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Il controllo di vicinato nel comune di Curtatone
Sommario Capitolo Uno ........................................................................................................................ 2
1. Il controllo di vicinato .............................................................................................. 2
1.1 Gli elementi che compongo i programmi di controllo di vicinato ....................... 2
1.1.1 Teorie criminologiche di riferimento ............................................................... 5
1.2 Rassegna della letteratura ................................................................................... 8
1.2.1 Prime implementazioni e ricerche statunitensi .............................................. 9
Tab. 1.2 – Rassegna studi statunitensi ........................................................................... 11
1.2.2 Prime implementazioni e ricerche britanniche ............................................. 16
Tab. 1.3 - Rassegna studi Britannici .............................................................................. 19
1.2.3 Prime implementazioni e ricerche in altri paesi anglosassoni ...................... 24
Tab. 1.4 - Rassegna studi Australia, Canada e Irlanda del Nord ................................... 24
1.3 Metodologia di implementazione odierna ........................................................ 27
1.3.1 Fase di ideazione ........................................................................................... 30
1.3.2 Fase organizzativa .......................................................................................... 31
1.3.3 Fase di pubblicizzazione ................................................................................ 32
1.3.4 Fase di implementazione ............................................................................... 34
1.3.5 Gli sviluppi ..................................................................................................... 36
Capitolo Uno
1. Il controllo di vicinato
Il controllo di vicinato è un movimento che promuove l’attività dei cittadini nella prevenzione
e nel controllo della criminalità (Titus, 1984), nasce negli anni ’60 negli Stati Uniti e fin da subito
ottiene risultati positivi. In poche decadi viene adottato da molte città anglosassoni divenendo nel
2000 il più vasto mezzo di prevenzione di Gran Bretagna e Stati Uniti.
La British Crime survey, all’inizio del nuovo millennio, effettua una stima dei programmi
attivi in Inghilterra e Galles: questi risultano essere più di 155.000 ciò significa che circa il 27%
delle abitazioni (sei milioni circa) si trova in una zona in cui il controllo di vicinato è attivo (Sims,
2001). Negli Stati Uniti la The 2000 Crime Prevention Survey stima che la percentuale di cittadini
che abitano in una zona in cui è presente un programma è del 41%, questo dato fa si che il controllo
di vicinato sia il più vasto mezzo di prevenzione della nazione (Crime Prevention Council, 2001).
In questo capitolo analizzeremo la composizione dei programmi di controllo di vicinato,
evidenziandone effetti positivi e negativi e riportando gli studi fino ad ora pubblicati riguardanti
questo metodo preventivo. Porremo la nostra attenzione, soprattutto, sull’evoluzione che questi
programmi hanno avuto in tutti i paesi anglosassoni.
1.1 Gli elementi che compongo i programmi di controllo di vicinato
Il controllo di vicinato è la componente essenziale di un programma più ampio composto da
più elementi che coesistono ed interagiscono tra loro con il fine di aumentare il controllo informale,
diminuire i rischi di subire reati e le opportunità criminali (Bennett, 2008).
I principi fondamentali che solitamente compongono i programmi di controllo di vicinato
sono tre:
1. il controllo, da parte degli abitanti, della zona in cui vivono;
2. la delimitazione della proprietà e la marchiatura dei propri oggetti di valore;
3. l’implementazione di misure di sicurezza domestica, con la consulenza delle autorità
competenti che possono consigliare quali sono le tecnologie più idonee.
Questi tre fattori, insieme, vengono definiti da Titus (1984) il “Big Three” e sono riscontrabili
in ogni modello, al quale possono essere aggiunti altri fattori che possono migliorare le condizioni
di vita, la sicurezza e la percezione di sicurezza degli abitanti (Bennett, 1990). Il “Big Three” è il
punto di partenza, cioè la base sulla quale ogni città potrà costruire il proprio programma; sarà poi
compito della comunità o dell’ente che lo promuove adattarlo alle caratteristiche della società in cui
viene implementato(Bennett, 2008).
La storia del controllo di vicinato conferma questa affermazione: infatti, negli Stati Uniti,
dove sono nati i primi programmi, erano previsti inizialmente solo i tre elementi presentati da Titus,
poi con il passare degli anni in alcune città degli Stati Uniti nacquero anche centri di ascolto per le
vittime di reato (Finn, 1986) oppure programmi di educazione alla sicurezza per i cittadini e per i
giovani (Decampli, 1977). In alcune città inglesi fu aggiunto fin dall’inizio un quarto elemento, cioè
le ronde civili (Bennett, 1990).
L’organizzazione e la struttura di ogni programma sono diverse per ogni città in cui è stato
implementato il controllo di vicinato; infatti possono variare il numero delle abitazioni, dei quartieri
coinvolti e la dimensione dell’area. Mutevole è anche l’organo che promuove il programma, in
alcuni casi l’idea è nata dai cittadini, in altri dalla Polizia, in altri ancora dalla Pubblica
Amministrazione. Il fattore comune resta, tuttavia, la suddivisione dei ruoli dei cittadini e la loro
responsabilizzazione: infatti, in ogni programma, vi è un coordinatore o responsabile della frazione
e un coordinatore del quartiere o della via, che svolgono la funzione “ponte” tra comunità e Polizia,
analizzando e selezionando i casi riportati dai concittadini (Bennett, 1990).
I programmi di controllo di vicinato si basano su un meccanismo molto semplice: aumentare
il controllo informale dei cittadini dei loro quartieri in modo che possano segnalare eventuali
attività sospette alla Polizia (Bennett, 2008). La riduzione dell’opportunità è, quindi, il fulcro su cui
si basa la teoria del controllo di vicinato, questo perché la sorveglianza e le segnalazioni alle Forze
dell’Ordine sono ritenute un buon mezzo di deterrenza delle attività criminali (Rosembaum, 1987).
Un fattore che potrebbe risultare scontato ma che si ritiene utile sottolineare, è la necessità, per i
partecipanti all’iniziativa, di vivere in una zona abitata e di avere vicini disponibili alla
cooperazione per un controllo maggiore del proprio quartiere.
Gli elementi che, secondo gli studiosi, vanno ad incidere sull’efficienza del controllo di
vicinato sono molteplici, in questa analisi riporteremo i più comuni, soprattutto per sottolineare il
fatto che i programmi sono diversi l’uno dall’altro. Come abbiamo detto in precedenza, tutti i
programmi si adattano alla società a cui vengono applicati, per questo motivo ci sono altri elementi
accessori che incidono sull’efficacia del controllo di vicinato e che possono venire aggiunti nel caso
non siano già consuetudine.
Il primo elemento che i ricercatori e i promotori di queste iniziativa credono sia funzionale
alla riduzione dell’opportunità criminale è la segnalazione della propria presenza all’interno delle
abitazioni. Dunque, un comportamento ideale potrebbe essere quello di non lasciare nulla in
disordine, anche quando il vicino è in vacanza i programmi consigliano di mantenere ordinata la sua
abitazione, questo avviene ponendo semplici attenzioni, come: tagliare l’erba, raccogliere giornali,
posta e riempire i bidoni dell’immondizia (Cirel et al, 1977). Nel caso in cui l’abitazione venisse
lasciata abbandonata, i malviventi sarebbero più portati a colpirla perché tutte le apparenze
indicherebbero uno stato di non controllo. Seguendo invece queste semplici norme, l’abitazione non
apparirebbe più abbandonata e quindi godrebbe di un’attrattiva criminale meno elevata. In ogni
caso, tutto ciò richiede una grande disponibilità da parte del vicino, che non sempre può avere il
tempo di mantenere in ordine l’abitazione degli altri.
Un ulteriore elemento che potrebbe incidere sulla riduzione delle attività criminali è il
potenziamento del flusso di informazione tra cittadini e Polizia. I programmi di controllo di vicinato
stimolano il legame tra autorità e cittadino in modo che collaborino per migliorare il livello di
sicurezza, per questo motivo gli abitanti che hanno deciso di aderire all’iniziativa, vengono spronati
a segnalare eventi sospetti all’autorità. Teoricamente, il programma dovrebbe portare ad un
aumento delle segnalazioni a cui dovrebbe corrispondere un aumento degli arresti, in questo modo i
cittadini otterrebbero risultati e godrebbero di una maggiore fiducia nelle Forze dell’Ordine
(Bennett, 1990). Questa ipotesi è stato confermata anche da Sherman (1997), il quale individua
nella rapidità della chiamata ai numeri di emergenza e della loro risposta un fattore di maggiore
efficienza dei meccanismi di individuazione e arresto del criminale. Ovviamente questo potrebbe
avere anche un effetto negativo, infatti, nel caso di un ritardo nell’intervento delle Forze dell’Ordine
o di un mancato fermo dei criminali, i cittadini potrebbero avvertire un calo della fiducia nelle
autorità e questo potrebbe risultare dannoso per la buona riuscita del programma.
Strettamenti correlati al controllo di vicinato vi sono il potenziamento della sicurezza
domestica e la marchiatura delle proprietà che potrebbero divenire ulteriori mezzi di deterrenza,
perché un oggetto con un segno di riconoscimento aumenta il rischio di essere ritrovato e
diminuisce la possibilità di essere rivenduto, diminuendo la possibilità che questo oggetto venga
rubato (Laycock, 1995). Inoltre un potenziamento delle misure di sicurezza domestica dovrebbe
scoraggiare i criminali nel tentativo di entrare nell’abitazione, perché richiederebbe un tempo
maggiore e quindi una possibilità più elevata di essere scoperti dai vicini (Bennett e Wright, 1984).
Ultimo elemento che viene segnalato dagli studi effettuati sul programma è l’aumento del
controllo sociale informale non solo su attività criminali ma su tutti i comportamenti antisociali, in
modo tale da prevenire qualsiasi forma di degrado urbano. Questo fattore è stato molto discusso
perché non incide direttamente sulla criminalità ma potrebbe aiutare la popolazione residente ad
accettare norme sociali formali ed informali condivise diminuendo, quindi, il rischio di adottare
comportamenti devianti e un maggior controllo ed attenzione agli stessi (Greenberg et al., 1985).
Naturalmente questo avrebbe effetto rilevante sulla criminalità locale ma poche conseguenze su
fenomeni criminali esterni.
Tutti i programmi preventivi, dei quali il controllo di vicinato è parte integrante, sono
composti, come abbiamo detto fino ad ora, da più elementi, ed hanno fini comuni:
diminuire la criminalità, sia quello di
diminuire la paura della criminalità e
rafforzare il legame tra popolazione e Forze dell’Ordine,
Nel caso in cui tutti questi fini venissero raggiunti la popolazione sarebbe portata a fidarsi
delle autorità competenti e a denunciare i reati; le autorità, invece, informano la popolazione sugli
sviluppi delle indagini, sulla diffusione dei fenomeni criminali e sulle modalità di prevenzione di
determinati comportamenti delittuosi (Turner e Barker, 1983).
Grazie a questi programmi le condizioni di vita possono migliorare sia da un punto di vista
reale, con la diminuzione dei reati, sia psicologico, sapendo che il vicino e le autorità sono a
disposizione del cittadino e la loro presenza sul territorio è tangibile (Pilotta, 1996).Nelle esperienze
anglosassoni sono stati riscontrati fattori che potrebbero avere effetti negativi, come ad esempio,
una bassa partecipazione degli abitanti al programma dovuta all’indifferenza o l’aumento della
paura dovuto alle troppe notizie riguardanti la criminalità ricevute dalle Autorità, per questi motivi
l’organizzazione e l’adattamento del programma di controllo di vicinato alla società a cui verrà
applicato ha un importanza centrale.
1.1.1 Teorie criminologiche di riferimento
Il controllo di vicinato è l’espressione di alcune politiche di sicurezza sviluppatesi negli ultimi
cinquant’anni, come ad esempio la “Community Policing” e il suo sviluppo la “Community Crime
Prevention”. Queste politiche fanno in modo che cittadino e Polizia collaborino tra loro e siano allo
stesso tempo molto legati per affrontare e combattere la criminalità.
La Polizia, prima di questa innovazione, era considerata l’istituzione che interveniva solo nel
momento in cui avveniva un delitto, con l’arresto dei criminali (Murphy e Muir, 1985). Ora, invece,
la Forze dell’Ordine diventano parte della comunità e la rendono partecipe nelle sue attività, che
non si limitano solo alla cattura del soggetto criminale, ma si concentrano anche su vere e proprie
campagne di prevenzione (Bennett, 1990). La repressione dei crimini, di conseguenza, non è più il
fulcro delle attività di Polizia ma viene sostituita da programmi di prevenzione che aumentano la
percezione della sicurezza, coinvolgendo i cittadini, rendendoli partecipi delle attività svolte per la
loro sicurezza (Murphy e Muir,1985).
La “Community Policing”, quindi, è un’innovazione costruttiva perché fa in modo che le
attività delle Forze dell’Ordine vengano giudicate e migliorate dal pensiero dei cittadini (Goldstein,
1987). Questa interazione continua ha un duplice effetto positivo: da un lato la Polizia, sentendosi
giudicata, è stimolata a migliorare e così facendo, riscuotere la fiducia e il rispetto degli abitanti.
Dall’altro lato la partecipazione ai programmi di prevenzione, rende il cittadino più consapevole dei
problemi che riguardano la comunità e sa come rendersi utile per la società (Eck e Spelman, 1987).
Per questo motivo, in alcune città, vengono promosse anche attività di pattugliamento a piedi delle
Forze dell’Ordine, in modo da creare legami interpersonali tra operatori e residenti (Crowe,1985).
Le critiche rivolte a questa approccio sono principalmente di due tipi: una si basa sulla
difficoltà di creare un buon rapporto tra cittadini e Polizia ove i tassi di criminalità sono elevati
(Sherman, 1997), probabilmente perché c’è una scarsa fiducia nelle Forze dell’Ordine, oppure il
numero degli operatori è molto limitato e quindi non trovano spazio i rapporti personali. Un
ulteriore critica rivolta a questi programmi consiste negli effetti negativi che lo scambio di
informazioni tra Polizia e cittadini può creare, infatti potrebbe aumentare la paura della criminalità
dei cittadini deviandone la percezione di sicurezza (Skigan, 1990) e riducendo la fiducia degli
abitanti nelle autorità, nullificando così il circolo di informazioni.
Uno dei principali sviluppi della “Community Policing” è la cosiddetta “Community Crime
Prevention”, ovvero una serie di programmi volti al coinvolgimento della comunità nella
prevenzione dei reati. Queste forme di intervento sono spesso gestite dai cittadini che partecipano in
prima persona alle politiche di prevenzione ed un esempio lampante di queste iniziative è proprio il
controllo di vicinato (Bennett, 1990). Tutte le attività di prevenzione si basano sulla logica della
riduzione delle opportunità criminali, attraverso il controllo, l’utilizzo di sistemi di sicurezza e il
contatto diretto con le Forze dell’Ordine, si possono ridurre le probabilità di diventare vittime di
reato e allo stesso tempo si dissuadono i criminali dal compiere atti devianti nella propria zona
(Clarke, 1980). Tali opportunità possono essere ridotte attraverso l’uso di controllo formale e
informale, di quest’ultimo tipo è la sorveglianza posta in essere dai cittadini su cui si basa anche la
“Community Crime Prevention”. Perché questo avvenga, tuttavia, è allo stesso tempo necessario
che gli abitanti debbano percepire come proprio il quartiere perché in caso contrario si
limiterebbero a controllare solo la loro abitazione e il programma di controllo sarebbe inefficiente.
Questo cambiamento che modifica il ruolo dei cittadini non è affatto semplice perché in primo
luogo gli abitanti potrebbero percepire la richiesta di partecipazione alle attività di prevenzione
come un’inefficienza delle Forze dell’Ordine e inoltre potrebbero non sentire il problema come loro
e quindi non essere disponibili a parteciparvi.
Shaw e McKay (1942), con la teoria del controllo sociale, hanno confermato che le attività di
prevenzione disposte dai cittadini sono utili per la diminuzione dei reati e l’aumento del senso di
sicurezza. La scuola di Chicago ha condotto uno studio tra gli anni ’20 - ’30 per scoprire quali
fossero i fattori che incidevano sugli indici di criminalità, il risultato più eclatante fu che le zone
della città più colpite erano quelle in cui vi era un alto livello di disgregazione e disorganizzazione
sociale (Ibidem). Proprio per questo motivo le iniziative di prevenzione che coinvolgono la società
possono influire positivamente sulla percezione della sicurezza e sul numero dei reati. L’unione e
l’aggregazione portano ad un maggiore controllo sociale, questo spiega il motivo per il quale le
Amministrazioni Pubbliche si sono concentrate sull’attuazione di programmi per la comunità in
modo da integrare i cittadini tra loro e con le istituzioni. Questo concetto è stato confermato dallo
studio effettuato da Taylor e Harrell (1996) durante il quale, hanno dimostrato, che nelle zone in cui
è presente un programma attivo di controllo di vicinato i livelli di vittimizzazione sono minori
rispetto alle zone limitrofe e la paura della criminalità è meno elevata, non hanno considerato però
che i programmi sono di facile applicabilità e funzionalità nelle zone in cui i livelli criminali e la
densità abitativa è bassa mentre con valori più alti un programma di questo tipo è di difficile
applicazione perché ha molti più fattori da tenere in considerazione (Laycock e Tilley, 1995).
Il controllo di vicinato, nonostante le critiche rivolte, resta il più comune e diffuso mezzo di
prevenzione per la sicurezza dei cittadini. I cittadini sperimentano infatti un nuovo modo di agire
comunitario e il rapporto costante con le Forze dell’Ordine li tiene aggiornati sulle problematiche
del quartiere, rendendoli consapevoli di cosa devono osservare e riportare (Rosenbaum,1987).
1.2 Rassegna della letteratura
Le ricerche sul controllo di vicinato sono state molto numerose ma si sono concentrate
soprattutto nei primi anni della sua applicazione. La maggior parte degli studi hanno riportato le
motivazioni per cui il programma è stato attivato, i primi di questi hanno posto attenzione anche
sulla metodologia di implementazione mentre i successivi si sono limitati a studiare gli effetti
poiché il metodo con cui veniva applicato il programma era prevalentemente sempre lo stesso. Tutte
le analisi hanno riportato gli effetti che il progetto ha avuto sulla criminalità, la maggior parte delle
quali è stata effettuata in Inghilterra e Stati Uniti, i due Paesi in cui l’implementazione di questi
programmi è ormai divenuta una consuetudine.
Le analisi che prenderemo in considerazione sono state effettuate dalle forze di Polizia,
dalle università o da istituti di ricerca e verranno analizzate solo le ricerche effettuate su base
scientifica, quindi che seguono una metodologia ben specifica. La maggior parte di queste analisi
hanno avuto risultati positivi e contengono l’analisi comparata di un’area di confronto, in modo da
verificare la presenza di una diffusione dei benefici o una migrazione dei reati nelle aree limitrofi.
Inoltre in alcune ricerche è stata considerata anche un’area di confronto non adiacente alla zone di
intervento per verificare il trend dei reati nel periodo di studio. La valutazione del controllo di
vicinato è avvenuta tramite raccolta di dati su serie storica o attraverso interviste atte a misurare la
percezione di sicurezza dei cittadini, entrambe paragonando il pre e il post intervento, cioè la
situazione nei mesi prima e dopo l’applicazione. Le lacune di questi studi sono ben evidenti perché
si concentrano solo ed esclusivamente sull’efficienza o meno dei programmi senza mai sottolineare
quali sono stati i punti di forza o di debolezza dei progetti, ed inoltre non hanno considerato tutte le
variabili che incidono in uno schema di controllo di vicinato (Laycock, 2002). Questa criticità è
spiegata in modo molto semplice da Laycock (2002) che trova nel finanziatore della ricerca il
problema: i finanziamenti sono spesso consegnati per studiare l’efficacia di una determinata misura
preventiva, al mondo politico, che spesso è l’ente che stanzia i fondi, interessa sapere solamente se
il controllo di vicinato funziona o meno senza addentrarsi nelle valutazioni di tipo socio-psicologico
che potrebbero spiegarci i motivi dell’efficacia e illustrarci quali sono le variabili che influiscono
sulla positività dei risultati (Ibidem).
Queste mancanze hanno fatto in modo di avere una serie di risultati che analizzino solo il
contesto socioculturale oggetto dello studio, adattabili quindi esclusivamente a quell’area senza
avere un’idea chiara delle variabili da valorizzare per ottenere benefici nelle implementazioni
future.
Gli studi riportati in analisi dimostrano l’adattamento del programma alla società di
applicazione (Bennett, 2008) infatti oltre ai caratteri fissi del “Big three” (Titus,1984) riscontrati in
tutte le implementazioni di controllo di vicinato sono stati aggiunti fattori supplementari.
Tab. 1.1 Sintesi studi analizzati
N. Ricerche Risultato
22
Positivo Negativo Non Definito
Totale Con area di controllo Totale Con area di controllo Totale Con area di controllo
19 13 1 1 2 2
1.2.1 Prime implementazioni e ricerche statunitensi
Il primo programma di controllo di vicinato nacque ad Oackland, negli Stati Uniti, nel 1966
con il nome di “Home Alert“ e consisteva in un programma di collaborazione tra Polizia e cittadini
per la prevenzione di attività criminali e comportamenti devianti (Washnis,1976). Questo tipo di
iniziativa, permise alla comunità di diventare “gli occhi e le orecchie della Polizia” (Bennett,1990)
e attraverso un continuo scambio di informazioni bilaterali sono state promosse le attività di
contrasto alla criminalità. Questa prima iniziativa era organizzata dalla Polizia che eleggeva, tra i
cittadini, un direttore di riferimento, il quale nominava a sua volta un coordinatore o un
responsabile per ogni quartiere, che aveva il compito di segnalare alle autorità competenti
movimenti sospetti e comportamenti devianti (Ibidem).
Nel 1971, nacque a Philadelphia il “Block Association of Philadelphia”. Questo movimento
era volto a contrastare le rapine e i furti in villa che colpivano i cittadini, con l’assistenza e la
collaborazione della Polizia che mensilmente organizzava incontri e corsi di formazione per aiutare
i partecipanti a capire quali fossero i comportamenti da segnalare alle autorità e come migliorare la
sicurezza della loro abitazione (Bennett, 1990). Il programma comprese inoltre delle attività di
controllo a piedi da parte dei cittadini (Community Walks) e l’utilizzo di trombe sonore per avvisare
i propri vicini di presenze sospette e per allontanare tali presenze.
Il problema fondamentale dei due programmi appena citati è stato che non vennero mai
effettuati studi statistici sui loro effetti. Solitamente per valutare scientificamente gli esiti del
programma di prevenzione, andrebbe confrontata la situazione precedente con quella successiva
all’intervento e spiegando i motivi di una probabile efficacia o inutilità. Questa assenza di una
valutazione critica potrebbe essere il motivo per cui il programma non si diffuse immediatamente a
macchia d’olio come successe in seguito.
Nella storia del controllo di vicinato è il “Community Crime Prevention Program in Seattle”,
nato nel 1972, il programma più famoso, per due motivi fondamentali: innanzitutto perché è stato
pubblicato un rapporto completo sullo schema di applicazione utilizzato (Cirel, 1977) ed inoltre
perché riporta il primo studio statistico sugli effetti del controllo di vicinato, che come abbiamo
detto precedentemente, è necessario per una diffusione di un’applicazione come questa. Cirel,
attraverso una serie di interviste, scoprì che il reato che più spaventava i cittadini di Seattle era
quello dei furti in appartamento e in villa e intervistando le vittime cercò di capire il metodo di
azione dei criminali e scoprì che attraverso l’adozione di pochi e semplici comportamenti gli stessi
cittadini potevano contrastare efficacemente il fenomeno criminale. Fu così che venne loro spiegato
cosa e come osservare; vennero definiti dei coordinatori delle varie zone della città e si iniziò a
riportare i dati raccolti alla Polizia in modo da identificare le zone più colpite. Il progetto consisteva
in quattro tattiche fondamentali:
Incoraggiare i cittadini a reagire e segnalare alla Polizia le attività criminali;
Fornire ai cittadini i mezzi fondamentali per ritornare proprietari delle loro abitazioni
definendone i confini;
Espandere il controllo di vicinato per aumentare il campo di controllo della Polizia;
Fornire dati agli abitanti sull’efficacia ed efficienza dell’attività di controllo in modo da
motivarli a interagire con le istituzioni (Ibidem).
Questo sistema diventò famoso anche perché nacque dai cittadini e fu organizzato interamente
da loro, la Polizia Locale ebbe un ruolo di semplice collaborazione e supporto; inoltre l’analisi dei
risultati condotta dallo studioso riscosse molta popolarità perché i furti in abitazioni diminuirono del
61% in un anno.
Il programma nato a Seattle divenne la guida per molte altre città e distretti che avevano
problemi di criminalità e i risultati e la metodologia di applicazione furono da subito pubblicati e si
sparsero per tutti gli Stati Uniti. Le città con problemi di criminalità o per paura di diventare vittime
di un aumento della criminalità iniziarono ad adottarlo, analizzandone gli effetti e pubblicizzandone
i risultati.
Uno dei primi esempi fu il distretto della Columbia a Washington DC nel 1981 dove, dal
1965 al 1980, i reati gravi denunciati alle autorità triplicarono. Le Forze dell’Ordine non
disponevano di fondi a sufficienza per attuare i programmi di sicurezza adeguati a far fronte a tali
tassi di criminalità, per questo motivo si adottò un programma di controllo di vicinato (Hening,
1984). Come nei programmi precedentemente descritti, la popolazione fu istruita ad osservare ciò
che accadeva lungo le strade e a riportare i fatti alla Polizia, furono istituiti dei corsi per informare i
cittadini e ad ogni via o quartiere fu dato un coordinatore, scelto tra i cittadini, che aveva la
funzione di tramite tra Polizia e cittadini. Periodicamente venivano fissati degli incontri tra
coordinatori e Pubblica Amministrazione, grazie ai quali l’ente locale valutava l’organizzazione e
l’operato di ogni area e dava consigli su come gestire al meglio le situazioni e i problemi che si
erano riscontrati durante l’operato (Ibidem). Grazie a questa cooperazione il programma era sempre
seguito nei suoi sviluppi dall’Amministrazione che presenziava gli incontri per far si che l’iniziativa
promossa rimanesse viva negli anni. Anche in questo caso il programma fu analizzato e furono
comparati i dati del pre con quelli del post intervento attestando una diminuzione dei furti del 25%.
Un problema fondamentale di questi programmi è che una volta ottenuti i risultati sperati il
controllo informale si abbassi, cosi facendo le opportunità criminali aumentano nuovamente e con
loro il numero dei reati (Cirel, 1977). Per questo motivo le amministrazioni dovrebbero seguire
attentamente lo sviluppo dell’iniziativa e cercare in ogni modo di mantenerla attiva, altrimenti si
corre il rischio di tornare ai livelli di criminalità di partenza come successe in molte località, dove il
programma, una volta ottenuti i benefici, fu abbandonato sia dai cittadini che dagli enti locali,
riportando così i livelli di criminalità alla fase di pre-attuazione (Bennett, 2008).
Gli studi statunitensi riportati nella tabella in seguito dimostrano che il controllo di vicinato,
nella maggior parte dei casi, ha raggiunto nel breve periodo gli obiettivi preposti. Questo sistema
venne quasi sempre adottato per contrastare il fenomeno dei furti in appartamento, di conseguenza,
in gran parte delle ricerche, le analisi statistiche sono concentrate su questo tipo di reato.
Tab. 1.2 – Rassegna studi statunitensi
N.
studio Autore Luogo Anno
Area di
controllo Risultati Diffusione benefici
Note
si/no
1 Cirel Seattle 1975 Si -61% furti in
abitazione No, invariato
Dopo 12/18 mesi meno
effetto
2 Hulin Chicago 1978 Si -25% furti in ab. No, aumento furti
10-15%
3 Henig Washington 1982 Si -3,3 primo anno, -
12% secondo anno No
Variabili
socioeconomiche
incidono
4
Research and
Forecasts incorporated
Detroit 1983 Si -48% reati Si, -3% reati
5
Knowles,
Lesser, McKewen
Los Angeles 1983 Si -28% reati No, aumento 13%
6 Rosenbaum Chicago 1985 Si / /
Controllo di vicinato è
consuetudine da tempo
7 Latessa e Travis Cincinnati 1987 Si -11% furti in
appartamento
Si, -2% furti in
appartamento
8 Bennettt e
Lavrakas
Baltimora,
Boston, Bronx, Brooklyn,
Cleveland,
Miami, Minneapolis,
Newark,
Philadelphia e Washington
1989 Si
7 città =, 2
aumento reati, 1 diminuzione
no Risultati inattesi
Gli studi analizzati hanno tutti confrontato i risultati con un’area di controllo, grazie alla
quale si è potuto scoprire se i risultati ottenuti siano frutto del programma o se la variazione nel
numero dei reati ha ricevuto influenze di altro genere.
L’adozione di un’area di controllo consiste nel definire un’area della città sottoposta allo
studio in cui non vi sono state applicate misure preventive o di contrasto alla criminalità, in modo
da verificare se eventuali diminuzioni degli indici di criminalità sono dati dall’effettivo
funzionamento dei mezzi preventivi oppure è un normale cambiamento che coinvolge tutta la città,
la regione o il paese. L’utilizzo dell’area di controllo, se limitrofa all’area sottoposta al controllo di
vicinato, fa in modo che il ricercatore evidenzi l’eventualità di una diffusione dei benefici o di
displacement. La prima consiste nell’espansione della riduzione della criminalità alle zone vicine,
mentre il secondo effetto si riproduce nello spostamento della criminalità dalla zona interessata dal
programma alle zone circostanti (McLennan e Whitworth, 2008).
Per effettuare un’analisi scientificamente corretta sarebbe necessario utilizzare due aree di
controllo in modo da verificare prima di tutto se il trend dei reati è variato nella zona e in secondo
luogo quali effetti ha portato il programma nelle zone limitrofe, in tutti gli studi analizzati non sono
mai state utilizzate entrambe e questo evidenzia una lacuna metodologica.
Esempio lampante dell’utilizzo di una sola area sono stati gli studi di Hening (1984): la sua
analisi voleva misurare l’efficacia del programma sulle attività criminali della zona di Washington e
se esse subivano influenze esterne. La metodologia consisteva nell’effettuare interviste telefoniche
a 25 abitanti di una zona e comparare i dati ottenuti dai residenti con quelli delle denunce raccolte
dalla Polizia; inoltre effettuò un paragone con un’area in cui il controllo di vicinato non era attivo. I
risultati sottolineavano che gli effetti positivi del programma erano concreti nei primi due anni di
intervento per poi rimanere stabili (Bennett, 1990). Il confronto con le aree in cui non vi era un
controllo attivo non diedero risultati significativi, Henig (1984) dichiarò che nel suo caso erano le
differenze socio economiche che incidevano sul numero dei reati più che la partecipazione dei
cittadini al programma. Ne conseguì che gli abitanti bianchi di classe medio alta erano i più
partecipativi ma allo stesso tempo i più vittimizzati (Ibidem). L’autore ha provato a dare una
spiegazione ai risultati delle sue ricerche affermando che la classe medio alta avrebbe un’attrattiva
criminale più alta delle classi basse e le loro abitazioni potrebbero essere dotate di meno
apparecchiature di sicurezza rispetto alle classi più agiate.
Due studi hanno sottolineato come i programmi di controllo di vicinato portino benefici anche
alle aree limitrofe: Latessa e Travis (1987) effettuarono uno studio a Cincinnati, esattamente
nell’area di College Hills, descritta come la quinta area più popolata degli Stati Uniti con 170.000
residenti. I due studiosi effettuarono un’analisi dei dati raccolti dalle Forze dell’Ordine nell’area in
cui fu attivato il controllo di vicinato, prima e dopo l’intervento, prendendo sempre come paragone
un’area di controllo. I risultati furono positivi: i furti in appartamento diminuirono dell’ 11%
nell’area sottoposta al controllo di vicinato e del 2% nell’area limitrofa utilizzata come zona di
controllo.
La diffusione dei benefici è dimostrata anche dallo studio sulla città di Detroit in Michigan
(Research and Forecasts incorporated,1983). L’analisi impiega la stessa metodologia
precedentemente utilizzata, ovvero il confronto dei dati delle denunce raccolte dalle Forze
dell’Ordine nella zona di riferimento e in quella di controllo posta a quattro miglia da quella in cui
il programma è stato attivato. I risultati riportarono che vi fu una riduzione dell’indice di criminalità
pari al 48% dove il controllo era attivo e del 3% nell’area di controllo. Questo, per gli studiosi,
dimostrava l’effettivo funzionamento del programma (Ibidem). Per indice di criminalità si intende
l’indicatore che al variare del numero dei reati e della loro gravità aumenta o diminuisce in modo
proporzionale (Transcrime, 2010).
Un limite di questi studi è legato alla lettura della diminuzione del 2% e 3% come una
diffusione di benefici, quando potrebbe essere una semplice diminuzione casuale della criminalità
in quell’area. Dunque, sarebbe stato consono effettuare ulteriori analisi su altre zone della città in
modo da verificare se si trattava veramente di diffusione di benefici o riduzione del trend generale
dei reati.
L’effetto contrario, cioè il displacement, è avvenuto in due città riportate in analisi, Chicago e
Las Vegas. Nel 1978, a Chicago, sono stati monitorati i dati relativi alla criminalità nell’anno pre e
post intervento in quattro aree in cui il controllo di vicinato era attivo e in quattro aree limitrofe. Lo
studio fu condotto da Hulin (1979) e i risultati confermarono l’effettivo funzionamento del controllo
di vicinato. Ma, come affermato precedentemente, hanno mostrato come nelle quattro aree di
controllo i crimini sono aumentati dal 10% al 25%, creando cosi displacment.
Stesso fenomeno è stato evidenziato nello studio sulla città di Los Angeles. L’analisi si
basava sui dati raccolti dalla Polizia nei dodici mesi prima e dopo l’inizio del programma per
valutarne l’effettivo funzionamento. Nelle zone in cui il programma era attivo i reati diminuirono
del 28% , ma nelle aree di controllo ci fu un aumento del 13% dei crimini (Knowles, Lesser,
McKewen, 1983). Diversamente dalle contestazioni riportate agli studi che dimostrano la diffusione
di benefici, in queste due analisi possiamo notare quanto sia palese l’aumento della criminalità nelle
zone limitrofe e quindi è evidente come la criminalità si sia spostata. Sarebbe stato interessante
capire, come ha sottolineato Henig, quali sono le variabili che secondo gli studiosi hanno
influenzato questo spostamento e quanto è omogeneo il tessuto socio-economico dell’ambiente
studiato.
L’unica analisi statunitense che non ha confermato la teoria per la quale il controllo di
vicinato riduce i tassi di criminalità, cioè il rapporto tra il numero dei reati e la popolazione
residente nell’anno preso in considerazione, è quella effettuata da Bennettt e Lavrakas (1989), che
hanno effettuato uno studio su dieci città statunitensi: Baltimora, Boston, Bronx, Brooklyn,
Cleveland, Miami, Minneapolis, Newark, Philadelphia e Washington.
I due studiosi hanno effettuato due tipi di analisi: prima di tutto hanno intervistato gli abitanti
delle città sopra elencate, stabilendo un’area di controllo per ognuna di esse, per effettuare dei
paragoni con i risultati ottenuti; in secondo luogo sono stati monitorati mensilmente i tassi di
criminalità e confrontati con aree di controllo precedentemente definite. I risultati mostrarono che
per sette città su dieci i dati rimasero uguali, in due città i reati aumentarono nelle aree in cui il
programma era attivo e in una sola città si raggiunsero gli obbiettivi per i quali il programma era
nato. Il commento finale dei due studiosi fu che non erano stati raggiunti i risultati sperati senza
tuttavia approfondire i fattori che potrebbero aver inciso sulla mancata efficacia (Ibidem). È
probabile che in città con densità abitativa molto elevata, cioè un alto numero di cittadini per km², il
controllo di vicinato sia più difficile da adottare perché i rapporti possono risultare meno
confidenziali e quindi ci può essere meno coesione sociale. Inoltre in quest’ultimo studio non viene
descritta la metodologia di implementazione e il fallimento potrebbe essere dettato anche da una
metodologia sbagliata, poco pubblicizzata o inadatta al contesto.
A Chicago viene sperimentato uno studio innovativo sul controllo di vicinato, che dimostra
come in venti anni questo programma sia diventato consuetudine e sia entrato a far parte del senso
comune. I cittadini vengono intervistati nel pre e nel post intervento con lo scopo di capire il
comportamento delle persone nella protezione del proprio vicinato (Rosenbaum, 1985). Gli abitanti
intervistati nel pre intervento sono 3357, mentre nel post intervento 2824. I risultati sottolineano
un’omogeneità di comportamento sia nelle zone in cui il controllo è attivo, sia ove il controllo non è
attivo. Tutte le persone dichiarano che è normale controllare la propria casa e le case circostanti,
chiamare i vicini per nome ed essere in buoni rapporti con loro e, soprattutto, avvisare la Polizia in
caso di comportamenti sospetti. Tutti i cittadini, partecipanti e non, ritengono sia un comportamento
normale e socialmente efficiente quello di controllare ciò che accade fuori dalle proprie mura. I
risultati ottenuti sono quindi molto simili tra le aree in cui il controllo di vicinato è attivo e quelle in
cui non è attivo, questo dimostra quanto in poco tempo il programma sia diventato una
consuetudine e sia entrato nella cultura della società statuninense, di conseguenza gli enti locali non
hanno più la necessità di istituzionalizzarlo e promuoverlo (Ibidem).
Sherman (1997) riporta in un’analisi della letteratura gli ultimi due studi qui considerati, cioè
quello di Bennett e Lavrakas(1989) e quello di Rosenbaum (1985), affermando che il controllo di
vicinato è di facile applicazione nelle zone in cui la società è coesa ma è di difficile applicazione nei
luoghi in cui i cittadini sono disgregati e quindi non vi è fiducia reciproca, questo avviene
solitamente nelle aree più popolate dove è complesso conoscere tutti i propri vicini di casa.
Un’ulteriore motivazione che fa si che i vicini non si integrino tra loro, secondo l’autore (Ibidem), è
l’alto tasso di criminalità perché può essere sia un motivo per i cittadini di diventare più coesi e
contrastare la criminalità insieme, attraverso le community policing, sia un motivo di disgregazione
perché le persone hanno paura e pensano solo ai propri beni senza tutelare quelli degli altri,
riducendo il senso di proprietà dal quartiere all’abitazione (Skogan, 1990). Per questo motivo negli
studi riportati non sono stati raggiunti gli obiettivi preposti e Sherman (1997) dichiara che il
controllo del vicinato risulta assolutamente inefficace (Ibidem). A queste conclusioni può essere
contestato il fatto che, nelle città non riportate nel precedente studio, il controllo di vicinato ha
funzionato, ma possiamo essere d’accordo che la componente coesione-aggregazione sociale giochi
un ruolo fondamentale nell’applicazione di questa misura preventiva di sicurezza (Bennett, 2007) e
che il livello di criminalità di partenza sia un fattore da tenere in considerazione nel momento in cui
si applica il programma (Laycock e Tilley, 1995).
1.2.2 Prime implementazioni e ricerche britanniche
Il controllo di vicinato ha subito una rapida espansione tanto che, negli anni ’80, vennero
pubblicati i primi manuali riguardanti questa mezzo di prevenzione anche in Inghilterra (Delaney,
1983). In Gran Bretagna il primo fenomeno ricollegabile al controllo di vicinato era denominato
“Good Neighbourhood can Prevent Crime” messo in atto dalla Polizia Metropolitana già nel 1943,
che promuoveva una serie di comportamenti che il cittadino poteva adottare per favorire le attività
della Polizia (Turner e Barker, 1983).
Alcuni studiosi statunitensi, però, rimasero fermamente convinti che il vecchio programma
non abbia avuto nulla a che vedere con il controllo di vicinato applicato in Inghilterra negli anni
’80, perché quest’ultimo adottava gli schemi del fenomeno statunitense, dando cosi adito all’idea
che il programma sia nato esclusivamente nel nuovo continente e poi esportato negli altri paesi
anglosassoni (Bennett, 1990).
Il primo prototipo di programma inglese nacque nell’ottobre del 1981 nella contea di Devon,
dove la Polizia della Cornovaglia lanciò quello che poi venne studiato come il punto di partenza del
controllo di vicinato, cioè il “Neighbourhood against Burglary “ (NAB) (Delaney, 1983). Il
programma conteneva dieci elementi fondamentali:
Combattere i furti in appartamento;
Spostare l’enfasi della cattura dei criminali dalla Polizia alla comunità;
Avvertire la comunità della probabilità di subire furti e incoraggiarla ad installare misure di
sicurezza per proteggere meglio la propria abitazione;
Incoraggiare la catalogazione dei propri oggetti di valore;
Incoraggiare la comunità ad avvertire immediatamente l’autorità di eventuali attività
sospette;
Incoraggiare la comunità a controllare le case dei propri vicini e la propria strada;
Abituare la comunità alla mentalità della sicurezza;
Mettere tutte le comunità in relazione tra loro;
Creare un clima di collaborazione che porti i cittadini a raggiungere lo stesso scopo;
Incoraggiare gli abitanti ad agire come un membro del NAB (Devon and Cornwall
Constabulary, 1981).
In molti di questi elementi troviamo caratteristiche similari al controllo di vicinato nato in
Stati Uniti ma c’è una differenza sostanziale: i programmi statunitensi vengono attivati e mantenuti
attivi dai promotori negli anni, in modo da evitare un ritorno dei livelli criminali del pre intervento,
mentre questo programma inglese è stato mantenuto e promosso per un tempo veramente limitato di
sole due settimane (Bennett, 1990).
Un programma molto simile a quello nato nella contea di Devon fu quello promosso dalla
Polizia dell’Hampshire nel 1978 che prese il nome di “Home Watch”, anche questa iniziativa fu
promossa per sole quattro settimane. I cinque punti fondamentali da mettere in atto furono:
Installare misure di sicurezza su ogni casa;
Installare serrature resistenti alla forzatura su ogni finestra e porta esterna;
Non lasciare segni di abbandono della casa, come ad esempio il ritiro della posta da parte
del vicino di casa;
Coinvolgere i vicini nella protezione reciproca;
Abituare gli abitanti alla cultura della sicurezza.
Questi due programmi vengono considerati incompleti dal mondo scientifico, il motivo
fondamentale risulta essere la loro brevissima durata, questa non ha dato modo di analizzarne gli
effetti (Bennett, 1990) e proprio per questa ragione, come dicevamo inizialmente, sono stati
considerati la base da cui è partito il fenomeno, perché hanno fornito una struttura ritenuta efficiente
la cui unica lacuna era il tempo.
Uno dei primi progetti completi di controllo di vicinato, in quanto duraturo, è stato
implementato a Mollington nel Cheshire nel 1982; i cittadini si riunirono in piccole associazioni per
contrastare il fenomeno dei furti in appartamento, esportando l’idea dalle iniziativa nate negli Stati
Uniti. All’inizio il dibattito fra cittadinanza e Polizia fu molto acceso, perché i furti risultavano
essere solamente dodici in tutta la città nel 1981 e sette nei sei mesi antecedenti l’inizio del
programma del 1982, ma i cittadini non lamentavano il numero dei furti, bensì la loro entità
economica e pretendevano che la Polizia prendesse provvedimenti immediati. Il problema
dell’Amministrazione locale era quello di non poter assumere ulteriori agenti quindi si mise in atto
un programma di controllo di vicinato simile a quelli nati negli Stati Uniti (Anderton, 1985). Il
dibattito avvenuto in questo caso è molto interessante perché ci fa capire quanto la percezione della
sicurezza fosse importante anche allora e la mancanza di fondi dell’Amministrazione pubblica
possa essere colmata dalle Community Policing. L’iniziativa prevedeva che i cittadini diventassero
le “antenne” delle Forze dell’Ordine (Bennett, 2008) e riportassero ad essa tutte le attività sospette;
dovevano inoltre prendere provvedimenti per delimitare la loro proprietà e aumentare i sistemi di
sicurezza su porte e finestre. Lo schema fu subito messo in atto nella città di Mollington e ottenne
una riduzione dei furti dell’89% e fu cosi lentamente applicato in tutte le cittadine presenti nella
contea (Anderton, 1985).
Nel 1983, a Kingsdown nella contea di Bristol, fu lanciato un programma completo di
controllo di vicinato promosso dalla Polizia dopo la scoperta di una concentrazione di attività
criminali nei paesi limitrofi. Le Forze dell’Ordine non volevano che tale concentrazione si
espandesse nella città di Kingsdown, per questo attivarono, come mezzo di prevenzione, il controllo
di vicinato. (Veater, 1984). Il programma comprendeva:
Controllo di vicinato;
Reclutamento di unità speciali di civili;
Pattugliamento a piedi;
Campagna di promozione sulla sicurezza domestica;
Delimitare i propri confini (Ibidem).
L’iniziativa fu promossa con l’invio di una lettere ad ogni cittadino con i punti sopra riportati
e una richiesta di volontari che ricoprissero la posizione di coordinatori o volessero entrare a far
parte di unità di controllo speciali. Inoltre, allegato alla lettera, fu inviato un questionario di
vittimizzazione per definire il numero di vittime di reato presenti nella cittadina e definire quali
fossero le zone della città più colpite. Questo schema fu il primo ad essere studiato scientificamente
e portò una riduzione del 9% dell’indice di criminalità nel primo anno di applicazione.
Nel 1982 il controllo di vicinato viene proposto a Londra, dal Commissario della Polizia, per
contrastare il fenomeno dei furti e altri tipi di reati che colpiscono i cittadini e le loro proprietà
(Bennett, 1990). La proposta venne subito pubblicata sul “The Times” e venne attivata nel
Settembre del 1983 con il nome di “Neighbourhood watch and Property Marking schemes”, per la
prima volta il programma di controllo di vicinato è stato pubblicizzato da tutti i media
(Metropolitan Police, 1983). Lo schema era deducibilmente ispirato ai programmi utilizzati negli
Stati Uniti anche il nome era un chiaro riferimento al Big three elaborato da Titus (1984) ed è
composto da quattro parti fondamentali:
Controllo di vicinato, cioè un network di cittadini che sorvegliano e controllano le vie della
città e riportano comportamenti sospetti;
Protezione e definizione della proprietà privata;
Sondaggi sulla sicurezza domestica condotti dalla Polizia che istruisce gli abitanti su come
diminuire la possibilità che la propria abitazione subisca crimini;
Corsi che aumentano la consapevolezza del tipo e del numero dei crimini presenti nella
propria zona.
Il controllo di vicinato, in questo caso, è stato organizzato dalle Forze dell’Ordine e per
l’implementazione del programma sono stati selezionati un gruppo di cittadini volontari,
provenienti dalle diverse zone della città, aventi la funzione di promotori dell’iniziativa nelle loro
zone di residenza. Il loro compito era bilaterale, da un lato dovevano riferire eventuali situazioni di
degrado o insicurezza dei cittadini alla Polizia, dall’altro dovevano coinvolgere gli abitanti nelle
iniziative promosse dagli enti locali per il contrasto dei crimini (Newman, 1984), inoltre le Forze
dell’Ordine si impegnavano a comunicare ai coordinatori le statistiche relative alla criminalità
dell’area annualmente in modo tale che questi potessero diffondere i risultati. Questa iniziativa fu
studiata in modo meticoloso e oltre ad un calo dei furti in abitazione del 5% fu riscontrato anche un
aumento di delle qualità della vita.
Nel 1983, le amministrazioni del Galles del Sud iniziarono a promuovere i programmi di
controllo di vicinato in tutta la contea e così accadde in tutta la Gran Bretagna dove i programmi
subirono una rapida espansione territoriale fino a diventare una consuetudine; nel 2000 erano attivi
155.000 programmi e la partecipazione era passata dal 14% dei cittadini nel 1988 al 27% nel 2000
(Sims, 2001).
Tab. 1.3 - Rassegna studi Britannici
N.
studio Autore Luogo Anno
Area di controllo
si/no
Risultati Diffusione
benefici
Note
9 Veater Kingsdown 1983 si -9% indice di
criminalità
No, aumento
indice
criminalità
10 O’Leary e Wood Stafford 1984 no -74% / No merito progr.
11 Northamptonshire
police Northampton 1985 no -2/4% /
9%partecipazione
12 Anderton Cheshire, Mollington 1985 no -89% /
13 Jenkins e Latimer Merseyside 1987 no In media -6%
in tre aree /
Dati quarta area non
pubblicati
14 Forrester, Chatterton e
Pease Kirkholt, Manchester 1988 si -38% No
15 Husain
Birgmingham,
Brighton, Burnley,
Manchester, Preston e Sutton Coldfield
1990 si Tre città - ,
altre tre = No
16 Bennett Londra 1990 si -5% furti in
ab. no
Migliore qualità di vita
17 Matthews e Trickley Matthews e Trickley, 1994 si Primo anno -, no Abbandono del
Leichester secondo anno
+12%
programma dopo
primo anno
18 Tilley e Webb
Birmingham,
Bradford, Hull,
Nottingham, Rochdale, Sunderland, Tower
Hamlets and
Wolverhampton
1994 si -40% indice di criminalità
Si, -10%
indice di
criminalità
Pubblicano i risultati
di 3 città su 8
Parallelamente alla diffusione sul territorio inglese vengono effettuati gli studi sull’efficienza
dei programmi. Quasi tutte le analisi attestano una riduzione dei tassi di criminalità, anche se
contrariamente a quanto avvenne negli Stati Uniti dove gli studiosi utilizzarono sempre il confronto
con un’area di controllo, gli studi inglesi non effettuarono sempre il confronto, lasciando in questo
modo la lettura dei dati in modo biunivoco, facendo così permanere il dubbio che la riduzione dei
tassi sia dovuta ad un abbassamento dei trend generali nelle città inglesi piuttosto che
all’applicazione del controllo di vicinato. In molti casi, inoltre, gli studiosi, non hanno spiegato il
motivo dell’efficacia del controllo di vicinato riportando solo i dati statistici e come, abbiamo
sottolineato, in precedenza manca un’analisi delle variabili che hanno influenzato positivamente o
negativamente gli schemi (Laycock, 2002).
Nello studio effettuato da O’Leary e Wood (1984) sulla città di Stafford non fu utilizzata
l’area di controllo e la partecipazione fu veramente limitata, nonostante questo i risultati furono
positivi. I due studiosi compararono i dati raccolti dalla Polizia nei sette mesi prima e nei mesi
durante l’intervento e i risultati ottenuti dimostrano che i crimini denunciati sono diminuiti del 74%.
Tuttavia, secondo gli autori questi dati non poteva lasciar presagire che il merito sia interamente del
controllo di vicinato, perché, secondo le interviste, la partecipazione della cittadinanza è stata
limitata (circa il 4%). Questo fece pensare che i crimini diminuirono spontaneamente senza subire
gli effetti del programma messo in atto, oppure la criminalità potrebbe aver subito uno spostamento
nelle zone limitrofe. Il problema della ricerca è stato che non essendo presente un’area di controllo
nello studio o un analisi più approfondita possiamo solo stilare alcune ipotesi senza avere dati certi
sui fattori che hanno influenzato il tasso di criminalità.
Un'altra ricerca che ha ottenuto dati positivi, ma non presenta un’area di controllo, è quella
nel riguardante la contea di Cheshire, a Mollington. Qui venne effettuato uno studio sui dati raccolti
dalle Forze dell’Ordine nei diciotto mesi prima dell’intervento e durante i trenta mesi di
implementazione (Anderton, 1985). I dati analizzati sottolinearono come questo sistema sia stato
estremamente efficace, visto che i furti in appartamento passarono da 19 a 2, ma come abbiamo
sottolineato prima, non avendo ulteriori dati non si è stati in grado di verificare se l’efficacia è
riconducibileal controllo di vicinato o ad altri fattori.
A Northampton, invece, è stata effettuata un’analisi statistica dei dati raccolti dalle Forze
dell’Ordine nei dodici mesi pre e post intervento in due diverse aree, entrambe con il controllo di
vicinato attivo (Northamptonshire Police,1985). I risultati dimostrarono che i crimini denunciati
diminuirono lievemente nella prima area mentre nella seconda la riduzione era nulla, infatti, nella
prima area, le denunce passarono da 541 a 521, mentre nella seconda da 204 a 202. I dati non
godono di molta fiducia nel mondo scientifico, sia perché sono stati stilati dalla Polizia che ha
interesse a dimostrare che programma funzione, sia perché non vi è un’area di controllo che
dimostra l’efficacia della procedura (Bennett, 1990). Un aspetto che non venne sottolineato
nell’analisi delle Forze dell’Ordine, è che i furti in abitazione aumentarono quando, solitamente,
sono la prima tipologia di crimine a diminuire, in quanto il controllo di vicinato è rivolto soprattutto
ad essi. Infatti, gli studiosi, ci hanno fatto notare come questo tipo di reato sia passato da 93 a 108
nella prima area e da 14 a 30 nella seconda. Questo può essere spiegato anche dalla bassa
partecipazione dei cittadini, che la Polizia definì essere solo del 9%.
Un ulteriore studio, effettuato senza il confronto con un’area di controllo, ma paragonando
quattro zone differenti, è stato quello del 1987 (Jenkins e Latimer) a Merseyside, dove vennero
analizzati i dati raccolti dalla Forze dell’Ordine nei dodici mesi prima dell’intervento e nei dodici
mesi posteriori all’implementazione del controllo di vicinato. I risultati furono positivi per tre aree
su quattro, in quanto l’indice di criminalità passò dal 13% al 10%, dal 19,5% al 5% e dal 9% allo
0%. Queste percentuali, però, sono state calcolate sul numero delle abitazioni e non degli abitanti
per questo risultano elevate (Bennett, 1990).
In un secondo momento, sono stati analizzati i soli furti in appartamento rilevando un calo
dell’ 1% nella prima area, del 14% nella seconda e del 4% nella terza. I risultati della quarta zona
non sono stati riportati nello studio facendo presagire che l’implementazione del controllo di
vicinato non è sempre efficace, senza darci spiegazioni su quali fattori possano aver inciso sul
mancato funzionamento del programma, questo errore fa si che non si possano sottolineare le
lacune in modo da poterle colmare nelle future implementazioni.
Questa mancanza è riscontrabile anche nell’analisi effettuata da Husain (1990), il quale valutò
l’effettivo miglioramento dopo l’applicazione del controllo di vicinato in sei città inglesi:
Birgmingham, Brighton, Burnley, Manchester, Preston e Sutton Coldfield. Lo studio si basava sui
dati rilevati dalle denuncie rilasciate alle forze di Polizia nell’anno prima e dopo l’intervento in
zone in cui il programma era attivo e in altre zone di controllo. Husain (1990) affermò che solo in
tre città su sei vi fuun effettivo miglioramento, mentre nelle altre tre la situazione restò invariata,
senza fornirci le possibili spiegazioni di questa inefficienza.
Matthews e Trickley (1994) effettuarono due analisi nell’area di New Parks in Leicester, in
entrambe compararono la zona di intervento e altre non sottoposte al controllo di vicinato. Nel
primo studio, effettuato durante il primo anno di implementazione, rilevarono un concreto
funzionamento; nel secondo anno, oggetto del secondo studio, evidenziarono un aumento
dell’indice di criminalità che passò dal 12% al 24% nelle diverse aree sottoposte al controllo di
vicinato. In questa analisi, si riscontrò un problema già evidenziato nelle ricerche statunitensi,
ovvero che il controllo di vicinato funziona fino a quando si raggiungono gli obiettivi preposti,
dopodiché, la cittadinanza, non essendo più motivata e non prestando più la dovuta attenzione alla
criminalità, torna ad un comportamento di non controllo (Bennett, 2008).
Altri risultati positivi provengono dagli studi di Veater (1984) che effettuò un’analisi su
Kingsdown, nella contea di Bristol, basandosi sulla comparazione di una serie di questionari di
vittimizzazione somministrati nel 1983, prima del controllo di vicinato, e un anno dopo nel 1984.
Per i fini della ricerca venne anche definita un’area di controllo per definire se il controllo di
vicinato incideva realmente sui comportamenti criminali e se questa politica potesse creare
displacement. I risultati dello studio riportarono che l’indice di criminalità passò dal 25% al 16%, il
tasso di vittimizzazione aumentò del 3% , probabilmente perché la cittadinanza era più attenta a ciò
che accadeva e quindi le segnalazioni aumentarono (Ibidem). Si dimostrò, inoltre, una lieve
diminuzione della paura della criminalità, perché il timore di lasciare la propria abitazione
abbandonata passò dal 57% al 50% mentre quello di subire un furto d’auto passo dal 78% al 77%. I
risultati provenienti dall’area di controllo lasciarono presagire che il controllo di vicinato crei
displacement poichè l’indice di criminalità nell’area aumentò.
Risultati promettenti furono riscontrati in uno studio a Kirkholt, una città a pochi chilometri
da Manchester (Forrester, Chatterton e Pease, 1988), in cui il programma nacque per far fronte
all’aumento dei furti in appartamento, come in molte altre città analizzate. Venne effettuato un pre
test e un post test e si notò che, durante l’applicazione del progetto, i furti diminuirono del 38%
nella zona in cui era attivo, mentre, nell’area di controllo, rimasero uguali, dimostrando l’effettivo
funzionamento del controllo di vicinato. Gli autori sottolinearono che, oltre al “Big Three”(Titus,
1984), fu utilizzato il sistema del controllo a piedi da parte di alcune associazioni civili, questo fa si
che la sorveglianza informale aumenti così come il livello di sicurezza percepita.
Nel 1994, Tilley e Webb hanno condotto uno studio sui dati ottenuti da undici aree, in cui il
programma era attivo, presenti in otto città: Birmingham, Bradford, Hull, Nottingham, Rochdale,
Sunderland, Tower Hamlets and Wolverhampton. I valori sono stati confrontati con undici aree di
controllo limitrofe in modo da evidenziare eventuali situazioni di displacement o diffusioni di
benefici. Gli autori hanno pubblicato i risultati di tre degli undici settori studiati, perché
consideravano i dati ottenuti delle otto aree escluse, irreali, essendo le diminuzioni troppo elevate.
erano convinti che la Polizia, da cui provengono i dati, li avesse in qualche modo modificati per
farli risultare positivi(Ibidem). In tutti i tre settori pubblicati i furti in abitazione subivano un netto
ridimensionamento del 40% e le aree di controllo una diminuzione del 10%. Gli autori ritenevano
che il controllo di vicinato fosse un utile mezzo di prevenzione di determinati tipi di reato: oltre ai
furti in abitazione può incidere su vandalismo, microcriminalità e danneggiamenti (Ibidem).
Gli effetti del controllo di vicinato furono studiati anche a Londra, in modo molto più
approfondito, dall’Istituto di Criminologia della Città. Si scelse una metodologia semisperimentale
per misurare l’efficienza del programma. In un primo momento, furono effettuate interviste nel pre
e nel post intervento in aree in cui il controllo di vicinato era attivo e in un’area di controllo in cui il
controllo non era attivo, per dare un maggior rilievo all’analisi si decise di effettuare l’intervista ad
almeno il 50% delle persone già intervistate nel pre test (Bennett, 1990). Lo scopo era quello di
misurare gli effetti ed accertarsi di eventuali situazioni di displacement come nelle ricerche a Seattle
(Cirel, 1977) e Bristol (Veater, 1984). Per fare in modo che la metodologia fornisse dati
rappresentativi si intervistarono tremila persone. Furono ben definite le zone in cui il controllo di
vicinato era attivo e le zone in cui non era attivo, in modo da poter separare i risultati provenienti da
ogni zona e compararli con le zone limitrofi. Inoltre, furono analizzati i dati provenienti dalle
denuncie alle Forze dell’Ordine, questi dimostrarono che sia nella zona di controllo sia in quella
nella quale il controllo di vicinato era attivo i reati, nei due anni seguenti l’applicazione, erano
diminuiti rispettivamente del 2,6% e del 1,4%.
Un dato curioso rilevato dallo studio effettuato, come detto precedentemente, è stato che i
furti in appartamento erano diminuiti di circa cinque punti percentuali, quindi l’autore dichiarava
che il controllo di vicinato incide più che altro su questo tipo di delinquenza (Bennett,1990). In
secondo luogo è stata effettuata un’analisi riguardante la sensazione dei cittadini nei confronti della
percezione della criminalità e dei livelli di sicurezza nella zona abitativa. Il ricercatore analizzò in
dettaglio i cambiamenti nelle abitudini dei cittadini dall’inizio del programma, cioè: la paura di
vittimizzazione, la probabilità di subire reati, soddisfazione e coesione sociale, grado di
partecipazione nel progetto, valutazione delle Forze dell’Ordine e rapporti tra abitanti e Polizia. I
risultati ottenuti furono contrastanti, perché nonostante i dati statistici rivelarono che non vi furono
sostanziali decrementi dei tassi di criminalità e i cittadini non implementarono i sistemi di sicurezza
domestica, la percezione della sicurezza era aumentata; è possibile che il controllo di vicinato, in
questo caso, abbia inciso più sulla percezione che sulla sicurezza che sul trend generale dei reati.
Bennett (1990), infatti, riportando i risultati del suo studio, fece notare che attraverso l’applicazione
del programma la qualità della vita dei cittadini, soprattutto delle donne, migliorò perché si
sentivano più sicure e sapevano che qualcuno (i vicini) vegliava su di loro (Ibidem).
1.2.3 Prime implementazioni e ricerche in altri paesi anglosassoni
I programmi di controllo di vicinato non sono stati istituiti solo negli Stati Uniti e Gran
Bretagna, in quanto si hanno informazioni certe dell’attuazione di questo sistema anche in
Australia, Canada e Irlanda; diversamente da quanto analizzato fino ad ora questi studi sottolineano
quali effetti ha portato il programma motivandoli e dando quindi spiegazioni sull’efficienza di un
intervento di questo tipo e su quali elementi insistere per ottenere risultati positivi.
Tab. 1.4 - Rassegna studi Australia, Canada e Irlanda del Nord
N.
studio Autore Luogo Anno
Area di
controllo si/no Risultati
Diffusione
benefici
Note
19 Mukherjee e
Wilson
Australia -
Victoria 1987 si
-16%Primo anno e -
30% Secondo anno No
Salvati 6 Milioni di Dollari Aus
20 Lowmann Canada -
Vancouver 1983 si -33% reati No
/
21 Worrell Canada –
Thunder Bay 1984 / -68% reati /
Migliorato rapporti FdO e cittadini
22 Social and Market
Research Irlanda del Nord 2007 si positivi No
Migliore qualità della vita
Wilson (1987) iniziarono l’implementazione e lo studio nel 1984, nella città australiana di
Victoria, dove venne promosso il controllo di vicinato per affrontare il problema della criminalità e
dell’insicurezza, considerando che le denunce triplicarono nel giro di pochi anni e i cittadini erano
spaventati dalle continue rapine, violenze (anche sessuali) e furti, soprattutto in appartamento che
rappresentavano il 60% del totale dei reati (Mukherjee e Wilson, 1987). Visti i dati allarmanti si
cercò un metodo per aumentare la sicurezza dei cittadini partendo proprio da un programma di
controllo di vicinato, volto alla sensibilizzazione degli abitanti e alla loro partecipazione alle attività
di indagine e osservazione della Polizia. Il punto focale del progetto fu l’interazione tra cittadini, e
tra questi ultimi con le Forze dell’Ordine; fu illustrato quali fossero le problematiche della zona di
residenza, cosa osservare e come aumentare le misure di sicurezza domestica in modo da prevenire
comportamenti criminali sempre riducendone le opportunità. Il programma presentato
dall’Amministrazione Pubblica prevedeva la suddivisione dello stato di Victoria in sedici parti,
ognuna con al suo interno un distretto di Polizia coadiuvato da un agente. Data la dimensione
dell’area interessata l’incaricato doveva selezionare dai due ai quattro cittadini coordinatori che lo
avrebbero aiutato nell’introdurre l’iniziativa a tutta la popolazione (Ibidem). Gli agenti a capo di
ogni distretto organizzavano corsi aperti per tutti i cittadini con cadenza regolare, in modo che la
popolazione partecipasse attivamente alla sicurezza della propria area (Ibidem).
Per dar vita ad ogni programma, erano necessarie almeno cinquanta lettere di adesione da
parte degli abitanti. Ogni distretto fu suddiviso dalle venti alle trentacinque aree, comprendenti
ognuna dalle seicento alle novecento abitazioni. A capo di ogni area vi era un comitato di quartiere,
in questo modo si cercò di responsabilizzare la popolazione coinvolgendola nell’organizzazione del
programma.
Il programma è stato valutato attraverso un’analisi statistica della variazione percentuale dei
furti in appartamento dal pre al post intervento, è stato il primo studio statistico e continuativo
australiano sul controllo di vicinato. I due autori affermarono che nel 1985, i furti in appartamento
sono diminuiti del 16,04%, nel 1986 i furti diminuirono ulteriormente del 30%. L’effetto del
programma venne pubblicizzato, e venne stimata la somma “salvata” dai cittadini: sei milioni di
dollari australiani. Per la prima volta gli studiosi nell’analisi misero in dubbio l’efficienza del
programma affermando che non si poteva sapere con certezza se ad influire sui tassi della
criminalità fosse stato questo programma ma fanno notare come il controllo di vicinato fu l’unico
cambiamento nell’intera area, anche perché, grazie agli studi effettuati fino ad allora, tutti i
programmi di controllo di vicinato organizzati in modo strutturato e metodologico ottennero i
risultati sperati nella riduzione dei tassi di criminalità, soprattutto sui tassi di furti in appartamento
(Ibidem). Lo studio ha definito che il controllo di vicinato non creò displacement, le attività
criminali si ridussero in tutte le zone in cui il programma era attivo e rimasero invariate nelle zone
in cui non era ancora attivo, quindi anche il trend di criminalità rimase stabile. I due studiosi hanno
reso noto che l’importanza e l’efficienza di questo tipo di politica partecipativa resta tale nel
momento in cui i legami sociali e inter-istituzionali restano vivi, le informazioni ottenute vanno
continuamente scambiate e i risultati vanno migliorati. Altrimenti si corre il rischio, come nei
precedenti studi inglesi e statunitensi, che l’efficienza e l’efficacia resti stabile per qualche anno per
poi tornare ai livelli di criminalità di partenza.
Anche in Canada, come in tutti gli altri paesi anglosassoni si utilizzò il controllo informale per
contrastare le attività criminali che colpivano i cittadini e le loro abitazioni. Visti i risultati ottenuti
negli Stati Uniti ed Inghilterra, si promossero i primi programmi negli anni ottanta e, di
conseguenza, si svolsero alcuni studi alcuni anni dopo.
Lowmann (1983) ha effettuato uno studio sul controllo di vicinato in Canada, prendendo
come area di studio la città di Vancouver. Come in molte altre analisi la metodologia usata è la
stessa, cioè vengono raccolti i dati rilevati dalle Forze dell’Ordine nell’anno prima e dopo
l’implementazione del programma e comparati con un’area di controllo. I risultati ottenuti furono
positivi perché venne registrato un calo del 33% dei reati nell’area sottoposta al programma, mentre
nell’area di confronto i tassi rimangono invariati confermando così che non c’è né uno spostamento
della criminalità né una variazione dei trend dei reati come nello studio australiano. L’unica lacuna
che possiamo evidenziare in questa analisi è che la mancanza di un approfondimento delle variabili
che hanno influenzato gli effetti, tuttavia resta una delle più approfondite dal punto di vista dei
risultati ottenuti.
Ulteriore studio Canadese fu effettuato a Thunder Bay (Worrell,1984), dove attraverso
un’indagine di vittimizzazione si misurò il tasso di furti in appartamento prima e dopo
l’implementazione del controllo di vicinato. I risultati resi noti dimostrarono che il programma
aveva funzionato, i tassi diminuirono del 67,7%. Inversamente proporzionale fu l’aumento della
percentuale di reati subiti denunciati, questo significa che il programma è servito anche a migliorare
i rapporti e soprattutto la fiducia nelle Forze dell’Ordine da parte dei cittadini (Ibidem). Gli studiosi
rilevarono anche un miglioramento nei tempi di denuncia, infatti, prima dell’implementazione gli
abitanti erano portati a denunciare maggiormente il giorno successivo l’aver subito il reato, con
l’applicazione del programma la maggior parte delle persone effettuava la denuncia nelle prime ore
successive, necessità fondamentale per una buona riuscita delle indagini. Questo studio è stato il
primo che oltre a studiare i tassi di criminalità prova a valutare il livello di coesione, chiedendo agli
abitanti informazioni sui loro vicini di casa. Dai risultati emersi fu evidenziato come la coesione e la
conoscenza reciproca aumentò sostanzialmente grazie alla promozione del programma.
Una delle più recenti ricerche riguardanti il controllo di vicinato è stata effettuata dal “Social
and Market Research” in collaborazione con la Polizia dell’Irlanda del Nord sui programmi attivi
nella nazione. Dal 2004, dopo aver effettuato una revisione degli studi effettuati in Inghilterra e
Stati Uniti, si decise di promuovere l’iniziativa anche nell’Irlanda del Nord. Gli obiettivi
dell’iniziativa furono:
L’aumento della sensazione di sicurezza
Le prevenzione contro la criminalità e i fenomeni devianti
Migliore coesione sociali
Un miglior rapporto tra cittadini e Forze dell’Ordine.
Nel promuovere l’iniziativa si cercò di sensibilizzare e responsabilizzare i cittadini nel
contrasto alla criminalità, attraverso la comunicazione con le Forze di Polizia e la segnalazione di
eventi sospetti al coordinatore della zona. Lo studio coinvolse 700 delle persone che risiedevano
nelle zone in cui il programma era attivo, a cui furono effettuate delle interviste. Furono intervistate
anche le 286 persone che promossero l’iniziativa, vennero effettuati nove focus group nelle aree
interessate e vennero intervistati i coordinatori di ogni area. Venne stabilita un’area di controllo per
evidenziare eventuali differenze. Lo studio venne pubblicato nel 2007 ed evidenziò un maggiore
sentimento di sicurezza nelle aree in cui il programma era attivo (mediamente maggiore del 10%) e
si riscontrava che la qualità della vita era migliorata, visti i rapporti di vicinato. Gli abitati delle
zone sottoposte al controllo di vicinato avevano una maggior fiducia nelle Forze dell’Ordine, questo
è stato dimostrato dal fatto che l’80% delle persone denuncia i crimini subiti alla Polizia. Il 51%
degli intervistati dichiarò che la qualità della propria vita migliorò da quando è stato attivato il
programma e hanno avuto maggiore supporto umano in caso di bisogno. Anche dalle interviste ai
promotori si evincono risultati positivi, come la partecipazione nelle attività promosse, l’interesse
dei cittadini nel fare del loro meglio per la comunità e la partecipazione delle Forze dell’Ordine
negli incontri con i cittadini. Infine i focus group hanno evidenziato una maggiore attenzione delle
persone nelle attività dei passanti, che non comprendono solo le attività sospette ma anche semplici
comportamenti che inquinano o danneggiano l’area di residenza, e una maggior fiducia nella
Polizia. Questi fattori aiutano la comunità ad essere più unita, auto-tutelandosi dai comportamenti
criminali e anti-sociali in modo partecipativo ma senza mai correre pericoli per la propria persona
(Bennett, 2008).
1.3 Metodologia di implementazione odierna
Il controllo di vicinato, nell’arco di trent’anni, è divenuto una consuetudine nei paesi
anglosassoni, tant’è che gli studi sull’efficienza del programma sono sempre più rari (Lockyer,
2001). Il merito della diffusione è sia della comunità, che con il passare del tempo ha capito come
essere un membro attivo nei programmi di prevenzione e quindi partecipare ai programmi di
sicurezza, sia della Polizia, che a distanza di anni continua a riferire ai cittadini gli accadimenti
criminosi che avvengono nelle diverse aree, senza creare allarme sociale (Sacramento County
Sheriff Department, 2011). Data la situazione attuale, nei paesi in cui i programmi risultano attivi
da tempo è difficile analizzare gli effetti che il controllo di vicinato produce, per questo ci si limita a
mantenere attivo lo scambio di informazioni e di conseguenza non si sa con certezza se il controllo
di vicinato influenzi l’andamento dei reati o meno vista l’assenza di studi sistematici (Bennett,
2008).
Per la diffusione delle informazioni, spesso, viene utilizzato internet, come nel caso della
Polizia dell’Hampshire (http://www.hampshire.police.uk/Internet/stats/) dove vengono pubblicate le
statistiche della criminalità annualmente, riportando: il numero dei reati denunciati, da chi (se
cittadino o direttamente dalla Polizia) e la variazione percentuale dall’anno precedente. In questo
modo la popolazione è stimolata ad impegnarsi costantemente e gli viene dato modo di identificare i
reati a cui occorre porre una maggiore attenzione.
Inoltre, vengono pubblicate sui media locali e soprattutto su internet tutti i progetti di
contrasto ai comportamenti devianti, come: disordini, alcolismo, guida pericolosa e bullismo, in
modo da aggiornare la popolazione residente (Bureau of justice assistance, 2010). Questa continua
comunicazione potrebbe però avere anche un effetto negativo, ovvero un aumento della paura della
criminalità non giustificato. Il controllo di vicinato, infatti, fa leva soprattutto sulla paura degli
individui di essere colpiti da comportamenti criminali per motivarli ad osservare e segnalare
comportamenti esterni sospetti, questa affermazione è confermata dal fatto che i progetti spesso
nascono dopo un aumento dei furti e quindi a causa della paura di essere derubati. Il furto in
appartamento invade la privacy dei cittadini ed è un timore abbastanza diffuso perché può colpire
tutti e uscire dal trauma creato da questo reato non è semplice (Wilson e Brown, 2009). I falsi
allarmismi o il fatto di mantenere alto il livello di attenzione grazie alla paura potrebbero sfociare in
un disinteresse nelle comunicazioni delle Amministrazioni o delle Forze dell’Ordine facendo
eclissare lentamente i controlli informali (Fleming, 2005).
La maggior parte delle associazioni di controllo di vicinato sono dotate di blog o siti internet;
questo fa si, che ogni iniziativa, venga condivisa tra tutta la popolazione e sia accessibile, anche, a
chi ha interesse a trasferirsi in quella zona. Sui siti vengono pubblicati problemi, comportamenti
sospetti, appuntamenti con la Polizia o l’Amministrazione locale. In più vengono divulgati i contatti
per la risoluzioni di problematiche o per effettuare segnalazioni alle Forze dell’Ordine e i numeri
per le emergenze. I Blog invece, sono un ottimo sistema per scambiarsi e condividere pensieri,
coinvolgendo le persone ad interagire, a non restare nell’anonimato e nell’indifferenza (Bureau of
justice assistance, 2010). Il fatto di condividere queste notizie pubblicamente potrebbe avere un
effetto negativo, perché in questo modo anche i malintenzionati potranno prendere provvedimenti
per rendere i loro comportamenti più accettabili dalla comunità e meno sospetti, quindi bisogna fare
attenzione a limitare l’accesso a queste informazioni solo a chi è direttamente interessato e
coinvolto, magari con l’utilizzo di password oppure con la diffusione tramite mail anziché utilizzare
siti internet aperti a tutti (Norther Irland police serviced, 2011).
L’utilizzo dei mezzi di informazione ha dato modo ai paesi anglosassoni di pubblicizzare i
loro programmi di controllo del vicinato scrivendo veri e proprio manuali su come agire e come
promuovere il programma nel proprio paese. Tuttavia il problema fondamentale, come constatato
in precedenza, è che manca una rassegna critica delle analisi svolte, che riporti errori e lacune dei
programmi in modo tale da porvi rimedio fin da subito ed evitare di incontrare problemi già noti ad
altri Enti Locali. Inoltre i manuali stilati sono utili per i cittadini della stessa città che vogliono dar
vita al programma con l’aiuto dei loro vicini ma ciò non vuol dire che i programmi di un
determinato territorio possono essere utilizzati per le altre città o paesi perché ogni area ha
caratteristiche diverse, sia riguardanti la criminalità che la struttura socio-demografica piuttosto che
gli aspetti amministrativi e legislativi.
In Italia si è venuti a conoscenza del controllo di vicinato grazie a queste pubblicazioni che
illustravano come attivare il programma, per questo è stato creato un dominio su cui troviamo
innumerevoli informazioni, tradotte dai siti anglosassoni (www.controllodelvicinato.com) e
innumerevoli link che ci rimandano ai manuali stilati per un implementazione considerata
“corretta”. Il problema fondamentale è che il programma non può nascere copiando la struttura di
altri paesi, bisogna adattarlo alle caratteristiche della società in cui si andrà ad implementare,
magari partendo dai presupposti da cui è nato (Bennett, 1990).
Per questo motivo abbiamo deciso di analizzare i manuali e trovare le caratteristiche comuni
in modo da ottenere una linea guida utile per l’attivazione del programma senza entrare nei dettagli
di ogni città. Tutti gli schemi si dividono in cinque parti: ideazione, organizzazione,
pubblicizzazione, implementazione e sviluppi futuri.
Tab. 1.5 – Schema riassuntivo di implementazione Controllo di vicinato
Motivazioni
Prevenzione reati
Aumento tassi criminalità
Aumento paura della criminalità
Ideazione Proposta al Comune
Controllo di Vicinato Raccolta firme
Incontro Coordinatore, Amministrazione, Polizia Locale
Mappatura area e raccolta dati sulla criminalità
Incontro Amministrazione, cittadini
Organizzazione
Mappatura e suddivisione in aree con contatti abitanti
Definire Problemi ed obiettivi
Stilare un programma di incontri
Scelta responsabile di ogni area e coordinatore
Definizione dei loro ruoli
Pubblicizzazione
Invitare tutti agli incontri
Utilizzare siti internet e media locali
Lasciare broucher che incuriosiscano
Attirare l’attenzione di tutti
Implementazione
Spiegare ruolo attivo dei cittadini e come funziona Cdv
Definire calendario incontri, diversi per i vari ruoli
Organizzare l’incontro sulla sicurezza domestica
Ogni cittadino dovrà catalogare i suoi oggetti di valore
Consegna moduli di riconoscimento
Definire situazioni di emergenza
Installazione cartelli Cdv
Sviluppi
Corsi che trattino temi di attualità
Manifestazioni che promuovano la coesione
Allargare il senso di proprietà
Organizzare incontri sulla sicurezza con temi svariati
Controllo a piedi della zona
1.3.1 Fase di ideazione
La proposta di adottare il controllo di vicinato, come abbiamo visto negli studi
precedentemente analizzati, può nascere dai cittadini o dall’Amministrazione Pubblica, per tre
motivi fondamentali:
Prevenzione dei reati
Aumento dei tassi di criminalità
Aumento paura della criminalità
Fondamentalmente i programmi di controllo di vicinato nascono per far fronte alla sensazione
di insicurezza che negli ultimi anni è in continuo aumento nonostante i reati siano in diminuzione
(Howard, 1999), per questo motivo si utilizza la coesione sociale per aumentare il livello di
sicurezza percepita. In altre parole i cittadini sanno di poter contare sui loro vicini in caso di
comportamenti sospetti, devianti o di reati tentati.
Per migliorare il livello di sicurezza le amministrazioni fanno in modo di inserire il controllo
di vicinato in un programma più ampio che può comprendere l’utilizzo delle telecamere, aumento
del personale addetto alla sicurezza (Brantingham e Brantingham, 1990) e modifiche strutturali dei
centri abitanti con l’utilizzo del CPTED (crime prevention through environmental design) (Nair,
1993).
Indipendentemente da chi nasca l’idea di adottare il controllo di vicinato, in tutti i manuali
l’ideazione avviene di comune accordo tra gruppi di cittadini e l’Ente Pubblico che analizzano
insieme i problemi che li riguardano e decidono come organizzare il programma. Tutti i manuali
confrontati propongono di identificare le zone più colpite, che solitamente sono le aree in cui nasce
il programma e da queste partire con la progettazione e l’implementazione. Il punto cruciale della
fase di ideazione è trovare tutti i problemi e conoscere la struttura socio-demografica dell’area, in
questo modo si ottiene una visione chiara dei motivi che spingono i cittadini a chiedere un
intervento di questo tipo e si potrà agire di conseguenza (Wilson e Brown, 2009). Questa analisi
può essere ritenuta valida anche per il territorio italiano, ma essendo la cultura del dato statistico
abbastanza arretrata dovranno essere i cittadini o gli operatori di Polizia attraverso la loro
esperienza ad individuare gli hot spots, cioè le zone più a rischio. Inoltre sarà importante
promuovere l’iniziativa anche alle aree limitrofi in modo da non incorrere in situazioni di
displacement.
Tutti gli schemi analizzati prevedono un incontro formale tra cittadini e Amministrazione,
durante il quale quest’ultima presenterà l’iniziativa e individuerà dei soggetti di riferimento tra i
cittadini (Bureau of community policing, 2005). Il problema fondamentale, riscontrato in tutti i
manuali, è che danno per scontato che tutti abbiano “buoni vicini” (Lockyer, 2001) mentre la
sensibilizzazione di tutti gli abitanti al problema non è cosi semplice e spesso chi non è mai stato
colpito da reati egoisticamente pensa che il problema non lo riguardi e per questo motivo non è
detto che partecipi attivamente ai programmi proposti.
1.3.2 Fase organizzativa
L’organizzazione di un buon programma di vicinato sta alla base della sua efficacia (Fleming,
2005), tutti i manuali riportano passaggi da rispettare che possono essere estesi a tutte le aree in cui
si vorrà utilizzare questa misura di prevenzione, in modo da espandere nel migliore dei modi il
programma e sensibilizzare le persone alla partecipazione. L’importante per tutti i compendi è che
cittadini e Amministrazione individuino preoccupazioni e fini comuni in modo da agire insieme.
Questa potrebbe risultare la fase più difficile dell’organizzazione, considerando il fatto che, spesso,
la percezione della sicurezza e i problemi individuati dai vari attori sono diversi, come abbiamo
visto nel caso di Mollington (Anderton, 1985). Ad influire potrebbero essere situazioni di degrado o
una cattiva manutenzione degli ambienti pubblici, per questo motivo è fondamentale la
comunicazione tra cittadini ed Enti.
Un ulteriore passo da seguire è la selezione di figure di riferimento per i cittadini che sono scelte in
base alla grandezza dell’area in cui viene implementato il controllo.Infatti, in caso di piccoli
quartieri viene scelto un rappresentante, invece nel caso di medie e grandi frazioni vengono
selezionati più rappresentanti e un coordinatore di zona. Si è calcolato che il numero ottimale di
abitazioni da gestire si aggiri attorno alle 15-20 unità (Bureau of community policing, 2005). Le
loro funzioni principali sono:
Costruire e diffondere una mappa delle abitazioni con numeri di telefono, in modo tale da
favorire lo scambio di informazioni e la comunicazione
Svolgere la funzione “ponte” tra Polizia Locale e Cittadini
Pubblicizzare il programma e gli incontri organizzati dagli Enti Locali per la sicurezza dei
cittadini
Parallelamente alla funzione dei rappresentati e coordinatori vi è l’Ente pubblico, una delle
componenti del Big Three (Titus, 1984) erano gli incontri sulla sicurezza domestica per mostrare ai
cittadini come migliorare il loro sistema di sicurezza e rendere difficoltoso l’ingresso in abitazione
di malintenzionati, per questo motivo i manuali consigliano all’Amministrazione di promuovere ed
organizzare questo tipo di corsi per una maggiore efficacia del controllo di vicinato e di istituire
corsi su altri reati che possono riguardare la popolazione, in modo da coinvolgerla in attività che
riguardino la sicurezza in generale e non solo i furti in abitazione.
1.3.3 Fase di pubblicizzazione
La pubblicizzazione viene trattata in modi diversi nei manuali, non ci sono stati studi che ad
oggi indichino un modo efficace per pubblicizzare il controllo di vicinato, per questo motivo alcuni
propongono il passaparola (Bureau of justice assistance, 2010), altri l’utilizzo dei media locali
(Bureau of community policing, 2005), altri ancora optano per una lettera da parte
dell’Amministrazione o della Polizia ai cittadini (Police department of Henrico County, 2011). Il
fine resta comunque invariato: cioè la spiegazione a tutti gli abitanti di cosa si intende per controllo
di vicinato, perché si è deciso di promuoverlo e l’invito a partecipare agli incontri nonché
all’iniziativa. Questi metodi sono stati adottati sia insieme che singolarmente perché hanno punti di
forza e di debolezza, il fatto di promuovere l’iniziativa attraverso il passaparola è molto informale,
si corre il rischio che il programma non venga letto come un iniziativa istituzionalizzata ma
semplicemente come un movimento di alcuni cittadini che hanno deciso di promuoverlo, inoltre
non si è sicuri che la notizia giunga a tutti.
Al contrario, l’utilizzo dei media locali dà un tono più istituzionale allo schema e si ha la
certezza che la maggior parte dei cittadini venga raggiunta dalla notizia. Infine l’utilizzo della
lettera consegnata ad ogni abitante è una soluzione molto diretta, con la certezza che la notizia arrivi
a tutti i cittadini e potrebbe essere l’inizio della creazione di un rapporto migliore tra cittadini e
Pubblica Amministrazione. Il problema delle ultime due forme di pubblicizzazione è che potrebbero
creare allarmismi sopra la media, quindi è importante sottolineare che il controllo di vicinato è un
mezzo di prevenzione piuttosto che una forma di contrasto.
Per ottenere dei buoni risultati dal controllo di vicinato si è calcolato che almeno il 60% delle
persone dovrebbero assumere una parte attiva nel programma (North Irleland police service, 2011),
per questo motivo tutti i manuali consigliano di coinvolgere il maggior numero di persone possibili
e sensibilizzarle al problema. Si è notato, inoltre, come nelle varie comunità le persone che hanno
subito reati o sono legate ad altre vittime siano più propense a partecipare all’iniziativa, mentre
coloro che non sono mai stati colpiti siano più disinteressati (Sacramento County Sheriff
Department, 2011) quindi durante la fase di pubblicizzazione l’Amministrazione e i coordinatori
devono sensibilizzare anche le persone non colpite da furti in appartamento alla partecipazione,
spiegando che questo reato può colpire chiunque e una maggiore cooperazione produrrebbe
maggiore sicurezza sia percepita che reale.
In tutti i manuali viene sottolineato il fatto che nessuno deve diventare un eroe e mettere in
pericolo la propria persona o la propria famiglia si chiede semplicemente di allertare le Forze
dell’Ordine nel momento in cui si avvistano comportanti sospetti, proprio per questo motivo è
consuetudine per tutte le linee guida l’organizzazione di un incontro prima di iniziare con la fase di
implementazione, perché gli organizzatori devono rendere chiaro a tutti come agire, quali
comportamenti adottare e quali no, sensibilizzare le persone che con un piccolo sforzo possono
ottenere grandi risultati per tutti (Bureau of Community Policing, 2005).
1.3.4 Fase di implementazione
Nella fase di implementazione ritroviamo in tutti i manuali i tre punti del programma
presentati da Titus (1984): infatti, il primo passo che si affronta è quello della coesione sociale per il
controllo della zona, le linee guida dettano i comportamenti da seguire per essere un ‘ottimo
vicino’, quindi controllare il proprio quartiere, segnalare gli eventi sospetti e tenere buoni rapporti
con i propri confinanti. L’istituzione partecipa consegnando a tutti la mappatura dei quartieri con i
numeri di telefono degli abitanti, quelli dei coordinatori, i numeri di emergenza e per le
segnalazioni (Lockyer, 2001). In alcuni manuali vengono definite chiaramente quali sono ritenute
situazioni di emergenza, cioè: emergenze mediche, incidenti stradali, vite in pericolo e incendi
(National sheriff association, 2011). Inoltre, vengono consegnate delle tabelle di riconoscimento,
per la segnalazione di persone sospette all’interno del quartiere, questi schemi sono di facile
compilazione e richiedono vestiario, colore dei capelli e degli occhi, altezza e lineamenti del viso,
in modo tale che la Polizia possa riconoscere la persona o almeno effettuare dei controlli su persone
che le somiglino. Attraverso la stessa metodologia viene segnalata l’automobile o l’automezzo
sospetto, con colore, marca, targa ed eventuali segni di riconoscimento (Flemming, 2005). Inoltre
per favorire la coesione sociale viene consigliato di stilare un programma di incontri per parlare dei
problemi che riguarda la comunità, situazioni di degrado non urgenti e esperienze da condividere
con gli altri cittadini.
Il secondo passo affrontato è quello della marchiatura degli oggetti di valore, per questo le
linee guida consigliano di compilare una tabella in cui è riportato tutto ciò che è all’interno
dell’abitazione di valore, indicando marca, modello, valore e numero di serie, questo servirà in caso
di furto o smarrimento anche ai fini assicurativi. La stessa iniziativa dovrebbe essere effettuata per
le carte di credito presenti in casa, dovrebbero essere catalogate tutte riportando il nome
dell’intestatario, il numero della carta e la compagnia bancaria a cui è collegata. Tutti questi moduli
dovranno essere conservati dagli abitanti, quindi non dovranno essere rese pubbliche le
informazioni private (Bureau of justice assistance, 2010). Negli ultimi anni il fenomeno della
segnalazione della propria area si è allargato al quartiere attraverso l’installazione di alcuni cartelli
che segnalino la presenza di un programma di controllo di vicinato attivo nella zona, questi cartelli
spesso riportano il Vigile di Quartiere circondato da una famiglia (Ibidem), altri invece riportano il
segnale di divieto con una figura sospetta all’interno (Police department of Henrico County, 2011),
in modo da segnalare il divieto di accesso ai malintenzionati. Queste misure dovrebbero fungere da
deterrente e tenere lontani dalle vie del quartiere i malintenzionati facendo loro capire che nella
zona il livello di sorveglianza è alto quindi hanno una maggiore probabilità di non ottenete i risultati
sperati. L’utilizzo dei cartelli ha però anche degli effetti negativi sulla popolazione: uno studio
effettuato da Shultz e Tabanico (2009) ha evidenziato che il cartello che avvisa gli estranei alla zona
della presenza del controllo di vicinato, contribuisce a far percepire quella zona come ad alto rischio
criminale, quindi disincentiva le persone a trasferirsi nella zona e a camminare sicure per quelle
strade. Quest’ultimo effetto non è stato riscontrato solo per gli estranei ma anche per i cittadini che
percepiscono il loro quartiere come pericoloso e quindi potrebbero tendere all’isolamento più che
alla cooperazione (Ibidem), per questo è importante che il programma venga percepito come misura
preventiva e non come risposta ad un aumento della criminalità.
Il limite dello studio è che è stato effettuato su quartieri dove risiedono studenti universitari,
che hanno una sensibilità diversa rispetto alle famiglia nei confronti della criminalità, quindi i
risultati non possono essere estesi a tutte le zone in cui vengono installati i cartelli e sono gli stessi
autori ad ammetterlo.
L’ultimo passo per l’implementazione riguarda l’istruzione, che solitamente avviene con
una riunione tenuta dalla Polizia, nella maggior parte dei manuali vi sono una serie di istruzioni per
rendere la propria casa più sicura, con consigli su quali tecnologie utilizzare e comportamenti da
adottare quando si lascia l’abitazione incustodita. I consigli riportati sono diversi, probabilmente
perché sono stati costruiti sull’esperienze della Polizia che ha partecipato nella stesura del testo,
quindi conosce il modus operandi della criminalità locale e sa quali tecnologie possono complicare
il loro ingresso nelle abitazioni, per questo motivo non possono assolutamente essere utilizzati gli
stessi consigli tecnici in tutte le città perché i metodi di annullamento delle difese domestiche sono
diverse per ogni gruppo criminale. Per i programmi di controllo di vicinato italiani si potrebbe
ampliare la linea guida stilata dalla Polizia di Stato (2010) in cui vengono promossi alcuni
comportamenti da evitare e misure da adottare quando ci si trova in casa e fuori casa per prevenire i
furti in abitazione. In generale consiglia di adottare sistemi di antifurto e di munire le porte e le
finestre di sistemi anti-intrusione. Il rischio nell’utilizzo e promozione di queste tecnologie è che
l’incontro sulla sicurezza domestica venga percepita dagli abitanti come una manovra pubblicitaria
di una determinata aziende piuttosto che una campagna di sensibilizzazione alla prevenzione. La
Polizia specifica le operazioni da effettuare quando si abbandona la propria abitazione e sono molto
semplici, i consigli sono molto simili alle linee guida del controllo di vicinato anglosassone visto
che raccomandano, ad esempio, di avvertire i vicini di eventuali vacanze in modo che provvedano a
non lasciare la posta e i volantini nella buca delle lettere, non facendo capire ai malintenzionati che
non ci si trova in casa in quel periodo; inoltre incoraggiano gli abitanti a chiamare immediatamente
la Polizia in caso si assista a movimenti sospetti. Per quanto riguarda le brevi assenze la Polizia
consiglia di lasciare una luce accesa e di non dimenticare porte e finestre aperte. Quando ci si trova
in casa, consigliano di non aprire porte e cancelli a persone non identificate, prestare attenzione a
persone che si presentano come dipendenti di aziende pubbliche che offrono servizi. Se i cittadini
utilizzassero questo comportamento e lo omologassero continuando a comunicare eventuali
spostamenti, brevi uscite o vacanze ai vicini il controllo di vicinato potrebbe avere una migliore
efficacia, ma tutto ciò necessità di un buon rapporto di vicinato che spesso è dato per scontato. La
segnalazione tra vicini di eventuali persone sospette nella via darebbe modo di effettuare un
maggiore controllo ed evitare intrusioni indesiderate nella propria abitazione, lo stesso potrebbe
valere per i falsi dipendenti di aziende pubbliche, anch’essi se segnalati con immediatezza ai vicini
e alle Forze dell’Ordine si potrebbero prevenire i loro comportamenti criminali. La lacuna di queste
istruzioni, inoltre, è che non ci sono dati o studi che le confermino, si basano più che altro sul senso
comune e non su analisi scientifiche, quindi non si ha la certezza che comportandosi in questo modo
si evitino i furti in appartamento.
1.3.5 Gli sviluppi
Il mantenimento del programma è molto difficile, come abbiamo visto negli studi del
paragrafo precedente i cittadini una volta ottenuti i risultati sperati tendono ad abbassare il livello di
controllo (Cirel, 1975), per fare in modo che non si torni ai livelli di criminalità presenti nella fase
di pre - implementazione i manuali danno alcuni consigli da seguire sia da parte
dell’Amministrazione che dei coordinatori.
Il primo spunto che viene fornito dai manuali è di allargare la prevenzione dai furti in
appartamento ad altri tipi di reati per i quali i cittadini potrebbero dare alla Polizia importanti
informazioni, in questo modo gli abitanti sarebbero più consapevoli di ciò che potrebbe accadere e
sarebbero pronti a reagire grazie alle indicazioni dategli dalle autorità (Lockyer, 2001).
L’aggiornamento è, quindi, uno dei concetti fondamentali, per mantenere sempre aggiornati i
cittadini su ciò che succede nel quartiere e nei dintorni, le linee guida consigliano di organizzare
incontri che parlino di attualità o crimini che riguardano zone e paesi limitrofi per mantenere attivo
il programma, l’importante è che si continui a lavorare sulla coesione sociale (Neighbourhood
Watch Renewal Group, 2001). Potranno essere istituiti corsi riguardanti le frodi, i furti d’auto, la
sicurezza per i bambini e anche i cyber crime e si dovrà fare in modo di non istruire i cittadini dopo
che i crimini sono avvenuti, ma prima, in modo da prevenirli, riconoscerli e segnalarli (North
Ireland Police service, 2011).
Alcuni gruppi si sono organizzati per rendere più vivibile e ospitale la loro zona, in termini
pratici si provvede a stabilire turni di pulizia delle strade, dei muri dai graffiti, la manutenzione dei
parchi. Questo sistema abbassa i costi di manutenzione a carico delle Amministrazioni e fa sentire
gli abitanti a casa anche fuori dalle mura domestiche. Allargare il senso di proprietà degli abitanti fa
si che quest’ultimi pongano maggior attenzione a come la gente si comportare all’interno del
quartiere, dando loro, in questo modo, un maggior potere di controllo sugli altri e una maggiore
responsabilità (Norther Irland police serviced, 2011).
Ulteriore sviluppo del tutto accessorio è il controllo a piedi della propria zona, questo sistema
era già noto in Inghilterra (Bennett, 1990) dove si creavano veri e propri gruppi che effettuavano
passeggiate di controllo delle abitazioni e dei parchi pubblici, in questo modo sono gli stessi
cittadini ad effettuare alcuni dei doveri che competono i Poliziotti di Quartiere e fanno percepire la
loro presenza agli altri ma senza mai intervenire (Ibidem). In Italia questa iniziativa è stata proposta
con il nome di ‘Ronde’ ma non è mai stata applicata, molto probabilmente perché si teme che il
cittadino sostituisca le Forze dell’Ordine e compia gesti azzardati che non gli competono.
Ulteriori proposte riguardano corsi educativi sul tema degli eventi catastrofici, come terremoti
ed incendi, per questi viene definita una linea guida di comportamento comune da adottare per fare
in modo che la gente non vada nel panico, si definisce cosa portare fuori dalla casa, perché e dove
ripararsi in caso di terremoto. Per quanto riguarda gli incendi viene definita anche una linea guida
per la loro prevenzione (Lockyer, 2001).
In un manuale viene proposto di indire una gara per selezionare ogni anno l’abitante più
produttivo ed efficiente, questo viene stabilito da una giuria composta da più abitanti con il
coordinatore e il responsabile. In questo modo il far sicurezza diventa un piacere e si condividono
esperienze con i proprio concittadini (Ibidem), questo metodo potrebbe essere applicato anche ad
altri avvenimenti che promuovano altre attività non semplicemente il controllo di vicinato, perché
l’importante è che si continui a favorire l’integrazione e la coesione sociale.