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Il creatore di un’età politica - Giovanni Giolitti Indice Il creatore di un’età politica Giovanni Giolitti “Il Governo ha due doveri, quello di mantenere l'ordine pubblico a qualunque costo ed in qualunque occasione, e quello di garantire nel modo più assoluto la libertà di lavoro.” (Giovanni Giolitti) Gabriele Lobina

Il creatore di un'età politica - Giovanni Giolitti

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Un ipertesto curato e scritto da Gabriele Lobina: l'esposizione dell'età giolittiana e del suo protagonista, Giovanni Giolitti, accompagnata dettagliatamente dalle vicende politiche principali del quindicennio che vide l'Italia guidata dal primo ministro monregalese.

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Il creatore di un’età politica - Giovanni Giolitti Indice

Il creatore di un’età politica

Giovanni Giolitti

“Il Governo ha due doveri, quello di mantenere l'ordine pubblico a qualunque costo ed in

qualunque occasione, e quello di garantire nel modo più assoluto la libertà di lavoro.” (Giovanni

Giolitti)

Gabriele Lobina

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Le premesse dell’ Età GiolittianaL’esito delle elezioni del 1900 sancì la sconfitta del fronte autoritario e la successiva elezione a capo del governo di Giuseppe Zanardelli (1901). Il neo-primo ministro prese le redini del paese durante un periodo di tensione, dovuto alla presa di coscienza del movimento dei lavoratori, e alla conseguente caduta del vecchio governo e all’ abbattimento di quella politica repressiva e autoritaria che nulla più poteva contro l’insorgere dei lavoratori.Zanardelli, per risolvere la tensione venutasi a creare, decise di risolvere i conflitti sociali attraverso una politica di riformismo sociale: decise quindi di introdurre i ceti subalterni nella vita politica della propria nazione.costituirono una svolta significativa nella storia della politica dell’Italia unita.Queste premesse e questo tipo di politica riformista introdotta nel nuovo governo furono alla base dell’ascesa al comando del governo di Giovanni Giolitti, il quale, successore di Zanardelli nel 1903, diede inizio ad un quindicennio di politica italiana che lo vide protagonista nella carica di primo ministro: egli iniziò, anzi creò, quindi, la cosiddetta “Età giolittiana”.

Indice – “La Politica di Giovanni Giolitti: L’Età Giolittiana”Gli inizi della carriera politica… 1Il Secondo Governo: una stagione di riformismo sociale 2Le convergenze politiche con il Psi -Il “Compromesso Giolittiano” 2 -La scissione interna del partito socialista3Le dimissioni di Giolitti del 1905 -La parentesi Fortis 4 -Il Governo autoritario di Sidney Sonnino……….….………………………..……………….4 Il ritorno di Giolitti al Governo

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-Il Dualismo economico dell’Italia………………………….……………………………….…..…..5 -Il fenomeno crescente dell’emigrazione……….……………………………………..….…….6 -La Politica colonialista e l’impresa di Libia……………………….……….………..…….7 -Le ripercussioni politiche dell’impresa libica…………………………….……….…..7Il Quarto Governo di Giolitti -La riforma elettorale: il suffragio universale…………………….…………………………..……8 -Il “Patto Gentiloni”………………………………………………………………………………….9La fine dell’Età Giolittiana -Le elezioni del 1913 e le dimissioni di Giovanni Giolitti……………………………………10 -Il Governo Salandra……………………………………………………………………………….11

La Politica di Giovanni Giolitti:L’Età GiolittianaGli inizi della carriera politica…Giovanni Giolitti nacque a Mondovì nell’ottobre del 1842. Cresciuto in una famiglia della media borghesia, egli fu un portatore di idee liberali e fu privo di un

passato impegnato nel Risorgimento.Giolitti iniziò la sua carriera nel 1862, rivestendo il ruolo di funzionario al ministero di Grazia, Giustizia e culti, e nel

Classe 5^F Liceo Scientifico G. Brotzu 20/01/2013Giovanni Giolitti (Mondovì, 27 ottobre 1842 – Cavour, 17 luglio 1928)

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1869 passò al Ministero delle Finanze, lavorando al fianco di diversi ministri della Destra Storica, quali Quintino Sella e Marco Minghetti, al fine di raggiungere quel famoso pareggio di bilancio del 1875. Nel 1877 fu nominato alla Corte dei Conti e nel 1882 al Consiglio di Stato, ma la sua carriera politica iniziò esattamente nel 1882 quando venne eletto come deputato per la Sinistra e, successivamente, nel 1889, nominato come Ministro del Tesoro nel secondo governo di Francesco Crispi. Egli si dimise dalla carica assegnatagli da Crispi nel 1890, in seguito ad un generale disaccordo con il capo del governo sulla questione coloniale: Giolitti successivamente abbandonò il gruppo crispino e divenne capo della Sinistra Costituzionale. Così, nel 1892, in seguito alla disfatta del Governo di Crispi, e alla successiva caduta del breve governo del marchese liberal-conservatore Antonio Di Rudinì, appoggiato dallo stesso Giolitti, il re Umberto I nominò il politico di Mondovì nuovo Primo Ministro (15 Maggio 1892).Egli poi, fu costretto a dare le sue prime dimissioni il 15 Dicembre 1893, dopo un anno circa dall’inizio del suo mandato, perché:

Travolto e messo in difficoltà dal famoso “Scandalo della Banca Romana” , che lo vide protagonista;

Malvisto dai grandi industriali e dai latifondisti del Sud per il suo atteggiamento tollerante e non reazionario nei confronti delle proteste popolari nel Paese (es. Fasci Siciliani);

Sospettato di dover introdurre un’imposta progressiva sul reddito.

Il Secondo Governo: una stagione di riformismo socialeAlla base della politica giolittiana ci fu la tentata conciliazione degli interessi della borghesia industriale con quelli del proletariato urbano e agricolo, al fine di diminuire la tensione

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Francesco Crispi (Ribera, 4 ottobre 1818 – Napoli, 12 agosto 1901)

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sociale creatasi e di dimostrare la neutralità del Governo nei confronti dei conflitti sindacali. Il primo ministro quindi, nel 1903 decise di associare al governo il socialista riformista Filippo Turati e di intraprendere un generale atteggiamento tollerante nei confronti degli scioperi dei lavoratori, esortando fin da subito i prefetti a tollerare gli scioperi dei lavoratori.Il riformismo sociale intrapreso da Giolitti fu evidenziato dai provvedimenti di legislazione sociale presi nel 1904: le leggi a tutela del lavoro delle donne e dei fanciulli, quelle sugli infortuni, sull’invalidità, e sulla vecchiaia; inoltre, per acquistare consensi tra le file dei socialisti e dei cattolici, vennero creati dei comitati consultivi per l’emigrazione e per il lavoro, e nelle gare d’appalto bandite dallo Stato furono ammesse le cooperative di lavoratori cattolici e socialisti.

Le convergenze politiche con il Psi-Il “Compromesso Giolittiano”Giolitti intraprese una politica di apertura e di compromesso (il cosiddetto “Compromesso Giolittiano”) al fine di acquisire consensi da parte dei socialisti e dei cattolici, rappresentati dall’aristocrazia operaia e contadina, quella classe sociale cioè che, per via del suo reddito, riusciva ad accedere al voto.L’aristocrazia operaia costituiva la base del movimento riformista socialista di Filippo Turati, e questa elitè risultò l’obiettivo principale di Giolitti: conquistata la sola aristocrazia operaia egli avrebbe avuto i consensi da parte di tutto il movimento riformista. Questa strategia politica attuata da Giolitti fece sì che si venne a creare una convergenza politica tra Giolitti e il Psi: di fatto Giolitti, tutelando l’elitè operaia e appoggiando i loro soli interessi, acquisì il massimo risultato con il minimo

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Filippo Turati (Canzo, 26 novembre 1857 – Parigi, 29 marzo 1932

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impegno, tralasciando però l’impegno preso verso la vera massa di lavoratori che costituivano il movimento e venivano rappresentati da quella stessa elitè.

-La scissione interna del partito socialistaQuesto comportamento di Giolitti portò gli altri settori del proletariato a sentirsi esclusi dal “compromesso” ed emarginati dall’interesse politico del Governo: i lavoratori meno agiati, essendo privi del diritto di voto, non venivano tutelati e lo stesso Giolitti se ne disinteressava.Si venne così a creare all’interno del “partito” una spaccatura tra due fronti:

Da una parte i cosiddetti “Minimalisti”: quell’elitè di lavoratori privilegiati guidata da Filippo Turati che si “accontentava” di eseguire il programma minimo avanzato, quindi il raggiungimento di alcuni obiettivi parziali quali le riforme concordate con Giolitti;

E dall’altra parte i “Massimalisti”: la vera base del partito riformista socialista, formata da quei lavoratori disagiati cappeggiati da Arturo Labriola ed Enrico Ferri, che, in seguito al minimalismo dei propri rappresentanti al Governo non videro i propri interessi tutelati e si sentirono inconsiderati. La loro accusa, mossa

all’elitè operaia del partito, era quella di collaborare troppo col governo e di aver tutelato solo i propri interessi, tanto da aver perso di vista il vero obiettivo del partito: il raggiungimento del programma massimo, la “Rivoluzione Sociale”, l’abbattimento cioè della proprietà privata e della società di classe.

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Arturo Labriola (Napoli, 21 gennaio 1873 – Napoli, 23 giugno 1959)

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Nel 1904, al congresso di Bologna, ci fu l’esito previsto della vittoria dei massimalisti, i quali ottennero la maggioranza nel partito e guidarono il Psi alle elezioni. Il partito però subì la sconfitta elettorale quello stesso anno ed il fronte massimalista perse inesorabilmente consensi, a favore invece di quello riformista.

Le dimissioni di Giolitti del 1905-La parentesi FortisLe elezioni del 1904 videro sul piano politico un’avanzata da parte delle tendenze nazionaliste e cattoliche (tendenze sfavorevoli a Giolitti) e questo esito fu un segnale d’allarme per il primo ministro. In quello stesso periodo si venne a formare un opinione pubblica favorevole alla nazionalizzazione delle ferrovie, opinione peraltro condivisa dal capo di Governo. Quando nei primi mesi del 1905 si verificarono numerose agitazioni sindacali da parte dei ferrovieri, Giolitti, percependo la tensione che si stava venendo a creare, ed in seguito a una malattia, decise di dimettersi dalla Presidenza del Consiglio: la sua fu una scelta politica strategica, visto che volendo evitare quel clima che si stava venendo a creare, decise di lasciare il governo a qualcuno di fidato che si occupasse della situazione critica al posto suo. Così, dimessosi dalla carica di capo del governo, Giolitti esortò l’amico Alessandro Fortis a creare un governo che avrebbe avuto il suo appoggio: il governo Fortis rimase così in carica fino all’inizio del 1906, il tempo necessario cioè per nazionalizzare le ferrovie (22 Aprile 1905), trovare la stabilità monetaria e lasciar sparire quella tensione pubblica che si era venuta a creare. L’abilità di Giolitti ed il suo comportamento da stratega

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Alessandro Fortis (Forlì, 15 settembre 1841 – Roma, 4 dicembre 1909)

Enrico Ferri (San Benedetto Po, 25 febbraio 1856 – Roma, 12

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risultarono dunque vincenti, in quanto potè far nazionalizzare le ferrovie, come era suo volere, pur senza esporsi personalmente e senza perdere consensi.

-Il Governo autoritario di Sidney Sonnino A Fortis succedette un governo, durato solo tre mesi, cappeggiato dal tradizionale avversario di Giolitti: Sidney Sonnino, capo dell’ala conservatrice del liberalismo italiano.

In quello stesso periodo, in seguito al grande sviluppo industriale del Paese, si iniziò a delineare una continua crescita del proletariato di fabbrica, la quale portò successivamente ad un rafforzamento, sul piano politico, dell’unico partito di massa del panorama del tempo, il Psi. Questo avvenimento fu il principale motivo che portò Sonnino a scegliere la stessa linea di governo adoperata da Giolitti: abbandonato il pensiero reazionario, Sonnino adottò una linea riformista durante il suo governo, proprio come fece il suo avversario politico,

avvicinandosi quindi al popolo e non reprimendolo. La differenza nei confronti della politica di Giolitti fu il modo stesso di riformare: Sonnino infatti, a differenza dell’ex primo ministro monregalese, decise di adottare un modello simile a quello bismarckiano, secondo il quale le riforme sociali dovevano essere decise dall’alto, direttamente dal governo, senza dunque concordarle prima con le stesse forze sociali interessate: volendo dunque adottare una politica autoritaria. Il fine politico di Sonnino era un riformismo di stato in chiave però antisocialista, e basato su un sistema sociale di conservatorismo.Il governo di Sonnino cadde per mano di Giolitti, il quale, pur tenendosi fuori dal governo, operò per farlo cadere con l’intento di succedergli, come effettivamente avvenne.

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Sidney Costantino Sonnino (Pisa, 11 marzo 1847 – Roma, 24 novembre 1922)

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Il ritorno di Giolitti al Governo-Il Dualismo economico dell’ItaliaGiolitti adottò una politica riformista limitata, visto che egli con il suo riformismo non si rivolgeva a tutta la popolazione e non tutelava ogni classe sociale del Paese: il primo ministro decise di far decollare l’industria italiana concentrandosi soprattutto sul Nord dell’Italia, industrialmente avanzato rispetto al Meridione, e tutelò quella classe operaia e contadina delle industrie e delle campagne del Settentrione. Il Mezzogiorno, così come negli anni passati, fu lasciato nella sua arretrata struttura agricola e priva di alcuna base industriale, senza alcuna speranza di sviluppo economico e senza alcuna considerazione dello Stato. Ad aggravare la difficile situazione del Sud Italia ci fu l’introduzione dei dazi doganali che, per difendere le industrie nascenti del Nord, penalizzò l’esportazione dei prodotti agricoli meridionali nei mercati esteri, e le calamità naturali che colpirono la Campania (eruzione del Vesuvio, 1906) ,la Sicilia e la Calabria (terremoto e maremoto di Messina e di Reggio Calabria, 1908). Proprio in seguito a questa terribile catastrofe Giolitti dimostrò considerazione nei confronti del Meridione, attraverso operazioni di soccorso: “Dopo alcune, inevitabili, carenze, tutto il Paese si prodigò per aiutare la popolazione siciliana. Da molti storici questo episodio è stato definito come il primo evento durante il quale l'Italia diede la dimostrazione di un vero spirito nazionale.” (Giovanni Giolitti-Wikipedia). I provvedimenti presi dal capo del Governo nei confronti del Mezzogiorno furono davvero pochissimi: degno di nota solamente alcuna legge speciale per le regioni svantaggiate e

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Macerie della parte posteriore della Cattedrale di Messina, crollata in seguito al terremoto del 28 Dicembre 1908.

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l’avvio della costruzione di un acquedotto in Puglia, ma certamente non avrebbe potuto rappresentare quel tipo di trasformazione così profonda da poter cambiare l’economia e la società meridionale, che in realtà necessitava di svolte che abbattessero le oligarchie latifondiste. La politica Giolittiana accentuò dunque il divario economico-sociale esistente tra Nord e Sud, divario, che divenne evidente anche sul piano politico, con la pratica del primo ministro piemontese della corruzione elettorale, fondata appunto su gruppi mafiosi e camorristi, al fine di assicurarsi consensi e l’appellativo di “Ministro della Malavita”. Giolitti è il precursore del cosiddetto “Clientelismo”: una pratica che, oramai radicata nella politica italiana, da quegli anni in poi si è sempre più sviluppata.

-Il fenomeno crescente dell’emigrazioneIn questa miseria generale si venne a sviluppare così, in poco tempo, il fenomeno dell’emigrazione: ingenti flussi migratori (addirittura milioni di persone) si spostavano dall’Italia (specialmente dal Veneto e dalle regioni meridionali) in cerca di lavoro. Il fenomeno dell’emigrazione fu l’emblema della crisi economica che stava attraversando il Sud Italia: l’80% degli emigranti erano provenienti dal Mezzogiorno, poveri, affamati, e analfabeti. L’emigrazione favorì però, inaspettatamente, anche ad uno sviluppo economico in patria: in Italia si arrivò ad un’importante stabilità monetaria, dovuta oltre che ad un’oculata gestione del bilancio, anche dai flussi migratori e dalle rimesse che i migranti italiani inviavano ai propri parenti rimasti in Italia.

-La Politica colonialista e l’impresa di LibiaClasse 5^F Liceo Scientifico G. Brotzu 20/01/2013

Emigranti italiani pronti per imbarcare sul transoceanico verso l’America, destinazione ambita.

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Giovanni Giolitti, oltre ad aver cambiato la politica interna del Paese, si occupò anche della politica estera, dando anche ad essa una svolta. Dopo la sconfitta di Adua del 1896 (Governo Crispi) Giolitti capì che l’unico modo di operare nel territorio africano era quello di guadagnare l’appoggio delle due potenze coloniali Francia, ed Inghilterra: vennero firmati dunque una serie di accordi diplomatici che consentirono all’Italia di agire liberamente in Tripolitania e Cirenaica, terre libiche facenti parte dell’impero ottomano.Iniziata nell’autunno 1911, l’Impresa di Libia fu sostenuta da diverse componenti sociali: dall’opposizione di destra, da un’ondata di nazionalismo e ovviamente dalle pressioni provenienti da gruppi economici che erano già penetrate in quelle terre attraverso investimenti finanziari. La battaglia risultò più dura del previsto a causa della resistenza esercitata dalle tribù berbere e dall’impero ottomano: così, il governo italiano decise di spostare lo scontro sul mar Egeo. Occupando Rodi e alcune isole, e cercando di raggiungere Istanbul forzando i Dardanelli.L’impero ottomano fu costretto a firmare la pace il 18 ottobre 1912, a Losanna, ed essa sancì: la cessione della Libia all’Italia e la restituzione delle isole conquistate, Rodi e Dodecaneso (dettato non mantenuto però dall’Italia).

-Le ripercussioni politiche dell’impresa libicaGiolitti grazie al successo dell’impresa di Libia acquisì ampi consensi popolari, che andavano ad aggiungersi ai sostenitori di quei rami politici che, durante il periodo del suo mandato,

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Mappa raffigurante la Tripolitania e la Cirenaica, i territori libici occupati dall’Italia.

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sono passati dall’opposizione al suo schieramento dalla sua parte:

I radicali e i repubblicani, assorbiti nella maggioranza parlamentare;

I socialisti riformisti, che con la sua azione riuscì anche a indebolire e a dividere in due fazioni interne, i massimalisti (disposti a concordare riforme con il capo del Governo) e i minimalisti (restii verso una collaborazione democratica, e sostenitori del “programma massimo”) .

La scissione interna del Psi fu definitiva durante il periodo della guerra di Libia: il leader Filippo Turati non riuscì a mantenere una mediazione tra i due fronti del partito, e nel 1912, al congresso di Reggio Emilia, il gruppo riformista di destra, cappeggiato da Leonida Bissolati, Ivanoe Bonomi e Angelo Cabrini, e sostenitore dell’impresa di Libia, venne espulso dal Partito Socialista e creò un nuovo partito, ispirato agli ideali fondamentali del socialismo riformista.

L’estrema sinistra massimalista e qualunquista invece, cappeggiata da Benito Mussolini, acquisita la maggioranza del partito, accusò i

sostenitori fedeli a Turati di collaborare con Giolitti, e orientò il partito verso un ideale rivoluzionario ed antigiolittiano: da quel momento il capo del Governo perse la collaborazione con il partito riformista.La crisi politica coinvolse anche la destra, divenuta di stampo nazionalista (e riunitasi attorno alla rivista

“Il Regno”, fondata nel 1903 da Enrico Corradini), la quale, in seguito all’impresa libica, utilizzò gli strumenti di

propaganda a propria disposizione per dare nuovo slancio alle proprie aspirazioni espansionistiche, militaristiche e antiliberali, e fu sostenuta dalla

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Enrico Corradini (San Miniatello, 20 luglio 1865 – Roma, 10 dicembre 1931)

Benito Amilcare Andrea Mussolini (Dovia di Predappio, 29 luglio 1883 – Giulino di Mezzegra, 28 aprile 1945)

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borghesia industriale che sfruttava le commesse militari, portate avanti dalla prosecuzione della politica coloniale.

Il Quarto Governo di Giolitti-La riforma elettorale: il suffragio universale

Le elezioni del 1909 decretarono l’ulteriore vincita da parte della fazione guidata da Giolitti, il quale, con una sua tipica mossa strategica, lasciò che fosse nominato Sidney Sonnino alla Presidenza del Consiglio: egli, basando il suo Governo su un movimento conservatore idealmente instabile, dovette dimettersi dopo soli 3 mesi, lasciando il Governo nelle mani del giolittiano Luigi Luzzatti. Nel frattempo, il dibattito politico

italiano si incentrò sul tema del suffragio universale: qui, Giovanni Giolitti mostrò la sua abilità da stratega e si dichiarò a favore di tale riforma, con l’intento di far cadere il Ministero e di conquistare definitivamente la collaborazione da parte dello schieramento socialista massimalista.Giolitti, al suo quarto mandato, si apprestò dunque a creare una linea di Governo che coinvolgesse il Partito Socialista, invece tipicamente restio alla collaborazione.Il Psi, nonostante la sua recente scissione interna, continuava ad acquisire sempre più potere e sembrava delinearsi come importante avversario sul piano elettorale.Il Partito Socialista, inoltre, vide aumentare i propri consensi in seguito, proprio, alla riforma elettorale del 1912, che diede potere al partito di massa grazie all’introduzione del suffragio universale maschile: diritto di voto esteso a tutti i cittadini maschi 30+ (dai 30 anni di età in su) senza alcuna limitazione censitaria, e ai cittadini maschi 21+ che sapevano leggere e scrivere o che avessero prestato servizio militare. La riforma elettorale fu, assieme alla nazionalizzazione delle assicurazioni

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Luigi Luzzatti (Venezia, 1º marzo 1841 – Roma, 29 marzo

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sulla vita, alla base del programma del Governo Giolitti, e rappresentò un progetto di considerevole valenza sociale.L’elettorato nazionale passò così da 3 a 8 milioni di cittadini, e questo fece pensare ad una probabile vittoria del fronte socialista, rappresentante di un’ampia fetta della popolazione italiana.

-Il “Patto Gentiloni”A fronte di una probabile sconfitta, Giolitti decise di prendersi delle sicurezze chiamando in causa i cattolici: il fronte dei cattolici conservatori, era costituito da quei fedeli che, nonostante il “non expedit” del papa del 1871, si riunirono nell’Unione elettorale cattolica. A capo di questo movimento cattolico c’era Vincenzo Gentiloni, il quale, strinse insieme a Giolitti un patto che garantiva l’impegno del suo fronte politico a sostenere il primo ministro piemontese e a votare

i suoi candidati: chiamato “Patto Gentiloni”, esso decretò l’entrata dei cattolici nella scena politica.A dar spazio all’azione cattolica, nel 1891 ci fu anche l’enciclica papale “Rerum Novarum”, la quale risultò significativa per attenuare il pensiero della chiesa rispetto alla partecipazione politica dei cattolici.

Nel 1901 il sacerdote Romolo Murri fondò il primo vero partito che riunisse i cattolici come forza politica nazionale, e questo partito, di stampo democratico, fu chiamato “Democrazia Cristiana”.L’idea del partito cattolico venne poi sviluppata anche dal sacerdote siciliano Luigi Sturzo, il quale sognava un partito cattolico, laico, e apertamente democratico.

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Romolo Murri (Monte San Pietrangeli, 27 agosto 1870 – Roma, 12 marzo 1944)

Don Luigi Sturzo (Caltagirone, 26 novembre 1871 – Roma, 8 agosto 1959)

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La fine dell’Età Giolittiana-Le elezioni del 1913 e le dimissioni di Giovanni GiolittiL’esito delle elezioni del 26 ottobre 1913 vide delinearsi uno scenario inaspettato per il primo ministro: se da una parte la maggioranza governativa vide una drastica riduzione, dall’altra si vide protagonista l’avanzata elettorale dei socialisti, dei radicali, e quella inaspettata dei candidati cattolici del Partito liberale. Si venne a creare però una situazione di stallo: dovuta all’assenza di un disegno politico da parte delle forze popolari, e all’impossibilità di governare da parte dei liberali.Grazie al “Patto Gentiloni” il presidente del Consiglio poté disporre del sostegno di 300 parlamentari, grazie alla fila di rappresentanti cattolici appena entrati nella sua fazione: questo però, andò a confluire in quella che era una crescente disunità interna del partito, data inoltre dalla crescita dello schieramento conservatore al suo interno. Lo schieramento giolittiano infatti, accrebbe di numero, grazie all’entrata di uomini politici provenienti dal cattolicesimo conservatore e dalla destra del liberalismo, uomini cioè sostenitori di quell’ideale nazionalistico e autoritario che si stava facendo largo in Europa.La fazione di Giolitti, al suo interno, non risultò più idealmente unita e fondata sul pensiero riformista, ma divenne un gruppo disunito e formato da diversi ideali politici: si venne a delineare un’involuzione politica ed un ritorno all’autoritarismo, e le stesse forze politiche con cui Giolitti si era alleato (i conservatori) per affrontare i socialisti, si ritorsero contro di lui. Giolitti, così, decise nuovamente di allontanarsi dalla guida del Governo, quindi di dimettersi, e di aspettare che la tensione politica si abbassasse prima di poter tornare a governare.

-Il Governo Salandra

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Così, in seguito al 7 marzo, giorno in cui i radicali decisero di uscire dalla maggioranza, Giolitti decise di dimettersi e, il governo passò nelle mani del liberale conservatore Antonio Salandra, nominato dal sovrano dietro raccomandazione dello stesso Giolitti. L’ex primo ministro monregalese pensò di poter controllare a distanza il Governo, attraverso Salandra, il quale invece si volle mostrare indipendente dall’influenza di Giolitti, e lo dimostrò concretamente quando, in seguito, decise autonomamente di impegnare il Paese nella Prima Guerra Mondiale: egli infatti non consultò né il Parlamento, né i membri del Governo e della maggioranza, e prese la decisione solamente insieme al Ministro degli Esteri Sonnino, con il Patto di Londra.Qualche mese dopo la nomina di Salandra, esattamente durante la cosiddetta “settimana rossa” (7-14 Giugno 1914), vennero fuori le tendenze più reazionarie del nuovo Governo: questi giorni di tensione sociale, furono scatenati dalla manifestazione antimilitarista e anarchica, per il giorno dello statuto, ad Ancona, dove, in seguito a degli scontri, morirono 3

manifestanti. Il conseguente sciopero di 48 ore indetto dalla Confederazione generale del lavoro sfociò in violenti moti nelle piazze marchigiane e romagnole, moti che, sostenuti da anarchici, socialisti, sindacalisti e repubblicani, sapevano di pre-insurrezionali. In seguito a questi moti si

mostrò la linea reazionaria del Governo, il quale, decise di impiegare 100000 soldati e di reprimere duramente le sommosse popolari.Soltanto un mese dopo, l’attentato di Sarajevo diede il via alla Prima Guerra Mondiale, e Giovanni Giolitti perse qualunque speranza di poter tornare a capo del Governo: la situazione politica e sociale, aggravata dalla guerra, fu talmente

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Antonio Salandra (Troia, 13 agosto 1853 – Roma, 9 dicembre 1931)

Il municipio di Alfonsine (Ravenna) dopo l'incendio appiccato dagli insorti.

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complicata da non permettere più all’ex primo ministro di riprendere in mano le redini.

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