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1 Il bramino e guru yoghi Rabi Maharaj si converte a Cristo unico Signore svelando il mondo occultistico dell’induismo e dello yoga! (fonte principale, dal libro di Rabindranath R. Maharaj, “Morte di un guru”, link: http://imieiscritti.lanuovavia.org/morte-di-un-guru.pdf) Il padre di Rabi, Chandrabhan, era “bramino guru yogi avatar” dell’isola di Trinidad adorato dagli indù e viveva perennemente in uno stato di trance – stato di consapevolezza alterata – molto simile a quello raggiungibile con i narcotici, poiché le esperienze “mistiche” indù sono una “fuga dalla realtà” della vita quotidiana ritenuta “maya” o “illusione”. Sulla strada del “nirvana” [lett. “soffiata” o “cielo”] che è l’annullamento dell’esistenza personale, il “nulla”, esistono diversi “livelli” di consapevolezza superiore che si aprono a chi esercita lo yoga o a chi medita o a chi svolge la trance spiritistica o chi svolge la meditazione trascendentale; ad esempio la “consapevolezza unita” col quale l’individuo prova mentre si trova ancora nel corpo - con lo yoga e allora si chiama jivan-mukti” - una sedicente unione con l’universo, e la “consapevolezza divina” nella quale con la gnosi autoilluminante – con lo yoga si chiama moksha” o affrancamento del ciclo delle reincarnazioni per arrivare all’unione con il “Brahman” – si diventerebbe Dio, per noi occidentali, o meglio i Tutto-Nulla senza forma, inconoscibile ed inconsapevole comprendente sia il bene sia il male, la vita e la morte, racchiudendo tutti gli dei in uno e persino l’irrealtà “maya”. Ma se il “Brahman” è Tutto, bene e male, odio e amore, allora tutto il “karman” è uguale di modo che nulla ha importanza, allora che vantaggio si può avere vivendo da persone religiose? Inoltre se la ragione è “maya” o “illusione” come viene affermato dai “Veda” – scritti primari e fondamentali dell’induismo, superiori agli deì, eterni e perfetti ed emanati dal Brahman” Assoluto – com’è possibile aver fiducia in qualsiasi concetto razionale inclusa l’idea che tutto è “maya” e che solo il

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Il bramino e guru yoghi Rabi Maharaj si converte a Cristo unico Signore svelando il

mondo occultistico dell’induismo e dello yoga!

(fonte principale, dal libro di Rabindranath R. Maharaj, “Morte di un guru”, link: http://imieiscritti.lanuovavia.org/morte-di-un-guru.pdf)

Il padre di Rabi, Chandrabhan, era “bramino guru yogi avatar” dell’isola di Trinidad adorato dagli indù e viveva perennemente in uno stato di trance – stato di consapevolezza alterata – molto simile a quello raggiungibile con i narcotici, poiché le esperienze “mistiche” indù sono una “fuga dalla realtà” della vita quotidiana ritenuta “maya” o “illusione”. Sulla strada del “nirvana” [lett. “soffiata” o “cielo”] che è l’annullamento dell’esistenza personale, il “nulla”, esistono diversi “livelli” di consapevolezza superiore che si aprono a chi esercita lo yoga o a chi medita o a chi svolge la trance spiritistica o chi svolge la meditazione trascendentale; ad esempio la “consapevolezza unita” col quale l’individuo prova mentre si trova ancora nel corpo - con lo yoga e allora si chiama “jivan-mukti” - una sedicente unione con l’universo, e la “consapevolezza divina” nella quale con la gnosi autoilluminante – con lo yoga si chiama “moksha” o affrancamento del ciclo delle reincarnazioni per arrivare all’unione con il “Brahman” – si diventerebbe Dio, per noi occidentali, o meglio i Tutto-Nulla senza forma, inconoscibile ed inconsapevole comprendente sia il bene sia il male, la vita e la morte, racchiudendo tutti gli dei in uno e persino l’irrealtà “maya”. Ma se il “Brahman” è Tutto, bene e male, odio e amore, allora tutto il “karman” è uguale di modo che nulla ha importanza, allora che vantaggio si può avere vivendo da persone religiose? Inoltre se la ragione è “maya” o “illusione” come viene affermato dai “Veda” – scritti primari e fondamentali dell’induismo, superiori agli deì, eterni e perfetti ed emanati dal “Brahman” Assoluto – com’è possibile aver fiducia in qualsiasi concetto razionale inclusa l’idea che tutto è “maya” e che solo il

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“Brahman” è reale? Come possono essere sicuri gli indù che meditano e praticano lo yoga – quest’ultimo presentato da “Krishna” nella “Bhagavad-Gita” o “Il Cantico del Signore” che lo reputa il Maestro e fondatore del vero yoga come il mezzo per la distruzione dell’ignoranza per la realizzazione del Sé come Dio – che la beatitudine che ricercano non sia anch’essa “maya” o illusione, visto che l’induismo afferma che non ci si può fidare di alcuna percezione e di alcun ragionamento? Assurdo, perché contradditorio! Nei 18 capitoli della “Bhagavad-Gita” Krishna, avatar di Visnù e protagonista di molte altre leggende erotiche indù, indica ad Arjuna – il suo discepolo che deve spingere ad uccidere i suoi parenti - le tecniche preternaturali per liberarsi definitivamente dal vincolo della reincarnazione. Viene suggerita l’ascesa mediante lo yoga e la sua “in-azione” o “rinuncia” - estraniandosi dal corpo e dal mondo - in cui lo yogi “padrone di sé” con “la mente totalmente sottocontrollo” ottiene “la liberazione finale o nirvana”. Nella “Bhagavad-Gita”– dice Rabi - “Krishna promette che lo yoga avrebbe distrutto l’ignoranza per mezzo della realizzazione che io stesso ero proprio Dio … ma non ero mai stato capace di superare il baratro che separava me e ogni cosa dal Creatore” (p.57). Per lo “Yogasutra” (alcuni dicono del II sec. a.C. e molti del V-VI sec. d.C.) di Patanjali “ci sono quattro tipi di yogin: il principiante, colui che ha raggiunto lo stato del miele, colui che ha raggiunto la luce della conoscenza e colui, infine che ha trasceso tutto ciò che può essere realizzato. Nel primo di essi la luce (della conoscenza) ha appena cominciato ad operare; il secondo è nello stadio in cui la conoscenza si è fatta apportatrice di verità. Quanto al terzo egli è signore dei sensi e degli elementi; oltre a ciò, è uno che provvede a conservare quanto è stato già realizzato e che dispone dei mezzi per realizzare quanto non lo è stato. Il quarto, finalmente, colui cioè che ha trasceso tutto il realizzabile, è uno il cui unico scopo è la dissoluzione della mente; la sapienza di costui si svolge per sette gradi successivi. Ora allorchè un brammano o yogin abbia direttamente realizzato lo stato detto del miele gli dèi sparsi per vari cieli lo blandiscono con celesti tentazioni … [i poteri preternaturali] … ma tutto

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ciò che mi viene proposto non farebbe altro che ingenerare nuovo attaccamento e contrasterebbe con lo yoga … [però] lo yogi può produrre con la meditazione instatica yoga una mente esente dal deposito karmico … estirpando le maculazioni, come pure il karma buono che quello cattivo, diventando un liberato in vita … e si estende all’infinito” (Patanjali, Yogasutra, Boringhieri, Torino 1962, pp.176-177.188.208). Breve inciso: per non “rendere vana la croce di Cristo” (1 Cor.1,17) l’unica “Via, Verità e Vita” – come Rabi ha scoperto - senza la quale “non si accede al Padre” (Gv.14,6) e non si è salvati (At.4,12), Gesù “ordina di ravvedersi” (At.17,30) dagli “idoli pagani muti” (1Cor.12,2), di non essere “gente pagana negli occhi e nelle orecchie che oppone resistenza allo Spirito Santo” (At.7,51) ascoltando le “favole artificiosamente inventate [dei miti indù nello yoga]” (2Pt.1,16) e rendendo “culto a demoni ed idoli [pagani]” (Ap.9,20) – “idolatria e stregoneria” (Gal.5,20) - ma di credere solo in Gesù perché per noi cristiani non si dà la doppia appartenenza, il “servire la mensa del Signore e la mensa dei demoni [e degli idoli]” (1Cor.10,21). Inoltre notiamo come per l’induismo ortodosso, la “moksha” è solo un riposo temporaneo, non esiste una liberazione definitiva e l’individuo deve purtroppo ricominciare il ciclo delle rinascite che si ripete – grazie alla “trimurti” - ogni 4,32 miliardi di anni. Pertanto l’induismo e lo “yoga” – secondo gli stessi “Veda” (molti dicono del 1800-800 a.C. e alcuni del 3000 a.C.) - sono falsi mezzi di liberazione definitiva, perché temporanei! La “trimurti”, “Brahma-Visnù-Shiva” - con “Brahma” il Creatore, “Visnù” il Conservatore che rivela la via del “Brahman” e “Shiva” il Distruttore ogni 4,32 miliardi di anni. Nell’induismo sulla base dei Veda poi convivono tutta una serie di sistemi contraddittori come lo Samkhya, lo Yoga e il Vedanta; indipendente dalla tradizione vedica abbiamo lo shivaismo – culto fallico del lingam di Shiva e a quest’ultimo è collegato lo shaktismo o tantrismo - il buddismo e il jainismo. La base comune è la “preoccupazione soteriologica” cioè la conoscenza del Sé per liberarlo dal “divenire” o “samsara” non la conoscenza del mondo fisico per padroneggiarlo e asservirlo; nell’induismo ortodosso il ricongiungimento dell’atman con il Brahaman mentre nel buddismo il

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conseguimento del Nirvana od estinzione. Lo Yoga postula l’esistenza reale del mondo, il reggersi del mondo su due principi opposti – il purusa, essenza spirituale dell’uomo e la prakrti o natura che si manifesta però in tre modi o guna: 1)sattva (leggerezza, luminosità, intelligenza); 2)rajas (passione, energia); 3)tamas (tenebre, inerzia) – e l’esistenza del divino o Sé conoscibile attraverso una rigida disciplina mentale descritta nello “Yogasutra”. Nella devozione popolare indù lo Yoga si intreccia spesso col Vedanta che invece si slancia verso un “misticismo instatico di fusione” dove tutti i fenomeni (lett. “quel che appare”) e gli enti sono maya o illusione o miraggio e l’unica realtà è il Brahaman o Atman, l’Assoluto! Senza parlare dello Shaktismo o Tantrismo dove il culto – ampiamente ripreso dalla New Age e nello Yoga occidentalizzato nella sua concezione neopagana luciferina della vita come “energia” – si incentra sulla Shakti (kundalini, prana, ki, ecc.) e sulla sua potenza dinamica creatrice e distruttrice insieme del “divenire” dei mondi; ottenendo con la “chiave esoterica” il risveglio, canalizzazione e controllo della kundalini o Shakti si diventerebbe “siddha” o “yogi” con “aperture inimmaginabili” ma nello stesso tempo con il pericolo reale – come dice Julius Evola - di diventare “trasformatori vampirici” posseduti e alienati dagli “spiriti Deva”. Nei Vedanta – dice Rabi - “venivano descritte delle tecniche avanzate che io potevo imparare ed aggiungere a quelle che già mi erano state insegnate quando ero al tempio. Krishna, il Signore, aveva insegnato ad Arjuna - nel Bhagavad-Gita - che non c’è nulla di più importante dell’esercizio diligente dello yoga. Per mezzo di questa «Zattera divina» [che per i cristiani è solo il “legno della croce”, l’albero della “Vita”] uno poteva superare l’ignoranza e le azioni più odiose, e raggiungere la beatitudine eterna. Ancor prima di aver raggiunto l’età di dieci anni, in aggiunta alla mia meditazione giornaliera, praticavo lo yoga — le diverse posizioni, gli esercizi di respirazione, le meditazioni — sulla veranda antistante la mia camera, dalla mezzanotte all’una e mezza del mattino, quando tutti dormivano. Facevo dello Brumadhya Drishti o del Madhyama Drishti. Questa concentrazione, unita agli esercizi respiratori, mi proiettavano in uno

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stato di consapevolezza completamente distaccato dal mondo che mi circondava. Per mezzo dello yoga sentivo sempre più la presenza di esseri spirituali che mi guidavano e mi trasmettevano delle forze psichiche … Talvolta, quando alla fine di questi esercizi, andavo finalmente a letto, mi sentivo talmente agitato che non potevo addormentarmi … [pensava erroneamente prima di scoprire Cristo che] Un guru è un maestro che con duce altri uomini alla beatitudine eterna” (p.51). Rabi tramite lo yoga – che come dice Krishna “fa perdere di valore tutto il resto” (p.52) - faceva esperienza di “spiriti” superbi o luciferini che lo spingevano a trovare il divino – l’onnipotenza e l’onniscienza – nel suo ombelico senza la grazia di Cristo e della Sua Chiesa! Lo scopo della meditazione orientale? L’autorealizzazione o illuminazione o liberazione dall’illusione o “maya” che lo “io individuale” sia diverso dallo “io universale o Brahaman” allontanandosi dal mondo razionale delle cose e delle idee e da qualsiasi pensiero volontario e razionale per proiettarsi in stati “superiori” di consapevolezza. Fondamentalmente un sistema gnostico-esoterico per risvegliare la scintilla del divino dissolvendo – apparentemente - l’ego. “Spacciato falsamente come “tecnica di rilassamento” – dice Rabi - la meditazione orientale (yoga, MT, ecc.) ha invece lo scopo di portare l’individuo ad arrendersi alle forze mistiche del cosmo … per realizzare la propria unione essenziale con l’Universo … la porta di entrata per raggiungere il nulla chiamato ‘nirvana’” (p.125). “Esistono diversi tipi e diverse scuole di yoga, come pure varie tecniche, ma tutte tendono allo stesso scopo finale: l’unione con l’Assoluto … Scopo dello yoga è quello specifico di produrre uno stato di trance che dovrebbe permettere alla mente di essere attirata dalle sfere superiori per unirsi con il Brahman … Nessuna parte dello yoga può essere staccata dalla filosofia che lo sorregge … Il vero yoghi che medita ha portato un taglio netto fra se stesso e tutte le percezioni dei sensi, iva inclusa la famiglia, gli amici e qualsiasi rapporto con il prossimo … Egli si trova al di là dello spazio, del tempo, della casta, del suo paese, della religione e persino del bene e del male … Krishna stesso afferma nel Bhagavad-Gita che allo yoghi nulla più

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importa all’infuori dello stesso yoga” (p.128). “Noi indiani sapevamo da migliaia di anni che nello yoga esiste una potenza reale e vera” (p.4). Ma quale tipo di “potenza”? Gli “Asuras” o “Rakshasas” demoni di cui parlano i “Veda”? Il dilemma è questo: espandersi con una tecnica magica, un trucco, fuori dal corpo-carcere dissolvendolo nella fiamma folgorativa della kundalini fino ad essere il divino o farsi invadere da demoni sotto le mentite spoglie di “energie” con l’escamotage più antico del mondo (“diventereste Dio” Gn.3,5) e rimanere “nudi” cioè privi della figliolanza divina? Noi cristiani e adesso anche Rabi, sappiamo che si tratta della prima! La madre di Rabi, della famiglia Singh - sposata a 15 anni con un matrimonio combinato “esoterico” confermato da due “pundit” o “sacerdoti bramini” che divinarono con la lettura della mano agli sposi e consultarono gli astri e conclusero che “il matrimonio era benedetto dagli dèi” – dopo la morte del marito è molto “venerata da una moltitudine sempre crescente di indù”, swami yogi del guru Baba Muktananda che adorava come fosse Dio, “davanti ad un grande specchio adorava il suo Io [Sé] e al di sopra dell’altare c’era un quadro del suo guru Muktananda, ch’essa stava adorando e sul quale meditava quasi tutto il giorno” (Rabindranath R. Maharaj, “Morte di un guru”, p.91). Lo stesso Rabi bramino “pundit” o “sacerdote” fin dall’adolescenza veniva adorato nella “puja” [lett. “adorazione” rituale e cerimoniale] dagli indù con omaggio di frutta, tele di cotone e denaro, dispensando “colpetti di incoraggiamento shakti [lett. “potenza cosmica primitiva universale”, che usa come canale o channel il guru, personificata dalla dea Shakti, consorte di Shiva]” (Rabindranath R. Maharaj, “Morte di un guru”, p.63). Rabi, fin dalla sua nascita, non aveva mai sentito la voce di suo padre che subito dopo il matrimonio aveva deciso la “Grande rinuncia del Buddha” cioè di vivere secondo il “Bhagavad-Gita” per gli indù il “libro dei libri”: 1)seduto, anche nel sonno, su un asse di legno nella posizione del loto (gambe incrociate, piedi appoggiati sulle gnocchia); 2)meditando le sacre scritture indù; 3)recitando i “mantra” le cui “vibrazioni che vengono prodotte costituiscono il modo più efficace per attirare gli dei, e senza l’aiuto di

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questi esseri spirituali colui che medita non avrebbe alcun beneficio … per mettersi in contatto diretto con il Brahman … per poter realizzare il vero Io [o Sé, liberandosi dall’illusione dell’esistenza individuale] … Pertanto il mantra è un invito rivolto ad un essere particolare perché entri in colui che lo pronunci e crea, al tempo stesso, una condizione passiva nel mediatore, allo scopo di facilitare la fusione dei due esseri” (Rabindranath R. Maharaj, “Morte di un guru”, pp.4.125); 4)viaggiando in un mondo psichedelico popolato di “Maestri Superiori”, “viaggi astrali” e di incontri con “spiriti terrificanti” da placare con la devozione; 5)simile agli dèi – gli indù che lo adoravano erano certi avesse raggiunto la “moksha” sfuggendo al ciclo delle reincarnazioni o “nirvana” o la beatitudine che Krishna aveva offerto ad Arjuna - che si trovano nelle stanze delle preghiere, egli, fisicamente, non faceva nulla per sé stesso; bisognava lavare, nutrire e cambiarne i panni. Quando Rabi ha otto anni il padre muore improvvisamente e viene cremato in “Agni” il dio del fuoco come un “avatar” o uno degli dèi venuto in forma umana il sentiero che bisognava seguire, il “sentiero del vero yoga” che unisce l’uomo a Brahaman. Vi sono vedove indù che si gettano sulla pira ma non la madre di Rabi. Rabi incomincia ad adorare lo spirito del padre “avatar” che è ormai un “dio” ma la sua meditazione viene turbata durante la “cerimonia delle ceneri” – nella quale si pongono le ceneri del defunto dentro una stanza vuota per una notte e poi si esaminano per scorgervi l’impronta di qualche eventuale animale in cui si sarebbe reincarnato il defunto altrimenti ha raggiunto la “moksha” – ebbene Rabi scorge nelle ceneri del padre l’impronta di un uccellino! Come era possibile che il padre di Rabi si fosse reincarnato in un uccellino? Dopo alcune notte insonni Rabi scorge un buco nel tetto e un nido di uccellini che potevano avere libero accesso alla stanza di suo padre e tira un sospiro di sollievo. Rabi viene invitato a non piangere con le parole che “Krishna” rivolge ad “Arjuna” quando lo manda a combattere: “I saggi non si lamentano nè per i vivi né per i defunti … né cesseremo mai di esistere … Colui che dimora nel corpo … si trasferisce in un altro corpo; colui che non vacilla non si lamenta di questo”. Radi adorava l’idolo di Shiva, detto il “distruttore”; “avevo paura di guardarlo negli

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occhi perché mi ossessionavano, ero tormentato da questo sentimento nei riguardi di Shiva, il dio che temevo di più e che, perciò, adoravo più degli altri allo scopo di placarlo … numerose volte feci paurose esperienze che lo sentivano provenivano da Shiva” (p.40); e ancora dice Rabi del suo timore servile nei confronti degli dèi indù: “li temevo tutti ma la mia preferenza andava a Shiva e Krishna” (p.62). Rabi profuma gli idoli di famiglia di crema di sandalo, accende la fiammella “deya” e durante un “arti”, rito religioso indù con “mantra” nella stanza delle preghiere – sull’altare della stanza delle preghiere nella casa indù c’è una piccola parte dei milioni di “dei” indù adorati nel pantheon pagano, quelli prediletti e più temuti dall’aspetto terrificante, in particolare Kalì la dea della distruzione consorte di Shiva, da placare nel “timore servile” – Rabi nello “arti” fa roteare per tre volte una lampada attorno all’idolo indù di Krishna, reincarnazione di Visnù, dopo averlo urtato e danneggiato capisce che “nessuna scusante sarebbe stata accettata … non c’è posto per il perdono, la stessa legge immutabile del karman lo vietava, la pena sarebbe stata richiesta nella mia vita successiva – o forse anche in questa – per un simile odioso crimine … Indubbiamente avrei dovuto scontare un castigo molto severo … non avrei [di conseguenza] raggiunto il nirvana in questa vita ed anche il mio traguardo alternativo – di venire reincarnato in una mucca, la più santa delle creature [che adorava più ore al giorno, perché la mucca viene ritenuta un “dio” essendoci in cielo una costellazione a forma di mucca!] – era tramontato … ma intanto la venerazioni che mi veniva attribuita stava crescendo” (Rabindranath R. Maharaj, “Morte di un guru”, pp.62.63). Quando una volta Rabi stava adorando la mucca – l’aveva fatto fin da piccolo tutti i giorni per almeno un’ora al giorno - questa senza motivo lo carica ed egli si chiede: “perché il mio dio mi sta castigando … benché Shiva, Kalì ed altri numerosi dei mi avessero, sovente, impaurito, la mucca era il dio che avevo sempre adorato … perché quel dio mi aggrediva?” (p.39). Rabi pensa che nel passato si era reincarnato nella mucca ma come tutti gli indù non riesce mai a rammentarsi nulla delle sue vite passate [differenti i newager che dicono di potersele ricordare tramite lo spiritismo!], comunque è convinto

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che potrà sviluppare un buon karman per la vita futura trascorrendo tanto tempo nell’adorazione della mucca! Nella legge del “karman”, la legge del destino o del fato o della causa-effetto, per ogni azione, pensiero o parola si produce un effetto conseguente che richiede la reincarnazione – senza possibilità di perdono – perché ogni persona deve soffrire per quanto ha fatto. Caposaldo della dottrina del “karman” sostenuta da “Krishna” nella “Bhagavad-Gita” è la dottrina razzista delle “Caste” o “varna” [lett. “colore” della pelle] utilizzata dagli invasori “ariani” dell’India – di pelle chiara – allo scopo di mantenere sottomessi i vinti “dravidi” – di pelle più scura e disprezzati – che divide gli indù in quattro caste, i bramini, i kshatrija, i vaisya e i sudra come parte del corpo di Brahma: i bramini dalla testa e le altre caste da parte progressivamente più basse; gli intoccabili sono “fuori casta”. Non esiste induismo – come dicono i Veda - senza il principio delle caste perché è il Brahman stesso ad aver creato le caste. Per i “Veda” sono “uomini” solo coloro che appartengono alle quattro caste! Come mai esistono uomini completamente al di fuori del sistema delle caste? Per l’induismo – i Veda - non dovrebbero esistere! Pertanto i non-indù “appartengono ad una classe di esseri non esistenti secondo i Veda e conseguentemente ad una classe più bassa ancora degli intoccabili” (p.61). E coloro che sono nati “fuori casta”? Per l’induismo sono senza speranza e non possono essere “salvate” per mezzo dello yoga e della reincarnazione! Pertanto un occidentale che fa yoga è una assurdità secondo i Veda! I bramini è la casta indù più alta che si raggiungerebbe dopo migliaia di reincarnazioni e sono considerati il rappresentante terrestre del Brahman che hanno il compito spirituale di “realizzare il vero Io [Sé]” e pertanto sono essi stessi considerati come degli amuleti portafortuna! Quando Rabi aveva appena 11 anni ricorda che “erano già numerose le persone che si inchinavano quando io passavo e mi portavano offerte di denaro, di tela e di cotone ed altri doni che deponevano ai miei piedi e che mi mettevano al collo delle ghirlande di fiori durante le cerimonie religiose … un giorno sarei diventato il guru di migliaia di esse … Io avevo un sacco di soldi da spendere … che mi arrivavano con i dono che venivano deposti ai miei piedi da coloro che mi adoravano”

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(pp.36.37). Da chi ottenevano i soldi i pundit? “Specialmente dalle persone più povere” che volevano diminuire il “bad karma” o arricchirsi tramite le “puje di buona fortuna” dei pundit che “utilizzavano le arti magiche” (p.37). I pundit ricevono molti soldi per “puje porta fortuna per le lotterie abbinate alle corse dei cavalli … e quando la maggior parte delle persone non vince … i pundit rispondono che dipende dal loro karman da qualcosa di sbagliato che hanno commesso durante il loro ultimo janma (lett. “vita precedente”)” (p.60). Portare dei regali o soldi ad un bramino è gradito agli dèi e fa aumentare il buon karman al donatore che riduce il debito karmico. Nell’induismo tutto era Dio – il dio scimmia, il dio mucca, il dio elefante, il dio serpente, il dio insetto, il dio foglia, il dio stella, ecc. – salvo i “dalit” che non avevano una casta; tanto più da disprezzare tanto più scura la loro pelle! A Rabi viene profetizzato dal pundit principale di Trinidad – molto considerato nell’evocare i “devatas” indù e nel fare “puje” speciali a pagamento anche capaci di ottenere il “nirvana” - che un giorno diventerà un “grande yogi” come suo padre! Dopo la morte del padre Rabi va a vivere con la madre nella casa del defunto nonno Nana Singh, che era un uomo violento e dedito all’occultismo indù che aveva sacrificato il suo primo figliolo alla dea indù “Lakshmi”, sposa di “Visnù”, arricchendosi improvvisamente e che possedeva “poteri occulti” per guarire e maledire. Nana aveva degli spiriti indù che gli provocavano “misteriose [ed improvvise] aggressioni fisiche [verso di noi] ed ossessioni … e capitava di litigare spesso in famiglia mentre si faceva una puja” (p.40) oppure di scaraventare la nonna di Rabi – sua moglie - giù dalle scale perché leggeva di nascosto la Bibbia. D’altra parte la mitologia indù è piena di storie di demoni che propino dei karman malvagi. Nana, quando era vivo, odiava la Bibbia ed anche Rabi che adesso abitava nella casa di Nana quando la sentiva nominare aveva una reazione di collera abnorme, senza saperne il motivo. Durante la festa del Divali per onorare la dea moglie di Visnù, Lakshmi, dea della ricchezza e della prosperità, Rabi accendeva le deyas o candele per onorare la dea. Allora Rabi ha chiesto ad un pundit: “A far ricco Nana – il nonno – fu Lakshmi oppure gli spiriti?” e questi gli ha risposto: “Noi veneravamo gli

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spiriti con la stessa devozione che avevamo per gli dei e, talvolta, c’era quasi una confusione d’identità fra di loro. «Cosa importa il nome che vuoi dar loro? Non esiste forse un’unica Forza nell’universo?». Annuii solennemente. «Esiste un’unica Realtà — Brahman. Tutto il resto è un’illusione, maya»” (p.49). Così Rabi ha avuto la conferma che nella pratica gli indù evocano divinità o spiriti – quello che la New Age chiama “channeling” – per ottenere magicamente quanto richiesto e senza alcuna remora. Ma Rabi si chiede: “Se Lakshmi è la dea della ricchezza e della prosperità, come mai la maggior parte degl’indù è così povera?” (p.50) mentre le mucche e i topi ingrassano? Come mai l’India è eccezionalmente povera? “Come poteva allora essere questo il risultato di migliaia di anni di yoga, di karman sempre migliore e di tante reincarnazioni, tutte tendenti all’unione con Brahman? Perché tutti i film che avevo visto evitavano di dipingere onestamente la situazione dell’India?” (p.50). La spiegazione migliore dei Veda è che vi sono “molti mondi” e “forse nel nostro abitano solo gli indù poveri” anche se precisa Krishna nella Bhagavad-Gita che “quando hai meritato un karman negli altri mondi, tu torni nuovamente su questo”(p.51)! Inoltre se tutto quanto si possiede è un male o solo maya perché Lakshmi era la dea della ricchezza onorata grandemente dagli indù? Addirittura Rabi – come ogni bravo bramino o yogi - pensava spesso: “Io sono Brahman e questo è il mio mondo creato dai miei pensieri” (p.54). In occidente forse alcuni sindaci chiederebbero ancora un t.s.o. Alcuni “pundit” che Rabi non stimava seguivano Ramakrishna discepolo di Kalì e di Vivekenanda fondatore della Società Vedanta – afferma di insegnare la tolleranza per tutte le religioni ma si basa sull’intransigente e intollerante monismo e panteismo di Brahman come il tutto e l’unica realtà mentre tutto il resto sarebbe solo “illusione” – che afferma che “tutte le religioni sono vie che portano all’unico Brahman” come è suffragato dal Bhagavad-Gita in cui Krishna afferma “che tutte le strade portano a lui”; quando Rabi lesse queste parole ne rimase dispiaciuto ma si consolava “pensando che la mia religione – l’induismo - costituisse comunque la strada migliore”. L’irrazionale induismo comprende moltissime credenze

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contraddittorie come panteismo, politeismo, monismo, agnosticismo, ateismo … l’indù può essere contemporaneamente morale e amorale, dualista o pluralista o monista, costante frequentatrice dei sacramenti cattolici unita alla devozione di diversi dei oppure senza alcun obbligo di seguire doveri religiosi ed essere comunque chiamata indù. Si basa su una stratificazione contraddittoria di miti e di personaggi mai esistiti. Inoltre l’induismo è ipocrita perché pur predicando la “tolleranza” ed affermando che è accettabile qualunque credenza, però ogni religione che si avvicini diventa automaticamente parte dell’induismo e l’avvinghia in una abbraccio soffocante! Ma, conclude Rabi una volta converito, “è chiaro ed evidente che il Dio della Bibbia non è Brahman, che il cielo non è il nirvana, che Gesù Cristo non è un’altra reincarnazione di Visnù e che la salvezza per mezzo della grazia di Dio e della fede nella morte di Cristo per i nostri peccati e nella sua risurrezione, è in piena contraddizione con tutto l’insegnamento dell’induismo” (p.124). In effetti – afferma un esimio studioso - “il cristianesimo fu la sola religione ad accogliere l’utilizzo della ragione e della logica come guida principale verso la verità religiosa … Da qui, da questa vittoria della ragione, da questa certezza che il mondo non è una divinità, né un capriccio di oscure divinità [come nell’induismo!] inconoscibile dagli uomini, ma creato da Dio secondo il Logos razionale e può essere compreso e dominato dall’uomo, deriva la scienza. Stanley Jaki ha dimostrato in ‘Science and Creation’ come il pensiero scientifico moderno è nato su fondamentali presupposti cristiani e analizza sette civiltà non cristiane (araba, babilonese, cinese, egiziana, greca, hindù e maya) nelle quali la scienza nacque morte proprio per la loro concezione della natura, di Dio e della ragione. Insieme con la scienza, da queste basi cristiane viene anche la tecnologia…” (Antonio Socci, Indagine su Gesù, Rizzoli, p.51). I testi sacri dell’induismo, aveva notato Rabi, si contraddicevano; da una parte i “Veda” dicevano che c’era stato un tempo in cui non esisteva nulla ed il “Brahman” era nato dal nulla e dall’altra parte Krishna nel Bhagavad-Gita dice che “ciò che non esiste non potrà mai esistere”. Ma Rabi aveva la consapevolezza che Dio non era una parte dell’universo bensì il suo

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Creatore, anche se i “pundit” gli dicevano che era vittima del “maya” cioè l’idea sbagliata della realtà che ingannava tutti quelli che non erano “illuminati”. Nella famiglia di Rabi, dopo la morte del padre, ci si rivolge alla divinazione (chiromanti, astrologi, maghi, ecc.) molto comune nell’induismo anche tra i “pundit” e solo raramente la sua famiglia prendeva una decisione importante senza aver prima consultato un astrologo; tutte le predizioni convergono prevedendo che Rabi sarebbe diventato un grande capo indù, yoghi, guru, pundit, sanyasi o “indù al quarto stadio della vita … che si trova al di sopra di qualsiasi norma e di qualsiasi rito” e capo sacerdote del tempio. Anche dopo 12 giorni dalla nascita di Rabi i pundit avevano organizzato un grandissimo “barahi” per prevederne astrologicamente il futuro. Non raramente alcuni “pundit” facevano spiritismo usando il teschio di un morto. Rabi si svegliava la mattina recitando il “mantra” appropriato sotto la guida di Visnù confermando di essere uno con Brahman: «Io sono il Signore, per nessun motivo diverso da lui, il Brahman, non sono affetto da qualsiasi infermità come l’afflizione o l’angustia. Sono la beatitudine dell’esistenza, della conoscenza, sempre libero. Oh, Signore del mondo, intelligenza perfetta, massima deità, sposo di Lakshmi, oh Visnù, risvegliandomi all’alba adempirò tutte le responsabilità derivanti dalla mia esistenza terrena... Oh Signore Hrishikesa, signoreggiando l’entità dei miei sensi, con te nel profondo del mio cuore, come mi viene ordinato, così agirò». Si svegliava all’alba con il bagno della “purificazione” rituale, adorando il sole e recitando centinaia di volte il “mantra Gayatri” – considerato dal “Rigveda” il più importante dei quattro “Veda” in cui vi sono evocazioni agli dèi della natura che manifestano non il desiderio di ricevere una sapienza spirituale ma una ricerca egoistica di vino, di donne, di ricchezza e di potere - che incomincia con il nome dei tre mondi «OM, Bhuh, Bhuvah, Suvah - meditiamo sull‘adorabile fulgore del vivificatore risplendente, Savitari. Possa egli stimolare i nostri intelletti» e personifica la stessa deità con lo scopo di “salvare l’anima” che gli era pienamente devota. Rabi doveva ripetere questa ode in sanscrito, il linguaggio degli dei, centinaia di volte al giorno, stando al sole.

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L’OM ha un valore magico ed è la “sillaba simbolica del Brahaman con la quale si può godere tutti i desideri di tutti i mondi, tutti gli dei, tutte le ricompense, tutti gli esseri … Perciò il bramino che, desiderando qualsiasi cosa digiuni per tre notti, seduto sull’erba sacra, volto verso oriente, e ripeta questo imperituro OM potrà vedere realizzati i suoi desideri e tutte le sue azioni verranno coronate da successo” (p.30). Talvolta Rabi cantava “OM namah Shivaya” in onore del “distruttore” Shiva; durante una di queste esperienze gli si presentò un cobra spuntato improvvisamente in mezzo all’erba e sentendo la voce della madre che gli consigliava di invocare il nome di Gesù, invocandolo, il cobra spaventato scappa. Per la prima volta Rabi fa l’esperienza di Gesù! Rabi partecipava alla festa serale Ramleela in cui veniva rappresentata in una settimama tutto lo spettacolo drammatico dell’epica di Ramayana (lett. “gli avvenimenti di Rama”) – uno dei due grandi poemi epici indù, l’altro è il Bhagavad-Gita, di cui ne esistono tre versioni principali – che racconta la vita di Rama, avatar di Visnù, visto come l’uomo ideale e sua moglie Sita come la donna ideale. In questo poema Rama con Hanuman – il dio scimmia – lotta contro il malvagio Ravana che ha rapito Sita. Ma come, la dottrina della non-violenza o ahimsa non è un dovere per tutti gli indù? Non credono forse gli indù che anche gli insetti e gli animali in genere attraverso un “buon karman” evolvano fino a diventare essere umani o che gli uomini attraverso un “cattivo karman” possano nuovamente diventare animali o insetti? Allora perché nella festa indù di Ramleela si “godeva” – si chiede Rabi – “tanto più era violenta la lotta” sul campo di battaglia tra Rama e Ravana? Perché se tutto era Uno, il Brahman, c’era la lotta tra il “bene”, Rama e il “male”, Ravana? Allora anche Ravana, il “male”, era Brahman nella stessa misura in cui lo era Rama, il “bene”! Allora che differenza c’è nel praticare il bene o il male e chi decide cosa è bene o male? Tant’è che nel Dharma – il retto modo di vivere per un indù – non vi sono regole assolute o certezze (lett. in greco “dogmi”) – ma variano a seconda delle caste, delle persone e non comportano particolari principi morali ma solo alcune discipline che dovrebbero indurre l’individuo all’unione con il Brahman e che sono al di là del bene e del male! Come mai, si chiede Rabi

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a 11 anni, “nelle mie trance yoghi allora io ero signore dell’universo senza avvertire problemi, inquietudini e incertezze [che poi si svelarono progressivamente nel minacciarlo ed impaurirlo perché lucifero è mimetico]” (p.38)? D’altra parte la ahimsa non è coerente né con gli scritti indù nei quali sono descritti molti sacrifici di animali – ad esempio i sacerdoti della dea Kalì, la sanguinaria, per placarla uccidono, ogni mattina, nel famoso tempio di Kalì di Calcutta, 16 capre - né con la pratica indù, basta pensare alle guerre sanguinose affrontate senza alcuna remora dagli indù e alla diffusissima carne la curry che però solitamente risparmia la sacra mucca! Inoltre non credono forse gli indù che il mangiare qualsiasi essere vivente, ad eccezione delle piante, equivale all’assassinio e al cannibalismo e di conseguenza l’indù deve essere vegetariano? I Veda affermano che “qualsiasi vita è sacra” ed è un “grande errore togliere la vita”; ma Rabi aveva imparato dalla scienza che le caratteristiche della vita sono sette, “respirazione, ingestione, eliminazione, sensibilità, crescita, riproduzione e movimento” (p.47) e pertanto anche i vegetali aveva imparato che erano vita! Pertanto Rabi aveva capito che anche i vegetariani – secondo i Veda e la scienza - tolgono la vita ed inoltre tolgono la vita anche ai milioni di batteri che abitano nelle piante che sono minuscoli ed indifesi animaletti che per l’induismo evolvono e si reincarnano in vita superiore per diventare mucche o uomini. Altra clamorosa contraddizione ed irrazionalità dell’induismo! Quanti batteri uccide, in modo terribile, un vegetariano che si fa un bel thè bollente o si lava col sapone? Così Rabi incomincia a sentirsi diviso tra due punti di vista inconciliabili: 1)l’insegnamento che dio era ogni cosa, la creazione e il Creatore ci si fa illudere dagli spiriti “confermato” dalla meditazione e dallo yoga; 2)la consapevolezza che Dio era il Creatore distinto e separato dall’universo che aveva fatto confermato dalla esperienza di vita vissuta. Rabi quando faceva yoga si sentiva uno con la mucca, un insetto, una stella lontana, l’universo e il Brahaman e pertanto si adorava davanti ad uno specchio. Al termine dello yoga per Rabi “Era una cosa difficile il dover affrontare i problemi della vita dopo aver trascorso delle ore in trance. Il conflitto ed

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il contrasto tra questi due mondi era irrisolvibile … era una questione che riguardava anche la logica” (p.56). Se Brahaman era ogni cosa, male e bene, morte e vita, odio e amore, ecc., allora “tutto ciò rendeva ogni cosa senza senso, la vita un’assurdità … inoltre se il male e il bene erano la stessa cosa allora anche tutto il karman era uguale, di modo che nulla aveva importanza [e da qui la doppia vita di tanti pundit, guru e yogi] … tutto ciò sembrava deificare la confusione” (p.57). Inoltre, come già detto, se per i Veda tutto è maya o illusione – dice Rabi – “come potevo allora credere e aver fiducia in qualsiasi concetto, inclusa l’idea che tutto era maya e che solo Brahman era reale? Come potevo essere sicuro che la beatitudine che ricercavo non fosse anch’essa un’illusione, se non potevo fidarmi di alcuna mia percezione e di alcun mio ragionamento? Se volevo accettare quello che insegnava la mia religione dovevo rifiutare ciò che mi diceva la ragione. Ma che cosa affermavano le altre religioni? Se il tutto era Uno, allora anch’esse erano tutte le stesse. Tutto ciò sembrava deificare la confusione e renderla l’Ultima Realtà. Ero proprio confuso” (p.57). Rabi è terrorizzato e deluso dagli dèi indù dello yoga e “comincia a pensare che il Creatore fosse il vero Dio in contrasto con i numerosi dei indù, alcuni dei quali, ne ero convinto, avevo incontrato mentre ero in trance. Sentivo sempre più profondamente la netta differenza esistente fra il terrore che essi mi incutevano ed il convincimento istintivo che il vero Dio fosse amorevole e gentile. Ero arrivato al punto di essere persuaso che non esistesse uno solo degli dei indù nel quale potessi aver fiducia, nessuno che mi amasse. Sentivo un desiderio crescente di conoscere il Creatore, ma non sapevo alcun mantra da potergli recitare ... Ciò che mi turbava era il fatto che malgrado mi sforzassi di realizzare che fossi Brahman, il sentimento di pace che raggiungevo durante la mia meditazione non durava mai a lungo [come descrive Sant’Ignazio di Loyola nella sua biografia]” (p.57). La zia Revati chiede a Rabi – anche se piccolo è già adorato come yogi – di “scopare le scale” e Rabi risponde con una esplosione di superbia e d’odio incontrollata e non voluta – fino a quel momento pensava di essere un “non violento” - che scatena in lui anche una forza preternaturale

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sconosciuta che solleva un bilanciere pesantissimo e arriva quasi ad uccidere la zia; Rabi si chiede: “sono posseduto dagli spiriti indù che qualche volta incontra durante le meditazioni? … Chi sono questi dèi, questi spiriti, queste forze alle quale io rivolgevo l’invito di entrare in me, per mezzo del nyasa, dello yoga e della meditazione?” (p.59). Rabi scopre nella meditazione che il seguito di un guru o yogi dipende dalle manifestazioni “preternaturali” – o poteri medianici di caduta - e se da una parte “la pace [poco duratura] mi pervadeva”, dall’altra “le forze occulte che si manifestavano in modo sempre più evidente con l’esercizio dello yoga continuavano a dimorare in me e a palesarsi in pubblico. Conoscendo che senza queste manifestazioni preternaturali non avrei mai avuto un gran seguito, fui molto lieto di constatare la crescita delle mie forze ‘spirituali’. Succedeva spesso che coloro che s’inchinavano davanti a me provassero un senso di felicità e che sperimentassero un’illuminazione interiore nel momento in cui li toccavo sulla fronte quando concedevo loro la mia benedizione. In quel tempo avevo solo 13 anni, ma già davo i colpetti affettuosi shakti, famosi fra i guru, che costituivano la prova della mia chiamata. Shakti [detta anche “energia cosmica universale”] è uno dei nomi dati a Kalì, la consorte omicida di Shiva, [la dea vampira] che beve il sangue umano, la madre dea della potenza [luciferina delle “energie occulte luciferine” prana, ki, kundalini, ecc.] che dispensa la forza primitiva che scorre nel cuore dell’universo. Come ero eccitato al pensiero che io stesso stavo diventando un canale [un channel] attraverso il quale scorreva la sua potenza!” (p.42). Molti anni dopo Rabi scopre che “le esperienze di questo genere [lo yoga e le forme di meditazione orientale] potevano essere ripetute in gabinetti chimici sotto l’attenta supervisione di esperti parapsicologi [spiritisti], per mezzo dell’ipnosi e dell’LSD [nata proprio con l’illusione di regale il nirvana psichedelico a tutti]. Nelle mie trance yogiche io mi ritrovavo, quasi sempre, solo con Shiva, il Distruttore seduto ai suoi piedi, e osservavo l’enorme cobra attorcigliato attorno al suo collo che mi fissava fischiando e saettando minaccioso la sua lingua biforcuta [noi cristiani lo chiamamo “serpente antico” o

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lucifero]. Talvolta mi domandavo perché nessuno degli dei che incontravo fosse gentile, cortese, amabile [perché satana l’omicida non può essere quello che non è!]” (p.42). Lo yoga crea dipendenza come dice Rabi: “Se una persona praticava lo yoga non c’era più nulla che avesse importanza” (p.60). Un altro rituale che faceva Rabi era spalmare crema di legno di sandalo – il chanan - sul “lingam” o “fallo” di Shiva oggetto di culto in tutti i templi indù ed associato ai culti di fertilità ed erotici del tantrismo. Rabi pratica il controllo del respiro yoga, evoca le deità per mezzo del nyasa – atto cerimoniale consistente nel evocare un dio indù perché entri o infesti il corpo dell’adoratore, ponendo le mani sulla fronte per trasformare l’adoratore nella somiglianza della divinità e ripetendo un mantra che incorpora con la sua vibrazione il dio indù nel corpo – concentrando tutta l’attenzione sulla cima del naso per perdere contatto con il mondo circostante e cominciando a realizzare la vera unità con il Brahman. La mamma di Rabi lo abbandona per tanti anni con il pretesto di spargere le ceneri del marito a Benares nel Gange - santa madre dei fiumi per l’ultima consegna dello spirito nelle braccia di Krishna - riprendendo gli studi universitari. Rabi decide di perfezionarsi nell’ashram di Durga dedicato a Visnù consorte di Lakshmi dello yoghi Brahmacharya che teoricamente avrebbe fatto il voto di celibato. In esso svetta una grande statua di Visnù e il lingam di Shiva che vanno adorati per acquistare il favore della deità. Dopo che la statua del dio Visnù – cioè il “dio” stesso - era stato risvegliato con la cerimonia della lampada era lavato ed adorato e verso le 5,30 si ascoltavano i “Veda”, si meditava 2-3 ore. Il primo mantra che fu prescritto a Rabi - “Hari OM Tat Sat” – poteva essere insegnato solo da un guru doveva essere espresso con alte vibrazioni della voce. Solo tramite il guru l’indù ha la speranza di essere liberato dalle catene dell’ignoranza e dalla ruota delle reincarnazioni. Il cuore era la meditazione trascendentale e lo yoga che Krishna dice essere la via più sicura per arrivare alla beatitudine eterna. Ma per i “Veda” e l’esperienza diretta dello yoghi Rabi, i demoni possono possedere gli yoghi: “Ma avrebbe potuto essere anche pericolosa. Esperienze psichiche spaventevoli, simili a quelle psichedeliche con le droghe, attendevano l’incauto meditatore. Si

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sapeva che dei demoni, descritti dai Veda, potevano prender possesso di alcuni yoghi. La potenza del Kundalini, avvolto a spirale alla base della colonna vertebrale, poteva suscitare delle esperienze estatiche quando veniva liberato da una meditazione profonda, oppure, se non opportunamente tenuto sotto controllo, poteva provocare dei gravi danni mentali e persino fisici. La linea di demarcazione fra l’estasi e l’orrore era molto sottile. Per questa ragione noi iniziati venivamo attentamente sorvegliati dal Brahmacharya e dal suo assistente … cominciai a vedere colori psichedelici, a sentire musiche psichedeliche, a visitare pianeti esoterici nei quali gli dei conversano con me … Talvolta mentre ero in trance mi imbattevo in terribili creature demoniache … Le potenze che avevano guidato mio padre stavano guidando anche me” (Rabindranath R. Maharaj, “Morte di un guru”, pp.30.62). Infatti le tecniche di iniziazione agli “dei” dell’induismo sono sotto pericolo di infestazione demoniaca: “Viene asserito [dai guru e dagli yoghi] che, senza un adeguato controllo, il kundalini [così come dello yoga e della meditazione orientale in genere] dia origine a potenze psichiche sovrannaturali prodotte da esseri demoniaci, che, alla fine, portano alla distruzione morale, spirituale e fisica. Tuttavia la meditazione e lo yoga cercano di risvegliare e di controllare proprio la potenza del kundalini. Anche in occidente alcuni praticanti di Meditazione Trascendentale e di altre forme di meditazione hanno avuto delle esperienze kundalini” (Rabindranath R. Maharaj, “Morte di un guru”, p.124). La seconda volta in cui Rabi fa esperienza di Gesù Signore e della Sua onnipotenza e quando sviene improvvisamente a scuola durante una partita di calcio, viene salvato da una peritonite, e in ospedale mentre tenta di raggiungere il bagno sviene ma prima invoca il nome di Gesù e “sente che una mano stava afferrandomi … ogni ombra di dolore era sparito e al suo posto era subentrato un inesprimibile senso di benessere e di forza” (p.61). Ma ciò che frenava Rabi era la vanagloria: “Io ero infatti uno yoghi che avrebbe reso famosa la nostra città, un guru che, un giorno, avrebbe avuto molti, molti seguaci … I miei conflitti interiori

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venivano dimenticati, completamente sopraffatti dall’intenso piacere che provavo nel venir adorato” (p.63). Un giorno mentre Rabi sta per “benedire” con la “kundalini” o “energia occulta luciferina” una vicina di casa che aveva deposto ai suoi piedi – in segno di adorazione – diverse monete, sentì una voce piena di indubbia e onnipotente autorità: “Rabi, tu non sei Dio!” (p.63). Dice Rabi: “Mi resi istintivamente conto che era stato il vero Dio, il Creatore di ogni cosa, che aveva pronunciato queste parole e cominciai a tremare” (p.63). Allora Rabi si rese conto che era stato il vero Dio, il Creatore di ogni cosa, che aveva pronunciato queste parole e cominciò a tremare capendo che l’utilizzo della “kundalini” – chiamata anche “pranoterapia”, “reiki”, “deva”, “shakti”, ecc. – era “un inganno e una frode manifesta”. Dice Rabi: “Mi trovavo completamente abbattuto, sotto la riprensione del vero Dio, scosso nella coscienza per aver osato di accettare l’adorazione che solo a lui era dovuta. Tutto il mio mondo fatto di orgoglio, stava crollando … sentii che dovevo gettarmi ai piedi del vero Dio per domandargli perdono” (pp.63.64). Rabi capisce: 1)”ero dispiaciuto, dolente per essermi comportato così villanamente con mia zia, con Ma’, e con tante altre persone … tutte le bugie che avevo detto, alla vita piena di superbia che avevo vissuto, all’odio coltivato nel mio cuore nei confronti di mia zia e di altri. C’erano stati momenti in cui avevo persino desiderato che essa morisse, pur essendo stato io stesso il predicatore della non violenza”; 2)”ma soprattutto addolorato per averlo derubato, appropriandomi dell’adorazione degli uomini che solo lui meritava” (pp.64.65). Quale il sentimento prevalente? “Mi pareva che ci fosse un’unica alternativa: il suicidio. Pensai e riflettei a lungo su questo terribile dilemma che mi sembrava essere l’unica soluzione. Potevo solo immaginare in quale maniera un atto del genere avrebbe potuto pesare sulla mia vita successiva, ma avevo più paura ancora di quella che stavo vivendo … Era ingiusto punirmi per qualcosa che avevo commesso nelle vite precedenti, quando non potevo ricordare un solo peccato commesso in alcuna di esse [per l’induismo è impossibile ricordare i “peccati” delle vite precedenti], e ciò malgrado avessi tentato, e talvolta persino

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preteso, di poterlo fare” (p.64). Rabi a quel punto capisce di essere stato un idolatra orgoglioso e superbo nonchè di essersi ingannato: “Come poteva essere Dio una mucca, un serpente o persino io stesso? Come poteva la creazione crearsi da se stessa? Come potevano tutte le cose essere costituite dalla medesima Divina Essenza? Tutto questo era la negazione di quella differenza sostanziale che esiste fra una persona vivente ed una cosa inanimata, ciò di cui ero, invece, profondamente persuaso, qualunque cosa in contrario dicessero i Veda o Krishna” (pp.64.65). E le “meditazioni” che Rabi faceva? “Questa unità di tutte le cose che avevo sperimentato nelle meditazioni mi sembrava, adesso, irragionevole! Soltanto l’orgoglio mi aveva accecato a questo punto. Avevo talmente desiderato di essere il Signore dell’ universo che ero arrivato al punto di credere un’ evidente menzogna. Cosa ci poteva essere di più malvagio? Si trattava della peggior specie di ipocrisia!” (p.65). Così si mette in gioco con il rischio di perdere tutto – il prestigio della casta bramina, la posizione di giovane yoghi, la benedizione degli dèi indù, la simpatia dei famigliari – e capisce che lo yoga e le tecniche di meditazione indù danno solo una falsa pace apparente e transitoria. Dalla falsa strada dell’autorealizzazione e dalla paura di non riuscire mai ad appagare Shiva e gli spiriti Deva alla “luce solare dell’amore di Cristo che ormai brillava nel cuore”! Non è un cammino facile e scopre che “ogni passo che mi avvicinava agli indù era un passo che mi allontanava dal vero Dio che stavo cercando” (p.66). Nell’induismo – tra i milioni di idoli – non ne esiste uno che sia “Amore” come l’essenza dell’unico vero Dio-Trinità! Nell’incontro con Molli - una cristiana di 18 anni - che annuncia Cristo l’unico mediatore universale di salvezza, Rabi capisce ancora di più che l’induismo è un insieme di falsi dogmi irrazionali: “Avevo sempre affermato che l’induismo era l’unica via, ma ora mi rendevo conto che il Gita diceva che tutte le strade portano al medesimo luogo e che qualunque cosa venga commesso (anche se non si è religiosi), il karman e la reincarnazione porteranno, in ultimo, la persona a Krishna. Ma non era un dogma anche l’affermare che Krishna fosse l’ultimo traguardo di arrivo come il sostenere che Cristo era l’unica

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via? Ed era proprio Krishna il dio che io stavo cercando? No. Nell’intimo del cuore sapevo che non era lui il vero Dio che volevo conoscere. Ma ero troppo religioso per ammetterlo, per cui continuai a discutere difendendo i numerosi concetti contraddittori” (p.67). Molly spiega a Rabi cosa è la vera pace e così capisce che lo yoga e la meditazione indù da solo una falsa pace: “«La gioia non è qualcosa che tu stesso puoi far nascere» disse Molli. «Se non c’è un motivo genuino che la generi, essa non sarà mai una gioia reale e sarà di breve durata. La mia gioia deriva dal fatto che i miei peccati sono perdonati e questo ha cambiato tutto il corso della mia vita. La pace e la gioia provengono da Cristo, dal fatto di conoscerlo personalmente»” (p.67). Rabi è stupito perché Molly parla di Dio, di Gesù, come se fosse un suo amico personale, proprio vicino a lei mentre nell’induismo gli dèi sono lontani, minacciosi e tutt’altro che amichevoli. All’inizio Rabi cerca di resistere a Cristo con tutte le sue forze leggendo anche il libro del filosofo ateo Bertrand Russell, “Perché non sono cristiano” e sperando che lo induca a rimanere indù; dice Rabi del libro di Russell: “fu per me una autentica delusione … le argomentazioni presentate da Russell erano deboli e forzate e più leggevo le ragioni che lo avevano indotto a non diventare cristiano, più che mi convincevo che io dovevo farlo: l’evidenza lo richiedeva” (p.72). Rabi sente la paura di perdere tutte le sue posizioni di privilegio di brahmino ma si chiede: “Per quanto tempo avrei potuto rifiutare di ricevere Cristo quando orami sapevo con tristezza che egli è realmente il vero Dio, il Salvatore che era morto per i miei peccati?” (p.72). Rabi conoscendo Gesù fa l’esperienza delle tenebre del cuore: “Ero arrivato, purtroppo, a conoscere in profondità quali fossero le tenebre del mio cuore. Alla fine, con riluttanza, dovetti riconoscere che tutte le mie sante abluzioni, le puja e lo yoga non avrebbero mai avuto il potere di cambiarmi” (p.68). Rabi capisce che non esiste l’autorealizzazione fino ad essere “Dio”: “Avevo lottato per raggiungere l’autorealizzazione, esaminando attentamente il mio io interiore, cercando di persuadermi che ero Dio. Ma avevo realizzato soltanto che ero irrimediabilmente perduto. «Essi chiacchierano tanto di autorealizzazione... ma diventano solo

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più egoisti!»” (p.68). Alla sera, Rabi dopo l’incontro con Molly, sebbene gli “dèi” lo tengono legati alla superbia dell’autorealizzazione ha il coraggio di pregare: “Dio, Dio vero e Creatore, ti prego di mostrarmi la verità! Te ne prego, oh Dio!” (p.69). Nel medesimo istante Rabi – come Nicodemo - rinasce dall’alto nella potenza dello Spirito Santo: “Qualcosa dentro di me si spezzò come una canna di bambù si rompe con un vento impetuoso. Per la prima volta nella mia vita ebbi la sensazione di aver realmente pregato e di essermi messo in contatto non con una Forza impersonale, ma con il vero Dio che ama e che si interessa dell’uomo” (p.69). Alleluia, Gesù è l’unico nome sotto il cielo nel quale possiamo essere salvati (cfr. At.4,12). Svuota la sua casa e getta nella spazzatura gli idoli indù, i talismani e i feticci presenti nel “grimorio” della sua famiglia: “Cominciammo [con l’amico cristiano krishna e con zia Revati anche lei diventata cristiana] assieme a trasportare ogni cosa nel cortile: il lingam di Shiva e gli altri idoli di legno, di creta e di ottone che avevamo chiamato dei; le scritture indù — ce n’erano venti volumi interi — avvolte nei sacri lini; tutti gli oggetti che venivano usati durante le cerimonie … tutti avevamo il medesimo desiderio di disfarci di tutto ciò che ci legava al passato e alla potenza delle tenebre che ci avevano accecato e tenuti schiavi per tanto tempo … Ispezionammo poi ogni singola stanza per togliere tutti i talismani, gli amuleti, i feticci, i quadri e gli oggetti religiosi e li gettammo sul mucchio di spazzatura che si trovava dietro il giardino … Eravamo in tredici ad aver aperto il nostro cuore a Cristo e sapevamo che i nostri peccati erano stati perdonati: dieci dei nostri familiari e altri tre cugini … Gioiosi e liberi dal timore che ci aveva legati in altri tempi, Krishna ed io scaraventammo via gli idoli ed i quadri religiosi, inclusi quelli di Shiva. Solo pochi giorni prima non avrei mai osato fare questo, per paura di venire immediatamente colpito dal Distruttore. Ma la ferrea morsa del terrore, che mi aveva tenuto stretto per tanto tempo, era stata spezzata dalla potenza di Gesù … Quando ogni cosa fu ammucchiata sopra la spazzatura, vi demmo fuoco … Le statuette di cui un tempo avevamo avuto paura, ritenendoli dèi, si ridussero in breve tempo in

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cenere. Le forze malvagie non ci avrebbero più terrorizzato” (pp.79.80). Sembra la pagina degli “Atti degli Apostoli” in cui si dice “astenetevi dalle sozzure degli idoli” (At.15,20) e che: “Molti di quelli che avevano abbracciato la fede venivano a confessare in pubblico le loro pratiche magiche [per piegare al proprio capriccio gli idoli pagani] e un numero considerevole di persone che avevano esercitato le arti magiche portavano i propri libri e li bruciavano alla vista di tutti. Ne fu calcolato il valore complessivo e trovarono che era di cinquantamila dramme d'argento. Così la parola del Signore cresceva e si rafforzava” (At.19, 18-20). Inoltre il profeta Ezechiele dice senza paura in un tempo dove gli idolatri erano la maggioranza: “Riferisci pertanto al popolo d'Israele: Dice il Signore Dio: Convertitevi, abbandonate i vostri idoli e distogliete la faccia da tutte le vostre immondezze, poiché a qualunque Israelita e a qualunque straniero abitante in Israele, che si allontana da me e innalza nel suo cuore i suoi idoli e rivolge lo sguardo all'occasione della propria iniquità e poi viene dal profeta a consultarmi, risponderò io, il Signore, da me stesso. Distoglierò la faccia da costui e ne farò un esempio e un proverbio, e lo sterminerò dal mio popolo: saprete così che io sono il Signore. Se un profeta si lascia sedurre e fa una profezia, io, il Signore, ho sedotto quel profeta: stenderò la mano contro di lui e lo cancellerò dal mio popolo Israele. Ambedue porteranno la pena della loro iniquità. La pena di chi consulta sarà uguale a quella del profeta, perché gli Israeliti non vadano più errando lontano da me, né più si contaminino con tutte le loro prevaricazioni: essi saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio. Parola del Signore»” (Ez.14,6-11). Inoltre Rabi capisce che la doppia appartenenza è un abominio agli occhi di Dio: “Sapevamo che non era possibile arrivare a dei compromessi, che non si poteva mescolare l’induismo con il vero cristianesimo. Erano cose diametralmente opposte. Uno era tenebre, l’altro luce. Uno rappresentava le molteplici vie che portano tutte alla medesima morte; l’altro, come aveva detto Gesù, era la via stretta che porta alla vita eterna” (p.79). Tant’è dice la Bibbia: “No, ma dico che i sacrifici dei pagani sono fatti a demòni e non a Dio. Ora, io non voglio che voi entriate in comunione con i demòni; non potete bere il

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calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni” (1Cor.10,20-21). Così Rabi capisce che “la vera potenza che si celava dietro gli idoli e dietro ogni filosofia che nega il vero Dio”, “quegli esseri che incontravo quando mi trovavo nella trance yogica in meditazione profonda, che si mascheravano in Shiva o in qualche altra deità indù” non sono altro che demoni. Dice Rabi: “Adesso avevo paura dei viaggi astrali e degli incontri con gli spiriti nei quali, una volta, mi dilettavo, ma non conoscevo altri modi per la ricerca di Dio all’ infuori dello yoga” (p.65). Rabi ha scoperto che solo Gesù poteva donargli il perdono dal peccato, la pace e la figliolanza divina! Capisce la follia della reincarnazione che vuole dare un nuovo corpo dietro l’altro senza una vera rinascita spirituale: “Non potevo immaginare una nascita fisica che fosse migliore di quella che già possedevo. Infatti ero nato in seno alla casta più alta, facevo parte di una famiglia facoltosa, ero il figlio di uno yoghi, avevo ricevuto tutti i benefici derivanti dall’educazione e dalla religione che mi erano state insegnate, ma la mia vita era stata un completo fallimento. Il solo pensiero di poterla migliorare ritornando infinite volte in questo mondo, con corpi diversi, era pura follia! … Io ero un tiranno viziato, non certamente Dio! E non lo sarei mai diventato. Era stato per me un sollievo poterlo riconoscere. E non avevo più alcun desiderio di essere Dio” (p.70). Dopo che Rabi aveva cantato assieme a Molly e agli altri fratelli cristiani “Meraviglioso è il mio Redentore” rifletteva tra sé: “Non avevo mai sentito dire da qualcuno che un dio indù fosse ‘meraviglioso’ … nessuno avrebbe potuto farlo riferendosi a Shiva o a Kalì, la sua consorte assetata di sangue, oppure a Ganesha il loro figlio prediletto, metà elefante e metà uomo. E questi cristiani cantavano anche che Gesù è il principe della Pace! Non c’era di meravigliarsi, quindi, che Molli avesse detto che per lei non occorreva più praticare lo yoga per avere la [falsa] pace” (p.74). Cosa stava succedendo in Rabi? “Negli anni trascorsi, le mie esperienze mistiche erano state una semplice fuga dalla realtà della vita quotidiana, che la filosofia indù chiamata maya, illusione. Ora desideravo ottenere la forza necessaria per affrontare la

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vita, per poter vivere la vita che Dio aveva programmato per me” (p.70). Rabi – a 14 anni - sceglie di passare dalla “pace superficiale” (p.70) o falsa pace dello yoga che è fuga dalla realtà alla vera pace che è la rinascita spirituale in Cristo! Rabi dice: “Da quando il Salvatore mi ha trovato, ha tolto il mio peccato, la luce brillante del suo amore è scesa dentro di me … [prima] non avevo alcun amore per il quale potessi cantare. Odiavo parecchie persone malgrado praticassi con rigore [lo yoga] e gli altri esercizi della mia religione [indù]. Esisteva una grande gelosia fra i diversi pundit che, talvolta, si odiavano ferocemente l’un l’altro. E certamente gli indù odiavano i musulmani e ne avevano trucidati centinaia di migliaia in India, prima e anche dopo l’indipendenza” (p.75). Così Rabi scopre che il “peccato” è vivere fuori dall’abbraccio di Dio che è Padre in Gesù Cristo, che il “peccato” è sprecare la “grazia” non essendo e non mettendo in pratica il “disegno di Dio” su di sé e che il “peccato” non era come il “cattivo karman” da migliorare semplicemente con degli sforzi personali per ottenere una reincarnazione migliore ma che Dio voleva perdonare il mio “peccato” perché – dice Rabi – “potessi appartenere a lui, anche se non lo meritavo, ed egli mi avrebbe aiutato a vivere la vita che aveva predisposta per me” (p.76). Cosa capì Rabi nell’aderire a Cristo? Dice Rabi: “Sarei stato liberato dalle paure che mi avevano tormentato durante tutta la vita: paura degli spiriti che ossessionavano i miei familiari, paura delle forze malvagie che esercitavano la loro influenza nella mia vita, paura di quello che Shiva e gli altri dei mi avrebbero fatto se io non li avessi continuamente appagati. Se questo Dio [l’unico Dio-Trinità] fosse diventato il mio Pastore non avrei più dovuto temere perché egli sarebbe stato con me, mi avrebbe protetto, mi avrebbe dato la sua pace ... Ebbene, doveva essere qualcosa di gran lunga migliore dell’autorealizzazione!” (p.76). Rabi invitando Gesù nel proprio cuore, scopre che mentre i falsi dèi indù non si curano di lui, anzi lo schiavizzano e gli incutano paura, invece Gesù ha cura di lui, lo perdona, lo purifica, lo salva, trasforma la sua vita e lo protegge continuamente! Racconta Rabi: “Piansi lacrime di pentimento per la vita vissuta fino a quel momento: per l’ira e l’odio, l’egoismo e

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l’orgoglio, per gli idoli ai quali avevo servito, per aver sempre accettato l’adorazione che apparteneva soltanto a Dio e per aver immaginato che egli fosse simile ad una mucca o ad una stella o ad un uomo Pregai per parecchi minuti e prima di aver terminato sapevo che Gesù non era uno dei tanti milioni di dei” (p.77). Rabi aveva capito che con lo yoga e la meditazione indù che ha come centro il Brahman o Sé, aveva rubato la gloria al vero Dio! Inoltre Rabi capisce come le “tecniche olistiche” che usava per illudersi di essere il divino erano spazzatura: “I viaggi astrali verso altri pianeti, la musica ultraterrena ed i colori psichedelici, le visioni yogiche ed i livelli superiori di consapevolezza che raggiungevo quando stavo in meditazione profonda, tutto questo, che una volta mi entusiasmava e mi autoesaltava, si era ridotto in polvere e in cenere. Ciò che ora stavo sperimentando non era certamente un’altra esperienza psichedelica. Ne ero ben sicuro. Molli mi aveva detto che Gesù avrebbe dimostrato, avrebbe dato la prova di chi egli fosse. E finalmente capivo quello che aveva voluto dire. Egli era venuto a vivere in me. Credevo che aveva tolto i miei peccati. Sapevo che aveva fatto di me, del mio interiore, una nuova persona. Non ero mai stato così profondamente felice. Le lacrime di pentimento si erano trasformate in lacrime di gioia. Sapevo finalmente, per la prima volta in vita mia, cosa fosse la vera pace” (p.77). In Rabi “tutta la fierezza di essere un bramino è svanita” ed era “l’amore di Gesù che inondava il mio animo” (p.77). Rabi, dopo il falò degli idoli indù che lo terrorizzavano e lo schiavizzavano, vive la nuova libertà in Cristo, possiede la vera pace e la vera gioia, capisce che nel falò insieme agli idoli – che per la Bibbia sono demoni – c’è anche la cremazione dell’uomo “vecchio” o guru yoghi autosufficiente: la morte di un guru e la nuova e meravigliosa vita in Cristo, come era successo a Nicodemo! Dice Rabi: “Il vecchio Rabi Maharaj era morto in Cristo. E dal sepolcro era risorto un nuovo Rabi nel quale Cristo ora viveva. Come era meravigliosamente diversa la resurrezione dalla reincarnazione” (p.80). Così la Bibbia schianta la falsa dottrina della reincarnazione: “E come è stabilito per gli uomini che muoiano una sola volta, dopo di che viene il giudizio” (Eb

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9,27). Infatti per Rabi “la religione [indù] che un tempo avevamo seguito con tanto zelo aveva, di fatto, aumentato i nostri contrasti … Ma Cristo ci aveva cambiato … Tutta la differenza era la grazia di Dio. Nati indù, non avevamo alcun idea di cosa fosse il perdono perché nel karman non esiste il perdono … Ora invece avevamo imparato da Cristo a perdonare di cuore” (p.81). Aderendo a Cristo viene liberata anche la casa di Rabi che era infestata dai demoni con la presenza di “rumori ossessionanti” e “oggetti che si spostavano da soli in modo pauroso”. Dice Rabi, nei “demoni” era “la vera potenza che si celava dietro gli idoli e dietro ogni filosofia che negava il vero Dio … gli stessi esseri che incontravo quando ero in trance yogica, in meditazione profonda, che si mascheravano in un Shiva o in qualche altra deità indù … io sentivo dentro di me una oppressione crescente a causa di presenze demoniache che aleggiavano in quella casa … circondato da idoli di aspetto spaventevole” (pp.81.87). Poi Gesù appare a Rabi, gli fa coraggio e gli dice: “Pace! Ti do la mia pace”. Mentre gli scritti indù erano solo una raccolta di miti contraddittori di personaggi mai esistiti, la Bibbia era un libro storico ispirato da Dio che parlava di persone realmente esistite che si rivolgeva ad ogni uomo, essendo Gesù il vivente che opera sempre! La nonna di Rabi viene guarita miracolosamente da Gesù. Il volto raggiante e pieno di gioia testimonia che tutta la famiglia è cristiana. Iniziano le malversazioni e il fanatismo degli indù e dei musulmani: uniti nell’odio contro il nome di Gesù, l’unica Via che porta a Dio! Rabi scopre che chi cerca la Verità sinceramente trova Gesù! L’ipocrisia dell’induismo lo presenta come la “religione [tollerante] disposta ad accettare tutte le altre” in realtà le fagocita annullandole e se non si fanno relativizzare secondo la sua ricetta sincretistica ed irrazionale – come nel caso del cristianesimo – l’attacca violentemente! Infatti Krishna dice che “una persona può scegliere qualsiasi strada: cioè ciascuno può fare ciò che vuole e comunque arrivare sino a lui” (p.96). Dice che “ognuno deve trovare in se stesso il suo dharma” cioè la sua verità relativista e sincretista che deve accordarsi con il resto del minestrone indù! Inoltre l’induismo – incompatibile in tutte le sue pratiche con Cristo - sfuma la differenza tra bene e male, tra creatura

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e Creatore e tra nulla ed esistenza! La superbia del sistema della caste indù è un “terribile male” che “eleva le barriere crudeli tra gli uomini”. La nuova dieta animale di Rabi – per un indù mangiare carne animale è sempre cannibalismo - lo ristabilisce perché quando era vegetariano “per la mancanza di proteine ero alquanto malaticcio”. Mentre Cristo “è venuto nel mondo per salvare i peccatori [e aggiunge San Paolo] il primo sono io” (1Tm1,15), il mito Krishna – al contrario - dice al capitolo 4 della Bhagavad-Gita: “Io stesso intervengo … per la distruzione dei peccatori”. Inoltre Krishna e gli altri dèi indù [e dèi pagani in generali] non hanno mai fatto nulla di simile a quanto ha fatto Gesù: l’unico vero Dio venuto su questa Terra per indicarci come vivere ma soprattutto per morire per i nostri peccati. Poi Gesù è risuscitato, è il vivente, invece Krishna, Rama o Shiva, oltre non essere mai esistiti non si racconta abbiano fatto mai nulla per alcuno! Rabi capisce che deve rifiutare fermamente il “pantheon” indù perché solo Gesù è l’unica “Verità” (cfr. Gv.14,6) e solo credendo in Gesù non si “muore nel proprio peccato” (cfr. Gv.8,21). Fantastico il racconto della conversione della zia Revati di Rabi al pundit Jankhi Prasad Sharma Maharaj che rimane impietrito di fronte alla conversione a “questa pazzia chiamata cristianesimo” nell’estremo tentativo di far restare indù la famiglia di Rabi; dice la zia Revati: «Baba, lascia che ti racconti anch’io quello che mi è successo. Mi trovavo nella stanza delle preghiere facendo la mia puja, quando improvvisamente una voce mi disse che tutti gli dei che stavo adorando erano falsi. Poi quella voce mi disse: ‘Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. ‘Sapevo che era Gesù che mi stava parlando. Pochi giorni dopo gli diedi la mia vita ed egli ha fatto di me una nuova persona. Il passato è tramontato, i miei peccati sono perdonati io sono certa che andrò in cielo per sempre! Sta a sentire quello che Gesù ha detto: ‘Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo Figlio unigenito, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna.’ Questa salvezza viene offerta a tutte le caste ed alla gente di qualsiasi nazione. Anche a te. Iddio ti può perdonare e dare la vita eterna, se solo riceverai Cristo nel tuo cuore e riporrai in lui la tua fiducia.» (p.86).

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La madre di Rabi, divenuta “maestra qualificata di yoga” e discepola del guru Baba Muktananda, dopo 11 anni di separazione torna a casa. Trova tutta la sua famiglia allargata cristiana ma insiste ugualmente “a descrivere i benefici derivanti dal dominare il proprio corpo e della meditazione orientale” anche se Rabi dice “noi sapevamo che queste pratiche aprivano la mente all’influenza degli spiriti maligni” (p.90). La madre di Rabi, solo dopo tre giorni, riparte per Porto of Spain dove accetta la più alta posizione nel più grande Tempio di Trinidad. Cosa fa? Venerata da una moltitudine crescente di indù, “l’orgoglio l’accecava” e “seduta, con le gambe incrociate e le mani strette l’una contro l’altra, stava davanti ad un grande specchio adorando il suo Io … e al di sopra dell’altare c’è un quadro del suo guru Muktananda ch’essa adorava e sul quale meditava tutto il giorno” (p.91). La madre di Rabi lo considera come una vergogna e un disonore: da possibile grande guru a cristiano! Ma Rabi vedeva che sua madre non aveva ancora conosciuto la vera Pace, Gesù, che si ottiene solo con un rapporto vivo con Cristo ma solo la falsa pace transitoria dello yoga. A lungo andare la madre di Rabi dovette ammettere: “Sono contenta di Rabi … ho visto che in lui c’è qualcosa di particolare, una luce che risplende nella sua vita” (p.94) e Rabi, commosso, riconosce sempre più che è Gesù che l’ha trasformato nella sua nuova vita in Cristo. Rabi va a Londra a studiare medicina e ben presto incomincia ad evangelizzare. Iniziando ad evangelizzare gli hippie scoprirà che “le medesime sensazioni degli yoghi alcuni li raggiungevano con gli stupefacenti, altri con la meditazione orientale” (p.95) e che “gli stessi spiriti maligni che mi avevano spinto in meditazioni sempre più profonde allo scopo di tenermi sotto controllo, si nascondevano ovviamente dietro gli stupefacenti, col medesimo fine diabolico (p.96)”. Anche la “meditazione trascendentale” era “una vera menzogna, un trucco degli spiriti maligni” (p.95). Rabi si stupisce quando un ragazzo preda della LSD, Pat, è estraniato completamente in un altro mondo – esattamente come Rabi vedeva in se stesso e nel padre quando facevano yoga – e gesticola “esattamente con gli stessi gesti delle danzatrici che gesticolano in un tempio indù” (p.96). Rabi si stupisce ancora di più quando conoscendo Michael, drogato,

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sebbene questi non abbia mai conosciuto l’induismo “i suoi pensieri su Dio, sull’universo e sulla esistenza umana” siano esattamente uguali a quelli che Rabi stesso aveva avuto quando era yoghi! Michael per mezzo delle sue esperienze con i narcotici aveva abbracciato la filosofia indù! Così Rabi scopre che molti drogati provavano le medesime sensazioni degli yoghi. “I narcotici erano la causa di stati alterati di consapevolezza, del tutto simili a quelli sperimentati per mezzo della meditazione. Per i demoni era così possibile manipolare i neuroni del cervello in modo da creare ogni sorta di esperienza apparentemente reale, ma che in realtà era solo un trucco ingannevole esercitato sulla mente … Cominciai a vedere che la medesima strategia satanica si trovava alla base dei narcotici, della meditazione, del sesso libero, della ribellione rivoluzionaria giovanile che in quei tempi cominciava a manifestarsi con il movimento degli hippies e per mezzo di alcune musiche come quelle dei Beatles e dei Rolling Stones. Ricordo un concerto dei Rolling Stones al quale erano intervenute 250000 persone a Hyde Park, tenuto in memoria di Bryan Jones, morto poco tempo prima per overdose. Quelle persone erano eccitate dalla musica come ci si eccita con l’hashish o con l’LSD” (p.96). In effetti, dice Rabi, “la filosofia che si trova alla base di tutta questa controcultura fatta di droga, di ribellione e di musica rock, era fondamentalmente l’induismo: il medesimo inganno circa l’unità di tutti gli esseri viventi, il vegetarianismo, il continuo evolversi della persona fino ad unirsi con l’Universo, la via che ognuno deve trovare per sé” (p.96). Così Rabi scopre che migliaia di giovani non solo diventavano schiavi della droga ma si inoltravano nella strada della meditazione trascendentale e di numerosi altri esercizi yoga. Rabi decide, negli anni ’70, di abbandonare la facoltà di medicina a Londra e di recarsi a Zurigo che intanto era diventata la “Mecca di moltissimi drogati” (p.101). Forte nello Spirito Santo e della scoperta di come i “giovani venissero trascinati nel misticismo orientale tramite gli stupefacenti” (p.101), Rabi segue le rotte di tanti giovani che da Zurigo partono per l’India per “sistemarsi in qualche tempio indù … o dedicarsi allo Zen o ad altre forme di buddismo” (p.103). Il risultato? Dice

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Rabi, “credere nella reincarnazione, mentre il loro cervello sarebbe stato dominato da spiriti malvagi” e “molti non sarebbero tornati dalla loro odissea; sarebbero morti per strada a causa di malattie o per overdose” perché “il Paradiso che speravano di trovare in India sarebbe stato invece l’ingresso all’inferno” (p.103). Rabi si impone il compito di far capire che “gli stupefacenti e la meditazione servivano solo ad aprire la loro mente agli spiriti malvagi” (p.103). Una decisione è urgente: respingere Cristo vuole dire scegliere la morte! Dice Rabi: “La filosofia dei guru della droga Timothy Leary, Alan Watts e Allan Ginsberg dimostrava una tale influenza induista, che coincideva in larga misura con gli insegnamenti dei guru indù Muktananda, Maharay Ji e Mahari shi Mahesh Yoghi. Questa nuova consapevolezza, derivata dal culto della droga e del misticismo, influenzava sempre più il pensiero nelle università, i discorsi nei clubs e durante le feste e permeava le produzioni cinematografiche e televisive” (p.108). Cosa è la “meditazione trascendentale”? È “l’induismo mascherato da pratica antistress … il suo carattere religioso viene nascosto abilmente dietro a termini apparentemente scientifici, in modo che l’uomo occidentale ne venga attratto ” (p.108). Rabi alle prese con Raymond, drogato, che per due volte aveva tentato il suicidio, viene preso per il collo e strangolato mentre Raymond gli urla: “Io sono satana!”. Così Rabi capisce ancora meglio che Raymond è “posseduto da demoni che erano entrati in lui durante le sue esperienze psichedeliche” e aggiunge “esattamente come io, per mezzo della meditazione, ero stato posseduto da spiriti malvagi” (p.104). Allora Rabi con fede prega Gesù e nel suo nome esercita fede e chiede a Gesù di incatenare i demoni di Raymond. Raymond crolla, si converte, confessa anche di aver venduto il suo corpo ad omosessuali per procurarsi i soldi per la droga. Questa è la vita nuova in Cristo che Rabi scopre: Cristo non era morto per ristabilire nuovamente l’Eden, perché la razza umana sarebbe ricaduta, ma era risorto per vivere in noi facendo del nostro cuore il suo trono cambiando fin da adesso il nostro modo di vivere; «sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in

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me.» (Gal2,20). Rabi per sottolineare la falsa via delle religioni orientali che respingono la “grazia” di Cristo cita il teologo Tozer: «Alcuni [yoghi, monaci buddisti, ecc.] pensano di doversi isolare dalla società umana per poter essere liberati da se stessi. Nella loro lotta per sopprimere la carne, negano ogni rapporto naturale... è antiscritturale pensare di riuscire a vincere la natura adamitica in questo modo... Essa non si piega di fronte ad altro che alla croce... Vogliamo essere salvati ma pretendiamo che Cristo ci eviti la morte... Rimaniamo signori del nostro regno e portiamo la nostra falsa corona con la fierezza di un Cesare... Se non vogliamo morire... il nostro essere non crocifisso ci deruberà della purezza di cuore, dell’atteggiamento simile a Cristo, della conoscenza spirituale e della fecondità» (A.W. Tozer, The Root of the Righteous, Harrisburg, PA., Christian Publications, Inc., 1955, pagg. 65-66). Rabi rivede sua madre per la terza volta in 21 anni. Dal tempio di New York del suo guru Baba Muktananda era tornata nel tempio principale dell’India dove si incontrano. Le chiede quale il risultato di migliaia di anni di karman e di una evoluzione per mezzo della reincarnazione che saliva verso “Dio” se la situazione dell’India è devastante, ma la madre non gli risponde. Improvvisamente Rabi dice a sua madre: “Il tuo guru non è Dio!” (p.115) che reagisce con ira: “Hai insultato il mio guru e la mia religione. Me ne vado!” (p.115). Rabi prega Gesù con la morte nel cuore e la madre torna. È la vigilia di Natale e Rabi regala una Bibbia alla madre che alcune settimane dopo da New York lo ringrazia e gli dice “la tengo sotto il cuscino e la leggo ogni giorno”. Prima di morire il guru Baba Muktananda promosse mia madre con il titolo di swami. Ma Rabi non si perde d’animo e continua a pregare per la conversione della madre! Conclude Rabi: “il piano di satana è controllare il cervello dell’uomo occidentale con il misticismo orientale” (p.97). È già ampiamente in atto l’induizzazione della società occidentale mediante le pratiche yoga, la meditazione e altre forme di misticismo orientale che sono “un tranello in cui non cadere” (p.108). È necessario opporsi al misticismo orientale che

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si è infiltrato in tutto l’Occidente in cui scelleratamente il Dio personale della Bibbia viene identificato con la natura, le forze cosmiche o la “Base dell’Essere” di Paul Tillich; tutte queste non sono altro che versioni occidentalizzate della dottrina induista del Brahman. Dice Rabi: “siamo di fronte all’inganno sconvolgente delle religioni orientali, accompagnato da un deterioramento emotivo e mentale e dallo sfacelo che si è prodotto nella vita di quelli che si sono rivolti ad esse” (p.118). Ad una conferenza ad Harvard, Rabi rispose ad uno studente che gli chiedeva quale sarebbe stata la sua reazione di fronte ad un indù diventato cristiano e ritornato all’induismo: “Secondo me, gli occidentali si rivolgono alle religioni orientali semplicemente perché non hanno conosciuto Cristo personalmente” (p.120). Immediatamente subito dopo la conferenza il professore di Harvard che l’aveva invitato nell’ambito del Dipartimento di studio comparativo delle religioni espresse il suo disappunto a Rabi: «Sono stato missionario in India per 20 anni e ho visto l’indiano che adora il suo idolo di pietra. Io credo che quando l’indiano adora i suoi dei egli adori il Dio della Bibbia. Lei non sta dando un buon aiuto alla comprensione reciproca fra le diverse religioni, di cui abbiamo molto bisogno, quando sottolinea con tanto vigore che esistono delle differenze talmente drastiche!» (p.120). Disse Rabi: «Reverendo, io stesso ero quell’indiano che adorava degli idoli di pietra. Oggi adoro il Dio della Bibbia e penso di essere qualificato per dirle che i due non sono affatto lo stesso. Sono distanti mille miglia l’uno dall’altro!» (p.120). L’india degli anni ’70 viene descritta da Rabi come una terra in cui “la miseria, la povertà, le malattie e le superstizioni sono sconcertanti” dove la gente “muore là dove è nata” e con “divinità che non dimostrano il più piccolo segno d’amore o di cura e che richiedono solo un timore maggiore” (p.113). Cosa ci si sente dire dal misticismo orientale? “Vivi nella tua abietta miseria ma al contempo sentiti Dio”, “Devi solo realizzare il tuo essere Dio”, “Hai le piaghe purulente che ti divorano ma questo è solo maya o illusione” (p.113). Si chiede Rabi: “Potrebbe esistere un inganno più diabolico? La radice dei grandi problemi dell’India è

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l’induismo con le sue fantastiche credenze nel karman, nella reincarnazione e nei falsi dei” (p.113). Aggiunge Rabi che gli occidentali sono incapaci di vedere come il misticismo orientale sia solo “oscurità e tenebre” (p.113) ed “un inganno così terribile poteva venire espresso soltanto dalla stessa astuta idea che riesce a convincere milioni di persone di autodistruggersi per amore di un paradiso fasullo goduto per mezzo degli stupefacenti” (p.113). Pensiamo alla controcultura del ’68 e alla sua scellerata propagazione del fenomeno della tossicodipendenza di massa! Infine sintetizza Rabi: “Più sperimentavo la vita di Cristo in me, più potevo vedere con chiarezza quanto fosse stato grande lo sbaglio fatto da mio padre e da me stesso. L’autorinuncia che viene praticata, in tutte le sue forme, dal misticismo orientale si basa sull’erronea persuasione che l’unico problema dell’uomo risieda nel suo pensiero, che parte da presupposti sbagliati, per cui egli ha bisogno di «realizzare» di essere Dio. Ma se io fossi veramente Brahman, avrei dovuto saperlo, rendendomene conto sin dall’inizio. Quale beneficio avrei nel «realizzare» un’altra volta quello di cui avevo già avuto conoscenza e di cui mi ero dimenticato? Certamente me lo dimenticherei di nuovo. Non poteva essere questa la soluzione: si trattava invece di una menzogna di Satana, volta a nascondere all’uomo il fatto che è il peccato che lo tiene separato da Dio. Non è possibile risolvere un problema negandone semplicemente l’esistenza. La morte di Cristo per i nostri peccati provvede la vera soluzione: il perdono di cui abbiamo bisogno per essere riconciliati con Dio. E la sua risurrezione ci dà una vita nuova che non ha mai fine. Se siamo disposti a morire per Cristo, accettando la sua morte per noi, potremo allora vivere realmente, ma solo allora. Quanto ero riconoscente che, in Cristo, ero morto a tutte le mie ambizioni egoistiche! Le mie preghiere non consistevano più in richieste, fatte a Dio, di benedire i miei progetti, ma erano un contatto con lui per imparare e per sottomettermi alla sua volontà … Cristo era morto sulla croce per assicurarmi la vittoria” (p.106).