del 1959 (fig. 13).

In questo delicato e travagliato momento la riflessio-ne su letture sacre e di letteratura francese - in particola-re del poeta e scrittore Paul Valéry (1871-1945), indi-menticabile autore de Il cimitero marino - lo spinse aduna riconsiderazione dell’universo panteistico giovanile,per approdare ad una più autentica fede cristiana.

Altre sue costruttive letture di quegli anni riguarda-rono i ‘Poeti Maledetti’, ad iniziare da CharlesBaudelaire (1821-1867), ma anche Paul Verlaine (1844-1896), Rainer Maria Rilke (1875-1926), i poeti russi

21. In croce, 1962, olio su tela, cm 200x110

22. Deposizione, 1962, olio su tela, cm 161x140,5

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dell’Avanguardia - come Ser gej Aleksandrovi� Esenin(1895-1925) - e Federico Garcia Lorca (1898-1936).

La svolta religiosa ed esistenziale quasi si concretiz-zerà emblematicamente nella distruzione delle prece-denti opere in ceramica da lui eseguite, gettate da duebarconi nelle solitarie calli di Venezia nella secondametà degli Anni Sessanta.

Frattanto, al 1960 risale il primo prestigioso ricono-scimento, la medaglia d’oro ottenuta alla Quadriennaledi Roma.

Proprio negli anni 1959/1960, con l’af fiorare nellesue opere del tema a carattere sacro e nel ritrovare l’ar-tista la propria identità nel rapporto con Dio, si può indi-care la grande ‘svolta’ esistenziale ed artistica. Così, neidolci paesaggi dipinti a partire dal 1960-1961 ( S.Erasmo - fig. 14; Meli in fiore in Laguna - fig. 15; Casea S. Erasmo, dalle solide volumetrie di ascendenza quasi

nordica: fig. 16; Scorcio veneziano , diindubbio fascino

anche per il taglio prospettico degli edifici che si rispec-chiano in acque immobili alla Carrà: fig. 17; Notturno aCampo Santa Maria Montedomini , con l’accensionegialla delle luci delle case nella notte, che ci fa venire inmente alcuni notturni ‘popolari’ livornesi del postmac-chiaiolo Renato Natali: fig. 18; Un canale a Venezia: fig.19), al di là delle pur apprezzabili, ma esteriori compo-nenti naïf, si intravede chiaramente la prima serenitàriconquistata, con tenacia e fatica: l’alba radiosa e pienadi speranze di un nuovo giorno esistenziale si dischiudenella contemplazione francescana del creato, visto quasicon gli occhi di un bambino (nonostante egli avesse ora-mai trent’anni), con la purezza e la genuina freschezzache trasforma tutto in un Eden primordiale. Ora i nottur-ni divengono notturni silenti di pace e di serenità e anchela morte (basti pensare al Transito di San Francesco, del1961) diviene accettabile, accettata e quasi ‘sorella’.Sempre in tal senso si osservino le due raf figurazionidello studio dell’artista, rispettivamente del 1958 e del1963 ( Interno d’atelier , fig. 20, reinterpretando, nella

composizione, lo stesso soggetto di

23. Resurrezione, 1963, olio su tela, cm 140x180

24. Stefano Meneghin, 1963, olio su tela, cm 70x50

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Johannes Vermeer, del 1666) e così profondamentediverse tra di loro: vuoto (o meglio, con un’assenza cheè un’angosciante, incombente presenza) e ‘scompagina-to’ nella confusione il primo, ordinato e con la solidapresenza fisica del pittore il secondo. L’impiccato (tras-litterazione poetica attraverso il ricordo di un fatto realedi cronaca) sta quasi a sigillare un passato, ’uccidendo’ovvero chiudendo, con quella corda robusta, un passatodi traversie e un’età di incubi e di mostri tutti freudiana-mente nascenti dal di dentro e proiettati al di fuori, perapprodare all’età dei mandorli in fiore e del sole radioso(pensiamo agli omonimi soggetti dipinti in alcune sueopere del 1964). Una visione di limpide certezze in unarinnovata Età dell’Oro, dove, quasi ficinianamente, nelsole, nella sua luce e nel suo calore, si rispecchia la pacee la grandezza del Divino (“in lumine tuo videbimusLumen” aveva scritto nel Quattrocento il filosofo tosca-no, a conclusione del terzo libro del De vita). E ancorain quell’interno con il pane frugale e la Bibbia sul nudotavolo di legno antico si rispecchia l’aspirazione auten-tica ad un rigore e ad una semplicità tutte

proprie di un francescanesimo vissuto nella convinzioneche anche l’arte divenga o possa divenite un instrumen-tum provvidenziale.

Nel 1964 giunge il secondo ambito riconoscimento: ilpremio ottenuto presso la Fondazione Bevilacqua LaMasa di Venezia.

Tra le nuove opere a carattere sacro di Orler risalen-ti agli anni Sessanta non possiamo dimenticare duegrandi oli del 1962: In Croce (fig. 21) e Deposizione(fig. 22), il primo con una visione di Cristo crocifissodesuetamente visto di profilo, dove il rosso scarlattodel perizoma contrasta con il blu notte del fondale econ il livido paesaggio dalle lontane eco annigoniane,personalizzate attraverso tur gide ed ‘ingenue’ nubi. Ilsecondo è qualificato dalla solenne postura delleimmagini, in una composizione estremamente modernae sofferta, ma dalle suggestive reminiscenze antiche dasacra rappresentazione, con riferimen-ti precisi tratti anche

25. Natura morta, 1965, olio su tela, cm 60x40

26. Natura morta, 1963, olio su tela, cm 55x75

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dal primitivismo popolare del ‘doganiere’ HenriRousseau (1844-1910). Nella Resurrezione (fig. 23),dell’anno seguente, dalle connotazioni più marcatamen-te simboliche, il Cristo, nel giardino fiorito della nuovavita, emerge dal sepolcro, vincendo con la croce le fiam-me del peccato e della morte.

A tale periodo appartengono ancora schietti e genui-ni ritratti, contrastanti con fondi informali dalle velocied ampie pennellate ( Stefano Meneghin , del 1963: fig.24), semplici nature morte di grande immediatezza neivividi e rutilanti colori ( Natura morta , 1963: fig. 25;Pane, cipolla, finocchio e car ota, 1965: fig. 26) e unasuggestiva tela raf figurante i Bracconieri con spiedosulle Dolomiti (fig. 27), incentrato sulla vivace fiammache illumina la selvaggina mentre tutt’intorno, nell’o-scurità della notte e nel fumo emer gono le statiche eprovate figure dei bracconieri, dove possiamo leggervi

anche un omaggio a certi ‘omini’ diOttone Rosai.

Spesso i suoi quadri, i quadri di questo nuovo Orler ,convertitosi nell’esuberanza, appunto, del neofita, sonoora influenzati anche dall’opera di un grande maestroitaliano del tempo, da lui conosciuto nel 1958 e profon-damente stimato ed ammirato: Felice Carena, che si eratrasferito da Firenze a Venezia dopo la guerra.Specialmente dal 1967, il periodo per così dire ‘carenia-no’ di Orler, egli trasforma la rappresentazione delle tra-gedie umane da una pessimistica e passiva visione didisperazione ad un momento epico di positiva e costrut-tiva riflessione. Un figurativo sanguigno e decisamenteanticonformista, giustamente propugnato come innova-tore, in un’Italia intellettuale che allora quasi riconosce-va esclusivamente come arte la via dello Spazialismoastratto di Lucio Fontana (e la querelle tra Orler eFontana stesso dimostrano ampiamente l’humus di queifecondi e indimenticabili Anni Sessanta).

I richiami, pur presenti nelle opere di Orler , allamorte non sono più - o lo sono sempre meno frequente-mente - angoscianti incubi (come Dietro le sbarr e, del

1965 - fig. 28, dai riferimenti ancora una

27. Bracconieri con spiedosulle Dolomiti, 1963, olio su tela, cm 150x200

28. Dietro le sbarre, 1965, olio su tela, cm 45x35

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volta ad Edvard Munch), né fughe dal gor go soffocantee insostenibile della depressione, né esorcizzazioniubriacate e stordite nella presenza di una ‘materia-dio’opprimente, ma divengono una tranquilla, serena e natu-rale constatazione, un non temuto memento mori , sim-boleggiato dalla ripetuta presenza di quel teschio che ilfratello missionario Cesare gli aveva portato dal SudAfrica, appartenente ad un giovane di colore ucciso inquei funesti momenti, dominati dal bestiale razzismodella Apartheid: si pensi, ad esempio, a Composizionecon teschio e ananas e Composizione con teschio ,ambedue del 1965, oppure a Fiori, conchiglie e teschio,del 1968 (fig. 29), che già, per taluni aspetti, instauranoil periodo careniano di Orler (si confronti, ad esempio,Natura morta con teschi e clessidra , dipinta da FeliceCarena nel 1950). La trasfigurazione di quel teschio inun simbolo di risurrezione dello spirito oltre la morte sitrasforma, così, indirettamente, anche in una pacatadenuncia sociale, ponendosi dalla parte dei ‘piccoli’ dievangelica memoria. La stessa serenità traspare dallatrasfigurazione de La montagna incantata

del 1965, dove l’astro rosso risplende tingendo le vettepurpuree e i campi di grano quasi come in una notte d’e-clisse, oppure nel Sole a Fedai (del medesimo anno),dominato appunto da un gigantesco sole all’orizzonte,ingrandito e onnipresente come attraverso suggestivelenti telescopiche.

Nel 1966/1967 Orler torna al vecchio tema legato aidrammi di calamità naturali, ma questa volta le “alluvio-ni” a Mezzano di Primiero, evento risalente a quel 4novembre 1966 noto soprattutto per i grandi danni cheallora subirono anche Firenze e Venezia, rispecchianouna maestosità solennemente etica e vibratamente care-niana, ben lontana, come si è detto, dalla lacerante dispe-razione gridata e senza speranza, da quella notte profon-da senza alba delle sue opere risalenti al 1954-1955. Unagenuina pietas, come ha giustamente ricordato recente-mente il Rizzi, che però va ben oltre gli “accenti umana-mente struggenti”, per assurgere al tonop o d e r o s a m e n t e

29. Fiori, conchiglia e teschio ,1968, olio su tela, cm 45x75

30. Campagna al tramonto,1972, olio su tela, cm 60x70

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epico di petrigna coralità esistenziale. Un evento perso-nale contribuirà, in quegli anni, a raf forzare le compo-nenti di incanto e serenità, ma anche di accettazionepacata dei drammi e delle miserie umane, che traspaio-no dalle sue opere: il matrimonio con la compagna dellasua vita, Carmela Zanda, sposata l’11 febbraio 1966.

All’inizio degli Anni Settanta Orler riscopre pure ilcollage, ma questa volta in maniera nuova e concettual-mente anticonformista, non più legata a picassismi: vici-no ad alcune esperienze della Pop Art americana ed ita-liana (si vedano I campi dallo studio , Campi dallo stu-dio a Favaro, ambedue del 1971, oppure Campagna altramonto, del 1972 - fig. 30, con l’apporto materico delcolore spremuto direttamente dal tubetto) e, insieme,anche vicino (in tempi ancora non sospetti!) a certeespressioni del Nouveau Réalisme propugnato da PierreRestany (nonostante egli, nelle sue memorie, si dica lon-

tano sia da questa espressione artisticache dalla Pop Art,

dall’Informale, dal Concettuale o dall’Optical Art), lesue tele e le sue tavole si coprono di accumulazioni dioggetti di scarto della società moderna. Si tratta di mate-riali che non servono più o che, comunque, non possonopiù servire per lo scopo per il quale erano stati creati,come tubetti di colore spremuti, barattoli di vernice evecchi pennelli, innalzando ad ‘opera d’arte’ qualsiasioggetto di rifiuto della moderna civiltà dei consumi, asignificare come cose che hanno perso la loro funzionenon meritano di essere cinicamente gettate, ma possanoassumere un altro ruolo ed un’altra dignitosa funzione(quella di trasmettere un concetto tramite forma artisti-ca). In altre parole, fuori dalla metafora e dal simboli-smo, anche ciò che pare inutile nel mondo della produ-zione e dei consumi ha, invece, un suo oggettivo edintrinseco valore.

Inoltre, l’’accumulazione’ di oggetti rotti o consuma-ti diviene quasi il desolante e disincantato ‘repertoarcheologico’ ante litteram del futuro, concernente lanostra civiltà, spesso priva di valori profondi e durevoli

e di concetti legati al Bello e alla

31. Busillis, 1974, tecnica mista su tela, cm 65x80

32. Frutta e composizione, 1974, tecnica mista su tela,

cm 70x50

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Trascendenza. Basti pensare ai suoi Campi di inquina-mento del 1975 o alle accumulazioni di corde ed ogget-ti usati oppure rotti per rendersene immediatamenteconto, sebbene in Orler rimanga sempre vivo il richia-mo, tramite anche questi poveri rifiuti, alla raffigurazio-ne di altri spazi e paesaggi reali, in quanto la sua è erimane sempre un’arte figurativa, non influenzata dallepur rilevanti esperienze nel campo dell’Astrazione e del-l’Informale (pensiamo a Frammento di paesaggio ;Campi dall’aereo; Tavolo di pittore; Vaso di fiori esoti-ci, tutti del 1972). Tra queste sue opere rammentiamo,inoltre, Busillis (fig. 31); Frutta e composizione (fig.32), dalle indubbie assonanze concettuali con alcuni col-lage di Mario Schifano; Composizione con uovo (fig.33); Grande sole (fig. 34, tutti del 1974); Paesaggio intempesta (fig. 35); Mare - Donna cananea (del1975/2001: fig. 36), fino al Senza titolo (fig. 37), del1989, in cui i vivi smalti e le macchie di colore jeté con-trastano con le candide geometrie delle carte applicate, ealle Nuvole e erbe , del 1994 (fig. 38), che si richiamaancora a Jackson Pollock (1912-1956),

come già, per taluni aspetti, Paesaggio in tempesta n. 3o L’uomo e l’universo, del 1975, dove ad un effetto visi-vo quasi di dripping pollockiano si accostano, in unaaction painting che invade interamente il supporto, conrisultato all over, accenti figurativi e inserzioni di colla-ge e materiali diversi che ammiccano alla Pop Art nellasua versione italiana e segnatamente romana di Piazzadel Popolo (certi “paesaggi anemici”, “turbolenze” oimpostazioni della figura umana in posture classiche equasi michelangiolesche, che rimandano a MarioSchifano, a Franco Angeli e a Tano Festa).

Sempre nel 1972 Orler si accosta anche all’osserva-zione dei grandi cicli musivi ravennati e all’arte diascendenza bizantina, riscoprendo in essa le radicidella più genuina cultura cristiana delle origini. In talmodo, l’ammirazione per l’universo artistico prerina-scimentale, così pregno di simboli sacri e di misticisignificati, lo aveva già aperto ointrodotto, quasi

33. Composizione con uovo, 1974, tecnica mista, cm 80x40

34. Grande sole, 1974, tecnica mista su tela,

cm 110x100

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casualmente (o provvidenzialmente?) fin dal 1965,anche alla conoscenza delle icone orientali e particolar-mente russe: un incontro ovvero una letterale ‘folgora-zione’ che avrebbe segnato per sempre la sua vita diuomo e di artista, come ricorda egli stesso, non senzacommossi accenti di viva emozione: “mi aveva colpitoqualcosa di molto lontano da qualsiasi concetto di artecui ero abituato in quegli anni, ma allo stesso temposuscitava in me una forza magnetica irresistibile: forse lastessa che aveva scioccato Matisse durante il suo viag-gio in Russia agli inizi del secolo e nella quale af fonda-no le radici di Marc Chagall fino all’ultima sua produ-zione pittorica, le grandi raf figurazioni della Bibbia”.Gli astratti fondi oro che rimandano al fulgore di Dio, lefigure ascetiche e immutabili nel tempo (avvolte da unsenso mistico, ad un tempo popolare e raf finato), com’èimmutabile quel mondo divino che cercano di far intui-

te, si rispecchieranno in maniera assaiampia nella produ-

zione artistica a carattere sacro di Davide Orler , in unmodo che travalica decisamente quelle indubbie asso-nanze iconologiche presenti in alcuni lavori orlerianidegli Anni Novanta (come, ad esempio, la Trinità ange-lica, del 1996 - fig. 39 - e quella del 1997, oppure la raf-figurazione della Natività, sempre del 1997: fig. 40).

Dal 1958 fino al 1978 Orler ha tenuto circa cento per-sonali sia in Italia che all’estero (comprese quelle assaisignificative nelle gallerie d’arte moderna di Parigi e diZurigo), ma proprio il 1978 rappresenta per lui la fine diun’epoca artistica, sebbene proprio in quell’anno ese-guisse alcuni affreschi in Tanzania (che seguivano quel-li nel Transvaal, del 1972): in seguito e fino al 1987, peruna molteplicità di motivi contingenti, la sua attività pit-torica si rarefà, pur appartenendo a tali anni alcuni inte-ressanti collages d’avanguardia, realizzati con carteluminescenti, e tutta una produzione minore a cavallet-to, con paesaggi lontani.

La profonda conoscenza dell’arte e del sentimentoreligioso dell’Europa Orientale e segnatamente della

Gran Madre Russia, che anche nella vita

35. Mare. Donna cananea,1975/2001, tecnica mista su tela, cm 70x100

36. Paesaggio in tempesta, 1975, tecnica mista su tela,

cm 100x130

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di collezionista e di mercante lo ha così indelebilmentesegnato (portandolo ad avere, com’è ampiamente noto,una delle più importanti raccolte di icone russe presentinell’Europa Occidentale), ha influenzato soprattutto lasua ultima produzione, ad iniziare dal 1987/1989 e,soprattutto, dalla metà degli Anni Novanta (una veranuova giovinezza creativa), che, per sua espressa volon-tà ed essendone egli perfettamente cosciente, vuolequasi essere il suo testamento spirituale di uomo e d’ar-tista. Rileggendo il Discorso agli Artisti scritto da PaoloVI (7 maggio 1964) e facendolo visceralmente suo finonei più reconditi accenti tra le righe, ha prepotentemen-te (ancorché umilmente) voluto af fermare che anche ilModerno può ed anzi deve avere un messaggio di fede,come ha avuto in passato (concetto, peraltro, poi ribadi-to da Giovanni Paolo II nella sua Lettera agli Artisti del4 aprile 1999).

Infatti, come egli sostiene e come ha già espresso nel1988 un raf finato e sensibile critico d’arte, purtropporecentemente scomparso, Elvio Natali, “che l’arte sacrasia viva ancor oggi, fra tanti vaticini di

morte, è testimoniato da documenti di altissimo pregioestetico. Come non citare, fra gli altri, Rouault, Chagall,Matisse, Sutherland e, fra i nostri, Manzù, Fazzini oGreco”. Del resto, come già aveva espresso il BeatoAngelico, “per dipingere Cristo bisogna vivere conCristo”. Ciò nonostante, l’arte ha le sue leggi e anche lafede più profonda non può di sé autenticare l’opera pit-torica religiosa (facendola assur gere ad Arte Sacra) senon supportata da una reale intuizione creativa edall’’abito’ dell’arte, che è forma (cioè struttura espres-siva), stile e ritmo personale dell’artista: come af ferma-va il poeta Vladimir Majakowskij, “l’idea più grandemorirà se non le daremo una forma adeguata”.Sostanzialmente resta sempre attuale il principio dellaScolastica, concernente lo splendor formæ , cioè splen-dore della sostanza interiore attraverso la forma comeessenza.

In quest’ansia palpitante di Davi-de Orler nel voler

37. Senza titolo, 1989, smalti e collage, cm 157x75

38. Nuvole e erbe, 1994, tecnica mista, cm 74x92

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lanciare e lasciare questo suo messaggio, quasi che iltempo non gli bastasse (e quasi in ‘lotta’ con esso), igrandi problemi esistenziali insoluti ed insolubilidell’Uomo si riversano come un gor go straripante sullatela, attraverso ampie pennellate gestuali, fluide e velo-ci, creando vorticosamente opere nuove di grandeimpatto emotivo, come le cento raf figurazioni ispiratealle storie del Vecchio e del Nuovo Testamento, total-mente aliene da qualsiasi retorico pietismo e da un’oleo-grafia volgare, fatta di abbandoni e estasi mielosamentestomachevoli. Parallelamente, pur influenzato dallaricerca della Verità e dello Spirito che traspare dalleicone sacre russe, Orler rimane un uomo e un artistaoccidentale, che segue una concezione diversa dallavisione orientale ed ortodossa della divinità, raf figuratanelle icone, dove l’Assoluto si por ge all’uomo in unastatica immobilità figurale di derivazione ancora bizan-

tina e ritratta con la devozione di unpuro ed esclusivo

atto litur gico, come un mistico sacramento. La civiltàdell’Occidente interpreta e vede Dio come vivente ininteriore homine , cioè calato dentro il cuore dell’uomoattraverso Cristo e pertanto, come tale, figurabile inmaniera dinamicamente mutevole come la vita. Ed èproprio il vibrante dinamismo della pennellata, sempremutevole e diversa, di Orler, pur sempre nell’ortodossiadel dogma, che qualifica stupendamente i suoi quadri, inuna visione escatologica del Cristianesimo che anela etende all’ecumenismo, come le sue dinamiche e vortico-se figure anelano e tendono al Salvatore. Un Orler che,ponendosi contro un piatto e svilente materialismo e, nelcontempo, contro uno sterile e banalizzante angelismo,riunisce l’unità e l’armonia dell’umano con il Divino,che tornano ad incontrarsi. In ultima analisi, la rispostaa Paolo VI, che diceva, rivolto agli artisti, “noi abbiamobisogno di voi!”, e a Giovanni Paolo II, che, rivolto sem-pre agli artisti quali “geniali costruttori di bellezza”,auspicava “tra Vangelo e arte un’alleanza feconda” in unrinnovato dialogo.

La prima opera che ci colpisce in tal

39. Trinità angelica, 1996, smalti su tavola, cm 150x184

40. Natale, 1997, smalti su tela, cm 150,5x205

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senso è proprio l’ Incontro, del 1989 (fig. 41), una rivisi-tazione originalissima e visionaria degli ‘incontri’ diVirgilio Guidi, riproiettati in uno spazio e in una scenareali (naturali) e non più sospesi in una totale luminositàeterea e atemporale. A questa, ad iniziare dal 1996,seguono - solo per fare qualche esempio, oltre a quelliesposti in mostra ed analizzati nelle singole schede - lapolicroma e luminosa Epifania, del 1996 (fig. 42), quasiuna sorta di nuova epifania della bellezza che salva (perusare un’espressione di Giovanni Paolo II, tratta dallarammentata Lettera agli Artisti scritta in occasione dellaPasqua del 1999); il Carro di Sant’Elia , del 1997 (fig.43), il cui vorticoso dinamismo è, in un certo senso, lareinterpretazione in chiave sacra di quello futurista diBoccioni e di Balla; Le tentazioni di Sant’Antonio , sem-pre del 1997 (fig. 44), il cui gor go di figure ammaliantiche si trasformano in incubi mostruosi allude alla bellez-za e al peccato, con accenti espressionisti, ma anche conrichiami alla Transavanguardia e, nella luminosa cromiadi alcuni poderosi tratti, all’Informale del gruppo CoBrA.E ancora possiamo rammentare, di quel

fecondo anno, La strage degli innocenti (fig. 45), didrammatico realismo, dominato dalle ‘scudisciate’ dirosso brillante sul cumulo quasi informe di corpi, o Laguarigione del paralitico (fig. 46), ove plastici ed armo-nici segni traccianti corpi, che ci ricordano Matisse oforse anche Cantatore (come già nella Figura sdraiata ,risalente al 1956), le cui teste sono limpidi volumi nellospazio, di dechirichiana memoria. Oppure, ancora, laDeposizione (fig. 47), composizione staticamente solen-ne e dinamica ad un tempo, resa per ampie e sinuose pen-nellate di smalti, che incidono la drammaticità dellascena che risalta su un fondo notturno, Klein blue.

Il buon samaritano , del 1999, è un’opera suggestivanei toni dell’ocra e del blu, dove le linee essenziali esicure accennano a figure umane ed animali e al paesag-gio che possiamo intuire ed immaginare a supporto delforte carisma di pietas cristiana che traspare prepotentedalla tela. Il suo modello, conforme alsentire della Chiesa

41. Incontro, 1989, smalti su juta, cm 95x95

42. Epifania, 1996, smalti su tela, cm 140x200

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postconciliare, è quella del Christus patiens, lucido rife-rimento per il tormento e le ansie moderne, più che versoil Christus triumphans, caro ad età più serene o dogma-tiche della nostra. Capovolgendo il messaggio teologicodell’iconologia orientale, la sua non è arte ‘sacra’, cioènon dipinta da mano (mente) d’uomo, espressioneDivina immutabile calata per rivelazione dall’alto, maarte ‘religiosa’, vale a dire spinta dalla fede ab imohominis verso il Salvatore.

Ne La tempesta sedata (fig. 48: uno smalto ed olio sujuta del 2000) il dinamismo vorticoso e sintetico dellascena pare ruotare tutto attorno all’imponente figurascarlatta di un Cristo appena accennato da un’intensapennellata, nella quale si concentra e concretizza tutto ilfuror pingendi orleriano. Sostanzialmente, si modifica ilsuo modo di far pittura: la trasparente luminosità è resaattraverso colori primari brillanti e cangianti, senza sfu-

mature; l’ampia e sinuosa pennellata siavviluppa a dise-

gnare figure corporee ed eteree ad un tempo, quasi comematasse di lana policroma, attraverso le quali traspare latela sottostante ed il paesaggio del fondo. Cromieespressionisticamente irreali accendono quei personaggile cui teste, spesso prive di connotati nel volto, nella lorosimbolica forma ellissoidale, ammiccano, come si èdetto, a universi surreali dechirichiani. Spesso l’impiegodella vernice data a spruzzo (da lui sperimentata findagli Anni Settanta, ma ora ripresa con maggior padro-nanza della tecnica) conferisce alle ambientazioni e allefigure sacre un alone etereo di silente e mistica religio-sità.

Il suo modo di fare pittura, il suo disegno deciso, isuoi colori forti e pieni di luce, si diceva, denuncianochiaramente il fascino verso la matrice tedesca del gran-de espressionismo, ad iniziare dalla sua nascita con laBrücke (basti pensare, ad esempio, ai vari ritratti diMarcella di Ernest Ludwig Kirchner , il cui segno neroe deciso dei contorni, il colore acceso di vesti, ambien-ti e nature morte fatte di oggetti del quotidiano hanno

avuto alcuni indubbi riflessi su certe

43. Il carro di Sant’Elia, 1997, smalti su tela, cm 140x200

44. Le tentazioni di Sant’Antonio ,1997, smalti su tela, cm 150,5x205,5

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opere orleriane). Ma è stato forse soprattutto l’espressio-nismo cromatico germano-americano di Max Beckmannche può trovare maggiori assonanze culturali con ilNostro, unite alle forti ascendenze oniriche (“una finestrasul sogno” è stata definita la sua opera nella recentemostra Cortina d’Ampezzo) e metafisiche rammentate.Ecco che allora nel suo simbolismo possiamo individua-re eco del surrealismo di Joan Mirò o dei ‘racconti’ diMarc Chagall, dove, però, spesso il racconto poetico diquest’ultimo è tradotto in vorticosi e abbaglianti flash. Eancora potremmo individuare, in certe sue produzioniancora legate alle esperienze degli Anni Settanta, dottecitazioni francesi e italiane: da Henri Matisse, a OsvaldoLicini o, in parte, a Enrico Baj. Tutto questo, però, in findei conti poco importa, poiché Orler rielabora queste eco- più o meno volute o inconsce - in una pittura decisa-mente autonoma e sempre personalissima. In un mondofigurativo e simbolico di ascendenza nordica, però, pos-siamo ravvisare anche una sapiente rielaborazione, inchiave decisamente moderna, di personaggi, come si èaccennato, propri dell’universo russo e di

rito orientale, ma ricca di tensioni e di un’emotività pri-migenia, che affonda le sue lontane origini in un ‘dimen-ticato’ ma non del tutto cancellato pathos da “Sturm undDrang”, tradotto ‘italianamente’ in vive e violente cro-mie mediterranee (di ascendenza siciliana e mignechia-na) o in lunari sfocati di sof fusa luminosità veneta, conriferimenti, inoltre, a Picasso, a De Chirico, a Guttusostesso.

Colori, come si è detto, assoluti, vivaci e squillanti,talora in chiara ed evanescente dissolvenza; essenzialitàdel tratto, in un prepotente assunto della restaurazionedel primato del disegno e della pittura; eclettismo stili-stico con un gusto per la citazione di motivi delle avan-guardie storiche eminentemente a carattere espressioni-sta, primitivista e fantastico, con ammiccanti richiami alnomadismo intellettuale e stilistico della Transavan-guardia italiana o dei Nuovi Selvaggi tedeschi, maampiamente personalizzati secondo unapropria inconfondi-

45. La strage degli innocenti ,1997, smalti su tela, cm 134x205

46. La guarigione del paralitico, 1997,

smalti su tela, cm 140x200