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Foucault: il dinamitardo del pensiero Roger-Pol Droit : A lei non piace che le si chieda chi lei sia , lo ha detto spesso. Ma Ci proverò ugualmente. Le piacerebbe essere chiamato uno storico? Michel Foucault : Sono molto interessato al lavoro che fanno gli storici, ma voglio fare altro. Dovremmo chiamarla un filosofo? No. Quello che faccio non è filosofia. Questa non è una scienza di cui si possano chiedere le spiegazioni o le dimostrazioni che avremmo il diritto di chiedere ad una scienza. Allora, lei come si descriverebbe? Io sono un artificiere. Fabbrico qualcosa che in definitiva serve ad un assedio, ad una guerra, ad una distruzione. Io non sono per la distruzione, ma voglio che ci si possa muovere, in modo che si possa andare avanti, in modo da poter abbattere i muri. Un artificiere è principalmente un geologo. Esamina gli strati del suolo, le pieghe, le faglie. Che cosa è facile da scavare? Che cosa farà resistenza? Egli osserva come sono costruite le fortezze. Esamina i rilievi che possono essere utilizzati per nascondere o lanciare un attacco. Una volta che tutto questo sia stato ben condotto, rimane la sperimentazione, rimane da tastare il terreno. Si organizzano delle ricognizioni, si posizionano delle vedette, ci si fanno recapitare dei rapporti . Abbiamo quindi da definire le tattiche che verranno impieghiate. Sarà meglio minare il terreno? O compiere un assedio? Posizionare bombe sotterranee, o effettuare un attacco diretto? Il metodo, infine, non è altro che questa strategia. “Cosa significa essere folle? Chi lo decide? Dopo quanto tempo? Sulla base di che cosa? ” Il suo primo attacco, se così posso dire , è del 1961, con la “Storia della follia nell’età classica”. Tutto è singolare in questo libro: il soggetto, il suo approccio, la sua scrittura, le sue prospettive. Com’è nata l’idea di questa indagine?

Il Dinamitardo Del Pensiero

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Interviste di Roger-Pol Droit a Michel Foucault. Giugno 1975. Le Point 01/07/2004 – N ° 1659

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Foucault: il dinamitardo del pensiero

Roger-Pol Droit : A lei non piace che le si chieda chi lei sia , lo ha detto spesso. Ma Ci prover ugualmente. Le piacerebbe essere chiamato uno storico?Michel Foucault : Sono molto interessato al lavoro che fannogli storici, ma voglio fare altro.

Dovremmo chiamarla un filosofo?No. Quello che faccio non filosofia. Questa non una scienza di cui si possano chiedere le spiegazioni o le dimostrazioni che avremmo il diritto di chiedere ad una scienza.

Allora, lei come si descriverebbe?Io sono un artificiere. Fabbrico qualcosa che in definitiva serve ad un assedio, ad una guerra, ad una distruzione. Io non sono per la distruzione, ma voglio che ci si possa muovere, in modo che si possa andare avanti, in modo da poter abbattere i muri.

Un artificiere principalmente un geologo. Esamina gli strati del suolo, le pieghe, le faglie. Che cosa facile da scavare? Che cosa far resistenza? Egli osserva come sono costruite le fortezze. Esamina i rilievi che possono essere utilizzati per nascondere o lanciare un attacco.

Una volta che tutto questo sia stato ben condotto, rimane la sperimentazione, rimane da tastare il terreno. Si organizzano delle ricognizioni, si posizionano delle vedette, ci si fanno recapitare dei rapporti . Abbiamo quindi da definire le tattiche che verranno impieghiate. Sar meglio minare il terreno? O compiere un assedio? Posizionare bombe sotterranee, o effettuare un attacco diretto? Il metodo, infine, non altro che questa strategia.

Cosa significa essere folle? Chi lo decide? Dopo quanto tempo? Sulla base di che cosa?

Il suo primo attacco, se cos posso dire , del 1961, con la Storia della follia nellet classica. Tutto singolare in questo libro: il soggetto, il suo approccio, la sua scrittura, le sue prospettive. Com nata lidea di questa indagine?A met degli anni 50, ho pubblicato un lavoro sulla psicologia e la malattia mentale. Un editore mi ha chiesto di scrivere una storia della psichiatria. Ho pensato di scrivere una storia che non fosse mai apparsa prima, vista con gli occhi dei folli stessi. Che cosa significa essere folle? Chi lo decide? A partire da quando? in nome di cosa? Questa una prima risposta possibile.

Ce ne sono altre?Ho anche studiato la psicopatologia. Da questa presunta disciplina non ho imparato molto. Poi nata la domanda: come mai una conoscenza cos scarsa pu creare cos tanto potere? Cera di che stupirsi. Io lo ero assai pi per aver fatto degli stage negli ospedali, due anni al St. Anne. Non essendo un medico, non ne avevo il diritto, ma come uno studente e non come malato, potevo addentrarmi nella materia. Cos, senza dover mai esercitare il potere legato al sapere psichiatrico, potevo ugualmente osservarlo in ogni momento. Sono stato nellarea visite dei pazienti, con cui ho discusso con il pretesto di test psicologici, con i medici, che passavano regolarmente che prendevano le decisioni. Questa posizione, che stato dovuto al caso, mi ha fatto vedere la superficie di contatto tra il folle e il potere esercitato su di lui, e poi ho cercato di ricostruire la loro formazione storica.

Vi era quindi da parte sua, una personale esperienza delluniverso psichiatrico E non si limita a quegli anni di formazione. Nella mia vita personale, accaduto che io mi sia sentito, al rivelarsi della mia sessualit, non proprio rifiutato, ma appartenente al lato oscuro della societ. E davvero un problema impressionante quando lo si scopre da se stessi. Molto presto ci si trasformato in una sorta di minaccia psichiatrica: se non sei come tutti gli altri, allora sei tu che sei anormale, se tu sei anormale, sei tu che sei malato. Queste tre categorie: non essere come tutti gli altri, non essere normale ed essere malato, sono ancora molto diverse e si sono trovate assimilate luna allaltra. Ma io non voglio fare la mia autobiografia. Non interessante.

Perch?Non voglio che questo potesse dare limpressione di raccogliere quello che ho fatto in una sorta di unit che mi potrebbe caratterizzare e che mi giustificherebbe, dando un proprio posto a ciascun testo. Piuttosto giochiamo, se lei vuole, al gioco degli enunciati: essi vengono cos, ne respingeremo alcuni, ne accetteremo altri. Credo che dovremmo porre una domanda come si lancia una pallina da flipper: questa fa tilt oppure no, e poi la si rilancia e vediamo ancora una volta

Bisognerebbe prendere delle Scienze, appena formate, contemporanee, [...] e cercare di capire quali sono i loro effetti di potere.

La pallina rimbalza dunque. Quello che le interessava, era gi il rapporto tra sapere e potere?Ho trovato soprattutto paradossale porre il problema del funzionamento politico del sapere a partire dalle scienze politiche cos altamente elaborate come la matematica, la fisica e la biologia. Non abbiamo sollevato la questione del funzionamento storico del sapere se non a partire da queste grandi e nobili scienze. Ora io avevo davanti a me, con la psichiatria, delle leggere pellicole di sapere appena formate che erano assolutamente legate a forme di potere che potevano essere analizzate.

Fondamentalmente, invece di porsi il problema della storia della matematica, come aveva fatto Tran Duc Thao, o come lo fece Jean-Toussaint Desanti, invece di porsi il problema della storia della fisica o della biologia, mi sono detto che dovevo prendere delle scienze appena formate, contemporanee, con un ricco materiale, proprio perch sono nostre contemporanee, e cercare di capire quali sono i loro effetti di potere. Si tratta in definitiva di ci che ho voluto fare in Storia della follia, riprendere un problema che era quello dei marxisti, la formazione di una scienza allinterno di una data societ.

Tuttavia, i marxisti non si posero affatto, a quel tempo, il problema della follia, o quella dellistituzione psichiatrica Ho anche compreso in seguito che questi problemi sono stati considerati pericolosi, per pi di un aspetto, da parte dei marxisti. E stato di fatto violare la prima grande legge della dignit delle scienze, questa gerarchia ancora positivista, ereditata da Auguste Comte, che pone in primo luogo la matematica e lastronomia, ecc. Occuparsi di tali scienze, sgradevoli, un po viscose, come sono la psichiatria o psicologia, non era bene!

Soprattutto, trattando la storia della psichiatria, nel tentativo di analizzare il suo funzionamento in una societ storica, ho messo il dito, assolutamente senza saperlo, sul funzionamento della psichiatria in Unione Sovietica. Non avevo in mente il legame tra i partiti comunisti con tutte le tecniche di sorveglianza, di controllo sociale, di monitoraggio delle anomalie.

Pertanto, daltronde, se ci sono stati molti psichiatri marxisti, e alcuni sono stati anche aperti e intelligenti, essi non hanno inventato lanti-psichiatria. Sono stati alcuni inglesi un poco mistici, che hanno fatto questo lavoro. Gli psichiatri marxisti francesi facevano funzionare la macchina. Essi hanno senza dubbio messo in discussione una serie di cose, ma, nella storia del movimento antipsichiatrico, il loro ruolo ancora relativamente limitato.

Vuole dire che a causa della loro profonda connessione ad una certa applicazione della legge?S. Un comunista nel 1960, non poteva dire che un omosessuale non un malato. Non poteva ancora dire: la psichiatria legata, in tutti i casi, di volta in volta, a dei meccanismi di potere che si devono criticare.

Verso gli anni 1965-1968, [...] stato difficile non essere marxista.

I marxisti hanno pertanto riservato unaccoglienza ostile a questo libro In effetti, ci fu un silenzio totale. Non c stata una sola risposta marxista a questo libro, n a favore n contro. Eppure, questo libro si rivolge soprattutto a quelle persone che si sono poste il problema del funzionamento della scienza. Ci si pu chiedere, a posteriori, se il loro silenzio non fosse collegato al fatto che in totale onest, quindi in completa ingenuit, avevo sollevato una questione imbarazzante.

Cera unaltra ragione pi ovvia e semplice al disinteresse dei marxisti, ed il fatto che io non mi servivo di Marx in modo esplicito e massiccio, per condurre lanalisi. Eppure, a mio parere, la Storia della follia marxista almeno quanto le storie della scienza scritte dai marxisti.

Pi tardi, intorno al 1965-1968, quando il ritorno a Marx produsse effetti non solo teorici ma anche pratici, come lei sa bene, era difficile non essere marxista, era difficile, dopo aver scritto tante pagine, non dedicare, in alcun passo, la piccola frase elogiativa su Marx alla quale ci si sarebbe potuti approcciare Ahim, ho scritto tre frasi brevi su Marx che risultarono detestabili! Poi ci fu la solitudine, e anche gli insulti

Provava in quel momento la sensazione di essere solo?Mi sentivo bene prima, soprattutto dopo la pubblicazione della Storia della Follia. Tra il momento in cui ho iniziato a porre questo tipo di problema sulla psichiatria e i suoi effetti di potere e, quando questi problemi hanno cominciato a riscontrare uneco concreta e reale nella societ, ci sono voluti anni. Mi sembra di aver acceso la miccia, e poi non si sentito nulla. Come in un cartone animato, io stavo in vedetta ad attendere la detonazione, e la detonazione non avvenuta!

Davvero lei immagina il suo libro come una bomba?Assolutamente! Ho considerato questo libro come una specie di deflagrazione davvero materiale, e io continuo a immaginarla cos, una sorta di onda durto che manda in frantumi porte e finestre Il mio sogno sarebbe un esplosivo efficace come una bomba e bello come un fuoco dartificio.

E il sua Storia della follia stata percepita molto presto come un fuoco dartificio, ma soprattutto letterario. Questo lha imbarazzata?E stato una sorta di crocevia: io mi ero indirizzato piuttosto a delle politiche, e dapprima non sono stato ascoltato che da persone che erano considerate dei letterati, in particolare Blanchot e Barthes. Ma probabile che avessero, anche per via della loro esperienza letteraria, una sensibilit verso una certa serie di problemi che i politici, tuttavia, non avevano. Il fatto che essi avessero reagito mi parve finalmente essere il segno che essi fossero, anche allinterno della loro attivit principalmente letteraria, pi profondamente politici di quelli che avevano il discorso marxista come loro codice politico.

Io ritorno ai racconti biografici! Fortunatamente, toccano un po di pi che la mia biografia. Quando ho visto le persone che ho ammirato molto, come Blanchot e Barthes, interessarsi al mio libro, ho provato tanto stupore e un po di vergogna, come se involontariamente io li avessi ingannati. Perch ci che ho fatto stato per me del tutto estraneo al campo della letteratura. Il mio lavoro era direttamente collegato alla forma delle porte nei manicomi, allesistenza di serrature, ecc. Il mio discorso era sostanzialmente legato a quel punto, in questi spazi ristretti, e volevo che le parole che avevo scritto attraversassero i muri, scardinassero le serrature, aprissero le finestre!

Lei dice questo sorridendo Dobbiamo mettere un po di ironia Ci che fastidioso, nelle interviste, che il sorriso non arriva mai!

Nulla impedisce di indicarlo!Certo, ma quando si mette tra parentesi ridere, lei sa bene che ci non dona affatto questa sonorit ad una frase che si perde in un sorriso

Abbiamo bisogno che il libro procuri piacere a coloro che lo leggono.

Tornando alla questione della scrittura. Lei dice che La storia della follia non per lei un lavoro letterario. Eppure, la sua scrittura e il suo stile sono stati immediatamente notati. Questo vale anche per gli altri libri. I suoi scritti sono stati letti per la novit e la profondit di analisi, ma anche per piacere. C uno stile di Michel Foucault, gli effetti della penna in quasi ogni pagina. Non ancora un azzardo. Perch lei dice che non uno scrittore?E molto semplice. Penso che abbiamo una coscienza artigianale in questo settore. Analogamente, come importante fare bene una scarpa, dobbiamo anche fare un buon libro. Questo vale anche per qualsiasi insieme di frasi stampate, sia in un giornale che in una rivista. Per me, scrivere non niente di pi. La scrittura deve servire il libro. Non il libro che serve questa grande entit, cos sacralizzata, che sarebbe la scrittura.

Lei mi dice che io spesso uso una serie di contorsioni stilistiche che sembrano dimostrare che io amo il bello stile. Beh, s, c sempre una sorta di piacere, bassamente erotico forse, nel trovare una frase bella, quando si annoiati una mattina a scrivere qualcosa di non molto divertente. E alquanto eccitante un sognare ad occhi aperti, e improvvisamente si trova la parola affascinante che si attendeva. E divertente, d un impulso ad andare avanti. C questo evidentemente.

Ma c anche il fatto che se si vuole che ci diventi uno strumento di cui altri potranno servirsi, necessario che il libro piaccia a coloro che lo leggono. Mi sembra che debba essere il dovere fondamentale da parte di chi fornisce questo bene o questo prodotto artigianale: necessario che esso possa piacere!

Considero i miei libri, come delle mine, dei pacchi bomba.

Doppio piacere, quindi: dellautore, e del lettore Assolutamente. Il fatto che delle trovate o delle astuzie dello stile facciano piacere sia allo scrittore che al lettore, la trovo una cosa molto buona. Non c alcun motivo per il quale io mi privi di questo piacere, cos come non c alcuna ragione che io imponga di annoiarsi a coloro che spero leggano il mio libro. Si tratta di realizzare qualcosa di assolutamente trasparente su ci che viene detto, con ancora una sorta di patina superficiale che renda piacevole carezzare il testo, utilizzarlo, ripensarlo, riprenderlo. Questo la mia morale del libro .

Ma non si tratta, ancora una volta, di scrittura. Non mi piace lo scrivere. Essere uno scrittore mi sembra davvero ridicolo. Se dovessi definirmi, darmi una definizione pretenziosa, se dovessi descrivere questa specie di immagine che si ha accanto a s, che talvolta ridacchia e che poi ti guida in ogni caso, allora direi che sono un artigiano, e, ripeto, una sorta di artificiere. Considero i miei libri, come delle mine, dei pacchi bomba E quello che mi auguro che siano!

Nella mia mente, questi libri devono produrre qualche effetto, e per questo dobbiamo preparare il pacchetto, per dirla volgarmente. Ma il libro deve scomparire per suo stesso effetto, e nei suoi stessi effetti. Scrivere un mezzo e non lobiettivo. Il lavoro non ancora lobiettivo! Cos, rimaneggiare uno dei miei libri in modo da integrarlo nellunit ad unopera, perch mi rassomigli o perch assomigli ai libri che verranno poi, per me non ha senso.

Lei rifiuta di essere uno scrittore?Quando si scrive, anche quando questo titolo viene riportato sotto il suo nome nella societ civile, tu inizi a lavorare un po come qualcun altro, come uno scrittore. Tu stesso, stabilisci tra te delle continuit ed un livello di coerenza che non sono esattamente quelli della tua vita reale. Un tuo libro fa riferimento a un altro tuo libro, una tua dichiarazione rimanda ad un tale tuo gesto pubblico Tutto questo finisce per costruire una sorta di neo-identit che non la stessa, propria identit dello stato civile, e neanche della propria identit sociale. Inoltre, tu lo sai molto bene, perch tu vuoi proteggere la tua stessa vita privata.

Tu non ammetti che la tua vita di scrittore o la tua vita pubblica interferiscano totalmente con la propria vita privata. Stabilisci tra te, lo scrittore, e gli altri scrittori che ti hanno preceduto, quelli intorno a te o quelli che ti seguiranno, dei rapporti di affinit, di parentela, di vicinanza, di ascendenza o di discendenza che non sono quelli della tua famiglia reale.

Non cos che vedo il mio lavoro. Io immaginerei piuttosto i miei libri un po come delle biglie che rotolano. Tu le catturi, le prendi, le rilanci. E se funziona, tanto meglio. Ma non mi chieda chi sono prima di utilizzare le mie biglie per vedere se esse non siano avvelenate, o se non siano esattamente sferiche, o se non stanno andando nella giusta direzione. Comunque, non perch lei mi avr chiesto la mia identit che sapr se quello che sto facendo utilizzabile.

La scrittura non per lei, dopo tutto, una necessit?No, questo non assolutamente una necessit. Non ho mai considerato un onore e privilegio lo scrivere, o che ci sia qualcosa di straordinario. Io dico spesso: ah, quando arriva il giorno in cui non scriver di pi! Non si tratta del sogno di andare nel deserto, o semplicemente in spiaggia, ma di fare altro piuttosto che scrivere. Dico ci in un significato pi preciso, che questo: quando mi metter a scrivere senza che tutto ci sia scrittura? Senza quella specie di solennit che puzza di olio santo.

Le cose che ho pubblicato, sono state scritte, nel senso sbagliato del termine: tutto ci odora di scrittura. E quando mi metto al lavoro, questa cosa della scrittura implica tutto un intero rituale, tutta una difficolt. Mi metto in un tunnel, non voglio vedere nessuno, mentre mi piacerebbe al contrario avere una scrittura piuttosto facile, alla prima stesura. E a questo io non vi arrivo assolutamente. E va detto, perch non vale la pena tenere dei grandi discorsi contro la scrittura se non a conoscenza del fatto che io ho cos tanti problemi a nonscrivere quando inizio a scrivere . Vorrei sottrarmi da questa attivit chiusa, solenne, ripiegata su se stessa, che per me il lavoro di mettere le parole sulla carta

Lei considera ancora, questo lavoro di carta e di inchiostro, un vero piacere?Il piacere che vi trovo ancora molto lontano rispetto a quello che vorrei fosse lo scrivere. Vorrei che fosse un qualcosa che accade e che passa, che si getta cos, che si scrive allangolo di un tavolo , che circola, che potrebbe essere un tratto, un manifesto, un frammento di un film, un discorso pubblico, qualsiasi cosa Ancora una volta, io cos non arrivo a scrivere. Naturalmente ne traggo il mio piacere, scopro delle piccole cose, ma non ho il piacere di quel piacere.

Provo nei confronti di esso una sensazione di disagio, perch io sognavo un piacere di tuttaltro tipo, molto familiare a tutte le persone che scrivono. Ci si blocca, il foglio bianco, non abbiamo alcuna idea, e poi, via via, dopo due ore o due giorni o due settimane, allinterno della stessa attivit dello scrivere, un sacco di queste cose sono diventate presenti. Il testo esiste, ne sappiamo molto di pi rispetto a prima. Avevamo la testa vuota, ora piena, perch la scrittura non svuota, riempie. Del proprio vuoto ce n una pletora. Lo sanno tutti. Questo non mi diverte!

Ho sempre sognato di scrivere un genere di libro come quella domanda: Da dove viene tutto ci? non ha alcun significato.

Quindi lei sogna cosa? Quale altro modo di scrivere?Una scrittura discontinua, che non saccorga che essa scrittura, che si serva della carta bianca, o della macchina, o della penna, o della tastiera, proprio come questa, in mezzo, nel luogo di tante altre cose che potrebbero essere il pennello o la fotocamera. Tutto ci passa rapidamente dalluno allaltra, una sorta di eccitazione e di caos

Lei vuole sperimentare?S, ma mi manca quel tipo di je ne sais quoi di entusiasmo e talento, entrambe le cose senza dubbio. Infine, sono sempre tornato a scrivere. Cos sogno dei brevi testi. Ma io ottengo sempre dei grandi libri! Eppure, io sogno sempre di scrivere un libro come una sorta di domanda Da dove viene? Non ha alcun significato. Io sogno un pensiero veramente strumentale. Non importa da dove provenga. Accade cos . Lessenziale che si abbia qui uno strumento con il quale saremo in grado di affrontare la psichiatria o il problema delle carceri.

A lei non piace che le si chiedano le sue motivazioni, le ragioni della sua legittimit. Perch?Quando sono tornato dalla Tunisia, nellinverno 68-69, presso lUniversit di Vincennes, era difficile dire qualsiasi cosa senza che qualcuno chiedesse: Da che parte tu parli? Questa domanda mi ha sempre messo in una grande depressione. Mi sembrava una domanda di poliziesca, in realt. Sotto lapparenza di una domanda politica e teorica (Da che parte tu parli), Infatti, mi stato chiesto di rendere conto della mia identit (In pratica, chi sei? Dicci quindi, se sei un marxista o se non sei un marxista , Dicci se sei idealista o materialista , Dicci se sei insegnante o militante , Mostra la tua carta didentit, dicci in nome di cosa tu puoi essere in grado di muoverti, in modo tale che noi riconosciamo da che parte stai).

Mi sembrava in definitiva una questione di disciplina. E non posso fare a meno di ribattere a questi gravi interrogativi circa la giustificazione di base alla piccola, volgare domanda: Chi sei, dove sei nato? A quale famiglia appartieni? Oppure: Qual la tua professione? Come si pu classificare? Dove fai il servizio militare?

Questo quello che voglio dire, ogni volta che mi chiedo, Di quale teoria ti servi? Cosa ti protegge? Che cosa ti giustifica? le interpreto come domande poliziesche e minacciose: Agli occhi di chi sarai innocente, se devi essere condannato lo stesso? Oppure: Ci deve essere un gruppo di persone o una societ o una forma di pensiero, che ti assolver, dalla quale tu potrai ottenere il rilascio. E se quelli tassolvono, siamo noi che ti dobbiamo condannare!

Lindividualit, lidentit individuale sono dei prodotti del potere.

Cosa le sembra sia da rifuggire in queste domande didentit?Credo che lidentit sia un prodotto primario del potere, questo tipo di potere che conosciamo nella nostra societ. Credo molto, infatti, nellimportanza costitutiva delle forme giuridico-politiche di polizia della nostra societ. il soggetto identico a se stesso, con la propria storicit, la sua genesi, la sua continuit, gli effetti di infanzia prolungata fino allultimo giorno della sua vita, ecc. Non il prodotto di qualche tipo di potere esercitato su di noi in forme giuridiche e vecchie e forme poliziesche recenti?

Dobbiamo ricordare che il potere non un insieme di meccanismi di negazione, di rifiuto, di esclusione. Ma che esso produce effettivamente. Produce verosimilmente fino ad arrivare agli individui medesimi. La denominazione, lindividualit personale sono prodotti del potere. Ecco perch sono diffidente, e cerco di evitare queste trappole.

La sola verit di Storia della follia o di Sorvegliare e punire che ci sono persone che lo utilizzano, e combattono con esso. Questa lunica verit che io cerco. La domanda Da dove viene ci? qualcosa di marxista? Credo che in ultima analisi sia una questione di identit, e quindi una questione poliziesca.

Ho intenzione dunque di essere un poliziotto, poich amo tornare un po indietro, comprendere da dove partito il suo itinerario. Durante gli anni alla cole normale, lei stato un marxista?Come quasi tutti della mia generazione, io stavo tra il marxismo e la fenomenologia, non tanto quella che Sartre o Merleau-Ponty hanno potuto conoscere e utilizzare, ma piuttosto la fenomenologia presente in quel testo di Husserl del 1935-1937, La crisi della scienze europee , la Krisis come diciamo noi. Quello che ha messo in discussione, stato lintero sistema di conoscenza di cui lEuropa stato il focolaio, il principio, il motore, e grazie alla quale era stata liberata ma anche imprigionata. Per noi, pochi anni dopo la guerra e con tutto ci che era successo, la questione riapparve nella sua vivacit. La Krisis, stato per noi il testo che conteneva, in una filosofia molto ardua, molto accademica, molto chiusa in se stessa, nonostante la sua descrizione fosse proposta come universale, il manifestarsi di una storia contemporanea. Qualcosa stava crollando intorno a Husserl, su questo discorso che lUniversit tedesca si sforzava di portare avanti dopo tanti anni. Questo crollo si sentiva improvvisamente nel discorso del filosofo. Infine, ci siamo chiesti cosa fosse questa conoscenza della razionalit, cos profondamente legata al nostro destino, profondamente connessa con cos tanto potere e cos impotente di fronte alla storia.

E le scienze umane erano ovviamente le cose che venivano messe in discussione in questo approccio. I miei inizi sono stati dunque questi: che cosa sono le discipline umanistiche? A partire da cosa sono possibili? Come siamo arrivati a costruire questi discorsi e darci questi oggetti? Ho perseguito queste domande, ma cercando di sbarazzarmi del quadro filosofico di Husserl.

Abbiamo sperimentato nello stesso tempo la crescita lenta del marxismo, in pratica, si pu dire la tradizionale filosofia accademica. Per generazioni prima della guerra, il marxismo era quasi sempre unalternativa al lavoro accademico.LucienHerr, grande figura storica, stato un bibliotecario impavido presso lEcole Normale e la sera, la biblioteca accuratamente chiusa, scendeva gi ad animare delle riunioni socialiste che in principio nessuno conosceva.

Althusser mi aveva mandato a fare dei corsi di filosofia per i candidati allENA della CGT!

Questa situazione era diversa al tempo dei vostri studi?S, dopo la guerra, il marxismo entr nelluniversit. A un certo punto, si poteva citare Marx nei corsi per docenti. Ci corrispondeva alla strategia del Partito nei confronti dellapparato statale. Mi ricordo chiaramente come Althusser mi invi in modo gentile a presiedere dei corsi di filosofia e filosofia politica ai candidati NAS della CGT! In realt, questa entrata dal Partito Comunista nellapparato statale non riuscita pienamente se non allUniversit.

Questa accettazione del marxismo nelle universit e da parte sua laccettazione del Partito comunista delle pratiche accademiche riconosciute, crearono per noi una condizione estremamente agevole. Diventare un professore associato di filosofia parlando di Marx, come stato semplice! Poi sollevammo delle pseudo-lotte: il diritto di citare Engels cos bene come Marx , affinch il presidente della giuria che presiedeva lesame per diventare associato, accettasse che si parlasse di Lenin. Erano le nostre piccole lotte, si credeva che fossero molto importanti.

Ma nel momento in cui siamo entrati in questa unione delle universit e del Partito comunista, abbiamo scoperto con orrore la loro somiglianza: la stessa gerarchia, gli stessi vincoli, le stesse ortodossie . Non potevamo rendere pi vicina luniversit alla struttura del partito, nondimeno nelle proprie basse sfere che concernevano gli intellettuali. Scrivere un saggio per un presidente di commissione esaminatrice, o scrivere, come successo, gli articoli firmati da un leader di partito, era esattamente lo stesso esercizio!

E stato l che ho iniziato a sentirmi in qualche modo soffocato, cosa che era dovuta alla facilit di queste stesse operazioni. Credevamo che questa sarebbe stata una lotta, da fare sporcandosi nel fango. Quello che mi interessava e mi stimolata, era il miraggio che ci abbagliava. Dovevamo essere dei soldati in prima linea nel mettere lUniversit a disposizione del popolo, o dellavanguardia del proletariato! E ci ritrovavamo tra di noi, sempre gli stessi. Cos sono andato in Svezia, e poi in Polonia.

E In Polonia che lei ha cessato di essere marxista?S, perch l ho visto il lavoro di un partito comunista al potere, il controllo di un apparato statale, identificandosi con s stesso. Quello che avevo percepito oscuramente durante il periodo 50-55 appariva nella sua brutale verit, storica, profonda. Non si trattava pi di fantasie di studenti, di giochi allinterno delluniversit. Era la seriet di un paese asservito ad un partito.

Da quel momento, posso dire che io non sono pi un marxista, nel senso che non posso accettare il funzionamento dei partiti comunisti nel modo in cui ci viene proposto in Europa orientale come in Europa occidentale. Se in Marx ci sono delle cose vere, queste possono essere utilizzate come strumenti senza doverlo citare, lo riconosceranno tutti quelli che vedono bene! O che sono in grado di farlo

Ci sono altre volte in cui il fatto di vivere allestero ha contribuito allo sviluppo del suo pensiero?S, la Tunisia stato per me, tra il 1966 e il 1968, una simmetria dellesperienza polacca. La mia societ, io non la conoscevo che dal punto di vista di un privilegiato. Non ho mai avuto molti problemi, n politici n economici, nella mia vita. E io avevo visto quello che poteva essere unoppressione in Polonia, vale a dire in uno stato socialista. Della societ capitalistica non avevo conosciuto alla fine che il lato vellutato e facile. In Tunisia, ho scoperto quelli che potrebbe essere i resti di un capitalismo coloniale, e la nascita di uno sviluppo in stile capitalistico con tutte le forme di sfruttamento e di oppressioni economiche e politiche .

Due mesi prima del maggio del 68, ho visto in Tunisia, uno sciopero degli studenti che stato letteralmente un bagno di sangue alluniversit. Gli studenti sono stati portati al piano seminterrato, dove cera una mensa, e risalivano con il viso insanguinato perch erano stati bastonati. Ci sono stati centinaia di arresti. Molti dei miei studenti sono stati condannati a dieci, dodici, quattordici anni di carcere. E stato per me un maggio probabilmente pi serio di quello che ho vissuto in Francia.

La doppia esperienza in Polonia e in Tunisia equilibr la mia esperienza politica e mi ha ricordato delle cose che in fondo non avevo affatto sospettato abbastanza nelle mie pure speculazioni: limportanza dellesercizio del potere, queste linee di contatto tra il corpo, la vita, i discorsi e il potere politico.

Nei silenzi e nelle azioni quotidiane di un polacco che sa di essere sorvegliato, che attende di essere in strada per dirvi qualcosa, perch sa che in casa di uno straniero ci sono microfoni dappertutto, nel loro modo di abbassare la voce quando ci si trova in un ristorante, nel modo in cui brucia una lettera, e, infine, in tutti questi piccoli gesti soffocanti, come pure nella violenza cruda e selvaggia della polizia tunisina che si abbatteva sulla facolt, io sono passato attraverso unesperienza fisica del potere, il rapporto tra corpo e potere.

Poi questi momenti mi ossessionavano molto, anche se ne ho imparato la lezione teorica in ritardo. Ho capito che avrei dovuto parlare da lungo tempodi questi problemi, del rapporto tra potere e corpo e che mi ha portato, infine, a Sorvegliare e punire.

Eppure, per molte persone, il maggio 68 stata anche unesperienza di abuso fisico di potere e il suo rapporto con il corpo. Anche se con un certo ritardo, lei non lo ha visto?Sono tornato in Francia nel novembre 1968. Ho avuto limpressione che tutta questa esperienza era stata tuttavia profondamente impegnata e codificata da un discorso marxista dal quale assai pochi sono sfuggiti. Al contrario, sia in Tunisia che in Polonia, questo esperimento mi apparso a prescindere da qualsiasi discorso di codifica marxista. Se cerano dei discorsi marxisti in Polonia, erano dalla parte del potere, insieme con la violenza.

Negli anni successivi al Maggio 68, coloro che si dicevano rivoluzionari senza riferirsi esplicitamente al marxismo conservavano ancora unaderenza molto forte alla maggior parte delle analisi marxiste. E quando intervenivano quando ponevano delle domande, al momento di discutere con te gli effetti del potere, erano ancora legati al marxismo. A Vincennes, durante linverno del 1968-1969, dire ad alta voce: Io non sono un marxista, era fisicamente molto difficile Quello che mi colp a Vincennes, nell AG e in roba del genere a cui ho partecipato, la vicinanza incredibile tra quello che stava succedendo e quello che avevo visto e udito nel PC durante il suo periodo pi stalinista. Naturalmente, tutte le forme sono state cambiate, i rituali erano diversi. Ma gli effetti del potere, del terrore, del prestigio, delle gerarchie, dellobbedienza, dellinerzia, delle piccole umiliazioni , ecc. Era la stessa cosa. Era uno stalinismo esploso, in agitazione, ma era sempre lui E ho pensato, quanto sono cambiati poco!

Tornando al suo percorso Sa, questo cammino stato a zig zag. Le Parole e Cose un libro in qualche modo marginale, pur prendendo tutti gli altri con le pinze. E marginale, perch non era affatto in linea diretta con il mio problema. Studiando la storia della follia, mi sono naturalmente posto il problema del funzionamento del sapere medico allinterno del quale sono stati trovati delimitati i rapporti dei folli e dei non folli, a partire dal XIX secolo.

E poi il sapere medico conduceva al problema di questa evoluzione molto rapida che ha avuto luogo alla fine del secolo XVIII, e che fece apparire non solo la psichiatria e la psicopatologia, ma anche la biologia e le scienze umane. E stato il passaggio di un certo tipo di empiricit ad un altro. Prendete un qualsiasi libro di medicina del 1780 e un qualsiasi libro del 1820: siamo passati da un mondo allaltro bisogna aver davvero letto ben poco questo genere di lavori, sia di grammatica, che di medicina o di economia, per immaginare che io deliro quando parlo di una cesura alla fine del XVIII secolo!

In sostanza, Le parole e cose non fa altro che constatare questa cesura, cercando di tracciarne un bilancio in una certa serie di discorsi, soprattutto quelli che ruotano intorno alluomo, al lavoro, alla citt, al linguaggio . Questa cesura il mio problema, non la mia soluzione. Se insisto cos tanto su questa frattura perch si tratta di un vero rompicapo, e assolutamente non un modo per risolvere le cose.

Come spiegare questa cesura? A cosa corrisponde?In realt mi ci sono voluti sette anni prima di rendermi conto che la soluzione non era da cercarsi dove la stavo cercando, in qualcosa sul genere dellideologia, della crescita della razionalit o nel modo di produzione. stato infine nelle tecnologie del potere e nelle loro trasformazioni, dal XVII secolo fino ad oggi, che si doveva vedere la base da cui il cambiamento stato possibile. Le parole e cose stava alla conclusione della cesura e dellesigenza di cercare una spiegazione. Sorvegliare e punire, la genealogia, se vuole, lanalisi delle condizioni storiche che hanno reso possibile questa cesura.

Ho cominciato a capire come sia stato deformato non solo il personaggio del folle, ma anche il carattere delluomo normale, attraverso tutta una certa antropologia della ragione o dellirrazionalit. Mi venne in mente, attraverso queste indagini, la posizione centrale di un uomo era alla fine una figura propria ai discorsi scientifici, o ai discorsi delle scienze umane, o ai discorsi filosofici del XIX secolo. Concentrarsi tutto sulla figura umana, non una linea di caduta del discorso filosofico fin dalla sua origine, una flessione recente che perfettamente in grado di identificare lorigine di cui possiamo anche vedere come essa sta scomparendo, verosimilmente dopo la fine del XIX secolo.

Fondamentalmente, io non ho che un solo un oggetto di studio storico, la soglia della modernit.

La scoperta di questa cesura, lattenzione posta sugli effetti di potere di differenti forme di sapere, lei disposto a dire che questa sia la sua scoperta, il suo contributo personale?Assolutamente no! E un filo diretto di tutto un insieme che va dalla La Genealogia della morale di Nietzsche o la Krisis di Husserl. La storia del potere della verit in una societ come la nostra, questa domanda, torna senza posa nelle teste da un centinaio di anni. Tutto quello che ho fatto stato approcciarla a modo mio e ho enunciato in Archeologia del sapere alcune regole che mi sono dato. Non hanno nulla di sconvolgente o di rivoluzionario, ma poich la gente non sembra ben comprendere quello che ho fatto, ho dato le mie regole.

Io non sono una di quelle sentinelle che pretendono sempre di essere stati i primi a veder sorgere il sole. Quello che mi interessa capire qual la soglia della modernit che si pu identificare dal XVII al XIX secolo. Da questa soglia, il discorso europeo ha elaborato dei poteri di universalizzazione giganteschi. Oggi, nei suoi principi fondamentali e nelle sue regole di base, ci si pu fare portatori di qualsiasi tipo di verit, anche se questa verit dovesse essere rivolta contro lEuropa, contro lOccidente.

Fondamentalmente, io non ho che un solo un oggetto di studio storico, la soglia della modernit. Chi siamo noi, che parliamo questo linguaggio in quanto ha i poteri che si impongono a noi stessi nella nostra societ e in altre societ? Che cosa questo linguaggio che pu rivoltarsi contro di noi, che ci rivolgiamo contro noi stessi? Che cosa questa esaltazione formidabile del passaggio alluniversalit del discorso occidentale? Questo il mio problema storico.

La verit ha il potere. Essa ha effetti pratici, gli effetti politici.

Un modo diverso di concepire il rapporto tra sapere e potere?Il sapere, per secoli, diciamo dopo Platone, s dato come statuto di essere di unessenza fondamentalmente diversa di potere. Se diventi re, sarai pazzo, schiavo delle passioni e cieco. Rinuncia al potere, rinuncia allambizione, allora tu potrai contemplare la verit. C stato un sistema operativo molto antico per sapere tutto, nella sua opposizione o nella sua indipendenza nei confronti del potere. Ora, invece, ci su cui ci si interroga la posizione degli intellettuali e degli scienziati nella societ, nel sistema di produzione, nei sistemi politici. La conoscenza profondamente legata a tutta una serie di effetti di potere. Larcheologia essenzialmente questo rilevamento.

Il tipo di discorso che opera in Occidente, dopo un certo numero di secoli, come un discorso di verit, e che passato ora a livello mondiale, questo tipo di discorso collegato ad una serie di fenomeni di potere e di relazioni potere. La verit ha il potere. Essa possiede degli effetti pratici, degli effetti politici. Lesclusione dei malati di mente, per esempio, uno dei tanti effetti del potere del discorso razionale. Come questi effetti possono operare? Come diventano possibili? Questo quello che sto cercando di capire.

Una societ senza potere possibile? E una domanda che ha senso o no?Credo non sia un problema in termini di c bisogno del potere o non ce n bisogno? . Il potere va cos lontano, si insinua cos nel profondo, guidato da una rete capillare cos serrata che ti chiedi dov che esso potrebbe non esserci. Eppure lanalisi di esso stata molto trascurata dagli studi storici. La seconda met del XIX secolo ha scoperto i meccanismi dello sfruttamento, forse la cifra della seconda met del ventesimo secolo di scoprire i meccanismi del potere. Perch siamo tutti, non solo lobiettivo di un potere, ma anche il rel, o il punto da cui si emana un potere!

Ci che c da scoprire in noi, non ci che alienato, o ci che inconscio. Si tratta di piccole valvole, questi piccoli rel, questi piccoli ingranaggi, queste sinapsi microscopiche attraverso i quali il potere passa e si estende da solo.

In questa prospettiva, c qualcosa che sfuggirebbe al potere?Ci che sfugge al potere il contro-potere, che tuttavia anche preso nello stesso gioco. E per questo motivo che dobbiamo riprendere il problema della guerra, dello scontro. Bisogna riprendere lanalisi strategica e tattica a un livello straordinariamente basso, infimo, quotidiano. Dobbiamo ripensare la battaglia universale al di l delle prospettive dellApocalisse. Infatti, abbiamo vissuto sin dal diciannovesimo secolo in una economia di pensiero che stata apocalittica. Hegel, Marx e Nietzsche e Heidegger in un altro senso, ci hanno promesso il domani, lalba, laurora, il mezzod, la sera, la notte, ecc. Questa temporalit, allo stesso tempo ciclica e binaria, ha ordinato il nostro pensiero politico e ci lascia impotenti quando si tratta di pensare diversamente.

E possibile avere un pensiero politico che non lordine della descrizione triste: questo come tutto, e lei vede che non divertente! Il pessimismo di destra dice: guarda come gli uomini sono bastardi. Il pessimismo di sinistra, dice, guarda come il potere disgustoso! Possiamo sfuggire senza cadere nel pessimismo della promessa rivoluzionaria, attraverso lAnnunciazione della sera o del mattino? Penso che questo sia il problema in questo momento.

Ci conduce alla sua concezione della Storia. Sartre disse: Foucault non ha il senso della Storia E una frase che mi incanta! Io vorrei che la si mettesse in evidenza su tutto ci che faccio, perch penso che sia profondamente vero. Se avere il senso della Storia significa leggere con attenzione rispettosa le opere dei grandi storici, caricare sulla loro ala destra un tocco di fenomenologia esistenziale, sulla sinistra un tocco di materialismo storico, se avere il senso della Storia significa prendere la Storia gi fatta, accettata nelle universit, aggiungendo soltanto che si tratta di una Storia borghese che ignora il contributo marxista, beh, vero: non ho assolutamente alcun senso della Storia! Sartre forse ha il senso della Storia, ma non cos. Che cosa ha portatolui alla Storia? Zero!

Penso che volesse dire unaltra cosa, comunque. Intendeva dire che non rispetto questo significato della Storia ammesso in tutta una filosofia post-hegeliana, nella quale sono coinvolti dei processi che devono essere sempre gli stessi, per esempio la lotta di classe In secondo luogo, avere il senso della storia, in questa forma di storia, significa sempre essere in grado di operare una totalizzazione, al livello di una societ, o di una cultura, o di una coscienza, poco importa. Uno studio storico stato completato, in questottica, quando questo processo si va ad inscrivere in una coscienza che ne fa emergere il significato dal movimento stesso in cui essa determinata E vero che questa storia non ha assolutamente alcun senso!

Come descriverebbe lei , la storia?Io ne faccio un uso strettamente strumentale. E a partire da una questione specifica che io incontro nellattualit la possibilit di una storia che prende forma per me. Ma luso accademico della storia essenzialmente un uso conservatore: trovare il passato di qualcosa essenzialmente in funzione di permetterne la sopravvivenza. La storia del manicomio, per esempio, come la si fatta spesso, infatti io non sono il primo principalmente destinata a mostrarne il tipo di necessit, di inevitabilit storica.

Quello che sto cercando di fare invece di mostrare limpossibilit della cosa, il grande fallimento su cui si basa il funzionamento del manicomio, per esempio. Le storie che io tratto non sono esplicative, non mostrano mai il bisogno di qualcosa, ma piuttosto la serie di incastri in cui limpossibile accaduto ed estende il suo scandalo, il suo paradosso proprio, fino ad ora. Tutto ci che ci pu essere di irregolare, casuale, di imprevedibile in un processo storico, mi interessa molto.

In definitiva, probabile che sai ci che pi impossibile che alla fine diviene il necessario.

Solitamente, gli storici respingono ci che rileva un eccezione Perch una delle cifre della Storia, la cui funzione quella di mantenere le cose, proprio quello di cancellare queste irregolarit specie o di incidenti, questi eventi irregolari. Si cancella tutto questo per restare in una forma di necessit che, se essa si inscrive in un lessico marxista, si dice che sia politicamente rivoluzionaria, ma credo che alla fine abbia degli effetti molto diversi.

Io penso che la mia cifra quella di dare la massima opportunit alla molteplicit, allincontro, allimpossibile, allimprevedibile Questo modo di mettere in discussione la Storia a partire da questi giochi di possibilit e impossibilit per me la cosa pi feconda quando si vuole fare una storia politica e una politica storica. In definitiva, si pu pensare che ci che pi impossibile che alla fine diventato il necessario. Si devono dare il massino di occasioni allimpossibile e dirsi: come questa cosa impossibile si realmente prodotta?

Mostrare che il manicomio o la prigione non nulla di inevitabile, ma anche la lotta

Credo che, sulla scia di Nietzsche, la verit sia meglio compresa in termini di guerra. La verit della verit la guerra. Tutti i processi attraverso i quali prevale la verit sono dei meccanismi di potere, e che gli forniscono il potere.

Questa una guerra permanente?Credo di s.

In questa guerra, quali sono i suoi nemici?Non sono persone, piuttosto delle specie di linee che possono essere trovate nei discorsi e forse anche nei miei, e da cui mi voglio allontanare, e starne fuori. Eppure di guerra che si tratta, perch il mio intervento strumentale, come strumentale un esercito, o semplicemente unarma. O un sacchetto di polvere da sparo, o un cocktail Molotov. Vede, questa storia dellartificiere che ritorna

Roger-Pol Droit

Inedito estratto da una serie di interviste di Roger-Pol Droit a Michel Foucault, del giugno 1975, poche settimane dopo la pubblicazione di Sorvegliare e punire. Le Point 01/07/2004 N 1659 p.82