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di Daria Perrotta Documentarista della Camera dei deputati Il danno all’immagine della pubblica amministrazione, tra tendenze giurisprudenziali (espansive), scelte del legislatore (restrittive) e il nuovo codice di giustizia contabile 11 APRILE 2018

Il danno all’immagine della pubblica amministrazione, tra ... · 6 Con riferimento, in particolare al danno all’immagine della p.a, a favore della suo collocazione nella categoria

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di Daria Perrotta

Documentarista della Camera dei deputati

Il danno all’immagine della pubblica amministrazione, tra tendenze

giurisprudenziali (espansive), scelte del legislatore (restrittive) e il nuovo codice

di giustizia contabile

1 1 A P R I L E 2 0 1 8

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Il danno all’immagine della pubblica amministrazione, tra tendenze giurisprudenziali (espansive), scelte del legislatore

(restrittive) e il nuovo codice di giustizia contabile *

di Daria Perrotta Documentarista della Camera dei deputati**

Sommario: 1. Premessa; 2. Tra l’essere e l’avere: la configurazione del problema teorico dell’individuazione della categoria dei diritti della personalità e dei relativi mezzi di tutela; 3. Il danno all’immagine della p.a. e l’evoluzione della fattispecie di danno: dalla polverizzazione in species al recupero dell’unitarietà del genus del danno non patrimoniale; 4. Gli elementi strutturali della fattispecie lesiva del danno all’immagine della p.a.: l’ambito soggettivo, le condotte imputabili, il criterio di imputazione, il nesso di causalità e il clamor fori; 5. Il progressivo affermarsi della giurisdizione contabile e l’intervento “restrittivo” del legislatore nel 2009; 6. Le reazioni del giudice dei conti alla decisione della Consulta del 2010, tra interpretazione restrittiva ed estensiva; 7. L’intervento nomofilattico del giudice dei conti del 2015: genesi e contenuti; 8. Il nuovo codice di giustizia contabile del 2016 e la “riespansione” della competenza della Corte dei conti; 9. La determinazione del quantum del danno all’immagine: parametri utilizzati in sede pretoria, esercizio del potere riduttivo e l’intervento del legislatore nel 2012; 10. Osservazioni conclusive.

1. Premessa

La figura del danno all’immagine della pubblica amministrazione ha subito una articolata evoluzione nel

corso del tempo. Tale evoluzione è stata espressione del continuo rincorrersi e anticiparsi

dell’elaborazione dottrinale e degli orientamenti giurisprudenziali di fronte alle domande e alle nuove

esigenze provenienti dalla realtà sociale.

Il presente lavoro, anche in considerazione del fatto che tale danno «correda quasi indefettibilmente ogni

ipotesi di condotta portata all’esame della magistratura contabile»1, ritiene opportuno descrivere tale

articolata e complessa evoluzione, passando in rassegna non solo le elaborazioni dottrinali formatesi in

materia e le decisioni assunte in sede pretoria, ma anche gli interventi del legislatore che si sono succeduti.

In particolare, dopo una breve illustrazione della configurazione assunta, nell’ambito della teoria generale

del diritto, dai diritti della personalità - tra i quali può annoverarsi quello all’immagine - si procederà alla

sistematica ricostruzione dei suoi elementi costitutivi dando conto del fatto che tale fattispecie di danno

si è affermata, in primo luogo, in via giurisprudenziale.

* Articolo sottoposto a referaggio. ** II presente contributo è il frutto delle opinioni personali dell’Autrice e non impegna in alcun modo l’Amministrazione presso cui la stessa presta servizio. 1 Si veda in tal senso G. Cumin, Il danno all'immagine come patologia del sistema (della responsabilità amministrativa), in Riv. corte conti, 2008, n. 5, p. 192.

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In risposta al dato pretorio, il legislatore è intervenuto nel 2009, restringendo l’ambito di applicazione del

danno all’immagine della p.a. e di fatto limitandone la conoscibilità da parte del giudice dei conti ai soli

casi in cui tale pregiudizio fosse riferito ai delitti contro l’amministrazione stessa e fosse intervenuta una

sentenza irrevocabile di condanna. Tale normativa è stata oggetto – senza successo - di impugnazione da

parte di diverse sezioni giurisdizionali della Corte dei conti in sede costituzionale. Le reazioni del giudice

dei conti alla decisione della Consulta del 2010 possono essere ricondotte lungo due direttrici: la prima

maggioritaria conforme all’interpretazione del giudice delle leggi; la seconda, invece, volta a riconoscere

l’autonomia dei singoli giudici purché riconducibile ad una lettura delle norme “costituzionalmente

orientata”.

Infine, si procederà ad una illustrazione sintetica della genesi e dei contenuti del nuovo codice della

giustizia contabile (2016), che seppure privo di una esplicita disciplina in materia di azione per il

risarcimento del danno all’immagine della pubblica amministrazione, ha dato luogo, in via ermeneutica,

ad una “riespansione” della fattispecie del danno in esame anche con riferimento ai reati comuni

commessi ai danni della pubblica amministrazione, nonché dei poteri di cognizione in materia da parte

del giudice dei conti.

2. Tra l’essere e l’avere: la configurazione del problema teorico dell’individuazione della

categoria dei diritti della personalità e dei relativi mezzi di tutela

Il perimetro delle posizioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela ha conosciuto, nell’ambito della

teoria generale del diritto, un’evoluzione che lo ha portato ad assumere nel corso del tempo

configurazioni diverse.

In una prospettiva storica, la sfera individuale si è affermata per differenza rispetto ai privilegi concessi e

riconosciuti al singolo dal potere sovrano. Tale matrice storica insieme alle teorie giusnaturalistiche, che

tanto influsso hanno avuto sulle codificazioni moderne, si rinviene, in particolare, nell’affermazione della

nozione della proprietà e nella disciplina del relativo istituto. Ben presto, però, le mutate condizioni

storiche e culturali hanno mostrato l’insufficienza di uno schema concettuale di diritto riconducibile sic et

simpliciter all’attribuzione ad un soggetto del potere di azione e alla corrispondente imposizione ad altro o

più soggetti del dovere di azione a garanzia di quell’interesse. In altri termini, il paradigma “dell’avere” si

è dimostrato non più esaustivo nel descrivere la multiforme e complessa realtà sociale.

Si è affermato, quindi, accanto al concetto giuridico di azione quello di astensione che ha come destinatari

non solo gli altri – ognuno, infatti ha il dovere di non ledere la sfera personale altrui e allo stesso tempo

tutti gli altri hanno il medesimo dovere nei suoi confronti - ma anche lo stesso portatore del valore

giuridico da tutelare. Si afferma, quindi, con forza un concetto di diritto da ricondurre al paradigma

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“dell’essere”. La formalizzazione di una tale ampia nozione di tutela giuridica della persona si rinviene

nel dettato costituzionale e, in particolare, nell’articolo 2 che riconosce la tutela dei diritti inviolabili

dell’individuo.

Rispetto alle possibili forme di lesione delle posizioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela, che

configurerebbero una fattispecie di illecito civile l’ordinamento riconosce due principali mezzi di tutela:

l’inibitoria e il risarcimento.

L’inibitoria si configura come una reazione di tipo immediato volta a interrompere il comportamento

antigiuridico2; il risarcimento deve essere visto, invece, come lo strumento attraverso il quale procedere

al riequilibrio degli interessi lesi ed è misurabile ricorrendo alla nozione di danno.

La nozione di danno come fenomeno giuridico mostra una complessa evoluzione che, partendo dal dato

naturalistico, incorpora poi quello della condotta (o meglio del fatto umano) e interseca il profilo

dell’antigiuridicità della stessa3.

Per lungo tempo il danno è stato misurato avendo a riferimento la lesione di un bene e, quindi, sotto una

prospettiva di tipo patrimoniale. Può definirsi patrimoniale quel danno riferito a beni esteriori, valutabili

pecuniariamente e connessi a bisogni economici. Tuttavia, pur rappresentando una rilevante porzione del

danno privato, non riesce ad esaurire questa ampia categoria. Si è così affermata anche una nozione di

danno non patrimoniale, frequentemente individuato anche con il termine di danno “morale”4, definibile

per differenza rispetto a quello patrimoniale (come mostra il tenore letterale dell’art. 2059 del c.c.).

Il perimetro di riferimento del danno non patrimoniale è andato progressivamente ampliandosi. Infatti,

se dalla lettura della relazione ministeriale al codice civile e tenuto conto degli orientamenti della dottrina

in merito, la nozione di danno poteva esaurirsi nel cosiddetto “danno morale soggettivo” riconducibile

alla fattispecie di tradizione romanistica del pretium doloris, come “ingiusto turbamento dello stato d’animo

o lo stato d’angoscia transeunte generato dall’illecito nella persona del danneggiato” (sent. Cass. civ., Sez.

III, n. 10393 del 17 luglio 2002), successivamente si è giunti ad un ampliamento del novero delle

fattispecie tutelabili.

2 Sul punto si veda D. Messinetti, Personalità (Diritti della), voce in Enciclopedia del diritto, vol. XXXIII, Milano 1983, p. 391. Talvolta l’inibitoria, come emerge dall’analisi della disciplina privatistica, deve essere intesa anche come una tutela di carattere provvisorio ed urgente contro le azioni illecite che prescinde - e talora rimane indipendente - dall’accertamento dell’antigiuridicità del comportamento. Si veda ad esempio la disciplina dei provvedimenti d’urgenza ex art. 700 del c.p.c. 3 Un accurato esame del nostro ordinamento giuridico mostra anche l’esistenza di un danno non antigiuridico. Si veda A. De Cupis, Danno (dir. vig.), voce in Enciclopedia del diritto, vol. XI, 1962, p. 624. 4 Il nostro ordinamento ha seguito, invero, l’esempio del Codice civile germanico (il quale parla di danno “der nicht Vermögensschaden”) piuttosto che la nozione di “dommage moral” utilizzato dalla dottrina francese.

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Determinante in questa evoluzione è stato, in primo luogo, il contributo della giurisprudenza – la quale

ha chiarito che tale illecito non deve configurarsi come penalmente rilevante in concreto, essendo

sufficiente «che il fatto stesso sia astrattamente preveduto come reato e sia conseguentemente idoneo a

ledere l'interesse tutelato dalla norma penale» (sent. Cass. civ. Sez. III, n. 11198 del 20 novembre 1990) –

e, in secondo luogo, il legislatore, il quale ha approvato nel corso del tempo disposizioni legislative che

hanno previsto nuove fattispecie di danni non patrimoniali risarcibili anche al di fuori dalla sfera di

matrice penalistica (ad es. ingiusta privazione della libertà personale, durata non ragionevole del processo,

illecito trattamento dei dati personale, “vacanza rovinata”, e condotte o atti discriminatori, etc.).

3. Il danno all’immagine della p.a. e l’evoluzione della fattispecie di danno: dalla polverizzazione

in species al recupero dell’unitarietà del genus del danno non patrimoniale

Molteplici sono stati i tentativi della dottrina di superare il limite della risarcibilità del solo danno

patrimoniale in presenza di lesioni dei diritti della personalità, ma la giurisprudenza della Corte di

Cassazione ha in origine, comunque, ricondotto tali tentativi al novero dell’art. 2059, non consentendo,

quindi, di prescindere dal fatto che la condotta lesiva integrasse gli estremi di un reato.

Alla luce di tali premesse, un primo decisivo cambio di rotta si è avuto con la sentenza della Corte

costituzionale n. 184 del 1986: la Corte, dopo un lungo excursus storico sui rispettivi ambiti di applicazione

della responsabilità patrimoniale e di quella morale – riconducibili entrambi alla categoria del danno

conseguenza – ha poi chiarito la natura di tertium genus del danno biologico (sinonimo di danno alla salute

che non è altro che la lesione del diritto personalissimo all’integrità fisica) da intendersi, invece, come

danno evento5.

Ma tale danno, pur differenziandosi da quello non patrimoniale e a prescindere dalle sue peculiarità

rispetto al danno patrimoniale avendo a riferimento il valore uomo in tutta la sua interezza e non solo

nella sua attitudine a produrre ricchezza – è stato ritenuto risarcibile sulla base del combinato disposto

dell’art. 32 della Cost. e dell’art. 2043 del c.c. Tale ultimo articolo ha assunto, quindi, sulla base della

ricostruzione operata dal giudice delle leggi, il valore di una sorta di “norma in bianco” in tema di

risarcimento finalizzata a salvaguardare i principali valori essenziali dell’uomo.

La distinzione della fattispecie di danno nei termini di “conseguenza” e di “evento”, seppure non

unanimemente assentita dalla dottrina e dalla giurisprudenza6, trova il suo nucleo fondante nel

5 La Corte costituzionale afferma che il danno biologico «è danno specifico, è un tipo di danno, identificandosi con un tipo di evento. Il danno morale subiettivo è, invece, un genere di danno-conseguenza, che può derivare da una serie numerosa di tipi di evento» (§4 della sent. n.184 del 1986). 6 Con riferimento, in particolare al danno all’immagine della p.a, a favore della suo collocazione nella categoria danno-evento, si veda F.M. Longavita e M. Longavita, Il danno all’immagine della PA come danno esistenziale, ed.

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riconoscimento che alcuni beni – primari o comunque ritenuti fondamentali secondo la Costituzione –

sono dotati di una rilevanza tale da determinare un danno attraverso la loro semplice compressione senza

bisogno di far riferimento alle conseguenze ulteriori che dalla lesione possano derivare o siano scaturite7.

Proprio per tale ragioni può affermarsi che la caratteristica di fondo di tale danno è rappresentata dall’aver

spostato il «baricentro del diritto risarcitorio dal contenuto del danno a quello dell’ingiustizia della lesione»

(sent. Corte dei conti, Sez. giur. Umbria, n. 557 del 18 ottobre 2000).

Tale orientamento interpretativo ha subito, nel corso del tempo, ulteriori sviluppi che hanno portato al

ridimensionamento della acquisita centralità dell’art. 2043 e al conseguente ampliamento – anche se con

una iniziale frammentazione – dell’ambito di applicazione dell’art. 2059. In questo percorso evolutivo un

ruolo emblematico è stato svolto dalle sentenze cosiddette gemelle della Corte di Cassazione (n. 8827 e

n. 8828 del 2003) e da quella, di poco successiva, della Consulta (n. 233 del 2003).

In tali sentenze è possibile rinvenire una articolata classificazione delle due categorie di danno:

patrimoniale (ex art. 2043) e non patrimoniale (ex art. 2059). In particolare quest’ultima può essere

articolata in tre distinte fattispecie8: il danno morale soggettivo come tradizionalmente considerato; il

danno biologico – da intendersi però in senso stretto come ogni menomazione arrecata all’integrità

psicofisica della persona purché accertata secondo i canoni previsti dalla scienza medica (ex art. 32 della

Costituzione); il danno esistenziale che ricomprende tutti i danni che – almeno in potenza – derivino

dalla lesione degli interessi costituzionalmente protetti (ex art. 2 della Costituzione)9.

La ricostruzione della categoria del risarcimento del danno teorizzata dalla Corte di cassazione secondo

uno schema di tipo bipolare e l’ampliamento della sfera del danno non patrimoniale risarcibile anche in

assenza di una fattispecie criminosa è stata avallata dalla Corte costituzionale, la quale ne ha anche

evidenziato, in particolare, il pregio di “ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della

tutela risarcitoria del danno alla persona” (sent. n.33 dell’11 luglio 2003, §3.4).

Maggioli, 2006; mentre a favore di quella del danno-conseguenza si veda L. Primiceri, Il danno all’immagine come danno non patrimoniale, in Resp.civ., 2007, 7, p.601 e ss. Per quanto concerne la giurisprudenza, come ricorda F. Ruggiero, in Danno all’immagine di un ente esponenziale: la responsabilità multifunzionale – il commento, Danno e Resp., 2018, n. 1: «I giudici di legittimità hanno, ad ogni modo, sconfessato la qualificazione del danno all’immagine come danno evento e hanno, invece prediletto l’opposta tesi: il danno in questione deve essere ricostruito come danno conseguenza e, pertanto, dovrà essere provato e liquidato equitativamente, secondo le circostanze del caso». 7 In tali termini si veda S. Brizi, Il danno all’immagine della pubblica amministrazione, Rivista amministrativa della Repubblica italiana, 2006, n.11-12, pp.1019-1020. 8 Deve, però, sottolinearsi che all’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’art. 2059 non ha corrisposto la creazione di una figura di illecito distinta da quella delineata dall’articolo 2043 del c.c. (si veda sent. Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828). 9 La Cassazione in un primo momento aderì alla teoria secondo la quale il danno esistenziale rientra nell’art. 2043, salvo successivamente cambiare posizione e ritenere che allo stesso debba applicarsi la disciplina di cui all’art. 2059. Per una analisi di questa evoluzione si veda A. Riccò, Il cosiddetto danno all'immagine della p.a. nella tematica della riparazione del danno non patrimoniale e la giurisdizione della Corte dei conti, Riv. corte conti 2004, n. 4, pag. 258 e ss.

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Tuttavia, la prassi giudiziale non ha tardato a mostrare una proliferazione delle domande di ristoro del

danno non patrimoniale, con il conseguente rischio di una loro duplicazione e di un ampliamento

nell’arbitrio sulla quantificazione delle somme da liquidare, tanto da far parlare molti in dottrina di una

“babele” delle voci di danno risarcibili10. Si è, quindi, reso necessario un intervento delle sezioni unite

della Corte di cassazione, le quali hanno riesaminato la categoria del danno non patrimoniale giungendo

alla conclusione del suo carattere generale e unitario e riconoscendo una utilità meramente descrittiva alle

diverse categorie di danno variamente denominate (sent. n. 26972 dell’11 novembre 2008)11.

Il ruolo nomofilattico delle sezioni unite della Cassazione non sembra, tuttavia, essersi pienamene

dispiegato come mostra la reazione eterogenea della giurisprudenza di merito immediatamente successiva

alla pronuncia del 200812.

L’evoluzione, registrata in sede civilistica, del perimetro di riferimento del danno non patrimoniale e la

sua estensione anche alle persone giuridiche è stata determinante per il riconoscimento del risarcimento

per lesione del diritto di immagine della p.a.13.

Nel 2010, infatti, la Corte costituzionale, ha confermato l’impianto ricostruttivo delineato dalle sezioni

unite di San Martino nel 2008 e il danno all’immagine della pubblica amministrazione ha trovato

definitivamente la sua disciplina nell’ambito del danno non patrimoniale.

Nella giurisprudenza contabile, seppure è diffuso un costante orientamento favorevole al risarcimento

del pregiudizio all’immagine della pubblica amministrazione, si sono registrate posizioni eterogenee in

merito al quadro dogmatico di riferimento e, in particolare alla collocazione del danno all’immagine

nell’ambito del danno patrimoniale o non patrimoniale.

10 G. Ponzanelli, Oltre le duplicazioni: la babele delle voci di danno non patrimoniale risarcibili, in Danno resp., 2007, pp. 685 ss., e G. Grasso, La discrezionalità del giudice. Le esperienze in Italia e Germania. Spunti per una comparazione funzionale all’esercizio delle professioni giuridiche, Atti del convegno. Napoli, 15-16 ottobre 2010, p. 5. 11 In dottrina molti riconoscono a tale sentenza il merito di aver recuperato l’unitarietà del danno non patrimoniale, ma non sono tuttavia convinti della costruzione del danno alla persona sull’idea di tipicità o addirittura di tassatività delle ipotesi risarcibili. In questi termini, si veda P. Perlingieri, Manuale di diritto civile, op. cit., p. 951. 12 Per un’analisi di tale casistica si veda F. Bravo, Riflessioni sulla risarcibilità del danno non patrimoniale alla luce della Sentenza n. 26972/08 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite e della successiva giurisprudenza di merito, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza Vol. III - N. 1 - Gennaio-Aprile 2009. 13 La dottrina e la giurisprudenza non hanno presentato orientamenti univoci sulla possibilità di riconoscere il danno non patrimoniale anche nei confronti delle persone giuridiche. Possono, quindi, ricordarsi tre distinti indirizzi: il primo, maggioritario, che - ferma rimanendo l’incapacità di tali enti collettivi di soffrire - ha, tuttavia, ammesso la possibilità che i medesimi possano subire danni non patrimoniali; il secondo, minoritario, che ha escluso tale tipo di danno per le persone giuridiche; infine, un terzo, anch’esso minoritario, che ha ammesso il danno non patrimoniale solo per le comunità amministrate. Per tale ricostruzione si veda, A. Riccò, Il cosiddetto danno all'immagine della p.a. nella tematica della riparazione del danno non patrimoniale e la giurisdizione della Corte dei conti, op. cit., p. 270-282.

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4. Gli elementi strutturali della fattispecie lesiva del danno all’immagine della p.a.: l’ambito

soggettivo, le condotte imputabili, il criterio di imputazione, il nesso di causalità e il clamor fori

Nel delineare gli elementi strutturali della fattispecie del danno in esame, è opportuno prendere le mosse

dal profilo soggettivo. Presupposto fondamentale è, infatti, la sussistenza di un “rapporto di servizio”.

Prima di definire il perimetro di riferimento di tale locuzione, occorre preliminarmente chiarire che

affinché si configuri la lesione, non è sufficiente la sussistenza di un rapporto di immedesimazione della

persona fisica – titolare dell’organo – nella persona giuridica pubblica, ma che i soggetti appartenenti

all’amministrazione siano in grado di porre in essere attività idonee a rappresentare all’esterno la volontà

del proprio ente con forza vincolante.

Dall’analisi della giurisprudenza contabile14, emerge infatti un orientamento interpretativo che privilegia

il carattere più sostanziale che formale delle circostanze15 e che consente di allargare lo spettro della

responsabilità non solo ai casi nei quali sussista un rapporto di impiego, in senso stretto, ma anche a tutte

le fattispecie in base alle quali ogni persona fisica o giuridica si trovi a svolgere funzioni per conto di una

organizzazione amministrativa (ad esempio nell’ipotesi di “funzionari di fatto”).

Inoltre, secondo un orientamento sino ad ora maggioritario nella giurisprudenza16, tale rapporto deve

intendersi in senso lato17 e, quindi, la responsabilità può configurarsi non solo nel caso in cui il danno sia

arrecato all’amministrazione di appartenenza, ma anche qualora sia pregiudicata una amministrazione

diversa da questa (si parla in questo caso di “danno obliquo”)18.

14 Si veda ad esempio: sez. I, sentenza n.130 del 17 aprile 2002 nella quale è stato riconosciuto che, ai fini dell’attribuzione della relativa responsabilità non deve aversi riguardo unicamente all’attività posta in essere dagli organi di vertice dell’ente pubblico, sez. giur. Piemonte, n. 780 del 20 luglio 2001, dove è stato chiarito che, ai fini dell’attribuzione della responsabilità non è necessaria la formale attribuzione di una funzione pubblica al soggetto agente. 15 Così S. Brizi, Il danno all’immagine della pubblica amministrazione, op. cit., p. 1031. 16 Tra le sentenze riconducibili alla tesi minoritaria secondo la quale l’agente deve appartenere all’amministrazione immediatamente danneggiata si veda Corte dei Conti, Lazio, n. 2246 del 28 ottobre 1998. 17 A tale riguardo si veda la sent. Cass., Sez. un., n. 20132 del 2004: «Dalle numerose pronunce delle sezioni unite […]si trae una nozione di tale rapporto dai contorni assai lati […] nella quale rientrano anche i rapporti con soggetti estranei all'organizzazione amministrativa. La giurisprudenza ha affermato, altresì, che possa inserirsi in un rapporto di servizio, non solo l'attività costituente svolgimento diretto della funzione propria del rapporto d'impiego, ma anche quella rivestente carattere strumentale per l'esercizio della medesima funzione, sempre che tale attività abbia nel rapporto la sua occasione necessaria». 18 In S. Brizi, Il danno all’immagine della pubblica amministrazione, op. cit., p. 1032, è possibile individuare la sintesi dei casi determinati e circoscritti nei quali il danno può essere prodotto da soggetti appartenenti ad altre amministrazioni: «1) quando siano uniche le risorse finanziarie destinate al raggiungimento dell’interesse collettivo; 2) ove si instauri un rapporto funzionale in termini di scopo tra l’amministrazione di appartenenza e quella danneggiata; 3) quando si realizzi un rapporto interorganico che induce a ritenere sussistente un rapporto di servizio diretto; 4) quando un soggetto si inserisce nella fase conclusiva di un procedimento amministrativo di competenza di un’altra amministrazione; 5) nelle situazioni in cui un ente eserciti nei confronti dell’altro poteri direttiva».

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Altrettanto variegate sono le condotte imputabili, che possono trarre origine da comportamenti

commissivi, omissivi o dal mero ritardo. Ma ancor più interessante, sotto il profilo dottrinale, è la

insindacabilità da parte del giudice dei conti delle scelte di tipo discrezionale compiute

dall’amministrazione19.

Per comprendere tale limite è preliminare chiarire la rilevante differenza che sussiste tra la discrezionalità

tecnica e il merito amministrativo, pur rientrando entrambe le fattispecie nella più ampia categoria

dell’azione amministrativa. Categoria questa che include a sua volta anche la discrezionalità

amministrativa.

La discrezionalità amministrativa consiste in una ponderazione comparativa, in termini qualitativi e

quantitativi, dell’interesse pubblico primario e di quelli secondari, indipendentemente dalla loro natura

pubblica o privata.

La discrezionalità tecnica, invece, si esaurisce nell’esame dei fatti o delle situazioni rilevanti per l’azione

amministrativa che richiedono il ricorso a specifiche cognizioni tecniche. La stessa dottrina20 ha osservato

che la cosiddetta discrezionalità tecnica, a differenza di quella “pura” o “amministrativa”, non ha proprio

nulla di discrezionale. Se, quindi, quest’ultima discrezionalità, in quanto riconducibile ad una potestà

implica, contemporaneamente, giudizio e volontà; quella tecnica, invece, riferendosi ad un momento

conoscitivo implica solo un giudizio. Con riferimento alla sindacabilità dei fatti tecnici da parte del giudice

amministrativo e di quello contabile, deve registrarsi una lunga evoluzione giurisprudenziale, che da un

iniziale self restraint è approdata al riconoscimento della loro piena conoscenza e verificabilità21.

Infine, il merito amministrativo, che è l’insieme delle soluzioni ipotizzabili compatibili con l’applicazione

di criteri di logicità e congruità e, pertanto, oggetto di una riserva di amministrazione suscettibile di

verifica solo di in termini politici22.

Il giudice contabile, ferme rimanendo pronunce di segno diverso, deve limitarsi alla valutazione della

ragionevolezza e della congruità dei comportamenti e tale verifica deve essere effettuata ex ante “avuto

riguardo al canone di razionalità identificabile secondo i dati dell’esperienza amministrativa”23.

19 Si veda art. 1, co. 1, primo periodo, della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (come modificato dal decreto-legge 23 ottobre 1996, n.543. 20 M. S. Giannini, Diritto amministrativo, vol. II, Milano, II ed., 1993, pp. 55-56. 21 In tali termini, L. Ieva, La responsabilità erariale del dirigente per disorganizzazione amministrativa, Riv. Corte Conti, n. 3 del 2006, p. 350- 352. 22 Così F. Lillo, La responsabilità amministrativa tra discrezionalità e merito [nota a C. Conti reg. Lombardia, sez. giurisdiz. Milano, 2 maggio 2005 n. 324]. Giur. it., 2006, 5, p. 1069. 23Corte dei Conti, Sez. I, 10 marzo 1979, n. 17. Di segno diverso la pronuncia della Corte dei conti, Sez. II, 19 ottobre 1998, n. 212/A, che ritiene necessaria anche una valutazione ex post dell’azione amministrativa.

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Quanto, invece, al criterio dell’imputazione, dall’analisi del dato normativo24 e, ferme rimanendo alcune

esimenti di tipo soggettivo e oggettivo, può presumersi che sia limitato ai soli casi di dolo o colpa grave25.

Per colpa grave26 – anche alla luce delle definizioni rinvenibili nella giurisprudenza contabile – deve

intendersi una condotta connotata da negligenza, imprudenza, imperizia, posta in essere senza osservare

i livelli minimi di diligenza richiesti sulla base del caso concreto, tenendo conto del tipo di attività e della

preparazione professionale dell’agente27. Tale concetto, quindi, va collocato – come mostra ad esempio

la copiosa giurisprudenza contabile in merito alla responsabilità medico-sanitaria28 – all’interno della

nozione di colpa professionale (ex art.1176, secondo comma del c.c.) e deve essere inteso come

osservanza non già della normale diligenza del pater familias, bensì con quella specifica diligenza necessaria

con riferimento alla natura e alle caratteristiche di una specifica attività esercitata.

La scelta di tali criteri ha rappresentato il raggiungimento di un punto di equilibrio tra interessi diversi,

nonché una forma di riguardo per gli amministratori e i dipendenti pubblici al fine di non paralizzarne

l’attività nel timore di soccombere nei giudizi aventi ad oggetto la loro responsabilità amministrativa e in

alcun modo deve essere vista come un allentamento del rigore nei confronti dell’azione amministrativa,

anche tenuto conto che la normativa di settore di quegli anni si era contraddistinta per un aumento diffuso

del grado di diligenza richiesto.

Il criterio di imputazione, deve essere valutato non solo tenendo conto del grado di consapevolezza

dell’agente, ma anche del livello di funzionalità dell’organizzazione nel cui contesto si è trovato ad operare

il presunto responsabile, tanto da poter affermare una relazione inversa tra tali due fattori: infatti, in

presenza di gravi disfunzioni organizzative, contano «soltanto i comportamenti colposi di particolare

24 Si veda art. 1, co. 1, primo periodo, della l.14 gennaio 1994, n. 20. 25 La limitazione della responsabilità all’ipotesi di colpa grave come grado minimo di colpevolezza è stata introdotta con carattere generale nel 1996 (ex art. 3, del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543). 26 A tale proposito, si veda M. Gagliardi, La responsabilità delle persone giuridiche con riguardo alle ipotesi di risarcimento del danno per lesione erariale, Riv. corte conti 2007, n. 1, p. 273: «Nel giudizio di responsabilità contabile deve ritenersi irrinunciabile il principio indefettibile della gravità della colpa, sia in quanto espressione di un processo che mescola istanza sanzionatoria e risarcitoria, sia come strumento determinativo della quota di responsabilità concretamente imputabile all’agente e dunque di graduazione della stessa, restando il disvalore della condotta prezioso contrappeso ad ogni automatismo nell’attribuzione dell’onere risarcitorio.». 27 Sul punto si veda Corte dei conti, Sez. riun., 10 giugno 1997, n. 56/A, secondo cui per colpa grave si intende l’evidente e marcata trasgressione di obblighi di servizio o di regole di condotta. Disposizioni limitative della responsabilità ai casi di colpa grave erano già previste dall’ordinamento per specifiche categorie di dipendenti quali ad esempio: conducenti di autoveicoli, navi, aeromobili, personale FS e della scuola, etc. 28 Si veda D. Chindemi, Il danno erariale in materia di responsabilità medico-sanitaria, in Resp. civ. e prev. n.5 del 2011, pp.1166 e ss..

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gravità, mentre nell’ambito delle organizzazioni di buon livello […] anche comportamenti non

particolarmente gravi in linea assoluta»29.

La correlazione del comportamento dell’agente e l’organizzazione di appartenenza mostra alcune

peculiarità nel settore delle forze armate e delle forze dell’ordine. Infatti, pur senza dar luogo ad un sistema

di responsabilità amministrativa autonomo rispetto alle categorie giuridiche generali, la giurisprudenza

contabile ha seguito particolari parametri di valutazione nella verifica del danno all’immagine causato da

agenti appartenenti al Corpo della Guardia di finanza o all’Arma dei carabinieri. In particolare, la Corte30

ha considerato di particolare gravità gli illeciti posti in essere da tali soggetti in quanto suscettibili di minare

la fiducia nelle istituzioni e di innescare «un pericoloso effetto imitazione, conseguente al convincimento

della non convenienza di comportamenti virtuosi a fronte della dilagante illegittimità della compagine

statale nelle sue componenti più qualificate»31.

Meno complessa è l’identificazione del dolo, anche se questo si differenzia da quello disciplinato

dall’articolo 43 del c.p. dal momento che, invece, di fare riferimento alla coscienza e alla volontà

dell’evento dannoso (dolo penale), deve configurarsi in termini di volontà di non adempiere agli obblighi

di servizio32.

Quanto al nesso di causalità - che può essere definito come il rapporto che lega la condotta dell’agente

all’evento dal quale scaturisce il danno erariale – dall’analisi della giurisprudenza, sembra potersi far

ricorso a tutte le acquisizioni dottrinarie e giurisprudenziali alle quali si è pervenuti nell’ambito della teoria

generale del reato in ambito penale e, in particolare, al principio della teoria della regolarità causale33.

In sintesi alla luce degli elementi sino ad ora evidenziati perché possa parlarsi di danno all’immagine è

necessario che la condotta rilevante sia posta in essere – o comunque favorita – dallo svolgimento di

funzioni o munera pubblici (indipendentemente dalla sussistenza di un rapporto di servizio in senso

29 Così nella pronuncia delle sezioni unite della Corte dei conti n. 56 del 10 giugno 1997 e n. 66 del 24 settembre 1997. 30 Si veda la sent. Corte conti, sez. Sicilia, 8 ottobre 2002, n. 1833, che richiama la rilevanza e l’enorme considerazione che nel nostro Paese vengono attribuite all’Arma dei Carabinieri, da sempre simbolo di abnegazione e di attaccamento al dovere, e la sent. della sez. I della Corte dei conti 7 gennaio 2008, n. 7 riguardante appartenenti alla Guardia di finanza, che avevano illecitamente percepito somme di denaro in occasione dello svolgimento di verifiche fiscali. Osservazioni critiche in merito a tale giurisprudenza sono state formulate in dottrina da A. Riccò, Il cosiddetto danno all'immagine della p.a. nella tematica della riparazione del danno non patrimoniale e la giurisdizione della Corte dei conti, op. cit., p. 276. 31 Così in S. Rodriquez, Il danno all’immagine: amministrazione civile e militare a confronto (nota a C. Conti, sez. giur. Calabria, 26 maggio 2009 n. 240), Resp. civ. e prev. 2009, n.11, p. 2342. 32 Si parla di dolo contrattuale, si vedano in proposito le sentenze della Corte dei conti, sez. riunite n. 63/1996/A, sez. giur. Reg. Lazio, n. 2246 del 1998, sez. giur. Reg. marche n. 86301 del 2001 e sez. giur. Reg. Umbria n. 390 del 2003. 33 Per una definizione della teoria della regolarità causale si veda la sent. Sez. unite civ., Corte cass., n. 581 dell’11 gennaio 2008.

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stretto); che abbia ad oggetto un bene valore di particolare rilevanza (quali la giustizia, la sicurezza, l’ordine

pubblico, la salute, etc.); e che vi sia un nesso di causalità tra la condotta e l’evento, indipendentemente

dalla diffusione dell’illecito a mezzo stampa.

Dalla disamina della giurisprudenza della Corte dei conti – anche recente (sent. reg. Umbria n. 53 del 27

dicembre 2017) – emerge come il clamor fori abbia, quindi, perso il carattere integrativo della lesione, per

assumere quello, ritenuto più consono, di parametro per commisurare la quantificazione del danno. A

conferma di tale ricostruzione, la stessa Corte dei conti ha anche affermato che, seppure la divulgazione

della notizia può costituire un elemento su cui fondare la presunzione del danno, non deve comunque

essere enfatizzato il livello di capillarità che ha avuto tale divulgazione per non giungere al paradosso di

far dipendere la sussistenza di tale danno proprio dal grado della diffusione della relativa notizia (sent.

sez. Sicilia n. 548 del 16 febbraio 2012).

5. Il progressivo affermarsi della giurisdizione contabile e l’intervento “restrittivo” del legislatore

nel 2009

Sono diversi gli elementi che hanno contraddistinto l’accrescimento dei poteri di cognizione del giudice

dei conti e che hanno contribuito a configurare come atipico l’illecito contabile34: il decentramento che

ha connotato l’evoluzione della struttura organizzativa della Corte dei conti, il progressivo ampliamento

delle sue competenze disposto in via legislativa35 e l’estensione dell’ambito oggettivo e soggettivo della

responsabilità amministrativa36 avvenuta in sede giurisprudenziale.

Alla progressiva estensione del perimetro della giurisdizione della Corte dei conti37 ha contribuito anche

la graduale espansione del contenuto al quale ricondurre le nozioni di patrimonio pubblico e di danno

erariale.

34 A tale riguardo, si veda Relazione sull’attività della Corte dei conti, Inaugurazione dell’anno giudiziario 2018, p.6. 35 Per la loro disamina si veda S. Imperiali, Appunti sull'evoluzione della responsabilità amministrativa, Riv. corte conti 2005, n. 4, pp. 281-282. 36 Si vedano in particolare, con riferimento al primo aspetto la sentenza della Corte di cassazione n. 500 del 1999 che ha riconosciuto la risarcibilità degli interessi legittimi e, con riferimento al secondo aspetto, l’ordinanza della Corte di cassazione n. 19667 del 2003, che ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti anche sulle responsabilità per danni patrimoniali causati da amministratori di enti pubblici economici dopo l’entrata in vigore della legge n. 20 del 1994. 37 L’ampia lettura del dettato costituzionale, in un primo momento non è stato accolta con favore dalla Corte di cassazione. Successivamente la stessa Suprema Corte ha accolto la tesi della Corte dei conti come «giudice ordinario generale» nelle materie di contabilità pubblica (Sez. un. del 20 luglio 1968, n.2616). Tale indirizzo è stato poi confermato dalla Corte costituzionale (nelle sentenza n.110 del 26 giugno 1970 e n.68 del 5 aprile 1971). Per una ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale, si veda A. Bennati, Manuale di contabilità pubblica, op. cit., pp. 859 e ss.

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La prima, da semplice posta attiva di bilancio si è andato meglio definendo non solo tenendo conto dei

beni materiali o immateriali, ma anche dei diritti dai quali l’ente pubblico può ricavare una utilità

economica. Quanto alla seconda, la Corte – anche se con un orientamento non unanime – ha ritenuto di

poter estendere i confini della sua giurisdizione in materia di danno erariale (sent. sez. I, n. 55 del 7 marzo

1994) non solo alle ipotesi in cui questo si configuri come una diminuzione patrimoniale diretta, ma anche

nel caso in cui il danno sia riconducibile alla «perdita di prestigio e al detrimento dell’immagine e della

personalità pubblica» dello Stato (sent. sez. riun. n. 1 del 18 gennaio 2011). Tale indirizzo ha trovato il

suo “addentellato costituzionale”38 nei principi della imparzialità e del buon andamento della p.a. (ex art.

97 Cost.) ed ha ottenuto anche l’avallo della Corte di cassazione (sent. n. 3970 del 1993 e n. 5668 del

1997).

Infatti, se negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, la Corte di cassazione (sent. n. 3970 del 2 aprile

1993) era per lo più orientata a non riconoscere la giurisdizione della Corte dei conti in presenza di un

danno morale, e negli stessi termini era orientato il giudice dei conti39; nel corso degli anni Novanta, prima

quest’ultimo in sede di appello (in particolare la sez. II) e poi la Suprema corte40 hanno mutato la loro

giurisprudenza, procedendo - seppure su basi diverse41 – nella medesima direzione.

Tale evoluzione, con specifico riferimento al danno all’immagine della p.a., ha trovato un definitivo

riconoscimento con una sentenza della Corte dei conti del 2006 (sez. giur. Lombardia, n. 375 del 7 giugno

2006), nella quale si è affermato che la sua risarcibilità innanzi a tale giurisdizione rappresenti ormai un

“approdo univoco” non solo per la magistratura contabile, ma anche per la stessa Corte di Cassazione.

In sintesi, il minimo comune denominatore dell’evoluzione che ha connotato la definizione del perimetro

dei poteri di cognizione del giudice contabile – sia in sede normativa, sia giurisprudenziale – può

38 Così G. Di Rago, Il danno all’immagine della pubblica amministrazione, Halley editore, 2004, p. 39. 39 Si vedano le sentenze della Sez. giur. Regione Sicilia n. 1416 del 1985, le sentenze della Sezione I n. 52 e n. 91 del 1987 e la sentenza della Sez. II, n. 99 del 1987. Nella prima delle citate sentenze si afferma la non risarcibilità del pregiudizio subito dall’Amministrazione a seguito della violazione del principio di buon andamento, previsto dall’art. 97 cost. in quanto danno di natura non patrimoniale, non suscettibile di valutazione economica. Con le altre sentenze, e in particolare con l’ultima, invece si è escluso, “il risarcimento del danno morale per il discredito subito dall’Amministrazione”. La formalizzazione più ampia della suddetta contrarietà si avrà con la sentenza n. 580-A del 1988 delle sezioni riunite della Corte dei conti, con la quale si è praticamente posto fine al tentativo di recuperare nella fattispecie della responsabilità erariale le ipotesi di danno in esame. 40 Si veda Sez. II, n.114 del 27 aprile 1994. In A. Riccò, Il cosiddetto danno all'immagine della p.a. nella tematica della riparazione del danno non patrimoniale e la giurisdizione della Corte dei conti, op. cit., p. 283. Vi è anche una indicazione delle sentenze di segno opposto (ad es. sent. della suddetta Sez. n.195 del 15 giugno 1990). 41 La Corte dei conti ha riconosciuto l’applicabilità dei principi relativi al danno pubblico anche al danno morale che afferisce alla p.a. come conseguenza del comportamento dei propri dipendenti; la Corte di cassazione ha, invece, radicato la giurisdizione in capo al giudice dei conti sulla base del fatto che il danno che consegue alla grave perdita di prestigio, anche se non comporta una perdita patrimoniale diretta, è, tuttavia, suscettibile di valutazione patrimoniale nella misura delle spese necessarie al ripristino del bene giuridico leso.

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identificarsi nella accentuazione delle garanzie, sostanziali e processuali, a tutela dell’equilibrio economico

e finanziario del settore pubblico.

Merita ricordare che la rideterminazione degli ambiti cosiddetti “esterni” della giurisdizione contabile non

è stata annoverata tra i criteri di delega (l. n. 124 del 2015) in base ai quali è stato adottato il nuovo codice

di giustizia contabile (d. lgs. n. 174 del 2016). Questo, si limita, infatti, ad affermare tale competenza: nei

giudizi di conto e di responsabilità amministrativa per danno all'erario; negli altri giudizi in materia di

contabilità pubblica e in materia pensionistica; nonché in quelli relativi all'irrogazione di sanzioni

pecuniarie e - con una clausola aperta42 - negli altri giudizi aventi ad oggetto le «materie specificate dalla

legge».

Il progressivo affermarsi dei poteri di cognizione del giudice dei conti si intreccia con la rilevante

questione dell’esistenza, nel nostro ordinamento, di differenti tipi di giurisdizioni43, le cui interferenze

reciproche trovano un limite nel principio cardine del ne bis in idem, ma soprattutto nell’eterogeneità degli

obiettivi che si prefiggono.

Con esplicito riferimento al danno all’immagine della p.a., infatti, la dottrina ha riconosciuto che il giudizio

della Corte dei conti spesso opera alla stregua di un sistema sanzionatorio di riserva rispetto a quello

primario che dovrebbe essere rappresentato dalle norme di diritto penale e che, spesso, supplisce alla

scarsa afflittività in concreto delle misure previste dall’ordinamento per reprimere le violazioni dei precetti

poste in essere dagli intraneus44.

42 Per la disamina dei confini (in senso positivo e in senso negativo) di questa clausola aperta si veda la Relazione sull’attività della Corte dei conti, Inaugurazione dell’anno giudiziario 2018, p. 3. 43 Pur se non oggetto del presente scritto, merita ricordarsi come dall’analisi del dato giurisprudenziale emergono una serie di elementi sui quali è possibile fondare l’autonomia del giudizio contabile sia da quello penale che civile. In particolare, con riferimento a quest’ultimo vi sono due elementi distintivi: il carattere extracontrattuale dell’azione relativa che attiene al generale dovere del neminem laedere a differenza della natura contrattuale della responsabilità amministrativa oggetto del processo contabile; il carattere oggettivo dei principi tutelati nel giudizio contabile, quali l’equilibrio della finanza pubblica (ex art. 81 Cost.) nonché il buon andamento e l’imparzialità della p.a. (ex art. 97 Cost.) a differenza di quello soggettivo dell’azione civile, in quanto finalizzati al reintegro patrimoniale dell’interessato (restitutio ad integrum). 44 Il danno all’immagine della persona fisica e quello all’immagine della pubblica amministrazione si differenziano per la diversa direzione nella quale si realizza la lesione: esterna, nel primo caso, interna, nel secondo . La direzione centripeta della lesione è dovuta al fatto che lo Stato, in quanto persona giuridica, si avvale nell’esercizio delle sue funzioni di persone fisiche che, sulla base di un rapporto di “immedesimazione organica” operano per conto di esso e che possono rendersi autori della suddetta lesione. Tale lesione, non proviene, quindi, dall’esterno, bensì dalla stessa amministrazione.

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Così, seppure la legislazione vigente( ex art.1, co.2, l. n.20 del 1994), nel prevedere esplicitamente il

risarcimento del danno, assegna alla responsabilità amministrativa una finalità di tipo compensativo, a

tale funzione se ne sono progressivamente affiancata altre di tipo sanzionatorio45 e deterrente46.

Il percorso ultraventennale compiuto dalla giurisprudenza – inizialmente non senza perplessità – per

delineare i tratti del danno all’immagine ha trovato proprio in corrispondenza della sua massima

espansione – e forse proprio per tale ragione – una prima battuta d’arresto con l’approvazione della

norma conosciuta come lodo Bernardo (art. 17, co. 30-ter del d.l. n. 78 del 2009).

L’ampio perimetro raggiunto dalla fattispecie del danno all’immagine è definito con chiarezza da due

importanti sentenze della Corte dei conti (sent. reg. Calabria n. 240 del 26 maggio 2009 e reg. Umbria n.

100 del 5 agosto 2009) – una di poco antecedente l’entrata in vigore del suddetto lodo e l’altra pressoché

contestuale – dove si ribadiva la sussistenza di tale danno sia in presenza di atti o comportamenti

gravemente illegittimi, sia di illeciti di natura anche extra penale, purché gli stessi avessero una rilevanza

e una capacità lesiva tali da ingenerare una «disapprovazione sociale e un diffuso e persistente senso di

sfiducia della collettività nell’amministrazione».

La norma in commento è stata oggetto di successive modifiche. In primo luogo, con il d.l. n. 104 del

2009, il quale è stato adottato il giorno stesso in cui sarebbero dovute entrare in vigore le modifiche

apportate in sede parlamentare al d.l. n. 78 del 2009. Tale intervento normativo conteneva limitati e

puntuali interventi correttivi volti a superare «in radice possibili dubbi interpretativi o evitare i rischi

derivanti, in sede applicativa, da formulazioni talvolta equivoche quanto al rispetto delle attribuzioni

45 Tanto che in dottrina si è parlato di «una palese deformazione della struttura dell’illecito amministrativo, che perde in modo più o meno completo il proprio aggancio a finalità di carattere restitutorio, divenendo uno strumento di sanzione mera» Così G. Cumin, Il danno all'immagine come patologia del sistema (della responsabilità amministrativa), op. cit., p. 194. E in tal senso, si veda anche, A. Nocera, La responsabilità amministrativo-contabile del magistrato e il danno all’immagine della amministrazione giudiziaria, Corriere Giur., 2017, n. 10. 46 A tale riguardo si veda F. Ruggiero, Danno all’immagine di un ente esponenziale: la responsabilità multifunzionale – il commento, Danno e Resp., 2018, n.1, pp.61 e ss., che nel commentare la sentenza con la quale la Presidenza del Consiglio e il Ministero dell'Interno sono stati condannati a risarcire al Comune e alla Provincia di Bari il danno all'immagine (pari ad euro 30.000) causato dal discredito connesso al trattamento inumano afferma che: «Il risarcimento del danno cagionato all'immagine della comunità territoriale, risulta, secondo il giudice monocratico, imprescindibile soprattutto alla luce della cultura di ospitalità ed apertura che caratterizza la città pugliese […]. L'immagine della comunità sarebbe stata, in tal caso, compromessa a fronte di un'associazione consueta, storicamente comprovata, che viene comunemente fatta tra i luoghi teatro di atrocità ed i territori che li ospitano […]. Nel caso barese, senza spingersi troppo oltre, fino a varcare le soglie del risarcimento punitivo (allo stato inammissibile), può affermarsi con certezza che la responsabilità ascritta ai convenuti, condannati al risarcimento, non assolve ad una funzione meramente riparatoria: la modicità della somma liquidata a titolo risarcitorio, esclude, infatti, l'idoneità a ripristinare lo status quo ante […]. Altresì è da escludere, nel caso di specie, la possibilità di ravvedere nello strumento risarcitorio un profilo stricto sensu sanzionatorio […]. Più probabilmente, nella fattispecie in analisi, considerata l'esiguità del quantum debeatur fissato dal giudice monocratico […]può scorgersi, in controluce, un timido tentativo dell'A.G. di impiegare lo strumento di tutela in funzione deterrente.».

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istituzionali delle diverse amministrazioni coinvolte»47. In secondo luogo, con il nuovo codice di giustizia

contabile adottato nel 2016.

L’originaria formulazione del lodo Bernardo, disciplinando espressamente il danno erariale per lesione

all’immagine della p.a., ha inteso modificare il diritto vivente sia in termini sostanziali, sia processuali:

sotto il profilo sostanziale, la norma nella sua prima formulazione prevedeva una definizione di danno

erariale perseguibile dalle procure regionali della Corte dei conti48; sotto il profilo processuale, le procure

regionali della Corte dei conti esercitavano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine subito

dall'amministrazione nei soli casi previsti dall'art. 7 della l. 27 marzo 2001, n. 97. E tale azione poteva

essere avviata dal pubblico ministero contabile solo a fronte di una «specifica e precisa notizia di danno,

qualora il danno stesso [fosse] stato cagionato per dolo o colpa grave».

Tali previsioni sono state, immediatamente riscritte (d.l. n. 103 del 2009), almeno parzialmente, al fine di

eliminare alcune criticità, connesse in particolare: alla definizione di danno erariale e alla precisa

qualificazione dell’elemento psicologico, ora non più presenti nel testo; all’aggettivo “precisa” che

connotava la notizia di danno e successivamente sostituito da “concreta”49 al fine di consentire al pubblico

ministero di esperire l’azione anche qualora non conosca preventivamente l’esatta quantificazione del

danno; nonché alla previsione che l'esistenza di tale notizia di danno assuma rilevanza per l’esercizio

dell’azione, ora invece ai solo fini dell'inizio dell'attività istruttoria50.

47 Cosi nella relazione illustrativa allegata all’atto Senato 1749. 48 Per danno erariale doveva intendersi ogni l'effettivo depauperamento finanziario o patrimoniale arrecato ad uno degli organi previsti dall'art. 114 Cost. o ad altro organismo di diritto pubblico, illecitamente cagionato ai sensi dell'art. 2043 del c.c. 49 La specificazione legislativa della necessità di una specifica e concreta nozione di danno non è una novità dal momento che la stessa Corte costituzionale, nel decidere in materia di conflitti di attribuzione, ha evidenziato come questa rappresenti un canone fondamentale per l’azione del p.m. contabile (si veda sent. n. 100 del 1995). 50 Per una ricostruzione critica delle modifiche intervenute si veda F. Pavoni, Prime considerazioni sul lodo Bernardo ed, in particolare, sulla sua incidenza in tema di risarcibilità del danno all'immagine della p.a. (nota a C. conti, sez. giur. Lazio, 1 ottobre 2009 n. 424), Resp. civ. e prev. 2010, n. 1, p.168 e ss.

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Tra gli elementi della fattispecie così come codificata possono rinvenirsene tre che sono esplicito sentore

della volontà del legislatore di ridimensionare il danno all’immagine: il presupposto della sentenza

irrevocabile51, il novero dei responsabili52 e la limitazione dei reati53 suscettibili di causare il danno. 54

Può discutersi se fosse necessaria o meno una limitazione all’ambito di applicazione di tale azione anche

alla luce degli indiscriminati ampliamenti – come quelli da più parti criticati in dottrina – con riferimento,

ad esempio, al danno all’immagine dello sport nazionale (sent. sez. giur. Lazio n. 873dell’11 maggio 2009),

ma una restrizione della fattispecie di tale portata ha ingenerato non pochi dubbi di legittimità

costituzionale.

La dottrina ha da più parti evidenziato non solo la sproporzione tra gli effetti concreti che il dato reale

aveva messo in mostra e gli strumenti impiegati per porre agli stessi rimedio55 come risultanti dal dato

normativo, ma ha anche posto l’accento sulle incoerenze delle scelte intertemporali del legislatore, il quale:

da un lato, ha limitato fortemente l’azione risarcitoria per il danno all’immagine e, dall’altra, la ha ampliata

con riferimento a fattispecie specifiche diverse dai reati conto la p.a., quali quella, ad esempio, introdotta

con la “riforma Brunetta” per fronteggiare il fenomeno dell’assenteismo nel pubblico impiego (art. 55-

quinquies, co. 2, del d. lgs. n. 165 del 2001 introdotto dall’art. 69, co. 1, del d. lgs. n. 150 del 2009).

Non solo la dottrina, ma anche numerose sezioni giurisdizionali della Corte dei conti hanno sollevato

perplessità dinanzi al nuovo quadro normativo.

51 A tale riguardo meritano di essere ricordate le sentenze di patteggiamento che ai sensi dell’art. 445, comma 1, del c.p.p. sono equiparate a quelle di condanna salvo diversa previsione di legge. Nella giurisprudenza contabile ha prevalso la tesi secondo la quale la richiesta dell’imputato di chiedere il patteggiamento della pena equivalga ad una tacita ammissione di colpevolezza (si vedano da ultimo sent. sez. I appello n. 605 del 2012 e sent. sez. giur. Sardegna n. 173 del 2014). 52 I soli soggetti legati da rapporto di impiego con la p.a. escludendo coloro che sono legati all’amministrazione da rapporti di servizio onorario o che rivestono cariche elettive. A tale riguardo, si ricorda che nella sent. Sez. un. civ. 2 marzo 2006, n. 4582 si è riconosciuta la giurisdizione della Corte dei conti per il risarcimento del danno all’immagine arrecato dal parlamentare. Per una disamina della limitazione dei soggetti responsabili si veda F. Pavoni, Prime considerazioni sul lodo Bernardo ed, in particolare, sulla sua incidenza in tema di risarcibilità del danno all'immagine della p.a. (nota a C. conti, sez. giur. Lazio, 1 ottobre 2009 n. 424), op. cit., p. 171. 53 Si tratta dei delitti contro la p.a disciplinati al Capo I del titolo II del libro secondo del c.p., tra i quali vi sono: peculato, concussione, corruzione per un atto d'ufficio, corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, corruzione in atti giudiziari, corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio ed altre fattispecie minori quali l’interruzione di servizio pubblico o di pubblica necessità. 54 La norma disponeva, inoltre, che: «Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta». Sull’ambito di operatività, sotto il profilo temporale, della nuova normativa e, in particolare, sull’applicazione dell’antico brocardo tempus regit actum si veda V. Raeli, Il danno all’immagine della P.A. tra giurisprudenza e legislazione, op. cit., pp. 30-32. 55 Si veda M Perin, Lodo Bernardo, decreto correttivo ancora molto limitativo delle indagini e la quasi abolizione della lesione all’immagine pubblica, in LexItalia.it, n. 7/8 del 2009.

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La reazione della giurisprudenza contabile all’intervento del legislatore è stata articolata: da un lato, alcuni

collegi hanno tentato di elaborare una linea interpretativa costituzionalmente orientata che consentisse di

estendere il numerus clausus di fattispecie di reato vagliabili dalla Corte stessa (sent. sez. giur. Lombardia,

n. 765 del 16 novembre 2009); e dall’altro altri che hanno sollevato questioni di legittimità per violazione

di numerosi principi costituzionali (artt. 2, 3, 24, 25, 54, 77, 81, 97, 103, 111 e 113 Cost.).

Per quanto concerne la prima linea interpretativa, la Corte dei conti (sent. sez. giur. Lombardia n. 765 del

16 novembre 2009) pronunciandosi in merito a fattispecie di reato – quali il falso ideologico e la calunnia

– non ricomprese tra quelle indicate dalla normativa in esame ha tentato una lettura “costituzionalmente

orientata” della norma sia sotto il profilo processuale, sia sostanziale.

Quindi, con riferimento al primo aspetto, si è ritenuto che l’entrata in vigore ad agosto della nuova

normativa fosse comunque successiva all’azione della procura già ampiamente esercitata e risalente (con

citazione precedente depositata il 3 aprile 2009 e notificata il 18 maggio 2009); quanto, invece, ai profili

sostanziali, il giudice ha sottolineato l’importanza di una «lettura “ortopedica”, sistematica, logica e

costituzionalmente orientata del pluricitato art. 17, co. 30-ter, ritenendo non preclusa mai, da tale norma,

l’azione della Corte dei conti per qualsiasi danno arrecato all’ immagine della p.a., quale che sia la matrice

penalistica dell’illecito dannoso e leggendo tale recente dato normativo come un mero richiamo alla

normativa della l. n. 97 del 2001»56.

In tal modo, la Corte, sulla scorta della giurisprudenza costituzionale, ha ritenuto che, prima di ipotizzarne

l’incostituzionalità57, si dovesse provare a trovare una lettura della norma il più possibile conforme ai

principi della Carta costituzionale.

Per quanto concerne la seconda linea interpretativa, è stato chiesto da parte di diverse sezioni della Corte

dei conti l’intervento della Consulta58, la quale tuttavia ha dichiarato le questioni proposte in parte

inammissibili e in parte infondate (sent. n. 355 del 15 dicembre 2010).

Tra i diversi motivi di incostituzionalità sollevati dinnanzi alla Corte Costituzionale possono esserne messi

in luce principalmente due59: il primo di carattere sostanziale ha ad oggetto la scelta del legislatore di

circoscrivere, solo alla presenza di determinate figure di reato (riconducibili alla categoria dei delitti dei

56 Tale legge impone, ai sensi dell’art.7, all’AGO penale la trasmissione di sentenze concernenti reati contro la p.a alla procura contabile, obbligo non certo ostativo ad una concorrente giurisdizione contabile su fatti di qualsiasi reato, acclarato o da acclarare in sede penale. 57 Posizione, invece, ipotizzata da Corte dei conti, sez. Campania n. 309 del 2009 e da sez. Sicilia, del 14 ottobre 2009, n. 218/ord. 58 Sezione giur. Umbria con ordinanza del 16 novembre 2009 n. 331, Calabria (reg. ord. n. 24 del 2010), Campania (reg. ord. n. 25, n. 26 e n. 27 del 2010), Siciliana (reg. ord. n. 44 del 2010), Toscana (reg. ord. n. 145 del 2010), Lombardia (reg. ord. n. 125 del 2010), nonché sezione prima giurisdizionale centrale d’appello (reg. ord. n. 162 del 2010). 59 Si tratta delle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti della Regione Umbria e la sede centrale d’appello.

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pubblici ufficiali contro la p.a.), la possibilità di prevedere il risarcimento del danno all’immagine,

reintroducendo in tal modo surrettiziamente nell’ordinamento la “pregiudizialità penale”; il secondo, di

carattere più marcatamente processuale, mostra come il legislatore abbia introdotto una tutela

giurisdizionale differenziata tale per cui il potere di cognizione della Corte dei conti sarebbe limitato ai

soli casi in cui si fosse in presenza dei suddetti reati, mentre in via residuale sarebbe competente l’autorità

giudiziaria ordinaria60.

Di fronte alle innumerevoli questioni poste, la risposta della Corte costituzionale è stata univoca nei

termini della loro infondatezza, in particolare spostando l’attenzione dell’interprete dal piano processuale

a quello sostanziale61.

Per quanto concerne la limitazione, sul piano oggettivo, delle condotte punibili, la Corte ha ritenuto che

la scelta del legislatore possa considerarsi «non manifestatamente irragionevole» (sent. n. 355 del 2010, §

9), dal momento che è stata compiuta una scelta discrezionale, ritenendo che soltanto alcune specifiche

condotte illecite – in quanto direttamente riconducibili alla tutela di principi quali il buon andamento,

l’imparzialità e il prestigio dell’amministrazione – potessero dar luogo all’azione di risarcimento del danno

per lesione dell’immagine dell’ente pubblico.

La dottrina62 ha, tuttavia, ampiamente criticato la motivazione addotta dalla Corte costituzionale

ritenendo che se i giudici della Consulta hanno individuato nell’art. 97 della Cost. la norma sulla quale

l’amministrazione può fondare la tutela della propria immagine, allora deve ricordarsi che il buon

andamento come bene giuridico è protetto non solo attraverso i reati contro la p.a. – disciplinati dal titolo

II del capo I del libro secondo del codice penale – ma anche da quelli contro la personalità dello Stato

(titolo I) o contro l’amministrazione della giustizia (titolo III).

Infatti, in molti dei reati disciplinati dagli altri titoli accanto all’abuso di ufficio, che connota i reati contro

la p.a., si verifica la lesione di interessi ulteriori che hanno portato il legislatore a preferire un’altra

allocazione nella topografia dei reati.

Per quanto concerne, invece, la questione dei rapporti tra la giurisdizione contabile e quella ordinaria, la

Corte costituzionale ha escluso che l’intenzione del legislatore fosse quella di limitare la prima a vantaggio

della seconda, bensì ha ritenuto che si volesse solo circoscrivere oggettivamente i casi in cui è possibile

60 A tali dubbi la Sez. giur. Regione Umbria e quella della Calabria e della Campania hanno avanzato dubbi anche sulla copertura finanziaria della norma dal momento che molti degli oneri sostenuti per il ripristino del prestigio leso non sarebbero più stati recuperati. 61 Così V. Raeli, Il danno all’immagine della P.A. tra giurisprudenza e legislazione, in www.federalismi.it, n. 14 del 2014, p. 32. 62 In tal senso si veda F. Pavoni, La Corte costituzionale salva il "Lodo Bernardo" (nota a C. cost. 15 dicembre 2010 n. 355), Resp. civ. e prev. 2011, n. 4, p. 794 e ss.

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chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione all’immagine della p.a. imputabile a un suo

dipendente.

Una parte della dottrina63, ma anche sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti (sez. giur.

Lombardia n. 109 del 17 febbraio 2011 e sez. giur. Toscana ord. n.145 del 2010) hanno evidenziato come

tale scelta possa, però, determinare il paradosso di lasciare il pubblico erario privo di tutela risarcitoria

proprio in presenza di lesioni all’immagine della amministrazione che, sebbene derivanti da reati comuni,

si connotano in termini ben più gravi (ad es. reati di violenza sessuale64 o il caso della cosiddetta clinica

degli orrori65).

Infine, non esente da critiche è stato il passaggio della sentenza in cui i giudici costituzionali richiamando

una loro precedente giurisprudenza (sent. n. 641 del 1987) affermano che la Corte dei conti «non è il

giudice naturale della tutela degli interessi pubblici e della tutela dei danni pubblici» (sent. n. 355 del 2010,

§17), mentre la Suprema Corte ha in più occasioni ribadito (sez. un. civ. n. 22059 del 22 ottobre 2007) –

ed è generalmente riconosciuto – che la giurisdizione contabile abbia poteri di cognizione di carattere

generale in relazione alla responsabilità amministrativa66.

6. Le reazioni del giudice dei conti alla decisione della Consulta del 2010, tra interpretazione

restrittiva ed estensiva

L’intervento del legislatore del 2009 se, da un lato, ha dato luogo alla «consacrazione normativa» della

figura del danno all’immagine della p.a. (sent. Corte dei conti, sez. giur. Toscana, 2 marzo 2012, n. 112)

– che in precedenza poteva dirsi frutto solo dell’elaborazione giurisprudenziale – dall’altro, ne ha ristretto

l’ambito di applicazione ai soli casi in cui i pubblici dipendenti siano stati condannati, con sentenza

irrevocabile, per reati contro l‘amministrazione.

Le reazioni della giurisprudenza alla sentenza della Corte costituzionale del 2010 che ha sancito la

legittimità costituzionale dell’intervento normativo possono essere ricondotti a due orientamenti diversi.

Il primo, seguito dalla maggioranza delle sezioni regionali della Corte dei conti e avallato dalle sezioni

unite nel 2015 (sent. sez. riun. n. 8 del 19 marzo 2015), ha accolto «supinamente il “principio

63 Si veda F. Pavoni, La Corte costituzionale salva il "Lodo Bernardo" (nota a C. cost. 15 dicembre 2010 n. 355), op. cit., , p. 798. 64 Sent. sez. giur. Lombardia 27 ottobre 2010, n. 16. 65 Sez. giur. Lombardia, n. 641 del 2009 (tale caso aveva ad oggetto una serie di fatti delittuosi perpetrati ai danni dei pazienti ricoverati presso il reparto di chirurgia toracica della clinica S. Rita). 66 Si ricorda, infine, che alla sentenza n. 355 del 2010, hanno fatto seguito alcune ordinanze del medesimo tenore (n. 219, 220, 221 e 286 del 2011).

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dell’autorità”»67 della Consulta. Il secondo di cui è emblema una pronuncia del 2012 della Corte dei conti

in sede di appello (sent. sez. III n. 286 del 13 aprile 2012) ha ritenuto, invece, di poter disattendere

l’interpretazione data dalla Corte costituzionale alla luce della consolidata giurisprudenza delle sezioni

unite della Cassazione e degli altri giudici amministrativi in base alla quale: «le decisioni interpretative di

rigetto […] non hanno efficacia erga omnes, a differenza di quelle dichiarative dell’illegittimità costituzionale

di norme, e pertanto determinano solo un vincolo negativo per il giudice del procedimenti in cui è stata

sollevata la relativa questione. In tutti gli altri casi, il giudice conserva il potere-dovere di interpretare in

piena autonomia del disposizioni di legge a norma dell’articolo 101, secondo comma, Cost., purché ne

dia una lettura costituzionalmente orientata»68.

Infine, non sono mancate decisioni del giudice dei conti che sono riuscite ad estendere le fattispecie

punibili oltre i confini disegnati dal lodo Bernardo, ricorrendo alla particolare fattispecie del “reato

complesso” di cui all’art. 84 del c.p.69.

Sempre per quanto concerne, quindi, l’indirizzo ermeneutico di tipo restrittivo, può essere ricordata una

decisione del 2011 (sent. sez. giur. Lombardia n. 546 del 22 settembre 2011), nella quale la sezione

giurisdizionale, mutando il proprio indirizzo rispetto alle pronunce precedenti alla sentenza della Consulta

del 2010, ha mostrato di aderire ai principi statuiti dal giudice delle leggi. In quell’occasione, infatti, il

collegio ha declinato la propria giurisdizione rispetto a un caso di corruzione aggravata e continuata

nell’affidamento e nella gestione degli appalti relativi al bacino idrografico del fiume Po. Giudizio che –

per il rilevante clamor fori e l’evidente portata lesiva dell’immagine pubblica della p.a. – si sarebbe radicato,

secondo il precedente orientamento, in seno al giudice dei conti.

67 Cosi in A. Vetro Evoluzione giurisprudenziale sul danno all’immagine della pubblica amministrazione, in RespAmm.info, 24 luglio 2012 (http://www.contabilitapubblica.it/). 68 Sez. un. Cass. n. 23016 del 2004. Nel medesimo senso, Cass. n. 22601 del 2004. Per una ricostruzione delle decisioni dei giudici amministrativi in merito alla non vincolatività delle sentenze della Corte costituzionale di rigetto si veda A. Vetro, Evoluzione giurisprudenziale sul danno all’immagine della pubblica amministrazione, op. cit.. In tal senso si veda anche la sentenza n. 5747 del 12 marzo 2007. Per una disamina di tali sentenze si veda anche C. Cilla, Il danno all’immagine della P.A., in www.ildirittoamministrativo.it. 69 Si veda ad esempio la Sent. sez. giur. Umbria, 23 gennaio 2013, n. 2, dove, si legge: «Giova, in proposito, ricordare che il convenuto è stato condannato in sede penale per una pluralità di reati, assorbiti nel reato di “violenza sessuale […]. Ora, se dal sistema giuspenale, ispirato al principio del favor rei, si passa a quello giuscontabile, ispirato alla preminente esigenza erariale di tutela dei beni-valori pubblici, gli assetti funzionali e teleologici dell’ “assorbimento” mutano notevolmente direzione, e l’illecito più grave – nel quale “assorbire” gli altri – non è più la “violenza sessuale” (ex art. 609-bis c.p.), ma l’“abuso d’ufficio”: reato base dei “delitti contro la Pubblica Amministrazione”». E ancora sent. sez. giur. Umbria, n. 11del 16 febbraio 2016, avente ad oggetto la condotta di un agente pubblico, dipendente della polizia municipale, che era stato condannato con sentenza penale passata in giudicato per il reato, consumato durante i turni di servizio, di concorso in favoreggiamento e sfruttamento aggravato della prostituzione di un minore.

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Nello stesso anno, anche la sezione giurisdizionale della regione Calabria70, con riferimento ad una caso

di truffa, prendendo atto del fatto che le disposizioni contenute nel lodo Bernardo erano state ritenute

costituzionalmente legittime, respinse la domanda formulata dalla procura regionale, senza tuttavia

omettere nelle sue considerazioni un esplicito richiamo alle «notevoli perplessità» in merito alla scelta

operata dal legislatore di «escludere reati quanto mai gravi per l’allarme sociale e la riprovevolezza

collettiva che sono in grado di suscitare».

Dall’analisi del mero dato quantitativo, sono assai numerose le sentenze volte a limitare le ipotesi di

sussistenza del danno all’immagine della p.a., ma non solo sotto il profilo sostanziale, facendo riferimento

al ristretto novero dei reati indicati dal legislatore71; bensì anche sotto il profilo processuale, rilevando la

necessità, per procedere al risarcimento del danno, di una sentenza penale di condanna72.

Tra le decisioni espressione dell’indirizzo ermeneutico restrittivo del giudice dei conti merita, infine, di

essere ricordata la sentenza della sezione giurisdizionale della regione Lazio (sent. 1° marzo 2012, n. 254)

nella quale si trova un esplicito riferimento sia al dibattito giurisprudenziale che ha evidenziato la non

efficacia erga omnes delle sentenze di rigetto della Consulta73, sia alle isolate conclusioni di tipo estensivo

adottate da alcuni collegi giurisdizionali. Tali interpretazioni estensive si sono fondate sul richiamo

indiretto contenuto nell’art. 7 della l. n. 97 del 2001 al «salvo quanto disposto dall’art. 129 delle norme di

attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale». Sulla base di tale riferimento,

infatti, può individuarsi un duplice regime: nel caso, infatti, di reati contro la p.a. l’azione delle procure

della Corte dei conti sarebbe limitata ai solo casi in cui si sia in presenza di una sentenza irrevocabile di

condanna, mentre in tutti i restanti casi l’azione sarebbe liberamente esercitabile.

Alla luce di tali considerazioni, tuttavia, il collegio delinea un duplice ordine di motivi per i quali non

ritiene di aderire all’indirizzo ermeneutico estensivo: in primo luogo, ribadisce che la norma censurata, in

quanto dichiarata costituzionalmente legittima, continua a produrre i suoi effetti e che – al fine di non

snaturare la norma – il «dato letterale ed inequivocabile» del richiamo ai “soli casi e modi” previsti dall’art.

7 della l. n. 97 del 2001, non può essere tramutato da restrittivo in estensivo in sede interpretativa; in

70 Sent. sez. giur. Calabria 4 ottobre 2011, n. 510. Il caso aveva ad oggetto la condotta di dipendenti della polizia tributaria della guardia di finanza di Cosenza che avrebbero organizzato una truffa ai danni del Comune consistente in artifizi e raggiri volti a indurre in errore il concessionario della riscossione, Equitalia s.p.a., e gli stessi destinatari delle cartelle esattoriali, ai quali veniva indebitamente data la possibilità di pagare in contanti una somma inferiore a quella oggetto della cartella sul presupposto che così facendo avrebbero ottenuto la totale estinzione del debito. 71 Ex multis Sez. giur. Basilicata, 27 agosto 2012, n. 153, Emilia Romagna n. 291 del 2012, Calabria 14 dicembre 2012, n. 385. 72 Ex multis Sez. giur. Trentino Alto Adige n. 39 del 2011 e Toscana n. 154 del 2012 e Lazio n. 376 del 2012. 73 A tale riguardo, nella sent. sez. riu. Corte dei conti n. 8 del 2015 (vedi §3) si legge: «le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale circa il modo costituzionalmente corretto di interpretare la legge valgono come precedente autorevole cui spetta non una forza legale, ma almeno una forza di fatto, proporzionale al consenso che i suoi argomenti riescono a suscitare».

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secondo luogo, la Corte obietta che tale rinvio non sembra riguardare anche il secondo periodo del

suddetto articolo 7, che reca la norma di salvezza di cui all’art. 129 delle disp. att. del c.p.p., e che, anche

qualora si ritenesse di poter far riferimento anche a tale periodo, la genericità dei reati in esso richiamati

non può «essere invocata per inferirne un ampliamento dei reati dai quali far discendere l’azione contabile

per risarcimento del danno all’immagine, se non, anche in questo caso, con un evidente stravolgimento

della finalità dell’art. 17, comma 30-ter, della L. n. 102/09».

La contrarietà ad ampliare, in sede ermeneutica, il novero delle fattispecie penali in relazione alle quali sia

esercitabile l’azione erariale per danno all’immagine è rinvenibile anche nell’ambito di alcune decisioni

assunte dalla Corte di Cassazione ( si veda sent. sez. un n. 5758 del 2012 e n. 9937 del 2014).

Tra le sentenze di segno opposto volte, invece, a mettere in discussione l’orientamento prevalente e

interpretare in senso estensivo il dettato del lodo Bernardo si annoverano in particolare, quelle della

Sezione regionale della Toscana (n. 321 del 19 giugno 2012) e delle sezioni d’appello della Corte dei conti

del 2012 (sez. III n. 286 del 2012 e sez. I n. 809 del 2012).

Al fine di radicare la propria giurisdizione, il collegio della sezione giurisdizionale della Toscana,

decidendo in merito ad un caso di truffa aggravata, ha dato una particolare lettura ermeneutica del

passaggio della sentenza della Consulta del 2010 con la quale, nel tratteggiare il perimetro di applicazione

del danno all’immagine della p.a., si è tentato di trovare un equilibrio tra la responsabilità dei pubblici

dipendenti e il rischio che una sua eccessiva estensione avrebbe determinato in termini di paralisi

dell’attività amministrativa.

In particolare, la Corte osserva che seppure la Consulta nella sua pronuncia ha ritenuto più funzionale al

disegno del legislatore «una riduzione della responsabilità per danno all’immagine derivante da reato

comune», piuttosto «che una riduzione della responsabilità per danno all’immagine derivante da reato

contro la p.a.» in realtà deve ritenersi vero l’opposto: «e, cioè, che sia proprio la riduzione della

responsabilità amministrativa per danno derivante da reato contro la p.a. a essere maggiormente

funzionale all’esigenza di evitare il rallentamento dell’attività amministrativa, essendo evidente, per fare

un esempio, che non è la paura delle conseguenze di una violenza sessuale ma il timore di incorrere in un

abuso di ufficio che più si presta a rendere meno efficace e tempestiva l’azione dei pubblici poteri».

Diverse, invece, sono state le motivazioni con le quali le sezioni di appello della Corte dei conti hanno

preso le distanze dalla sentenza della Corte costituzionale ammettendo, quindi, la risarcibilità del danno

all’immagine della p.a. anche nel caso in cui la lesione sia riconducibile ad un reato comune.

In particolare, la Sezione III – tenuto conto che nel processo di responsabilità amministrativa contabile

non sussiste la tassatività prevista per la giurisdizione penale (si veda a tale riguardo anche la sentenza

della sez. I, n. 56 del 2010) – ha ritenuto che possa ricondursi al novero delle interpretazioni

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costituzionalmente orientate ogni decisione che radichi la competenza del giudice dei conti in presenza

di delitti contro la p.a. indipendentemente dalla loro collocazione nel codice penale o in leggi speciali.

La Sezione I, in via più generale, ha sottolineato come in assenza di una indicazione esplicita da parte del

legislatore delle fattispecie con riferimento alle quali possa essere esercitata l’azione contabile e, in

presenza di un mero rinvio ai “casi” e ai “modi” previsti dall’art. 7 della l. n. 97 del 200174, ogni restrizione

del numero o della tipologia di reati suscettibili in astratto di causare danno all’immagine alla p.a. non

sarebbe «né ragionevole né corretta».

7. L’intervento nomofilattico del giudice dei conti del 2015: genesi e contenuti

L’intervento nomofilattico della Corte dei conti del 2015 deve essere valutato non solo come necessario

per tirare le fila e ricondurre a unità le eterogenee pronunce del giudice dei conti in precedenza illustrate,

prova di un conflitto verticale – con le sezioni d’appello – e orizzontale – tra numerose sezioni

giurisdizionali regionali75, ma deve essere anche letto alla luce della giurisprudenza della Cassazione76 in

merito, nonché della complessità dello ius superveniens in materia di danno all’immagine della pubblica

amministrazione.

Tra gli interventi del legislatore, oltre a quello in precedenza ricordato che ha previsto l’obbligo di

risarcimento del danno a carico dei lavoratori dipendenti che avessero attestato falsamente la propria

presenza in servizio, sono state approvate alcune disposizioni, che – seppure in ambiti diversi – sembrano

aver riconosciuto un favor da parte del legislatore all’introduzione nell’ordinamento di una disciplina

specifica ed articolata del danno all’immagine della p.a.77: una prima disposizione, infatti, ha previsto una

specifica responsabilità per i dipendenti che commettono reati di corruzione non solo strettamente

riconducibili ai reati contro la p.a., ma anche ad esempio nel caso della truffa aggravata ai danni dello

Stato (art.1 co. 12 della l. n. 190 del 2012); una seconda disposizione, invece, ha provveduto

74 Con tale riferimento si implica: da un lato, la comunicazione al P.M. contabile della sentenza irrevocabile di condanna pronunciata per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I, titolo II del libro secondo del codice penale (i “casi” indicati dalla norma) e, dall’altro, l’obbligo per il P.M. penale di comunicare al P.M. contabile, ex art. 129 delle norme di attuazione del c.p.p., l’esercizio dell’azione penale per i reati, di qualsiasi natura, che abbiano cagionato un danno per l’erario. 75 Si è parlato di una «irrazionale torsione ermeneutica» delle disposizioni di legge (sent. Cass., sez. II, n. 14605 del 2014). 76 Sent. Cass., sez. III penale, 4 febbraio 2014, n. 5481 dove si è ritenuto risarcibile il danno all’immagine anche in presenza di reati comuni purché commessi da appartenenti alla p.a.. Tesi che, tuttavia, non ha trovato ampio consenso nella giurisprudenza. 77 A tali disposizioni si aggiunga anche l’art. 46 del d. lgs. n. 33 del 14 marzo 2013 che disciplina l'inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente e il rifiuto, il differimento e la limitazione dell'accesso civico e l’art. 55-quater, comma 3-quater del d. lgs. n. 165 del 2001 introdotto dall’art.1, co, 1, lett. b) del d. lgs. n. 116 del 2016 e da ultimo modificato dal d. lgs. n. 118 del 2017, che prevede una fattispecie tipica di danno all’immagine in caso di licenziamento disciplinare.

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all’individuazione di specifici criteri per la quantificazione del danno ad opera del giudice, fissandoli in

una misura pari a due volte l’utilità ricavata dal reo dal comportamento delittuoso (art. 1 co. 62 della l. n.

190 del 2012).

La sentenza delle sezioni riunite n. 8 del 2015 si contraddistingue per una articolata premessa che tiene

conto dell’evoluzione del dato normativo e della giurisprudenza non solo contabile.

Con riferimento al primo aspetto, la Corte ha escluso che l’espressione “reato contro la p.a.” contenuto

nell’art. 1, co. 62 della l. n. 190 del 2012 abbia abrogato tacitamente il riferimento ai “delitti conto la p.a.”

previsto dal lodo Bernardo, dal momento che con tale intervento il legislatore non ha «regolato ex novo

l’intera materia» bensì si è limitato a disciplinare «il quantum dovuto in caso di danno all’immagine».

Con riferimento al secondo aspetto e, in particolare, all’interpretazione del richiamo all’art. 129 delle disp.

att. del c.p.p. rinvenibile nella giurisprudenza della Suprema Corte, il giudice dei conti ritiene che sarebbe

irrazionale arrivare a configurare un sistema del cosiddetto “doppio binario”, in base al quale per i delitti

previsti dal Capo I del titolo II del libro secondo del c.p. sarebbe richiesta una sentenza penale

irrevocabile, mentre per altri reati comuni questa non sarebbe necessaria.

Dopo tale articolato percorso logico che passa in rassegna le più importanti massime della giurisprudenza

– costituzionale, civile e penale – in materia, la Corte arriva ad avallare una lettura restrittiva dell’art. 17,

comma 30-ter, del d. l. n. 78 del 2009. Tuttavia, tale decisione – nel pieno rispetto del principio di

separazione dei poteri di montesquiana memoria – lascia aperte le porte ad una evoluzione in senso

estensivo della disciplina in materia non escludendo che il legislatore possa integrare i «beni giuridici

tutelabili» ma anzi addirittura incitandolo ad una «rimeditazione sul punto».

8. Il nuovo codice di giustizia contabile e la “riespansione” della competenza della Corte dei

conti

Il nuovo codice di giustizia contabile ha colmato un vuoto dell’ordinamento oramai pluridecennale78. I

compiti del giudice dei conti – in particolare quelli di natura giurisdizionale – pur risalendo all’epoca

preunitaria si sono evoluti nel corso del tempo attraverso sporadici e frammentari interventi normativi,

che hanno tenuto conto del dettato costituzionale e delle modifiche apportate con la riforma del 1994 ai

profili sostanziali della responsabilità amministrativa.

A tale evoluzione di tipo sostanziale si è affiancato anche un continuo aggiornamento della disciplina del

giudizio contabile grazie al rinvio dinamico previsto alle norme del processo civile “in quanto applicabili”

(ex art. 26 del r.d. n. 1038 del 1933).

78 In tali termini, si veda anche discorso del Presidente della Corte dei conti A. Buscema all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2018 (13 febbraio 2018).

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Tuttavia, con particolare riferimento alla disciplina processuale, da più parti si sollecitava la necessità di

pervenire a una codificazione che non lasciasse più a prassi applicative o a interventi interpretativi del

giudice dei conti – con i connessi margini di incertezza – l’applicabilità dei nuovi istituti processuali civili,

nonché l’adattamento del processo contabile ai principi del “giusto processo” entrati a far parte del

dettato costituzionale a partire dal 1999.

Il nuovo codice, nelle intenzioni del legislatore, non voleva limitarsi ad una summa della disciplina

esistente, bensì doveva verificarne anche l’attualità e l’efficacia, in particolare con riferimento al giudizio

di responsabilità amministrativa79.

Per quanto concerne la fattispecie del danno all’immagine della p.a., nel corpus del codice devono

segnalarsi, esclusivamente, due disposizioni: la prima di carattere squisitamente processuale dispone che

la nullità per violazione delle norme sui presupposti di proponibilità della relativa azione sia rilevabile

anche d'ufficio (ex art.51, co.6); la seconda di carattere sostanziale è connessa alla abrogazione delle

disposizioni sino ad allora vigenti ( ex all. 3, art.4, co. 1, lett. g e h) e sembra aver messo in discussione la

tassatività delle ipotesi previste dal lodo Bernardo per promuovere l’azione di responsabilità per danno

all’immagine.

In assenza, quindi, di una disciplina esplicita dell’azione per il risarcimento del danno all’immagine,

l’interprete si trova innanzi due possibilità: la prima – che trova il suo fondamento in alcune decisioni del

giudice dei conti successive all’adozione del codice – è quella di procedere ad una “riespansione” della

fattispecie del danno all’immagine; la seconda, invece, che sembrerebbe però creare un vulnus

nell’ordinamento, è quella di escludere in assoluto la possibilità di risarcimento in presenza delle suddette

fattispecie.

Alla luce di tali premesse, quindi, anche il quadro normativo vigente con l’adozione del codice di giustizia

contabile non è scevro da interrogativi la cui soluzione è rimessa all’interprete e che sono stati già

lucidamente sintetizzati nella giurisprudenza più recente.

Prima di esaminare alcune delle decisioni adottate dal giudice dei conti alla luce del nuovo quadro

normativo, occorre ricordare come anche la stessa Corte costituzionale con un’ordinanza adottata

recentemente (n. 145 del 21 giugno 2017) abbia posto l’accento sulla «profonda trasformazione del

quadro normativo di riferimento» e in particolare sulla abrogazione del richiamo ai casi e ai modi previsti

dall’art. 7 della l. n. 97 del 2001.

79 In tal senso si veda la relazione illustrativa allegata allo schema di decreto legislativo. Nella suddetta relazione è possibile anche rinvenire elementi in merito al procedimento di formazione del suddetto schema quali la costituzione di una specifica commissione dedicata alla stesura dell’articolato.

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La Consulta è stata chiamata a pronunciarsi in seguito all’ordinanza di rimessione proposta dalla sezione

giurisdizionale ligure della Corte dei conti (ord. n. 190 del 19 aprile 2016), la quale è tornata a sollevare la

questione di legittimità costituzionale del lodo Bernardo (dopo gli interventi del 2010 e del 2011)

mettendone, nuovamente, in discussione la ratio e in particolare la sproporzione tra il fine – limitare l’area

della gravità della colpa del dipendente allo scopo di garantire l’efficace esercizio dell’attività

amministrazione, che risulterebbe in qualche modo pregiudicato dallo «stato diffuso di preoccupazione

di coloro ai quali ne è demandato l’esercizio» – e i mezzi, dal momento che una limitazione delle fattispecie

sanzionabili appare in contrasto evidente con i principi di legalità, imparzialità, economicità e trasparenza

e buon andamento.

Secondo la sezione ligure, infatti, un “congruo” bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti

potrebbe essere raggiunto ricorrendo ad altri strumenti, quali: «la limitazione del risarcimento ai danni

cagionati da condotte connotate da dolo o colpa grave; dalla trasmissibilità agli eredi dell’obbligazione

risarcitoria; dall’insindacabilità delle scelte discrezionali e dall’obbligo di tenere conto dei vantaggi

conseguiti dall’amministrazione; dalla fissazione di un termine quinquennale di prescrizione del diritto;

dal diritto del dipendente al rimborso delle spese legali, se prosciolto»;

Ma ciò che spinge il collegio ligure a riproporre la questione alla Consulta è soprattutto il dato che emerge

dall’evoluzione del dato normativo in parte coevo, ma soprattutto successivo alle sue pronunce. A tali

modifiche, tuttavia, la Consulta aggiunge, in particolare, l’adozione del nuovo codice di giustizia contabile

e invita, come già ricordato, il rimettente a valutare le ricadute delle suddette modifiche.

La copiosa giurisprudenza della Corte dei conti successiva all’entrata in vigore del nuovo codice di

giustizia contabile non sembra aver preso, nella gran parte dei casi, una posizione esplicita in merito al

dettato normativo da ritenere applicabile al risarcimento del danno all’immagine della p.a. (ex multis sent.

giur. Piemonte n. 14 del 10 febbraio 2017).

L’analisi delle decisioni più recenti risente, comunque, del fatto che gran parte delle disposizioni del nuovo

codice quali quelle relative al giudizio di responsabilità (Parte II) si applicano alle istruttorie in corso alla

data della sua entrata in vigore (7 ottobre 2016), facendo così salvi gli atti già compiuti secondo il regime

previgente (ex All. 3, art. 2, co. 1).

Tra le sentenze più significative meritano di essere segnalate quelle che rinviano all’interprete la verifica

dell’attitudine offensiva caso per caso delle fattispecie penali sulle quali fondare la suddetta azione di

responsabilità. Si tratta, in particolare, di alcune decisioni adottate dalle sezioni giurisdizionali della

Lombardia (n. 201 del 1° dicembre 2016) e della Emilia Romagna (n. 73 del 24 marzo 2017).

Nella sua decisione, il collegio lombardo procede a una meticolosa ricostruzione delle abrogazioni

disposte dal recente codice di giustizia contabile in materia di risarcimento del danno all'immagine e della

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conseguente necessità di individuare, in sede interpretativa, la relativa disciplina. In conformità al dettato

normativo, il collegio rileva che tale operazione ermeneutica deve essere condotta in modo che ogni

richiamo previsto dalle disposizioni vigenti a istituti presenti in norme abrogate debba intendersi riferito

a quelli come disciplinati dal nuovo codice.

Alla luce di tali premesse, il giudice ritiene che il corrispondente istituto nell’ambito del quale annoverare

la disciplina del danno all’immagine non possa che essere quello del danno erariale (al quale fa univoco

riferimento anche l’art. 51 del d.lgs. n. 174 del 2016) e, conseguentemente, conclude che: «qualsiasi delitto

commesso da pubblici dipendenti (o da soggetti legati da rapporto di servizio alla p.a.) in danno della

P.A., accertato con sentenza penale definitiva è idoneo a configurare – senza più la limitazione tipologica

di cui all'abrogato art. 7 della l. n. 97 del 2001 – il presupposto per l'eventuale promovimento dell'azione

risarcitoria per il danno all'immagine di cui al co. 6 dell'art. 51 del menzionato Codice».

Tale “riespansione” della fattispecie del danno all’immagine operata in sede pretoria merita di essere

segnalata non solo per la dovizia della ricostruzione, ma soprattutto per il fatto che avviene in occasione

di un’azione proposta dal procuratore regionale che ha ad oggetto reati propri contro la p.a. che

sarebbero, comunque, stati ricompresi, nel regime normativo anche anteriore all’adozione del codice80.

La peculiarità, invece, della sentenza della sezione giurisdizionale dell’Emilia Romagna, che nella sua

decisione non si sofferma – come ha fatto il giudice lombardo – sulla puntuale ricostruzione del quadro

normativo vigente del quale si limita solo a ricordare le «forti ripercussioni sulla disciplina sostanziale e

sui presupposti dell’azione del danno all’immagine della p.a.» è quella di individuare con chiarezza che

tale azione potrà essere esperita in tutti i casi in cui siano soddisfatti – in maniera cumulativa e non

alternativa – i seguenti requisiti: la sussistenza di una sentenza pronunciata dal giudice ordinario passata

in giudicato; e che la medesima abbia ad oggetto qualsiasi reato commesso ai danni della p.a.

(includendovi, quindi, anche i reati comuni come la truffa non contemplati in precedenza nella lettura

restrittiva del lodo Bernardo).

Anche in questo caso – come nella sentenza del collegio lombardo del 2016 – all’intervento chiarificatore

del giudice segue il rigetto della domanda formulata dal procuratore regionale. Nel caso in esame, infatti,

il giudice ritiene che l’occasionalità delle condotte imputate al convenuto81 non è tale da poter determinare

80 La sentenza ha ad oggetto una fattispecie di reato continuato (ex art. 81 c.p.) perpetrato da un soggetto appartenente all’Arma dei carabinieri che riceveva per sé somme di denaro variabili in cambio della protezione accordata a vari gruppi di spacciatori marocchini operanti nelle zone boschive comprese tra il circondario di Busto Arsizio e di Milano. Tale protezione consisteva nell'omettere i doverosi controlli e nel tenere informati i corruttori di cui innanzi di eventuali controlli programmati da altre Forze dell'ordine. 81 Si trattava di comportamenti sconvenienti di natura sessuale nei confronti dei pazienti che si presentavano negli ambulatori nei quali la parte convenuta effettuava visite specialistiche.

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una offesa diretta ed immediata del bene giuridico dell’imparzialità nonché del buon andamento

dell’azione amministrativa, che invece dovrebbe connotare i reati contro la pubblica amministrazione.

Il dato emerso in sede giudiziale è stato cristallizzato dallo stesso Presidente della Corte dei conti che,

nella relazione sull’attività svolta nell’anno 2016, ha definito l’ambito oggettivo di applicazione della

fattispecie del danno all’immagine.

Secondo quanto si legge nella relazione, quindi, tenendo conto delle tipologie di reato, è possibile

configurare tre ipotesi di responsabilità: due tipizzate e una di carattere generico.

La prima fattispecie, è quella relativa al lavoratore dipendente che attesti falsamente la propria presenza

in servizio ricorrendo all’alterazione dei sistemi di rilevamento o con altre modalità fraudolente, ovvero

qualora giustifichi l'assenza dal servizio mediante una certificazione falsa o falsamente attestante uno stato

di malattia; la seconda fattispecie si riferisce alla violazione degli obblighi di pubblicità e trasparenza

previsti dalla normativa vigente e al rifiuto, al differimento e alla limitazione dell'accesso civico, salve le

eccezioni espressamente previste dal legislatore; e, infine, la terza fattispecie avente carattere più generale,

è quella prevista dall’art. 17 co. 30 ter, del d.l. n.78 del 2009, che nel testo oggi vigente si configurerebbe

in presenza di una sentenza penale passata in giudicato, che abbia ad oggetto tutti i casi in cui la p.a. sia

soggetto passivo di un qualsiasi reato, anche di tipo comune.

9. La determinazione del quantum del danno all’immagine: i parametri utilizzati in sede pretoria,

l’esercizio del potere riduttivo e l’intervento del legislatore nel 2012

Anche la determinazione del quantum del danno all’immagine, al pari dell’affermarsi dell’an del danno

all’immagine nonché dell’individuazione dei comportamenti gravemente offensivi attraverso i quali tale

danno si estrinseca, è questione complessa.

Dopo una giurisprudenza dal carattere eterogeneo82, recentemente la Suprema Corte (sent. Cass. n. 8397

del 2016), ha riconosciuto – nel caso di lesione del diritto all’immagine – la risarcibilità oltre all’eventuale

danno patrimoniale anche di quello non patrimoniale. Quest’ultimo è stato ricondotto alla «diminuzione

della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le

quali essa abbia a interagire».

Ed è proprio in relazione ai pregiudizi non patrimoniali che l’individuazione dei criteri per la

quantificazione del danno assume una particolare rilevanza, data la necessità di ridurre il rischio –

82 L’eterogeneità della giurisprudenza ha interessato anche il giudice dei conti: è oramai maggioritaria l’attribuzione al danno all’immagine di una valenza non patrimoniale, ma non sono state rare le sentenze che gli hanno riconosciuto natura patrimoniale sia di tipo indiretto, (sez. giur, Calabria 29 settembre 2005, n. 917) sia in senso ampio (sez. giur. Umbria, 12 dicembre 2005, n. 444).

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altamente probabile quando devono essere confrontate dimensioni tanto diverse quali quella del dolore

e del denaro – di incorrere in scelte arbitrarie83.

La giurisprudenza contabile più volte è intervenuta sul punto (ex multis sent. sez. II 16 novembre 1993,

n. 281 e 27 aprile 1994, n. 114) e tale esigenza è stata sempre più avvertita dal momento in cui la nozione

di danno erariale è stata ampliata in via ermeneutica.

In particolare, tale nozione prima limitata alla mera lesione dei beni pubblici patrimoniali in senso proprio

ha finito per ricomprendere anche i beni “immateriali” di interesse generale – quali il principio del buon

andamento degli uffici – nonché gli interessi pubblici non patrimoniali quali la lesione del prestigio,

dell’immagine e della reputazione della personalità pubblica dello Stato (sent. sez. riun. 18 maggio 1999,

n.16/QM).

In alcune decisioni – precedenti alla celebre sentenza delle sezioni riunite del 23 aprile 2003, n. 10 – il

giudice dei conti ha individuato dei meccanismi automatici di liquidazione del pregiudizio subito dagli

enti pubblici. Tali meccanismi non corrispondevano ad altro che alla concreta applicazione di criteri

riconducibili al principio equitativo come disciplinato dagli artt. 1226 e 2056 del c.c.

Ben presto, tuttavia, è emersa la necessità di superare meccanismi automatici di quantificazione del danno

e di individuare parametri connessi alle peculiarità dei singoli casi concreti, ma soprattutto – come

evidenziato nella suddetta sentenza delle sezioni riunite della Corte dei conti in risposta alle questioni

dettagliatamente formulate dall’organo remittente – di ricondurre ad unità gli orientamenti non univoci

della giurisprudenza.

Se, infatti, l’indirizzo prevalente è stato quello di far riferimento alle spese sostenute per il ripristino del

prestigio leso, non sono mancati casi nei quali, invece, in presenza, ad esempio, di fenomeni corruttivi di

esponenti della guardia di finanza – si è tenuto conto anche delle minori entrate indotte, in qualche modo,

dalla sfiducia dei cittadini nei confronti dei soggetti espressione della regolare riscossione delle imposte

(si veda sent. sez. I n. 16 del 2002).

Nella pronuncia del 2003, le sezioni riunite, affermando che possa ricorrersi come mezzo di prova alle

presunzioni solo nel caso in cui le conseguenze negative fatte valere in giudizio presentino il requisito

della tipicità in ossequio al principio dell’id quod plerumque accidit, si spingono ad includere nel perimetro

del risarcimento non solo le spese di ripristino del prestigio leso già sostenute – fermo rimanendo che se

ne dimostri la coerenza con lo scopo perseguito dalle amministrazioni interessate – ma anche quelle

ancora da sostenere.

83 Si veda in tali termini G. Grasso, La discrezionalità del giudice. Le esperienze in Italia e Germania. Spunti per una comparazione funzionale all’esercizio delle professioni giuridiche, op. cit., p. 15. Si veda, inoltre, G. Bonilini, Il danno non patrimoniale, Milano, 1983, p.4.

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Tuttavia, la Corte chiarisce anche che – seppure non possa escludersi in via generale, al fine di quantificare

il danno, il ricorso a parametri diversi rispetto a quelli delle spese sostenute o delle perdite asserite – non

è, tuttavia, consentito il ricorso a indici, quali: la minore acquisizione di entrate connessa con i

comportamenti censurati o il danno da disservizio (che, invece, costituisce una componente della lesione

stessa).

Ma il giudice dei conti nella sua decisione si spinge oltre e arriva a individuare, esplicitamente, una serie

di parametri da utilizzare per la determinazione del danno, pur tuttavia chiarendo che tale enucleazione

ha carattere meramente esemplificativo e che gli stessi dovranno, comunque, essere valutati dal giudice

nell’esercizio della sua discrezionalità.

Tali parametri di natura eterogenea tengono conto del precedente dato giudiziale (si vedano le sent.

Umbria, n. 211 del 1995 e n. 252 del 1998) e possono essere così sintetizzati: a) la delicatezza dell’attività

svolta dall’amministrazione pubblica; b) la posizione funzionale dell’autore dell’illecito; c) le negative

ricadute socioeconomiche (ad esempio in presenza di fenomeni di concussione); d) la diffusione, la gravità

e la ripetitività dei fenomeni di cattiva amministrazione; e) la significativa rilevante compromissione

dell’efficienza dell’apparato, f) la necessità di onerosi interventi correttivi, g) la negativa impressione

suscitata dal fatto lesivo nell’opinione pubblica per effetto del clamor fori o della risonanza data al fatto dai

mezzi di informazione di massa.

La Corte, consapevole della difficoltà, se non addirittura dell’impossibilità, per alcuni di questi parametri

di una prova in concreto, conclude che: se da un lato, sul piano probatorio, la parte lesa potrà ricorrere,

pur se nel rispetto dei limiti in precedenza menzionati, alle presunzioni; dall’altro, il giudice potrà

comunque, qualora risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile per la parte interessata

provare il danno, esercitare il proprio potere discrezionale e liquidare il danno in via equitativa.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza (sez. giur. Umbria n. 501 del 1998), la pluralità dei criteri enunciati

dalla Corte e la loro diversa natura (soggettiva, oggettiva e sociale) deve essere un monito per il giudice

che procede alla determinazione del quantum debeatur a una loro applicazione congiunta e coordinata.

Dall’analisi del dato giurisprudenziale, tra i criteri più seguiti possono essere annoverati: con riferimento

al profilo oggettivo, la gravità dell’illecito in relazione allo specifico bene leso; con riferimento a quello

soggettivo, la collocazione del suo autore nella struttura amministrativa; e, infine, con riferimento agli

aspetti sociali, le dimensioni territoriali dell’ente nonché l’ampiezza della diffusione e del risalto che ha

avuto l’illecito.

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Alla descrizione dei parametri, non può non seguire l’esame di una delle peculiarità che connotano

l’azione del giudice contabile, quale la facoltà di esercitare il potere riduttivo84. Tale potere, qualificabile

come discrezionale, è attribuito alla valutazione del collegio e trova il proprio fondamento nella peculiarità

dell’organizzazione amministrativa nonché nell’esigenza di ripartire il rischio di danno tra l’autore della

condotta e l’amministrazione pubblica85, dal momento che i dipendenti pubblici sono chiamati ad agire

in un contesto che è, in parte, sottratto al loro controllo86.

Nella casistica giurisprudenziale (sent. sez. giur. Emilia Romagna n. 29 del 29 marzo 2015) rientrano, tra

le circostanze obiettive: l’adeguatezza dell’organizzazione dell’ufficio e la complessità dell’ente; e tra quelle

subiettive: la forte tensione emotiva in occasione dell’evento dannoso, la giovane età e la breve esperienza,

i turni gravosi, nonché la mancanza di una adeguata formazione professionale87. Infine, è stata ritenuta

rilevante ai fini dell’esercizio del potere riduttivo anche la sproporzione tra il danno erariale e il livello

retributivo spettante al convenuto responsabile.

Sulla base del dato normativo (ex art. 52, secondo comma, del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214), mediante il

ricorso a tale potere il giudice contabile potrebbe, sulla base del suo prudente apprezzamento, ridurre il

quantum del danno accertato sino ad arrivare all’esclusione di qualsivoglia addebito. Ma al di là della

possibilità teorica che tale ipotesi possa verificarsi, assai raramente la giurisprudenza contabile è giunta a

un tale risultato (sent. sez. I, n.291/A del 5 ottobre 2001).

Il legislatore, nell’attribuire al giudice dei conti il potere di riduzione, ha anche espressamente codificato,

per la prima volta, il principio di origine giurisprudenziale della compensatio lucri cum damno: con tale

locuzione, si fa riferimento al principio sulla base del quale il giudice, in sede di quantificazione del

risarcimento del danno dovuto dall’autore dell’illecito, deve tenere conto non solo del pregiudizio causato,

ma anche degli eventuali vantaggi che si sono determinati nel patrimonio del soggetto danneggiato (ex

art. 1, co. 1-bis, della l. n. 20 del 1994 come modificato dall’art. 3 del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543).

Al di là delle oscillazioni della giurisprudenza, il legislatore è nuovamente intervenuto in materia nel 2009

e, prevedendo esplicitamente che il giudice debba tenere conto oltre che dei vantaggi conseguiti

84 Disciplinato dall’art. 83 del r.d. n. 2440 del 1923, dall’art. 52 del r.d. n.1214 del 1934, e dall’art. 19 del d.P.R. n. 3 del 1957. 85 Così in S. Rodriquez, Tangenti e danno all’immagine: un altro intervento del giudice contabile, Resp. Civ. e prev., n. 5 del 2008, p.1174. 86 Si veda da ultimo sent. giur. Toscana, 9 marzo 2016, n. 58, dove si legge: «Gli aspetti fattuali tutti considerati inducono il Collegio a ritenere come il comportamento osservato dai convenuti, connotato da grave negligenza, abbia sicuramente cagionato un danno all’Azienda sanitaria universitaria, ritenendo tuttavia che l’importo agli stessi addebitato possa essere ridotto, nell’esercizio ragionevole del potere riduttivo, e proprio in considerazione della concorrenza causale degli altri aspetti concomitanti ravvisati nella gestione complessiva dell’azienda ospedaliera». 87 Per una disamina della giurisprudenza in merito a tali elementi soggettivi e oggettivi si veda S. Rodriquez, Tangenti e danno all’immagine: un altro intervento del giudice contabile, op. cit., p. 1175.

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dall’amministrazione di appartenenza anche di quelli ottenuti da altre amministrazioni, ha ampliato

l’ambito di applicazione del suddetto principio.

La giurisprudenza che ha fatto seguito all’intervento del legislatore, pur riconoscendo che la

compensazione non possa essere esclusa in toto, ne ha tuttavia evidenziato alcuni limiti qualora la sua

applicazione rendesse integralmente compensabile il danno e il vantaggio causati dall’autore dell’illecito,

dovendosi comunque tenere presente della natura complessa della responsabilità amministrativa e della

duplice funzione che la stessa è chiamata a svolgere: compensativo-risarcitoria e repressivo-sanzionatoria.

Tale ultima funzione, infatti, sarebbe «ingiustamente sacrificata» (sez. giur. Lazio n. 493 del 10 maggio

2012).

Tuttavia, non mancano pronunce del giudice dei conti (sez. giur. Sardegna n. 5 del 15 gennaio 2016) che

non hanno ritenuto condivisibile tale ricostruzione della natura complessa della responsabilità

amministrativa, evidenziando come sia stato lo stesso legislatore, qualora lo abbia ritenuto opportuno, a

prevedere in corrispondenza di determinati comportamenti una esplicita responsabilità puramente

sanzionatoria, come ad esempio nel caso degli amministratori locali (si veda art. 30, co. 15, della l. n. 289

del 2002).

Al di là della misura quantitativa esperibile e delle molteplici finalità del principio compensativo, la sua

applicazione non appare in molti casi semplice: in particolare quando occorra tenere conto non solo del

danno patrimoniale in senso stretto (danno emergente e lucro cessante), ma anche di quello finanziario

connesso all’alterazione dell’equilibrio economico-finanziario della singola amministrazione costretta al

rispetto dei vincoli di bilancio88.

Come in precedenza già messo in evidenza, la ridefinizione delle funzioni della responsabilità civile e di

conseguenza di quella amministrativa si è sviluppata secondo due linee direttrici: la prima di tipo

dimensionale è stata il frutto dell’ampliamento delle categorie di danno; la seconda di tipo teleologico si

è tradotta nell’affiancamento alla tradizionale funzione riparatoria di tale responsabilità anche di una

finalità di tipo sanzionatorio e deterrente89.

88 Per una disamina dei casi nei quali non è ipotizzabile alcuna compensatio lucri si veda A. Vetro, La “compensatio lucri cum damno” nei processi contabili, alla luce della sentenza 15 gennaio 2016 n. 5 della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Sardegna, in http://www.giuristidiamministrazione.com (4 febbraio 2016). 89 Nonostante l’evoluzione della dottrina e l’intervento del legislatore abbiano evidenziato una multiforme funzione della responsabilità amministrativa contabile si veda in proposito F. Ruggiero, Danno all’immagine di un ente esponenziale: la responsabilità multifunzionale – il commento, op. cit., non sono mancate le sentenze recenti del giudice dei conti che hanno puntualizzato la differenza tra la condanna per danno all’immagine in sede contabile e la multa inflitta, in sede penale, per reati contro la pubblica amministrazione. Sotto il profilo strutturale, infatti, quest’ultima deve essere intesa come una pena pecuniaria, mentre la prima persegue una finalità risarcitoria.

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La pluralità di finalità perseguibili attraverso il risarcimento del danno era già emersa con riferimento al

danno da tangente, la giurisprudenza, infatti, era ricorsa a diversi criteri per la sua quantificazione: in

alcune sentenze era stato fissato – in via presuntiva e sulla base dei meccanismi equitativi summenzionati

– in misura almeno pari alla “mazzetta” versata al personale pubblico infedele, ferma rimanendo la

possibilità di aumentare tale quantificazione sulla base di parametri certi (sez. I n. 251 del 7 dicembre

2006 e sez. giur. Liguria n. 80 del 25 gennaio 2003); ma non sono mancate decisioni nelle quali tale danno

è stato fissato ad un valore ben maggiore rispetto a quello pecuniario della tangente, in modo da evitare

che potesse venire a mancare l’utilità propria dell’azione illecita e con chiara finalità di deterrenza (sez.

giur. Abruzzo n. 161 del 3 aprile 2002 e sez. Piemonte n. 1211 del 9 maggio 2000).

Ed è proprio un intento sanzionatorio quello che sembra aver perseguito il legislatore prevedendo che,

nei giudizi di responsabilità, l’entità del danno all'immagine della p.a. si presuma pari – salva prova

contraria – al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente

percepita dal dipendente (art.1, co. 62 della l. n. 190 del 2012).

L’effetto di tale norma, come sottolineato dalla giurisprudenza successiva, è stato quello di forfetizzare,

in via presuntiva, l’entità del risarcimento, offrendo un punto di riferimento preciso e ribaltando di

conseguenza sul convenuto l’onere di dare la prova di un’eventuale diversa quantificazione ( sez. giur.

Lazio n. 47 del 25 gennaio 2018).

Nelle sentenze del giudice dei conti che hanno avuto ad oggetto tale disposizione di legge, molte hanno

affrontato, in primis, la questione del termine a quo relativo alla sua applicazione.

A titolo esemplificativo: in una sentenza della sezione giurisdizionale della regione Sardegna (n. 173 del 2

settembre 2014)90, la difesa del convenuto ha, infatti, contestato la scelta del procuratore di utilizzare i

criteri di quantificazione del danno all'immagine introdotti dal legislatore nel 2012, in considerazione della

loro natura sostanziale e, quindi, della loro applicabilità solo ai fatti occorsi dopo la sua entrata in vigore91.

Il collegio ha, quindi, ritenuto fondata l’obiezione della difesa, distinguendo le norme processuali, che

trovano applicazione immediata qualora entrino in vigore nel corso del processo medesimo, da quelle di

diritto sostanziale, quali quelle che concernono la quantificazione del danno da inadempimento e da

illecito. Queste ultime, in quanto attinenti alla misura degli effetti dannosi dell'inadempimento o

dell'illecito extracontrattuale, e, in particolare in quanto peggiorative della posizione del convenuto

90 La sentenza ha ad oggetto un caso in cui un dipendente della direzione provinciale dell'Agenzia delle entrate di Cagliari con più condotte esecutive di un medesimo disegno criminoso, aveva abusato della sua qualità e dei suoi poteri, nei confronti di un cittadino cinese titolare di una società a responsabilità limitata costringendolo a consegnargli svariata merce detenuta per la vendita (abbigliamento ma anche attrezzi per il bricolage) e somme di denaro. 91 In tal senso si veda anche la sent. sez. Lombardia 31 luglio 2015, n.138, ripresa da sent. sez. Lombardia 25 maggio 2016, n.113.

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devono, infatti, sottostare al principio generale dell'irretroattività della legge e ancora più specificatamente

di quello delle norme “afflittive”.

Tuttavia, questo non ha impedito ad alcuni giudici di utilizzare la presunzione normativa del “raddoppio

tangentizio” alla stregua di uno dei ragionevoli criteri di valutazione del danno all’immagine anche con

riferimento a fatti verificatisi prima della sua entrata in vigore (sent. sez. giur. Lombardia n. 154 del 17

luglio 2014).

Il collegio della regione Sardegna ha ritenuto, quindi, di dover applicare i criteri adottati in precedenza e

consolidatesi nella giurisprudenza del giudice dei conti, tra i quali: «la funzione rivestita dal convenuto in

seno all'Amministrazione di appartenenza; l'ammontare della somma oggetto di concussione; la

sussistenza di uno strascico di ricorsi amministrativi o giurisdizionali contro eventuali provvedimenti

sanzionatori; le eventuali spese sostenute dall'Amministrazione per il ripristino della funzione lesa

dall'atto delittuoso».

Alla luce di tali parametri e in considerazione della finalità risarcitoria e non sanzionatoria della condanna,

il collegio ha, inoltre, ritenuto che il reato di concussione in esame non avesse assunto i caratteri di gravità

individuati dal pubblico ministero e ne ha, quindi, ridimensionato l’entità alla metà della somma oggetto

del reato per cui è occorsa condanna penale92.

In più occasioni, inoltre, i collegi giudicanti hanno anche ribadito che la presunzione introdotta dall’art.

1, co. 62, della l. n. 190 del 2012, integrando e non elidendo le altre circostanze di cui occorre tener conto

ai fini della liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, debba ritenersi comunque iuris tantum93.

Infine, un altro dato che emerge dall’analisi della recente giurisprudenza è che il criterio del “raddoppio

tangentizio”, facendo riferimento a somme di denaro o comunque al valore patrimoniale delle utilità

illecitamente percepite, è stato ritenuto dal giudice dei conti di difficile “applicabilità fattuale” in presenza

di utilità peculiari, quali quella connesse ai piaceri sessuali oggetto dei giudizi, così come nel caso di

concorso di reati diversi ( sez. giur. Lombardia n. 33 del 22 febbraio 2018).

In tali casi il giudice ha, quindi, preferito - ai fini della sussistenza e della quantificazione equitativa del

danno all’immagine - ricorrere agli indici sintomatici già elaborati in sede ermeneutica, tra i quali possono

annoverarsi: «la gravità codicistica dei fatti ascritti al convenuto in sede penale, i gravi risvolti disciplinari,

92 Nel caso in esame, inoltre, la Corte, coerentemente con i precedenti indirizzi giurisprudenziali, ha tenuto conto dei parametri di riferimento per la determinazione del quantum del danno nel loro complesso, quali il clamor fori e la collocazione funzionale dell’agente. Ha, invece, ritenuto neutra ogni valutazione relativa al profitto conseguito. Con riferimento a questo ultimo aspetto, determinante è stata la valutazione che tale somma non poteva essere considerata né particolarmente rilevante (se confrontata con casi analoghi) né irrisoria o trascurabile. 93 Si vedano sent. sez. giur. Friuli Venezia Giulia 14 novembre 2014, n. 92 e sent. Sez. Lombardia n. 8 del 2014 e sent. Sez. Trentino Alto Adige - TN n. 25 del 2014.

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l’alta funzione sociale svolta dall’amministrazione di appartenenza, la notevole funzione istituzionale

svolta dal convenuto».

10. Osservazioni conclusive

Nelle pagine precedenti si è, quindi, posto in luce come l’opera di ricostruzione sistematica e dogmatica

della figura del danno all’immagine della p.a. alla luce delle varie categorie dottrinali (danno patrimoniale

o non patrimoniale; danno evento o danno conseguenza), sia ancora in uno stato fluido e mutevole anche

con specifico riferimento ai profili processuali che ne derivano (ad esempio sul piano probatorio).

Analoghe considerazioni – soprattutto con riferimento al continuo rincorrersi della dottrina e della

giurisprudenza – possono essere svolte in merito alle multiformi finalità che sono state assegnate alla

responsabilità amministrativa al fine di differenziarla da quella civile e penale. In particolare, in tale ambito

si è verificato un graduale superamento della funzione meramente compensativa della responsabilità

civile, alla quale si è affiancata anche una funzione di tipo sanzionatorio e deterrente, con importanti

effetti anche sui parametri ai quali ricorrere nella determinazione del quantum del danno, fermo rimanendo

il rispetto dei limiti previsti dall’art. 23 della Cost., in virtù del quale nessuna prestazione patrimoniale o

personale può essere imposta se non attraverso un intervento legislativo.

E’, dunque, emerso come di fronte all’ampliamento che si è registrato, in sede pretoria, delle categorie di

danno e dell’ambito oggettivo della responsabilità amministrativa, il legislatore abbia deciso di intervenire,

scegliendo, nel 2009, una interpretazione restrittiva della risarcibilità del danno all’immagine della p.a. e

così limitandola ai soli danni derivanti dalla commissione di uno dei delitti dei pubblici ufficiali contro la

pubblica amministrazione. Tale intervento legislativo, nonostante le ampie critiche, che si sono registrate

in sede dottrinale e giurisprudenziale, ha superato più volte il vaglio di legittimità costituzionale.

Si è anche dato conto del dato giudiziale, che ha mostrato le reazioni eterogenee dei diversi collegi della

Corte dei conti rispetto alla decisione della Consulta, tanto da rendere necessario, nel 2015, un intervento

delle sezioni riunite in sede nomofilattica. Tale intervento, nel confermare la lettura restrittiva del lodo

Bernardo ha, tuttavia, lasciato aperte le porte a una evoluzione in senso estensivo della disciplina in

materia esortando – nel rispetto del principio della separazione dei poteri – il legislatore a intervenire

nuovamente in materia integrando i beni giuridici tutelabili.

Il varo del codice di giustizia contabile del 2016 poteva essere l’occasione per intervenire in materia, ma

il legislatore si è limitato a una articolata serie di abrogazioni e la delimitazione del perimetro del danno

all’immagine, ancora una volta, è stata tratteggiata dai giudici attraverso una complessa attività di tipo

ermeneutico.

37 federalismi.it - ISSN 1826-3534 |n. 8/2018

La disamina della giurisprudenza recente ha messo in evidenza una innegabile riespansione della

fattispecie del danno all’immagine, la quale è stata confermata dallo stesso Presidente della corte dei conti

nella relazione annuale sull’attività svolta.

In conclusione, quindi, è innegabile che la perdita di prestigio e il detrimento all’immagine della p.a.

possano avere, nell’attuale struttura dell’ordinamento, nonché nella configurazione dei rapporti che

connotano le società moderne, importanti ripercussioni sia sotto il profilo nazionale – con riferimento

all’iniziativa economica privata e alla fiducia nelle istituzioni – sia internazionale, in relazione alle decisioni

degli investitori stranieri. Tuttavia, come ha mostrato la disciplina legislativa regolatrice della materia che

si è succeduta nel corso del tempo, appare, comunque, necessario individuare un punto di equilibrio

nell’apparato sanzionatorio e disciplinare, in modo da non pregiudicare l’efficienza e l’efficacia delle

attività pubblica per il timore degli amministratori e dipendenti di incorrere in una delle varie figure in cui

si declina la responsabilità amministrativa, e, in particolare, quella erariale.

Alla luce di tali considerazioni, si pone, quindi, un importante interrogativo: come raggiungere l’equilibrio

tra le suddette istanze.

La risposta a tale interrogativo presuppone anche la necessità di mettere in luce le finalità da assegnare al

danno all’immagine della p.a.: in particolare, se questa debba rappresentare una categoria generale

autonoma o semplicemente una fattispecie di danno accessoria nell’ambito della più ampia categoria della

responsabilità amministrativa.

Una prima strada da percorrere potrebbe essere quella di affidare tale compito al legislatore, magari

utilizzando gli eventuali decreti correttivi al codice del processo contabile da adottare, entro la fine del

2018.

Con un intervento normativo, infatti, potrebbe meglio delinearsi il perimetro della fattispecie del danno

all’immagine della p.a., nonché differenziarsi il novero delle figure riconducibili alla responsabilità

amministrativa e contabile (ad esempio, tenendo conto della complessità dei procedimenti, nonché della

dimensione e della preparazione delle strutture amministrative). Tale soluzione consentirebbe di non

rinviare, come avvenuto in precedenza, l’individuazione del novero dei comportamenti punibili alle

decisioni pretorie.