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Igor Piotto DAL JUST IN TIME ALLA PRODUZIONE MODULARE. RAPPORTI TRA IMPRESE E PROBLEMI DI RELAZIONI INDUSTRIALI DSS PAPERS SOC 4-01

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Igor Piotto

DAL JUST IN TIMEALLA PRODUZIONE MODULARE.

RAPPORTI TRA IMPRESE EPROBLEMI DI RELAZIONI INDUSTRIALI

DSS PAPERS SOC 4-01

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INDICE

Introduzione ............................................................................... Pag. 5 Parte Primaa. Trasformazione del sistema di fornitura: dal just in time alla produzione modulare ............................................................. 6

a) Filiera di prodotto organizzato secondo il modello “Just in time” .............................................................................. 8

b) Filiera a “fornitura integrata” .................................................. 11c) La produzione modulare e le sue implicazioni organizzative . 14

b. Traiettorie di sviluppo nella rete di fornitura industriale .. 21 c. Incompletezza contrattuale e competenze relazionali nel

sistema di fornitura .................................................................. 28a) Incompletezza dei contratti tra imprese .................................. 29b) Incompletezza e regolazione dei contratti di lavoro ............... 34

Parte Secondad. La ridefinizione dei confini d’impresa nella filiera di prodotto

mette in discussione l’attuale modello di relazioni industrialialla produzione modulare ........................................................... 43a) Confini di impresa e contrattazione aziendale ........................ 44b) Parametri di contrattazione del salario variabile ..................... 48c) Produttori di integrazione e salario professionale ................... 51d) Coinvolgimento sindacale e terziarizzazione avanzata ........... 53

e. Il contratto di prodotto una strategia di riunificazionecontrattuale ................................................................................. 57a) Problemi e prospettive ............................................................. 57

f. Conclusione. La contrattazione nella terziarizzazione avanzata:una sfida strategica del sindacato ............................................. 64

Bibliografia ...................................................................................... 66

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Introduzione

Dopo la lean production l’obiettivo strategico delle imprese si èspostato sulle modalità di organizzazione del sistema di fornitura, che havisto mutare i rapporti tra le imprese e le caratteristiche delle lorointerazioni, prima con l’introduzione delle tecniche di just in time, sino allafornitura integrata per finire con le strategie di esternalizzazione calibratesull’outsourcing modulare. Una prima parte di questo lavoro sarà dunquefocalizzata sull’analisi organizzativa del profilo di questo cambiamento. Ilriferimento empirico va al sistema di fornitura della produzioneautomobilistica; non tanto perché i fenomeni di esternalizzazione sianoinesistenti in altri settori, quanto invece perché questa rappresenta il terrenopiù avanzato nella sperimentazione di nuovi modelli di organizzazione delciclo di prodotto.

Una seconda parte, verranno indagate le conseguenze che questatendenza strategica tende a produrre sul sistema di relazioni industrialisuccessive al Protocollo del 23 luglio 1993, ed in particolare sullacontrattazione collettiva decentrata; si ridefinisce la posta in gioco dellanegoziazione e con essi i vinvoli che si pongono di fronte a ciascun attore:rappresentanza degli interessi, costi di contrattazione, regolazione deirapporti di lavoro. Benché il fenomeno dell’outsourcing ha una portatainternazionale, che supera le barriere nazionali e riconfigura il territoriosulla base delle relazioni di scambio, il lavoro di ricerca saràcontestualizzato al caso italiano e quindi indirettamente al suo sistema diregolazione contrattuale di cui il Protocollo ne costituisce il “testo”fondante.

In questo studio il ponte tematico che lega le trasformazioni del sistemadi fornitura alle relazioni industriali verrà ricercato sull’approfondimentodelle caratteristiche di due tipi di contratti: i contratti commerciali traimprese ed i contratti di lavoro all’interno della singola azienda. L’ipotesicentrale è che l’incompletezza dei contratti di lavoro all’interno delleimprese è una risorsa strategica, utilizzata dal management per fronteggiare ifattori di incertezza che provengono dai rapporti di collaborazione conimprese committenti e di fornitura.

L’approccio economico alla teoria dei contratti applicato ai processi dioutsourcing può essere una fertile lente di ingrandimento di alcune questionicruciali sul terreno della contrattazione decentrata. A fronte di unatrasformazione dei “confini” dell’impresa si generano delle conseguenze chehanno un impatto diretto sulle modalità di “partecipazione” tra management

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e lavoratori (premi di risultato, strategie di contrattazione del salarioprofessionale).

Dopo aver sinteticamente messo in rilievo i punti critici dellacontrattazione decentrata aziendale, lo sforzo dell’analisi sarà orientato emettere sotto osservazione critica alcune ipotesi “contrattazione di filiera odi sito” comprendente non più la singola impresa ma la rete di impresecoinvolte in un ciclo di prodotto.

Quest’ultima sezione di lavoro, prenderà in considerazione laprospettiva del “contratto di prodotto”; più che un’esercizio di ingegneriacontrattuale, il contratto di prodotto è l’occasione per discutere criticamentei dilemmi aperti dai tentativi di configurare la rappresentanza sindacale e lacontrattazione decentrata nei casi in cui sono radicalmente messi indiscussione i confini giuridici ed organizzativi dell’impresa.

PRIMA PARTEa. Trasformazione del sistema di fornitura: dal just in time alla

produzione modulare

L’esposizione dell’impresa su mercati internazionali e l’inasprimentodella competitività hanno contribuito ad assegnare ai fenomeni di“terziarizzazione” un ruolo strategico crescente, imprimendo una duplicesvolta organizzativa sul versante interno dell’organizzazione del lavoro alloscopo di ottimizzare i processi organizzativi attraverso lo “snellimento”(streamlining), e sul versante delle relazioni tra cliente e fornitore.

I processi di esternalizzazione delle attività aziendali prima svolteall’interno dell’impresa introducono nuove forme forme transazionali, nonriducibili alla rigida alternativa tra “gerarchia” e “mercato”, che sisviluppano sia all’interno della singola impresa sia nei suoi rapporti conl’ambiente esterno, in particolare con il suo parco fornitori.

L’aumento dei livelli di offerta di beni sul mercato, il recupero diproduttività, la riduzione dei costi sono obiettivi strategici perseguibili permezzo di interventi di snellimento volti ad assottigliare la strutturadimensionale aziendale, restringendola al nucleo di attività che costituisconoil core business dell’organizzazione, ed attraverso un intervento suimeccanismi di governo delle relazioni con i partners esterni, improntatesulla richiesta di una incrementale “responsabilizzazione” dei soggetticoinvolti nella rete di fornitura.

Dove la rete di fornitura descrive quei casi di cooperazione tra impreseappartenenti ad un comune filiera di produzione; non si tratta di una

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precisazione puramente accademica, essa consente di evitaregeneralizzazioni indebite. La struttura di fornitura non coincide con ungenerico sistema di relazioni tra imprese, essa ha della caratteristichedistintive riconoscibili a partire dalla individuazione di una specificavocazione produttiva della struttura di filiera1.

Questa può essere ricondotta ad «un sistema di articolazione – delletecniche, dei mercati e dei capitali – tra le attività di produzione,trasformazione, distribuzione; tiene conto dell’esistenza e delle direzioni dicomplementarietà tra attività produttive; la sua unitarietà è determinata dacentri di gravità situati ad un livello variabile del processo produttivo cheindividuano la densità massima di articolazioni (…) Queste articolazionifanno emergere relazioni di stretta complementarietà, opposizione ed anchedominazione fra i diversi livelli» (Bellon, 1984, cit. in Enrietti, 1988).

Con il passaggio dalla produzione di massa ad economie di varietà, ilrapporto tra imprese committenti ed imprese di fornitura tende aconcentrarsi non solo sugli aspetti economici del rapporto ma anche sulleattività di servizio (controlli di qualità, miglioramento continuo tramiteinnovazione delle memorie organizzative, problem solving) che investonodirettamente la qualità della prestazione e la sua tempistica. Si addensanointorno ai nuovi contratti di fornitura, ed in parte sono compresi da questo,rapporti di collaborazione con nuovi contenuti che prevedono, oltre anumerosi altri fattori, scambi incessanti di conoscenze tacite ed esplicite e ditrasferimento tecnologico.

L’instaurarsi di scambi a forte “intensità informativa” dà origine aforme di interazione che non possono essere ricondotte, se non al rischio dipericolosi riduzionismi, ai semplici rapporti di compra-vendita (Rullani,1986); prendono consistenza “transazioni non codificate” che non possonoessere comprese nelle transazioni contrattuali formalmente organizzate.Queste ultime non sono in grado di catturare, e quindi regolare, quella fittarete di scambi di codici, informazioni, saperi professionali e tecnologie, cherendono altamente qualificante la commistione difficilmente separabile traconoscenza codificata e conoscenza tacita e localizzata, che costituisce,quest’ultima, uno dei patrimoni più rilevanti dell’impresa stessa, necessari agarantire la tempistica e la qualità della fornitura insieme alle attività di“interfaccia” con l’ambiente esterno.

L’incalzare di tempi più ristretti di consegna del prodotto all’interno divincoli di costo e di qualità, cambia la struttura relazionale all’interno dellafiliera e delle singole imprese, la cooperazione attiva tende a sostituire la 1 Per un ricognizione sul concetto di filiera e sulle implicazione concettuali rimandiamo aEnrietti (1988).

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natura fortemente eterodiretta di un comportamento fondato sulla“conformità alle regole”. Il rapporto di fornitura in un sistema adintegrazione quasi verticale raramente prevede contratti spot occasionali,adatti per uno scambio di prodotti standardizzati, che deve invecerispondere continuamente a domande di differenziazione e specializzazionedell’offerta di un’ampia gamma di prestazioni. La produzione viene“trainata” dalle specificità del prodotto richiesto dal mercato finaledeterminando quindi la diversificazione dei singoli contratti di fornitura, equindi la formalizzazione delle modalità di collaborazione.

Sul modello giapponese molto è stato scritto, ci si limiterà quindi asottolineare che la lean production non ha solo rappresentato una rispostaaziendale alla crisi strutturale del fordismo, ha anche definito l’infrastrutturaorganizzativa sulla quale è stato possibile lo sviluppo di una nuovaarchitettura di relazioni tra imprese finali, di prima fornitura e subfornitura.

Dentro il riferimento a questo modello si annidano però alcuni problemidi interpretazione. La produzione snella viene alternativamente ricondotta adun sistema di “tecniche organizzative” ed in questo caso l’attenzione sisposta sul just in time (Ohno, 1990, Monden, 1983), oppure ad un paradigmadi produzione sostitutivo di quello fordista della produzione di massa. Ma seè fuori discussione che tra di esse esista una relazione, la lorosovrapposizione è altrettanto rischiosa; questo studio fa riferimento ad unatrasformazione della filiera tutta interna a relazioni di fornitura che sisvolgono nell’ambito della lean production, ed il just in time è una delleconfigurazioni, insieme a quelle della fornitura integrata e della produzionemodulare, che la filiera può assumere. In altri termini, all’interno dellaproduzione snella si sono sviluppare relazioni tra imprese che si sonoinnestate sulla matrice originaria del JIT e ne hanno ridefinito i confinidando origine a forme diversificate di fornitura integrata e successivamentedi outsourcing modulare.

a) Filiera di prodotto organizzata secondo il modello “just in time”.Il sistema just in time ha rappresentato nella trasformazione del sistema

di fornitura un punto di passaggio nel processo di razionalizzazioneproduttiva intervenuta sul finire degli anni ’80. L’impresa finale fariferimento ad un parco fornitori piuttosto numeroso, in cui ciascunaimpresa si trova posizionata all’interno di configurazione gerarchicapiuttosto variabile. Il fornitore è localizzato in prossimità del cliente maquesto non prevede necessariamente una stretta contiguità geografica; ilnodo fondamentale su cui ruota il sistema di fornitura JIT riguardaessenzialmente l’integrazione di tipo logistico. La sincronizzazione dei

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processi obbliga le imprese fornitrici ad una drastica riduzione dei tempi diconsegna, con un abbattimento dei tempi nella movimentazione deisemilavorati e dei materiali. I due pilastri della razionalizzazione produttivaveicolata dal JIT sono l’ottimizzazione dell’interscambio e la riduzione deicosti; due elementi che chiamano direttamente in causa le strategie diinnovazione logistica della produzione. Questo ha avuto come effettoimmediato la riduzione o il progressivo esaurimento degli stock dimagazzino del cliente finale, e con esso una riduzione rilevante dei costi digestione. Magazzini che si sono poi distribuiti lungo la filiera nelle officinedi fornitori e subfornitori, con l’esito di creare un sostanziale stato didipendenza dal cliente finale.

La centralità della dimensione logistica trova ulteriori conferme seanalizzata sotto il profilo dell’innovazione tecnologica introdotta in questafase di decollo dei nuovi modelli di produzione.

Dopo l’introduzione delle macchine a controllo numerico a cui èseguita la robotizzazione di alcuni segmenti del ciclo di lavorazione grazieall’impiego massiccio di tecnologie meccatroniche; sviluppatasi ancora nelquadro organizzativo del paradigma fordista nonostante i suoi evidentisegnali di crisi, l’innovazione tecnologica più consistente nella fase di just intime ha riguardato software informatici di gestione delle informazioniriguardanti lo stoccaggio dei materiali e la gestione delle consegne. Oltre adesperienze di kanban elettronico, i software più diffusi – Sigip e Sap –riguardano l’informatizzazione delle procedure di gestione dei materiali, chehanno reso possibile un ulteriore snellimento di moduli organizzativi (es.Material Resource Planning), in particolare favorendo il controllo “in temporeale” dei processi di alimentazione del ciclo produttivo.

L’integrazione logistica è dunque il perno della trasformazione proprioperché è l’esito di un’attività di cooperazione tra cliente e fornitore, assaisuperiore a quella conosciuta in passato: da qui si può affermare chel’integrazione dei processi interaziendali inizia a diventare un bene chedipende dalla qualità della relazione2.

2 Con la produzione snella si apre una prospettiva nuova di sinergia tra il nucleo tecnicodell’organizzazione, ovvero quegli elementi distintivi che l’organizzazione cerca dipreservare dalle turbolenze esterne e l’ambiente locale (task environment); l’impresasconfina nel territorio e l’ambiente locale entra nell’impresa. Nucleo tecnico e ambientelocale conservano due logiche di azione differenziata ma non sotto il profilo spaziale, cheinvece dà origine ad una sorta di “regionalizzazione della produzione”, che talvolta puòprendere la forma del distretto industriale. In altri termini il just in time riposiziona ilnucleo tecnico della singola organizzazione all’interno di una rete territoriale di imprese,o di impresa rete (Pichierri, 1994).

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Un bene relazionale che può essere riprodotto attraverso relazionicontrattuali ripetute ma anche discontinue, senza che questo metta indiscussione il permanere – e questo aspetto accomuna l’impresa JITall’impresa taylor-fordista - di una strategia aziendale ancora costruita sullacorporate governance.

Da un lato i vincoli di reciprocità connessi alla logistica hanno richiestoinvestimenti specifici soprattutto da parte dei fornitori (informatizzazionedei piani di alimentazione e consegna, gestione di un volume considerevoledi stock di materiali all’interno di vincoli temporali assai stretti), con unaperdita di una parte consistente del potere negoziale nei confronti del clientefinale, a vantaggio di quest’ultimo che ha potuto così sperimentare la portatae gli effetti di una prima selezione del parco fornitori.

La gestione del cronometro si è esteso dalle “linee di produzione” allerelazioni inter-aziendali, assumendo una connotazione sistemica; latempistica offre parametri certi ed oggettivi di definizione degli obblighireciproci riducendo ampi margini di aleatorietà anche in fase di stipulazioneed implementazione del contratto di fornitura.

Il bene relazionale “integrazione” comporta che le attività di soggettieconomici giuridicamente autonomi vengano sincronizzate nei tempi diconsegna e acquisizione del materiale, demandando alla singola impresafornitrice il compito di attivare al proprio interno le risorse per adempierealle richieste del cliente. In questo quadro sono riconoscibili i confinidell’impresa e le strategie di corporate governance riguardano almobilitazione di risorse interne, ma anche esterne attraverso relazioni conimprese di subfonitura, alle quali si assegnano compiti di intervento neimomenti di sovraccarico delle commesse (subfornitura di capacità).

Questo processo di razionalizzazione tempistica è stato ulteriormentevincolato a parametri di controllo della qualità (coagulati intorno alle normeISO 9000), con ricadute sulla stessa organizzazione interna del lavoro. Loricordiamo, l’introduzione del modello just in time non ha solo investito irapporti di fornitura ma anche la struttura aziendale nel suo insieme;ricordiamo che l’introduzione della lean production è inseparabile da unassottigliamento dei livelli gerarchici accompagnato da richieste di maggiorepolivalenza delle attività di tipo esecutivo.

Con il supporto di studi empirici (Esposito, Lo Storto, 1999 ; Raffa,1998) è possibile ricostruire il profilo più rappresentativo delle impresefornitrici in un contesto organizzativo di just in time.

All’interno della filiera di fornitura troviamo imprese (chiuse) chehanno scambi esclusivamente con le imprese committenti, e svolgono al lorointerno tutto il volume della commessa. Le modalità di coordinamento con il

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cliente vengono veicolate essenzialmente da conoscenze codificate; inquesto caso le competenze tecniche dell’impresa prevalgono su quellerelazionali, date le possibilità di codificazione della regolazione degliscambi.

Alle imprese chiuse si affiancano imprese che esternalizzano asubfornitori le parti meno importante del ciclo produttivo; questomeccanismo riproduce una sostanziale debolezza dei subfornitori collocatinegli anelli finali della “catena” che unisce il ciclo di prodotto. Essiricalcano un profilo di impresa chiusa caratterizzata da un know howessenzialmente tecnico e scarsamente rivolto verso skills relazionali.

Segue l’impresa semi-aperta che, pur collocandosi negli anelli finalidella catena di fornitura, si differenzia dal modello precedente perchè loscambio di informazioni prevede un aumento di intensità bidirezionale (inentrata/in uscita).

Di minore rilevanza numerica sono quelle imprese – aperte - cheesternalizzano fasi complesse e rilevanti del ciclo produttivo, affidandole asubfornitori complementari sotto il profilo tecnologico e professionale. Laloro posizione nel network di fornitura è intermedia e si contraddistingue perla presenza, sia verso il cliente finale sia verso i subfornitori, di intensi flussidi informazioni e di tecnologia (non solo materiali, attrezzature, disegni,procedure, manuali, programmi di lavoro, ma anche know how trasmessoattraverso l’interazione tra figure professionali specializzate). Questo terzotipo ha una minore consistenza numerica, ma risulta rilevante perchécostituisce la forma embrionale dell’impresa co-design, ovvero di quellaforma aziendale paradigmatica della filiera a struttura integrata.

b) Filiera a “fornitura integrata”.La caratteristica principale della filiera di prodotto a fornitura integrata

riguarda essenzialmente l’ampliamento del raggio di prestazioni demandateal fornitore, il cui ruolo «non è più quello di realizzare particolare su disegnodel cliente ma quello di fornire entità complesse, essendo responsabile dellosviluppo, della progettazione, della qualità e dell’affidabilità degli stessisistemi» (Bianchi, Enrietti, 1999, 16-17). Il nuovo profilo dell’impresa difornitura si estrinseca su due differenti direzioni; da un lato l’impresafornitrice diventa un integratore di sistema, responsabile di sotto sistemi delprodotto finale, della sua progettazione ed industrializzazione3,

3 L’industrializzazione è una fase solitamente dimenticata o assorbita dai termini dellaproduzione e della progettazione; essa descrive quell’insieme di attività specificatamentededicate a “tradurre” in forma fisica l’oggetto del disegno tecnico. Questo comporta unadisamina dettagliata di tecnologie e metodologie di processo più adatte alla fabbricazione

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dell’interscambio con i vari produttori specializzati nella produzione dellesingole parti e deve farsi carico di tutta la dimensione logistica di questagestione.

Dall’altro lato essa diventa una fornitrice di moduli, ovvero si impegnaa fornire all’impresa finale moduli “preassemblati” che verrannosuccessivamente inviati all’impresa finale ed assemblati nell’oggetto finaledalla stessa (Bianchi, Enrietti, 1999). Questo nuovo modello diorganizzazione della filiera richiede un grado di integrazione dei processiinter-aziendali superiore a quello incardinato sulla dimensione prettamentelogistica; la cooperazione tra impresa finale ed impresa di fornitura devedare luogo ad un bene relazionale che nasce dall’intersezione di specifichecompetenze tecniche e relazionali che si cementano nella fasi di codesign,ovvero nella fase in cui il prodotto viene “ingegnerizzato”. Vengonoattenuati i confini di una rigida divisione tecnica del lavoro interna allafiliera, che vedeva l’impresa finale al centro di tutto il lavoro diprogettazione, mentre si fa strada la strategia di esternalizzazione di funzioniaziendali altamente specializzate come sono quelle del design e dellaprogettazione4. L’integrazione dei processi si muove lungo la direttivadell’ingegnerizzazione congiunta, con transazioni di lungo periodo chesfociano nel consolidamento di meccanismi di governance inter-aziendaliincardinati sulla partnership. Con questo termine si intende descrivere unrapporto di cooperazione tra imprese fornitrici ed impresa finale basati sullareciproca fiducia e sulle garanzia di un rapporto continuativo che produceesternalità positive per entrambi i partner della relazione contrattuale;partnership definisce dunque un contratto di associazione che si esprimenon solo nella dimensione logistica della fornitura ma anche nellacollaborazione nel design e nella progettazione.

Questo scenario di relazioni cooperative non si sviluppa su un livelloprevalentemente “orizzontale” di rapporti paritari, estranei a dinamiche di

dell’oggetto stesso. Il passaggio dei compiti di industrializzazione dal cliente finaleall’impresa di fornitura ha effetti non trascurabili nel carico di lavoro, e funge spesso daincentivo alla promozione di innovazioni organizzative, tecnologiche e di know howdell’impresa. Il prodotto va disegnato, industrializzato e fabbricato, con il risultato che ilmonitoraggio sui test in fase di sperimentazione del prodotto sono a carico dell’impresadi fornitura.4 È da sottolineare che le stesse imprese di progettazione satelliti di grandi imprese finali,specie nel settore automobilistico, sono state investite dello stesso processo dirazionalizzazione. Anche l’impresa fornitrice di progettazione non si limita ad “eseguire”disegni su una matrice fornita dal cliente. L’impresa di progettazione in codesignprogetta l’oggetto avendo a disposizione solo i vincoli (tecnologie dei materiali, vincolinormativi e temporali) che incanalano il lavoro di progettazione.

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potere di mercato; la cooperazione inter-aziendale non è incompatibile conla presenza di asimmetrie di potere che esistono e sopravvivono nella filieradi prodotto5.

Anche nella fornitura integrata si forma una struttura gerarchica cheingloba tutta la filiera del ciclo di prodotto; anche se la molteplicità deifornitori presenti nel modello just in time viene considerevolmente ridottaattraverso la selezione di un primo livello di fornitura a cui si aggiungono nlivelli di subfornitura dando origine ad una “piramide” più ristretta al verticee meno variabile per quanto riguarda il posizionamento delle singole aziendeai differenti livelli di fornitura.

I fornitori di “ieri” che non entrano nella fascia di primo livello nonvengono espulsi dal mercato – se non in una minima parte – ma vengonopiuttosto ricollocati all’interno di una struttura fortemente gerarchica,strutturata in base alla qualità della prestazione che riescono a fornireall’impresa finale6. L’impresa codesign, dunque, è quell’impresa di primolivello con la quale l’impresa finale stabilisce rapporti di partnership, ed allaquale chiede prestazioni più qualificate, che scaturiscono da un impegnofinalizzato a garantire la produzione di un bene relazionale strategico qualel’integrazione di attività sempre più interdipendenti.

La base della piramide gerarchica – strutturata secondo i canonidell’integrazione quasi verticale7 – che raccoglie le imprese subfornitrici(dal secondo livello in poi) vede prevalere il profilo organizzativo delleimprese che hanno caratterizzato il sistema just in time di fornitura, con unavariante. All’interno di questo modello relazionale, anche l’impresa di primo

5 Per una rassegna sulla distinzione tra le prospettive della partnership e della gerarchiarimandiamo a Enrietti (1997).6 Secondo Lamming (1993) nel settore automobilistico la tendenza nella selezione delleimprese segue una configurazione piramidale che vede una drastica diminuzione delleimprese di fornitura di primo livello, le quali sono anche imprese multinazionali cheriescono a seguire e supportare l’impresa finale nei processidi internazionalizzazione diquest’ultima (global service). Questa impostazione analitica viene confermata da Bianchied Enrietti (1999) nel corso della loro ricerca sul distretto tecnologico dell’auto.7 La definizione di integrazione quasi verticale è di Aoki (1988). Essa si vuoledistinguere da un ciclo di prodotto verticalmente integrato all’interno di una impresa diproduzione, se un consistente numero di fasi del processo produttivo sono all’interno diun'unica impresa, il ciclo di prodotto viene verticalmente integrato. Alla dimensionegerarchica si unisce l’elemento di appartenenza ad una comune proprietà. L’integrazionequasi verticale descrive un contesto in cui diverse fasi del ciclo di prodotto sono stateesternalizzate ed appartengono ad imprese differenti, ma la posizione di queste impresenon è distribuita orizzontalmente ma all’interno di una struttura gerarchizzata su diversilivelli. Del modello precedente sopravvive il criterio gerarchico come principio distrutturazione dell’ambiente. Cfr. Aoki (1988).

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livello farà richieste alle imprese subfornitrici sempre più connotate da unavisione multidimensionale della collaborazione, non più circoscrivibile allagestione tempistica dei materiali, con casi di esternalizzazione aisubfornitori di attività non più solo a bassa qualificazione che possonoinvestire fasi del processo particolarmente articolate, che richiedonoinfrastrutture tecnologiche e skills professionali di crescente complessità, esempre più orientati a sviluppare competenze di “relazione” e diinterfacciamento con il cliente e con i subfornitori.

c) La produzione modulare e le sue implicazioni organizzative.Il concetto di modulare necessita di una prima specificazione. Può

riguardare la configurazione interna dell’impresa, ovvero l’articolazione deisuoi processi interni strutturata secondo moduli altamente flessibili, chenella letteratura prendono il nome di “celle”. Il riferimento in questo caso èalla cellular manufacturing. Questa innovazione organizzativa è largamentepresente nelle esperienze di implementazione del just in time sin dalle sueprime applicazioni; un esempio di produzione a “celle” ampiamenteesplorato nella letteratura è quello sperimentato negli stabilimenti Fiat sottoil nome di UTE (unità tecnologiche elementari). Queste sono unitàorganizzative semi-autonome incaricate della gestione di interi segmenti diprocesso produttivo, capaci di adattamento dinamico alle richieste mutevolidel mercato e dei clienti interni. In altre parole, la modularizzazioneorganizzativa è uno strumento di “assorbimento” delle incertezze. Questariconfigurazione dei gruppi di lavoro interni alla “cella” costituisce una dellearchitravi del lean production, ne riassume la prospettiva culturale edevidenzia la distanza rispetto al tradizionale modello tayloriano diorganizzazione della produzione e delle risorse umane ad essa connesse.

Con un altro significato, la modularizzazione fa riferimento allecaratteristiche del ciclo di un prodotto relativamente all’organizzazione delleimprese che fanno parte della filiera di fornitura. In questo caso laproduzione modulare è un fenomeno esteso su un piano inter-aziendale, enon più circoscritto alle dinamiche organizzative della singola impresa,come nel caso della cellular manufacturing. I due fenomeni non sonoseparati, anzi, tendono a sovrapporsi nei casi di outsourcing, nei casi cioè diesternalizzazione di attività aziendali prima svolte all’interno di una singolaimpresa.

Quello di outsourcing è un concetto problematico, non tanto per unasua intrinseca complessità, quanto piuttosto per il fatto che comprendefenomeni organizzativi tra loro diversificati. Genericamente, esso designa«il processo attraverso il quale le aziende assegnano stabilmente la gestione

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operativa per la realizzazione di un prodotto o di un servizio, in precedenzaottenuti all’interno di un’azienda» (Boin, Salvodelli, Merlino, 1998, 102).

Questo fenomeno non costituisce una novità nelle scelte strategiche delmanagement industriale. Già nella prima metà degli anni ’70 le strategie di“decentramento produttivo” 8 nelle grandi imprese si erano caratterizzateper la cessione di parti della proprietà e di segmenti del processo produttivoad imprese esterne in risposta a shock esogeni provenienti da un consistenteincremento dei prezzi delle materie prime, ed endogeni, conseguenza di unaumento della conflittualità sociale (Barca, Magnani, 1989). La riedizionedel fenomeno di “esternalizzazione” ripropone ciò che Graziani (1977)aveva definito come «ristrutturazione fuori della fabbrica», ma in una nuovaveste: le imprese prima tendono a trasferire all’esterno quelle attività che sitrovano in una posizione periferica dell’organizzazione, cioè quelle checontribuiscono solo marginalmente alla catena del valore dell’azienda,concentrando i propri investimenti su quei settori che più rispondono allasua vocazione produttiva, il suo core business. In questa fase le impresetrasferiscono all’esterno la gestione operativa di servizi amministrativi(attività di amministrazione e rendicontazione) o servizi di supporto(gestione dei servizi informatici, formazione professionale e aziendale). Solosuccessivamente l’outsourcing comprende attività, sempre più prossime al 8 Il modello strategico ed organizzativo della produzione di massa non si è maiconfigurato come un blocco monolitico costante nel tempo ed impermeabile a tentativi ditrasformazione; senza mai mettere seriamente in discussione l’impianto organizzativo deltaylorismo; sin dalla prima metà degli anni ’70 le grandi imprese reagiscono a shockesogeni ed endogeni attraverso strategie di “decentramento produttivo”, inteso in sensodifensivo come contenimento dei rischi di conflitto sociali contenuti in grandi econgestionati impianti industriali, ed in senso aggressivo come politica di rilancio, basatasu un aumento dell’intensità di capitale, a fronte di un’accresciuta competizioneinternazionale. Le strategie di riaggiustamento industriale intraprese dalle grandi impreseche si apre a partire dalla prima metà degli anni ’80 si spostano sul terreno dell’efficienzaproduttiva attraverso politiche di ristrutturazione del lavoro, distribuzione del reddito emassicci investimenti in innovazione tecnologica di processo (sono questi gli annidell’euforia tecnocratica della unmanned factory). Tuttavia all’interno dell’intervallotemporale che va dalla fine degli anni ’60 alla metà degli anni ’80, il modello fordista diorganizzazione del lavoro e dei rapporti di fornitura non subisce significativi mutamenti,che restano ancora fortemente condizionati da una visione gerarchica delle relazioni.L’aumento del grado di specializzazione e diversificazione della domanda e l’aumentodella flessibilità potenziale del capitale come conseguenza dell’innovazione tecnologica(Barca, Magnani, 1989) modificano il quadro economico e fanno emergere un modelloproduttivo di specializzazione flessibile. La produzione delle piccole imprese a ridossodei grandi gruppi industriali non solo assorbe la domanda di mercati di nicchia maconsente una diversificazione dell’offerta che non è possibile realizzare su larga scala eche richiede lavoro specializzato.

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core business, ad elevata complessità gestionale9. Specie nell’impresaindustriale, questi trasferimenti riguardano l’outsourcing di “sottosistemi diprodotto” o di intere fasi del processo produttivo. In entrambi questi due casila modularizzazione consiste nell’intreccio di due indistinti fenomeni; da unlato attraverso il trasferimento della proprietà, e dall’altro attraversol’internalizzazione (insourcing) delle attività produttive, e quindi delleimprese a cui è stata ceduta la proprietà, sulle linee di produzionedell’impresa finale.

L’outsourcing non consiste solo nella esternalizzazione di funzioniaziendali (Durante, Gavitelli, 1997, Ichino, 2000), esso descrive dunque unanuova architettura di progettazione del prodotto e del processo, dove accantoalla “cessione della proprietà” - esternalizzazione proprietaria procedeparallelamente un fenomeno di internalizzazione operativa.

Questa simultaneità è la caratteristica principale dei nuovi processiaziendali di outsourcing, e costituisce un elemento di distinzione non soloverso l’esperienza del “decentramento produttivo”, ma anche rispetto allastruttura della “filiera integrata”, in cui la fornitura viene regolata da uncontratto di partnership che non investe necessariamente la cessione diproprietà aziendali.

Veniamo ora alle tipicità dell’outsourcing modulare ovvero allecaratteristiche aziendali che presidiano il concetto di produzione modulare,distinguendo in primo luogo tra modularità di processo e modularità diprodotto.

Nel primo caso la produzione modulare riguarda la cessione di fasi delprocesso produttivo, tecnologie e risorse umane. Un esempio in questadirezione è il trasferimento promosso da costruttori finali di autoveicolicome Fiat ed Iveco di interi reparti di stampaggio, che sono diventatiproprietà di imprese esterne che operano però negli stabilimenti Fiat diRivalta ed Iveco di Brescia. La modularizzazione non riguarda il prodotto

9 Ricciardi in un recente ed interessante studio sul fenomeno dell’outsourcing individuadue variabili, complessità gestionale (alta, bassa) ed attività da esternalizzare(vicine/lontane dal core business), per costruire una tipologia di modalità di outsourcing:outsourcing “tattico” per descrivere l’esternalizzazione di attività quali la formazione delpersonale e lo sviluppo di sistemi informativi, “quello tradizionale” per attività disupporto anch’esse distanti dal core business aziendale, quello “strategico” per attivitàvicine al core business e ad elevata complessità gestionale, per concludere conl’outsourcing “di soluzione” in merito ad attività a bassa complessità gestionale macontigue ai processi che strutturano iul core business dell’impresa. Dentro questatipologia l’outsourcing modulare rientra nella categoria delle attività strategiche, cioèquelle che concorrono alla definizione del sistema finale del prodotto. Cfr. Ricciardi(2000).

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ma la sincronizzazione dei segmenti di processo; il prodotto piuttosto nonpresenta un’elevata complessità gestionale, non ha la struttura di unsubsistema autonomo del prodotto finale. La fabbrica modulare in questaprospettiva diventa un’oganizzazione composta differenti impresegiuridicamente autonome ma dislocate su un comune spazio operativo.Lavoratoti appartenenti a imprese differenti operano sulla stessa linea, ladisomogeneità di “appartenenza contrattuale” viene riunificata da questanuova organizzazione produttiva che non si trova più perimetrata da confinigiuridici della singola impresa.

Nel secondo caso la produzione modulare invece riscrive l’architetturadi un prodotto attraverso la cessione della proprietà di interi moduli, ovverodi sottosistemi del prodotto variabili nella loro combinazione su interfacciastandardizzati: nell’industria automobilistica possono riguardare, la plancia,il sistema frenante, ecc. Diversi componenti, a loro volta disaggregabili insub-componenti, con caratteristiche ed interfaccia standard possono essereaggregati in molteplici combinazioni dando origine a prodotti differenti o avariazioni dello stesso prodotto.

In questo caso la varietà del singolo prodotto è uno strumento dicompetitività sul mercato, in quanto consente una riduzione dei costi pursalvaguardando le garanzia di risposta alle richieste di customization. Da quisi deduce che il nodo problematico non consiste tanto nella definizione diqueste “unità di componente” quanto nella gestione degli interfaccia che neconsentono un’efficace combinazione; ne consegue che il grado dimodularizzazione è strettamente connesso con il numero di componenti ed ivincoli di interfaccia richieste dalle specifiche combinazioni. La complessitàdi una tale architettura può essere dunque ricondotta – oltre che allatecnologia, al know how della progettazione, ed alle professionalità in fase difabbricazione – alla gestione dell’impatto che ciascun componente hasull’altro in relazione alla funzionalità complessiva del prodotto ed alleperformance desiderate.

Seguendo questo ragionamento il prodotto “modularizzato” può essereinteso come un “sistema di componenti che sono reciprocamente inrelazione, tenuti insieme dall’architettura complessiva del prodotto”(Christensen, Rosembloom, 1995).

I vantaggi derivanti dall’organizzazione modulare del ciclo di prodottonon investono solo la possibilità di fornire un ampio numero di variazioni,ma riguardano anche la possibilità di instaurare percorsi di innovazione sudue fronti: da un lato, la divisione del lavoro interna alla filiera è organizzatasecondo una “rete” in cui, sulla base di standard di compatibilità “di incastrodelle unità elementari”, ciascun gruppo di progettazione e fabbricazione del

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componente può apportare innovazioni e modifiche in modo autonomo maall’interno di un framework comune (Hsuan, 1999). Dall’altro lato siintensificano i circuiti di apprendimento soprattutto per quanto concerne losviluppo di competenze di coordinamento che si collocano proprio nellagestione delle zone di interfaccia tra i singoli processi (Sanchez, Mahoney,1996).

Da questa prima descrizione l’outsourcing modulare delinea i tratti diun sistema di produzione del ciclo di prodotto che riprende alcune delle“tipicità” riscontrate nel sistema a “fornitura integrata”:

1. l’importanza del sistema informativo come infrastruttura crucialenel governo della rete su cui transitano le informazioni e le conoscenzeche l’impresa finale e quella di primo livello si scambianoreciprocamente.2. L’intensificazione degli scambi è stata una delle leve principali diimpiego intensivo di tecnologie informatiche all’interno della strutturadi fornitura; Il circuito CAD/CAM viene inserito in una rete telematicache facilita la progettazione e l’ingegnerizzazione congiunta deiprodotti e la loro scomposizione in unità modulari. Nella fasesuccessiva alla progettazione, i fornitori di primo livello assemblano ilprodotto in aree limitrofe (fornitura integrata) o all’interno deglistabilimenti del produttore finale (outsourcing modulare)10.3. In entrambe le strutture di filiera, il bene relazionale strategicoriguarda le attività di coordinamento e integrazione. Nel casodell’outsourcing la cessione della proprietà spinge i partner aconcordare un programma “aggressivo di miglioramenti” (Collins,Bechler, Pires, 1997), orientato alla congiunzione di competenzedistintive; risorse, tecnologia e professionalità che vanno a strutturare lecompetenze chiave delle singole imprese coinvolte nella relazionedevono trovare efficienti “punti di fusione”. Il precipitato di questacollaborazione non si limita dunque alla cooperazione in fase diprogettazione e produzione ma riguarda la gestione congiuntadell’assemblaggio dei sottosistemi modularizzati che compongono ilprodotto finale.4. Prima con la fornitura integrata e successivamente conl’outsourcing modulare cresce l’importanza della logistica nellamovimentazione dei materiali; anch’essa soggetta ad estrernalizzazione

10 Questa tendenza è stata recentemente riscontrata nell’ambito della componentisticaautoveicolare, non solo per quanto concerne il distretto tecnologico dell’auto torinese, maanche di altre imprese leader nel settore automotive (Opel, BMW, Renault).(Osservatorio sulla componentistica autoveicolare, 1998).

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(pensiamo all’accordo tra Fiat e TNT Traco) ricopre un ruolo crucialenell’integrazione delle attività produttive oltre a garantire una rete disupporto nella rete internazionale del cliente (global service)11.5. Poi L’impresa “tipo” dell’outsourcing modulare rimane dunquecollocata al primo livello di fornitura, lasciando così invariata lastruttura gerarchica del modello integrato, pur modificandoradicalmente i confini operativi dell’impresa.

Imprese di logistica, modularizzazione dei sottosistemi checompongono il prodotto, informatizzazione avanzata di comunicazioneinter-aziendale e co-localizzazione del fornitore (anche quello di logistica)“sulla linea” dell’impresa finale sono i nodi tematici più rilevanti chesegnalano la presenza di innovazioni incrementali ma non radicali delsistema di fornitura integrata.

L’aspetto più rilevante nel segnare la distanza dalla fornitura integrata ècostituito dal progressivo venir meno dei confini organizzativi dell’impresa,come risultante dei due processi sincronici di outsourcing proprietario edinsourcing operativo.

Questo passaggio può essere chiarito partendo dall’ordinamentogiuridico civile italiano; qui l’impresa viene definita come «il complesso dibeni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa» (art. 2555c.v.). L’impresa come entità economica organizzata si differenzia da“azienda” che invece rimanda ad una complesso di beni e ad una strutturasocio-tecnica (Gallino, 1961). Con l’outsourcing modulare si assiste ad unaprogressiva dissociazione della struttura organizzativa dalla sua condizione“aziendale”; i suoi confini non rispondono più alla configurazione giuridicadando origine ad una struttura ibrida, che richiama una forma reticolare;l’efficienza delle sue attività produttive è sempre più vincolata alla qualitàdelle sue zone di integrazione e coordinamento.

La produzione modulare - o terziarizzazione avanzata (Magnabosco,1999) - mette radicalmente in discussione, più di quanto non sia avvenutocon la fornitura integrata, i meccanismi di governo dell’impresa 11 In questo senso la terziarizzazione della logistica è una componente fondamentale nonsolo nel supporto alla “modularizzazione della produzione” ma costituisce anche uno deifattori chiave nella internazionalizzazione dell’impresa stessa. Questo fenomeno èparticolarmente evidente negli impianti delle imprese multinazionali automobilistiche; icasi di Volkswagen a Resende in Brasile (Woodruff, Katz, Naughton, 1996), della Skoda(Collins, Bechler, Pires, 1997), gli stessi accordi tra Fiat e TNT lasciano intendere comela rete logistica sia la dorsale di tutto il sistema di fornitura. La sua efficienza determinale alleanze strategiche dell’impresa costruttrice e le sue prospettive di localizzazione(Willcocks, Ju Choi, 1995).

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riconducibili al concetto di corporate governance, ovvero di quel sistema digoverno dell’impresa che descrive «l’insieme di incentivi, salvaguardie eprocessi di risoluzione dei conflitti che ordina le attività degli stakeolder diun’azienda» (Kester, 1991, 5). Il governo delle attività produttive diun’azienda è la risultante della qualità della cooperazione con altre imprese.Il riferimento nelle modalità di governo non è più la struttura della corporatema il contratto di fornitura; la formalizzazione delle reciprocheobbligazioni/prestazioni contenute nella transazione è parziale, infattirimangono in forma implicita, in continua definizione, quelle attività diintegrazione che oltre a potenziare il “nocciolo duro” delle competenzeaziendali (Quinn, 2000), fanno da supporto al contratto stesso e lo rendonoeseguibile.

Il contratto commerciale può essere inteso alla stregua di un “cantiere”in perenne costruzione e ricerca di un punto di saldatura tra il requisitoorganizzativo della filiera e l’attività economica della singola azienda.

La ricerca dei confini efficienti dell’impresa diventa così un problemadi governo dei contratti (contractual governance12) che regolano lo scambiodi risorse tra l’impresa outsourcer e quella outsourcee. I confini dell’aziendasbiadiscono nella rete di cooperazione formale sancita contrattualmente edin quella informale caratterizzata da quelle attività che rendono possibile loscambio13. Non solo ma la qualità dell’integrazione organizzativa tra le dueimprese contraenti diventa la risorsa più rilevante per il raggiungimento dilivelli soddisfacenti di implementazione degli obblighi contrattuali.

12 Il concetto di contractual governance comprende quella attività volte ad «escogitaremetodi per accordi o relazioni fra compagnie che equilibrino in maniera ottimale i rischidi negoziare sul mercato con quelli di controllare a livello amministrativo le stesseattività all’interno di una gerarchia organizzativa» (Kester, 1996, 127). Questaprospettiva interseca quella aperta dalla scuola dell’economia dei costi di transazione,proprio a partire dal dilemma di origine relativo all’alternativa tra gerarchia e mercato. Ildibattito intorno alla integrazione contrattuale, che ha origine non tanto dagli studi sullaproprietà ma sulla esperienza di governance giapponese. Il concetto di corporategovernance, più focalizzato sui problemi di agenzia del management separato dai titolaridella proprietà dell’impresa, costituisce comunque il termine di paragone rispetto alletrasformazioni delle relazioni di cooperazione inter-azidendale. Cfr. Per una rassegnasulle problematiche della governance aziendale, Guelpa, 1995.13 Per un approfondimento sul tema della ridefinizione dei confini di impresa rimandiamoa due studi di rilevante interesse: Holmstrom, Roberts (1998), Colombo (1998).

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b. Traiettorie di sviluppo nella rete di fornitura industriale

La sequenza con la quale è stata ricostruita tale trasformazione (ved.Tav.I) non deve generare una illusione evolutiva dei singoli processi,secondo la quale ciascun modello incorpora quello precedente ed alcontempo lo supera. L’esperienza empirica dimostra piuttosto la co-esistenza di modelli diversi all’interno di una stessa filiera di prodotto.L’outsourcing modulare che investe il primo anello di fornitura coabita conimprese organizzate secondo le tecniche del just in time relative ad impresedislocate negli anelli inferiori della catena di fornitura. Le esperienzesoprattutto nel settore della produzione automobilistica, ma la tendenza siripropone nel settore del legno-arredo (Gargiulo, Mariotti, 1999),dimostrano la natura fortemente ibrida di tale catena; si tratta di impresediversificate per strategie, competenze ed organizzazione14.

14 Su questo punto si può inserire la questione relativa alle diverse vie della flessibilitàper quanto concerne la strategia di sviluppo e le modalità di gestione delle risorse umaneinterne; nella catena di fornitura possono convivere funzionalemnete una via alta allaflessibilità ed una via bassa alla flessibilità, secondo una divisione tecnica del lavoro difiliera, il cui principio regolatore concerne il livello di competenze che la singola impresaè in grado di mobilitare per raggiungere un’alta qualità del prodotto, ovvero la qualità delbene relazionale che è in grado di co-determinare con l’impresa finale.

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Tav. I – Fasi di trasformazione del sistema di fornitura

Just in Time Fornituraintegrata

Outsourcingmodulare

Parco fornitori Molti con unagerarchiavariabilinell’avvicenda-mento ai diversilivelli che lacompongono

Consolidamentodella gerarchia eriduzione deifornitori nelprimo anello.

Simultaneità diprocessi diesternalizzazioneproprietaria(outsourcing) edinternalizzazioneoperativa(insourcing)

Localizzazionedei fornitori

In prossimità delcliente finale conuna separazionedei confinigeografici

Localizzazione“fino alle linee”di assemblaggiodel cliente finale

“Sulla linea” delcliente finale.

Grado diintegrazione deiprocessi

Integrazionelogistica

Ingegnerizzazione congiunta

Modularizzazionedel ciclo diprodotto e delprocessoproduttivo

Benerelazionale

Tempistica nellamovimentazionedei semilavorati

Cooperazione infase diprogettazione eproduzione

Congiunzionedelle competenzedistintive

Formacontrattuale dicollaborazione

Transazioniripetute ediscontinue

Transazionicontinue di lungoperiodo

Cessione di ramodi impresa:

Meccanismi digovernance

Governo internodella strategia diimpresa(Corporategovernance)

Partnership Governancecontrattuale(governo deicontratticommerciali difornitura)

Fonte: nostra elaborazione

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Dal JIT all’outsourcing modulare si assiste ad un progressivosbiadimento dei confini “efficienti” dell’impresa; seguitamenteall’intensificarsi degli scambi informativi (con media tecnologici e non) edall’impiego crescente di risorse di integrazione, la relazione di cooperazionetra imprese si arricchisce di nuovi contenuti. Prima confinata alladimensione logistica e successivamente estesa a quella della progettazione,l’outsourcing modulare accentua la multidisciplinarietà della relazione;intervengono da parte del cliente finale richieste di interdipendenzacontrattuale, operativa, socio-culturale e tecnologica sino a quel momentomarginali e confinate a poche “nicchie” di mercato. La crescenteinterdipendenza viene governata a livello operativo ed organizzativomobilitando ingenti risorse ed investimenti specifici di integrazione; ovveronella produzione di collettivi indispensabili nel raggiungimento degliobiettivi aziendali di produzione. L’integrazione diventa un benemarcatamente segnato da una particolarità, che è quella di essere sempre dipiù il prodotto di una fusione di conoscenze tecniche e tecnologiche noncircoscrivibili a quelle racchiuse nel patrimonio cognitivo della singolaimpresa.

Va detto però che la complessità delle attività di integrazione subisceun notevole incremento parallelamente alla estensione dei processi diesternalizzazione. In altri termini, il costo di coordinamento e gliinvestimenti in risorse specifiche per sostenerlo si elevano quando le attivitàda coordinare sono svolte da imprese autonome differenti. Questo passaggioci riporta al dilemma aperto da Coase (1937) e sviluppato successivamentedalla scuola dell’economia dei costi di transazione (Williamson, 1986):quando, in presenza di investimenti specifici15 promossi dalle singoleimprese (fonitrici e committenti finali) e di rischi crescenti di opportunismonell’appropriazione delle esternalità della relazione, le imprese trovano piùconveniente portare al proprio interno segmenti della produzione piuttostoche esternalizzarli.

Ma, come abbiamo visto la tendenza non è questa e l’esternalizzazionedi funzioni è diventato un esplicito obiettivo aziendale. Infatti, c’è unasostanziale convergenza nel valutare la scelta dell’outsourcing comeun’operazione volta ad incrementare il rendimento delle risorse interneattraverso investimenti specifici nelle aree distintive, alleggerendosi diquelle attività distanti o non comprese nel core business dell’organizzazione.Questa tendenza può apparire antieconomica se la variabile del “prezzo della 15 Per investimenti specifici si intendono quegli investimenti che hanno valore nelcontesto di una particolare relazione ma lo perdono al di fuori di essa (Alchian, Demsetz,1972; Williamson, 1986).

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relazione” viene letta nella prospettiva di uno scambio tra grandezze “certe”,misurabili e quantificabili. Ma in un contesto di mercato in cui lacompetitività di una proposta commerciale è sottoposta ad un insieme divariabili non semrpe misurabili, ed una di queste è la competenza necessariaa congiungere le differenti specializzazioni tecnologiche e professionali checoncorrono alla definizione ed alla produzione di un prodotto. Inoltre,nessuna impresa finale produttrice di beni complessi è in grado di sopportareil costo di acquisizione e di riproduzione di una gamma così ampia dicompetenze chiave. Il fornitore al quale si esternalizzano attività primasvolte all’interno

diventa un attore con il quale condividere il rischio di un investimentoprogettuale, ma soprattutto le specificità professionali e tecnologiche di cuiquesti è in possesso costituiscono una componente rilevante nel mettere inmoto economie di apprendimento. Ed una gestione efficiente di questecompetenze investe proprio la capacità di coordinamento nel favorireeconomie di combinazione di saperi finalizzati ad un progetto comune.

La relazione dunque deve essere efficiente, deve produrre scambi diinformazioni e saperi in modo da invertire il rischio di impoverimento chederiva dal trasferimento di funzioni aziendali. La relazione che presiede ilrapporto di collaborazione e fornitura è il luogo in cui

Si riproducono quelle esternalità positive (relational quasi rent16) checoncorrono a generare il bene collettivo di integrazione.

Tuttavia questo tipo di relazione che richiede investimenti specifici daparte di tutte le imprese contraenti contiene in sé alcuni elementi didestabilizzazione, riconducibili alla presenza di asimmetrie informative erischi di opportunismo post-contrattuale.

Questa asimmetria potrebbe indurre il committente ad espropriare quasicompletamente il fornitore di quelle quasi rendite – definito bene relazionaledi integrazione – che entrambi hanno congiuntamente prodotto, vale a direquei saperi e quelle informazioni che si sono generate dal contattocollaborativo. Ma un comportamento aziendale di questo tipo produrrebbeeffetti negativi che, in ultima istanza, andrebbero a discapito delcommittente stesso; il fornitore sarebbe così disincentivato dal destinareparte delle sue risorse – non solo economiche – alla gestione specifica dellarelazione, allo scopo di evitare rischi di opportunismo post-contrattuale delcommittente (Esposito, 1999), inaridendo però in questo modo le capacitàgenerative di conoscenza ed innovazione incrementale che possono sorgere,almeno potenzialmente, dalla relazione. 16 Aoki definisce le relational quasi rent il prodotto di una «efficienza informativa direlazioni contrattuali all’interno dei raggruppamenti di subfornitura» (1988, 218, n.t.).

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A partire dall’accentuazione del suo profilo multidiscplinare, nellastruttura integrata di fornitura e nella produzione modulare, la relazione, chesi instaura tra le imprese, ha l’esplicito obiettivo di governare le richieste dispecializzazione e differenziazione del mercato; ad essa sono affidaticompiti di riduzione di quel margine di inefficienza – interfirm X-inefficiency17 - che separa la produttività reale dell’impresa dalla suapotenziale massimizzazione. La relazione stessa è un investimento che deveprodurre conoscenza, normalizzare anomalie, alimentare innovazioniincrementali. Un comportamento opportunistico di appropriazioneunilaterale delle “quasi rendite relazionali” finirebbe per prosciugare quelbacino di risorse di conoscenza necessarie a garantire in modo continuativol’integrazione dei processi.

Impresa finale e fornitore si trovano così all’interno di un circuito in cuisi mescolano competizione ed cooperazione; competizione per appropriarsidi una gamma crescente di esternalità positive senza che questo vada aledere i benefici derivanti da un comportamento cooperativo. L’equilibriotra competizione e cooperazione e l’efficienza della relazione scaturisconodalla capacità degli attori di assicurare le condizioni minime perché siagarantita la riproduzione di questa conoscenza localizzata, ovvero che ilcircuito delle economie di apprendimento fluisca senza soluzione dicontinuità. In questa prospettiva i processi di apprendimento hanno sempreuna valenza sperimentale, di esplorazione di nuove vie e di sfruttamentodelle risorse possedute, non è semplice acquisizione, ma è piuttosto ilprodotto di un continuo monitoraggio18 con le esperienze dirette ed indirettematurate all’esterno della singola impresa.

Il rapporto tra impresa committente ed impresa fornitore non è maiprivo di asimmetrie di potere, come tutte le relazioni; l’impresa finaledetermina e coordina lo sviluppo aziendale delle imprese fornitrici,

17 Questa definizione di Sako (1992) è la rielaborazione ripresa da Leibenstein (1966)della teoria della X-efficiency: con il concetto di X-inefficiency Leibenstein intendevaindicare il differenziale che separa la produttività attuale dell’impresa da quellamassimizzata. Sako modifica il contesto organizzativo su cui si sviluppano i limitiall’efficienza, non più la singola impresa ma un network di imprese. In questo modo lainter-firm X-efficiency riguarda l’efficienza della relazione tra un gruppo di imprese, lequali sono collegialmente accomunate dalla volontà di massimizzare la singola relazione.18 L’apprendimento tramite monitoraggio, come ha sostenuto Sabel, è incarinato sulcarattere cumulativo degli scambi ed elaborazione di saperi ed informazione e deriva dalfatto che il «sistema produttivo nel suo insieme oscilla tra la definizione di una divisionedel lavoro per se stesso [all’interno della singola impresa] e la riconsiderazione di taledefinizione alla luce di quanto appreso in fase esecutiva» (Sabel, 1998, 82).

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incidendo sulla natura e portata dei loro investimenti. Tuttavia anchel’impresa finale, proprio in conseguenza di questo intensificarsi diinterdipendenze esperte si trova esposta ai rischi di opportunismo postcontrattuale.

Senza rinunciare ad esercitare pressioni sul terreno della riduzione deicosti, l’impresa finale determina e coordina lo sviluppo aziendale delleimprese fornitrici, incidendo sulla natura e portata dei loro investimenti.Ciononostante si esce dal dilemma della scuola transazionale, da Coase(1937) in poi, del make or buy per approdare ad una struttura ibrida direlazioni contrattuali che vengono finalizzate alla produzione continua dibeni relazionali. Gli attori coinvolti nella relazione collaborativa nonpotendo utilizzare la formula contrattuale come strumento di recupero deifattori di incertezza e conflittualità, ricorrono diffusamente alla formazionedi apposite strutture composte da manager e tecnici di entrambe le impresecoinvolte nel contratto di outsourcing. Questa formula, che prende il nomedi piattaforma organizzativa, ha il compito attraverso il ricorso aconfigurazioni matriciali di organizzazione, di definire luoghi e momentiistituzionalizzati di scambio continuo di informazioni riducendo così i rischidi opportunismo da parte dei contraenti. La piattaforma è strutturata su piùlivelli, è strutturata intorno ad una serie di prodotti raggruppati sulla basedella loro reciproca e coerenza e comune matrice tecnica, allo scopo diintervenire su uno dei nodi più critici delle attività di produzione, vale a direl’«interfacciamento tra attività di sviluppo del prodotto ed attività disviluppo del processo (Calabrese, 1997). Ciascun livello interno allapiattaforma necessita di punti di raccordo, di figure di intermediazione.Questi produttori di integrazione presentano due caratteristiche:

! la prima è quella di essere risorse di integrazione organizzativae la loro competenza risiede nella capacità di mettere in collegamentostudi progettuali, know how specialistici, risorse umane e finanziarie.

! La seconda è quella di costituire una risorsa di supporto allagestione dei contratti commerciali. Infatti, lo scambio di conoscenzeed esperienze non è facilmente certificabile e la loro immaterialitàespande i rischi opportunistici; da qui emerge come l’unico strumentodi contenimento di tali rischi risieda nella possibilità di monitorarecontinuativamente i risultati conseguiti in modo da valutarli step bystep in relazioni agli obiettivi (Ricciardi, 2000).

I confini organizzativi dell’impresa non sono più circoscrivibili al suoperimetro giuridico, si verifica una separazione tra organizzazione edimpresa che richiede la definizione – attraverso la partnership el’outsourcing modulare – di nuovi strumenti integrazione contrattuale,

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necessari ad un’efficiente regolazione dell’attività aziendale. Aumentanocosì le variabili di integrazione a fronte di contratti che per quanto dettagliatirimangono strutturalmente incompleti, a causa di limiti posti alla razionalitànella fase di stipulazione del contratto e successivamente diimplementazione dello stesso.

In questo contesto, non sono sufficienti investimenti in tecnologieinformatiche quali supporto nella trasmissione di informazioni e nelleattività di coordinamento, è necessario che la relazione, in virtù della mutuadipendenza che si crea tra gli attori, preveda una disponibilità allo«svolgimento di attività non prescritte per facilitare il raggiungimento diobiettivi comuni» (Migliarese, Ferioli, 1997, 116). L’informatizzazione delsistema informativo costituisce l’infrastruttura che sostiene la gestione degliscambi (di prodotti, come nel caso dell’informatica applicata al settorelogistico, e di informazioni, come nel caso delle attività di design eprogettazione con l’utilizzo di comuni database e di comuni software CADdi elaborazione dei dati) e fa da struttura portante della forma reticolare cheva assumendo la filiera di prodotto attraverso l’outsourcing modulare.Utilizzando i paradossi argomentativi di un ossimoro, si potrebbe dire chequesta filiera prende la forma di una “gerarchia reticolare”, che ha ilproblema di trovare meccanismi regolativi di governo che non possono piùappoggiarsi a risorse facilmente misurabili e formalizzabili per viacontrattuale.

La transazione viene considerata alla stregua di una “merce” ed ilcoordinamento efficiente degli scambi nella transazione è un condizioneessenziale per il conseguimento della qualità del prodotto finale (Rullani,1986), la quale può certo uscire rafforzata dall’impiego di un’agileinfrastruttura tecnologica, ma rimane fortemente condizionata dal sistema digoverno del contratto, a partire dai limiti imposti dalla sua incompletezza. Inquesto senso la piattaforma è uno strumento di governance contrattuale; è inessa, infatti, che le attività di coordinamento organizzativo si mescolano adattività di coordinamento degli obblighi contrattuali.

Ma è proprio l’incompletezza contrattuale a costituire il terreno fertileper la gestazione delle relational quasi rent necessarie a rendere efficiente ilcontratto di fornitura. Incompletezza contrattuale (interna, con le relazioni diimpiego, ed esterna con le relazioni commerciali) ed integrazioneorganizzativa si trovano così parte di un circuito di reciproco rafforzamento.

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c. Incompletezza contrattuale e competenze relazionali nel sistema difornitura.

Per poter argomentare questa relazione di reciproco rafforzamento èopportuno passare ad un approccio di tipo “contrattualista”, come quelloelaborato dalla teoria economica dell’organizzazione,

Il contratto assume così il profilo di dispositivo di regolazione dellatransazione, e questo costituisce il nucleo centrale di una prospettiva cheguarda all’impresa come ad una “connessione di contratti” (Reve, 1990);l’attività economica altro non sarebbe che un intreccio di accordiformalizzati che definiscono il raggio delle transazioni in cui è inserital’organizzazione aziendale.

L’analisi del contratto ha radici lontane, non di esclusiva pertinenzadelle discipline giuridiche o filosofiche; l’interesse per le sue implicazioniha contagiato l’analisi economica (in particolare la teoria economicadell’organizzazione) e le scienze sociali a partire dalla seduzione che questoconcetto ha esercitato sulla ricerca durkeimiana in merito alle ragioni cherendono possibile la coesione sociale.

«Non tutto nel contratto è contrattuale», scriveva Durkheim (1897); laproduzione contrattuale necessita per l’efficacia dei suoi contenuti diagganciarsi ad elementi, valori, culture, modalità di interazione che sonolasciati impliciti nel contratto o vengono demandati alla capacità degli attori(impresa cliente/ impresa fornitrice) di produrre regole informali di gestionedelle contingenze imprevedibili (FalK-Moore, 1973; Serverin, 1996) o allacapacità dell'ambiente istituzionale in cui operano di fornire/imporre normepertinenti. Un’analisi scrupolosa del contratto deve collocarsi all’interno diun “sistema di azione storica”, di un contesto, soprattutto quandol’attenzione si sposta sui termini della sua applicazione.

I contratti non sono un prodotto negoziale statico, hanno invece unaconfigurazione dinamica data dall’intersezione, continuamente mutevole, diaspetti impliciti ed espliciti: «il silenzio o l’incompletezza della convenzioneesplicita non si presenta più, allora, come una lacuna o una patologia delcontratto, ma piuttosto come il fatto normale di una normatività contrattualein cui il detto si comprende solo in relazione necessaria con il non detto»(Guy-Belley, 1996, 466, n.t.).

Essi presentano una intrinseca incompletezza dovuta a fattori di limitatarazionalità degli attori di definire anticipatamente le contingenze future ed ilcomportamento dei contraenti nelle fasi di incertezza (Williamson, 1986;Milgrom, Roberts, 1992). Sulla base di questi presupposti, l’incompletezza

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contrattuale costituisce un elemento insopprimibile di qualsiasi processo dicontrattazione.

a) Incompletezza dei contratti tra imprese.Benché fertile e suggestiva l’applicazione della teoria dei contratti

all’analisi della fornitura integrata e dei contratti di outsourcing modulare,rivela un’inquadratura ristretta che taglia fuori i meccanismi attraverso cuiavviene il coordinamento delle attività interne e di quelle esterne all’impresache sono lasciate implicite, o non regolate dal contenuto contrattuale. Non“spiega”, cioè, come sia garantita l’efficienza del contratto stesso.

La Figura I, contrattuale (nei cin una relazione di 19 Nel caso di contratborse merci - si puòavviene lo scambio so1994). I contratti spoconcorrenziale; in eattraverso il meccaninformazioni,in un sconverge al suo valproduttore di ciascu“socialmente” più a

Fig. 1 – Teoria dei contratti: la trasformazione fondamentale

Stipulacontratto

t0 t1

in ∆t a si verificache inducono le pinvestimenti specprevedibili nella fcontratto (t0).

t2

Fonte: rielaborazion

∆t a

roduzione modulare

propone uno dei problemi piasi contratti di lungo periodo scambio, e nello specifico de ti a pronti (spot markets contracts) parlare di completezza contrattuno determinate simultaneamente t configurano le modalità di scamsso ogni esternalità dell’agire soismo del price-taking. In questaistema di pianificazione, viene ore minimo, e ciò garantisce chn bene è il produttore a minidatto a svolgere questo compit

Valutazionedei

contraenti

no S stati del mondoarti ad attivareifici, non nonase definitoria del

∆t b apre la della rinego

e da Hart, Moore, 1988

∆t b

29

ù rilevanti di incompletezza non di quelli occasionali19)gli accordi di fornitura.

- utilizzati prevalentemente nelleale; qui «le condizioni alle qualiallo scambio stesso» (Del Monte,bio in un mercato perfettamenteciale viene rimossa alla radice direzione la dispersione dellerisolto: il prezzo di ogni benee il soggetto che emerge comemo costo, ma è anche quelloo. Gli altri produttori possono

Nuovo accordo/interruzione della

collaborazione

fase della revisione e/oziazione del contratto

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Al momento della stipula del contratto (t0) l’impresa committente el’impresa di fornitura stipulano un accordo commerciale allo scopo di“internalizzare” il maggior numero di possibili esternalità, ovveroincorporare nel contratto la regolazione di tutti quegli effetti dellatransazione non desiderabili. Malgrado ciò in questa fase i contraenti nonsono in grado di prefigurare comportamenti opportunistici da parte delpartner derivanti da asimmetrie informative.

Successivamente in fase di applicazione del contratto (t1) interviene unasorta di “trasformazione fondamentale” (Williamson, 1986), e si verificanodelle contingenze inaspettate che richiedono nuovi investimenti specifici; ladistribuzione di questi investimenti e dei risultati che producono (esternalitàpositive e negative) è il terreno su cui avviene la revisione o larinegoziazione di parti del contratto iniziale, ed anche il contesto in cui siannidano i maggiori rischi di opportunismo post-contrattuale20. Se così nonfosse il contratto risulterebbe “completo”21; l’individuazione preventiva di avvicinarsi a quel bene in qualità di consumatori e non produttori. Il meccanismo diprice-taking determina quindi un “ordine spontaneo” che nasce dall’estremacompetizione. Per un approfondimento, ved. Grillo (1994).20 Concetto di opportunismo post-contrattuale: la possibilità che il valore degliinvestimenti specifici fatti da un’impresa possa essere “espropriato” nella contrattazioneex post produce un incentivo a non investire abbassando così il livello di competitivitàgenerale acquisibile non solo dalla singola impresa ma dalla relazione stessa quindianche dal partner contrattuale. La cooperazione salta nel momento in cui uno deicontraenti percepisce la possibilità di un dominio oltre la soglia da parte del partner,attraverso l’instaurazione di forme di opportunismo post-contrattuale. L’opportunismopost-contrattuale riguarda l’opportunismo di un contraente che si verificasuccessivamente la stipulazione di un contratto. Le direzioni di questo opportunismopossono riguardare problemi di hold up (una parte si vede forzata ad accettare dellecondizioni svantaggiose e quindi assiste ad una svalutazione del valore del proprioinvestimento a causa delle azioni della controparte) e di moral hazard (quando le azionispecificate in un contratto non sono perfettamente osservabili e quindi questo induce icontraenti ad avere minor cura da parte dei contraenti per ridurre i rischi di danno).Questo approccio di “teoria economica dell’organizzazione” occupa uno spazio rilevantenella letteratura sociologica ed economica. Per un approfondimento rimandiamo a: Hart,Holmstrom (1987); Milgrom, Roberts (1992); per quanto concerne la teoria dell’agenziacome variante nei rapporti di impiego dell’opportunismo post-contrattuale a Coleman(1990) e Hart, Holmstrom (1987).21 Riportiamo qui da Grillo (1994) due concetti distinti di contratto completo: Milgrom,Roberts (1992), definiscono il “contratto completo” quel contratto che emerge semprequando le possibilità di condizionamento reciproco sono illimitate; in questo senso inassenza di costi di transazione vi è una piena internalizzazione delle esternalità – ilmercato secondo Coase (1937). L’incompletezza contrattuale però non implica che leparti non arrivino ad un accordo per via contrattuale ma questa soluzione di scelta puòessere dominata da un’altra scelta che, in quanto sconosciuta alle parti, non può essere

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ogni fattori di incertezza insieme al suo assorbimento renderebbe l’attivitàproduttiva altamente programmabile ed i processi di problem solvingsarebbero sostituiti dalla pianificazione del comportamento organizzativo.Posto che sia possibile, un simile contratto avrebbe costi di realizzazioneinsostenibili.

Le due imprese si trovano, dunque, nella condizione di “internalizzare”in fase di stipulazione del contratto tutti i possibili meccanismi di governodelle incertezze, che concerne essenzialmente l’erogazione di un surplusaggiuntivo e non previsto di interventi specifici.

La mobilitazione del surplus di investimenti specifici apre dunque lafase della revisione del contratto o la sua rinegoziazione, portando così allaconfigurazione di un nuovo “ordine relazionale” (accordo post-contrattuale)o, ma sono casi rari nei contratti di lungo periodo, alla interruzione delrapporto di collaborazione.

A questo punto sono necessarie due precisazioni: da un lato l’esito ditale negoziazione può sfociare in un accordo ma non necessariamente nellaformalizzazione di esso, da un altro lato la rinegoziazione dei terminicontrattuali non può eludere la questione del potere negoziale degli attori.Tuttavia sebbene le imprese clienti generino dei dispositivi di controllodell’impresa fornitrice, i rapporti di forza che si articolano all’ombra dicontratti di lungo periodo non devono superare una soglia di tolleranza, oltrela quale viene messa a repentaglio la riproduzione dell’integrazione deiprocessi.

Soprattutto nel quadro delle pratiche di ingegnerizzazione congiunta enell’outsourcing modulare si instaura tra le imprese una condizione didipendenza bilaterale (Williamson, 1986, 1996); entrambi i contraentihanno fatto investimenti specifici finalizzati al supporto della relazione, equesto genera un interesse congiunto che arresta le tentazioni di soluzioneunilaterale del contratto.

La variabile coercitiva della relazione, che pur esiste, lascia spazio alladimensione cooperativa della relazione. In altri termini, le impreseappartenenti al primo anello di fornitura, non sarebbero in grado di garantirealti livelli di integrazione solamente con la “coazione al controllo” da partedell’impresa cliente.

soggetta a negoziazione, di conseguenza anche l’internalizzazione delle esternalità non ècompleta, con conseguenze sulla stessa efficienza. Secondo Hart, Holmstrom (1987), uncontratto è completo quando l’accordo delle parti definisce in modo esauriente il profilodi azioni congiuntamente selezionato, indipendente che esso conduca ad una situazioneefficiente. È questa seconda interpretazione il riferimento utilizzato in questo lavoro.

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La rinegoziazione dunque non si avvale solo di strumenti dicoercizione, ma privilegia la via consensuale quanto più il governo delsurplus di esternalità (eventi negativi, distribuzione benefici) è ricavabilesolo da un alto grado di cooperazione non contrattualizzabile a priori (t0).

Ecco che la posta in gioco nella fase di rinegoziazione del contrattoriguarda la struttura di governance del surplus di esternalità, vale a dire i“diritti residuali di allocazione e controllo delle risorse”22 che non sono«espressamente ceduti a qualche contraente per via contrattuale» (D’antoni,1995, 487) ma che consentono all’impresa finale di intraprendere strategiedi adattamento continuo dei processi interni grazie alle conoscenze edinformazioni che si scambiano nel corso della relazione di fornitura.

Nonostante il potere di mercato (strategie di pressione per la riduzionedel prezzo) dell’impresa finale sull’impresa fornitrice di primo livellocontribuisca a regolare la distribuzione dei “diritti residuali di controllo” ” dirisorse integrative nella produzione continua di beni relazionali, esso sirivela comunque inadeguato nel limitare i rischi di “azzardo” nei momenti dimassima incertezza, cioè di opportunismo post-contrattuale da parte deicontraenti. Più efficace è il ricorso a legami fiduciari generati da interazioniripetute e continuative nel quadro di contratti di fornitura di lungo periodo.La fiducia23 intesa come “attendibilità” di un comportamento non 22 Il concetto di “diritti residuali di controllo” è stato impiegato prevalentementenell’ambito di un filone sviluppatosi nella teoria economica dell’organizzazione(Grossman, Hart, 1986); partendo dai presupposti dell’incompletezza contrattuale i dueautori sostengono che i rischi di opportunismo, e nello specifico degli investimenti cheoccorre aggiungere, rispetto a quelli preventivamente programmati, possono esseresuperati se sin dalla fase di stipulazione del contratto sono definiti i diritti di proprietànell’allocazione delle risorse aggiuntive. In altri termini, l’efficienza ex ante (fase distipulazione del contratto) dipenderà da come sono allocati questi diritti residuali dicontrollo. Da un punto di vista empirico, però, il fenomeno della fornitura integrata edell’outsourcing modulare mettono in discussione gli assunti di questa impostazionebasata sui diritti di proprietà; l’allocazione dei diritti residuali di controllo avviene sullabase di una forza coercitiva dell’impresa committente, e su una via consensuale fondatasullo sviluppo di relazioni fiduciarie rafforzate da ripetute occasioni di collaborazione(contratti di lungo periodo). Il punto nodale che allontana questa prospettiva dalle piùavanzate forme di fornitura risiede nella scarsa importanza assegnata alla produzione dibeni relazionali, non necessariamente conseguibili per via proprietaria.23 L’assunzione della fiducia come elemento generato da interazione ripetuta dellerelazioni contrattuali è un terreno impervio che si presta a molteplici interpretazioni, chetalvolta corre il rischio di fungere da concetto “pigliatutto” per spiegare tutte quellesituazioni in la cooperazione nasce da interazioni non meramente coercitive. Qui ci silimiterà a dire che la fiducia - intesa come impegno specifico nel mantenimento dellepromesse contrattuali emerse nella fase di stipulazione del contratto – presenta gradidifferenti di intensità (Sako, 1991): ad un primo livello Sako individua la “fiducia

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opportunistico (Sako, 1991) costituisce dunque uno di quegli elementi“extra-contrattuali” che svolgono una funzione sociale di rafforzamentodelle relazioni tra imprese.

Il legame fiduciario – come emerge da uno studio sul caso anseatico –non è una pre-condizione quanto piuttosto la risultante della “contiguità” edella “frequenza dei contatti”; anche in un contesto caratterizzato dallapresenza di “legami deboli” tra gli attori, da motivazioni strumentali ecomportamenti opportunistici, lunghi periodi di cooperazione monitorata traopportunisti può essere all’origine dell’instaurarsi di legami fiduciari(Pichierri, 1998). Il monitoraggio diventa così uno strumento di controllo edi apprendimento allo stesso tempo.

Il legame fiduciario non è omogeneo si distribuisce lunga una scala didiversa intensità; la quale cresce parallelamente agli investimenti specificidegli attori, via via che crescono le attività di integrazione, ovvero diproduzione di beni relazionali non contrattualizzabili.

La produzione delle norme sociali di rafforzamento (e l’instaurazionedel legame fiduciario è parte di essa) dell’efficienza del contratto difornitura mettono in discussione la tesi dell’impresa come connessione dicontratti (Hodgson, 1998), per lasciare spazio spazio ad una nozione diimpresa, di matrice neo-schumpeteriana, come “deposito di conoscenze” chesi riproducono attraverso la continua interazione, dentro e fuori l’impresa,tra differenti di competenze tecnologiche e gestionali24.

La teoria dei contratti sin qui utilizzata è stata una leva efficace peraprire un varco sulla questione dei confini di impresa e circa le conseguenzeche questo comporta nella gestione dei sistemi di fornitura; ma si tratta di un contrattuale” che consiste nella sostanza nel mantenimento delle promesse definite infase di stipulazione del contratto, segue la “fiducia di competenza” che riguardaessenzialmente un maggiore coinvolgimento tra cliente e fornitore anche sul terreno delloscambio di competenze. Infine una terza forma definita goodwill trust che prevedel’impegno implicito da parte del fornitore di prendere inziativa, introdurre innovazioni(processo/prodotto), e determinare quindi un clima di cooperazione che si basasull’impegno implicito a svolgere attività di miglioramento in un contesto di assenza diopportunismo.24 Da qui emerge come, nel caso della fornitura la relazione contrattuale entra indifficoltà quando non è in grado di affrontare compiti di “integrazione” (Richardson,1972); questi infatti nel riconfigurare i confini dell’impresa al di fuori del suo perimetrogiuridico, richiedono investimenti sulle capacità di gestione delle interdipendenze che sicoagulano intorno al core business dell’impresa: «La cooperazione tra imprese risultapiuttosto guidata dalla necessità di minimizzare i costi di apprendimento essendo questi icosti maggiormente connessi con il governo delle complementarietà dinamiche relativeall’upgrading delle conoscenze e delle capacità dei partner» (Gargiulo, Mariotti, 1999,267).

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“compagno di viaggio” che non è in grado di accompagnarci sino alla finedel percorso. La teoria dei contratti risponde alle questioni riguardanti irischi di opportunismo che corrono le imprese in conseguenza dellastrutturale incompletezza dei contratti; qui subentra invece un altrointerrogativo, nonostante l’incompletezza contrattuale dei contratti difornitura quali altri fattori intervengono nel determinare una strategiaefficiente dell’impresa?

Prende consistenza la prospettiva, che ritroviamo nel filone analiticodell’economia dell’innovazione (Antonelli, 1999, Malerba, 2000) di analisiorientata a vedere nelle imprese, ed in questo caso soprattutto quelle delprimo anello di fornitura, organizzazioni economiche sempre piùinseparabili dalla capabilities25 cognitive ed informative in loro possesso.L’incompletezza contrattuale, in questo frangente non è più un elemento di“disturbo” dell’attività organizzativa, quanto invece una condizione“virtuosa” che richiede strumenti di rafforzamento del contratto informalinecessari per governare il surplus di investimenti necessari a fronteggiare lecontingenze impreviste, a generare “quasi-rendite” relazionali, edindirettamente salvaguardare il valore della relazione di fornitura (interfirm–X efficiency).

Con un’espressione apparentemente paradossale, che ci riporta aDurkheim, il governo dei contratti avviene non nonostante ma grazie alricorso ad elementi extracontrattuali.

Incompletezza e regolazione dei contratti di lavoroIl processo di integrazione organizzativa e di coordinamento è possibile

grazie alla presenza di un altro tipo di incompletezza contrattuale, quellarelativa ai contratti di lavoro interni a ciascuna impresa.

Ripartendo dalla teoria dei contratti l’impresa si presenta anche al suointerno come una connessione di contratti; in particolare contratti di impiegoche regolano l’erogazione delle prestazioni necessarie a garantire esupportare l’attività economica dell’organizzazione. Tuttavia anche qui peròvengono in superficie i problemi legati all’incompletezza contrattuale, come 25 Sul concetto di apprendimento dinamico nelle imprese il riferimento va ad alcuniautori I. Nonaka, T. Takeuchi – Knowledge Creating Company, Oxford University Press,1995, Lundvall B.A., National Systems of Innovation, Pinter Publishers, 1992; N.J. Foss,Capabilities and the Theory of Firm, Revue d’Economie Industrielle, vol.77, 1996; G.M.Hodgson, Competence and Contract in the Theory of the Firm, Journal of EconomicBehavior and Organization, vol.35, 1998; R.N. Langlois, P.L. Robertson, Firms, Marketsand the EconomicChange: A Dynamic Theory of Business Institutions, RoutledgeLondon, 1995; B. Loasby, Organizational Capabilities and the Interfirms Relations,Metroeconomica, vol. 45, 1994

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fattore intrinseco ed inamovibile di ogni accordo tra soggetti portatori diinteressi differenti e talvolta conflittuali.

L’attenzione sui contratti incompleti e sui risvolti che questo comportanella struttura delle relazioni di lavoro, è una questione che percorre laricerca lavorista nelle sue diverse varianti (giuridica, economica esociologica)26. Il contratto si è costantemente presentato come unostrumento incompleto anche nei rapporti di lavoro caratterizzati da unapervasiva standardizzazione dei contenuti della prestazione; l’ideologiarazionalistica del taylorismo ha sempre dovuto fare i conti con la necessità,imprescindibile, di azioni ed interventi del lavoro non esplicitamenteprescritti. La devianza dal territorio normativo formale ha puntellato inmodo costante l’organizzazione gerarchico-funzionale, costituendo unelemento di garanzia del suo funzionamento (Crozier, 1969). Questo sotto ilprofilo organizzativo.

Sul versante più giuridico il contratto di lavoro ha sancito la legittimitàdi una asimmetria di poteri tra datore di lavoro e lavoratore; nella sua parteesplicita il contratto sancisce dei vincoli all’arbitrio del datore di lavoro, ilquale però si riappropria di questo potere sul versante dell’organizzazionedel lavoro; nessun contratto si spinge sino alla descrizione delle mansioni,con una legittimazione implicita delle figure datoriale e manageriali neldeterminare il contenuto della prestazione richiesta al singolo lavoratore27.

26 Già Marx metteva in rilievo come il contratto tra il datore di lavoro ed il lavoratore nonsolo veniva stipulato all’interno di una relazione fortemente asimmetrica e diseguale, malo stesso suo contenuto restava largamente indeterminato. Il contratto acquisiva in Marx,così, lo strumento di istituzionalizzazione di un rapporto di autorità anche se il contraentepiù debole veniva caratterizzato dallo status giuridico di una manodopera “formalmentelibera”.27 La relazione per così dire dialettica tra l’organizzazione del lavoro e la strutturaautoritativa del rapporto di lavoro si svolgono, come ha scritto Perulli (1989), dentro unvuoto normativo; esiste cioè una profonda separazione tra la zona del contratto e la zonadell’impresa, intesa come potere direttivo; è la prassi sociale con la costruzione di normenon esplicitate dal contratto a determinare “zone di accettazione” in cui specifici ordinitroveranno “obbedienza” senza resistenze (Perulli, 1989). Questo ha raccolto l’interessenon solo di sociologi e giuristi, ma anche economisti: indicativo in questo senso il lavoropionieristico di Simon (1951) che mette in evidenza la discrasia tra il contratto diimpiego come scambio e la relazione autoritativa che scaturisce implicitamente dalcontratto. Ma questo non elimina il problema di fondo del «potere discrezionale del“datore di lavoro” nel determinare l’oggetto del lavoro e le regole che di volta in voltapresiedono all’estrinsecazione del rapporto di subordinazione nella prestazione concretadel lavoro» (Trentin, 1997, 226). Rimane cioè insoluta la contraddizione tra il bene-lavoro come bene scambiabile oggetto del diritto e la persona come soggetto del diritto.Per un approfondimento su questi temi rinviamo a Supiot (1994), Trentin (1997).

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Nonostante l’ossessione prescrittiva del taylorismo inducesse ad unaproduzione continua di norme di comportamento (regolamenti, accordi,ecc.), costante è stata la separazione tra la dimensione economicadell’impresa da quella organizzativa; il contratto di lavoro ha riguardatoprevalentemente la regolazione della contropartita alla prestazione insiemead una giurisprudenza sui diritti individuali del singolo lavoratore, ma halasciato priva di copertura contrattuale l’organizzazione della prestazione.Affidata, sempre da un punto di vista organizzativo, alla gerarchia aziendale.

La gerarchia è stato per lungo tempo il principale meccanismo digestione delle risorse umane interne all’impresa; cementata sul “principio dieccezione”, essa è stata, ed in parte se pur ridimensionata costituisce ancora,lo strumento di regolazione dei rapporti di lavoro.

Essa ha costituito un vincolo organizzativo finalizzato a canalizzare inuna sequenza predeterminata di fasi tutte le risorse organizzative (materieprime, tecnologie, individui, saperi ed informazioni). Un vincolo giustificatodalla ricerca del maggior controllo sui processi di lavoro e produzione, comegaranzia di efficienza organizzativa. A questi vincoli se ne sono opposti altriprovenienti dalle organizzazioni sindacali attraverso la contrattazionecollettiva: la negoziazione tra i diversi attori dell’impresa fordista avevacome posta in gioco l’introduzione di limitazioni volte ad accrescere lepossibilità di condizionamento della controparte; ne scaturiva un poterenegoziale che nasceva dal controllo dei reciproci margini di incertezza(Crozier, 1963), localizzati nelle aree a maggiore incompletezzacontrattuale, cioè quelle organizzative. Ad una configurazione aziendalerigida si contrapponeva un orientamento sindacale altrettanto proteso allasedimentazione di rigidità incrementali.

Partendo da queste premesse l’obiettivo di questo paragrafo consistenell’analizzare come si trasformano i meccanismi di governance delrapporto di lavoro, successivi al modello di matrice taylor-fordista, nelladivisione del lavoro all’interno di una filiera di prodotto, ed individuare inquesta trasformazione una tendenza allo slittamento verso forme diregolazione improntate sullo status anziché sul contratto.

1. L’incompletezza contrattuale delle relazioni di lavoro èparticolarmente riconoscibile a partire da due variabili, recentementeriproposte da Goldthorpe (2000):

a. Grado di difficoltà nel monitoraggio della prestazione di lavoro,vale a dire il grado di difficoltà nel valutare la quantità di lavoroerogato ed osservarne gli aspetti qualitativi.

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b. Grado di specificità delle risorse umane (capitale umano eprofessionale) utilizzato dagli occupati nella loro performance dilavoro, il grado di specificità misura il valore produttivo che andrebbeperso se queste risorse venissero trasferite altrove.Il passaggio dalla dimensione materiale alla dimensione processuale del

lavoro (Kern, 1991), propria di quei modelli di organizzazione del lavorosuccessivi alla crisi del taylor-fordismo e raccolti intorno alla prospettivadella lean production, ha determinato l’introduzione di forti elementi dicomplessità nella prestazione e nel suo controllo. Le prestazioni industriali,soprattutto, sono state investite di richieste sempre più orientate allamanipolazione di simboli ed informazioni (Zuboff, 1988), unitamente allosforzo di tipo fisico-manuale, che invece è andato diminuendo.

I contenuti che presiedono il contratto di lavoro in un’impresafortemente caratterizzata dalla gestione di beni immateriali (simboli,informazioni e saperi), più che focalizzati su uno scambio di certezze (gesti,movimenti, operazioni, ritmi, orari), sono proiettati su uno scambio diintenzionalità (impegno nel raggiungimento di obiettivi complessi,interfacciamento tra più fonti informative, problem solving), difficilmentericonducibili a grandezze quantificabili.

Questo genera un deficit di “misurabilità” che definisce anche la portatadella incompletezza dei contratti di lavoro; una quota consistente deicontenuti della prestazione viene ulteriormente sottratta alla possibilità didefinirne in sede di stipulazione del contratto (il t0 nella Fig. I) i criteri diregolazione.

Anzi l’avvicendarsi delle diverse forme di fornitura dal JIT e strutturaintegrata sino all’outsourcing modulare può essere letta, sotto il profilo deicontratti interni, come lo sviluppo di aree sempre più vaste di incompletezzacontrattuale. Questo procede parallelamente alla diffusione di sistemipremianti differenziati, che contribuiscono a frammentare i mercati internidel lavoro. Come ha sintetizzato Dore (1974), nella sua comparazione tra ilmodello di produzione americano e quello giapponese, questo processo puòessere descritto come preminenza del rate for the job sul rate for theperson28.

28 Dore nel suo lavoro di ricerca, British Factory – Japanese Factory (1974), che puòessere considerato uno degli studi più ricchi e completi di sociologia industrialecomparata, mette in evidenza le profonde differenze tra il sistema organizzativoaziendale nipponico e quello occidentale di tipo americano. Molti degli aspetticonsiderati tipici del japanese system trovano ampio credito nella cultura managerialedegli ultimi anni, a dimostrazione che l’importazione delle tecniche del just in time nonha avuto solo conseguenze sul terreno della logistica ma aperto un varco nella

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Si sviluppano meccanismi di incentivazione29 all’interno di sistemi diriconoscimento economico legati alla qualità della singola prestazione dilavoro.

Viene così a configurarsi un intreccio tra indeterminatezza dellaprestazione, sia in fase di stipulazione del contratto che in fase esecutiva, eindividualizzazione del sistema di incentivazione. Su questa relazione siinnesta un ulteriore elemento che riguarda le modalità di contrattazione delrapporto prestazione/incentivi; se sono cioè l’esito di un’azione collettiva opiuttosto il prodotto di una negoziazione individuale.

Però, l’alternativa tra azione individuale/azione collettiva non si è maiproposta in una visione così netta e semplificata. Piuttosto il ricorso allacontrattazione individuale ha ricoperto spesso un ruolo di complementarietàall’azione collettiva; sin dall’esperienza del sindacalismo di mestiere, lanegoziazione individuale, strettamente connessa con il potere di mercato delsingolo lavoratore, si spingeva oltre l’azione collettiva per marcare unadifferenza; quando cioè la contrattazione non riusciva ad incorporarecontenuti rivendicativi unitari partendo da interessi eterogenei.

In particolare sul fronte impiegatizio, Crozier (1963) ha sostenuto comel’azione di ampie fasce del lavoro impiegatizio sia stata improntata ad unasorta di “dualismo negoziale”, individuale in fase aggressiva e collettiva infase difensiva, quando cioè gli interventi del management costituivano unaminaccia a posizioni consolidate30. Azione individuale ed azione collettiva

sperimentazione “in terra straniera” di prospettive di gestione delle risorse umane,consolidate da decenni in Giappone.29 Questo elemento era già stato messo in evidenza da Max Weber quando ad unasituazione di lavoro affiancava una situazione di mercato; la loro compresenza nonaggiunge nulla di nuovo sul terreno degli strumenti di analisi; gli aspetti interessantivertono piuttosto sulla “combinazione” articolata e variabile di gerarchia e mercato.30 Questa posizione è stata criticata da Chiesi (1988) soprattutto per la eccessivagenericità con la quale si assumono concetti quali azione difensiva ed azione offensiva,rimangono cioè indeterminati i contenuti che strutturano e presidiano gli obiettividell’azione. Sotto il profilo metodologico questa critica è ineccepibile ma merita unaccenno quanto accaduto in Fiat circa trent’anni dopo il lavoro di ricerca di Crozier: quiun ceto impiegatizio da sempre vicino alle posizioni manageriali e con un rapportodifficile, talora di aperta ostilità con le organizzazioni sindacali, fu al centro di consistentiinterventi di prepensionamento, generando una frattura in quella “storica alleanza” cheaveva profondamente caratterizzato le relazioni industriali nella multinazionale torinese.Leaders sindacali locali e nazionali assunsero presto il ruolo di interlocutori di quelmovimento, che sfociò nella dichiarazione di uno sciopero generale di quattro ore. Quellaforma embrionale di avvicinamento del ceto impiegatizio ancora oggi incontra ostacolinel trasformarsi in un rapporto reale di rappresentanza, ma il dato saliente è che in quellavicenda, ed in quelle successive al febbraio 1994, si ripropose quel dualismo negoziale

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sono modalità costanti nelle relazioni di lavoro e nella loro gestione. Nondeve dunque sorprendere che in un sistema di produzione sempre piùcaratterizzato dallo scambio di intenzionalità piuttosto che dallo scambio digrandezze certe, il ricorso aziendale a forme sempre più individualizzate diincentivazione della prestazione tenda non solo ad espandersi a danno dellealtre forme di contrattazione collettiva31, ma proceda anche secondo unprincipio di sostituzione più che di complementarietà.

Questo fenomeno mostra tutta la sua evidenzia nelle occupazioni cheruotano intorno alla figura del “lavoratore della conoscenza”, che, comehanno evidenziato le più recenti ricerche (Bufera, Donati, Cesaria, 1997) inmerito, solo con una forzatura concettuale che ne snaturerebbe la specificitàè possibile far rientrare nella categoria del tecnico e dell’impiegato.Appartiene alla categoria dei colletti bianchi ma con funzioni tecniche e conun sostanziale ruolo di mediazione, prima di tutto cognitiva, essendo ilcrocevia delle principali trasformazioni della conoscenza e del circuito ditrasmissione delle informazioni nell’impresa.

Sono knowledge workers i componenti di quella fascia di forza-lavorosvolge un ruolo di “relè organizzativo” nel sistema integrato di fornitura enei casi di outsourcing modulare: coordinano attività, traghettanoinformazioni lungo il sistema informativo inter-aziendale, elaborano nuoveconoscenze. Tali figure spesso non hanno una collocazione precisa, definitada organigramma; sono piuttosto dislocate nelle aree dove maggiore è lanecessità di interventi di problem solving, possono così riguardare il tecnicodella progettazione come il professional in officina.

Queste sono collocate sui “bordi” dell’organizzazione, nei puntinevralgici del sistema informativo che mette in connessione l’impresa di che qualche decennio prima Crozier aveva rintracciato tra gli impiegati del Monopolioindustriale francese.31 Nel suo saggio Goldthorpe definisce i contratti caratterizzati da un forte impiego dirisorse specifiche e da difficoltà di monitoraggio come “service relationship” – relativaad occupazioni collocate sulla parte alta della stratificazione sociale nel mercato dellavoro – contrapposti ai “labour contract” - che invece descrivono prestazioni più poveree più facilmente controolabili. Dentro questo continuum, Goldthorpe individua delleforme miste, dove si ibridano i due “ideal-tipi” contrattuali. Lo scopo di Goldthorpe nonconsiste solo nella mappatura delle occupazioni e della natura della loro differenteincompletezza contrattuale, il suo sforzo è anche diretto ad individuare il punto chiaveriguarda «come un contratto di lavoro può essere efficacemente elaborato, non solo perquanto riguarda la sua configurazione ex ante, ma anche per quanto riguarda leinterpretazioni ex post che condizionano la sua implementazione quotidiana» (212).Ripropone i temi chiave della teoria dei contratti, a partire dal fenomeno delcomportamento opportunistico nella relazione tra principale e agente (teoriadell’agenzia). Cfr. Goldthorpe J., On Sociology, Oxford University Press, 2000.

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fornitura con quella finale; conoscono i segreti di quella “scatola nera” che èla transazione commerciale di fornitura, sono in grado di orientarsi al suointerno e di intervenire. Sia dal punto di vista operativo integrando attività efonti informative di diversa provieneza, sia sul terreno gestionale, disupporto e mediazione nella gestione quotidiana e monitorata del contrattostesso di fornitura, arginando i rischi di opportunismo post-contrattuale cheemerge quando intervengono eventi e criticità destabilizzanti le premesseche hanno reso possibile l’accordo per la sua stipulazione.

Quanto più l’efficienza della relazione tra le imprese diventafondamentale per la qualità della cooperazione inter-aziendale tanto più laloro specificità professionale cresce in importanza.

Ed è nel quadro di questa assunzione che diventa comprensibilel’introduzione di sistemi premianti all’interno delle imprese. Il managementaziendale utilizza questi incentivi non solo nella logica di contenimento deirischi di “opportunismo post-contrattuale”, legati alla promessa di impegninon direttamente osservabili nelle fasi successive alla stipulazione delcontratto di lavoro (un problema riconducibile al concetto di“trasformazione fondamentale”, Fig. I), ma deve fare i conti con la crescenteesigenza di assicurare nell’organizzazione del lavoro l’impiego continuativodi conoscenza tacita e l’impegno implicito di reimmetterla nel corso dellaprestazione lavorativa soprattutto quando questa incontra delle anomalie chela ostacolano (Giaccone, Piotto, 2000). La continuità nell’erogazionedell’impegno non trova una regolazione contrattuale, o meglio piùprecisamente non trova nella contrattazione collettiva e negli accordi chequesta esprime un riferimento normativo. La gestione di questo specificorapporto tra prestazione e sistema premiante si situa proprio laddove piùconsistente è l’incompletezza contrattuale (Foss, 1999), cioè nelladefinizione di condivisi schemi di riconoscimento di quel patrimonio disapere esperto che garantisce il governo delle criticità, estendendosi allaproduzione di quel bene relazionale costituito dalla integrazione inter-aziendale che presiede le forme più avanzate di fornitura industriale.

L’interazione tra gerarchia e mercato all’interno della relazione dilavoro non costituisce, come è stato detto, un fattore originale nel governodelle relazioni di lavoro; la strutturazione dei mercati del lavoro all’internodell’azione o tra imprese, come accade nei casi di cessione di ramo diimpresa o di partnership, era presente in forma più limitata e circoscritta adalcune fasce della forza lavoro aziendale. Ma comunque consisteva in unfenomeno già presente nei modelli gerarchico funzionali di organizzazionedel lavoro.

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Il nodo del cambiamento risiede invece nel fatto che la naturaincompleta dei contratti di questi lavoratori diviene una risorsamanageriale essenziale per gestire i rischi di un’altra incompletezzacontrattuale, quella che regola il rapporto di fornitura tra l’impresa finale ele imprese appartenenti prevalentemente al primo livello di fornitura nellesue diverse forme (negli anelli successivi l’imprescindibilità del loro ruoloandrà scemando perché diverso è il contenuto dell’impegno richiestoall’impresa stessa).

Il vuoto lasciato dall’incompletezza contrattuale in queste relazioni dilavoro viene riempito da forme sempre più estese di contrattazioneindividuale sostitutiva, non più complementare, di quella collettiva.

Non rientrano in questo profilo lavorativo e professionale quei soggettidella produzione il cui lavoro richiede una specificità minore di risorse ecomporta meno difficoltà nel monitoraggio della loro prestazione. Accantoad una core workforce chiamata a gestire i gangli vitali delle attivitàorganizzative dell’azienda si affianca invece una manodopera periferica(peripheral workforce), in senso cognitivo e non spaziale, relativa aprofessionalità più esecutive e con una minore porzione di sapere tacitoimpiegabile nelle attività di assorbimento delle incertezze organizzative; nonsolo, ma spesso caratterizzate da una maggiore “precarietà occupazionale”.Questo dualismo di traiettorie lavorative e professionali ma anche di“situazioni di mercato” (Cainarca, 1994, Cerruti, 1994) non deve trarrenell’inganno della semplificazione eccessiva.

2. La proiezione di questi due tipi di forza lavoro non vuole riproporrela tesi della “biforcazione” delle traiettorie di lavoro, e nemmeno assegnareai produttori di integrazione il ruolo di apripista nel formazione di una“nuova classe operaia”, per riprendere un’espressione seguita agli studi ericerche di Touraine e Mallet; una creatura misteriosa formatasi sulle ceneridel fordismo a cui passare il testimone della rappresentanza generale.

La frammentazione della forza lavoro industriale è un fenomenocomplesso ed articolato in molteplici specificità che cambiano al mutaredelle richieste organizzative rivolte alle prestazioni di lavoro, e questasegmentazione ha delle conseguenze sulle risorse impiegate nellacontrattazione e quindi sul ricorso all’azione collettiva o allo statusindividuale. Il dinamismo organizzativo porta con sé un’ampia variabilitànella regolazioni delle transazioni, e quindi anche dei rapporti di lavoro.

Nella prospettiva taylor-fordista l’acquisizione di diritti contrattuali –tramite l’introduzione crescente di vincoli attraverso la contrattazionecollettiva – assegnava al singolo lavoratore diritti civili e sociali di status;

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questo quadro normativo viene meno quando «il moderno status industrialeperde il carattere costitutivo di diritti civili e la funzione di meccanismopolitico di redistribuzione, diventando uno “stato” di possesso individualeprivato» (Streeck 1988, 713). La tendenza è quella che vede lo statusdirettamente connesso con la posizione occupata dal singolo all’interno dellastruttura del mercato interno dell’impresa di appartenenza, svincolata davincoli contrattuali che tendono ad indebolirisi quanto più la prestazionediventa specifica ed immateriale: «ciò che qui sembra essere status, non sibasa sui diritti civili, ma su quelli di proprietà, e perciò non solo non ètrasferibile e generalizzabile mediante l’attività collettiva, ma non è neancheutilizzabile come motore di redistribuzione e di giustizia egualitaria»(Streeck, 1988, 717).

Questa situazione ridimensiona la portata dell’azione collettiva comestrumento di acquisizione di status attraverso il contratto o accordi di tipoaziendale; cresce invece la contrattazione individuale che consegna lanegoziazione di tali sistemi di incentivazione alla distribuzione dei rapportidi forza dell’impresa ed al potere di status del singolo lavoratore.

Questo dilata le prerogative del management nella regolazione di quellecompetenze che rendono possibile il governo delle interdipendenzeorganizzative provenienti dai contratti di fornitura. La qualità dellatransazione di fornitura non può fare a meno di considerare questospostamento dal contratto allo status; un processo che coinvolge non piùsolo quelle figure professionali, storicamente sensibili agli obblighi di statused ostili all’azione collettiva, ma anche figure professionali emergenti, chericonoscono nelle proprietà del proprio status individuale (capitale umano eprofessionale) un canale privilegiato di regolazione del rapporto di lavoro.

I produttori di integrazione non sono rilevanti dal punto di vistanumerico, e nemmeno perché espressione di esperienze negozialistoricamente sconosciute; la loro specificità consiste nella centralitàstrategica della loro prestazione rispetto ai vincoli di competitivitàdell’azienda stessa. Quanto più si centralizza il loro ruolo tanto più lerelazioni industriali perdono capacità di presa regolativa. Il dualismo noncomprime le differenze di “ceto” che si muovono all’interno dell’impresa inuna filiera di prodotto ma evidenzia due situazioni estreme in cui il risorsoallo status lancia una pesante sfida alle relazioni industrialicontrapponendosi ad esse nella regolazione dei rapporti di lavoro, econfinando la contrattazione collettiva prevalentemente al ruolo dirappresentanza e difesa di una forza lavoro che solo in alcuni rari casi operanel perimetro delle attività di core business.

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Il ricorso alla prospettiva dualistica viene giustificato dal fatto dimettere in evidenza il legame profondo – intermediato dal peso delle“incompletezze contrattuali” - che esiste tra le trasformazioni del sistema difornitura industriale e le modalità di regolazione dei mercati dei lavori,quindi indirettamente dei limiti e delle potenzialità che si aprono sul terrenodelle relazioni industriali all’interno di una filiera di prodotto, soprattutto,come vedremo nella seconda parte di questo lavoro, partendodall’architettura contrattuale successiva all’accordo del 23 luglio 1993.

SECONDA PARTEd. La ridefinizione dei confini d’impresa nella filiera di prodotto

mette in discussione l’attuale modello di relazioni industriali?

Il Protocollo del 1993 può essere considerato nelle relazioni industrialiitaliane il testo “costitutivo” della concertazione; esso definisce lecoordinate della politica dei redditi e di un nuovo sistema contrattuale.

In questo lavoro il versante macroeconomica della politica dei redditiverrà lasciata sullo sfondo, mentre l’attenzione sarà focalizzata sugli aspettidi contrattazione collettiva aziendale, in particolare sul profilo dellerelazioni industriali all’interno di un una struttura modulare del ciclo diprodotto.

Infatti, nella prima parte dedicata al percorso di approdo ad una nuovaconfigurazione del ciclo di prodotto, incardinata sulla produzione modularela quale trova come vincoli organizzativi la qualità della transazionecommerciale come terreno di gestazione e produzione di “beni relazionali”(relational quasi rent). Questi beni sono “semilavorati cognitivi” (saperi,professionalità, tecnologie di coordinamento, informazioni) cheintervengono nelle situazioni di criticità e supportano la gestionedell’interdipendenza aziendale, e si addensano intorno al profiloprofessionale di figure di interfaccia, non necessariamente collocate in unaspecifica funziona aziendale, ma distribuiti lungo il processo produttivo,anche in prossimità delle occupazioni a carattere più esecutivo.Professionalità di “confine” che talvolta assumono la fisionomia del“lavoratore della conoscenza” o più genericamente del lavoro comepermanente problem solving.

La regolazione di questa produzione di beni immateriali sfugge allacapacità di “presa diretta” da parte dei contratti interni (rapporti di impiego)ed dei contratti commerciali tra imprese. Anzi prima con la partnership esuccessivamente con l’outsourcing modulare non solo il contratto si rivela

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uno strumento parziale nella determinazione della qualità dell’output finale,ma è necessario ricorre a risorse extracontrattuali (legami fiduciari inter-organizzativi, e gestione delle risorse umane improntate allo statusindividuale) per garantire un’efficiente gestione dei rapporti commerciali.Questo fenomeno non può essere letto come residuale o comesopravvalutazione di una contingenza storica, ridimensionabile nel breveperiodo. Il governo delle incertezze è un vincolo organizzativo, che aumentadi valore quanto più l’organizzazione si snellisce e riduce i tempi di rispostaalle richieste dei mercati.

Il filo dell’argomentazione che ispira questa riflessione va ricercato nonsolo nel tentativo di cimentarsi con le problematiche che i processi avanzatidi terziarizzazione sollevano genericamente sulle relazioni industriali, maproprio partendo dal Protocollo e dalle sue intrinseche potenzialità.Intrinseche, perchè la struttura contrattuale del 1993 definisce le coordinatedi un sistema di contrattazione da cui si possono sviluppare molteplicipossibilità di adattamento ai contesti organizzativi aziendali senza chequesto ne minacci l’orientamento regolativo.

Verranno dunque presi in considerazione tre aspetti della contrattazionein relazione ai processi di outsourcing modulare e di fornitura integrata: ilmutamento dei confini dell’impresa, la struttura partecipativa veicolata dalsalario variabile, ed infine la rappresentanza sindacale.

a) Confini di impresa e contrattazione aziendale.La vicenda storica del contratto collettivo aziendale trova nel

Protocollo del 23 luglio 1993 una coerenza giuridica di complementarietàcon il livello contrattuale nazionale e di categoria, non la sua origine. Lapresenza della contrattazione decentrata nelle relazioni industriali italiane,nonostante venga fatta formalmente risalire alla stipulazione nel 1962dell’accordo tra le federazioni dei lavoratori metalmeccanici e leassociazioni Intersind ed Asap (Giugni, 1996), percorre la storia delleorganizzazioni sindacali ed è presente, come realtà fattuale, sin dalleesperienze contrattuali degli anni ‘5032. Attraversa il ciclo di lotte ’68-’72dell’autunno caldo e resiste nella prassi sindacale anche quando il baricentrodelle relazioni industriali si sposta sulla sponda della centralizzazione degliistituti contrattuali (si pensi alla tematica del neo-corporativismo e dello“scambio politico”) per assumere nella metà degli anni ’80 la configurazione

32 Per una ricostruzione del percorso giuridico dell’istituto del contratto collettivoaziendale dagli anni ’50 agli anni ’80 rimandiamo al saggio di R. Del Punta, “Il contrattocollettivo aziendale”, M. D’Antona (a cura di), Letture di diritto sindacale, Napoli,Jovene, 1990.

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di “micro-concertazione appartata” (Regini, 1991); una prassi di regolazionedel rapporto di lavoro che sfugge al controllo sindacale e talvolta è inimplicita polemica con esso, ma che si rivela essenziale nelle “strategie diriaggiustamento industriale” (Regini, Sabel, 1989).

L’accordo del 1993 si colloca nel quadro di un tentativo ambizioso ditrovare un equilibrio dinamico tra una politica macroeconomica dei redditifinalizzata al contenimento della dinamica salariale attraverso lo strumentodell’inflazione programmata e gli istituti della contrattazione collettiva, ed inparticolare quella decentrata; la quale assume un ruolo complementare diintegrazione alle materie trattate esplicitamente dal contratto nazionale, e direcupero del gap salariale non più erogabile attraverso gli automatismi dellaindicizzazione dei salari nominali rispetto alle variazioni dei prezzi alconsumo (scala mobile).

I due livelli di contrattazione (centralizzata e aziendale) non si trovanoin una rapporto di competizione, quanto piuttosto di complementarietà: ilprincipio di “alternatività” tra i livelli negoziali viene finalizzato a stabiliredei “raccordi oggettivi” tra le reciproche aree di competenza. Da un lato ilrapporto è gerarchico, con il contratto nazionale che definisce le materie dicompetenza della contrattazione decentrata, e dall’altro è funzionale33 inquanto viene riconosciuto a ciascun livello un’autonomia dispecializzazione, che assegna alla contrattazione decentrata competenzeriguardo la crescita retributiva e la definizione dei premi di produzione(Bellardi, 1997, 1999).

Ciononostante, sarebbe limitativo leggere il profilo della contrattazionedecentrata secondo una prospettiva “salarialista”, ingenerosa verso leintrinseche potenzialità dell’accordo interconfederale. Questa costituisce,senza dubbio, una componente centrale. Il sindacato ha la responsabilità dicontrattare tutta la materia salariale», ma il suo ruolo non si esaurisce incompiti di regolazione economica di mera redistribuzione economica.

33 Se seguiamo il contributo di Bellardi per funzionale si intende «la competenza inmateria di “erogazioni (…) strettamente correlate ai risultati conseguiti nellarealizzazione di programmi, concordati tra le parti, aventi come obiettivo incrementi diproduttività, di qualità ed altri elementi di competitività (…) nonché ai risultati legatiall’andamento economico dell’impresa”, con l’unico vincolo – di tipo quantitativo – chenon vengano impiegati i margini di produttività già realizzati dal livello nazionale per gliincrementi retributivi. La definizione della disciplina della contrattazione decentrata acontenuto economico spetta comunque al contratto di categoria, al quale però, proprio inapplicazione del criterio della specializzazione, dovrebbe risultare inibita la possibilità didettare in materia una regolamentazione che in sostanza, se non formalmente, esautori olimiti fortemente l’autonomia della contrattazione di secondo livello in materia»(Bellardi, 1999, 130-131).

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La riforma delle relazioni industriali che esce dal Protocollo rispondeanche ad una esigenza, emersa con la prassi “nascosta” della micro-concertazione verso la fine degli anni ’80 ed accelerata dalla crisi delmodello consiliare34 fondato sull’omogeneità dei rappresentati (il delegatodel “gruppo omogeneo”), di ridefinizione della rappresentanza sindacale -che si conclude con il riconoscimento formale della rappresentanzasindacale unitaria (RSU).

Può sembrare azzardato, ma è su questo secondo versante che èpossibile rintracciare il filo rosso che lega la prospettiva del “sindacatoconsiliare”, uscito dall’autunno caldo del 1969, con le rappresentanzesindacali unitarie: queste configurano il sindacato come agente contrattualeimpegnato nel conseguimento di strategie di controllo sull’organizzazionedella prestazione, non limitata alla sua componente salariale. Il sistemacontrattuale successivo al Protocollo non si limita quindi a regolare unconflitto redistributivo ma si spinge, almeno potenzialmente, sulla soglia delgoverno dell’impresa.

Accanto ad una proiezione del sindacato come regolatore di equitàsociale nella determinazione delle politiche redistributive viene riportata insuperficie la sua vocazione contrattuale in termini di attore di giustizia.Come era accaduto con i “consigli dei delegati” l’organizzazione sindacaledecide di proiettarsi sul terreno della contrattazione con l’ambizione diincidere sugli istituti salariali ma anche sulle condizioni di lavoro in cui sisvolge la prestazione lavorativa, le sue cadenze, i suoi ritmi, la suadimensione ergonomica e l’impatto sulla salute. La centralità dei Consigli, ela sua parabola storica, tuttavia è inseparabile dallo scenario economico eproduttivo in cui essi hanno avuto origine e dalla mobilitazione collettivache ne ha reso possibile lo sviluppo.

Le differenze con il sistema contrattuale e con i modelli diorganizzazione della produzione che emergono dalla crisi del fordismoproiettano l’organizzazione sindacale e la sua rappresentanza su unoscenario radicalmente mutato, ma rimane inalterata quella doppia vocazionecontrattuale che percorre la storia del sindacalismo, in particolare quelloitaliano, sin dalle sue origini; quella cioè di essere insieme regolatorenell’allocazione delle risorse ed attore nella rappresentanza inclusiva diinteressi eterogenei. Due elementi che accompagnano l’evoluzione dellacontrattazione collettiva da una configurazione di tipo

34 Per un approfondimento circa le ragioni di crisi del modello consiliare dirappresentanza sindacale italiano rimandiamo alla ricerca empirica di I. Regalia (1984),ed in una prospettiva comparata con il mondo industriale europeo e nordamericano alvolume curato da Streeck e Rogers nella metà degli anni ’90 (1995).

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redistributivo/normativo ad una invece incardinata su criteri di“partecipazione” (Negrelli, 2000). Quest’ultimo rimane un concetto caricodi forti ambiguità, la ricchezza dei significati a cui rimanda non è solo unfattore semantico, rimanda piuttosto a prospettive diverse di intendere lemodalità di cooperazione tra management e lavoratori. Tuttavia, l’indirizzopartecipativo, al di là delle sue diverse connotazioni, descrive il passaggioda un sistema negoziale fondato sullo scambio di grandezze certe (orari,ritmi, controprestazioni, incentivi) ad un sistema che invece comprende inmodo esteso la contrattazione di volontà, di intenzionalità non facilmentequantificabili.

È il processo parallelo a quanto avvenuto sul terreno delle relazioni traimprese all’interno di un sistema integrato o modulare di fornitura.

La rappresentanza sindacale unitaria nelle imprese si trova cosìimmersa in questa sorta di “ambivalenza virtuosa” tra l’essere il collettore diinteressi (sempre più articolati e frammentati) ed un produttore di “benicollettivi” (come ad esempio la salvaguardia della cooperazione necessaria aconseguire la competitività aziendale, o la continuità di immissione disapere tacito nella regolazione del processo produttivo e nelle attività diproblem solving). È dalle caratteristiche di questa “ambivalenza” chel’azione sindacale in azienda emerge come un insieme di attività di“contrattazione partecipativa” (Carrieri, 1996, 2001), in cui non solo sialternano conflitto e cooperazione, questo con modalità variabili è sempreavvenuto; il punto di svolta riguarda piuttosto la “posta in gioco” che generaesiti negoziali con un’impronta cooperativa piuttosto che conflittuale. Nelsistema fordista era rappresentata dal governo delle rigidità; ovvero daquanto i vincoli imposti dalle rivendicazioni sindacali riuscivano a limitarel’azione del management espressione di una struttura organizzativaaltrettanto rigida.

La nuova “costituzione” delle relazioni industriali pone al centro dellanegoziazione aziendale il nodo della competitività aziendale, che costituisceun obiettivo condiviso della rappresentanza dei lavoratori e del managementaziendale. Una sorta di “meta-vincolo” assunto dagli attori (management esindacato) quale limite invalicabile nella esplorazione delle soluzioninegoziali. Una competitività resa instabile dalla internazionalizzazione deimercati, dall’accellerazione delle sue necessità di autocorrezione emiglioramento, in un contesto di forte riduzione della ridondanza dellerisorse, che il fordismo invece utilizzava come polmone di assorbimentodelle istanze sindacali.

Questi elementi erano già venuti in superficie con la diffusione dellalean production e con essa la tendenza al decentramento della contrattazione

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collettiva; il profilo della fornitura integrata e quello dell’outsourcingmodulare non solo accentuano la centralità dei vincoli di competitività ma lofanno in un contesto che sbiadisce i confini organizzativi delle imprese.

La competitività non è governabile solo in termini di economiaaziendale, necessita invece di elementi che configurano una sorta di“economia reticolare”; ovvero di efficienza nella gestione degli scambi edelle transazioni che compongono la rete di fornitura, ma soprattutto nellaproduzione di quel bene collettivo che riguarda l’integrazione delle attivitàche concorrono allo sviluppo e produzione di un prodotto o di un servizio.La competitività è dunque strettamente connesso alla qualità della relazione.

In questo scenario, l’assetto contrattuale formalizzato dal Protocollo del23 luglio 1993 incontra alcune difficoltà, che emergono a partire da alcuniinterrogativi che strutturano un sistema di relazioni industriali: qualicontenuti assume la contrattazione a partire da uno dei fattori fondanti la“partecipazione”, ovvero il salario variabile, quali risorse e modalitàvengono utilizzate in fase negoziale (azione collettiva e azione individuale),ed infine la rappresentanza relativa a “chi rappresenta chi”. Interrogativi checercheremo di approfondire nei prossimi paragrafi.

a) Parametri di contrattazione del salario variabile.Con il protocollo 1993 una quota degli incrementi salariali viene

agganciata alle variazioni della performance aziendale, attraverso l’utilizzodi una gamma variegata di indicatori attraverso i quali viene misurato ecalcolato il “premio di risultato”. Questi possono essere raccolti in quattrocategorie: parametri tecnico-produttivi, o gestionali, finalizzati ad unavalorizzazione del fattore lavoro nel conseguimento di obiettivi produttiviconcordati nell’accordo integrativo (qualità, quantità, riduzione degli sprechie degli scarti); parametri economico-aziendali, o finanziari, legati allaredditività dell’impresa (margine operativo lordo, profitto netto, redditooperativo lordo, ecc.); parametri di presenza e parametri di sicurezza, questiultimi connessi con l’implementazione della normativa sulla sicurezza sullavoro. Se escludiamo gli ultimi due, i parametri finanziari e quelli tecnicoproduttivi costituiscono il volume più rappresentativo ed esteso dellematerie di contrattazione aziendale.

L’obiettivo comune a questi parametri è quello di “incentivare lo sforzolavorativo”, con una redistribuzione degli incrementi di produttività, oattraverso la suddivisione del “rischio di impresa” tra l’impresa ed ilavoratori, o ancora attraverso meccanismi di partecipazione agli utilidell’azienda (Auleta, Fabbri, Melotti, Pini, 1999). Questa tipologia puòessere ulteriormente semplificata, se si procede con una loro aggregazione

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sulla base della vicinanza o lontananza dalla prestazione: se i parametri sonocentralizzati il meccanismo del salario variabile avviene senza una rilevanteincidenza del singolo sulla regolazione della erogazione del premio, laddoveinvece i parametri sono centralizzati sul luogo della prestazione l’incidenzaaumenta, e con essa si sviluppano possibilità di intervento, in sedenegoziale, sull’organizzazione del lavoro. In quest’ultimo caso il salariovariabile viene agganciato ad opportunità di contrattazione dellaorganizzazione della prestazione, ed indirettamente sulla qualità del lavoro.

Un altro aspetto comune è che i parametri che definiscono i criteriredistributivi del premio di risultato sono calibrati sulla performance dellasingola azienda, come soggetto economico autonomo: la sua redditività, lasua produttività, la qualità di processo e di prodotto. Viene esclusa ladimensione inter-aziendale che, come abbiamo visto emergere nel sistema difornitura di un ciclo di prodotto, condiziona fortemente la qualità delleattività produttive, ed in ultima istanza l’andamento aziendale. Lareticolazione dei rapporti nella catena di fornitura, in particolare finale eprimo anello di fornitura, rende spesso indistinguibile il confine che separa ilvalore aggiunto immesso nel ciclo di prodotto dalle singole organizzazioni.In altri termini una parte consistente del valore aggiunto immesso da interigruppi di lavoratori non viene compreso dai parametri che definiscono ilpremio di risultato nelle sue diverse forme35.

A questo si aggiunge un ulteriore elemento distorsivo: imprese finali edel primo livello di fornitura pur partecipando ad un comune ciclo diprodotto possono fare riferimento ad inquadramenti contrattuali distinti (conimprese finali che implementano il CCNL di una categoria e l’impresa difornitura che fa riferimento ad un contratto differente). Accanto a questadisomogeneità contrattuale, è particolarmente diffuso un secondo fattore didistinzione e riguarda la disomogeneità dei sistemi premianti e di

35 Un approccio inter-aziendale spinge anche nella direzione di un aggiornamento dellemetodologie e degli schemi di analisi che si sono cimentati con il tema dellacontrattazione. Un riferimento particolare va allo schema di H.A. Clegg (1976), ancorarecentemente utilizzato per inquadrare il fenomeno della contrattazione aziendale (Cella,Treu, 1998) e per indagarne empiricamente la natura, l’estensione, la profondità, icontenuti, le prerogative ed il grado di controllo sui meccanismi di implementazionedegli accordi (Bordogna, 1997). Uno strumento che mantiene la sua efficacia non soloper inquadrare la contrattazione decentrata aziendale, ma che nei casi di filiera integrata odi outsourcing consentirebbe, a partire dalle sue variabili costitutive (estensione,coinvolgimento delle rappresentanze sindacali, grado di controllo, portata) di misurare ildiscostamento, alla stregua di un “ideal-tipo” weberiano, tra la contrattazioneeffettivamente svolta e le implicazioni problematiche che il mutamento dei confini diimpresa solleva sul terreno negoziale complessivo.

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incentivazione tra le imprese di fornitura. Tecnici e professionisti di dueimprese giuridicamente distinte possono lavorare quotidianamente ad unprogetto che prevede una interazione continua di condivisione non solo disaperi ed informazioni ma anche dello stesso spazio fisico, con retribuzionivariabili che fanno capo a premi di risultato misurati su parametri dellastessa categoria ma calcolati diversamente, o su categorie distinte(gestionali, finanziari), o ancora uno dei due gruppi di lavoratori può nonfare riferimento ad alcun accordo “collettivo” che regoli l’incentivazionedello sforzo lavorativo.

Nonostante la crescente interdipendenza tra le imprese della filiera difornitura renda indefiniti i confini organizzativi dell’azienda, la regolazionecollettiva del salario variabile continua a fare appello a parametririgidamente calcolata sulla prestazione della singola impresa. Con unaperdita di capacità di presa diretta sui mutamenti organizzativi e sullavaraiabilità dei contributi che provengono dall’attività lavorativa. Lacontrattazione collettiva del salario variabile, anche nelle sue versioni piùdinamiche ed ambiziose, si arresta sui confini giuridici dell’impresa.

Ma la contrattazione del salario variabile non è solo un fenomenocollettivo, è anche il risultato di negoziazioni individuali; e la lorodisposizione è altamente variabile. Può comprendere la prassi diffusa diun’integrazione salariale “fuori busta” soprattutto nel tessuto delle PMI, epuò riguardare operai specializzati o figure professionali altamentequalificate, con compiti di elaborazione cognitiva di saperi ed informazioni,all’interno di realtà industriali di dimensioni più consistenti. In questo senso,la negoziazione individuale del salario variabile è un fenomeno trasversalescarsamente correlato con condizione dimensionale dell’azienda. Nel casodelle imprese di fornitura, specie quelle collocate nei primi anelli dellacatena, riguarda proprio quei lavoratori della conoscenza che rientrano nellacategoria dei produttori di integrazione. Sono queste figure strategiche arappresentare le maggiori articolazioni di status e contratto; il loro salariovariabile per una parte viene regolato dagli accordi prodotti dallacontrattazione collettiva in azienda, e per un’altra parte sono l’esito dellacapacità del singolo lavoratore di utilizzare il proprio potere di mercato nelgioco negoziale con il management. Un fenomeno ampiamente conosciutoche ha riguardato tutta la storia della sindacalizzazione degli impiegati e deitecnici, e che ora si ripropone riportando all’attenzione la questione centraledei riconoscimenti di professionalità e le sue modalità di regolazioneeconomica.

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b) Produttori di integrazione e salario professionaleUna linea interpretativa che ha attraversato il dibattito sul salario

variabile, istituzionalizzato con il Protocollo del 1993, tendeva non solo ariconoscere nel potere negoziale del sindacato uno strumento dirafforzamento del potere d’acquisito delle retribuzioni, ma ancheun’opportunità per regolare collettivamente la frammentazione dei profiliprofessionali, individuando “regole certe” di corrispettivo economico esanando così la frattura prodotta negli anni precedenti dalla strategiadell’egualitarismo salariale (Bellardi, 1999); che può essere, senza eccessiveforzature, assunta tra gli elementi che hanno concorso allo sviluppo di quella“micro-concertazione appartata” che si svolgeva all’ombra dellacontrattazione collettiva.

Nel panorama degli studi empirici che in questi anni hanno svoltoun’operazione di monitoraggio sulla contrattazione aziendale (Bellardi,Bordogna, 1997), i temi riguardanti l’organizzazione del lavoro, ed inparticolare la ridefinizione dei parametri di valutazione dei profiliprofessionali presenti nell’organizzazione ricopre un peso residuale nelpanorama complessivo degli accordi integrativi. C’è un problema dirappresentanza sindacale, come vedremo successivamente, ma sulla scarsa“contrattazione del sapere” pesa l’obsolescenza delle declaratoriedell’inquadramento professionale e della job evaluation, che vale non soloper figure professionali altamente qualificate ma anche per tecnici ed operai;in particolare, emerge con tutta la sua complessità, il ritardo nelladefinizione di criteri di valutazione ed inquadramento del sapereprofessionale dato dal rapporto tra le competenze professionali possedutedal singolo, l’organizzazione del lavoro e l’oggetto della sua attivitàlavorativa. La contrattazione del sapere professionale, di cui il suoriconoscimento retributivo è una componente, non può dunque essere scissodai criteri di classificazione e sviluppo professionale36.

36 A questo proposito Butera (1997) mette in evidenza la necessita di riconfigurare talisistemi secondo la nozione di “ruolo”: il ruolo può essere atteso o agito. Nel primo casosi tratta di un ruolo che deriva dall’assegnazione della gestione di uno specifico segmentodel processo produttivo; mentre nel secondo caso il ruolo rappresenta la “fenomenologiadella prestazione individuale”, e riguarda la prestazione contestualizzatanell’organizzazione del lavoro insieme ai risultati conseguiti. Questa impostazione lanecessità di adeguare il sistema di classificazione alla natura dinamica del processoproduttivo in cui viene sviluppata la prestazione. Distanziandosi dal modello tayloristico,invece imperniato su una logica statica di stabilità, regolarità e prevedibilità dellamansione che coincideva con il compito da svolgere. Una posizione complementare aquesta (Cerruti, 1997) è quella che vede nei nuovi sistemi di classificazione degli aspettiche vanno altamente salvaguardati; l’unicità della classificazione delle capacità

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Da qui emerge che l’incompletezza contrattuale, derivante dallainadeguatezza delle categorie di riconoscimento delle professionalità, lasciaspazio, in assenza di una regolazione contrattata, alla gestione unilaterale delsapere organizzativo da parte del management aziendale, per la produzionecontinua di beni relazionali37 necessari al governo delle interdipendenze.

La regolazione di questi beni collettivi non si svolge tuttavia all’internodi un “vuoto normativo”; via via che la prestazione incorpora esigenze dispecificità difficilmente misurabili con parametri “oggettivi” di valutazionequantitativa, la produzione dei beni relazionali risulta svincolata dallacontrattazione collettiva.

Si riaffaccia, così, la questione riguardante non tanto la garanzia di unostato di “pace sociale in azienda”, ma più estesamente la concertazione delleregole di produzione di beni collettivi «senza pregiudicare il livello dicoesione e di cooperazione (nell’ottica dell’impresa), o di solidarietà(nell’ottica del sindacato), senza il quale il sistema sociale dell’aziendarischia di disgregarsi e perdere in efficienza – e il sindacato di venire meno»(Regalia, 1996, 260). In altro termini l’inaridimento delle relazioniindustriali a vantaggio di relazioni di impresa, fa venire meno i presuppostidella “contrattazione partecipativa”, ma produce anche effetti negativi nelmedio periodo per la coesione stessa delle imprese.

Sul versante sindacale la questione della negoziazione individuale hatrovato uno sviluppo lungo due direzioni: di assorbimento e dicontrattazione differenziata.

La prima strategia regolativa è finalizzata a riportare sul terreno dellacontrattazione collettiva ogni iniziativa individuale di confronto con ilmanagement riguardo la definizione del sistema premiante nel suo professionali e gli aspetti retributivi connessi, il mantenimento di sistemi diclassificazione delle competenze professionali possedute dal lavoratore e non dallecompetenze richieste dalle diverse attività, ed infine la riaffermazione del salarioprofessionale come forma di remunerazione delle capacità professionali.37 Una delle caratteristiche principali di questi beni relazionali consiste nella sua“perifericità”; in questo modo si capovolge l’impostazione che aveva caratterizzato ilmodello keynesiano-fordista, secondo il quale il mercato, come forma di regolazionesociale incardinata sul principio della competitività dispersa degli attori, fosse incapacedi garantire la produzione di quei beni collettivi, che invece venivano generati attraversopolitiche pubbliche negoziate a livello centrale (Regini, 1994). Ora questi vengonoriprodotti ad un livello decentrato, e soprattutto senza una rete di coordinamento cheleghi i singoli processi periferici. Molteplici saperi interdisciplinari che garantisconol’integrazione dei processi nella filiera e strutturano il patrimonio di conoscenze deidiversi profili di lavoratori della conoscenza trovano nell’impresa e nel suo tessuto direlazioni il terreno più appropriato di formazione, che è inseparabile da processi dilearning by doing, ma soprattutto di learning by interacting

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complesso, ovvero ogni contatto avente come posta in gioco ladeterminazione della relazione salario/prestazione. È evidente che questaprospettiva si muove su uno sfondo che vede l’azione collettiva contrappostaed alternativa a quella individuale.

Un secondo indirizzo, invece, ribalta questi presupposti individuandol’azione individuale come un’azione capace di essere complementare aquella collettiva. La scelta della negoziazione individuale da parte di alcunefasce professionali non è sempre una soluzione di ripiego in attesa di una piùadeguata capacità di intervento dell’attore sindacale. Il problema dellarappresentanza di questi “ceti organizzativi” esiste, ma la contrattazioneindividuale contiene anche una forte componente di intenzionalità, che siintreccia con la preservazione di uno status ed è anche alla base diun’autorappresentazione identitaria del singolo lavoratore (Regalia, 1988,Butera, 1997). Il problema, quindi, non riguarda l’asciugamento progressivodelle aree che trovano come modalità regolativa il “potere di mercato” deisingoli produttori di integrazione, per ritornare sul terreno specifico delcontesto produttivo di partenza, ma la sua regolazione, non piùunilateralmente manageriale.

Sul filo di questo ragionamento, la contrattazione collettiva diventa illuogo privilegiato di formazione delle regole attraverso le quali avviene ilgioco negoziale tra il singolo lavoratore ed il management. In altri termini,la contrattazione collettiva in azienda è la fonte normativa dellacontrattazione individuale.

Sul terreno del salario professionale e più estesamente dellacontrattazione del sapere i fenomeni di outsourcing e filiera avanzata nonarricchiscono di nuovi contenuti la questione delle relazioni industrialiallargate alle varie articolazioni professionali; piuttosto ne accentua lacondizione critica, via via che cresce l’importanza strategica di queilavoratori non coinvolti dalla contrattazione collettiva.

c) Coinvolgimento sindacale e terziarizzazione avanzata.Tutta la questione della contrattazione del sapere incrocia uno dei temi

più classici delle relazioni industriali: la rappresentanza sindacale e le suepossibilità di incidere sui processi decisionali aziendali, o in questo casointer-aziendali.

Il tema del coinvolgimento delle rappresentanze sindacali fa riferimentoa quegli strumenti di controllo che prevedono la trasmissione da partedell’azienda delle informazioni sull’andamento e sulle prospettive aziendalie possono dare vita a commissioni bilaterali, talvolta paritetiche, che

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vengono ad assumere la fisionomia di tavolo negoziale permanente diverifica e controllo nelle fasi di implementazione degli accordi38.

La struttura della rappresentanza sindacale unitaria che emerge dalProtocollo del ’93 interviene su alcuni nodi problematici che avevanoaccompagnato il sindacato consiliare – ricordiamo tutto il complessodibattito sul canale doppio o unico della rappresentanza; non ha soloproceduralizzato i meccanismi di selezione della rappresentanza, essarestringe anche quei margini di “informalità” che avevano caratterizzato ilmodello precedente (Regalia, 1995).

Senza entrare nei dettaglio del ricco dibattito sulle forme diorganizzazione sindacale, il tema della rappresentanza emergeprepotentemente nei sistemi di fornitura, soprattutto quelli integrati o legatia forme di outsourcing modulare. Viene in primo piano la questione dellarappresentanza contrattuale, ovvero gli interessi vengono “coperti” daiprocessi negoziali tra le parti (Carrieri, 1995). Se la rappresentanza socialetrova un elemento di regolazione attraverso la verifica elettorale conprocedure riconducibili a quelle della democrazia rappresentativa, che leconsente di trovare un’ampia legittimazione, la sua rappresentanzacontrattuale è l’esito della capacità dell’attore sindacale di negoziare unnumero sempre più alto di contenuti, espressione di interessi eterogenei. Lasua capacità inclusiva detta la misura della rappresentanza contrattuale delsindacato. È questa infatti l’arena dalla quale emergono i maggioriinterrogativi quando il tema della rappresentanza incrocia i processi diterziarizzazione avanzata.

Partendo proprio dalla trasformazione dei sistemi di fornitura emergonodue fattori di difficoltà della rappresentanza riscontrabili sul terrenodell’estensione inter-aziendale e dell’estensione intra-aziendale dellarappresentanza. Da un lato il ciclo di prodotto, che vede imprese coinvolte inuna struttura reticolare dove la collaborazione richiede crescentiinvestimenti in risorse di integrazione e di interfacciamento delle attivitàfondate sulla centralità della singola impresa, vede la rappresentanzasindacale limitata nella sua attività di “contrattazione partecipativa” (tra cui 38 Occorre tenere presente che i “diritti di informazione”, vengono disciplinati dalcontratto collettivo nazionale di lavoro e prevedono procedure di implementazione nonomogenee che variano a seconda dei tipi di contratto; prevedendo talvolta procedure diimplementazione di verifiche tecniche, informative, sui risultati o di valutazionepreventiva. In altri termini il diritto di informazione è ugualmente riconosciuto, ciò chemuta sono le procedure di implementazione che sono l’esito del potere negoziale delleparti in fase di stipulazione del contratto, e successivamente degli accordi aziendali. Peruna ricostruzione di questa disciplina contrattuale e dei suoi risvolti sulle relazioniindustriali: Negrelli S., Treu T (1985).

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il salario variabile) ai confini giuridici dell’azienda, non a quelliorganizzativi. Dall’altro lato, all’interno della singola impresa permane ladifficoltà a spingere la rappresentanza oltre i confini consolidati edestenderla a quei “ceti di fabbrica” qualificati, che svolgono compiti diintegrazione organizzativa e presentano una maggiore propensione allanegoziazione individuale.

La prassi degli attori è sempre in anticipo rispetto agli interventi diregolazione o al lavoro di osservazione ed analisi; non sono mancatitentativi di superamento di questi deficit di rappresentanza, di particolareinteresse il caso del “comitato di sito” espresso dall’accordo del 1999 tra lerappresentanze sindacali unitarie e l’Iveco di Brescia. Qui l’Iveco decise diprocedere con la cessione di un ramo di impresa, il reparto presse, adun’impresa esterna (Magnetto); un caso che può rientrare nella categoriadell’outsourcing modulare del processo produttivo.

Questo accordo, unico nel panorama delle relazioni industriali in Italia,prevede in primo luogo il mantenimento dell’unicità contrattuale delleattività cedute, ovvero lo stesso CCNL. È da sottolineare che l’unicitàcontrattuale è uno dei tratti fondanti le relazioni tra sindacato e managementnell’area industriale di Melfi; un tratto comune di una certa rilevanzanonostante la diversità profonda dei siti produttivi, sito “storico” comequello di Brescia ed a “prato verde” come nel caso di Melfi39.

Viene garantito il mantenimento degli accordi integrativi esistenti,estesi alle imprese che fanno parte del sito, ed inoltre nei casi di crisioccupazionali o in casi di singoli problemi di salute le imprese del sito siimpegnano a definire delle strategie cooperative di assorbimento degliesuberi e di ricollocazione dei singoli lavoratori. Questi elementi vengonoulteriormente rafforzati dal riconoscimento di una rappresentanza sindacaledi sito che ha la facoltà di negoziare le questioni comuni alla inprese facentiparte del sistema di fornitura di Iveco e di coordinare le strategie sindacali(traiettorie occupazionali, carichi di lavoro, gestione degli orari, premi dirisultato), e per questo è nelle condizioni di occupare uno spazio dinegoziazione nelle politiche industriali della filiera di prodotto.

L’innovazione organizzativa del “comitato di sito” è fuori discussione,sia per quanto riguarda i contenuti, sia per quanto concerne il percorso chene ha consentito la formazione, tutto interno alla procedimentalizzazionedelle regole di contrattazione aperte dal Protocollo del 1993; infatti più cheintrodurre un nuovo livello negoziale in competizione con quelli esistenti(settore, territoriale, aziendale), la rappresentanza sindacale di sito può 39 Per un confronto sulle applicazioni della lean production a Melfi e a Brescia sirimanda rispettivamente ai saggi di Fortunato (2000) e Marchetti (2000).

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essere considerata come una forma estesa di rappresentanza aziendale, che sistruttura sulla crescente interdipendenza che lega le imprese di fornitura alcliente finale. Riunifica ciò che la frammentazione proprietaria avevaseparato, ricongiungendo anche altre imprese appartenenti al sito produttivo.È interessante notare che a fronte della strategia dualistica di Iveco(esternalizzazione proprietaria/internalizzazione operativa) la strategiasindacale sia tutta focalizzata sul terreno dell’organizzazione del processoproduttivo, le sue caratteristiche e le sue interdipendenze, e con l’obiettivodi ridurre i margini di “extraterritorialità della rappresentanza”40.

Rimangono tuttavia aperti alcuni interrogativi riguardanti le proceduredi legittimazione del comitato di sito, e quindi la sua stabilizzazione qualecorpo rappresentativo di una filiera inter-aziendale. Questo passaggio non èsecondario. Infatti, il comitato di sito resta una “costruzione” in via didefinizione visto che i suoi membri sono designati dal sindacato e nondirettamente eletti dai lavoratori interessati; si ripropone quindi il problemadella legittimazione sotto il profilo dei meccanismi di assegnazione delladelega.

Inoltre, l’insediamento del comitato è stato l’esito di un “effetto traino”attivato dalla forte sindacalizzazione interna agli stabilimenti Iveco che haincluso le aziende minori, oltre all’impresa che ha acquistato nello specificol’attività esternalizzato da Iveco. È stata il prodotto di un gioco negoziale incui i settori più forti del sindacato hanno trainato quelli con minore poterecontrattuale, ma pur sempre l’esito di rapporti di forza, per definizionevariabili.

I fattori che intervengono sullo stato delle relazioni industriali sonodiversi: la struttura del mercato del lavoro, i livelli di sindacalizzazione, latradizione negoziale. Non da ultimo la penetrazione della rappresentanzacontrattuale anche in quei settori della forza lavoro più professionalizzati e

40 Per “extraterritorialità della rappresentanza” si intende un contesto lavorativo nel qualelavoratori dipendenti da imprese diverse a seguito di cessioni di ramo di impresa sitrovino a condividere lo stesso spazio fisico, o cooperare stabilmente sugli stessiprocessi. In questo caso il rappresentante sindacale di una delle imprese non è legittimatoad intervenire per questioni riguardanti i lavoratori delle altre imprese, pur condividendolo stesso contesto di lavoro. A questo proposito, riferendosi al caso di outsourcing tra Fiate Magneti Marelli, Garetti, Rieser e Sartiano (2000) fanno l’esempio di un caso diinfortunio incorso ad un addetto della Magneti Marelli che ha sollevato l’iniziativa deidelegati sindacali di Fiat. L’iniziativa si è sviluppata sino al blocco della produzione conperdite sul volume di vetture programmato. Fiat intima, prima alle RSU, poi a MagnetiMarelli l’indennizzo delle perdite aziendali. Questo caso offre un esempio di relazioniindustriali in un contesto di confini di impresa appannati dalla “co-localizzazione”derivanti da fenomeni di outsourcing.

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meno esecutivi. Il comitato di sito resta un’esperienza inedita soprattutto sulterreno della estensione orizzontale della rappresentanza, rimane ancoradebole la sperimentazione di soluzioni organizzative e negoziali riguardantil’avvicinamento a quella gamma variegata di lavoratori della conoscenzache operano tra gli interstizi delle attività organizzative favorendone ilcoordinamento. Nelle esperienze di terziarizzazione avanzata queste duetraiettorie della rappresentanza contrattuale si compenetrano, e costituisconodue condizioni inseparabili di un sistema di relazioni in presa diretta con ilmutamento organizzativi dei confini delle imprese. Esse assorbono lequestioni cruciali della “partecipazione”; nella determinazione del salariovariabile espresso nella formula dei premi di risultato, ma anche in relazionealle modalità di contrattazione del salario professionale. Quellaprofessionalità che nell’ottica del sindacato è una questione unificante, ecostituisce il “collo di bottiglia” per ogni strategia collettiva dicontrattazione del sapere, mentre nella prospettiva manageriale costituisce ilterreno su cui negoziare la produzione di risorse che riescano ad arginarel’incompletezza strutturale dei contratti commerciali. Come si vede, perentrambi gli attori – manageriale e sindacale – la risorsa “sapere” (comearticolazione di esperienza, competenza, professionalità) è di crucialeimportanza. La sua rappresentanza, a partire dai sistemi premianti e diincentivazione, è ciò che può determinare l’esito di un gioco negoziale.

e. Il contratto di prodotto una strategia di riunificazione contrattuale.

a) Problemi e prospettive.Sin dalle prime esperienze di “decentramento produttivo” il dibattito

sindacale è stato attraversato, con alterna intensità, dalla necessità diindividuare forme di contrattazione in grado di comprendere la “rete” diimprese coinvolte nel ciclo di produzione di uno specifico prodotto. Inquella fase la maggiore difficoltà non risiedeva tanto nella ricerca distrumenti adeguati ad estendere “verticalmente” la rappresentanza, quantoinvece a promuoverne l’estensione orizzontale, cioè unire intorno ad unostesso “luogo” negoziale imprese giuridicamente distinte.

Senza mai trovare una esplicita formalizzazione, le ipotesi di “contrattodi prodotto” emerse sin dagli anni ’70, oggi riscoprono nuove ragioni diriflessione. Questa ipotesi non costituisce solo la proposta più avanzata didare una veste contrattuale al mutamento organizzativo intervenuto nellafiliera di prodotti complessi, essa offre anche l’occasione per misurarsi con

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le problematiche che intervengono nella regolazione delle relazioni di lavoroin un contesto di terziarizzazione avanzata.

Sul versante delle relazioni industriali la proposta del “contratto diprodotto” trova, senza dubbio, elementi di collegamento con l’esperienzadella rappresentanza di sito. La contiguità fisica delle imprese della filierasia nelle versioni della ingenerizzazione congiunta sia nel casodell’outsourcing modulare favoriscono la costruzione di relazioni industrialiin grado di ricompattare sul terreno della rappresentanza ciò che la “dis-integrazione” del ciclo produttivo ha frammentato. Come è stato detto inprecedenza, la “contrattazione partecipativa” necessita di misurarsi in unaprospettiva inter-aziendale; a partire proprio dalla specificità del contratto difornitura.

Particolarmente in riferimento al contratto commerciale di fornitura inoutsourcing (processo/prodotto) si è sviluppato un filone dellagiurisprudenza lavorista che individua nel contratto commerciale di cessionedi ramo di impresa il riferimento “datoriale” nella stipulazione dei contrattidi impiego; in questo caso il datore di lavoro non è la singola impresa ma ilcontratto commerciale che lega l’impresa outsourcee a quella outsourcer(Corazza, 1999). Questa soluzione consente di lasciare invariato ilriferimento allo stato giuridico del concetto di impresa e nello stesso tempodi ancorare lo stato giuridico del lavoratore all’organizzazione produttiva incaso di cambiamento del titolare di azienda41. Ricercare nel contrattocommerciale tra le imprese l’origine della regolazione normativa deirapporti di impiego, può consentire un primo passa verso l’allineamentodell’integrazione organizzativa con quella contrattuale, ed aprire unospiraglio per un intervento estensivo della rappresentanza sindacale inter-organizzativa.

Questa soluzione costituisce senza dubbio un passo in avanti nelsupporto normativo a soluzioni negoziali improntate al governo delleesternalità negative, soprattutto per le organizzazioni sindacali, che

41 Scrive Corazza (1999): «l’individuazione dell’organizzazione alla luce del contrattocommerciale che lega le due imprese consente, pertanto, una lettura “leggera”dell’impresa, che ne valorizzi i profili di dematerializzazione, permettendo, tuttavia, dileggere i suoi requisiti (che restano quelli indicati all’art. 2082 c.c.) in base ad un datogiuridico dotato di un minimo di certezza» (400). Per quanto riguarda invece lecondizioni giuridiche del lavoratore se l’organizzazione viene caratterizzata dal contrattocommerciale nei fenomeni di integrazione contrattuale «consente di operare un controllosulle operazioni di esternalizzazione poste in essere dal datore di lavoro, con laconseguenza di ricondurre tali modalità organizzative dell’impresa alla fisiologia deirapporti economici e di impedire la “torsione” delle tecniche normative poste a tutela dellavoro subordinato» (404).

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scaturisce dall’outsourcing modulare. Ma offre anche spunti di riflessioneper la sperimentazione di una contrattazione estesa a quelle impreseappartenenti al primo livello di fornitura ma non coinvolte nella cessione dirami di impresa da parte dell’azienda finale.

Con il “contratto di prodotto”, l’attore sindacale quindi si estende oltre iconfini della singola imprese e definisce una rappresentanza sindacale di sitocon la possibilità di individuare una “controparte” non più ristretta almanagement aziendale ma alle strutture manageriali delle diverse aziendetenute insieme dai contratti commerciali di fornitura. Con questo passaggiosi determina anche un effetto aggregativo sotto il profilo dellarappresentanza degli interessi datoriali.

Sono diversi gli elementi che spingono l’attore sindacale verso questotipo di soluzione inclusiva dell’azione, ed altrettante le difficoltà chel’accompagnano; ma soprattutto questa ipotesi di lavoro dà per acquisite lesue premesse, ovvero l’estensione orizzontale della rappresentanza e quellaverticale. È proprio quest’ultima a rappresentare i maggiori problemi edifficoltà; non solo per ragioni interne al sindacato stesso, ma anche per leresistenze da parte manageriale. Resistenze che si coagulano intorno allatendenza a riconoscere nell’attore sindacale il ruolo di co-regolatore delbene collettivo-competitività, ma confinato nella giurisdizione dellegrandezze misurabili (i parametri del salario variabile), lasciando così fuoril’azione collettiva dalla contrattazione del sapere esperto, che viene invecesottoposto a relazioni negoziali lavoratore-management.

Sul fronte opposto, è necessario un approfondimento del contratto diprodotto analizzato dal punto di vista degli attori datoriali.

Nel corso di tutto questo lavoro l’analisi è stata focalizzata sul rapportoprivilegiato tra l’impresa madre e le imprese appartenenti al primo livello difornitura; un rapporto che è senza dubbio caratterizzato da una maggiore“intensità” nello scambio di informazioni per il coordinamento dei processiproduttivi. Ma sono state escluse quelle imprese che invece si trovano neilivelli intermedi o più periferici della catena di fornitura. In termini piùsociologici, sono state prese in considerazione solo le imprese la cuistrategia è collocabile tra quelle che perseguono una “via alta allaflessibilità” (Regini, 2000; Trigilia, 1996), dove il problema dellacompetitività è inseparabile da un’alta qualificazione e da un elevato gradodi cooperazione. Mentre è stato riservato poco spazio alle imprese dislocatenella categoria della “via bassa alla flessibilità” dove la competitività èperseguita attraverso un impoverimento della prestazione e del suo costoorario. Certamente, questi due idealtipi vanno intesi in modo elasticorispetto alla complessità del fenomeno, ma ci possono comunque supportare

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nella ricostruzione dei limiti che l’ipotesi del “contratto di prodotto” incrociaquando si passa dalla sua enunciazione alle potenzialità concrete direalizzazione.

L’«impresa qualificata di qualità», soprattutto in un contesto dioutsourcing modulare, e l’impresa labour-intensive che opera secondo unsistema just in time ma senza investimenti nella professionalità delle risorseumane, sono gli estremi di una casistica di configurazioni aziendali e distrategie di competitività; questa complessità interna al sistema della filieranon comporta solo uno scrupolo descrittivo, è cruciale per qualsiasi ipotesidi contrattazione estesa, di cui il “contratto di prodotto” è una possibilesoluzione. Con la Fig. II si fornisce uno schema semplice delleproblematiche che emergono dall’intersezione di diversi cicli di prodotto.

In essa sono rappresentati tre ipotetici cicli di prodotto nonnecessariamente collegati fra loro. In ciascuno di essi la catena di fornituraprevede un’impresa finale, un’impresa di fonitura collocata nel primo anelloe due livelli successivi di subfornitura. Uno schema semplice che vieneproblematizzato attraverso due categorie: la contiguità fisica del rapporto

Imprese di Primo livello di

subfornitura

A Impresa co-design

Imprese di secondo livello di

subfornitura

Impresa outsourcer

Ciclo di prodotto A

Ciclo di prodotto B

Ciclo di prodotto C

Fig. II - Cicli di prodotto e contrattazione collettiva

Impresa outsourcee

Fonte: nostra elaborazione

B Impresa co-

design

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fornitore/cliente, ed il grado di dipendenza del fornitore dall’impresacommittente.

L’azienda di subfornitura dislocata negli anelli finali della catena, hacaratteristiche organizzative che non prevedono necessariamente lacontiguità fisica della co-location “sulla linea” o in prossimità di essa, purpresentando un alto grado di dipendenza dall’impresa committentedipendenza da un cliente. In questo caso la dipendenza del fornitore tende adessere unilaterale, e fortemente esposta alla variabilità delle sceltedell’impresa committente, la quale utilizza questa asimmetria comestrumento di riduzione dei costi e selezione del proprio parco fornitori. Alcontrario l’impresa “co-design” o outsourcee, collocate o in prossimità o“sulla linea” del cliente finale tendono verso un sistema bilaterale didipendenza.

L’impresa fornitrice partecipa a differenti “catene di fornitura”, comedimostra il caso dell’impresa di “co-design – A” collocata su due filiere traloro non interagenti. Qui la pluricommittenza per le imprese del primoanello di fornitura è un un elemento di competitività assai rilevante; infattil’impresa finale tende a costruire rapporti di collaborazione con impreseinseriti in più circuiti produttivi, e quindi maggiormente soggetta adesternalità positive derivanti da economie di apprendimento. Questodiscorso può essere parzialmente esteso a quelle imprese che si trovano afornire prodotti, semilavorati, servizi alle imprese del primo anello(codesign e outsourcee) ma non sono collocate alla “periferia” della filiera,ed intrattengono a loro volta molteplici rapporti commerciali con altre filieredi prodotto.

Ancora differente è il caso delle imprese legate da contratti dioutsourcing; qui la dipendenza è bilaterale come nel caso dell’impresa co-design ma la contiguità fisica del fornitore si spinge “all’interno” deiprocessi produttivi dell’impresa finale.

Da questa stilizzazione dei “tipi” di rapporti di di fornitura, nonostantela sua semplificazione, è possibile tracciare alcune considerazioni sulleproblematiche legate ad un’ipotesi di relazioni industriali estese alla filiera.Ed emerge che la contrattazione si rivela più praticabile nelle modalità difornitura che si trovano agli estremi di questi casistica; ovvero nell’impresaperiferica e nell’impresa invece che opera “sulla linea” del cliente finale. Ladipendenza unilaterale della prima e la contiguità fisica della seconda, e perentrambi la sostanziale esclusività del contratto di fornitura, sono condizioniche rendono possibile l’impostazione di relazioni industriali estese. Adesempio la Mac impresa in outsourcing con l’Iveco opera su altri sitiproduttivi e stringe rapporti di fornitura con altre imprese finali, ma

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all’interno di quel sito la preminenza va al rapporto di fornitura con Iveco, equesto disegna uno scenario più praticabile di rappresentanza econtrattazione sindacale allargata.

I nodi più problematici emergono invece quando la contrattazioneinveste le imprese in “co-design”; qui il dato più rilevante è che la presenzain molteplici catene di fornitura all’interno dello stesso sito produttivo passadall’essere un fattore di competitività nelle relazioni inter-aziendali adiventare un fattore frenante nelle relazioni industriali. Un’azienda conqueste caratteristiche vedrebbe moltiplicare i costi di contrattazione,derivanti dal dover definire relazioni industriali per ogni filiera di prodotto acui prende parte all’interno di uno stesso sito; sarebbe cioè parte di diversimomenti contrattuali quanti sono le catene di fornitura in cui offre prodotti oservizi.

Già nella forma semplificata della Fig. II emergono degli ostacoli dinon facile superamento che si moltiplicano in un confronto più puntuale conl’ecologia organizzativa dei sistemi complessi di fornitura; se pensiamo, adesempio, che un sistema di fornitura come quello dello stabilimento torinesedi Comau, nella produzione di sistemi di automazione industriale, ha unacatena di fornitori che nel 1998 raggiungeva, secondo fonte aziendale, le488 unità, la complessità del tessuto industriale rischia di paralizzare ogniipotesi contrattazione decentrata di “seconda generazione”; con le imprese acommittenza plurale che restano uno degli ostacoli principali alla estensioneorizzontale della rappresentanza e della contrattazione.

Le difficoltà così delineate alla praticabilità del “contratto di prodotto”presentano un’altra intonazione se alla filiera di prodotto si sostituisce ilterritorio; in questo caso non sono più le interdipendenze tra le imprese acostituire il fattore di riferimento, ma l’area o il distretto industriale. Questatraiettoria viene dal Protocollo del ’93 e da accordi successivi (1996, 1998)che ridisegnano le modalità di programmazione negoziata a livelloterritoriale (contratti d’area, patti territoriali). Assegnare quindi allacontrattazione territoriale il ruolo di supplire alle difficoltà di quellaaziendale sostituendosi ad essa implica una revisione del ruolo dell’attoresindacale come agente di contrattazione delle condizioni di lavoro. Ilprimato della regolazione economica territoriale su quello inter-aziendalelascerebbe uno spazio residuale alla negoziazione delle condizioni in cui sisvolge la prestazione lavorativa.

Non c’è solo un mutamento di livello negoziale, questa diversatraiettoria verrebbe ad incidere anche, e soprattutto, sulla stessa qualità dellarappresentanza degli interessi trasformando anche i presupposti dilegittimazione di questa rappresentanza.

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Non è questa la sede per addentrarci in considerazione di valore edopportunità di questa soluzione, tuttavia il contratto di prodotto è un’ipotesiche si espone, in virtù dei suoi intrinsechi limiti, a critiche di varia natura,ma rappresenta un tentativo di salvaguardare l’impianto della contrattazionedecentrata emersa dal Protocollo del 1993, come strumento di controlloorganizzativo della prestazione, in “presa diretta” sui mutamentiorganizzativi delle imprese senza alterare la natura dell’organizzazionesindacale come agente contrattuale.

Tutta l’argomentazione di questo saggio verte, invece, sulla inter-aziendalità dei processi di trasformazione del sistema di fornitura che puòcoincidere con una specifica configurazione territoriale ma non si annulla inessa.

Se non si abbandona la prospettiva della filiera di prodotto, lacontrattazione estesa può prendere due direzioni.

Una versione limitata viene circoscritta a strategie di contrattazionesindacale con l’impresa “madre” quando decide di esternalizzare propriefunzioni aziendali, allo scopo di garantire l’unicità di trattamentocontrattuale; in questo caso l’obiettivo sembra essere quello di impedireforme di dumping contrattuale con imprese che diversificano i loro CCNLpur facendo parte di uno specifico settore, oltre che di ciclo di prodotto. Quil’obiettivo concerne la definizione di un luogo comune di contrattazione(unico tavolo negoziale) per la definizione di regole condivise; il raggio diestensione della contrattazione non si spinge oltre i rapporti di outsourcing equindi non comprende le imprese collocate ai livelli intermedi e perifericidella filiera di prodotto.

Una seconda soluzione, estesa, fa ruotare la contrattazione intorno allaimpresa finale allo scopo di intercettare il maggior numero di imprese checoncorrono alla produzione di un prodotto. In questo caso un eventuale“contratto di prodotto inter-aziendale” dovrebbe comunque sciogliere i nodirelativi ai luoghi ed ai contenuti di questa produzione normativa decentrata.Rimarrebbe in sospeso quell’equilibrio tra contrattazione decentrata enazionale di categoria che costituisce una delle innovazioni più rilevanti delProtocollo del 1993; in ogni contratto collettivo di categoria sono statepredisposte delle voci che disciplinano la contrattazione decentrata, ma nonquella inter-aziendale di prodotto, che quindi richiederebbe interventi dimodifica per il ripristino tra dell’equilibrio tra il livello centrale e quelloperiferico. Alla versione estesa può essere ricondotto il caso del “comitato disito” bresciano; infatti superato il problema non irrilevante dellarappresentanza, un eventuale accordo integrativo di sito non può eludere la

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ricerca di questo equilibrio, originariamente calibrato sulla contrattazioneaziendale circoscritta alla singola impresa.

Ma al di là di elementi di natura giurisprudenziale, non secondari,permangono, soprattutto nella versione estesa vincoli di fattibilità. Leimprese pluricommittenti, infatti, sarebbero coinvolte in un numero di sedicontrattuali pari a quello delle catene di fornitura di appartenenza, con unincremento esponenziale dei costi di contrattazione per l’impresa,rafforzando le resistenze interne ed esterne all’impresa, a cui si aggiungonocosti di coordinamento per le stesse rappresentanze sindacali che sitroverebbero a governare una complessità rivendicativa eccessivamenteonerosa.

f. Conclusione. La contrattazione nella terziarizzazione avanzata:una sfida strategica del sindacato.

La contrattazione è un processo regolativo che ha come esito laproduzione di accordi finalizzati a definire il coordinamento dei rapporti tragli attori, l’allocazione delle risorse e la strutturazione dei conflitti; in qustocontesto d’azione gli attori si fronteggiano in un gioco negoziale dovel’azione di ciascuno di essi è proporzione della capacità di controllare imargini di incertezza della controparte e di condizionarne i punti piùvulnerabili. E questo vale ancor di più per le relazioni industriali dove unsingolo accordo è un’azione di compromesso che si misura costantementecon il “potere sociale” degli attori. Per questo i due tipi di rappresentanzasindacale hanno trovato uno spazio cruciale nel ragionamento complessivodi questo lavoro. Sono due dimensioni dell’azione sindacale che possonoessere disgiunti in un contesto industriale generico, e tra essi non esiste unarelazioni di causalità, o almeno di stretta dipendenza. Nel contesto di unafiliera di prodotto attraversata da un sistema integrato e modulare diorganizzazione dei rapporti di fornitura emerge, se non un rapporto didipendenza, certamente la centralità di un gruppo minoritario di lavoratoriche si trova a svolgere compiti di governo dei gangli vitali dellacooperazione tra le imprese, con effetti che vanno ben oltre le singoleoperazioni ed attività ed arginano i rischi provenienti dall’incompletezza deicontratti di fornitura.

Dal punto di vista delle relazioni industriali la loro importanza cresce indue direzioni; da un lato sotto il profilo dell’organizzazione del lavoro, maanche quanto più le loro modalità di contrattazione si allontanano dal ricorsoall’azione collettiva, e quindi ai problemi di rappresentanza che poneall’attore sindacale.

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La sindacalizzazione dei lavoratori non manuali (tecnici, supervisori,ricercatori, progettisti) costituisce da sempre un nodo problematico, non soloin termini di democrazia sindacale ma anche di strategia contrattuale; resistedove sopravvivono nicchie di “subcultura” sindacale, dove esiste unatradizione di identità plurale nella prassi negoziale e nel gruppo dirigente delsindacato (Giaccone, 1999), ma non ha il peso di un obiettivo strategico.

Proiettato in un contesto di filiera integrata e modulare, il ritardonell’incorporazione di questi lavoratori nei processi di formazione dellavolontà collettiva del sindacato – un deficit di “multiculturalismoprofessionale” - non ha conseguenze sulla “partecipazione”, in quantoassetto normativo, ma sulla sua qualità ed articolazione. In questo senso il“testo” del Protocollo è un progetto incompiuto più che inadeguato.

In primo luogo la loro esclusione comporta un impoverimento deicontenuti della contrattazione collettiva aziendale, ristretti al computo diparametri oggettivi, da cui viene esclusa la regolazione della risorsa sapere.È qui che appare sempre più evidente che la secca alternativa tra lanegoziazione collettiva e quella individuale non riesce a cogliere la volontàdei lavoratori più qualificati, i produttori di integrazione, di preservare unaquota del salario variabile alla contrattazione individuale, e che il problemasi sposta sul terreno del controllo collettivo delle regole che informanoproprio la contrattazione tra singolo lavoratore e management.

In secondo luogo, considerata la crescente rilevanza dei produttori diintegrazione nella gestione delle interdipendenze tra le imprese, il primatodella componente manuale del lavoro nella costruzione delle istanzerivendicative condiziona fortemente il potere di influenza dell’attoresindacale sul processo regolativo.

Infine, la delimitazione della rappresentanza a determinate fasceprofessionali di lavoratori può essere l’indicatore di una mutazione profondadell’attività sindacale in una sorta di “organizzazione di avanguardia”, con irischi di arroccamento corporativo di una parte che, in conseguenza delleprofonde trasformazioni intervenute nei modelli di produzione, non è piùnelle condizioni di rappresentare una strategia di contrattazionegeneralizzata.

Prima di essere una questione organizzativa, la capacità di presa direttasull’articolazione dei profili professionali che innervano i processi diproduzione mette in discussione la concezione stessa del ruolo sindacale, lasperimentazione di ipotesi di “contrattazione partecipativa di sito”, ma piuestesamente il controllo sui processi di regolazione nelle situazioni diterziarizzazione avanzata.

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Qui però l’elaborazione teorica si ferma; il compito di sollevare temi edinterrogativi si arresta sulla soglia del lavoro empirico di ricerca, a cui spettail compito di verificare caso per caso quelle soluzioni che i diversi attoridella contrattazione costruiscono nel corso della loro prassi quotidiana.

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