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Pagina 1 Il cammino spirituale di una co- munità cristiana Prima testimonianza di Don Pino Caimo Parroco di Lissone

Il cammino spirituale

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Il cammino spirituale di una co-munità cristiana

Prima testimonianza di

Don Pino Caimo — Parroco di Lissone

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Il cammino spirituale di una comunità cristiana

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Il cammino spirituale di una comunità cristiana

Prefazione dell'autore.

La Giunta del CPU ha scelto di mettere all’o.d.g. una mia ‘testimonianza’ (è detta l°, la prima perché ne

seguirà un’altra!) per prepararci a un evento futuro ma ormai vicino, ossia l’accoglienza del nuovo

‘responsabile’ della Comunità pastorale’. Ho gradito la scelta perché la desideravo per preparaci

all’accoglienza e nel contempo per disporci alla condivisione pastorale.

Questo documento o testimonianza è stato letto nel pomeriggio della Giornata di spiritualità di avvento a

Triuggio, presenti solo trenta persone della Comunità, alle quali chiedo scusa se lo ripropongo.

Credo che possa davvero costituire una buona base di partenza per riflettere insieme sul futuro di questa

amata Comunità Pastorale.

Don Pino Caimi

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E‘ questo (in Triuggio, a Villa Sacro Cuore) un incontro ‘diverso‘, poiché non è motivato da una

programmazione da discutere e neppure da un problema da risolvere. In Comunità ce ne sono

molti ed anche complessi. Ma non è questo il momento e neppure l‘occasione.

E‘ diverso perché è una testimonianza. Per capirci è bene ricordare cosa significhi dare

testimonianza e chi è un testimone.

Un testimone è chiamato a dire quanto sa in ordine a un evento. Un testimone è una persona che ha

visto e udito qualcosa di cui deve rendere conto fedelmente. E’ uno che ha vissuto

un‘esperienza ed è in grado di parlarne. Di certo non in modo esaustivo. Ma è una persona che

apporta il suo contributo per fare chiarezza a proposito di un evento o per comunicare le sue

personali convinzioni, senza pretendere però di essere la verità.

Testimone è una persona che dona quanto ha, quanto sa perché sia possibile avere una visione

sintetica dell‘intera esperienza della quale altri hanno fatto parte.

Ecco: questa è la natura del momento che stiamo vivendo. Una testimonianza sul vissuto perché

possiate usarne per capire la Chiesa che insieme siamo..

E‘ ovvio che in questo momento ‗testimone‘ sono io. Ma potrebbe essere ciascuno di voi.

Trattandosi di ‗dire ciò che si è vissuto e si vive‘ nella Chiesa in Lissone.

La mia testimonianza riguarda dunque la mia vicenda pastorale. Potreste pensare che si tratta di

confidenze, forse motivate dall‘approssimarsi della conclusione del mio mandato pastorale che

sento come momento decisivo per me, quasi un verifica di una lunga vicenda pastorale. Anche

se al termine di tutto so che dovrò dire: ―Sono stato servo inutile‖. E‘ evangelico. E non chiede

commiserazione. E‘ la prima verità che testimonio davanti a voi.

La prima testimonianza che vi offro a partire dalla mia presenza pastorale nella chiesa che sta in

Lissone è legata a una parola sulla quale ho tentato di sviluppare quasi in filigrana tutta la mia

esperienza sacerdotale. Comunità. Credo che l’abbiate avvertito. Ho usato molto poco la parola

parrocchia per indicare la realtà nella quale mi trovavo e mi trovo. Ho sempre usato quel

termine perché è ‗caldo‘ e lascia intravvedere un bisogno dell‘uomo di tutti i tempi e in

particolare dell‘uomo confuso e solitario del nostro tempo, quello di sentirsi ‗dentro una

relazione viva‘, una comunione di persone dove si è accolti per ciò che siamo e dove si può

esprimere anche per gli altri ciò che siamo capaci di essere e di fare.

Se pure si usi ancora parlare di parrocchia – in un contesto che lentamente sta per essere superato

con l‘introduzione di una nuova forma ecclesiale, la Comunità Pastorale - bisogna ricordare che

essa non è principalmente una struttura, un territorio, un edificio. La parrocchia è in primo

luogo una comunità dl fedeli. Così infatti la definisce il nuovo Codice di Diritto canonico (can.

515,1). Questo doveva essere l‘obiettivo della parrocchia, oggi: essere una comunità, riscoprirsi

comunità. Cristiani non si è da soli. Essere cristiani significa credere e vivere la propria fede

insieme ad altri, essere Chiesa, comunità.

La chiesa è sempre stata comunione. Così l'ha pensata Gesù quando ha dato come legge del Popolo

di Dio il comandamento nuovo; o quando, ad esempio, l'ha dipinta in quel super-divino

affresco, che è la preghiera dell'unità, ove afferma che il rapporto dei fedeli con Dio e fra loro

deve rispecchiare quello della Santissima Trinità: "Io in loro e Tu in me, perché siano perfetti

nell'unità" (Gv 17, 23).

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Che la chiesa sia comunione lo ha detto e lo ha ripetuto san Paolo, quando ha parlato della chiesa

come di un corpo compatto le cui membra sono legate dall'amore. "Al di sopra di tutto - sono

sue parole - vi sia la carità, che è vincolo della perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri

cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo" (Col 3, 14-15).

Ne erano coscienti i primi cristiani, che erano un cuore solo ed un'anima sola sì da arrivare alla piena

comunione spirituale e materiale.

Esigevano questa "comunione" i Padri della chiesa. Cipriano, ad esempio, affermava: "Cristo

(... ) ci ha prescritto di essere d'un solo cuore e di un'anima sola, ci ha raccomandato di

conservare integri e inviolati i legami dell'amore e della carità... chi non ha la carità, non ha

Dio".

Diceva Agostino: "Come dai singoli chicchi, raccolti insieme e per così dire mescolati fra loro

nell'impasto, si forma un pane, così mediante l'armonia dell'amore si forma un corpo di Cristo".

E menzionando l'Eucaristia, che è vincolo d'unità, Cirillo di Alessandria affermava: "Tutti noi

siamo, dunque, un solo essere nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Un solo essere per la

nostra comunione con la carne santa di Cristo. Divisi in qualche modo in personalità ben

distinte, siamo fusi in un solo corpo nel Cristo...".

Così pure il magistero della Chiesa ha spesso invitato a questa comunione. In modo tutto speciale

poi il Vaticano II: "L'ecclesiologia di comunione - dice la Christifideles laici - è l'idea centrale e

fondamentale nei documenti del Concilio" (n. 19).Nell'enciclica Ut unum sint, a carattere

ecumenico, Giovanni Paolo II insegna: "Credere in Cristo significa volere l'unità; volere l'unità

significa volere la chiesa; volere la chiesa significa volere la comunione" (n. 9).E ancora il Papa

in un suo discorso precisa: "Dio è comunione, è comunione perché è amore, ed essendo amore

non può non essere comunione. Noi portiamo nelle nostre radici questa realtà di Dio che è

"comunione" (...). Così nasce la chiesa (...). Così nasce anche la chiesa in ogni parrocchia".

Ma ad là di queste affermazioni fondamentali che attraversano l‘intera storia della Chiesa fino ai

nostri giorni, la mia testimonianza cala dentro quella porzione di Chiesa nella quale ho vissuto il

mio essere cristiano e prete, con doveri precisi nel ministero e nell‘obbedienza. Ecco allora

un‘altra mia testimonianza.

La qualità della mia quotidianità del credere di stare e di operare in una comunità di credenti. E’

evidente che i legami più sentiti siano quelli familiari e amicali. Quelli sociali sono dovuti a

motivazioni le più diverse. La stessa coscienza nazionale fa fatica ad essere manifestata. Le

relazioni dentro la comunità cristiana fanno fatica a diventare ‗comunione vissuta‘ proprio

perché nel vissuto non si parte dalla coscienza di essere discepoli del Signore, di essere

credenti,, di vivere una chiamata alla comunione di sentirsi oltre che fratelli e sorelle, amici

attenti gli uni agli altri. Sono testimone di questa ‗fatica ecclesiale‘: nonostante i continui e

ripetuti appelli alla comunione questa rimane sempre all‘orizzonte del vissuto di una parrocchia.

Ho avvertito in questi anni l’appartenenza alla singola parrocchia piuttosto come un impedimento

alla libera e corale espressione di un autentico amore fraterno vissuto nella comunione gioiosa,

nella condivisione, nella vita quotidiana. Essa proviene dai meandri dei secoli passati: ha

generato spesso uno zoccolo duro di fedeli che apparentemente è stato e viene vissuto come

una comunione di persone attive nella vita parrocchiale. In realtà hanno finito per diventare

ostacolo alla condivisione e quindi impedimento alla comunione.

Ho sentito che la chiesa è comunità cristiana in quanto designa dice e realizza una pratica specifica,

legata all‘annuncio del Regno (la Chiesa, noi tutti, annunciamo che il Regno è presente in

mezzo a noi e tutti sono invitati a farne parte). Ciò significa che la comunità cristiana è una

realtà che rompe col codice sociale dominante nella storia, basato su denaro e interesse, autorità

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sostituendovi rapporti sociale basati su altri valori. Questo nuovo sistema è la chiesa. Ma

bisogna non trasformare la comunità – ossia la comunione di credenti - in un‘esperienza valida

solo con persone incontrate e accolte nel gruppo. Bisogna invece vedere come si riesce a

comunicare e a riconoscere che ‗c‘è unità tra le persone che, ad esempio, si ritrovano insieme

per l‘Eucaristia domenicale.

Una terza testimonianza. Come viviamo il nostro essere comunità cristiana? Una prima risposta,

onesta e sincera, dice il limite che ho riscontrato e ho vissuto in questi anni: ho sempre pensato

e creduto (sulla base anche di quanto i nostri superiori con ritmo alle volte frenetico

pastoralmente parlando ci hanno indicato) che una comunità di cristiani debba essere ben

organizzata. Alle volte, passando in rassegna alcuni siti, entravo in crisi costatandone

l‘efficienza organizzativa. Del resto non ho davvero mancato di dare una struttura organizzativa

alla Comunità pastorale che insieme stiamo vivendo. E mi ha seriamente impegnato. Ma una

comunità cristiana non nasce da una perfetta organizzazione. Comunità significa comunione. A

fronte di un massiccio sforzo organizzativo rimane sempre vero che la comunità cristiana non è

certo un'impresa facile. Non si tratta di una comunità solamente umana. La comunità cristiana è

realtà umano-divina. Alle volte ho dimenticato , che la Chiesa comunità non nasce innanzi tutto

dagli sforzi solamente umani. E' Cristo stesso a suscitarla. E' l'annuncio della sua Buona

Novella a radunare i fedeli. L'origine e il principio della comunità ecclesiale è la Parola di Dio

annunciata, ascoltata, meditata e messa poi a contatto con le mille situazioni di ogni giorno,

Ecco subito un‘altra testimonianza. Ho la netta sensazione di aver dato troppo poco spazio alla

Parola di Dio nel vissuto della comunità. Percepisco ogni giorno la insufficiente frequentazione

della Parola di Dio da parte dei nostri cristiani. Essa non occupa la loro vita e tanto meno è

all‘origine della nostra comunione. Ci sono state tante proposte (Corsi biblici, Lectio divina,

diffusione dei vangelo, ecc.) ma non credo di essere riuscito a mettere al centro della vita

cristiana personale e comunitaria la Parola di Dio. Questo può essere richiamo per un futuro

diverso e più radicale nel dare il primo posto al Signore.

Ancora una testimonianza sulla ‗spiritualità‘ del nostro vissuto di Chiesa. I discepoli del Signore, i

cristiani uniti tra loro dalla Parola vissuta sono generate dall‘Alto e formano il vero popolo di

Dio. Questa consapevolezza non è condivisa. Percepisco nel quotidiano più l‘alterità che non la

comunione tra i fedeli del Cristo. Eppure tutti hanno ascoltato la stessa Parola (anche, come

detto prima, se non in modo sufficiente). La Parola di Dio annunciata e accolta costruisce

l‘identità ecclesiale. Che la nostra comunità sia attraversata dalla Parola non risulta proprio

evidente.

La comunità cristiana nasce dunque dalla Parola, ma ha per centro e culmina con la celebrazione

dell'Eucaristia. Un‘altra testimonianza si aggiunge alle precedenti. Lo sguardo si posa sulla

vitalità liturgica della nostra comunità: la liturgia come espressione della fede vissuta nella

comunione fraterna: si apre davanti a noi un capitolo decisivo, vasto e delicato, per verificare

quanto la comunione fraterna sia profondamente condivisa. La preghiera. I sacramenti. Quale

posto occupano in realtà nella vicenda ecclesiale e nella vita personale e familiare. Do

testimonianza dell‘impegno che ho misurato in tanti cristiani a proposito delle liturgie. Do

testimonianza anche però dalla fatica dell‘educare la comunità alla preghiera. Constato ogni

giorno il pericolo dell‘accidia, quella soffusa e diffusa pigrizia spirituale che attenua i desideri

dell‘anima della nostra gente e li smorza. Così si assiste a risposte deboli alle proposte di vita

spirituale.

Ancora una testimonianza. Ciò che celebriamo deve informare la nostra vita. L'eucaristia ci rivela il

senso delle nostre fatiche, di tutte le difficoltà che incontriamo sul nostro cammino, il senso di

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ogni dolore. Unito al sacrificio di Cristo tutto questo può diventare offerta a Dio e fonte di vita.

Nulla può fermare il cammino di una comunità che ha imparato a vivere la sua vita come una

continuazione dell‘amore di Gesù che ha il suo culmine sulla croce e la sua irradiazione nella

risurrezione: come un morire e risorgere insieme a Cristo (cf. Rm 6,4-8). Non possiamo

ovviamente misurare l‘incidenza che la Parola di Dio e la grazia dono dei sacramenti celebrati e

ricevuti nell‘azione liturgica della comunità hanno nella vita delle persone. Ma nel cammino

della comunità sì: in qualche misura possiamo verificare come e l‘una e l‘altra definiscano il

volto di chiesa che siamo noi. Anche perché la gente comune che d chiesa sa poco o nulla vede

e giudica l‘esteriorità dell‘essere chiesa nella realtà sociale. Le sue iniziative, le sue proposte, le

sue realizzazioni, i suoi errori e le sue povertà. Ma non riescono a penetrare l‘intimo della

comunità cristiana. Ciò che voglio dire è che anche i cristiani più fedeli fanno fatica a capire la

Chiesa così come l‘abbiamo in qualche misura descritta. Ed ecco allora la critica all‘interno,

l‘accanimento anche su scelte pastorali che attingono alla realtà misterica della Chiesa. Troppa

facilità di critica, penoso addirittura pensare la chiesa come quella dei preti. Anche se è vero

che alle volte la testimonianza dei laici non è così forte da far capire agli indifferenti che la

Chiesa è u‘altra realtà. E questa è un‘altra testimonianza che potrebbe aprire un capitolo del

tutto nuovo nell‘esame di coscienza di comunità.

Manca una ultima testimonianza. Almeno per quanto mi riesce di contemplare la Chiesa che ho

servito nel mio ministero. Vi è un terzo elemento che fa la comunità: è la carità effusa nel

nostri cui dallo Spirito Santo (Rm 5, 5). Che cosa infatti sarebbe una comunità senza la carità ?

Che cosa sarebbe se non attuasse quello che il Concilio ha chiamato la legge del nuovo popolo

di Dio: il precetto di amare come lo stesso Cristo ci ha amati? Che cosa sarebbe senza una vita

di comunione e senza una testimonianza di fraternità?

Questa carità però deve farsi visibile. Essa deve permeare ed ordinare tutti gli aspetti della vita

della comunità. La comunione spirituale deve farsi comunione di tutta la dimensione umana,

deve generare una socialità autenticamente cristiana. E' importante che la chiesa, la nostra

comunità, diventi sempre più un centro di aggregazione umana e cristiana, cioè realizzi una

piena dimensione comunitaria. Le nostre comunità sono chiamate ad essere un'anticipazione

della civiltà dell'amore. E ciò significa che, sul modello delle prime comunità cristiane, esse

devono realizzare strutture sociali concepite all'insegna della fratellanza, uno stile di rapporti

informati dallo spirito di pace e del dono reciproco, una solidarietà che risani il corpo sociale,

una vita spirituale comunitaria capace di unire l'amore di Dio e l'amore del prossimo. Questi

aspetti sono necessari per la maturità di una comunità e per l'efficacia della sua testimonianza. Il

mondo di oggi, spesso lontano da Dio, guarda più ai fatti che alle parole. Ma è Gesù stesso ad

avviarci su questa strada: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli

uni per gli altri". (Gv 13, 35). La parrocchia è un luogo privilegiato per dare questa

testimonianza, ripetendo nel nostro tempo il prodigio delle prime comunità, il prodigio di una

vita nuova non solo spirituale ma sociale e storica.

Ed ecco il momento di una testimonianza, diciamo, di attualità assoluta. L‘essere ora immersi in

un‘esperienza di Chiesa per lo meno nuova, imprevedibile nei suoi sviluppi, in parta inattesa

quasi improvvisata (anche sa da noi è stata preceduta da un decennio di comunione tra le

parrocchie), mette in primo piano e in modo assolutamente evidente la difficoltà di vivere la

comunione fraterna al di fuori di quel ‗contesto territoriale‘ che erano le nostre parrocchie.

Paradossalmente questo evento della chiesa ambrosiana conduce a meglio capire cosa sia

davvero la Chiesa e come viviamo in essa il mistero della comunione con Dio e tra di noi. La

mia testimonianza è diversificata. Anzitutto personalmente credo in questa esperienza in atto. Ci

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vedo di più la Chiesa del Signore, colgo in essa l‘opportunità di incontrare e vivere la

comunione fraterna con altri cristiani, gente della mia stessa fede, prima assolutamente

indifferenti al mio vissuto. E un‘esperienza che tracima gli argini parrocchiali anche se le

resistenze sono tante e non sempre comprensibili. E questa è un‘altra testimonianza. Non solo

credo a questa esperienza ma penso che i cristiani nel loro cammino di fede riusciranno a

viverla intensamente, con gioia. Tornando all‘organizzazione la Comunità è strutturata in modo

che permette e l‘esperienza della comunione fraterna, anima della chiesa e l‘impegno spirituale

e pastorale negli ambiti tradizionali delle vecchie parrocchie. Se mi verrà chiesto di dare

testimonianza non mi costerà fatica alcuna dire che ho profondamente vissuto questa modalità

di Chiesa, prima nella forma dell‘Unità e poi in quella della Comunità pastorale. E se mi

dovessero chiedere un parere sul futuro mi permetterò di dire che in essa è visibile l‘azione

dello Spirito santo che sta spingendo la sua Chiesa verso un futuro che le nuove condizioni

sociali del mondo intero richiedono. Non mancano ovviamente difficoltà incomprensioni,

resistenze: ma è da piccini, è ancora – ritengo – un retaggio di una visione di chiesa

‗gerarchica‘ che resiste a fare spazio alla chiesa comunione. Quella conciliare.

Costruendo la comunità cristiana sui capisaldi della esperienza spirituale (Ascoltare e vivere la

parola nella sua dimensione comunitaria. Mettere al centro l‘Eucarestia. Fare della carità

reciproca il tessuto della comunione) e restando nello stesso tempo saldamente uniti ai sacerdoti

e ai vescovi, si potrà essere autentico lievito nel mondo offrendo una modalità nuova e

affascinante di vivere la propria storia.

.Di qui l’ultima mia testimonianza. Con l’annuncio della parola, con il dono dei sacramenti, con il

servizio del ministero i vostri sacerdoti continuano in mezzo a voi la presenza di Gesù Buon

Pastore a favore della comunione ecclesiale e dell‘unità. Chiedete a noi, vostri preti, di essere

servi della comunione ecclesiale., Di andare oltre le proprie visioni personali. Di essere

costantemente attenti e pronti all‘azione dello Spirito che agisce in mezzo a noi.

In questa testimonianza si sente l‘appello di Giovanni Paolo II: "Occorre stringersi insieme unendo

le forze in una gara di comprensione reciproca e di amore sincero, che faccia convergere tutti

intorno al pastore comune, il vescovo e coloro che lo rappresentano nella Comunità pastorale, in

particolare il’referente, una volta parroco. Intorno a questo centro si deve formare una

comunità di persone che si stimano e si amano"