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ARA RACNE CNE Igor Jelen GEOGRAFIE di RISCHIO TENSIONI, IDEOLOGIE E POLITICHE TRA LOCALE E GLOBALE

Igor Jelen GEOGRAFIE di RISCHIODevo un grazie agli studenti dei corsi specialistici di Geografia economico–politica della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Trieste

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AARARACNECNE

Igor Jelen

GEOGRAFIEdi RISCHIO

TENSIONI, IDEOLOGIE E POLITICHETRA LOCALE E GLOBALE

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Copyright © MMVIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, 133 a/b00173 Roma

(06) 93781065

ISBN 88–548–0654–4

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: luglio 2006

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Ringraziamenti

Devo un grazie agli studenti dei corsi specialistici di Geografia economico–politicadella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Trieste che, con le loro argomenta-zioni e le loro domande “impossibili”, hanno fornito la materia prima che è alla base diquesto lavoro. Grazie inoltre al Centro Militare di Studi Strategici di Roma per aversostenuto la ricerca e per avermi garantito l’accesso alla biblioteca e alle altre preziosefonti di cui dispone. Grazie infine, e soprattutto, a Maria Paola Pagnini e FrancescoMicelli dell’Università di Trieste, a Martin Boesch della Universitaet St. Gallen, a JulianV. Minghi della University of South Carolina, e a Daniel Spizzo, Elizabeth Swain,Diego Abenante, Gabriele Blasutig e Mario Galli, tutti dell’Università di Trieste, che mihanno aiutato e corretto in varie circostanze, rileggendo bozze, discutendo obiettivi emetodi e fornendomi soprattutto una gran massa di idee. Con tutti mi scuso già da ades-so, se non ho sempre seguito consigli e indicazioni che mi sono state fornite nelle variefasi del lavoro.

Dedico questo lavoro a Eliseo Bonetti, mio mentore, recentemente scomparso, cuidevo la fiducia nello studio e nella ricerca, che significa, prima di tutto, compiere losforzo di descrivere tutti i ruoli di uno scenario, anche di quelli controversi.

Trieste, ottobre 2005

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INDICE

Premessa ............................................................................................................ 13

Capitolo ILa Modernità. L’avvio della strutturazione statuale .......... 17

Lo Stato razionale e moderno ...................................................................... 17Il punto di partenza: l’idea rinascimentale .................................................. 19L’assolutismo. Il principio della strutturazione ............................................ 21Le funzioni essenziali: la sicurezza .............................................................. 24La genesi del potere moderno ...................................................................... 27Circuiti e strutture: le dinamiche del potere ................................................ 30Circuiti e meccanismi sincronici .................................................................. 33La modernità economica .............................................................................. 35Il capitalismo ................................................................................................ 40L’economia d’impresa .................................................................................. 43La base materiale e la proiezione del sistema .............................................. 45Il mercato diventa Stato e viceversa: il passaggio cruciale .......................... 48Definizione culturale–identitaria .................................................................. 51Debolezza e solidità dell’edificio moderno .................................................. 54

Capitolo IILe ideologie della strutturazione statuale ................................ 57

Il principio della strutturazione .................................................................... 57Ideologia e teleologia .................................................................................... 59Progettualità ideologica ................................................................................ 62Le ideologie della modernità industriale ...................................................... 64Verso la “società aperta”: una definizione funzionale di pluralismo............ 67Le trasformazioni identitarie ........................................................................ 69Le trasformazioni strutturali: “salti di scala” .............................................. 73Fase tarda della modernità economico–politica: ceto medio e consumismo 75Il valore sociale della stabilità: ciclicità e regolazionismo .......................... 77Le varie fasi della Modernità........................................................................ 79La fase ecumenista: il mito della crescita illimitata .................................... 82

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Capitolo IIILa crisi della strutturazione .............................................................. 85

Il punto di saturazione .................................................................................. 85La teoria dei limiti ........................................................................................ 88L’appiattimento delle curve: dalla parte della domanda e dell’offerta ........ 90Il gioco diventa, da “aperto”, “chiuso” ........................................................ 94L’iperstrutturazione nell’organizzazione amministrativa.............................. 96I settori di intervento pubblico...................................................................... 100I limiti della strutturazione: il ciclo dello Stato amministrativo .................. 102Sviluppo e conti pubblici .............................................................................. 105Fenomeni di “erosione” per la funzione statuale.......................................... 110I limiti della “privatizzazione”: la funzione della sicurezza ........................ 114La gestione della sicurezza in ambito globale.............................................. 117La formazione di scenari asimmetrici .......................................................... 119Proliferazione di organismi non statali ........................................................ 122I cicli alla “scala macro” .............................................................................. 126La crisi del fordismo e il nuovo paradigma.................................................. 128Uno scenario diverso: l’effetto assuefazione ................................................ 131L’aspetto materiale della degenerazione: la sostenibilità ecologica ............ 134Catastrofismo di maniera e ideologia della catastrofe.................................. 138

Capitolo IVDopo la strutturazione: l’esplosione del globale.................... 141

Il “migliore dei mondi possibili” o deriva politico–culturale? .................... 141Posizioni intermedie: neodeterministi e neoumanisti .................................. 144La soglia della libertà dal bisogno................................................................ 147L’affrancamento dalla “schiavitù del lavoro”................................................ 148Lavoro e “non lavoro” .................................................................................. 152La happiness economics .............................................................................. 155Il fenomeno della dematerializzazione ........................................................ 157Fenomeni di riflusso: “ritorno alla terra”...................................................... 160Crisi del capitalismo: un nuovo Medioevo? ................................................ 163Bolscevismo culturale & fascismo mediatico .............................................. 166Definizione funzionale o identitaria.............................................................. 169

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Capitolo VLa Modernità postideologica: Occidente e Terzo Mondo 173

La mission dell’Occidente capitalistico ........................................................ 173La “stanchezza” dell’Occidente.................................................................... 176Il fallimento delle teorie dello sviluppo ...................................................... 179Il Terzo Mondo dopo il “terzomondismo”.................................................... 182Le ideologie dello sviluppo moderno .......................................................... 184Involuzione o regressione postcoloniale ...................................................... 188L’institution building come realizzazione sincronica .................................. 192Reazione e rivoluzione.................................................................................. 194Una via d’uscita postcoloniale e postsovietica ............................................ 198Pragmatismo come tattica di sviluppo.......................................................... 202Minimalismo come strategia di sviluppo: una terza via? ............................ 205L’ideologia della “non ideologia” ................................................................ 207

Capitolo VIIdeologia e teleologia poststatuale.................................................. 211

La “necessità” strutturale della teleologia .................................................... 211La crisi teleologica: ritualizzazione e standardizzazione ............................ 213Una nuova disciplina dell’organizzazione .................................................... 216Dalle ideologie alla governance.................................................................... 220Scenari possibili: il “governo elettronico”.................................................... 222Nello scenario internazionale e interculturale .............................................. 226Ideologie etnoculturali .................................................................................. 229Ideologie neodeterministiche ........................................................................ 232Interpretazione politica del multiculturalismo.............................................. 236Processi di riaggregazione: nuove categorie per nuove ideologie ................ 239Il fondamento teleologico ............................................................................ 241L’effetto retorica: logoramento dei sistemi di pensiero ................................ 244Populismi e demagogie ................................................................................ 246Mitologia della rifondazione: strategie di rigenerazione .............................. 250

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Capitolo VIIIl passaggio verso il “globale”:nuovi scenari dell’antagonismo ...................................................... 253

Tensioni e antagonismi nella trasformazione postmoderna.......................... 253Interpretazioni e teorie.................................................................................. 256L’uso istituzionale di violenza ...................................................................... 259La strutturazione dell’antagonismo .............................................................. 261Trade off tra competizione e collaborazione ................................................ 264La classificazione dei conflitti ...................................................................... 267Ontologia del conflitto: cause e dinamiche .................................................. 269L’antagonismo come fenomeno mistico e identitario .................................. 272La teoria ecologica del conflitto: una prospettiva materialista .................... 275Il carattere strutturale e “necessario” del conflitto ...................................... 277Il fattore tecnologico. Il fattore strategico–organizzativo ............................ 281Il fattore politico e ideologico ...................................................................... 284Il conflitto postmoderno. Il conflitto asimmetrico........................................ 288

Capitolo VIIITensioni e conflitti alla scala statuale .......................................... 293

La “forza istituzionale”: la scala “uno” della geografia politica .................. 293Il contesto internazionale.............................................................................. 296Un’idea di “guerra perfetta” ........................................................................ 299L’incubo della “guerra sporca” .................................................................... 304Il problema del bias: fattori che inducono automaticamente la guerra........ 308L’effetto dell’autoriproduzione del conflitto ................................................ 310La guerra–strumento .................................................................................... 313La costruzione del nemico: uno scenario strutturalista ................................ 315Come strumento di politica economica ........................................................ 317Il bias della cronaca e dei media .................................................................. 319Mass media e manipolazione........................................................................ 321

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Capitolo IXTensioni interne alle istituzioni........................................................ 327

La cultura della guerra e i bias in genere .................................................... 327Dall’alto della piramide politica: Stato e antistato ...................................... 329I nemici interni alle istituzioni: insider e “golpe bianchi” .......................... 332L’Antistato: fenomeni mafiosi ...................................................................... 336Il capitalismo senza regole. La guerra capitalistica...................................... 340Le contraddizioni della deindustrializzazione .............................................. 343Parmalat, Enron et similia ............................................................................ 346Il monopolismo: distorsioni del mercato ...................................................... 350Il ruolo dello Stato ........................................................................................ 353“Piazza” e “palazzo”: il blocco sociale e culturale ...................................... 356La frattura società–istituzioni ...................................................................... 359

Capitolo XIl rischio della crisi sociale e culturale ........................................ 363

L’iniziativa politica “dal basso” (bottom up) ................................................ 363Dinamiche substatali: i social movements .................................................... 364Il movimento come base per la dialettica pluralistica .................................. 367L’“assedio” al ceto medio e alle istituzioni .................................................. 371Dall’iniziativa sociale all’istituzione politica .............................................. 374La pubblica opinione .................................................................................... 376La comunità mediatica.................................................................................. 379Slogan e simbologie: la comunicazione politica .......................................... 382Ideologia e politica ...................................................................................... 385Il prototipo di tutti i movimenti sociali: il Sessantotto ................................ 389Dal Sessantotto al no–global: continuità di forme o di contenuto? ............ 393Significati del movimentismo: impatto sulla politica .................................. 396Dopo la destrutturazione, la standardizzazione ............................................ 398Il movimentismo in Occidente e fuori dall’Occidente ................................ 400

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Capitolo XITensioni e conflitti oltre e contro lo Stato .................................. 403

Global cities e favelas locali ........................................................................ 403Crisi identitarie ............................................................................................ 406Strategia multiculturale ................................................................................ 408Il vero rischio: l’erosione del ceto medio .................................................... 413Proletarizzazione e precarizzazione.............................................................. 416La frammentazione della rappresentanza e della catena di identificazione 420La condizione della solitudine postmoderna ................................................ 423La reazione mistica e neopagana .................................................................. 425Degenerazione solipsistica............................................................................ 429Le conseguenze estreme: il crimo–terrorismo.............................................. 432L’anello debole della “società aperta”: il target del terrorista .................... 434

Capitolo XIILa dimensione internazionale e interculturale ...................... 437

La realtà dello squilibrio .............................................................................. 437La costruzione di un nuovo modello di relazioni ........................................ 442Una nuova etica e una nuova organizzazione del lavoro .............................. 444Un nuovo “secondo mondo” ovvero i nuovi mondi “intermedi” ................ 449Rappresentazioni dell’Occidente .................................................................. 452Geopolitica della sopraffazione .................................................................... 455Codici dello scenario internazionale ............................................................ 457La guerra dei poveri...................................................................................... 460Il campo di battaglia del “globale” .............................................................. 463Una strategia articolata ................................................................................ 467Le armi della “società aperta” ...................................................................... 469Il terrorismo globale: mito o realtà? ............................................................ 471Un’interpretazione identitaria: le metafore della rivoluzione ...................... 474“Contro” l’ideologia del “contro”: sotto le soglia della politica .................. 478Una possibilità: l’Antioccidente all’interno dell’Occidente ........................ 482Pace e sviluppo: strumenti piuttosto che ideologie ...................................... 484

Fonti citate .......................................................................................................... 487

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Premessa

La rappresentazione della realtà umana come di un continuum di eventi, personaggi, movimenti e ideologie è un’operazione non facile, che a tratti appare troppo difficile e anche impossibile. Così, e a mag-gior ragione, considerando che quei fenomeni si manifestano a scala diversa, dalla comunità locale a quella globale, dal materiale all’im-materiale, e viceversa, pur mantenendo certe connessioni. Questo stu-dio vuole svolgere, piuttosto che un tentativo in questo senso, una ri-cognizione di carattere complessivo, per evidenziare le circostanze che, alle diverse scale e nei diversi cicli storici, possono causare ten-sioni e quindi conflitti. In particolare, e individuando come motivo conduttore l’evoluzione delle forme geografico–politiche, vuole con-siderare il passaggio tra Modernità e Postmodernità e vuole indagare circa le modalità di questo passaggio1.

È uno sforzo che risulterà — allo stesso autore — a tratti contro-verso e questo per una serie di motivi e soprattutto per il fatto che i fenomeni umani tendono a intersecarsi e ad assumere dinamiche complesse, a confondersi tra di loro e con fenomeni di altro tipo, per es. naturali o simbolici. Del resto è un motivo caratteristico delle di-scipline geografico–politiche, e umane in genere, e deriva dal fatto che i fenomeni sociali, per definizione fenomeni di tipo cognitivo, tendono a mutare forma, contenuto e senso (o teleologie) e questo nello stesso momento in cui si manifestano, nello stesso momento in

1 Cfr. il classico LORENZI A., 1943, un lavoro sempre attuale che cerca di ristabilire il

nesso tra forme e contenuto, tra geografia e politica, nelle varie circostanze. Cfr. anche BO-

NETTI E., 1942; CARNEIRO R., 1973; CARNEIRO R.L., 1978.

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Premessa

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cui l’oggetto della “comunicazione” viene “comunicato”. Insomma, in un certo senso, il fatto che l’individuo sia “intelligente”, e possa cambiare idea, esercita un primo bias sulle azioni a suo tempo pia-nificate e intraprese2.

Per prima cosa, quindi, è necessario individuare le variabili prin-cipali — le forme territoriali, i processi di trasformazione strutturale e culturale, le tensioni alla base dei conflitti —, cercando di evidenziare le principiali linee di tendenza e le principali connessioni. Si tratta di procedere da alcune definizioni, per meglio comprendere i termini di qualsiasi discorso, in sede di analisi come di intervento, per chiarire, quindi, che cosa si intende quando si scrive di Stato, di politica, di si-curezza, di tensioni e di altre categorie — ovvero di insiemi di si-gnificati.

Questo sulla base dell’assunto braudeliano, che definisce la realtà umana come fondamentalmente “una” e i fenomeni umani material-mente e culturalmente intrecciati; e questo sebbene tale connessione abbia significati diversi, a volte talmente complessi da risultare appena percettibili, a volte indimostrabili3. La realtà dovrebbe essere conside-rata come un “tutto” materiale e immateriale, il risultato di un’inter-sezione di scale e di dimensioni: dalla vita di tutti i giorni alla “grande storia” degli eventi e delle istituzioni politiche, dalla dimensione della tecnologia alle varie espressioni culturali e metaforiche. Così, par-tendo dall’analisi di aspetti apparentemente insignificanti, sarebbe possibile comprendere evoluzioni complessive; così anche per il procedimento inverso: qualsiasi elemento di realtà, qualsiasi conflitto e qualsiasi contraddizione possono rappresentare un punto di partenza per “esplorazioni” più vaste.

Questo con l’ausilio di un metodo riduzionista, scomponendo la realtà in variabili — per es., allo stato attuale, uno scenario di sotto-sviluppo, un conflitto sociale, la formazione di un movimento terro-

2 HASSE J., MALECEK S., 2000. Del resto è un argomento centrale per i metodologi di

fine Modernità, dai poststrutturalisti all’etnometodologia, dal minimalismo metodologico alle interpretazioni neoilluministiche: fare ricerca scientifica significa mettere continuamente in discussione gli strumenti di cui la stessa ricerca si avvale. Cfr. anche BOESCH M., 1989.

3 Per la scuola degli “annalisti” francesi cfr. i lavori di Braudel, Le Goff, Duby e di altri geografi e storici che si propongono lo studio della realtà in tutti i suoi aspetti, materiali e im-materiali, e a qualsiasi scala, sia nel tempo che nello spazio.

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Premessa

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ristico —, fino a risalire alle forme nelle quali quelle variabili si sia-no affermate originariamente (in questo caso, e per es., agli inizi del-la Modernità, alla rivoluzione industriale, all’avvio della colonizza-zione e alle fasi originarie dell’economia capitalistica). Evidente-mente i fenomeni della storia e della geografia non sono degli “acci-denti” che appaiono per caso o per qualche motivo misterioso: appar-tengono a un luogo e a un momento, derivano da qualche cosa di rea-le e dalle tensioni che si formano in qualche circostanza dell’esisten-za sociale, e che producono a volte collaborazione, a volte conflitti.

Si tratta di fenomeni che caratterizzano qualsiasi aspetto della vita umana e che si presentano periodicamente. A volte assumono uno svolgimento standard, cioè atteso, mentre in altre circostanze danno origine a situazioni tanto complesse da sembrare incomprensibili o anche irreali — si pensi alle carenze e ai vari fenomeni di conflitto e di “odio politico” che caratterizzano, a volte in modo inspiegabile, la re-altà contemporanea. Per questo è necessario seguire uno schema a li-vello di sistema, che combini cause ed effetti in modo verticale e oriz-zontale, cioè nel tempo e nello spazio: un artificio, insomma, per ten-tare una lettura più agevole dei fenomeni.

Ma anche in questo caso la consecutio temporum dei fatti umani non dovrebbe essere intesa in senso troppo rigido: la Modernità coin-cide con l’avvio di un processo di strutturazione a vasta scala, per poi degenerare in forme iperstrutturate e per dare avvio, infine, a processi di destrutturazione — a volte assai problematici —, che tendono, oggi, a intersecarsi con le nuove tensioni dell’esplosione globale. A ciascu-na di queste fasi corrispondono una forma di Stato e quindi forme ca-ratteristiche di tensione, che si sviluppano esternamente o internamen-te allo stesso perimetro statuale, o a una dimensione transtatale o asta-tale, ovvero indifferente alle organizzazioni istituzionali. A volte ma-turano a un livello invisibile per poi esplodere in circostanze particola-ri, quando per es. un movimento trova un leader, individua un’ideologia, degli slogan o qualche altro codice adatto a esprimere certe tensioni4.

In questo modo, dovrebbe essere possibile creare uno strumento per meglio comprendere certe realtà, alcuni tra i “perché” dei conflitti,

4 SARTORI G., 1995: 83.

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Premessa

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delle ideologie e dei movimenti che sono alla base delle trasformazio-ni attuali — secondo l’assunto per cui il “nemico” va prima di tutto conosciuto. Questo, appunto, per offrire agli studenti dei corsi avanza-ti di geografia economico–politica, ai cultori di scenari conflittuali e soprattutto agli operatori della sicurezza uno strumento di lettura ab-bastanza agevole, utile per acquisire elementi di valutazione e metodi di elaborazione.

Questo, anche, per meglio confrontarsi con le contraddizioni che caratterizzano qualsiasi operazione “sul terreno”, che sia un intervento di assistenza da parte di una “organizzazione non governativa”, una manovra di interposizione o di pacificazione, o una strategia di institu-

tion building in qualche remota regione del globo. In genere, per me-glio affrontare il confronto con culture diverse e lontane, con atteg-giamenti e modi di pensare che appaiono a volte incomprensibili e che, collocati in un contesto, possono essere meglio gestiti. Vuole es-sere, piuttosto che un manuale di geografia postmoderna, una rassegna o un report delle tensioni che agitano società e politica, assumendo le varie scale dell’azione umana, dalle origini dei processi che caratteriz-zano la società contemporanea alla formazione di scenari più ampi o anche “globali”5.

5 Ovvero una “mappa generale dei conflitti” (GOBBICCHI A., 2005: 10) e una mappa dei

fattori di rischio a qualsiasi scala, nella società, sul territorio, nell’economia, nelle istituzioni: si tratta di fenomeni che possono causare effetti degenerativi, e questo sebbene per lunghi pe-riodi possano sussistere a uno stato di invisibilità, sotto la soglia della politica.

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Capitolo I

La Modernità

L’avvio della strutturazione statuale

Lo Stato razionale e moderno

Lo Stato strutturato rappresenta nel contempo il punto di arrivo e il

punto di partenza per qualsiasi discorso sulla Modernità, una sorta di scala “uguale a 1” della geografia politica e in genere della politica. A seconda dei punti di vista prevalgono definizioni diverse: di “conteni-tore” preesistente ai fenomeni della storia, di forma territoriale e cultu-rale, ovvero di “organismo” dotato di personalità e capacità autonoma — quindi di sovranità — e articolato secondo procedure e sistemi di autoregolazione1.

In senso funzionalista, la forma politica viene definita come lo strumento sociale che prevale in certe circostanze e che meglio corri-sponde alle esigenze che emergono in certe fasi della storia. Nel con-testo della Modernità, sarebbe direttamente connessa a una definizione di sviluppo, in tutti i suoi aspetti, per es., alla formazione di aree di

1 Secondo certi autori, ciascun modo sociale o economico esprimerebbe una geografia

caratteristica — dalla comunità di villaggio allo Stato moderno, dall’impero mitologico–medioevale a quello della globalizzazione — e conseguentemente forme culturali, tecnologie e gerarchie di valori caratteristiche; allora, una qualsiasi variazione sulla scala territoriale in-durrebbe trasformazioni sugli altri ambiti dell’azione sociale (cfr. UITERMARK J., 2002; COX K.R., 1998; JONES K.T., 1998). Non esisterebbe una scala geografico–politica intrinsecamente giusta (per es. la comunità, lo Stato nazione o l’impero universale) e la migliore configurazione politico–territoriale risulterebbe, semplicemente, da una serie di adattamenti.

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Capitolo I

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mercato più vaste, di nuovi sistemi di culture e di codici, alla costru-zione e l’approntamento di infrastrutture per il controllo, la produzio-ne e lo scambio.

In altri casi prevalgono definizioni immateriali, per cui lo Stato ap-pare come un’idea che si sovrappone a una certa realtà politico–materiale; è il caso della realizzazione dell’ideale unitario in un conte-sto di frammentazione, di un’ideologia della crescita e del cambia-mento, invece che della conservazione, o viceversa, in uno scenario di espansione — per es. coloniale. Questo fino a delineare un’entità me-tafisica, come se la stessa istituzione statuale trasfigurasse un’entità “calata” sulla terra, un “dio” che si incarna nella storia e nella geo-grafia e che dispone della sovranità, ovvero del corrispettivo dell’onni-potenza.

Più comodo è, forse, rappresentare lo Stato come un complesso i-deale–materiale, di sinergie tra cultura, economia e politica che si rea-lizzano in una certa dimensione geografica, delineando un insieme di-namico di segni e di funzioni, e questo senza assumere alcuna defini-zione esclusiva. Ovviamente, anche l’organismo politico è soggetto al-le leggi della trasformazione, della crescita e del decadimento ed è og-getto delle tensioni che si formano a qualsiasi livello dell’esperienza sociale.

Si tratta di interpretare e di riflettere sulle funzioni e sugli obiettivi che lo Stato tende ad assumere nei vari contesti, quindi essenzialmente la questione del potere — la funzione della sicurezza, il controllo di tensioni e conflitti — e poi dell’economia e della cultura: funzioni che costituiranno la base per la formazione delle ideologie della Modernità — liberaldemocrazia, nazionalismo, socialismo, liberismo e coloniali-smo — e che daranno origine a veri e propri progetti politici e all’illusione, per certe élite, di poter indurre arbitrariamente forme so-ciali. In realtà, se applicati in modo estremo, questi stessi progetti por-teranno a una serie di degenerazioni — in primis al totalitarismo no-vecentesco —, che allontaneranno la prassi e la teoria della politica, e dello Stato, da un originario principio razionalistico.

Infatti, lo Stato si afferma come strumento per regolare relazioni e funzioni e per sviluppare economie di scala della sicurezza, innanzi tutto, e quindi altre dinamiche tipiche della Modernità: produzione e scambio su vasta scala, industrializzazione e accumulazione capitali-

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La Modernità. L’avvio della strutturazione statuale

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stica. Questo a varie dimensioni: con la formazione di codici unificanti e nazionali — in particolare per le lingue “volgari” che diventeranno con il tempo lingue ufficiali e anche esclusive —, l’organizzazione di un’amministrazione pubblica e l’infrastrutturazione del territorio, che si realizzeranno proprio in questo contesto. Un meccanismo, soprattut-to, che nei secoli successivi si rivelerà utile per gestire la crescita e l’affermazione dei movimenti alla scala della “massa”, permettendo l’assimilazione di quei movimenti al gioco istituzionale. Così per es. con un programma di alfabetizzazione e di allargamento della base e-lettorale, di coinvolgimento politico–partitico, di organizzazione della produzione alla scala di grandi unità, e, infine, con la costruzione di un sistema di welfare.

In questo senso lo Stato strutturato configura un artificio, una co-struzione umana — piuttosto che una figura “a priori” —, predisposta per assimilare movimenti e tensioni sociali, quindi tensioni che sottin-tendono aspirazioni concrete, esigenze materiali, oltre che ideali. Alla fine di un percorso tutto sommato abbastanza lineare, assume la forma di un insieme compatto, articolato in centri e periferie, integrato da in-frastrutture e codici che consentiranno la realizzazione di un livello di sviluppo impensabile in altre fasi della storia dell’umanità2.

Il punto di partenza: l’idea rinascimentale

Lo Stato si afferma come l’“ambito territoriale ottimale” per realiz-

zare le sinergie della crescita e del progresso; dà origine a unità omo-genee che si affermano sulle rovine della frammentazione medioevale — di cui rappresenta l’esatta negazione. In un certo senso, ricalca, svi-luppa e supera il progetto di città ideale che pervade il pensiero politi-co del Rinascimento3. Questo sia in senso formale che sostanziale: il disegno della cittadella, composta da un insieme di spazi omogenei, con distanze regolari e itinerari geometrici, si sovrappone a una forma di governo compatta, non necessariamente autocratica ma senz’altro ordinata. Non vi sono protuberanze, né salienti che possano disartico-

2 Ciò che Braudel definisce “Stato territoriale” (BRAUDEL F., 1982: 281ss). 3 PAGNINI M.P., a cura di, 1985.

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Capitolo I

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lare quello spazio, ovvero frammentare il fronte di difesa, fatto che contribuisce a delineare un insieme facilmente governabile e control-labile, nel quale le varie attività (della sicurezza, della produzione e della mobilità) possano essere perseguite in modo ottimale4.

Di fatto, l’ordine della vita sociale, l’allineamento di corpi edificati, di vie e di spazi urbani, crea il presupposto per il buon governo, per la continuità della funzione del controllo e della gestione. È un disegno che offre l’immagine della completezza, di una forma nella quale il contenuto sociale possa identificarsi ed esprimersi nel modo migliore, in modo tale che le varie economie di scala possano compiutamente realizzarsi, tra “nodi” di mercato e aree di produzione. Il lavoro può u-tilizzare spazi organizzati in modo abbastanza standardizzato, renden-do più facili le misurazioni necessarie per la “statistica” — disciplina che comincia a formarsi proprio in questo periodo — e quindi per l’amministrazione, l’imposizione fiscale e altre funzioni di governo5.

La standardizzazione territoriale fa in modo che la produzione e la redistribuzione di merci e servizi possano svilupparsi nel modo mi-gliore, superando le inefficienze che caratterizzavano lo spazio medio-evale, quando era impossibile sviluppare centri di mercato, manifattu-re, collegamenti e mobilità. Una tendenza che diviene la rappresenta-zione stessa di un ideale di razionalità — una sorta di “circoscrizione ambientale” —6, di un contenitore ottimale per realizzare i benefici in-dotti dal progresso tecnologico e dalla liberazione sociale connessa al-la fine del feudalesimo.

4 POTEPAN G., 2003. Il punto di partenza non può che essere il Rinascimento e qualcuno

tra i “realisti” e gli “idealisti” del pensiero politico, da Machiavelli a Campanella e agli altri artefici della “città ideale”, che operano in quell’epoca e che ispireranno qualsiasi geografia politica successiva (CAMPANELLA T., 2000; MACHIAVELLI N., 1984; FICHTE J.G., 1984). Altri autori collocano in altre epoche il momento originario della formazione di un pensiero politi-co che possa essere definito scientifico, per es. ai tempi dell’Illuminismo o, per quanto riguar-da la geografia politica, successivamente, all’omonima opera di Ratzel (HARRIS M., 1971; PAGNINI M.P., 1995; RATZEL F., 1987; LOPRENO D., PASTEUR Y., 1994).

5 All’epoca si rende disponibile una serie di strumenti che permette lo sviluppo della tecnica di governo (come veniva chiamata in quei tempi la statistica), per es. l’algebra e i nu-meri arabi, la contabilità analitica e aziendale, il disegno geometrico, strumenti di misurazione per economia e territorio e per realizzare inventari, censimenti, elenchi catastali e cartografie (LORENZI A., 1943; PAGNINI M.P., 1995; CORNA PELLEGRINI G., DELL’AGNESE E., 1995).

6 Mutuando una celebre definizione (CARNEIRO R., 1973; CARNEIRO R.L., 1978).

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La Modernità. L’avvio della strutturazione statuale

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A questa struttura tendono a sovrapporsi — per una questione di sinergie, quindi di risparmio di energie — altre forme, della cultura, dell’economia, della società: alla compattezza territoriale si combina la stessa idea della compattezza politica, sia nel senso di accumulazio-ne di potere che di organizzazione amministrativa. Si rivela conve-niente, insomma, per il “principe”, far coincidere confini economici (il mercato) con confini strategici (facili da difendere e controllare) e con qualsiasi altro confine. È un processo di “standardizzazione” del pote-re che si realizza in quel periodo nella forma dell’assolutismo, prima ideologia e primo passo verso l’edificazione di uno Stato centralizzato e omogeneo al suo interno. Coincide con un processo di unificazione e con l’affermazione di un potere centrale, di un “principe” ovvero di un sovrano assoluto, che dispone degli strumenti necessari per imporsi sui poteri concorrenti. Questi saranno rappresentati, di volta in volta, da altri principi, da baroni e feudatari, dalla gerarchia religiosa, da pseudodemocrazie cittadine e da comunità rurali e in genere dalle forme tipiche dell’ordinamento tardomedioevale. In questo modo sarà possibile per il nuovo Stato superare una condizione di frammentazio-ne e organizzare un governo effettivo del territorio.

L’assolutismo. Il principio della strutturazione

Questo, progressivamente, anche in senso culturale, con l’unifica-

zione di codici linguistici o normativi e con l’affermazione di istitu-zioni che organizzano attività e conoscenze, relazioni e regole, in mo-do tale che lo Stato centralizzato possa rappresentare uno strumento di accumulazione e di conservazione7.

Da quel momento, qualsiasi elemento di conoscenza, piuttosto che disperdersi nella frammentazione feudale, verrà codificato e tenderà ad assumere una forma precisa. L’affermazione di unità politiche integra-te — con territorio, confini, cultura, popolazione, procedure definite

7 Si tratta di strutture che, come altre funzioni pubbliche, «si oggettivano nei confronti

della sfera sempre più privatizzata della corte» (HABERMAS J., 2002: 15). È un processo di “spersonalizzazione” che porterà alla formazione di una struttura amministrativa in grado di operare in modo svincolato dalla persona del “principe” (POPITZ H., 1990: 42ss; cfr. anche DE VERGOTTINI G., 1981; PAGNINI M.P., a cura di, 1985).

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— coincide con un movimento di strutturazione che consente a quella stessa unità politica di sviluppare “valore” e “capitale”. Questo in ter-mini di ricchezza, sia diffusa sul territorio che nascosta nel “tesoro della corona”, e anche in termini di innovazione tecnologica, potenza bellica, organizzazione e risorse; tutto ciò, soprattutto, in termini in-comparabilmente superiori rispetto a qualsiasi forma politica prece-dente.

È una premessa necessaria per comprendere gli sviluppi successivi e per comprendere i fenomeni che si susseguono nelle varie fasi della Modernità (e anche, oggi, il passaggio alla Postmodernità): in un certo senso, per dare un senso alle evoluzioni, è necessario considerare a ri-troso gli eventi della politica8. Non fino al punto di attribuire al futuro il significato di una vicenda già vissuta, ovvero per riaffermare un’improbabile visione circolare della storia, ma semplicemente per cercare di comprendere meglio le origini di certi fenomeni che nelle fasi successive determineranno impatti su qualsiasi dinamica evolutiva — per es. la formazione di ideologie, di movimenti o di forme politi-che innovative.

In realtà, lo Stato moderno appare nella confusa geografia postme-dioevale come una sorta di “miracolo”, svolgendo un ruolo di u-nificazione e di riaffermazione di un’idea di ordine. Dimostra nondi-meno, da subito, di non essere “onnipotente”, al di là di certe inter-pretazioni, e di poter soltanto rappresentare, piuttosto che assicurare, un principio di certezza e in particolare della certezza dell’iniziativa politica: è l’organismo che “deve” assumersi il compito di riaffermare quelle stesse idee di organizzazione, eventualmente esautorando poteri e strutture concorrenti. Rappresenta un principio, oltre che una struttu-ra, e un insieme di valori, oltre che di tecniche, risorse, infrastrutture, eserciti e fortezze.

8 GOIO F., SPIZZO D., a cura di, 2001; HARRIS M., 1971. Il discorso del “post” e, in

un’interpretazione più ampia, della trasformazione delle strutture riguarderebbe la relazione che si instaura tra strutture formali e materiali — e anche tra “corpo” e “anima”, forma e con-tenuto, territorio e potere — e che induce al passaggio da uno status a un altro. È un argomen-to che, in politica, predispone all’elaborazione di ideologie della conservazione o del muta-mento, appunto, a seconda dei casi, di una forma o di un contenuto; lo stesso procedimento renderebbe possibile la strutturazione e la formazione di organizzazioni civili di tipo comples-so (cfr. HASSE J., MALECEK S., 2000).

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Questo fino al punto da configurare un “tutto” materiale–immateriale che significherebbe molto di più della somma delle parti, ovvero della somma dei singoli individui e delle singole componenti territoriali e sociali che ne sono alla base9. Il fatto stesso di istituire uno “Stato”, di centralizzare un potere disperso, conferisce automati-camente un premio a chi riesce in quell’impresa: l’imposizione di un principio di ordine crea le premesse per il consenso, o almeno per la legittimazione, e anche per lo sviluppo delle attività di individui e gruppi, istituzioni e imprese.

Da quel momento, lo Stato assume una dimensione propria, una personalità, logiche di comportamento e codici di espressione; diventa un “valore”, un elemento che va oltre la dimensione materiale, dei mezzi e delle risorse, e che esprime un’ideologia o meglio una teleo-logia, ovvero il senso che l’organismo politico matura di se stesso in termini di obiettivi e di finalità. Il suo comportamento — la “fenome-nologia del potere” — non risulterà più dalla semplice combinazione delle singole azioni di individui, élite o istituzioni: nello stesso mo-mento in cui si afferma, lo Stato moderno si trasforma in qualche cosa di più di una struttura materiale10. A seconda delle interpretazioni, ver-rà riconosciuto come la massima realizzazione della civiltà umana, la realizzazione di un’idea di razionalità assoluta oppure, al contrario, come un “mostro” e un “leviatano” che vuole reprimere il male — o il bene — della storia. Oppure, ancora, come un “messia” predestinato a salvare l’umanità dalla degenerazione, come uno strumento di promo-zione e di conquista, o come uno strumento semplicemente utile o ne-

9 RATZEL F., 1987. Il motivo dell’organicismo appare periodicamente nella teoria e nel-

la prassi politica e questo almeno dai tempi di Menenio Agrippa e della sua famosa metafora sul corpo sociale inteso come corpo umano, una sorta di definizione “non machiavelliana” (quindi sistemica o organicistica) di politica; la stessa metafora e la stessa interpretazione pos-sono essere ricondotte ai classici della filosofia greca. Per una lettura geografico–politica di Aristotele cfr. KASPERSON R., MINGHI J.V., editors, 1969.

10 POPITZ H., 1990. Per una definizione di teleologia come dell’insieme delle finalità e dei valori che sono alla base di un’organizzazione umana, cfr. LEWELLEN T., 1992. In epoca medioevale il rifondatore arabo della scienza politica Ibn Khaldun proponeva lo stesso con-cetto in termini di asabiyya (IBN KHALDUN, 1980); cfr. anche ROY O., 1992: 22ss.

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cessario per organizzare la vita di individui e gruppi, per il “principe” come per il contadino e il mercante11.

Le funzioni essenziali: la sicurezza

Lo Stato, soprattutto, assume il compito di provvedere alla questio-

ne primaria di qualsiasi esistenza sociale e cioè alla questione della si-curezza. Non può risolverla in modo definitivo — è comunque un or-ganismo imperfetto — ma può almeno rappresentare una funzione di certezza, la certezza quindi, per cittadini, gruppi e organizzazioni, che qualcuno si occuperà delle funzioni che riguardano il controllo, la di-fesa, la repressione e la prevenzione del crimine e di altre forme di de-vianza, di eventi distruttivi e violenti di qualsiasi origine. Quella della sicurezza appare come la funzione che legittima lo stesso ruolo di go-verno, l’esigenza sulla quale e per la quale l’istituzione statuale affer-ma se stessa, assumendo nel contempo la responsabilità e il privilegio di usare in modo monopolistico gli strumenti della forza12.

Ma il semplice dato di fatto — il fatto di appropriarsi degli stru-menti del comando — non può bastare allo Stato per consolidare se stesso, cioè per riprodursi oltre al momento della conquista del potere e della sua affermazione tra vari poteri concorrenti. Per vedere ricono-sciuta questa funzione, e quindi per ottenere qualche forma di legitti-mazione, un’organizzazione statuale deve essere in grado di dimostra-re in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo la sua capacità, quindi la capacità di utilizzare gli strumenti necessari per garantire controllo e sicurezza. Deve dimostrare, insomma, continuità in quella capacità di controllo e deve dimostrare che la conquista del potere non è un fatto episodico, ma l’inizio di una prassi e di un progetto di governo.

Proprio questa, della sicurezza, è la più importante tra le varie fun-zioni dello Stato moderno e anche la più importante tra le funzioni nelle quali può essere scomposto qualsiasi schema sociale: è la fun-zione che predispone all’uso degli strumenti necessari per affrontare i

11 Secondo, rispettivamente, una visione idealistica, realistica o pragmatica, illuministica

o funzionalistica: il pensiero politico di oggi e il pensiero politico di sempre si cimentano nel-la definizione di Stato e di organismo politico (cfr. GOIO F., SPIZZO D., a cura di, 2001).

12 GOTTMANN J., 2005.

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La Modernità. L’avvio della strutturazione statuale

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rischi più gravi e anche letali per istituzioni e individui. Quindi le mi-nacce che possono provocare danni irreversibili — un’aggressione fisica, un’invasione, una guerra, la privazione della libertà e della ca-pacità di agire e di esprimere — e che, per questo, devono essere af-frontate in modo strutturale, che siano evidenti o meno in una data cir-costanza. Questo a livello di deterrenza, di prevenzione e di repressio-ne (prima, durante e dopo il momento in cui l’atto si verifica), con la costruzione di un apparato che possa fornire adeguate garanzie di efficienza.

Proprio le funzioni della difesa rappresentano una necessità assolu-ta: il “robinson”, immagine che simbolizza l’individuo perfettamente indifeso, naufrago su un’isola deserta, si preoccuperà per prima cosa della sua incolumità, di non essere fisicamente aggredito, di individua-re eventuali nemici e altri fattori di pericolo, quindi di procurarsi un ri-fugio13. Solo successivamente si preoccuperà del cibo, di costruire un riparo e degli attrezzi (la funzione economica); in un momento ancora successivo, si preoccuperà di conoscere quegli stessi fattori di rischio e quegli stessi potenziali nemici, di cercare la comunicazione con e-ventuali nativi o con altri naufraghi (funzioni sociali e culturali), di scrivere un diario (funzione identitaria), di riflettere sulla propria con-dizione o di inviare un messaggio con una bottiglia.

È un fatto che, al di là dell’esemplificazione didattica, trova verifica in situazioni diverse e che conferisce all’aspetto della sicurezza un si-gnificato particolare: è la primordiale tra le funzioni umane ed è anche quella più difficile da gestire. Riguarda un momento precedente a qualsiasi altra funzione e cioè la possibilità della sopravvivenza nell’immediato — non al breve o al lungo termine come per le altre funzioni, per es. dell’economia, della società e della cultura —, a una scala alla quale è difficile predisporre qualsiasi difesa e qualsiasi con-tromisura.

Lo Stato postmedioevale si afferma proprio in queste circostanze, assumendo un compito e anche imponendosi sull’universo dei “robin-son”, figura che rappresenta la precarietà degli individui e della condi-

13 Il famoso personaggio inventato da Defoe viene spesso citato nelle scienze sociali

come metafora dell’individuo ovvero della regressione a una condizione arcaica, di solitudine e di antisocietà. Cfr. per es. MCLUHAN M., 1967: 143.

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zione umana in genere. Questi, in realtà, riconoscono e devono rico-noscere allo Stato, a seconda delle configurazioni che lo stesso assume nelle varie epoche, il ruolo di difensore e di controllore, di apparato necessario per rispondere alle aggressioni e per difendere il gruppo da atti imprevedibili, violenti e potenzialmente distruttivi. Riconoscendo, quindi, all’istituzione statuale la possibilità di utilizzare gli strumenti adatti a svolgere quel ruolo e anche, in questo modo, assumendo il ri-schio che quegli stessi strumenti, vale a dire le armi, vengano usati in modo improprio — contro il gruppo e la popolazione in senso lato. Imponendo se stesso lo Stato assoluto impone un principio di giu-stificazione: se “vuole” difendere e rappresentare i propri cittadini (a seconda dei casi definiti come sudditi, elettori, contribuenti, utenti, clienti o soci) dovrà sviluppare una capacità “tecnica” a usare le armi della politica e dovrà vedere riconosciuta questa capacità.

È una dinamica intrinseca alla funzione della sicurezza e che deri-va, cioè, da caratteristiche che distinguono questa funzione dalle altre; e questo, appunto, per il fatto che riguarda tecniche e strumenti adatti ad affrontare fattori di rischio e che possono manifestarsi in modo im-prevedibile, alla scala dell’“improvviso” e della sorpresa. È anche il passaggio che rappresenta l’essenza stessa della capacità statuale: l’organismo politico deve poter agire nel brevissimo termine, nel tem-po a scala “1”, nell’immediatezza e nell’urgenza, quando non esiste alcuna possibilità, né logica né tecnica, di applicare procedure presta-bilite e di controllo sull’istituzione che svolge quella stessa funzione.

Si tratta di un principio sul quale si fonda la stessa definizione del potere, in qualsiasi epoca: lo Stato si appropria di una capacità che fino a quel momento apparteneva agli individui e a qualsiasi altro or-ganismo concorrente, i quali, in quello stesso instante, rinunciano a una parte di sé, ovvero a una quota del proprio potere e alla possibilità di autodifendersi (o di amministrare individualmente la giustizia). Tut-to ciò a favore di un organismo centrale e sovrapposto a società e ter-ritorio, che da quel momento guadagnerà un elemento di arbitrio e po-trà usare quello stesso potere — come la storia insegna — anche con-tro gli stessi individui dai quali era stato a suo tempo istituito o riven-dicato.

La funzione della politica mantiene, per questo, una caratteristica di potestas absoluta — che dal latino significa proprio un’autorità sciolta

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o svincolata da qualsiasi cosa — e quindi un’ambivalenza nell’uso dello strumento bellico e delle armi in genere. E così anche oggi, no-nostante l’evoluzione tecnologica e istituzionale rendano possibile un certo controllo sulla politica e sulle procedure, e sull’uso delle armi di qualsiasi tipo14.

È il caso della “valigetta” che contiene i codici per il lancio dei missili nucleari e delle regole di ingaggio per un’operazione di peace

keeping, della diffusione di tecnologie telematiche ed elettroniche ov-vero di tecnologie che possono migliorare il controllo delle procedure della sicurezza. Si tratta, oltre che di tecnologie pratiche, di tecnologie politiche, dall’articolazione costituzionale tra ruoli e competenze all’organizzazione dell’amministrazione, che di fatto tutelano i citta-dini dal potere (e, in un certo senso, il potere da se stesso), ma che non potranno mai annullare del tutto un elemento di arbitrio, intrinseco al-la stessa capacità di decidere nell’immediato, che caratterizza la fun-zione della politica.

La genesi del potere moderno

Ma è un principio difficile da dimostrare; quasi sempre il potere si

afferma in modo spontaneo, nelle circostanze del “fatto compiuto”, invece che come prodotto di una sequenza di fatti distinti, connessi da una causa e collegati a un effetto. Difficilmente il processo di forma-zione di un potere può essere “problematizzato”, diventare oggetto di una scomposizione e di una pianificazione: appare nella storia e nella geografia più spesso come fatto eccezionale, come “incidente” o fe-nomeno inatteso. Per questo la formazione di uno Stato — o di un po-tere in genere — difficilmente può essere indotta da una politica o da un’operazione razionale e concordata; può derivare da un compromes-so o da circostanze casuali ma è quasi sempre collegata a qualche forma di conflitto o all’uso di violenza. È difficile, insomma, che un organismo politico possa cedere potere a qualcun altro senza opporre qualche resistenza.

14 POPITZ H., 1990; LEWELLEN T., 1992; SARTORI G., 1995: 51; SCHMITT C., 1972.

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È un fatto che caratterizza la dinamica della politica a qualsiasi sca-la, sia interna che internazionale; è il caso, in epoca contemporanea, dei processi di decolonizzazione e di una lunga serie di “Stati collassa-ti” in Africa centrale, nell’Europa balcanica e in America Latina; è il caso, al di là di certe apparenze, della desovietizzazione e anche dei tentativi di ristrutturazione istituzionale in Medio Oriente dopo le guerre “post 11 settembre”. È il caso, inoltre, degli stessi processi di integrazione alla scala internazionale, sia in ambito occidentale che extra occidentale, per es. per l’unificazione europea o per altri processi assimilabili.

Proprio per questo è utile ricondurre l’analisi alle origini di un certo scenario: è un artificio che permette di creare un punto di osservazione e che permette, cioè, di osservare le variabili — nel caso, soprattutto, quelle della sicurezza — che si siano rivelate essenziali per determina-re il big bang istituzionale. Un’analisi che riguarda il momento della formazione dello Stato strutturato e che, a seconda delle teorie, può essere ricollocato nel tempo, a qualche circostanza che abbia indotto la formazione di uno schema sociale e territoriale sufficientemente definito.

È il caso dei processi di infeudamento e incastellamento, dopo il Mille, quando il castello — strumento e archetipo del potere — si af-ferma sul territorio rurale o sulle città–mercato come struttura di ga-ranzia per una comunità e un insieme di individui15. Una motivazione originaria e genetica che successivamente verrà confusa ad altre fun-

15 DUBY G., 1987. Piuttosto che al Rinascimento, le origini della politica moderna risali-

rebbero a una fase ancora precedente, alle varie fasi della feudalizzazione e dell’inca-stellamento, ovvero allo schema territoriale che si sviluppa nel corso dell’Alto Medioevo e che continuerà a produrre effetti nei secoli successivi. La radice delle ideologie moderne sa-rebbe da ricondurre, allora, alle forme simbolico–ideologiche rappresentate da castello, Chie-sa e comunità dei contadini, che significherebbero un principio di diversificazione tra modi del potere — tra feudatario, prete, “popolo” dei produttori. Uno schema di relazioni che di-stingue tra potere armato (il castellano), potere sacrale–religioso e potere popolare e che a-vrebbe costituito lo schema sul quale si sarebbe successivamente sviluppata la distinzione “classica” per la politica moderna tra “destra”, “centro” e “sinistra”. Da questo stesso schema sarebbe derivato, quindi, un ulteriore elemento, quello mercantile–borghese, che svilupperà un’ideologia caratteristica cioè l’ideologia del mercato e della “società aperta” (e liberale), al contrario di quelle precedenti, di tipo “chiuso”, che consideravano l’insieme sociale (il feudo) come un insieme finito di risorse ed energie; in una certa misura, è uno schema ancora attuale per classificare le ideologie.

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La Modernità. L’avvio della strutturazione statuale

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zioni e ad altre esigenze, e che per questo sarà ancor più difficile da ri-conoscere: con gli Stati–feudo e successivamente con signorie e prin-cipati si impongono ruoli e regole — in una prima fase non scritte — che selezionano e controllano le relazioni sociali e che impongono uno standard per distinguere tra arbitrio puro e semplice e atto politico. La comunità riesce a superare una condizione di precarietà assoluta, ov-vero di incertezza, non solo del diritto ma anche dell’autorità: signoria e principato intervengono nel frammentato contesto tardomedioevale per porre fine alle logiche e alle violenze locali. Rompono, letteral-mente, tramite l’imposizione delle proprie istituzioni, la catena delle vendette e delle violenze private, delle faide e del caos della guerra “di tutti contro tutti”.

In questo scenario, il “principe” — nelle diverse varianti di vesco-vo–conte, condottiero, ricco mercante, riformatore religioso o capopo-polo — appare come un demiurgo (o una divinità immanente), che si impone sulla comunità e che, per dare continuità e consistenza alla propria funzione, deve assumere un ruolo e rendere evidente il proprio status. Per questo costruisce un castello o una fortezza, un palazzo o una cattedrale, dove si insedia e da dove può svolgere un ruolo al di sopra delle parti, restando fisicamente e simbolicamente estraneo alle tensioni locali, che allora potrà meglio controllare e anche rappresen-tare. E questo, soprattutto, facendo in modo che quelle comunità pos-sano avviare un processo di immedesimazione nella stessa funzione e nella stessa figura che lo stesso rappresenta, ovvero nel simbolo di un potere.

Successivamente assume altre responsabilità, altre prerogative e al-tre simbologie; imporrà codici e procedure, cercherà la legittimazione di altri poteri, per es. della Chiesa o dei “dottori” delle nuove universi-tà, delle imprese mercantili e bancarie o dei poteri esterni al proprio territorio (per es. dell’imperatore e del papa). Manterrà prerogative di arbitrio e autocrazia ma in modo indipendente dallo svolgimento delle varie funzioni. Potrà anche fare a meno del consenso della comunità che deve governare — anche se la carenza di consenso può nel tempo indebolire la sua posizione — ma in nessun caso dovrà dimostrarsi in-capace a gestire la forza e gli strumenti della forza, la vera peculiarità del suo ruolo. Qualora questi dovessero venire meno, verrebbe meno il suo stesso potere; proprio da questa capacità — quindi dalla capacità

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di fornire un servizio di difesa efficiente e di garantire la stabilità della comunità — deriva il principio sul quale il “principe” può fondare un modo di governo e la sua legittimazione.

Circuiti e strutture: le dinamiche del potere

È proprio questo il punto che qualifica lo Stato come moderno: il

“principe” — qualsiasi forma abbia la sua autorità — assume tutto il potere e il controllo della forza fisica, di tutti gli strumenti per la pro-duzione e l’organizzazione di violenza. In questo modo, si cala nel gioco sociale e “rompe” le asimmetrie della vendetta e della guerra tribale, per gruppi o per bande: assume e concentra in sé le forze e le conoscenze per ricomporre il mosaico territoriale e per controllare le tensioni che si sviluppano all’interno del corpus che governa. Soprat-tutto, offre a individui e organizzazioni un riferimento di certezza, ov-vero la certezza che qualcuno — esso stesso — si occuperà della loro sicurezza.

Questo fino a imporre comportamenti, procedure, a elaborare cate-gorie, come quelle di sovranità o di giustizia — che non potrà essere perfetta ma almeno effettiva —, di legittimità ed efficienza politica, contrapposte al caos primordiale cui gli individui rischiano periodica-mente di regredire. Categorie, quindi, che contribuiscono a consolida-re circuiti sociali e a rafforzare il potere del “principe” e a rendere ef-fettivo il suo ruolo16. Di fatto, è soltanto un primo passo che conduce a una visione più ampia dell’organizzazione sociale — di un’idea, cioè, che vada oltre le mura e i merli di un castello — e che comincia a inte-ressare sistemi articolati e diversificati, la costruzione di infrastrutture e vie di traffico, manifatture e imprese mercantili.

Fino a delineare un percorso di sviluppo: evidentemente mercanti e artigiani necessitano, per svolgere le loro attività, di condizioni di stabilità, di certezza di regole, e questo anche per aspetti pratici, per es. per la registrazione di pesi e misure, per la certificazione di valori e titoli, per il pagamento di dogane e gabelle. Così anche i primi banchieri ovvero mercanti innovatori che cominciano a trattare e

16 PAGNINI M.P., a cura di, 1985.

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La Modernità. L’avvio della strutturazione statuale

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vendere, piuttosto che beni materiali — un bue, un sacco di patate, un attrezzo —, i simboli della stessa ricchezza ovvero pezzi di metal-lo — le monete — e successivamente “pezzi di carta”, titoli o ban-conote cui, per qualche motivo, verrà riconosciuto un certo valore. Si tratta di piccoli gesti che nell’insieme comportano trasformazioni di tipo rivoluzionario: consentono alle varie attività di maturare un li-vello di economia di scambio, da una della sopravvivenza, e al si-stema di sviluppare forme di circolazione monetaria17.

Ma non è un’operazione arbitraria; il valore di quei pezzi di metal-lo, che originariamente deriva dal valore intrinseco della moneta — nel caso fosse d’oro o di argento —, può variare e questo in modo in-dipendente dalla volontà del “principe”, seguendo l’andamento di un “paniere” di variabili e anche di aspettative e di valori immateriali. Tende, prima di tutto, a esprimere la fiducia che il circuito degli opera-tori ripone nell’autorità che emette quello stesso titolo, quindi, l’efficienza politica e anche la capacità di garantire quel valore, impe-dendo operazioni speculative o degenerazioni di varia natura (per es. fenomeni inflattivi). Poi vi saranno altri elementi, di tipo soggettivo o contingente, come la speranza di successo di una certa attività o di una certa impresa — per es. conseguentemente al rischio del viaggio per il mercante medioevale —, o la stima delle capacità tecniche di un arti-giano o delle caratteristiche che si presume abbia una certa merce. Ca-ratteristiche, queste, che significano valutazioni concrete ma anche, nel contempo, un’aspettativa per lo sviluppo di tutto il sistema.

In genere, il valore riconosciuto alla moneta deriva da condizioni di contesto che restano indispensabili perché quegli stessi artigiani, mer-canti e banchieri possano svolgere il proprio lavoro in modo proficuo. Si tratta, prima tra tutte, della condizione “politica”, cioè della stabili-tà, del carattere di effettività ed efficacia che un governo assicura sul territorio e nella società. Per questo monete e banconote riportano, spesso, lo stesso profilo o lo stemma araldico del “principe”, tanto che proprio quel simbolo — che significa prima di tutto un’aspettativa e un riconoscimento di ruolo — finisce per trasmettere valore alla mo-neta, alla lettera di credito, allo stesso sistema degli scambi.

17 BRAUDEL F., 1982; WALLERSTEIN I., 1997; DUBY G., 1987; LE GOFF J., 1981.

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Capitolo I

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Tutto ciò si realizza nell’ambiente dello Stato cinquecentesco e se-centesco, assolutistico e strutturato, che comincia a configurare un ambiente favorevole per la crescita e in genere per l’interazione a una scala più vasta — sebbene all’interno di nuovi confini. Si tratta di un insieme di reti e nodi che rappresentano un circuito aperto, non chiuso e isolato come il feudo dei secoli procedenti: il “principe” e il sistema che lo stesso rappresenta si aprono al confronto e acquisiscono ric-chezze in forma di prelievo fiscale, piuttosto che con attività predato-rie o come premio per un’aggressione; avviano politiche di incremen-to e sviluppo, in termini di massa monetaria e di beni materiali, di in-frastrutture, conoscenza e occasioni economiche.

È una dinamica che induce tensioni e movimenti di espansione e che tende a far coincidere i confini del principato con quelli ottimali per la realizzazione delle necessarie economie di standardizzazione, quindi con gli stessi circuiti di mercato. Il “principe” cerca di struttu-rare il proprio territorio in modo da comprendere nei propri confini una rete di centri (città–mercati, centri di manifatture, “nodi” di traf-fico), di periferie (dove viene praticata l’attività, nonostante tutto an-cora fondamentale, della produzione agricola e dove sono in genere localizzate materie prime e fonti di energia) e di confini politici, ovve-ro strutture di controllo, centri di quarantena, dogane e fortificazioni di frontiera.

Tutto ciò comincia a configurare un “contenitore”, uno spazio o-mogeneo, dove le variabili della cultura e dell’economia possono svi-lupparsi in modo moltiplicativo — anche se soggetto a limiti precisi. È un fatto che induce omogeneizzazione in tutti i sensi (territoriale, pro-duttiva, linguistica) e che si realizza in un contesto che, successiva-mente, verrà definito come mercantilistico: all’abbattimento dei con-fini interni allo Stato corrisponde la costruzione di confini verso l’esterno, predisponendo alla costruzione di un circuito più vasto ma, nondimeno, chiuso, che perseguirà l’accumulazione “introversa”, piut-tosto che di tipo “internazionale”18. E questo fino a una certa satura-

18 Uomo di Stato francese, contrôleur général, più o meno “ministro delle finanze”, Je-

an–Baptiste Colbert (1619–1683) è il simbolo di questa epopea e del mercantilismo: una scuo-la, in realtà, che si manifesta come prassi di governo e che verrà riconosciuta come teoria sol-tanto a posteriori, e con intento polemico, dai liberisti e da Adam Smith in primis, che vorran-no in questo modo, soprattutto, sottolinearne i limiti (SMITH A., 1973).

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zione, che verrà raggiunta per fasi e in epoche diverse, a seconda dei casi tra il Seicento e il Settecento e anche oltre, e che darà origine a crisi periodiche di sovrapproduzione o di inflazione, e che creerà pe-riodicamente i presupposti per nuovi adattamenti delle forme territo-riali (e sociali).

Si affermeranno allora nuove configurazioni politiche e nuove isti-tuzioni, complesse e articolate, fino alla formazione dei sistemi impe-riali e coloniali che caratterizzeranno le fasi successive dello sviluppo. In questo senso lo Stato è e resta la principale istituzione — secondo alcune teorie l’unica istituzione ovvero l’istituzione che gestisce e as-sicura la convivenza civile, la “struttura delle strutture” —, oggetto di studio cruciale per comprendere la portata delle trasformazioni che percorrono la società moderna.

Circuiti e meccanismi sincronici

Nondimeno, la costruzione dello Stato, come per qualsiasi organi-

smo politico, configura un processo contraddittorio e che non sempre anzi, tutto sommato, raramente ha successo. L’instaurazione di un po-tere moderno rappresenta un evento complesso, che coincide con l’affermazione di un sistema, ovvero con l’affermazione sincronica e contemporanea di un circuito di servizi, di relazioni e di aspettative. Mentre il potere antimoderno si fondava sulla capacità predatoria di un principe–predone, il potere moderno deve indurre circuiti di diver-sificazione e questo per autoalimentarsi, per crescere e consolidarsi e, nello stesso tempo, per garantire interessi contrastanti — quelli di élite, mercanti e, con il tempo, di Terzo Stato e di strati più vasti di popolazione.

Allo stesso modo, mentre il potere predatorio non necessita di al-cun elemento di legittimazione né di alcun fondamento culturale — in quanto deriva direttamente dalla minaccia e dall’uso della forza —, il potere moderno deve garantire efficienza, stabilità, sicurezza, quindi funzioni articolate, da svolgersi in modo continuo sul territorio e nella società. Mentre il potere antimoderno tende comunque a comportarsi in modo aggressivo, e rischia di decadere non appena viene meno quello stesso senso della minaccia e della coercizione, il potere mo-

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Capitolo I

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derno — articolato e pluralista — tende a riprodurre strutture di auto-conservazione, a utilizzare strategie alternative, sia di competizione che di collaborazione e persuasione.

Si tratta di un circuito composto da elementi diversi, da relazioni, accordi e regole — originariamente non scritte — che garantiscono la reciprocità delle prestazioni e questo tramite strutture e istituzioni che erogano servizi e che inducono certezze. Il sistema economico, in-somma, deve necessariamente “passare” per quello politico, configu-rando un complesso di prestazioni e di controprestazioni che si realizzano in modo differito nel tempo e nello spazio, e che solo ecce-zionalmente sono contemporanee. Possono svilupparsi sulla base di una promessa e del riconoscimento di un valore ovvero di un feticcio, appunto, una moneta, un pezzo di carta, una firma o un sigillo, cui viene riconosciuto un certo valore19. Così per il riconoscimento di qualsiasi attività o procedura che si realizzano nell’aspettativa del ri-conoscimento e quindi nell’aspettativa che tutti riconosceranno lo stesso valore a una moneta, osserveranno le stesse regole economiche o di comportamento — uniformità di pesi e misure, modalità e termini di pagamento, standard di qualità della merce, ecc.

Proprio per mantenere quel quadro di aspettative e promesse, l’i-stituzione politica deve garantire il proprio ruolo con continuità; in un certo senso deriva la sua legittimazione da un credito che i suddi-ti–cittadini maturano nei suoi confronti: il “principe” promette stabi-lità e assicura la continuità nell’esercizio del controllo e del governo. Allora, una volta che questo principio verrà riconosciuto, si creeran-no le basi per uno sviluppo sistemico e di tipo cumulativo nel tempo e diffuso sul territorio: il contadino produrrà stagionalmente i beni necessari per il sostentamento di tutta la popolazione, l’artigiano in-vestirà nel proprio lavoro in attesa di realizzare un corrispettivo, il mercante — che si aspetta che il “principe” lo tuteli dai briganti di strada o dai disonesti, e che la moneta in circolazione mantenga un certo valore — potrà mettere in contatto tutti quegli operatori nei termini di un circuito.

Ma aspettative e prestazioni devono realizzarsi nello stesso conte-sto, come anelli della stessa catena, cioè in modo sincronico e questo

19 LEGRENZI P., GIROTTO V., a cura di, 1996; POPITZ H., 1990; LEWELLEN T., 1992.

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perché, altrimenti, qualcuno, su un altro anello della stessa catena, po-trebbe restare senza cibo, senza protezione, senza lavoro e senza dena-ro. Gli attori dell’economia devono agire, in un certo senso, “alla cie-ca”, senza disporre di garanzie materiali circa le controprestazioni di tutti gli altri attori che agiscono sullo stesso scenario. Quella stessa ga-ranzia, in realtà, sarà l’oggetto di una funzione e di una regolazione politica (o, a seconda delle interpretazioni, di una “mano invisibile”) e verrà prodotta da un sistema di consuetudini o di regolamentazioni spontanee o tout court da istituzioni collettive.

È un punto cruciale per comprendere le realtà moderne: è un pro-cesso che si verifica in circostanze diverse, a volte in modo non volu-to, come risultato di adattamenti casuali o anche di sconvolgimenti o di crisi. E questo nel corso delle generazioni, con processi di lenta as-similazione, oppure conseguentemente a tentativi e fallimenti, o anche a guerre e rivoluzioni; nei termini di un processo top down, imposto o “graziosamente” concesso dal re o dal principe, o bottom up, dalla ba-se della piramide sociale, in seguito a un movimento di rivendicazioni o a una rivolta.

Quasi sempre, comunque, si realizza in modo inatteso, quando tutti gli elementi di uno scenario siano “allineati” a una certa posizione ed egualmente disposti al cambiamento: una circostanza eccezionale ma non impossibile nella storia sociale. Si tratta, quasi, di un “miracolo” geografico–politico che, in effetti, è difficile da scomporre e da analiz-zare, prevedere o pianificare: coincide con la “nascita” dello Stato moderno, con una sorta di nation building primordiale. Da quel mo-mento l’aggregato di individui e gruppi potrà avviare un funzionamen-to meccanico — una routine politica — che produrrà benefici per tutto il sistema, come tutti potranno immediatamente verificare, e dal quale dipenderà il destino delle istituzioni e delle popolazioni che le stesse rappresentano.

La modernità economica

Ma è un fenomeno che si realizza in circostanze eccezionali e che è

tanto più complesso quanto più è vasta la scala dei circuiti e quanto maggiore è il numero degli attori che ne fanno parte. Storicamente, si

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realizza per contesti molto limitati, come è successo in epoca premo-derna, tra reti di castelli e piccole città–mercato. In quei casi, il circui-to del riconoscimento politico può instaurarsi e diffondersi sulla base di relazioni elementari: l’idea della legge, ovvero l’autorità del castel-lano — e anche del prete per una comunità di villaggio —, è effettiva e verificabile in qualsiasi circostanza.

È un fatto importante per chi investe e rischia, di regola il mercante pioniere, l’unica figura imprenditoriale in quel contesto, e che specula sul fatto — ovvero confida — che esista una forza superiore che è in grado di garantire il funzionamento di tutto il sistema. Questo non tan-to perché si aspetta che quel potere realizzi un criterio ideale di giusti-zia — l’autorità non è infallibile —, quanto che la funzione di governo venga comunque perseguita e che sia, almeno, effettiva. Chi non paga le tasse, imbroglia al mercato, aggredisce un banchiere o un mercante sa che verrà punito o che almeno rischia di essere punito, e quindi ri-schia di perdere tutto ciò di cui dispone, i propri beni, la libertà e an-che la vita.

Il fatto stesso che un “principe” svolga certe funzioni crea un rife-rimento per stabilire concretamente che cosa è “buono” o “cattivo” ri-spetto a un insieme di possibilità. È un fatto che significa una recipro-ca e sincronica attribuzione di fiducia e che significa l’avviamento di un motore sociale — un insieme di comportamenti che funzionano in-dipendentemente gli uni dagli altri — e che produce un effetto di svi-luppo20. Il principio della politica comincia a rappresentare un’istitu-zione di utilità comune (con l’eccezione degli outsider, di chi non rie-

20 È un argomento che sarà oggetto delle teorie sulla cd. cibernetica sociale, ovvero del

tentativo di elaborare una “macchina” socialpolitica in grado di funzionare e di autoregolarsi; è un classico oggetto di studio della scienza politica moderna (cfr. HABERMAS J., LUHMANN N., 1973; DEUTSCH K., 1972). La stessa teoria della “macchina” può essere adattata a qualsia-si scala, si pensi per es. al monastero e alla comunità di villaggio — unità economico–sociali prevalenti tra Alto e Basso Medioevo —, o anche agli Stati e agli imperi continentali, che funzionano sulla base di certi meccanismi — circuiti di produzione e redistribuzione, infra-strutture, ordinamenti istituzionali, ecc. In questo passaggio agiscono anche fattori culturali, altrimenti sarebbe impossibile giustificare tale variabilità: il fatto che una forma politica si realizzi a una certa scala geografica dipende da fattori materiali, dalla disponibilità di tecnolo-gie e di modi di comunicare, ma anche da schemi di pensiero (MCLUHAN M., 1967: 156, 182ss). Potrebbe essere il caso, per es., di una certa idea di diritto e di auctoritas per l’impero romano o dell’universalismo mistico e religioso per le comunità monastiche dell’Alto Medio-evo — i due estremi su questa scala dall’universale al particolare.

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sce a integrarsi in quel circuito), fino a ottenere riconoscimento e a e-laborare un insieme di procedure e di normative che con il tempo da-ranno origine allo Stato di diritto.

È un passaggio che, storicamente, si realizza con l’affermazione dei primi Stati–nazione o meglio dei primi “Stati strutturati” dell’Europa all’uscita dal Medioevo; si tratta di un apparato che il “principe” ela-bora — concede o impone — per riaffermare la propria autorità verso l’esterno e i poteri concorrenti e che successivamente subirà un pro-cesso di articolazione e di “spersonalizzazione”21. La storia politica della Modernità significa la trasformazione, da uno scenario gestito da sovrani assoluti e dinastie aristocratiche, a una “sociologia” di Stati territoriali, regolati da un insieme di procedure interne e di trattati in-ternazionali (dopo la pace di Westfalia, nel 1648).

In questo modo, sviluppandosi per sistemi complessi, gli Stati pos-sono articolare ulteriormente le proprie funzioni e possono elaborare una rete amministrativa, per dare corso a un progetto di espansione e anche per difendersi, oltre che da nemici esterni, in un certo senso, da se stessi, cioè da chi amministra e da chi svolge materialmente attività di governo, per conto dello Stato, nelle varie periferie. Al momento stesso della formazione e della fondazione statuale, l’apparato svilup-pa altre competenze, oltre a quelle che riguardano direttamente difesa dall’esterno e sicurezza all’interno. Si tratta di funzioni che contribui-scono a consolidare e a legittimare quel ruolo: il “principe” crea un apparato in grado di garantire, tra le altre funzioni, quella della giusti-zia, del prelievo fiscale, la costruzione di un’amministrazione e di un esercito territoriale — non più di mercenari, “guardie svizzere” o lan-zichenecchi comandati da un “soldato di ventura”22. Questo per garan-tire sicurezza a individui e gruppi, città e campagne, aziende, mercati e vie di traffico che necessitano, oltre che di stabilità politica, di cer-

21 POPITZ H., 1990: 42ss; LEWELLEN T., 1992; DE VERGOTTINI G., 1981. Ma forse la

questione della “personalizzazione” del potere andrebbe collocata in una prospettiva diversa e di recupero ciclico dei modi della politica, che riappaiono periodicamente nella storia (SAR-

TORI G., 1995: 59). 22 Fatto che Machiavelli considera deleterio e dannoso per le istituzioni, preconizzando

l’affermazione di eserciti popolari o nazionali, comunque di massa e di ideologia; le rivolte contadine del Cinquecento e le guerre religiose del Seicento rappresentano forse un preceden-te in questo senso.

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Capitolo I

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tezze in senso generico, in senso personale e collettivo, culturale e commerciale.

Evidentemente le economie dello scambio e della moneta, e suc-cessivamente del capitale, si fondano sul rischio di impresa ovvero su una rappresentazione del rischio che, mentre nelle epoche precedenti significava qualche cosa di insostenibile, nell’era dello Stato moderno diventa un elemento normale, da gestire in termini di normale impre-vedibilità aziendale. Questo grazie alla funzione di garanzia che l’amministrazione assicura, ridimensionando i rischi connessi al con-testo nel quale si svolge la stessa attività economica: da quel momen-to, ridotti i fattori di incertezza ambientale, il rischio dell’impresa coinciderà con il rischio caratteristico di un’attività. Un elemento, quindi, che può essere meglio controllato e anche misurato, per es. in base alla redditività di un terreno, all’abilità di un artigiano o all’efficienza di certe tecniche.

In genere, lo Stato moderno rende possibile lo sviluppo della varia-bile “lavoro” in tutte le sue dimensioni, a scala individuale e colletti-va, nel tempo e nello spazio, inducendo “valore” in modo coerente e continuo. È lo strumento che garantisce le condizioni per questo pas-saggio, quindi una condizione di minore incertezza a qualsiasi dimen-sione. Non significa l’annullamento di qualsiasi problema ma almeno la certezza che qualcuno si occuperà dei rischi a scala più vasta, che il privato, l’individuo o la ditta non possono affrontare. Come già consi-derato, sebbene la funzione politica non possa essere considerata come infallibile — non significa la garanzia contro qualsiasi aggressione o devianza, contro qualsiasi crisi di mercato o di “bancarotta” —, alme-no svolge un effetto di deterrenza, di controllo preventivo e di aspetta-tiva di repressione.

E questo a una scala progressivamente più ampia, che non riguarda più soltanto qualche comunità di villaggio raccolta attorno a un cam-panile o alla torre di un castello, ma itinerari commerciali, fiere e mer-cati, e le prime città che si affermano nel paesaggio postmedioevale. Comprende spazi articolati, con aree di produzione agricola o di altre materie prime, luoghi e passaggi di tipo strategico per il traffico e bar-riere naturali e confinarie. Si tratta di Stati–mercati, economie integra-te da circuiti di produzione e redistribuzione, di valorizzazione di mer-ci e di lavoro che si sovrappongono a quegli stessi confini politici.

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Di fatto, coincidono con aree di mutual exclusion23, dove tende a prevalere un solo potere, ovvero l’ambiente nel quale si realizza una combinazione sinergica tra gli strumenti della coercizione politica e dello sviluppo economico — e successivamente della cultura naziona-le. È, questo, l’ambiente nel quale lo Stato moderno rende possibile il funzionamento di meccanismi sociali, di sviluppo capitalistico e terri-toriale: si afferma, insomma, come migliore contenitore possibile per le nuove forme della produzione, per l’affermazione di un mercato e di un’economia di scambio.

È un fatto che ha immediate ripercussioni in termini di diver-sificazione e di moltiplicazione ovvero di sviluppo: in un contesto di stabilità il mercante può alienare una merce a fronte di un “titolo” — in realtà un pezzo di carta —, il banchiere può riconoscere un credito, il produttore è disposto a lavorare per un salario (che riceverà soltanto alla fine del mese), l’armatore a spedire un carico a clienti anche molto lontani, anche oltre mare, senza alcuna garanzia reale. Tutti, questi, e-lementi di una stessa “macchina” sociale che agiscono sulla base di una ragionevole probabilità che i patti stabiliti verranno rispettati, il pagamento saldato, la merce consegnata e il “pezzo di carta” ricono-sciuto.

Così, garantendo la certezza di certe funzioni, lo Stato — che si-gnifica etimologicamente proprio il fatto di “essere”, di esistere e il fatto, cioè, di poter garantire una presenza continuativa — rende pos-sibile lo sviluppo di un’economia articolata, di circuiti di produzione e di redistribuzione sempre più vasti, di attività che richiedono tempi lunghi, cicli di investimento e applicazione di codici in modo unifor-me sul territorio. Il sistema delle prestazioni e delle controprestazioni può combinarsi in un contesto di reciprocità e di azioni differite nel tempo e nello spazio, con modalità diverse e in continuo adattamento.

È uno sviluppo che rende il sistema più produttivo: l’economia esce da una condizione di sussistenza (per cui chi lavora un pezzo di terra, vive esclusivamente del proprio lavoro e del raccolto che quello stesso pezzo di terra può garantirgli, e non del lavoro di altri né della media-zione di alcuno) e avvia dinamiche di diversificazione. I fattori della produzione — manodopera, abilità personale, risorse, tecniche — pos-

23 CARNEIRO R.L., 1978.

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sono essere impiegati in circostanze diverse, in modo non fisicamente connesso a una controprestazione, come succedeva precedentemente, ma sulla base di una semplice “promessa”. I produttori agricoli e arti-gianali, i mercanti, gli armatori e i banchieri possono rivolgersi a clienti che risiedono ovunque, e che consumeranno il bene o usufrui-ranno della prestazione in momenti e in luoghi diversi da quelli dove lo stesso bene viene prodotto e il servizio organizzato.

Il capitalismo

Originariamente si tratta di casi isolati, di opportunità per pochi in-

dividui innovatori, ovvero per qualche temerario o disperato che, spin-to da una necessità, abbandona la comunità rurale per intraprendere al-tre vie, quelle del viaggio e dello scambio, o qualche attività religiosa o intellettuale, diventando quindi monaco predicatore, riformatore o eretico, guaritore, ciarlatano o professore universitario (in senso me-dioevale, cioè girovago). Si tratta di pionieri che contribuiscono a co-struire dei circuiti che con il tempo assumono maggiore consistenza, fino a generare dei sistemi: l’economia capitalistica, un fenomeno complesso e articolato, ha un’origine semplice e deriva dalla stessa possibilità di intraprendere attività innovative in un contesto di minore insicurezza.

È un fenomeno che, come spiegano Braudel e gli “annalisti”, può essere meglio compreso se considerato nel momento stesso in cui si forma, nel momento, cioè, in cui i suoi elementi essenziali si combi-nano in una formula sincronica24. Il capitalismo “nasce” sul “banco” del mercante di denaro — in origine lombardo, veneziano o toscano — che in epoca bassomedioevale gira per le fiere, ovvero le nuove fiere che si sviluppano spontaneamente sull’incrocio tra qualche stra-da, presso un ponte o al sicuro entro le mura di una città, offrendo de-naro per finanziare attività diverse, consumi o investimenti. Coincide, quindi, con quella stessa tendenza a diversificare spazio e tempo delle prestazioni e a distinguere tra momento dell’investimento, del consu-mo e del conseguimento di un profitto — l’obiettivo ultimo

24 BRAUDEL F., 1982; WALLERSTEIN I., 1997.

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