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1 IL CONTADINO DEL PRETE Commedia brillante in due atti Di Maria Teresa Pazzaglia Tel: 0547 666945 Cell. 339 1783850 E-Mail: [email protected]

IL CONTADINO DEL PRETE...1 IL CONTADINO DEL PRETE Commedia brillante in due atti Di Maria Teresa Pazzaglia Tel: 0547 666945 Cell. 339 1783850 E-Mail: [email protected]

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1

IL CONTADINO DEL

PRETE

Commedia brillante in due atti

Di Maria Teresa Pazzaglia

Tel: 0547 666945

Cell. 339 1783850

E-Mail: [email protected]

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Personaggi e interpreti

Don Pasquale: parroco di San Martino

Guelfa: perpetua di don Pasquale

Gisto: contadino

Cesira: moglie di Gisto

Mafalda: devota parrocchiana

Cav. Onorio: industriale del paese

Liberata operaia del cav. Onorio

Untà operaia del cav. Onorio

La scena si svolge nella canonica della parrocchia di don

Pasquale. Servono sedie, un inginocchiatoio, un armadio, un

mobile con cassetti per gli arredi, un tavolino vicino alla parete

con due sedie. Una porta a sinistra verso la chiesa, una a destra

verso la cucina e la porta centrale verso l’ esterno. E’ ambientata

all’ inizio degli anni sessanta, al tempo dell’ abolizione della

mezzadria.

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ATTO PRIMO

( La scena è vuota; entrano Don Pasquale per primo, seguito da

Liberata e Unità.)

Don Pasquale: Lasciate fuori quelle bandiere! Una cosa così non si era mai vista,

mai mai, mai! Il mio signore! La processione del crocefisso e

attorno le bandiere rosse!

( cammina avanti e indietro arrabbiatissimo)

Liberata: Era l’ unico modo per far vedere alla gente i nostri problemi.

Unità: Sì, i nostri problemi.

Don Pasquale: C’ era bisogno di fare la manifestazione proprio quando passava

la processione? Quel povero Cristo in croce doveva proprio

passare in mezzo alle bandiere rosse? Abbiamo fatto la curva

dopo la piazza e ci siamo trovati con tutte le bandiere da una

parte e dall’ altra. Povero il mio Signore! Io dico che neppure lui

dal paradiso aveva mai visto una roba così!

Liberata: Il Signore sta dalla parte dei poveri.

Unità: E delle donne povere.

Don Pasquale: Volete insegnare il vangelo a me? Voi comuniste senza dio, figlie

di quel mangiapreti di Marx?

Liberata: Sarà anche un mangiapreti, ma lui voleva che gli operai avessero

il pane da mangiare.

Unità: E no che i signori ci rubassero il pane dalla bocca.

Don Pasquale: Non lo sapete che “ la strada dell’ inferno è lastricata di buone

intenzioni”? L’ ha detto ,il vostro profeta Marx. E io adesso non

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ritiro affatto la denuncia dai carabinieri, perché avete rovinato la

processione.

Liberata: Noi l’ abbiamo fatto per i nostri diritti e se voi andate avanti con

la denuncia avrete la responsabilità sulla vostra coscienza.

Don Pasquale: Che responsabilità ho io? Perché ho fatto la processione come si

usa fare da trecento anni a questa parte? Siete voi che avete

rovinato la processione e l’ avete sporcata di sangue, il sangue

del povero Cristo in croce.

Liberata: Il sangue di noi povere donne che lavoriamo per quattro soldi

dieci ore al giorno per fare ricco il padrone.

Unità: Il nostro sangue e la nostra vita.

Don Pasquale: Basta, basta, andate via, che oggi ne ho avuto abbastanza. Le

vostre manifestazioni fatele davanti alla fabbrica, ma non davanti

al Cristo.

Liberata: San Francesco stava dalla parte dei poveri.

Unità: E con le povere donne.

Don Pasquale: Ma non andava mica per la strada con le bandiere rosse, come

voi. Dai via.

Unità: Ci pensi bene e guardi di ritirare quella denuncia, che il

maresciallo ha detto che dipende solo da voi.

Don Pasquale: Sì, Eh! Adesso andate.

( le accompagna alla porta; le due donne escono; subito dopo

entra Guelfa)

Guelfa: Le avete trattate troppo bene quelle due lì; siete troppo buono

voi.

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Don Pasquale: Perché secondo voi sono dolce come il miele? Ho un nervoso che

le avrei prese a schiaffi nella faccia, loro due e tutte le altre che

erano nella strada con le bandiere. C’ erano tutte, una trentina,

almeno quindici da una parte e quindici dall’ altra, tutte con le

bandiere e nel mezzo la processione.

Guelfa: Mi hanno detto che eravate più rosso voi in faccia , delle

bandiere, che eravate dello stesso colore.

Don Pasquale: Non prendetemi in giro che non ce la faccio più dal nervoso.

Guelfa: Ormai è passata, dai su, non pensateci più e ste allegro.

Don Pasquale: Sarà anche passata, ma la vergogna , quella, hai voglia te prima

che passi e anche il nervoso.

Guelfa: Cambiamo discorso che è meglio. Avete chiesto a don Michele

come sta la Peppina?

Don Pasquale: Mi ha detto che la poveretta, anche lei ormai ha i suoi anni e un

sacco di dolori e che ogni tanto sta male.

Guelfa: Cosa ha fatto? E’ grave? So che ormai fa tutti i lavori lui.

Don Pasquale: Mi è parso di capire che ancora no, però non lo so, il dottore ha

detto che è tutta gioventù, ha passato gli ottantacinque anni.

Guelfa: Quel poveretto di don Michele è ridotto a fare l’ uomo e la donna;

povero prete, è messo male. Dite, mo e se la Peppina muore?

Don Pasquale: Vorrà dire che ne troverà un’ altra più giovane. ( ride)

Guelfa: Avete sempre voglia di scherzare voi, anche con la morte.

Don Pasquale: “ Vitam aeternam non est; Mors omnia solvit”. La morte risolve

ogni cosa.

( entra Mafalda, proviene dalla chiesa)

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Mafalda: E come mai don Michele è già andato via? Prima l’ ho visto che

correva con quella lambretta come un matto.

Don Pasquale: A lui piace correre forte.

Guelfa: Speriamo che vada ben dritto per la strada.

Don Pasquale: Speriamo che faccia le curve bene, sennò una volta o l’ altra si

trova diritto di corsa davanti a San Pietro.

Mafalda: Macchè davanti a San Pietro, quello rischia di trovarsi all’ inferno.

Guelfa: Ma cosa ti prende oggi Mafalda, ti sembrano cose da dire su un

prete?

Mafalda: Non mi fido mica tanto di quello io, con tutti gli scherzi che fa…

Don Pasquale: Siete proprio una Mafalda malfidata, se non avete fiducia neppure

in un prete.

Guelfa: Non ha tutti i torti però; io non vorrei che quel prete fosse uno che

canta e incanta, che prega e vi frega.

Don Pasquale: E queste sono cose da dire in una sagrestia? E poi su un prete?

Mafalda: Lo sapete pure anche voi che quello è uno che è capace di

prendere in giro tutti, che fa vedere San Pellegrino in una bottiglia

di semola. E fa gli scherzi anche agli amici suoi … quello…

Don Pasquale: Adesso basta, pensate sempre male, siete due cornacchie

malfidate, te ( indica Mafalda ) e la Guelfa.

Guelfa: Hai un’ aria Mafalda, non è che nascondi qualcosa?

Mafalda: Eh … bè … noo …

Don Pasquale: Non voglio più sentire le vostre chiacchiere, basta, vado da Gigin..

( Don Pasquale esce )

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Guelfa: Hai delle novità, vero?

Mafalda: Non sai l’ ultima, Guelfa, ormai ne parlano in tutto il paese.

Guelfa: Cosa è successo?

Mafalda: E’ una cosa da non credere, non lo direbbe nessuno, proprio al

prete.

Guelfa: Al prete cosa? Parla dai.

Mafalda: Dì, io non so niente, io non ti ho detto niente, non voglio colpe, se

poi sono solo chiacchere …

Guelfa: Ho, insomma, mi vuoi tenere sulle spine?

Mafalda: Se non fosse vero, io non voglio sapere niente.

Guelfa: Mi vuoi vuocere sul fuoco, pianino pianino, come un maialino

infilato nel girarrosto?

Mafalda: Allora te lo dico.

Guelfa: Eh, dai, Mafalda, mi sembri strascicata come una lumaca, dai

forza, sputa il rospo.

Mafalda: Uhei! Lumache, rospi, cosa ti prende oggi?

Guelfa: ( battendo i piedi per la tensione) Allora se non hai il coraggio ti

vado a prendere un bicchiere di albana, così parli. ( esce e rientra

con una bottiglia e due bicchieri, versa il vino, le due donne si

siedono e ogni tanto si versano da bere, fino a diventare un po’

alticce)

Mafalda: Speriamo che non arrivi don Pasquale.

Guelfa: Non ti preoccupare, è andato a dare l’ olio santo al povero Gigin.

Mafalda: E’ già morto?

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Guelfa: Dì, ha novantotto anni, dicono che ormai sia alla fine.

Mafalda: Ma perché hai detto “ il povero” se non è ancora morto?

Guelfa: Perchè, perchè, ormai non c’ è più niente da fare il poveretto,

povero è anche se è ancora vivo. Dì ti ha fatto bene l’ albana?

Mafalda: E’ proprio buona, ci voleva, sì.

Guelfa: Allora adesso racconta tutto quello che hai da dire.

Mafalda: Il fatto è che …

Guelfa: Che …

Mafalda: Che … il vostro contadino era alla festa dell’ umidità, col fazzoletto

rosso al collo e stava a sentire il comizio di quel senza Dio che è

venuto da Forlì.

Guelfa: ( si fa il segno della croce) Oh, madonnina santissima, non può

essere vero, no, no, non è possibile.

Mafalda: E invece è proprio vero.

Guelfa: Ma se glie l’ aveva mandato e raccomandato don Michele, che era

il suo contadino; vuoi che non lo sapesse?

Mafalda: Secondo me lo sapeva, eccome! Lui se n’ è liberato e ha scaricato

il problema al suo amico, prete.

Guelfa: E ha fatto un dispetto così a un altro prete? Un suo amico? Lo

dicevo io che non c’ era da fidarsi!

( versa da bere un altro bicchiere per tutte due, bevono )

Mafalda: Dicono che sia un burlone don Michele, ma stavolta l’ ha fatta

grossa.

Guelfa: Non ci posso credere. Mo mamma mia, quando lo verrà a sapere

don Pasquale! Ma chi ha il coraggio di dirglielo adesso?

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Mafalda: Io no di sicuro, questo tocca a te.

Guelfa: Ah sì, mi hai dato una bella gatta da pelare, va pur là.

Mafalda: Tutti abbiamo le nostre, a te tocca questa.

Guelfa: Ne avrai te, sei da sola, non devi rendere conto a nessuno.

Mafalda: Proprio per quello le ho, che se non trovo da lavorare non so

come fare, da quando è morto il mio povero babbo.

Guelfa: Fatti coraggio che un pezzo di pane da mangiare lo troverai e poi

di sicuro don Pasquale farà in modo di darti una mano.

Mafalda: Spero solo in una sua parola buona, perché alla mia età ormai non

mi vuole più nessuno.

Guelfa: Ma stai a sentire, adesso che sei rimasta da sola, perché non fai

un pensiero di sposarti?

Mafalda: Sposarmi io? No, no, non l’ ho fatto da giovane, vuoi che lo faccia

adesso?

Guelfa: Dicono pure che si fa sempre in tempo, che non è mai troppo

tardi.

Mafalda: Mo va là non vedi, mi fa male questa gamba che non riesco a

camminare, mi fa male questo braccio che non lo posso muovere;

non parliamo della cervicale, qui nel collo, qui, vè; e poi la colite

nella pancia, la prissione, il colistirolo…

Guelfa: Basta, basta, fermati, sennò ti ci vuole il libro intero delle

malattie. Ma insomma, ne hai una bella fila. Mo allora non hai mai

avuto neppure un moroso?

Mafalda: Non ho mai avuto nessuna domanda.

Guelfa: Una domanda di che, della mano o della natura?

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Mafalda: Nessuna delle due.

Guelfa: Dì, non lo sai, chi troppo e chi niente. Dai valà, sarà meglio che

andiamo a finire i lavori in chiesa.

( Guelfa e Mafalda si alzano ed escono verso la chiesa; subito dopo

entra di soppiatto Gisto: è vestito da contadino, con la camicia

verde e un fazzoletto rosso al collo nascosto dalla camicia; si

guarda attorno, controlla che nella camera non ci sia nessuno)

Gisto: Non c’ è nessuno, venite avanti, dai, fate presto.

( entrano di soppiatto Unità e Liberata, con in mano due bandiere

rosse)

Passate da qui.

Liberata: Dov ‘ è la porta del campanile?

Unità: Sì, del campanile?

Gisto: Di là, a sinistra c’ è una porta, entrate pure, dopo che avrete

messo le bandiere non passate più di qui.

Liberata: E se la porta che dà di fuori è chiusa?

Unità: Speriamo di no.

Gisto: L’ ho vista un sacco di volte, ha solo il catenaccio, apritela piano,

senza fare rumore e uscite fuori; ma mi raccomando state attente

che non ci sia nessuno di fuori che vi veda.

Liberata: Sì, te fai la guardia qui.

Unità: Fai bene la guardia, mi raccomando.

Gisto: Andate tranquille donne, che lo so io come fare.

( le due donne escono dalla porta che dà alla casa del parroco;

Gisto controlla che non arrivi nessuno, intanto vede i bicchieri di

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vino e ne assaggia un po’ finchè dietro le sue spalle il parroco;

entra don Pasquale)

Don Pasquale: Oh Gisto cosa fai qui?

Gisto: ( imbarazzato, un po’ tremante, mentre parla si guarda attorno)

Cercavo voi; ho chiamato, ma non c’ era nessuno.

Don Pasquale: Non c’ è la Guelfa? Sarà in giro a fare delle chiacchere.

Gisto: Vi volevo dire… che sono andato nel dazio a pagare la tassa per

ammazzare il maiale.

Don Pasquale: Bene, hai pagato sopra i centocinquanta chili? Lo spero, per non

avere il controllo.

Gisto: Sì, mi è bastata una volta che ho pagato la multa.

Don Pasquale: E ci sarà una salsiccia anche per me, voglio sperare.

Gisto: Sì, arciprete, non abbiate paura, anche più di una.( si guarda

dietro, quasi tremante)

Don Pasquale: Che cosa hai oggi? Sei nervoso, cosa hai fatto?

Gisto: No, niente, è che … che ho dovuto pagare la tassa per il maiale.

Don Pasquale: Quella lo sai pure che è da pagare; si paga e basta, senza fare

questioni.

Gisto: Sarà, per voi si fa presto, ma per me …

Don Pasquale: A proposito, è da un bel po’ di tempo che non mi porti una gallina

per fare il brodo.

Gisto: Il fatto è che sono nati pochi pulcini, si vede che il gallo non è

tanto buono.

Don Pasquale: Ha pure sempre fatto il suo dovere.

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Gisto: Quello dell’ anno scorso l’ ha ammazzato per Natale il contadino

vecchio, questo è così ( si tocca un orecchio ), perché lo sapete,

anche se siete un prete, che delle volte capita un gallo che non è

tanto buono.

Don Pasquale: Di solito sono tutti buoni.

Gisto: Anche gli animali sono come gli uomini, ce ne sono che hanno del

vigore e altri che non ce l’ hanno e fanno come i preti e i frati, che

certe cose non le sanno fare.

Don Pasquale: Vuoi proprio mettere i puntini sulle i te e vai anche a cercare l’

ago nel pagliaio.

Gisto: Io cosa siano le i non lo so ma non faccio le punture a nessuno,

neppure vado a cercare gli aghi, perché non ne ho il tempo, al

massimo lo potrebbe fare la mia moglie, perché quelli sono lavori

da donne.

Don Pasquale: Volevo dire che metti proprio il dito nella piaga.

Gisto: A me le piaghe fanno schifo, proprio non le vado a toccare con le

dita; piuttosto vi siete offeso per caso?

Don Pasquale: No, è che noi preti certe cose non le facciamo perché non le

vogliamo fare, noi abbiamo la testa da un’ altra parte.

Gisto: Perché io cosa ho detto; siete come quei mezzi galletti che non si

capisce se sono maschi o femmine. Non lo sapete che al gallo si

tira il collo e si fa nuovo tutti gli anni, perché sennò diventa

femmina?

Don Pasquale: Queste sono favole; comunque lasciamo stare i preti, che hanno

fatto il voto di castità e non fanno le porcherie che fate voi.

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Gisto: Chiamatele pure pocherie, però è l’ unica cosa bella in questo

mondo; con tutte le disgrazie che ci sono, almeno il Signore ci ha

dato una cosa che fa stare bene .

Don Pasquale: Non dovete parlare così; quelle sono cose che servono per fare i

bambini e basta.

Gisto: Sì, però se non fosse una cosa bella nessuno farebbe i figli, quindi

il Signore ha fatto in modo che piacesse a tutti, meno che ai preti.

Don Pasquale: Perché i preti non devono farte figli.

Gisto: E perchè?

Don Pasquale: Perché un prete deve essere sempre libero per le anime della sua

parrocchia, per pregare e dire le messe.

Gisto: Sono contento per voi e vuol dire che il Signore lo sapeva come

doveva fare: i preti come i capponi e i contadini come i galletti;

questi magri, gli altri grassi.

Don Pasquale: E a proposito di capponi ne devo avere quattro per Natale,

ricordati.

Gisto: Quattro? Voi non avete mica famiglia, che cosa ne fate di quattro

capponi?

Don Pasquale: Non sono mica tutti per me, li devo portare anche al vescovo.

Gisto: Ah, bè, con tutti i poderi che ha il vescovo vuol dire che sta bene;

dicono pure che c’ è chi mangia per campare e chi mangia per

scoppiare.

Don Pasquale: Non avrai mica qualcosa contro il vescovo? Non sei un buon

cristiano?

Gisto: No … no, sì, io … scusatemi.

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Don Pasquale: Non sarai mica un comunista, con questi discorsi che fai? Guarda

che io voglio un contadino cristiano, fatto per bene.

Gisto: No … state tranquillo; mi dovete perdonare se delle volte parlo

troppo.

Don Pasquale: Più che parlare troppo, mi pare che tu abbia la lingua che taglia e

che cuce. ” Nil est dictu facilius” Nulla è più facile che parlare.

Gisto: E’ che ho avuto l’ anno scorso brutto, sono stati male i miei

genitori e ho fatto due funerali nel giro di quindici mesi e a cvasa

abbiamo patito la fame e coi bambini piccoli …

Don Pasquale: Il Signore pensa anche ai poveri, basta andare alla messa e dire le

orazioni. Le dici te, sempre, tutte le sere prima di andare a letto?

Gisto: Io tutte le sere dico un rosario intero alla madonna e a tutti i santi

perché la mia moglie non rimanga incinta, perché lei, basta che io

metta i calzoni sul letto che ci rimane subito.

Don Pasquale: E te i calzoni non metterli sul letto, mettili sulla sedia e poi

addormentati subito, che vedrai che i santi ti aiuteranno. Si dice

pure “ aiutati che il ciel t’ aiuta”.

Gisto: Non ci sono né santi, né aiuti che servano, lei ci rimane sempre..

Don Pasquale: Allora fa come me, che la sera vado a letto stanco morto che mi

addormento subito, subito.

Gisto: Per forza, siete da solo nel letto, a voi al massimo vi scaldano il

prete e la suora, ma io d’ inverno, quando fa freddo sto attaccato

alla mia moglie per scaldarmi.

Don Pasquale: Bè mo, metti una coperta in più nel letto.

( si affaccia alla porta della chiesa il cav. Onorio. Onorio è vestito

elegantemente, ha un bastone da passeggio, occhialini, giubbotto

col taschino e orologio, cappello )

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Gisto: Io vado, dopo viene la mia moglie.

( esce)

Cav. Onorio: Don Pasquale ho bisogno di parlare con voi.

Don Pasquale: Dite pure.

Cav. Onorio: Lo sapete vero che da un mese non ho più sgarrato e che ho

sempre mantenuto la parola?

Don Pasquale: Sì, perché, cosa è successo?

Cav: Onorio: Da quando ho dato l’ aumento alle mie operaie e mi sono tolto il

pane dalla bocca…

Don Pasquale: Adesso, non esageriamo; diciamo che avete fatto solo il vostro

dovere.

Cav. Onorio: Ma insomma … però adesso siamo alla rovina del tutto, non è

possibile, non si può andare avanti così.

Don Pasquale: Parlate chiaramente, che non capisco mica.

Cav. Onorio: Lo sapete che il governo ha tolto la mezzadria?

Don Pasquale: Volete che non lo sappia?

Cav. Onorio: Allora io sono rovinato, mi toccherà vendere quei due poderi che

ho e che erano del mio povero babbo.

Don Pasquale: Adesso, rovinato del tutto no, avete anche la fabbrica e poi i

poderi li potete anche affittare.

Cav. Onorio: Ma non avete visto? Il governo ha messo un affitto così basso e

così lungo, che è come averlòi regalati ai contadini.

Don Pasquale: Bè, per centinaia di anni le cose sono andate in un verso, adesso

vanno al contrario. Un po’ per uno.

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Cav. Onorio: Non sarete mica diventato un comunista?

Don Pasquale: No, io penso solo alle anime: prima i contadini rubavano ai

padroni e tutti e due erano sempre in guerra tra loro, adesso i

contadini pagheranno l’ affitto e non ruberanno più, sennò “

occasio furem facit” il settimo comandamento è salvo.

Cav. Onorio: E’ proprio la volta questa che sono furioso. Bel modo di ragionare.

Don Pasquale: “ Fures” vuole dire ladro, state attento come parlate. Comunque

io dico che adesso i contadini andranno meglio, in paradiso,

perché non faranno più i ladri.

Cav. Onorio: E’ vero che al giorno d’ oggi non ci si può più fidare di nessuno,

non parliamo poi dei sindacati, dei comunisti …

Don Pasquale: Avete dei contadini comunisti?

Cav. Onorio: Non ne parliamo! Non ne posso più; pensate che quando abbiamo

battuto il grano hanno messo la bandiere rossa sul pagliaio e non

c’ ,è stato modo di fargliela tirare giù.

( don Pasquale si fa il segno della croce)

Don Pasquale: Meglio sul pagliaio che attorno alla processione come hanno fatto

le vostre donne. Ma al contadino avete dato lo sfratto?

Cav. Onorio: Subito; gli è arrivato per i morti e ha detto che è stato un giorno

triste due volte, per la ricorrenza dei morti e per lo sfratto.

Don Pasquale: Gli è stato bene, cosa voleva un buon podere , che voi sì che avete

la terra buona, ed anche la comunione dei beni?

Cav. Onorio: Gli avrebbe fatto comodo portarmi via quella buona terra lì, valà

che io ho fatto presto, ho mandato via lui e la sua famiglia.

Don Pasquale: E dopo chi avete preso?

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Cav. Onorio: Oh, ho avuto un centinaio di domande, i miei poderi fanno gola a

tutti, non ho avuto problema a trovare un contadino.

Don Pasquale: Cento domande? Ma come avete fatto a scegliere fra tutte?

Cav. Onorio: Ah, io ho fatto presto, ho detto al mio fattore di metterci un ladro,

ma cristiano.

Don Pasquale: Un Ladro? E cristiano? Ma come?

Cav. Onorio: Sì, perché se è un ladro vuol dire che è un lavoratore e se ce n’ è

per lui, ce n’ è anche per me.

Don Pasquale: Ma che filosofia, questa poi ha i calzetti, non l’ avevo mai sentita

dire.

Cav. Onorio: C’ è sempre da imparare nella vita. Comunque veniamo a noi don

Pasquale, ho un altro problema.

Don Pasquale: Dite pure, me l’ immagino già di che cosa si tratta.

Cav. Onorio: Ho saputo che le donne dei tabacchi voglionmo che voi ritiriate la

denuncia, ma io vi domando di non farlo.

Don Pasquale: Sono venute poco fa, ma io le ho mandate via.

Cav. Onorio: Sarà venuta la Liberata, che è la capocciona e l’ Unità, che è la sua

scagnozza; voi non dovete dare retta a quelle, che sono il diavolo

in persona.

Don Pasquale: Cosa volete che gli dia retta; pensate forse che il diavolo vada d’

accordo con l’ acqua santa?

Cav. Onorio: Non si sa mai che l’ acqua santa faccia il miracolo di convertire un

diavolo, anzi una diavolessa.

Don Pasquale: L’ acqua benedetta lo tiene lontano il diavolo, ma non riesce a

farlo diventare un angelo.

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Cav. Onorio: Per me basta che le facciate ragionare; questa gente vuole

cambiare il mondo, vogliono la rivoluzione, vogliono portarci via

tutto quello che abbiamo messo da parte noi e i nostri genitori.

Don Pasquale: E se foste voi a ragionare meglio? Il Vangelo dice “ Beati i poveri,

perché vostro è il regno dei cieli”. Bisogna anche dare ai poveri,

non lo sapete? “Non si possono servire due padroni Dio e la

ricchezza”.

Cav. Onorio: Mi sa che sia vero che i soldi non hanno il manico.

Don Pasquale: Giusto; vi volete tenere stretti i soldi come i dolori? Su andate a

casa e pensateci bene a quello che ha detto il Signore.

Cav. Onorio: Cosa ha detto?

Don Pasquale: Che “ E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago,

che un ricco vada in paradiso”; “mutatis mutandis”

Cav. Onorio: Cos’ è, adesso mi devo cambiare le mutande per andare in

paradiso? E poi se fino adesso avete parlato contro i comunisti.

Don Pasquale: Cambiare ciò che è da cambiare, non le mutande, ma le cose.

Avete dato l’ aumento alle vostre donne e avete fatto bene, non

lamentatevi e state allegro che va bene così.

Cav. Onorio: E poi ho un altro problema, sempre con quelle donne nella

fabbrica dei tabacchi; sono …

( Si sente bussare forte alla porta e si sentono le voci di Unità e

Liberata)

Sono qui, sono venute per me, fatemi nascondere.

( corre verso la cucina, seguito da Don Pasquale, il quale chiama

Guelfa)

Don Pasquale: Guelfa andate voi alla porta, io non ci sono.

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( Entra Guelfa che fa entrare le due donne)

Liberata: C’ è il prete?

Unità: Sì, don Pasquale.

Guelfa: Per fortuna che sapete come si chiama; cosa volete?

Liberata: Vogliamo parlare con lui.

Unità: Vogliamo parlare.

Guelfa : Vi dovete confessare insieme? Tutte due?

Liberata: No, noi non abbiamo bisogno di confessarci.

Unità: Noi non ci confessiamo.

Guelfa: Bene vuol dire che andrete in paradiso di corsa, a cavallo di un

somaro, testone e impuntato.

Liberata: Signora guardi di non offendere.

Unità: Non offenda.

Guelfa: Oh, vi domando scusa, però ditemi un po’, voi due siete

registrate?

Liberata: No noi non abbiamo nessuna appuntamento.

Unità: Non abbiamo l’ appuntamento.

Guelfa: No, volevo dire se siete due pappagalli.

Liberata: Questa poi!

Unità: Questa poi! Liberata andiamo via, che parlare con questa si perde

solo del tempo.

Liberata: Sta zitta Unità, che noi dobbiamo parlare col prete, non con

questa piattola qui.

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Guelfa: Unità e Liberata? Avete fatto la resistenza? Mo non è finita la

guerra?

Liberata: Noi facciamo la guerra al padrone.

Unità: Sì, al padrone.

Guelfa: Non sarete mica quelle che fanno ancora lo sciopero nella

fabbrica di tabacchi e quelle che hanno messo le bandiere rosse

per la strada quando c’ era la processione? Mo che cosa volete dal

prete?

Liberata: Insomma c’ è sì o no?

Unità: Sì …

Guelfa: No, per voi non c’ è.

( entra don Pasquale)

Don Pasquale: Chi mi cerca?

Guelfa: Due comuniste che non so cosa vogliano nella casa del Signore.

Sono quelle che fanno ancora lo sciopero ai tabacchi, quelle …

Don Pasquale: Delle bandiere e cosa volete da me? Te intanto Guelfa vai di là ( a

lei nell’ orecchio) e non stare a sentire dietro la porta.

Guelfa: Io vado, ma non hanno dei segreti, hanno detto che loro non si

confessano mai, che sono senza peccato.

Don Pasquale: La casa del Signore è aperta per tutte le anime; non si sa mai che

una pecorella smarrita ritorni all’ ovile .

Guelfa: Giusto delle pecore sono quelle, senza religione, buone da stare

nella stalla.

Liberata: Avete una lingua che taglia e che cuce, peggio di una vipera.

Unità: Una vipera.

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Don Pasquale: ( A guelfa) Stavolta ti sta bene. ( alle due donne) Non avete dietro

le bandiere, vero?

( Guelfa esce)

Liberata: No, siamo venute perché sappiamo che il cavaliere è qui.

Don Pasquale: Qui non c’ è, non vedete ( indica la camera vuota)

Liberata: Ah, ha paura eh!

Unità: Si nasconde.

Don Pasquale: Ma perché, cosa è successo? Cosa ha fatto?

Liberata: Non lo sapete?

Unità: Non è possibile che non lo sappiate.

Don Pasquale: Io non so niente.

Liberata: Allora che cosa è venuto a fare qui?

Don Pasquale: Donne questo non vi interessa, sono cose personali.

Liberata: Ha ricominciato come prima.

Don Pasquale: E cioè?

Liberata: Ha portato via la chiave del gabinetto della fabbrica.

Unità: Sì, del gabinetto.

Liberata: L’ ha chiuso a chiave, per paura che ci andiamo a perdere tempo e

così delle volte ci sono delle donne che stanno male per tenerla

stretta fino a sera.

Don Pasquale: No, e perché ha fatto una cosa così?

Liberata: Ha preso la scusa che ha trovato la Maria che fumava una

sigaretta.

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Don Pasquale: Dove?

Liberata: Nel gabinetto.

Unità: Nel gabinetto e allora l’ ha chiuso a chiave.

Don Pasquale: Ah, non me l’ aveva mica raccontata questa, va pure là, bravo.

Però anche voi, lo sapete pure che noin sta bene una donna che

fuma.

Liberata: Ma non è per questo che lui può chiudere a chiave il gabinetto.

Don Pasquale: Avete ragione anche voi, ma qui non c’ è più e io non posso farci

niente.

( entra Guelfa a braccetto col cavaliere travestito da donna, col

fazzoletto in testa e una sciarpa che gli copre il viso e cerca di

nascondersi dietro alla perpetua)

Guelfa: Io vado con la mia sorella nel negozio.

Don Pasquale: ( dopo un attimo, capisce il travestimento) Ancora? No! Un’ altra

volta?

Guelfa: Eh, mi sono dimenticata il formaggio; sennò che cosa vi do da

mangiare?

Don Pasquale: Pane e cipolla, così facciamo tutti penitenza, anche te e la tua

sorella.

Guelfa: Abbiate pazienza, lo sapete che ogni tanto mi dimentico le cose,

non sono più giovane.

Don Pasquale: Ed è per questo che ti fai dare una mano dalla tua sorella.

Guelfa: Proprio così.

Don Pasquale: Una senza testa ,e l’ altra senza parola; fate una bella coppia.

Liberata: Ha una sorella muta? Oh poverina!

23

Unità: Che disgrazia! Perché le trattate così male?

Don Pasquale: Quando ci vuole, ci vuole; vanno a fare la spesa tre volte al giorno.

Liberata: La porterà un po’ fuori a fare una passeggiata.

Guelfa: Brava, tè si che capisci le cose; lui, anche se è un prete, ragiona

come gli uomini e non capisce niente di donne .

Don Pasquale: Anzi capisco ancora meno, perché non ho famiglia.

( Il cav. dà strattoni al braccio di Guelfa per farle capire di andare)

Liberata: Di sicuro siete più intelligente del nostro padrone, che è cattivo

impestato.

Unità: Non so la sua moglie come faccia a sopportarlo, lo farà solo per i

soldi.

Don Pasquale: Ma cosa dite mai donne.

Liberata: Non lo sapete che lui le fa un sacco di corna? E dicono che anche

la sua moglie non sia da meno.

Unità: Dicono che per quello siano pari.

Guelfa: Moh! Questa non la sapevo, raccontate dai, che queste cose mi

piacciono.

Don Pasquale: In canonica queste chiacchere non vanno bene; su Guelfa, non

dovevi andare a comperare il formaggio?

Guelfa: Sì, sì, ci vado subito.

( Guelfa e il cav. escono)

Don Pasquale: Bene, ne abbiamo sapute delle novità oggi.

Liberata: E poi non sapete il resto.

24

Don Pasquale: Sì, ma io non posso entrare nei vostri problemi; sono cose

politiche.

Liberata: Non sono cose politiche, ma di carità cristiana; un mese fa ci ha

dato un pochino di aumento e adesso ci frega sulle ore, ci cava

sempre un quarto d’ ora tutti i giorni, che alla fine del mese non è

mica poco.

Don Pasquale: E perchè?

Liberata: Dice che perdiamo del tempo per andare da una parte all’ altra,

ma non è vero, lo facciamo per lavoro. Insomma trova tutte le

scuse per fregarci.

Don Pasquale: ( a Unità ) Mo guarda il registratore si è incantato. ( ad ambedue)

Comunque se è vero quello che dite, allora non avete mica tutti i

torti.

Liberata: Per non parlare del fatto che ci dà una paga da fame e lui invece

guadagna un sacco di soldi, col sudore delle nostre braccia. Voi ci

dovete mettere una parola buona, ci dovete dare una mano.

Unità: Sì, una mano.

Don Pasquale: Il registratore è partito di nuovo. ( pensieroso) Bè, vedrò cosa

posso fare donne, non prometto niente, anche se è vero che san

Francesco diceva di dare una mano ai poveri.

Liberata: Avete capito allora, che noi non siamo il diavolo, ma vogliamo

solo un po’ le cose fatte per bene.

Unità: Fatte per bene.

Liberata: E pensate anche a ritirare quella denuncia.

Don Pasquale: ( rimane un po’ pensieroso , poi …) Facciamo un patto: vi aspetto

domenica alla messa, se volete che ritiri la denuncia.

25

Liberata: Domenica?

Unità: Questa domenica?

Don Pasquale: Sì, tutte le donne della fabbrica di tabacchi in prima fila in chiesa

alla messa delle otto. Prendere o lasciare.

Liberata: Tutte?

Unità: Siamo una trentina.

Don Pasquale: Tutti trenta. “ Dura lex, sed lex”. Questi sono i patti.

Liberata: Ci prende per il collo. Ne parleremo con le altre donne.

Unità: Faremo un’ assemblea.

Liberata: E faremo le votazioni.

Don Pasquale: Per me fate pure quello che volete donne, ma queste sono le

condizioni. Vi saluto.

( don Pasquale le accompagna alla porta e nel mentre entra

Cesira: è una donna giovane, attraente, vestita con una

provocante scollatura; ha in mano un cesto con verdure e uova)

Cesira: Vi ho portato un po’ di roba da mangiare; mi ha detto il mio

marito che vi siete lamentato che portiamo poca roba … ma dite,

sembra che sia molta e invece non è mai abbastanza.

Don Pasquale: Dipende dagli occhi che guardano.

Cesira: Per noi la nostra parte sembra sempre poca, quella del padrone

invece .

Don Pasquale: Ho capito, mi immagino che voi siate una che pensa che anche i

preti mangiano a tradimento.

Cesira: Questo no … volevo solo dire che quelli che hanno la pancia piena

non pensano a quelli che l’ hanno vuota.

26

Don Pasquale: Certo che la lingua non vi manca, avete sempre la risposta pronta.

Cesira: Perché non è vero che noi poveretti mangiamo pane nero e fagioli

e i signori mangiano capponi e braciole?

Don Pasquale: Certi signori.

Cesira: Non parlavo mica dei poveri preti di paese come voi, che fate la

carità ai poveri e vi cavate i bocconi dalla bocca.

Don Pasquale: Adesso ci siamo, se volete ragionate anche bene.

Cesira: Volete che non lo sappia che voi poveri preti state al freddo,

mangiate poco e dormite in un letto ghiaccio, senza nessuno che

vi riscaldi?

Don Pasquale: E’ proprio così, facciamo un sacco di sacrifici.

Cesira: E vi manca la cosa più bella del mondo, una donna che vi voglia

bene.

Don Pasquale: Noi abbiamo fatto il voto e lavoriamo solo per le anime, per

portarle in paradiso.

Cesira: Voi date una mano ai poveri e alle anime.

Don Pasquale: Sì , va bene, cambiamo discorso, cosa mi avete portato oggi?

Cesira: Un sacco di roba, non patirete la fame di sicuro, come è vero che

chi sposa la chiesa non muore mai senza camicia.

Don Pasquale: Vi sbagliate, perché i preti non portano la camicia, ma la veste.

Cesira: Neanche sotto?

Don Pasquale: Eh..Eh, mo senti lì che domande.

Cesira: ( gli si avvicina col cesto per fargli vedere il cibo e la scollatura)

Camicia o no, un pochino di roba buona da mangiare vi fa bene …

guardate cosa vi ho portato.

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Don Pasquale: ( guarda un po’ lei, un po’ il cesto) Fammi vedere bene cosa c’ è.

Cesira: ( tira fuori un formaggio, che accarezza con le mani) Un formaggio

che ho fatto con le mie mani, sentite, sentite come è buono. ( glie

lo fa annusare)

Don Pasquale: Uh, che profumo, ah, chissà come sarà buono da mangiare (

sguardo di desiderio)

Cesira: E poi le uova delle mie galline, fresche, fresche, da fare una

frittatina con la cipolla; Uhm!

Don Pasquale: E cosa c’ è ancora lì?

Cesira: Un po’ di pomodori, radicchi, cetrioli …

Don Pasquale: Andiamo in cucina a portare tutta questa roba, venite con me.

Cesira: Mettiamo a posto ogni cosa, tutte le cose nel loro posto …

Don Pasquale: Sì, si, tutto al suo posto, come comanda la natura.

( le mette una mano sulla spalla e l’ accompagna verso la cucina)

FINE PRIMO ATTO

SECONDO ATTO

28

( Sono in scena Guelfa e don Pasquale; don Pasquale è molto

arrabbiato)

Guelfa: Avete promesso ma quelle donne che ritirate la denuncia? E anche

che le date una mano per convincere il cavaliere? L’ avete fatto

perché ancora non avevate visto le bandiere sul campanile.

Don Pasquale: Sta zitta, che io non capisco chi sia stato e come abbiano fatto ad

andare sul campanile; è tutta la notte che ci penso, non ci ho

dormito, mi sono girato nel letto tutta la notte.

Guelfa: Neanche io non capisco, perché le donne dei tabacchi mi pare

impossibile che possano essere entrate senza che nessuno se ne

sia accorto.

Don Pasquale: Ieri quando sono rientrato c’ era qui Gisto, che era entrato da solo

ed era molto nervoso; vuoi che sia stato lui?

Guelfa: Non lo so, però … però … E’ proprio vero che quando arrivano i

guai non vengono mai da soli.

Don Pasquale: Perché, cosa è successo ancora?

Guelfa: Che … che … che abbiamo attorno tutti comunisti.

Don Pasquale: Te ne fai meraviglia? Siamo in Romagna, qui sono quasi tutti

mangiapreti.

Guelfa: Anche qui vicino…

Don Pasquale: Chi i nostri vicini? Davanti o dietro dalla chiesa? Davanti ci sta la

famiglia di Marinoun, quelli se non hanno cambiato idea tutti in

una volta, sono dei democristiani. Dietro ci sta una famiglia che

viene dalla bassitalia; chi sono quelli l’ ?

Guelfa: Non proprio vicini, vicini, ma quasi.

29

Don Pasquale: Fanno una propaganda che non lo sa nessuno, non lo sai che gli

manda i soldi anche la Russia? E così la povera gente a forza di

dargli tutti i giorni, passano dall’ altra parte.

Guelfa: Io non lo so se questo si è fatto convincere adesso dalla

propaganda, ma ho dei dubbi che lo sia da un pezzo.

Don Pasquale: Ma di chi parlate, su spicciatevi, non posso mica stare qui fino a

domani.

Guelfa: Parlo …. Parlo … del contadino.

Don Pasquale: Il contadino? Quale contadino? Il nostro? ( Guelfa fa un cenno di

assenso col capo) Chi Gisto?

Guelfa: Sì, chi sennò.

Don Pasquale: Mo va là, vi sbagliate, l’ ho appena messo e poi me l’ ha mandato

don Michele, che era il suo contadino.

Guelfa: Per quello l’ ha mandato via e vi ha preso in giro proprio per bene.

Don Pasquale: Non può essere vero, si sono confusi con un altro.

Guelfa: E’ vero, l’ hanno visto alla festa dell’ umidità col fazzoletto rosso

al collo.

Don Pasquale: Non può essere, no, no, non è possibile … ( inizia a camminare

avanti e indietro nervosamente) Però ecco perché Gisto faceva dei

discorsi …. No! Mi ha preso in giro don Michele; ecco perché lui se

ne è liberato, altro chè il podere più grande e tutte quelle storie,

mi pareva un po’ strano …

Guelfa : E non parliamo che io ve l’ avevo detto di stare attento, mi

prendevate in giro … E adesso cosa pensate di fare? Vi toccherà

mandarlo via, siamo ormai a San Martino, vi toccherà mandargli lo

sfratto .

30

Don Pasquale: E se lo viene a sapere il vescovo? Oh povero me, che figura ci

faccio! Adesso lo metto a posto io a quel prete, adesso mi sente.

Guelfa : State attento a non fare le botte, che siete due preti; che figura

fareste?

Don Pasquale : Ma che botte, bisogna che ci pensa bene come fare … bisogna che

trovi un modo per fargliela pagare, sì e che non lo venga a sapere

il vescovo. Ah, stavolta non glie la faccio passare liscia, no eh,

proprio stavolta me la paga.

( bussano alla porta)

Vai ad aprire te, dì che non ci sono, perché non ho voglia di

parlare con nessuno, dì che sto male, inventa quello che vuoi.

( esce verso la cucina, Guelfa va ad aprire, entra Mafalda, agitata)

Mafalda: Guelfa, sapessi quello che è successo! ( cammina nervosa)

Guelfa: Datti una calmata, dai siediti che ti do qualcosa da bere, poi mi

racconti.

Mafalda: Allora …( si schiarisce la voce ) è andata la finanza da Pastroc il

contadino del cav. Onorio.

Guelfa: Mo a fare cosa?

Mafalda: Pare che abbiano avuto una spiata e sono andati a cercare il

tabacco.

Guelfa: Mo da fare chè il tabacco?

Mafalda: Perchè non lo sai che fanno il contrabbando del tabacco?

Guelfa: Il contrabbando del tabacco?

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Mafalda: Lo sa tutto il paese, solo te non lo sapevi, mi pari un’ oca giuliva,

una di quegli uccelli …sì quelli col collo lungo, che mettono la testa

sotto la sabbia.

Guelfa: Lascia stare gli animali, cosa vuoi che sappia io che sto qui nella

casa del prete, vai avanti e raccontami. Perché fanno il

contrabbando?

Mafalda: Perchè secondo te, per i soldi, no.

Guelfa: Questo l’ ho capito, ma come fanno a fare il contrabbando se lo

Stato controlla tutto?

Mafalda: Lo sai che le foglie basse della pianta lo Stato non le vuole e i

contadini le devono seppellire?

Guelfa: Mo tò, questa è nuova.

Mafalda: E ci sono un sacco di contadini che invece di seppellirle le fanno

seccare e poi le vendono di contrabbando.

Guelfa: Mo! E la finanza le ha trovate?

Mafalda: Da Pastroc ne hanno trovati sette sacchi e poi sono andati anche

da Zampocia, l’ altro contadino del cavaliere, ma lui ha fatto in

tempo a nascondere i sacchi.

Guelfa: Mo pensa, almeno lui se l’ è cavata.

Mafalda: Sì, ma hanno detto che prima o poi li prenderanno, perché lo

sanno che fanno il contrabbando, solo che quelli sono furbi,

dicono che hanno nascosto il tabacco in un posto dove non lo

troveranno mai.

Guelfa: Davvero? Mo chissà, l’ avranno messo sotto il fieno per le mucche.

Mafalda: No, no, in alto; lo sai che vicino alla loro casa c’ è quella chiesina

sconsacrata …

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Guelfa: Non l’ avranno mica messo in chiesa!.

Mafalda: Sotto il tetto della chiesa, hanno fatto un buco e quello è il posto

dove lo tengono.

Guelfa: Il mio Signore, madonnina santissima, è prprio vero che non c’ è

più religione!

Mafalda: E’ che dicono che a fare la spia sia stato il padrone, il cavaliere.

Guelfa: Bè, ma a lui cosa interessa, se era roba da seppellire, non era mica

la sua parte.

Mafalda: Siccome dicono che ogni tanto rubano al padrone, lui l’ ha fatto

apposta. E’ che adesso sono andati tutti gli uomini coi forconi

davanti alla casa del cavaliere e lo vogliono fare secco.

Guelfa: Oh, poveretto! ( ridono)

Mafalda: Dicono che hanno chiamato i carabinieri, non lo so di preciso.

( bussano forte e più volte alla porta)

Guelfa: ( va ad aprire) Mo chi sarà adesso.

( entra il cavaliere, vestito da donna, con un fazzoletto in testa, un

abito da contadina antico e lungo; qui la scena deve essere

animata e libera a piacere)

Cosa volete, qui non vogliamo le zingare, vada via ( lo sospinge alla

porta, ma lui fa resistenza)

Cav. Onorio: Sono io, sono io, per piacere fatemi entrare, non c’ è don

Pasquale?

Guelfa: Via, via, questa lo fa apposta per rubare, le conosco io le zingare,

via, sciò.

( anche Mafalda le dà una mano per spingerlo fuori)

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Cav: Onorio: Buone donne, abbiate pazienza, aspettate. ( fa resistenza per non

essere cacciato)

Mafalda: Mo ha della forza questa zingara, sarà meglio chiamare il prete.

Cav. Onorio: Ecco chiamate il prete; Don Pasquale!!!

Guelfa: Ma come fa a sapere il nome del prete; sono furbe queste eh!

Adesso prendo una scopa e le faccio vedere io.

Cav. Onorio: Don Pasquale mi venga a dare una mano che queste due sono

matte!

( entra don Pasquale)

Don Pasquale: Cos’ è questo chiasso, cosa fate qui? Perché date le botte a questa

povera donna?

Guelfa: Altro chè povera donna, questa è un armadio con la forza di un

toro.

Mafalda: Ha due mani più grandi di quelle di un pecoraio e poi guardategli i

piedi, ha delle scarpe che sembrano gli scarponi di un montanaro.

Guelfa: Per forza, cosa vuoi è una zingara, vuoi che metta le scarpine coi

tacchi?

Cav. Onorio: Sono io, sono io, datemi una mano, per carità.

Don Pasquale: Ma non sentite che ha la voce di un uomo e poi mi pare di

conoscerla.

Cav. Onorio: ( si inginocchia ai piedi del prete) Oh finalmente, per carità, mi

vogliono ammazzare, mi vogliono infilare i forconi nel sedere.

Don Pasquale: I forconi nel …

Cav. Onorio: ( si toglie il fazzoletto che gli copriva gran parte del viso viso)

Nascondetemi qui in canonica, sotto la vostra protezione.

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Guelfa: Il cavalier Onorio?

Mafalda: Mo è scappato perché gli corrono dietro i suoi contadini.

Don Pasquale: Cosa avete fatto?

Guelfa: Io lo so.

Mafalda: Anche io.

Don Pasquale: E io no, allora?

Guelfa: Ha mandato la finanza dai suoi contadini, dicendo che facevano il

contrabbando di tabacco.

Mafalda: E adesso loro lo vogliono infilzare coi forconi.

Don Pasquale: Bene, bene, non lo sapete che chi fa la spia non è figlio di Maria;

lo dicono sempre anche i bambini .

Cav. Onorio: Voi che siete un prete non dovete dire queste cose, la legge è

legge.

Don Pasquale: La legge è per tutti, non solo quando fa comodo.

Cav. Onorio: A me non potete dire niente. E adesso fatemi andare al gabinetto,

che per la paura ormai me la faccio addosso. ( fa per andare alla

porta della cucina, ma il prete lo ferma)

Don Pasquale: Alt, qui vi volevo. Dov’ è la chiave del gabinetto?

Cav: Onorio: Dai donne tiratela fuori, perché non ce la faccio più. ( si tiene

strette le gambe, fino a lla fine del dialogo)

Guelfa: Di quale chiave parlate? Di quella della sua fabbrica?

Mafalda: Ieri la Maria, la moglie di Berto, che lavora ai tabacchi e che è

incinta ha avuto un mancamento, perché il gabinetto era chiuso a

chiave e lei non la poteva più tenere.

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Don Pasquale: Appunto, proprio la chiave del gabinetto della fabbrica. Fate

sempre stare le donne senza andare al gabinetto, adesso

provateci voi, non vi faccio andare finchè non ho in mano la

chiave, che la do alla responsabile.

Cav. Onorio: Non scherziamo, che la faccio qui. La chiave l’ ho a casa.

Mafalda: Anche la Maria, la poverina, che è incinta di sei mesi, se l’ è fatta

addosso.

Guelfa: Io non pulisco la sua piscia, se la pulisce da solo.

Don Pasquale: O mi date la chiave, o vi mando di fuori sotto i forconi dei vostri

contadini.

Cav. Onorio: Questo è un ricatto bello e buono.

Don Pasquale: Chiamatelo come vi pare; allora?

Guelfa : Tenete duro don Pasquale.

Mafalda: Le tratta troppo male quelle povere donne, neanche gli animali si

trattano così.

Cav. Onorio: Ve la dò domani, ma questa notte fatemi stare qui.

Don Pasquale: Tutta stanotte no, vi tengo fino a quando i vostri contadini non se

ne vanno a casa loro.

Cav. Onorio: Ho paura ad uscire da qui, se mi vedono mi ammazzano .

Don Pasquale: Vestito così non vi rapiscono neanche per portarvi in una stalla a

fare l’ amore, perché non siete bello per niente.

Guelfa: Come parlate, don Pasquale, vi si è rivoltato il cervello?

Don Pasquale: Ma non scandalizzatevi donne, bisogna pure ogni tanto stare su

col morale.

Cav. Onorio: Allora posso andare al gabinetto?

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Don Pasquale: La chiave …( allunga la mano)

Cav. Onorio: Non ce l’ ho qui, domani, ve lo prometto.

Don Pasquale: Subito. Andate a casa a prenderla.

Cav. Onorio: Sotto casa mia c’ erano i contadini coi forconi, io sono uscito dalla

porta di dietro.

Don Pasquale: Facciamo una cosa allora, ormai i carabinieri avranno già mandato

via i contadini da sotto la vostra casa, la Guelfa e la Mafalda vi

accompagnano a casa vostra, intanto vestito così non date nell’

occhio e poi date la chiave alla Guelfa.

Guelfa: Io devo accompagnare questo mezzo uomo e mezza donna?

Ancora un’ altra volta? Devo andare in giro con lui?

Mafalda: E se lo riconoscono? Ci andiamo in mezzo noi.

Don Pasquale: Non abbiate paura, che col fazzoletto in testa non lo riconosce

nessuno e portatemi la chiave.

Guelfa: Se comandate voi … mi toccherà andare

Mafalda: Devo proprio andare anche io?

Don Pasquale: Fai compagnia alla tua amica, intanto avete sempre un sacco di

chiacchere da fare. Stavolta le fate anche con mquesta bella

donna qui, ( indica il cav.) potete parlare di vestiti, di scarpe, di

moda, tutti i discorsi da donna.

Cav. Onorio: Io di quelle cose non capisco niente.

Don Pasquale: Ma come, con tutti i soldi che fregate alle operaie e i vestiti da

boutique che compera la vostra moglie; ci scommetto che ne ha

un armadio pieno, che li può regalare anche alle sue contadine.

Cav. Onorio: Sì, sì, quando si stanca di un vestito lo regala sempre alla

cameriera.

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Don Pasquale: Ecco, fate in modo che anche le vostre operaie possano

comperarsi un po’ di vestiti; dategli lo stipendio anche per tutte

quelle mezz’ ore che le rubate.

Cav. Onorio: No mezze ore no, cinque minuti.

Don Pasquale: Attento, le bugie hanno le gambe corte.” Tertium non datur”

Cav. Onorio: Cosa non devo dare? Non fatemi dei brutti scherzi, mi

raccomando .

Don Pasquale: Non vi do un’ altra possibilità; prima di domenica fate bene i

conti delle ore delle vostre operaie.

Cav. Onorio: Ho capito, mi volete mettere in buca, non ho il modo di scappare.

Don Pasquale: No, a meno che non vogliate avere il sedere pieno di buchi dei

forconi.

Cav. Onorio: Va pure là, mi credevo di essere venuto da un amico a cercare una

parola buona.

Don Pasquale: Difatti vi stò dando una mano per andare in paradiso.

Cav: Onorio: ( mogio si avvia all’ uscita) Il paradiso, il paradiso e intanto di qua

abbiamo da patire .

Guelfa: Su, su cavaliere, che per oggi se l’ è cavata e domani vedremo.

Mafalda: Domani è un altro giorno, vita nuova. Andiamo su.

Cav. Onorio: Non lo so se ce la faccio a tenerla fino a casa.

Don Pasquale: Al massimo ve la farete addosso, come la vostra operaia.

( Mafalda, Guelfa e il cav. Onorio escono ; il cav. sempre a gambe

strette)

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Don Pasquale: Questa speriamo di averla messa a posto, poi tutte le altre

vedremo un po’ alla volta, a cominciare dal mio contadino, che

non so proprio come fare con lui.

( suonano il campanello)

Non c’ è un momento di pace in questa canonica, forse sta meglio

don Michele, lassù in montagna, che ha quattro anime in tutto e

le altre sono tutte pecore; quelle non andranno mica a suonargli il

campanello.

( Entra Cesira con una gallina in mano, o a volere in un cesto, viva

o no che sia)

Cesira: Vi ho portato una gallina, come avete chiesto a mio marito.

Don Pasquale: Sì, sì, ho visto. E’ da un po’ di tempo che vostro marito manda

sempre voi; come mai?

Cesira: Perchè lui lavora nei campi.

Don Pasquale: Io dico invece che è per un altro motivo …

Cesira: Ma cosa andate a pensare, don Pasquale?

Don Pasquale: Non dovete capire male, voglio dire che forse non si arrischia

molto di venire lui.

Cesira: E perché dite cosi? ( inizia ad avere uno sguardo provocante e

fintamente ingenuo) Non ha mica paura di voi.

Don Pasquale: Di me forse no, ma dell’ acqua santa sì.

Cesira: Il mio Gisto? Non è mica un diavolo.

Don Pasquale: Un diavolo proprio no, ma si assomigliano nel colore, sono rossi

tutti due.

Cesira: Gisto non beve mica, non ha la faccia rossa e neanche i capelli.

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Don Pasquale: Però ha il fazzoletto rosso al collo.

Cesira: Ma … ma … quello … quello è un vecchio fazzoletto del suo povero

nonno, che ha fatto la guerra con Garibaldi e poi lui lo tiene per

asciugarsi il sudore quando lavora.

Don Pasquale: Garibaldi aveva la camicia rossa e il fazzoletto bianco o verde, i

colori della bandiera d’ Italia.

Cesira: Ma anche Gisto ha i colori della bandiera, il fazzoletto rosso, la

camicia verde e le mutande bianche.

Don Pasquale: Tutti hanno le mutande bianche.

Cesira: ( in tono molto seducente) Anche voi?

( Don Pasquale inizia ad essere imbarazzato, ad asciugarsi il

sudore in fronte)

Don Pasquale: Cosa c’ entra questo adesso, io sono un prete.

Cesira: Anche i preti sono degli uomini; non portano le mutande? ( gli

gira intorno facendogli vedere la scollatura)

Don Pasquale: ( tossisce e si rischiara la voce) E con questo? Dunque dove

eravamo arrivati? Ah, sì, dicevamo che il vostro marito è un

comunista.

Cesira: Ma no, don Pasquale, è un povero uomo, è buono, non farebbe

del male a nessuno.

Don Pasquale: Ci mancherebbe che volesse ammazzare qualcuno.

Cesira: Volete scherzare? E’ onesto e vuole bene a tutti.

Don Pasquale: Se ruba il grano non ve lo chiedo neppure, intanto voi mi

rispondereste di no, lo sò già.

Cesira: Come mai oggi siete così intrattabile?

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Don Pasquale: Lo so io il perché e voi non mi incantate più, datemi questa

gallina e andate via.

Cesira: Io non voglio mica incantare nessuno, io …

Don Pasquale: “ Errare umanum est, perseverare diabolicum” ; io sono un prete e

non devo avere le tentazioni, quindi andate via e mandatemi

subito il vostro marito che voglio parlare con lui.

( Prende la gallina e la manda fuori dalla porta; arrabbiato esce

verso la cucina; poco dopo entrano Guelfa e Mafalda)

Guelfa: Non c’ è nessuno, vieni Mafalda, così possiamo chiacchierare in

pace.

Mafalda: Il cavaliere vestito da donna! Si vede che ormai gli piace. ( fa una

bella risata)

Guelfa: Tremava per la paura, da non credere; mi teneva stretta al

braccio, che mi ha quasi fatto male; io dico che se mi tolgo la

maglia mi ha fatto un pesto, qui, vè ( indica l’ avambraccio).

Mafalda: Così puoi dire che almeno un uomo per una volta nella tua vita ti

ha lasciato un segno e che hai avuto uno che ti ha tenuta stretta,

stretta.

Guelfa: Quello sì, caspita, aveva una forza; è che non era una stretta d’

amore, ma di paura.

Mafalda: E gli è andata bene che nessuno l’ ha riconosciuto.

( suonano entrano Liberata e Unità)

Liberata: ( a Guelfa) Ah, voi siete qui e la vostra sorella dov’ è?

Unità: E cav. Onorio dov’ è?

Guelfa: Cercate il cavaliere o la mia sorella?

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Liberata: Tutte due.

Mafalda: Io qui non vedo il cavaliere. ( si guarda attorno)

Liberata: E la sua sorella?

Unità: La sua sorella?

Guelfa: La mia sorella è nella sua camera di sopra, cosa volete da lei?

Liberata: Abbiamo dei dubbi … vogliamo vedere se è vero che avete una

sorella, perché non sappiamo chi era quella donna che era con voi

ieri e oggi.

Unità: Sì, vogliamo vedere la vostra sorella.

Guelfa: Adesso non può, non sta bene e si è messa nel letto.

Mafalda: Be mo, non avete nessuna vergogna donne, siamo nella casa del

prete.

Guelfa: Cosa volete dalla mia sorella?

Liberata: Vogliamo sapere se era una donna o se era un uomo.

Mafalda: Non vi vergognate? Pensare queste cose della perpetua?

Liberata: Pensiamo, pensiamo.

Unità: Se era un uomo.

Guelfa: Non penserete mica che io qui, nella casa del Signore, possa

portare degli uomini.

Mafalda: Guardate che lei è una donna per bene, certe cose non le fa, a

differenza di voi due.

Liberata: Io sono sposata.

Mafalda: Proprio per quello fate le cose di nascosto.

42

Unità: Io sono ancora signorina e non le faccio né di nascosto, né

pubblicamente.

Guelfa: Anche io sono ancora signorina e me ne faccio un vanto.

Mafalda: Mi sa che qui l’ abbiamo tutte con la muffa.

Guelfa: Fuori di lei. ( indica Liberata)

Liberata: Io sono una donna per bene.

( entra don Pasquale vestito da donna, col fazzoletto in testa e

una sciarpa che gli copre il volto; fa gesti a Guelfa come per dirle

che non sta bene e che ha bisogno; Guelfa dopo un attimo di

smarrimento capisce)

Guelfa: Poverina perché sei stata su? Ti sei misurata la febbre?

( don Pasquale fa cenno di sì e fa capire che sta male e la febbre è

alta)

Allora devi stare nel letto, vieni dai che ti accompagno.

( don Pasquale fa capire con gesti che vuole prendere la medicina)

Andiamo subito in cucina che ti do l’ aspirina, dai vieni.

( lo accompagna in cucina, prendendolo sotto braccio, escono

ambedue)

Mafalda: Avete visto? Siete contente? E’ una povera donna ammalata, muta

e quasi cieca.

Liberata: Se è venuta di sotto ci vede.

Mafalda: Poco, poco, a casa conosce le camere, ma di fuori in giro va solo se

uno la tiene al braccio.

Unità: Ecco perché prima si teneva stretta alla Guelfa .

43

Liberata: Sarà, moh! E allora il cavalier Onorio dov’ è?

Mafalda: Questo donne non lo so proprio, qui non c’ è, sarà a casa sua.

Liberata: Allora andiamo.

Unità: Andiamo pure.

( Liberata e Unità escono)

( rientrano Guelfa e don Pasquale, che si sta togliendo gli abiti

femminili)

Don Pasquale: Alè donne, la commedia è finita, su adesso basta.

Guelfa: Mafalda andiamo a pulire la chiesa.

Don Pasquale: E non fate delle chiacchere e non andate in giro a raccontare

niente.

Guelfa: Sì, state tranquillo, che abbiamo la bocca chiusa come un pesce,

anzi come un catenaccio.

Don Pasquale: Bene, così non vi entrano le mosche dentro.

Guelfa: Oh, ecco la chiave ( se la toglie di tasca e la dà a don Pasquale)

Davanti alla casa del cavaliere c’ era ancora tutta la gente, siamo

dovute passare dal di dietro.

Don Psquale: Bene. A proposito, Don Michele mi ha mandato a dire che la

Peppina sta male, che è caduta e si è rotta il femore; lui non la

può più tenere e ha bisogno di una donna.

Mafalda: Non ha dei parenti che la possano tenere con loro?

Guelfa: Mo va là, non ha più nessuno; sì dei parenti alla lunga, che figurati

se la vogliono tenere in casa con loro .

Don Pasquale: Non le rimane che il ricovero.

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Guelfa: E adesso come farà don Michele?

Mafalda: Oh, che disgrazia, e adesso chi lo custodisce? Chi gli fa tutti i

lavori?

Don Pasquale: Per il momento si arrangia da solo, si fa da mangiare, si lava i

panni.

Mafalda: Non è possibile che un prete debba fare quei lavori, non c’ è una

donna lassù che gli possa fare da perpetua?

Don Michele: Ormai la gente lassù non c’ è più, lo sapete che sono venuti tutti

qui in pianura a lavorare nelle fabbriche e hanno abbandonato la

terra in montagna.

Guelfa: Mo allora come pensa di fare?

Don Pasquale: Ha detto che vuole una donna giovane, piena di salute, una buona

donna, magari una vedova senza figli.

Guelfa: Andrebbe bene anche … ( indica Mafalda)

Don Pasquale: Non vuole solo una che sia onesta, di chiesa e seria, ma anche che

non abbia più di cinquanta anni.

Mafalda: Ho capito, io sono vecchia e piena di malanni, non vado bene più

neanche per fare la perpetua a un prete.

Don Pasquale: Adesso ci devo ancora pensare bene …

Guelfa: Non avrà troppe pretese? Un prete non deve avere una perpetua

troppo giovane.

Mafalda: Bè, io inizio a pulire la chiesa.

( Mafalda esce)

Don Pasquale: Non impari mai di stare zitta: La vuole che non sia vecchia, sennò

tra un po’ fa come la Peppina ed è di nuovo daccapo.

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Guelfa: Mi dispiace, perché era una occasione buona per la Mafalda.

Don Pasquale: Non devi avere fretta, adesso ci penso io. Certe decisioni sono

importanti e lui mi ha detto chiaro e tondo che vuole una donna

piena di salute. La Mafalda ti pare così?

Guelfa: Bè, se non è piena, sarà mezza …

Don Pasquale: Diciamo anche un quarto o meno.

Guelfa: Non siete voi che dite sempre “ aiutati che il ciel t’ aiuta?” E allora

adesso?

Don Pasquale: Adesso aspettiamo una mano dalla provvidenza e una ce la

metteremo noi.

Guelfa: Allora pensateci bene, perché non dovete sempre pensare al

bene degli altri, che lo sapete, che lui, l’ amico, quando è stato il

momento l’ ha messo sotto i piedi.

Don Pasquale: E’ vero che gli ho promesso di dargli una mano, ma è anche vero

quello che dite. ” Amicus omnibus, amicus neminus”

Guelfa: Sempre con sto latino, cosa vuol dire adesso?

Don Pasquale: Amico di tutti, amico di nessuno. Però “ Manus manum lavat”,

una mano lava l’ altra.

Guelfa: Pensateci bene, mi raccomando con la testa, non con le mani

quando ve le lavate.

( esce)

Don Pasquale: Forse, forse, stavolta ha ragione. ( cammina avanti e indietro

fregandosi le mani e con aria compiaciuta, quando bussano alla

porta)

Chi sarà ancora? ( va a d aprire, entra il cav. Onorio, ancora vestito

da donna)

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Cav. Onorio: Don Pasquale ho bisogno.

Don Pasquale: Siete ancora qui?

Cav. Onorio: Ci sono ancora in giro i contadini coi forconi e le donne dei

tabacchi e pare che vogliano entrare in casa mia; hanno detto che

mi hanno riconosciuto. Nascondetemi, tenetemi qui, vi prego. ( si

siede e fa un sospirone come a prendere fiato) Mi potete dare un

bicchiere dio acqua che ho una sete che non ne posso più?

Don Pasquale: Lo vedo, caspita; vado a prendervi un bicchiere di acqua col vino,

che vi fa bene.

( Don Pasquale esce; il cav. si siede; entra Gisto )

Gisto: Si può? C’ era la porta aperta e sono entrato.

( Il cav. si copre il volto, tiene la testa bassa e fa di no con la testa)

Avete visto il prete, mi cercava … bella sposa, avete perso la voce?

Boh! Aspettate il prete per confessarvi? .

( Si siede vicino al cav. e inizia a fargli la corte; e più lui si siede

vicino e più il cav. allontana la sedia)

Cosa avete fatto? A me lo potete dire, io non dico niente a

nessuno, di me vi potete fidare.

( Il cav. fa no con la testa)

Ci possiamo presentare, io sono Gisto, il contadino e voi come vi

chiamate?

( il cav. tace, allontana la sedia)

Moh, siete più rigida del bastone del pagliaio; con me potete

stare tranquilla io sono un brav’ uomo … su, toglietevi quel

fazzoletto dalla testa, così potrò vedere i vostri capelli sciolti,

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sentire il vostro profumo, che penso sia come le rose di primavera

e con quelle mani delicate

( cerca di prendergli una mano, inutilmente)

Che donna! Che donna! Chissà che cose buone siete capace di

cucinare, già sento il profumo, Uh! Ci vediamo stasera? Facciamo

così: voi mettete in un fazzoletto un po’ di formaggio col pane, io

porto una bella bottiglia di albana e insieme mandiamo sotto una

grossa quercia a vedere le stelle; le possiamo contare una ad una,

come fanno i contadini con le pecore e dopo aver mangiato e

bevuto, soprattutto bevuto, ci stendiamo sul prato e facciamo l’

amore fino alla mattina.

( il cav. fa no, no con la testa)

Vi siete scandalizzata? Non avete ancora conosciuto un uomo?

( il cav. fa sempre di no con la testa e magari dei versi di diniego )

Non sarete mica venuta qui perché volete andare nelle suore?

( il cav. fa sì con la testa, le mani in segno di preghiera)

Roba da matti, non è possibile, una bella donna come voi, con

tutto quel bene di Dio che avete. Non si può, perché proprio nelle

suore? Valà, valà che dopo che sarete uscita con me vedrete che

cambierete subito idea. Allora ci vediamo stasera?

( In quel momento rientra don Pasquale con bicchieri, acqua e

vino; Gisto prontamente si alza e si allontana dal cav.)

Don Pasquale: Ecco, bevete che vi fa bene.

(Il cav. beve tutto d’ un fiato)

Gisto: Cos’ è avete preso uno spavento?

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Don Pasquale: No, ma a voi non interessa. ( rivolto al cav. ) Su, adesso andate a

casa vostra, che non c’ è pericolo; non posso tenervi qui.

( Il cav. fa cenno di sì; don Pasquale lo accompagna alla porta ed

esce)

Gisto: Quello era il cavalier Onorio?

Don Pasquale: Sì, proprio lui.

( a Gisto comincia a mancare il fiato, fa grossi respiri, il prete si

spaventa e gli dà un bicchiere di acqua)

Don Pasquale: Cosa avete fatto, state male?

Gisto: Forse ho mangiato troppo, mi avete mandato a chiamare?

Don Pasquale: Devo parlare con voi, sto pensando di mandarvi la lettera di

sfratto.

( Gisto che stava bevendo, fa cadere un po’ di acqua, oppure la

sputa fuori)

Gisto: Lo sfratto? Se sono venuto da voi sei mesi fa, a maggio di quest’

anno; mi volete già mandare via?

Don Pasquale: Io sto secondo la legge, ve lo dico sei mesi primae farete san

Martino a maggio di quest’ altr’ anno, come fanno tutti.

Gisto: Ma perché poi? Cosa ho fatto?

Don Pasquale: Ve lo dovevate aspettare, andate sempre a tutte le feste dell’

Unità col fazzoletto rosso al collo, andate sul campanile … vi

sembra normale per un contadino del prete?

Gisto: Io sul campanile non ci sono mai più andato da quando giocavo

con gli altri bambini.

Don Pasquale: Uh … non lo so. Alla festa dell’ Unità sì però.

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Gisto: Quello non c’ entra, io ho sempre lavorato, vi mando sempre dalla

mia moglie la roba da mangiare.

Don Pasquale: Lei porta quello che devo avere, secondo il contratto.

Gisto: Sì, ma voi siete da solo, io invece ho famiglia.

Don Pasquale: La fame non la patite di sicuro e poi non lo so se i conti sono fatti

bene, perché io non ho il tempo di venire sempre a controllare il

raccolto.

Gisto: Venite quando volete, che io sono onesto, voglio solo le cose fatte

per bene.

Don Pasquale: Eh! La mezzadria è la rovina delle anime, è la tentazione che fa i

contadini ladri.

Gisto: Sono d’ accordo con voi. Adesso che il governo l’ ha tolta, perché

invece di mandarmi via non mi fate un affitto?

Don Pasquale: Un affitto? … Un affitto … ( cammina avanti e indietro, mentre

riflette) Bisogna che ci pensi e che parli col vescovo.

Gisto: E poi arciprete dovrei fare san Martino proprio i primi di maggio,

quando la mia moglie deve partorire, come volete che faccia la

poveretta?

Don Pasquale: Deve partorire?

Gisto: Sì, non vi ha detto niente?

Don Pasquale: Cosa volete che sappia io di queste cose da donne.

Gisto: E’ che ancora non si vede, perché è di tre mesi e il bambino deve

nascere proprio per Santa Croce.

Don Pasquale: Il mio uomo, non ti ho sempre detto di mettere i calzoni sopra la

sedia e di stare un pochino buono?

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Gisto: Io ho avuto molto da lavorare e come toccavo il letto mi

addormentavo subito, non sentivo né le bestie, né il cane davanti

alla porta, non parliamo poi delle pecore che quelle avevano lo

stesso effetto dell’ anestesia dell’ ospedale. E poi sono stato

attento molto.

Don Pasquale: ( a parte, grattandosi la testa) E io invece no.

Gisto: Avete detto qualcosa?

Don Pasquale: No, parlavo tra di me.

Gisto: Così avrò un’ altra bocca da sfamare, se mi mandate via per me è

un problema, se invece potessi rimanere dove sono …

Don Pasquale: Il Signore dà una mano a tutti, aiuterà anche te e i tuoi figli, vedi

solo di toglierti quel fazzoletto rosso che hai al collo.

( gli apre la camicia e gli tira fuori il fazzoletto rosso)

Gisto: Questo … questo … è …

Don Pasquale: Del tuo povero nonno che ha fatto la guerra con Garibaldi.

Gisto: Sì, è vero, come fate a saperlo?

Don Pasquale: La canonica è il crocevia delle chiacchere, non lo sai? Come il

negozio della parrucchiera e come il bar.

Gisto: Questo non lo sapevo, credevo che le chiacchere fossero solo

nella bocca delle donne.

Don Pasquale: Cosa credevi te, ne passano anche qui di donne, quelle devote eh!

Ma la lingua non le manca di sicuro. Adesso togliti quel fazzoletto

e mettilo per sempre sopra la fotografia del tuo povero nonno.

Gisto: Non ce l’ ho una fotografia, c’ è solo sulla sua tomba al cimitero.

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Don Pasquale: Vai al cimitero e lo metti sopra la sua tomba, in sua memoria e

quando ti incontro ancora non te lo voglio più vedere al collo.

( Gisto se lo toglie e lo mette in tasca)

C’ era uno che diceva ” Parigi val bene una messa” Lo sai cosa

vuol dire ?

Gisto: No, io non capisco certe cose, lo sapete che non ho studiato.

Don Pasquale: Vuole dire che se vuoi una cosa, devi rinunciare a un’ altra. Fai

pure i tuoi conti.

Gisto: Volete dire …

Don Pasquale: Sei intelligente, mi pare che tu abbia capito.

Gisto: O … il fazzoletto sulla tomba del nonno o … il podere .

Don Pasquale: Bravo, hai un cervello furbo come una volpe; fai pure te.

Gisto: Ho capito, mi avete preso per il collo, come una gallina spennata

Don Pasquale: Facciamo una cosa, vieni nel mio studio, che voglio vedere un po’

quei conti, prima di decidere qualsiasi cosa.

Gisto: Non ci sono problemi, guardate ho dietro il libretto. ( tira fuori

dalla tasca un librettino)

( escono verso la cucina, subito dopo entrano Mafalda e Guelfa,

hanno in mano delle cose, candele, scopa ecc. da mettere in

ordine)

Mafalda: Bisogna dire che quelle donne le poverette hanno ragione e se al

cavaliere non lo fa ragionare don Pasquale, gli metteranno la testa

a posto i sindacati.

Guelfa: Dì, quando uno è dalla parte del torto.

Mafalda: Quando ci vuole, ci vuole.

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Guelfa: Ma stai zitta che quel povero prete ne ha una tutti i giorni; adesso

deve anche mandare via il contadino.

Mafalda: Anche quello se l’ è andata a cercare; fa il comunista sotto il

prete.

Guelfa: E’ uno scandalo, il contadino del prete sempre col fazzoletto rosso

al collo, ma vedrai che lo mette a posto, questi giorni gli deve

mandare lo sfratto.

Mafalda: E poi sarà anche meglio che quest’ altra settimana quello vada alla

fiera di San Martino con tutti i becchi.

Guelfa: Perchè dici una roba così?

Mafalda: Non l’ hai vista la sua moglie come va vestita? Con le braccia tutte

nude, il petto di fuori, dei vestiti che si vedono tutte le tette,

sottane corte.

Guelfa: E’ vero, ma sarà una che patisce il caldo, dai, non pensare sempre

male.

Mafalda: Non farmi parlare, che quella il caldo l’ ha dappertutto, e di più

sotto alle sottane.

Guelfa: Sì, ma secondo me non fa niente, è una contadina, ha dei bambini

piccoli.

Mafalda: Cosa vuol dire quello, il fuoco è il fuoco e quando brucia bisogna

spegnerlo.

Guelfa: Ci penserà il suo marito.

Mafalda: E quando va a fare la spesa? Va dal macellaio, lo sai quello! Uh!

Quello se vede una sottana gli prende il fuoco di Sant’ Antonio

nelle parti basse.

Guelfa: Va là che a quello glie le dà la sua moglie.

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Mafalda: La sua moglie la poveretta ha in testa un cesto pieno di lumache.

Guelfa: Fa bene don Pasquale, che quando viene la manda in cucina e non

la vuole neppure vedere e fa fatica a salutarla .

Mafalda: E poi è la moglie di un comunista, te lo immagini un prete con una

comunista?

Guelfa: Mo Mafalda cosa sono questi discorsi e non hai neppure bevuto.

Mafalda: Dicevo così per dire, no.

Guelfa: Certe cose non si devono neppure pensare. Lo conosci il

proverbio: scherza coi fanti, ma lascia stare i santi.

Mafalda: Non è mica un santo lui, non è ancora morto. Però sì, è un prete

serio, fatto per bene, mica come quelli che gli fanno delle

chiacchere dietro.

Guelfa: Lui sta lontano dalle donne, dice sempre che le donne all’ inizio

sono tutto miele e dopo tutto fiele.

Mafalda: Ne sentirà lui delle cose nel confessionale.

( entrano don Pasquale e Gisto)

Don Pasquale: Mi sembra che i conti vadano bene, adesso ci penso e te lo farò

sapere.

Gisto: Mi raccomando a voi, che siete un buon prete; io faccio quello che

vi ho detto e voi parlate col vescovo.

Don Pasquale: Per san Martino vedrai che te lo farò sapere.

Gisto: Vi saluto tutti.

( Gisto esce)

Guelfa : L’ avete mandato via? Cos’ è questa cosa che dovete parlare col

vescovo?

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Don Pasquale: Te vuoi mettere sempre il becco dappertutto?

Guelfa: Abito qui, sono cose che interessano anche me.

Don Pasquale: Bene. Adesso la perpetua è quella che comanda tutta la chiesa,

anche sopra il vescovo.

Mafalda: Non prendetela male, lei lo fa nel vostro interesse.

Don Pasquale: A proposito di interesse, Mafalda, non cercavi una sistemazione?

Mafalda: Magari, non so come farmi a pagare l’ affitto e arrivare alla fine

del mese.

Don Pasquale: Bene, ti ho trovato una sistemazione buona.

Mafalda: Oh, don Pasquale, come vi ringrazio!

Guelfa: Mo dove?

Don Pasquale: C’ è pure don Michele che cerca una perpetua; ci ho pensato, te

sei proprio la donna fatta per lui, sei già pratica a pulire la chiesa,

hai fatto da infermiera al tuo babbo, quindi sei brava anche a

custodire un prete.

Guelfa: Ma don Michele non aveva detto …

Don Pasquale: Che vuole una donna di chiesa, seria, onesta e fidata; meglio della

Mafalda non c’ è.

Mafalda: Anche se sono vecchia?

Don Pasquale: Non siete mica vecchia voi, sembrate una ragazzina.

Mafalda: Ci vado subito, anche se è là in montagna, bè, starò all’ aria

buona.

Guelfa: Per fortuna che c’ è la corriera, così almeno quando c’ è il mercato

vieni giù e mi vieni anche a trovare.

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Don Pasquale: Quindi vai a casa, vai a dirlo al padrone, perché don Michele ha

bisogno subito, fai le valigie e parti appena puoi.

Mafalda: Per quella poca roba che ho faccio presto a traslocare, per San

Martino sarò già lassù.

( Mafalda esce)

Guelfa: ( in tono canzonatorio) Cos’ è questa novità? Non aveva detto

don Michele che voleva una donna giovane e sana?

Don Pasquale: E non aveva detto che il contadino era un buon cristiano?

Guelfa: Ho capito, gli toccherà tenersi buona la Mafalda con tutti i suoi

acciacchi. Ma non mi avete ancora risposto; cosa fate col

contadino?

Don Pasquale: In fondo è un buon contadino, bravo a lavorare, ha la moglie che

deve avere un altro bambino, vuoi che lo mandi via?

Guelfa: No! Ve lo tenete?

Don Pasquale: Dirò al vescovo di fargli un affitto, secondo le nuove leggi, che è la

cosa migliore per tutti.

Guelfa: Ma volete che la chiesa si tenga un contadino comunista, anche

se in affitto?

Don Pasquale: Io gli ho fatto togliere il fazzoletto dal collo, o una cosa o l’ altra.

Ha fatto il conti che gli conviene di più stare sul podere e pagare l’

affitto.

Guelfa: Non c’ è dubbio che prima di tutto viene l’ interesse: il pane sulla

tavola e la terra sotto i piedi. Certo che un prete buono come voi

non lo trova più.

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Don Pasquale: Anche io sono un povero diavolo, anche io ho fatto i miei sbagli,

che il Signore mi perdoni i peccati che ho fatto e io cercherò di

rimediare per quello che posso.

Guelfa: Se fossero tutti come voi delle confessioni ne fareste poche.

Don Pasquale: Tu non lo sai che tutti hanno delle cose nascoste, che neppure noi

preti le sappiamo? Tu credi di conoscermi, noi tutti crediamo degli

altri una cosa, pensiamo che uno sia in un modo e invece si porta

nella tomba i suoi segreti.

Guelfa: E’ meglio così, perché se sapessimo tutte le cose non ci sarebbe

più pace in questo mondo, tutti si ammazzerebbero l’ uno con l’

altro.

( bussano forte alla porta, Guelfa va bad aprire, entra di corsa il

cav. Onorio ancora vestito da donna)

Cav Onorio: Don Pasquale aiutatemi, fatemi nascondere qui, ci sono i contadini

coi forconi e quelle donne che mi corrono dietro, mi vogliono dare

le botte, mi corrono dietro coi bastoni delle bandiere; datemi una

mano!

Guelfa: No!!! Ancora!

Don Pasquale: No!!! Un’ altra volta!

( entrano dietro di lui Unità, Liberata e Gisto, con abiti diversi e un

cappello, per cambiare personaggio, con un forcone in mano

Gisto, le bandiere, le due donne, che corrono intorno a Guelfa e a

don Pasquale)

( si chiude il sipario)

( FINE )

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