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 Apostoli Giancarlo «IL DIO DEI CRISTIANI: UNO e UNICO MA NON SOLITARIO» Alcune considerazioni e puntualizzazioni al libro LA TRINITÁ, VERITÁ O FALSITÁ? Cosa insegnano veramente la storia e le Sacre Scritture? di Felice Buon Spirito

Il Dio Dei Cristiani Uno e Unico Ma Non Solitario

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 Apostoli Giancarlo

«IL DIO DEI CRISTIANI:

UNO e UNICO MA NON

SOLITARIO»

Alcune considerazioni e

puntualizzazioni al libro

LA TRINITÁ, VERITÁ O FALSITÁ?

Cosa insegnano veramentela storia e le Sacre Scritture?

di Felice Buon Spirito

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 Mestre 2008

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PREMESSA

Che siano necessarie, doverose e utili alcune precisazioni per avvisare l’eventuale lettore della

natura e dello scopo di questo elaborato è fuori discussione: quanti spiacevoli malintesi si possono

evitare!

Esso dunque non intende essere né uno scritto polemico, né apologetico1 di nessuna fede e né

tantomeno un saggio dimostrativo di dogmi o dottrine. Il suo intento è semplicemente analitico:

mettere cioè “sotto la lente di ingrandimento” il libro di Felice Buon Spirito, analizzandone

citazioni, opere varie, commenti di studiosi, interpretazioni, per misurarne così l’attendibilità e la

logica che ne consegue, ovvero la consistenza della sua coerenza interna.

Per essere più precisi l’oggetto di questa analisi, come emerge anche dal titolo, è la dottrina della

Trinità (Un unico Dio che sussiste in tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo) che Felice non crede

essere biblica ma un residuo delle culture pagane basata su una errata comprensione della scrittura;

nel suo libro cercherà, ma come vedremo senza riuscirci, di dimostrarlo. Diversamente il nostro

elaborato ritiene questo dogma, come la Chiesa ha sempre insegnato e detto, uno dei principali

misteri della fede cristiana.

Ma, a parte le diverse posizioni di partenza e, comunque sia, a prescindere da esse, durante la lettura

del nostro elaborato ci si accorgerà come la “lente di ingrandimento” dimostrerà inesorabilmente

tutta la fragilità e l’inconsistenza interna dell’opera di Felice: le conclusioni alle quali giunge sono

smentite dalle stesse opere o citazioni che lui stesso apporta come prove che vogliono fondare e

giustificare le sue tesi.

Chiediamo anticipatamente scusa qualora il lettore incontrasse espressioni o modi di dire che

 potrebbero apparire ironici o duri: come già accennato prima, non sono certamente segno di biasimo

 per nessuno.

Per concludere, teniamo a precisare inoltre che nonostante questo studio, per usare un’espressione

familiare, sia stato “fatto in casa”, non perde certo la sua genuinità; infatti con una sufficiente dose

di scientificità e sistematicità si è cercato di dire in modo semplice e divulgativo ciò che è difficile e

importante, cioè l’amore di Dio fatto “carne e sangue” per la nostra salvezza.

1 Uno scritto o un discorso “in difesa di”

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“All’alba del cristianesimo, fin verso gli anni 80, non esisteva il problema di 

credere ai dogmi: essi non erano stati ancora formulati. Solo negli scritti 

 giovannei, intorno agli anni 80-85, apparve la necessità di credere a uno dei nostri 

dogmi attuali:

Gesù è Dio” 2

2 Cfr. Marie-Emile Boismard,  ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO, Prima della nascita dei dogmi, PIEMME, CasaleMonferrato 2000, 78

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LA SANTISSIMA TRINITA’ E I TESTIMONI DI GEOVA

Unità e Trinità di Dio, insieme all’ Incarnazione  Passione Morte e Risurrezione di Gesù sono i

misteri principali della fede cristiana. “Concepiti” dalla vita delle primissime comunità cristiane e

fissate nelle Sacre Scritture come dato fondante hanno sempre accompagnato lo studio e lariflessione della Chiesa.

Certo, non è facile ne tantomeno immediato in poche pagine provare a “dire qualcosa” del mistero

trinitario, o cercare di “sapere” chi è Dio e com’ è fatto.

Il libro del TdG Felice Buon Spirito3 che ci prestiamo ad analizzare, è certamente una buona

occasione, seppur con semplicità e discrezione, per potere ma anche dovere presentare alcune

considerazioni a riguardo.

A prima vista il binomio Trinità - Testimoni di Geova ai più può apparire strano e fuori luogo, ma

in verità è voluto e mirato: i TdG, infatti, pur dicendosi cristiani, ritengono che la Trinità non sia

radicata nella Sacra Scrittura, ma al contrario un residuo pagano delle culture precristiane;4 nella

stessa Bibbia, dicono, non compare mai la parola Trinità, e non si parla mai in termini di  persona

divina, natura o essenza.

Vediamo di fare un po’ di chiarezza.

Intanto non basta semplicemente ricordare l’origine extrabiblica di un rito o di una credenza per 

considerarla di conseguenza incompatibile con la Bibbia; anche il battesimo era conosciuto prima

del cristianesimo, così come i riti della pasqua ebraica provenivano da religioni precedenti. La

credenza negli angeli, nella risurrezione o nel giudizio universale erano comuni ad altre fedi; la

narrazione della creazione del mondo o del diluvio universale erano antecedenti al mondo biblico e

appartenenti a culture molto più antiche, eppure tutto questo è parte della primissima esperienza

anche della fede cristiana.

Inoltre, se è certamente vero che la parola Trinità non compare mai nella Bibbia (anche se questo,

comunque, non prova niente), lo è del resto anche di altri termini o espressioni che i TdG usano e

citano comunemente come “corpo direttivo”, “maresciallo di campo” o “teocrazia”; si intende,

come ben sottolineano i Padri della Chiesa, che se anche il termine non si legge tra le righe della

Scrittura, essa tuttavia ne è talmente impregnata da farne emerge il suo pieno senso e significato.

Ad ogni modo, come affronteremo più approfonditamente in seguito, il termine “trinità” viene usato

sia in Oriente (Teofilo di Antiochia) che in Occidente (Tertulliano) a partire dalla fine del II sec.,

3 Felice Buon Spirito,  LA TRINITÁ, VERITÁ O FALSITÁ. Cosa insegnano veramente la storia e le Sacre Scritture?,Azzurra7, Gardigiano di Scorzè (VE) 2007.4 Cfr  Ragioniamo facendo uso delle Scritture, Roma 1998, 403, 423-424

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ma la fede trinitaria è un dato consolidato già nel Credo o Simbolo apostolico, nella liturgia

 battesimale e nelle formule di invocazione (dossologie) del II e III sec.

Era certo comunque che tale dottrina poneva talvolta nuovi problemi, soprattutto in relazione

all’ambiente culturale in cui la comunità cristiana si radicava. Il cristianesimo, come l’ebraismo, si

era situato fin dalle origini in un alveo rigidamente monoteista rispetto a tutte le altre religioni

 politeiste che lo circondavano; un  Dio uno e trino poteva dare facilmente adito a cedimenti

 politeisti. D’altra parte era esigenza dei cristiani non avere incertezze sull’identità di Gesù di

 Nazaret, Figlio di Dio, la quale poteva risultare solo da una corretta interpretazione dei rapporti

trinitari scritturistici. A questo ha pensato la Chiesa nei primi grandi concili di Nicea (325) e di

Costantinopoli (381) che hanno risolto le vivacissime dispute trinitarie presentando la fede cristiana

ai “greci” esprimendola nei termini e nei concetti propri della loro cultura più sofisticata. Poiché il

loro linguaggio si discostava da quello specificatamente biblico alcuni, troppo frettolosamente come

i TdG, l’hanno giudicato un tradimento del genuino pensiero cristiano. In verità non c’è stata

l’ellenizzazione del cristianesimo, ma bensì la cristianizzazione dell’ellenismo.

La Chiesa è arrivata così a un dato teologico fondamentale della dottrina trinitaria: in Dio c’è

un’UNICA  NATURA DIVINA  (cioè un solo Dio) IN TRE  PERSONE (Padre, Figlio, Spirito Santo)

UGUALI (in quanto alla natura che è unica) e DISTINTE (in quanto alla vicendevole e reale

relazione tra queste persone). Natura e persona sono proprio categorie e concetti presi in prestito dalla cultura e dal linguaggio

del mondo greco.5 

Ma allora la dottrina della Trinità è stata inventata dopo? Non è stata inventata la dottrina della

Trinità, ma è stato “inventato” o meglio “elaborato” il modo di presentare questa dottrina trinitaria,

che doveva essere ben compresa nella cultura propria del mondo greco, senza con questo

allontanarsi dal dato biblico.

Arriviamo così ad una prima e chiara conclusione che in seguito riprenderemo:• la Trinità è un insegnamento biblico, cioè si fonda sulla Parola di Dio contenuta nella

Sacra Scrittura (Bibbia), che può essere “scoperto” con due modalità diverse ma nello stesso

tempo complementari, come le due facce di una stessa medaglia. Eccole

PRIMA MODALITA’; quella strettamente biblica - semita, molto “pratica”, “funzionale”, nel senso

che la Trinità è vista secondo gli effetti che produce nel disegno salvifico attuato da Dio nella

storia dell’uomo; può rispondere alla domanda: “la Trinità che cosa fa?” (E’ chiamata dai teologi

Trinità economica)5 Natura o sostanza indicano ciò che una cosa è e non un’altra ; Persona o ipostasi indicano chi è qualcuno, l’io di unessere, la fonte della decisione e della responsabilità.

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SECONDA MODALITA’, quella appartenente alla cultura ellenistica, che trova la sua sintesi nei primi

grandi Concili, attraverso la riflessione teoretica e teologica posteriore. Si serve di elaborati termini

e categorie (natura e persona) ed è perciò più riflessiva e concettuale perché studia e spiega la

Trinità in se stessa; risponde alla domanda “la Trinità che cos’è?”, “come è fatta”? (E’ chiamatadai teologi Trinità immanente).

Prima di proseguire, un esempio, forse anche banale, ci può aiutare a capire meglio queste due

modalità di conoscenza: se noi chiedessimo a nostra mamma di spiegarci cosa sia il sale,  essa

certamente dopo averlo preso dal solito armadietto della cucina, ci farebbe subito notare le sue

caratteristiche esterne e visibili (granulosità, durezza, colore , ecc…) e determinate sue qualità che

rendono saporiti e gustosi i cibi; in questo caso potremmo dire di trovarci nella prima modalità di

conoscenza, corrispondente a quella del mondo biblico (il sale è visto secondo gli effetti che

produce).

Diverso invece sarebbe se chiedessimo ad un chimico da laboratorio le stesse informazioni circa lo

stesso sale: esso tralascerebbe sicuramente tutte le descrizioni, pur vere, di nostra mamma, per 

soffermarsi a guardare, analizzare e capire al microscopio come sia fatto il sale “in se stesso”, cioè

la sua composizione chimica data da determinati elementi; ecco la seconda modalità di conoscenza,

vicina alla cultura greca che è più riflessiva (il sale è visto come è fatto in se stesso).

Come la mamma e il chimico hanno detto la verità sul sale ma da diverse angolazioni e punti di

vista, così anche la Bibbia e la riflessione teologica posteriore hanno detto il vero sulla Trinità, ma

chiaramente in modo diverso.

Il caso dei TdG che non accettano la formulazione teologica sulla Trinità (UNICA NATURA DIVINA

IN TRE PERSONE) è proprio simile a chi vedesse al microscopio i cristalli del sale da cucina e non

accettasse la relativa formula chimica “cloruro di sodio”.

L’impostazione e le conclusioni a cui arriva Felice Buon Spirito nel suo libro ne sono il tipico

esempio.

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PRESENTAZIONE

Sulla falsa riga del precedente libro di Felice Buon Spirito,  La Traduzione del Nuovo Mondo delle 

Sacre Scritture , MANIPOLATA O TRADOTTA FEDELMENTE?,  così intendo procedere con questo. 

Come già accennato, ci si limiterà nel limite del possibile, a “guardarlo sotto la lente di

ingrandimento”, anche se non mancheranno delle considerazioni personali, riprendendo e

rianalizzando le stesse fonti utilizzate da Felice per controllare la veridicità o meno delle sue tesi e

delle sue conclusioni.

La vastissima produzione letteraria della WT è abbondantemente corredata di citazioni di studiosi

molti dei quali provenienti dal mondo “cristiano” o comunque non apertamente allineati alle

dottrine geoviste. Se questo certamente contribuisce a rendere molto più credibili le loro

 pubblicazioni, serve anche a nascondere autentici artifici sperimentati e messi in atto per “piegare”

il testo citato alle tesi che si vogliono dimostrare: la tecnica dei puntini di sospensione viene molte

volte utilizzata per far dire alle fonti citate esattamente il contrario di quanto effettivamente

asseriscono.

Mi sono soffermato ad analizzare particolarmente la prima parte del libro, perché è attinente ai

 presupposti e ai pilastri fondanti del tema trinitario che viene affrontato, mentre ho sorvolato

nell’analisi dei versetti proposti da Felice, sia perché molti non riguardano il nostro tema, masoprattutto perché sono già stati ampiamente trattati nel precedente lavoro.

 Non potevano mancare alcune delle solite ma importanti raccomandazioni della stessa stampa

geovista che ho puntualmente riportato nell’introduzione: sono dei documenti preziosi, anzi

fondamentali per l’attendibilità e la certificazione di questo elaborato.

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INTRODUZIONE

«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una citazione dal

contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che l’autorità citata voleva dire.

Siate specifici nei vostri riferimenti»6 

 Accuratezza nelle affermazioni.

«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la verità ed

essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si dovrebbe fare non

solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò che diciamo intorno ad altri o

nel modo in cui li rappresentiamo, e negli argomenti che implicano dati scientifici o notizie

di cronaca. Le affermazioni errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può

essere ingrandito. Le inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto

all'autorità dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio

stesso»7 (il grassetto è mio)

«Può esistere la falsa religione? Dire e dimostrare che un’altra religione è falsa non è una

forma di persecuzione religiosa per nessuno. Non è persecuzione religiosa il fatto che una

persona informata smascheri pubblicamente una certa religione indicando che è falsa,

permettendo così di vedere la differenza tra la religione falsa e la religione vera. Ma per

smascherare e dimostrare che le religioni errate sono false, il vero adoratore dovrà usare un

autorevole mezzo di giudizio, una norma di valutazione che non possa rivelarsi falsa.

Smascherare pubblicamente la falsa religione è certo più importante che dimostrare che la notizia

di un giornale è falsa; è un servizio di pubblica utilità, anziché persecuzione religiosa, ed è

in relazione con la vita eterna e la felicità delle persone. E tuttavia le lascia libere di scegliere»8

«Dobbiamo esaminare non solo ciò che personalmente crediamo, ma anche ciò che è insegnato

da qualsiasi organizzazione religiosa alla quale siamo associati. Sono i suoi insegnamenti

in piena armonia con la Parola di Dio, o si basano sulle tradizioni degli uomini? Se amiamo la

verità, non c’è nulla da temere da tale esame»9 

«Ciò che nοi come studenti biblici doνremmo volere è quello che dice il testo greco originale.

Solo aνendo questo basilare significato possiamo determinare se la Traduzione del Nuovo Mondo ο

qualsiasi altra traduzione della Bibbia è giusta ο nο»10 

6 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 1557 Manuale per la Scuola..., 110, § 10,118 Torre di Guardia, 15/6/1964, 3689  La verità che conduce alla vita eterna, Brooklyn 1968, 1310 Torre di Guardia 1/6/1970, 340

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E’ con questo spirito ci mi accingo ad analizzare la dottrina della Trinità seguendo come si diceva,

il libro di Felice.

Partiamo intanto da alcune considerazioni che se per un verso “focalizzano” legittimamente il tema

in questione, dall’altra però fanno emergere una certa confusione a riguardo.

Ad esempio, nella prefazione del giornalista e scrittore Umberto Polizzi, mentre si descrive il

rapporto tra Gesù e il Padre, si legge:

«Nella sua trattazione [quella di Felice] fa spicco incontrovertibile il commento su una

testimonianza di Gesù Cristo che proibì di usare la parola “padre” come titolo religioso. In Matteo

23:9, Gesù disse: “E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro,

quello del cielo”. (CEI) Egli, non attribuì mai la parola “Padre” in relazione a se stesso, come

vorrebbero alcuni, ma la applicò sempre a Dio distinguendosi da Lui.»11

 

Sinceramente non si capisce a chi il giornalista faccia riferimento quando parla di “alcuni” che

vorrebbero attribuire a Gesù la parola “Padre”: chi sarebbero questi alcuni?

A scanso di equivoci diciamo subito che nessun trinitario nè tantomeno la Chiesa con il suo

insegnamento ha mai detto che Gesù si sia attribuito il titolo o il termine Padre: nelle Scritture

‘Padre’ è sempre riferito a Dio, e Gesù si è dichiarato il Figlio del Padre, o il Figlio di Dio,

distinguendosi certamente da Lui. Nella formulazione stessa del dogma trinitario, infatti, si fa una

chiara distinzione tra la ousìa, o sostanza divina, comune al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, e le

hypòstasi, che il latino come anche l’italiano traducono con  persone, che sono tre, distinte ma non

 separate.

Questo semplicemente per dire come molte volte, e nel nostro caso è lampante, sia facile per 

l’impostazione geovista generare degli equivoci partendo, appunto, da falsi presupposti più che da

un pensiero critico vero e proprio.12 

Se per Umberto Polizzi, in qualità di giornalista e scrittore, non avrei certamente motivo di dubitare

della sua professionalità, come teologo e biblista invece, nutrirei sicuramente più di qualche riserva.

Anche nella prefazione di Stefano Pizzorni vengono citati così due studiosi:

«Da tempo la maggior parte di biblisti e teologi è ben cosciente che la dottrina della trinità non si

trova formulata, in quanto tale, nelle scritture. Paolo Gamberini, un teologo gesuita, riconosce che

“il materiale biblico offre in quanto tale solo una possibilità, non una necessità per fondare una

dottrina trinitaria”2 e così Schillebeeckx ci ricorda che “i vangeli non parlano di ‘persone’ in Dio”3.

11 Felice Buon Spirito,  LA TRINITÀ VERITÀ O FALSITÀ? Cosa insegnano veramente la storia e le Sacre Scritture?,Azzurra7, Gardigiano di Scorzè (VE) 2007, 512 Cfr. Valerio Polidori,  I Testimoni di Geova e la falsificazione della Bibbia, EDB 2007, 102

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La lista potrebbe continuare, e questi autori, pur restando per lo più trinitari, riconoscono che non è

nelle affermazioni bibliche sul Padre, il Figlio e lo spirito che è possibile elaborare la dottrina della

trinità. Il libro di Felice Buon Spirito ha il pregio di indicarci in che misura questa “possibilità”

scritturale è ammissibile, ovvero fino a che punto è possibile usare le scritture per sostenere la

dottrina della trinità e in che misura essa è frutto dell’elaborazione di concetti filosofici successivi,

estranei alle scritture e all’ambiente in cui esse furono redatte»13 

Il lettore che si trova di fronte a questa citazione, è indotto a pensare che sia il teologo Gamberini,

 per giunta gesuita, che il grande Schillebeeckx, ingenerino il dubbio che la dottrina della Trinità non

abbia solide radici bibliche, anzi sia ad esse estranea.

In verità basta controllare la fonte riportata in un contesto più ampio per renderci conto che il

 pensiero dei due studiosi è ben diverso; come al solito le parti omesse sono in rosso:

«1. LA DOTTRINA DELLA TRINITÀ COME SUMMA EVANGELII 

Come i titoli cristologici hanno il compito di far emergere la verità teologica e soteriologia

dell’evento escatologico dell’identificazione di dio con Gesù crocifisso, così la dottrina della Trinità

ha la funzione di narrare vita, passione e morte di Gesù di Nazaret come storia di Dio. In quanto

 summa del vangelo, la dottrina della Trinità può garantire questa storia da qualsiasi riduzione

razionalistica o mitica di Dio. Come gli inni, le omologie e i titoli cristologici hanno essenzialmente

un valore salvifico e non meramente definitorio e assertivo, così anche la Trinità è una dottrina che

esprime una verità salutare. Il mysterium trinitatis è mysterium salutis.

La dottrina della Trinità deve essere elaborata non tanto mettendo insieme affermazioni bibliche sul

Padre, sul Figlio e sullo Spirito, quanto riflettendo sull’esperienza di salvezza in Gesù di Nazaret. 

Teniamo presente che il materiale biblico offre in quanto tale solo una possibilità, non una necessità 

 per fondare una dottrina trinitaria. <I vangeli non parlano di “persone” in Dio né lo fanno i primi 

grandi concili cristologici>.1 L’identificazione di Dio con Gesù crocifisso costringe a presupporre

una distinzione di Dio in se stesso, in cui Dio non si contraddice ma è corrispondenza d’amore. Se

la croce è l’evento fondatore della fede trinitaria, non solo il concetto dell’essenza divina non può

essere più pensato astratto dalla storia dell’essere trinitario di Dio, ma l’essere trinitario di Dio non

 può essere postulato, prescindendo dall’esperienza di Gesù di Nazaret»14 

 Nell’introduzione, lo stesso Felice Buon Spirito, quando accenna alle dichiarazioni del Consiglio

Ecumenico delle Chiese protestanti il quale ricorda come sia importante per la fede trinitaria

riconoscere Gesù come Dio, scrive:

13 Felice Buon Spirito, La Trinità…, 7-814 Paolo Gamberini, Questo Gesù (At 2,32). Pensare la singolarità di Gesù Cristo, EDB, 2007, 257

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«La cosa più strana è che anche se tutti credono in Gesù come Dio ci sono varie differenze di credi

trinitari e di dottrine varie»15

In verità non c’è nulla di strano semplicemente perché non ci sono mai stati né esistono differenti

credi trinitari; il credo cristiano della Trinità è sempre stato quell’unico formulato nei conciliecumenici di Nicea (325) e di Costantinopoli (381), prima attraverso la “viva voce” della Scrittura,

 poi con la riflessione teologica dei Padri pre-niceni che nei secoli II e III aveva già maturato i

cardini del sistema trinitario: la divinità di Cristo nella sua parità ontologica col Padre e, sebbene in

modo minore, la realtà “personale” dello Spirito.16 

Un'altra affermazione a dir poco “azzardata” che non può certo “passare in sordina” la leggiamo

nella sezione dove Felice parla del Concilio di Nicea:

«Verso il IV secolo, Atanasio, Vescovo di Alessandria, sosteneva che Gesù e Dio fossero la stessa

 persona»17 

Diciamo subito che Atanasio non ha mai né detto nè pensato questo, anzi è stato un teologo che ha

sempre mantenuto il paradosso della rivelazione biblica, la quale afferma che in Dio vi è una reale

generazione (il Figlio è realmente distinto dal Padre – contro la posizione sabelliana), senza che

questo implichi una divisione di sostanza in Dio – il che condurrebbe al politeismo).18 

L’inconsistenza dell’affermazione di Felice è inoltre confermata dal fatto che qui Felice non citanessuna fonte, appunto perché non esiste nessuna lettera o scritto che sostenga la sua tesi.

Chi invece negava l’esistenza propria delle tre Persone divine a favore di un monoteismo radicale

(unico Dio/soggetto personale) era l’eresia trinitaria del monarchianesimo del II° e III° sec., che si

conformò nel monarchianesimo adozionista (o adozionismo) e in quello  patripassiano (o

modalista), per il quale l’unico Dio si manifesta in tre modi diversi (Padre, Figlio e Spirito Santo).

Il monarchianesimo modalista poi prese anche il nome di  sabellianismo, dall’eretico Sabellio che

 presentava l’unità e indivisibilità di Dio, formata da una sola persona (ipòstasi) e tre diverse formeo modi in cui Dio si manifestava: Padre nell’AT, Figlio nel NT e Spirito Santo nella Pentecoste.19

Ci sono inoltre altre considerazioni di Felice più tecniche e ponderate, che ci aiutano certamente

meglio ad entrare nel “vivo” della questione;

15 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 916 Cfr. Valerio Polidori,  I Testimoni di Geova…, 10117 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 4118 Cfr. ATANASIO, Il Credo di Nicea, 3819 Cfr. LDTE , 673

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«L’Autore mette, nel suo giusto rilievo, il fatto che Gesù fu un vero uomo, per cui sottintende come

si può dire che questo vero uomo fu anche contemporaneamente anche vero Dio?»20

Una risposta chiara ed esaustiva la estrapolo dalla terza appendice del libro di Brown, già molte

volte citato dalla stampa geovista:

«Il lento sviluppo dell’uso del titolo ‘Dio’ per Gesù richiede una spiegazione… Nello stadio più

 primitivo del cristianesimo, l’eredità veterotestamentaria dominava l’uso di ‘Dio’, per cui ‘Dio’ era

un titolo troppo stretto per essere applicato a Gesù. Si riferiva strettamente a ‘Colui che è in cielo’,

al quale Gesù si rivolgeva come Padre e indirizzava preghiere. Gradualmente (negli anni cinquanta

e sessanta?), nello sviluppo del pensiero cristiano, ‘Dio’ fu compreso come un termine più ampio286.

Dio si era rivelato in Gesù in modo tale che la designazione ‘Dio’ doveva poter includer sia il Padre

che il Figlio287. L’ultima letteratura paolina sembra rientrare in questo stadio di sviluppo. Se Rm 9,5

chiama Gesù Dio, è un caso isolato nel più ampio ambito delle principali opere paoline, che

 presentano Gesù come Signore e il Padre come Dio. Dal tempo delle pastorali, ad ogni modo, Gesù

è ben conosciuto come ‘Dio-e-Salvatore’. Le opere giovannee risalgono agli ultimi anni del secolo,

quando l’uso di ‘Dio’ per Gesù era divenuto comune… Nel NT perciò non c’è alcun evidente

conflitto tra i passi che chiamano Gesù Dio e i passi che sembrano descrivere Gesù incarnato come

minore di Dio o del Padre289. Il problema di come, durante il tempo della sua vita, Gesù potesse

essere contemporaneamente Dio e uomo è rappresentato, nel NT, non dall’uso del titolo ‘Dio’, ma

da alcuni degli strati più recenti del materiale evangelico che pongono in evidenza la divinità di

Gesù anche prima della risurrezione290… L’acclamazione di Gesù come Dio è una risposta di

 preghiera e di culto al Dio rivelato in Gesù… Così, anche se abbiamo visto che c’è un solido

 precedente biblico per chiamare Gesù ‘Dio’, dobbiamo valutare con cautela quest’uso all’interno

dell’ambiente neotestamentario. Una ferma adesione ai più recenti sviluppi teologici e ontologici,

che portano alla confessione di Gesù Cristo come ‘Dio vero da Dio vero’, non deve indurre i

credenti a sopravvalutare o a sottovalutare la meno sviluppata confessione neotestamentaria»21 

Anche il Kelly, abbondantemente citato da Felice, offre una risposta a riguardo:

«In genere gli scrittori del Nuovo Testamento consideravano Cristo preesistente e tendevano ad

attribuirgli un duplice ordine di essere: “secondo la carne” (kat¦ s£rka), cioè in quanto uomo, e

“secondo lo Spirito” (kat¦ pneàma), cioè in quanto Dio. Questa formula era così profondamente

conficcata nel loro pensiero che F. Loofs a buon diritto la definì “il dato fondamentale di tutto lo

20 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 521 Raymond E. Brown, Introduzione alla Cristologia del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1995, 188-190

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sviluppo cristologico posteriore”. Dato che essa conteneva tutti gli elementi del problema

cristologico, dei cristiani non superficiali e riflessivi difficilmente potevano ignorarla»22 

«Ogni persona desiderosa di conoscere la verità dovrebbe esaminare questa dottrina per determinare

se è conforme agli insegnamenti di Gesù Cristo. Questo studio sulla dottrina della Trinità è stato preparato proprio a tal fine»23 

 Non possiamo che essere d’accordo con Felice. Apprestiamoci dunque ad esaminare, per quanto ci

è possibile in un modo sufficientemente scientifico, la dottrina della Trinità, determinandone la

conformità o meno agli insegnamenti neotestamentari e ai Padri apostolici.

Può essere superfluo ricordare, ma per amor di precisione si ribadisce, che Felice, essendo TdG, non

crede che la dottrina della Trinità sia un insegnamento biblico e parte integrante del credo e della

fede delle primissime comunità cristiane a cui appartenevano i Padri apostolici.

Egli entra subito nel merito, e nella sua disanima analizza giustamente gli scritti di questi primi

 padri, seguendo sostanzialmente l’opera curata da Antonio Quacquarelli  I PADRI APOSTOLICI ,

Collana di testi patristici, Città Nuova. In sole tre pagine (veramente poche) e con qualche

tendenziosa citazione (come spesso capita nella stampa dei TdG) estrapolata ad hoc, liquida il

 problema, e introducendo più avanti la sezione degli apologisti dice:

«Abbiamo visto che i Padri Apostolici non insegnarono la dottrina della Trinità. Che dire degli

Apologisti?»24 

Poco sopra ho parlato di “citazione tendenziosa”: non vuole essere un gratuito giudizio negativo

verso nessuno, e per questo mi accingo subito a dimostrarne la fondatezza. Per esempio, a pag. 25,

Felice scrive:

«In questi scritti [si parla dei Padri], che risalgono alla fine del I secolo e all’inizio del II, sembra

che non si trovi nessun sostegno per la dottrina trinitaria, a parte qualche raro caso da interpretare.

Infatti, “molti studiosi oggi insistono nel dire che i P.A. non hanno nella loro mente chiara la

dottrina trinitaria”. (I Padri Apostolici, Antonio Quacquarelli, Roma, Città Nuova Editrice, IX

edizione (1998); pagg. 9,10)» (sottolineatura mia)

Perché questa citazione è tendenziosa? Per due semplici motivi:

22 John N.D. Kelly, IL PENSIERO CRISTIANO DELLE ORIGINI , EDB 1999, 17123 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 924 Idem, 31

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1) Dalla lettura del Quacquarelli si evince con chiarezza (lo vedremo più avanti) come la dottrina

della Trinità appartenga in pienezza agli scritti e all’insegnamento dei Padri che a loro volta si

 basavano sull’autorità della scrittura;

2) Felice cita fuori contesto il Quacquarelli per avvalere e confermare la sua tesi (si tende cioè a portare il lettore a convincersi che anche lo studioso sarebbe d’accordo nel ritenere che

l’insegnamento dei Padri avesse poco o nulla a che fare con la Trinità), mentre questo non è ciò che

esattamente dice il Quacquarelli;

Andiamo infatti a leggere in un contesto più ampio la stessa fonte

«Affrettatamente molti studiosi oggi insistono nel dire che i P.A. non hanno nella loro mente chiara

la dottrina trinitaria. Anzi, aggiungono che confondono lo Spirito Santo col Cristo. Per questo èstato coniato un termine che caratterizza tale confusione: la pneumacristologia.  Non vogliamo

annoiare il lettore con questioni che ci portano lontano dallo spirito dei P.A. i quali ci esortano a

non ascoltare le parole inutili»25

E’ chiaro che solo leggendo per intero con le parti omesse in rosso la citazione, si nota come il

Quacquarelli non “aiuti” la tesi di Felice, anzi dice che le conclusioni a cui arrivano alcuni studiosi

sono “affrettate” ben lontane dallo spirito dei Padri, e dunque non corrispondenti al loro pensiero.

 Non a caso ho riportato all’inizio le due fondamentali raccomandazioni del  Manuale per la scuoladi ministero (che non sono scritti del Vaticano ma della WT ), e che tantissime volte sono la prova

del nove per confermare o smentire le tesi della stampa geovista.

E questo è solo un esempio.

Prima di proseguire, considerata la tesi di Felice secondo la quale i Padri Apostolici non

insegnavano la dottrina della Trinità, vediamo effettivamente cosa dice il Quacquarelli. Dopo una

 prima “zummata” dello stesso sul pensiero generale dei P.A., si analizzerà la specificità di ciascuno.

I PADRI APOSTOLICI

«I Padri Apostolici sono gli autori cristiani più antichi… i loro scritti… hanno un valore

inestimabile per la conoscenza della prima e della seconda generazione cristiana… Essi sono il

documento della potenza con cui la parola di Cristo era entrata nella vita della prima comunità

apostolica e sub-apostolica… E la teologia di questi Padri è vita, fondata su Cristo, amato in modo

appassionato… Egli è il centro del loro discorso. Cristo, la Trinità, la Chiesa, ecco le modulazioni di

questa prima letteratura cristiana…

25 Antonio Quacquarelli, I Padri Apostolici…, 9-10

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 Non hanno bisogno di costruzioni filosofiche o di grandi ragionamenti, ma di poche riflessioni

dell’esperienza che ogni giorno essi fanno delle cose che cadono sotto i loro occhi. Invano uno può

cercare una esposizione metodica organica e completa di una dottrina teologica come la intendiamo

oggi…

1. …Nel leggerli dobbiamo anzitutto tener presente l’enorme importanza che la sacra Scrittura

aveva per loro…7 Prendiamo i saluti di Ignazio alle singole chiese. Sono saluti che non hanno nulla

in comune con quelli degli autori latini e greci classico-pagani. Essi sviluppano i motivi di gloria

che dalla Chiesa particolare passano al Padre e al Figlio e dal Padre al Figlio passano, mediante lo

Spirito Santo, alla Chiesa universale…

Usano termini… per indicare l’azione tangibile dello Spirito nella comunità, la Chiesa e l’opera del

Cristo presso il Padre… 2. Affrettatamente molti studiosi oggi insistono nel dire che i P.A. non

hanno nella loro mente chiara la dottrina trinitaria. Anzi, aggiungono che confondono lo Spirito

Santo col Cristo. Per questo è stato coniato un termine che caratterizza tale confusione: la

 pneumacristologia. Non vogliamo annoiare il lettore con questioni che ci portano lontano dallo

spirito dei P.A. i quali ci esortano a non ascoltare le parole inutili…

Contro ogni innovazione che veniva a scardinare dalla base il fondamento della Chiesa si ricorreva

alla testimonianza dei P.A. Le insorgenze antitrinitarie, per Basilio Magno, si infrangevano contro

lo scoglio dei P.A. Per lui la concezione dello Spirito Santo era ormai divenuta una nozione

comune. Egli, nell’opera De Spirtu Sancto (29,72), accenna alla dossologia trinitaria di Clemente

Romano per dire contro gli ariani quanto fosse vissuto sin dalle origini il principio della Trinità.

Molti sono gli elementi che attestano la coscienza trinitaria dei P.A….

I P.A. vivono la Trinità che è sottesa alla vita della comunità, la Chiesa, e di ogni fedele. Pressante è

il loro appello nei momenti di crisi, come quello di Clemente Romano… Qui la sua dossologia:

“Vive Dio, vive il Signore Gesù Cristo e lo Spirito Santo, la fede e la speranza degli eletti” (LVIII,

2)… Sant’Ignazio esorta i Magnesii ad essere forti negli insegnamenti del Signore e degli Apostoli

 perché tutto possa riuscire bene nella fede e nella carità con il Figlio, con il Padre, e con lo Spirito

dal principio alla fine… Bisogna essere sottomessi al vescovo e gli uni agli altri, come Gesù Cristo

è sottomesso nella sua umanità al Padre, e come gli Apostoli a Gesù Cristo, al Padre e allo Spirito

Santo (Magn.  XIII , 1-2)… Lo Spirito Santo viene ad essere espresso in una di quelle forme

spontanee che sono la caratteristica della prosa dei P.A. Si cerca cioè una spiegazione sommaria

della unità che è nel contempo trinità divina. Per Ignazio di Antiochia ogni fedele è portatore di

Dio, di Cristo e dello Spirito Santo (Efes. IX , 2)… Per il Pastore d’Erma lo Spirito Santo è eterno

(Sim. LIX [6] 5) santifica la carne, abita nelle anime docili e tranquille (Prec. XXXIV [2] 6) erifugge da quelle tristi e anguste… Ignazio di Antiochia, per la costruzione del tempio del Padre,

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vede nei cristiani le pietre elevate da Gesù con l’argano che è la croce, e con la corda che è lo

Spirito Santo (Efes. IX , 1)…

 Per l’uso delle espressioni Cristo che è Dio, lo Spirito che è Cristo dobbiamo pensare al concetto

dell’unità divina indissolubile del Padre, del Figlio e dello Spirito, che era chiaro nei P.A. Perciò

 Dio era il Padre, Dio era il Figlio, Dio era lo Spirito Santo, intenti ad una medesima azione di

 salvezza. Ogni incomprensione in questo senso urta i P.A. Se non dimentichiamo quanto è scritto

nella Lettera a Diogneto, che Gesù Cristo fu mandato come Dio e come uomo tra gli uomini (VII,

4), comprendiamo anche il linguaggio di Iganzio di Antiochia. In una sua dossologia leggiamo:

“Gloria a Gesù Cristo Dio” (Smirn. I, 1), e in un altro passo che “Gesù Cristo, nostra vita

inseparabile è la mente del Padre” (Efes. III, 2) e altrove ancora che “la scienza di Dio è Gesù

Cristo” (Efes. XVII, 2). Ignazio di Antiochia spiega agli Efesini che “nostro Dio, Gesù Cristo è

 stato portato nel seno di Maria secondo l’economia divina, nato dalla razza di David e dello

Spirito Santo” (XVIII, 2)»26 

Fin qui a grandi linee l’introduzione generale del libro di Quacquarelli; ora vediamo i singoli padri

così come li cita Felice.

BARNABA

Felice riporta un brano del Quacquarelli dove si accenna alla circoncisione di Abramo che nellospirito prevedeva Gesù; questo è un esempio di esegesi tipologica in un linguaggio simbolico, che

 può far da modello per capire come era intesa allora la Scrittura comune alla cultura dell’epoca che

a noi ora sfugge.27 In Barnaba c’è un continuo richiamo alla profezie dell’Antico Testamento in

diretto riferimento a Cristo:

«5. Ancora questo, fratelli miei: se il Signore volle patire per la nostra anima perché, egli che è il

Signore di tutto il mondo, al quale Dio dopo la creazione del mondo disse: “Facciamo l’uomo a

nostra immagine e somiglianza” perché tollerò di patire per mano dell’uomo? Imparate. 6. I profetiche da lui hanno ricevuto la grazia profeteranno per lui. Egli per abolire la morte e per provare la

risurrezione dei morti doveva incarnarsi e soffrì… Allora manifestò di essere il Figlio di Dio. 10. se

non fosse venuto nella carne, come gli uomini si sarebbero salvati nel vederlo se non sono capaci di

guardare il sole, destinato a scomparire, opera delle sue mani, e fissare gli occhi nei suoi raggi?»28 

26 Idem, vedi copertina, 7-12. 1727 Idem, vedi soprattutto VII – IX. XII, 196-200; 203 - 20528 Idem, Lettera di Barnaba V , 192-193

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Anche se non si parla in questa lettera di Gesù come Dio né di Trinità, è chiara la profonda unità tra

Dio, il Padre, e suo Figlio Gesù nell’opera della redenzione e della salvezza attuata

dall’incarnazione.

CLEMENTE ROMANO

«Ascoltate il nostro consiglio, e non avrete a pentirvi. Vive Dio, vive il Signore Gesù Cristo e lo

Spirito Santo, la fede e la speranza degli eletti… da Dio sarà posto e annoverato nel numero dei

salvati da Gesù Cristo, per mezzo del quale a Lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.»29

«Non abbiamo un solo Dio, un solo Cristo e un solo spirito di grazia effuso su di noi e una sola

vocazione in Cristo?»30

«Gli apostoli predicarono il vangelo da parte del Signore Gesù Cristo che fu mandato da Dio. 2.

Cristo da Dio e gli apostoli da Cristo. Ambedue le cose ordinatamente dalla volontà di Dio. 3.

Ricevuto il mandato e pieni di certezza nella risurrezione del Signore nostro Gesù Cristo e fiduciosi

nella Parola di Dio con l’assicurazione dello Spirito Santo andarono ad annunziare che il regno di

Dio era per venire»31 

«La fede in Cristo conferma tutte queste cose. Egli per mezzo dello Spirito Santo così ci esorta:

“Figli, ascoltatemi: vi insegnerò il timore del Signore…”»32 

Bastano solo queste poche citazioni (naturalmente tralasciate da Felice) perché emerga con

chiarezza anche in Clemente una marcata coscienza trinitaria: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo

compiono tre attività distinte sul piano dell’economia divina in relazione agli uomini; certo, se

 pretendiamo come ritiene Felice, che Clemente si esprima con modi e categorie posteriori e

ontologiche (relative al piano dell’essere), naturalmente si è fuori strada.

ERMARiguardo all’opera “Il Pastore” dell’omonimo padre, è interessante la citazione di Felice; riporto

testualmente:

«La sua opera, “Il Pastore” contiene forse qualche elemento che c’induce a ritenere che egli

credesse in un Dio trino? Egli “Non nomina mai Cristo ma usa i termini Salvatore, Figlio di Dio o

Signore…e dice che lo Spirito Santo è Figlio di Dio…dice che lo Spirito Santo (78,1) si è

incarnato”. (I Padri Apostolici, Antonio Quacquarelli, Roma, Città Nuova Editrice, IX edizione

29 Idem, ai Corinti LVIII , 1-230 Idem, XLVI, 231 Idem, XLII, 1-332 Idem, XXII, 1

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(1998); pag. 240). Possiamo fidarci di frasi del genere come quelle appena citate o di quella dove si

dice che “Lo Spirito Santo è Figlio di Dio”? (LXXVIII,1) (I Padri Apostolici, Antonio

Quacquarelli, Roma, Città Nuova Editrice, IX edizione (1998); pag. 316)»33 

Subito dopo lo stesso Felice, parlando sempre di Erma e del suo pensiero circa il Figlio di Dio, citaun altro studioso, il Kelly, scrivendo testualmente così:

«A proposito di ciò che Erma pensava del Figlio di Dio, John N. D. Kelly scrive: “In alcuni brani

leggiamo di un angelo, superiore ai sei angeli che formano il consiglio interno di Dio, regolarmente

definito <<il più venerabile>>, <<santo>> e <<glorioso>>. A questo angelo è dato il nome di

Michele ed è difficile sfuggire alla conclusione che Erma vide in lui il Figlio di Dio e lo identificò

con l’arcangelo Michele…E’ pure evidente…il tentativo di interpretare Cristo come una sorta di

angelo supremo…”. (Il pensiero cristiano delle origini, J. N. D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione

riveduta a cura di G. Gramaglia,1984, pagina 119)»34 

Felice, citando in questo modo l’opera Il Pastore, induce il lettore a dubitare fortemente che Erma

avesse una forte coscienza trinitaria di Dio, e lo porta a non fidarsi del suo pensiero e del suo

insegnamento. Basta però controllare la fonte per scoprire giusto il contrario; riporto in rosso le

 parti della citazione del Quacquarelli omesse da Felice:

«Descrive la realtà cristologica ed ecclesiale attraverso una simbolica tutta particolare per noi mache i fedeli dell’epoca ben comprendevano. Non nomina mai Cristo ma usa i termini Salvatore,

Figlio di Dio o Signore. Non trova termini adeguati per indicare l’eterna attività dello Spirito Santo

e dice che lo Spirito Santo è Figlio di Dio, una terminologia che serve a non separare lo Spirito

Santo dal Figlio (59 [6]; 60 [7]). Perciò dice che lo Spirito Santo (78,1) si è incarnato»35 

E’ solo leggendo la citazione per intero che emerge con chiarezza il vero pensiero di Erma: intanto

“usa una simbologia particolare per descrivere la realtà di Cristo che capivano i fedeli dell’epoca e

non noi oggi”; poi se “non trova dei termini adeguati per indicare l’eterna attività dello Spirito

Santo”, crede comunque che sia eterno,36 e dunque divino, - come infatti dice qui e anche altrove

(Sim. LIX [6] 5; Prec. XXXIV [2] 6); infine dice che lo Spirito Santo è Figlio di Dio perché è “una

terminologia che serve a non separare lo Spirito Santo dal Figlio”, e giustifica “perciò” che lo

Spirito Santo si sia incarnato.

33 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 2734 Idem35 Antonio Quacquarelli, I Padri Apostolici…, 24036 Idem, vedi anche LIX [6] 5, 300; XXXIV [2] 6, 274; LX (7), 301; LXXVIII (1), 316

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Circa la citazione del Kelly riguardo a Gesù come a un angelo, basta andare a controllare più

ampiamente la fonte alle pagine 118-119 per capire come stanno effettivamente le cose; come al

solito riporto in rosso le parti della citazione omesse da Felice:

«Evidentemente Erma considera tre personaggi distinti: il padrone (cioè Dio Padre), il suo “figliodiletto” (cioè lo Spirito Santo) e il servitore (cioè il Figlio di Dio, Gesù Cristo). Però la distinzione

fra i Tre sembra datare dall’Incarnazione; come preesistente, il Figlio di Dio è identificato con lo

Spirito Santo, cosicché prima dell’Incarnazione sembrano esservi state soltanto due Persone divine:

il Padre e lo Spirito Santo. La terza, il Salvatore o Signore, fu innalzato al loro livello in ricompensa

dei suoi meriti, perché ha efficacemente cooperato con lo Spirito preesistente che dimorava in lui.

La teologia di Erma, quindi, è un amalgama di binitarismo e di adozionismo (sebbene egli abbia

fatto il tentativo di conformarsi alla formula triadica accettata nella Chiesa), ulteriormentecomplicata dal fatto che era attraversata da un complesso d’idee totalmente diverso. In alcuni brani

leggiamo di un angelo, superiore ai sei angeli che formano il consiglio interno di Dio, regolarmente

definito <<il più venerabile>>, <<santo>> e <<glorioso>>. A questo angelo è dato il nome di

Michele ed è difficile sfuggire alla conclusione che Erma vide in lui il Figlio di Dio e lo identificò

con l’arcangelo Michele… Le testimonianze che possiamo raccogliere dai Padri Apostolici sono

scarse, e ci turbano perché sono inconcludenti. La preesistenza di Cristo generalmente era ammessa,

e così pure il suo ruolo nella creazione e nella redenzione: un tema che potrebbe orientare ai paralleli paolini e giovannei e che si accorda bene con la funzione creatrice assegnata alla Sapienza

nel tardo giudaismo… E’ pure evidente, come abbiamo osservato nel paragrafo precedente, il

tentativo di interpretare Cristo come una sorta di angelo supremo; qui possiamo scorgere l’influsso

dell’angeologia giudaica. Naturalmente non vi è alcun cenno alla dottrina della Trinità in senso

stretto, sebbene la formula triadica della Chiesa abbia lasciato ovunque la sua impronta»37

Intanto dalla citazione completa emerge chiaro il trinitarismo di Erma (come anche la Chiesa

accettava), anche se amalgamato di binitarismo e di adozionismo, condizioni del tutto normaliconsiderato il determinato e particolare periodo dove i padri sono chiamati a operare.

Il tentativo, poi, di interpretare Gesù Cristo come una sorta di angelo supremo, non era certo un

ortodosso insegnamento cristiano, ma un’influenza dell’angeologia giudaica; perciò questo non può

essere preso a conferma delle tesi di Felice e dei TdG che considerano Gesù l’Arcangelo Gabriele.

Dunque, alla domanda di Felice <Possiamo fidarci di frasi del genere come quelle appena citate o di

quella dove si dice che “Lo Spirito Santo è Figlio di Dio”?>, si risponde con fermezza che delle

37 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini, 2ª ed., EDB, 1999, 118-119

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frasi citate da lui stesso e soprattutto di come le ha citate non c’è da fidarsi di sicuro! Nulla di più

indicato che le solite preziose raccomandazioni:

«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una citazione dal

contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che l’autorità citata voleva dire.

Siate specifici nei vostri riferimenti»38 

 Accuratezza nelle affermazioni.

«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la verità ed

essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si dovrebbe fare non

solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò che diciamo intorno ad altri o

nel modo in cui li rappresentiamo, e negli argomenti che implicano dati scientifici o notizie

di cronaca. Le affermazioni errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può

essere ingrandito. Le inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto

all'autorità dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio

stesso»39 (il grassetto è mio)

Essendoci accertati di quello che il Quacquarelli dice veramente, si può ritenere che anche Erma

avesse una chiara e sostanziale coscienza trinitaria di Dio.

IGNAZIO DI ANTIOCHIA

Con Ignazio si arriva all’apice della concezione cristologia espressa dai P.A. Chiara risulta la

funzione delle tre Persone nella sua cristologia. Ignazio come insiste sull’umanità di Gesù Cristo,

con termini realistici della vita fisica e vegetativa per richiamare la vera natura della sua carne che è

la nostra carne (cioè vero uomo come noi), così insiste sulla sua divinità al punto di chiamare Cristo

Dio. Parlando della Chiesa Ignazio scrive nel saluto agli Efesini:

«Iganzio, Teoforo, a colei che è stata benedetta in grandiosità… che è stata scelta nella passione

vera per volontà del Padre e di Gesù Cristo, Dio nostro, la Chiesa degna di essere beata»40 

«Non c’è che un solo medico, materiale e spirituale, generato e ingenerato, fatto Dio in carne, vita

vera nella morte, nato da Maria e da Dio, prima passibile poi impassibile, Gesù Cristo nostro

Signore»41

38 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 15539 Manuale per la Scuola..., 110, § 10,1140 Antonio Quacquarelli, I Padri Apostolici…, Saluto agli Efesini, 9941 Idem, VII, 2

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«Il nostro Dio, Gesù Cristo è stato portato nel seno di Maria, secondo l’economia di Dio, del seme

di David e dello Spirito Santo»42 

«C’è un solo Dio che si è manifestato per mezzo di Gesù Cristo suo Figlio, che è il suo Verbo uscito

dal silenzio»43

«Cercate di tenervi ben saldi nei precetti del Signore e degli apostoli perché vi riesca bene tutto

quanto fate nella carne e nello spirito, nella fede e nella carità, nel Figlio, nel Padre e nello Spirito…

Siate sottomessi al vescovo e gli uni agli altri, come Gesù Cristo al Padre, nella carne, e gli apostoli

a Cristo e al Padre e allo Spirito, affinché l’unione sia carnale e spirutuale»44

«Voi siete pietre del tempio del Padre preparate per la costruzione di Dio Padre, elevate con

l’argano di Gesù Cristo che è la croce, usando come corda lo Spirito Santo… Siate tutti compagnidi viaggio, portatori di Dio, portatori del tempio, portatori di Cristo e dello Spirito Santo»45 

«Ignazio, Teoforo, a colei che ha ricevuto misericordia… nella fede e nella carità di Gesù Cristo

Dio nostro, che presiede nella terra di Roma… il mio saluto nel nome di Gesù Cristo, Figlio del

Padre. A quelli che sono uniti nella carne e nello spirito… l’augurio migliore e gioia pura in Gesù

Cristo, Dio nostro»46 

«E’ bello per me morire in Gesù Cristo… Cerco quello che è morto per noi; voglio quello che è

risorto per noi. Il mio rinascere è vicino. Perdonatemi, fratelli. Non impedite che io viva, non

vogliate che io muoia… Lasciate che io sia imitatore della passione del mio Dio»47 

«Gloria a Gesù Cristo Dio che vi ha resi così saggi»48

«Vi prego di essere forti nel Dio nostro Gesù Cristo e in lui rimanete nell’unità e sotto la vigilanza

di Dio»49 

«Guardatevi dunque da questi. Ciò sarà possibile non gonfiandovi e non separandovi da Dio Gesù

Cristo, dal vescovo e dai precetti degli apostoli»50

«Dio nostro Signore Gesù Cristo essendo nel Padre si riconosce maggiormente»51

42 Idem, XVIII,243 Idem, Magnesii VIII,2, 11144 Idem, XIII, 1-2, 11345 Idem, Efesini IX, 1-246 Idem, Saluto ai Romani, 12147 Idem, VI, 1-3, 12448 Idem, Smirnesi I,1, 13349 Idem, Policarpo VIII, 3, 14350 Idem, Tralliani VII, 1, 11751 Idem, Romani III, 3, 122

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Dopo questo excursus, sufficientemente esaustivo, come può Felice dire che Ignazio non sostenne

la Trinità, o che al massimo credesse in una dualità?

L’EPISTOLA A DIOGNETO

 Nella VII sezione dove tratta di Dio e del Verbo, Diogneto scrive:

«Ma quello che è veramente signore e creatore di tutto e Dio invisibile, egli stesso fece scendere dal

cielo, tra gli uomini, la verità, la parola santa e incomprensibile e l’ha riposta nei loro cuori. Non già

mandando, come qualcuno potrebbe pensare, qualche suo servo o angelo o principe o uno di coloro

che sono preposti alle cose terrene o abitano nei cieli, ma mandando lo stesso artefice e fattore di

tutte le cose… lo inviò come Dio e come uomo per gli uomini»52 

«Chi fra tutti gli uomini sapeva perfettamente che cosa è Dio, prima che egli venisse?... Alcuni

affermavano che Dio è il fuoco… altri dicevano che è l’acqua, altri che è uno degli elementi da Dio

creati… Nessun uomo lo vide e lo conobbe, ma egli stesso si rivelò a noi… Avendo pensato un

 piano grande e ineffabile lo comunicò solo al Figlio»53 

«Egli mandò il Verbo come sua grazia, perché si manifestasse al mondo…. Egli fin dal principio

apparve nuovo ed era antico… Egli eterno in eterno viene considerato Figlio»54

PAPIA DI GERAPOLI

Delle opere di Papia ci sono pervenuti solo pochissimi frammenti, che dal punto di vista storico

hanno comunque un’importanza enorme per l’insegnamento orale dei discepoli degli apostoli.

Figura di primo piano, di lui era grande la stima che si aveva, tanto che molti tra i P.A. e non

attinsero alle suo opere e rimasero influenzati dalle sue opinioni.55 

Il fatto che non dica nulla sulla Trinità non significa che questa non fosse parte della sua fede

cristiana.

POLICARPO

 Negli atti del ”Martirio di Policarpo” si legge una preghiera recitata dal martire poco prima di essere

arso vivo; riporto testualmente l’interessante citazione di Felice nel suo libro:

«“Signore, Dio onnipotente Padre di Gesù Cristo tuo amato e benedetto Figlio per il cui mezzo

abbiamo ricevuto la tua conoscenza…ti lodo, ti benedico e ti glorifico per mezzo dell’eterno e

celeste gran sacerdote Gesù Cristo tuo amato Figlio”. (XIV, 1,3) “A lui…mediante suo Figlio

52 Idem, A Diogneto VII, 2-4, 35853 Idem, VIII, 1-9, 35954 Idem, XI, 3-5, 36255 Idem, 176-177

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l’unigenito Gesù Cristo”. (XIX, 2) (I Padri Apostolici, Antonio Quacquarelli, Roma, Città Nuova

Editrice, IX edizione (1998); pag. 168, 171)

 Negli scritti di Policarpo troviamo forse qualcosa che sostenga la trinità? No, affatto. Ciò che egli

dice è in armonia con l’insegnamento di Gesù e dei suoi discepoli e apostoli. Egli distingue

chiaramente i ruoli di Dio da quelli di Gesù»56 

Certamente leggendo la citazione di Felice non troviamo nulla che in qualche modo possa sostenere

la Trinità, ma se andiamo alla fonte da dove Felice cita, si noterà dell’altro che non viene

considerato; riporto la preghiera di Policarpo per intero, e come al solito le parti omesse in rosso e

in grassetto quelle più importanti :

«Signore, Dio onnipotente Padre di Gesù Cristo tuo amato e benedetto Figlio per il cui mezzo

abbiamo ricevuto la tua conoscenza

O Dio degli angeli e delle potenze di ogni creazione e di ogni genia dei giusti che vivono alla tua

 presenza.

2. Io ti benedico perché mi hai reso degno di questo giorno e di questa ora di prendere parte nel

numero dei martiri al calice del tuo Cristo per la risurrezione della vita eterna dell’anima e del

corpo nella incorruttibilità dello Spirito Santo.

In mezzo a loro possa io essere accolto al tuo cospetto in sacrificio pingue e gradito come prima

l’avevi preparato, manifestato e realizzato, Dio senza menzogna e veritiero.

3. Per questo e per tutte le altre cose ti lodo, ti benedico e ti glorifico per mezzo dell’eterno e celeste

gran sacerdote Gesù Cristo tuo amato Figlio,  per il quale sia gloria a te con lui e lo Spirito Santo

ora e nei secoli futuri. Amen»57 

Da ciò che si legge nella citazione completa emerge con chiarezze la presenza dell’incorruttibile

Spirito Santo, pregato per ben due volte da Policarpo, ma accuratamente evitato da Felice; è un

chiaro esempio, visto anche altrove, di una radicata coscienza trinitaria che permeava gli scritti e

l’insegnamento dei P.A.

Dunque, tornando alla domanda di Felice, possiamo dire che certamente, anche dagli scritti di

Policarpo, si trova un ampio consenso e sostegno alla Trinità.

Il fatto di separare chiaramente i ruoli di Dio e di Cristo, come certificano le scritture e di

conseguenza i P.A., riguardano le distinzione delle Persone divine, e non annulla ne contraddice la

Trinità che esprime l’unità di natura tra le Persone divine stesse.

Ancora una volta, ma non sarà certo l’ultima, riportiamo le preziose raccomandazioni:

56 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 2957 Antonio Quacquarelli, I Padri Apostolici…, 168

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«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una citazione dal

contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che l’autorità citata voleva dire.

Siate specifici nei vostri riferimenti»58 

 Accuratezza nelle affermazioni.«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la verità ed

essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si dovrebbe fare non

solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò che diciamo intorno ad altri o

nel modo in cui li rappresentiamo, e negli argomenti che implicano dati scientifici o notizie

di cronaca. Le affermazioni errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può

essere ingrandito. Le inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto

all'autorità dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio

stesso»59 (il grassetto è mio)

E’ oltremodo interessante notare che da questa bellissima preghiera di Policarpo emergono altre

verità di “fede” cristiana rifiutate dalla teologia dei TdG:

1) attraverso la morte fisica si da la possibilità di un’immediata unione con Cristo senza aspettare

l’ultimo giorno

2) la risurrezione alla vita eterna è non solo del corpo ma anche dell’anima, che dunque non viene

annientata e distrutta completamente.

LA DIDACHÈ

Piccola opera scritta in forma piana e semplice è del genere catechetico-precettistico che risente

dello stile evangelico e rimane come un unico. Scritto molto antico, composto ancor prima della

stesura del vangelo di Giovanni e dell’Apocalisse, è quasi contemporaneo alla redazione dei

sinottici. Importante l’insegnamento sul battesimo:

«Circa il battesimo, così battezzate: dopo ogni premessa, nell’acqua viva battezzate nel nome delPadre, del Figlio e dello Spirito Santo. Se non hai acqua viva, battezza in altra acqua; se non puoi

nella fredda, nella calda. Se non avessi né l’una né l’altra, versa per tre volte sul capo l’acqua nel

nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»60 

Felice, nella conclusione a conferma della sua tesi, cita ancora il Kelly, che utilizzerà subito dopo

 parlando degli Apologisti. Scrive testualmente:

58 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 15559 Manuale per la Scuola..., 110, § 10,1160 Antonio Quacquarelli, I Padri Apostolici…, Didachè VII, 1-2

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«Lo storico J. N. D. Kelly, scrive: “Le testimonianze che possiamo raccogliere dai Padri Apostolici

sono scarse, e ci turbano perché sono inconcludenti… Naturalmente non vi è alcun cenno alla

dottrina della Trinità in senso stretto”. (Il pensiero cristiano delle origini, J. N. Kelly, Bologna,

EDB, 2a edizione riveduta a cura di G. Garamaglia, 1984, pag. 119)»61 

Ma andiamo a leggere cosa veramente dice il Kelly a pag. 119

«Le testimonianze che possiamo raccogliere dai Padri Apostolici sono scarse, e ci turbano perché

sono inconcludenti. La preesistenza di Cristo generalmente era ammessa, e così pure il suo ruolo

nella creazione e nella redenzione: un tema che potrebbe orientare ai paralleli paolini e giovannei e

che si accorda bene con la funzione creatrice assegnata alla Sapienza nel tardo giudaismo …

 Naturalmente non vi è alcun cenno alla dottrina della Trinità in senso stretto, sebbene la formula

triadica della Chiesa abbia lasciato ovunque la sua impronta»62

E’ palese come le parti omesse in rosso all’interno della citazione presentino un’altra veduta rispetto

a quella di Felice (la preesistenza di Cristo, il suo ruolo di creatore…); se è vero, come abbiamo

visto precedentemente, che nei P.A. non troviamo, come logico che sia, una dottrina elaborata e

concettuale della Trinità, è altrettanto vero, come dice l’ultima parte della citazione “tagliata” da

Felice, che la tipica formulazione triadica ha lasciato ovunque la sua impronta.

Lo stesso Kelly poche pagine prima scriveva:«Prima di prendere in esame gli autori “ufficiali”, è bene notare quanto fosse profondamente

radicato nella tradizione apostolica e nella fede popolare il concetto di una pluralità di persone

divine. Il Nuovo Testamento non era ancora strutturato in un canone, me esercitava già un influsso

 potente. E’ noto che le linee di uno schema diadico e triadico sono chiaramente visibili nelle sue

 pagine. Ciò è ancora più evidente in alcuni accenni presenti nella liturgia ecclesiale e nella pratica

catechetica quotidiana… Le idee implicite in queste primitive formule catechetiche e liturgiche, e

nell’uso fatto dagli scrittori neotestamentari degli stessi schemi diadici e triadici, rappresentano unafase pre-riflessiva e pre-teologica della fede cristiana. Il che non sminuisce affatto il loro interesse e

la loro importanza. Col materiale grezzo provvisto dalla predicazione e dal culto della Chiesa i

teologi dovevano poi costruire le loro formulazioni più elaborate della dottrina cristiana della

divinità»63

Ancora più avanti si legge:

61 Felice Buon Spirito, LA TRINITA’ …, 2962 John N.D.Kelly, IL PENSIERO CRISTIANO DELLE ORIGINI , Giampiero Gramaglia (a cura di), EDB 1999, 11963 Idem, 111.113

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«In genere gli scrittori del Nuovo Testamento consideravano Cristo preesistente e tendevano ad

attribuirgli un duplice ordine di essere: “secondo la carne” (kat¦ s£rka), cioè in quanto uomo, e

“secondo lo Spirito” (kat¦ pneàma), cioè in quanto Dio. Questa formula era così profondamente

conficcata nel loro pensiero che F. Loofs a buon diritto la definì “il dato fondamentale di tutto lo

sviluppo cristologico posteriore”. Dato che essa conteneva tutti gli elementi del problema

cristologico, dei cristiani non superficiali e riflessivi difficilmente potevano ignorarla»64

Considerato tutto questo, come può Felice, introducendo la sezione degli Apologisti, a dire

«Abbiamo visto che i Padri Apostolici non insegnavano la dottrina della Trinità. Che dire degli

Apologisti?»65 

GLI APOLOGISTIAndiamo allora a vedere cosa dicevano gli apologisti, seguendo proprio il testo di Kelly utilizzato

anche da Felice. Completo ed esaustivo circa i rapporti del Padre con il Figlio, e conseguentemente

i problemi riguardanti la sua generazione, è il capitolo quarto, La Triade divina, pagg. 105-135, ma

è lo stesso Kelly che ci viene incontro sintetizzando così il pensiero degli Apologisti:

«La soluzione che proponevano, ridotta all’essenziale, si può enunciare così: Cristo, in quanto

 preesistente, è il pensiero o la mente del Padre; in quanto manifestato nella creazione e nella

rivelazione è l’extrapolazione o espressione di questo pensiero»66 

 Ne consegue, dunque, che gli Apologisti, pur essendo tutti ardenti monoteisti decisi fino in fondo a

non compromettere questa fondamentale verità,67 dichiaravano che da sempre nel Padre, Dio eterno,

ingenerato, cioè che contrariamente alle creature non aveva principio, esisteva il Logos, Cristo,

come sua intelligenza e pensiero razionale.68 Prima della creazione, dunque, da tutta l’eternità, Dio

aveva la sua Parola o Logos, perché Dio è essenzialmente razionale.69 

Il fatto che gli Apologisti, nel rapporto tra Dio, il Padre e il Logos, restringessero il termine

 generazione (coniato solo in seguito per descrivere il suo rapporto eterno con il Padre) ad

emanazione, non significa che non fossero consapevoli della sua esistenza precedente.

Allo stesso modo, quando Giustino ad esempio parla del Logos come di un “secondo Dio”, adorato

al “secondo posto”, e tutti gli Apologisti sottolineano che la sua generazione o emanazione deriva

da un atto della volontà di Dio, il loro scopo non era tanto quello di dargli un posto subordinato, ma

64 Idem, 17165 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 3166 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 12067 Idem, 12068 Idem, 12169 Idem, 126

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di difendere il monoteismo, considerato indispensabile. Il Logos manifestato (il Gesù della storia,

Logos incarnato) deve essere necessariamente limitato (è l’essere vero uomo, vera umanità) quando

è confrontato a Dio Padre stesso; ed era importante accentuare che non vi erano due fonti di attività

all’interno dell’essere divino. Il Logos era uno nell’essenza col Padre, inseparabile da lui nel suo

essere fondamentale, sia dopo la sua generazione che prima: gli Apologisti non si stancavano di

ripeterlo.70 

Questa è la base da cui si parte per rispondere a Felice, come nella sua citazione appena sotto,

quando cita Giustino, Atenagora o Taziano:

«Taziano dice che questo avvenne “in seguito, per un atto della volontà del Padre, fu generato…”.

(Il pensiero cristiano delle origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G.

Gramaglia, 1984, pag. 123) Si, il Logos venne “in seguito”, non da sempre»71

 

Andiamo a vedere cosa effettivamente dice il Kelly riportando in rosso le parti omesse da Felice:

«Taziano era un discepolo di Giustino e, come il suo maestro, parlava del Logos esistente nel Padre

in quanto sua razionalità e che, in seguito, per un atto della volontà del Padre, fu generato»72 

Chi “venne in seguito”, come risulta chiaro dalla citazione completa, fu il Logos “manifestato” nella

carne, il Logos incarnato cioè Gesù, che però esisteva da sempre come mente e pensiero del Padre;

è qui che Felice si inganna.

ATENAGORA

Sentiamo il Kelly:

«Atenagora… dopo aver affermato che il Dio non originato, eterno, invisibile aveva creato e

abbellito per mezzo del Verbo l’universo che realmente governa, prosegue identificando il Verbo

col Figlio di Dio… Poiché il Figlio è nel Padre e il Padre nel Figlio per mezzo dell’unità e della

 potenza dello spirito divino, il Figlio di Dio è l’Intelligenza e il Verbo del Padre. Per rendere più

chiaro ciò che egli intendeva, Atenagora dice in seguito che, sebbene il Figlio sia progenie del

Padre, non venne mai all’esistenza in modo reale, perché Dio, che fin dal principio era intelligenza

eterna, aveva in sé il suo Verbo eternamente razionale»73

CLEMENTE ALESSANDRINO

70 Cfr. idem, 126-12771 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 36-3772 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 12373 Idem, 125

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Scrive Felice:

«Clemente Alessandrino chiamava qualche volta il Figlio “Dio” e “creatore”. Intendeva forse dire

che il Figlio fosse l’Iddio onnipotente o uguale a lui? No. Clemente si riferiva forse a Giovanni 1:3,

dove, di Gesù, viene detto: “Per mezzo di lui Dio ha creato ogni cosa. Senza di lui non ha creatonulla”. (TILC)»74 

Anche in questo caso emerge il problema di fondo di tutta l’impostazione cristologia dei TdG: la

confusione tra i concetti di persona e di natura. Il fatto che i P.A. o gli Apologisti chiamino alcune

volte Cristo “Dio” o “Creatore”, non significa che ne identificavano le persone, come se fossero

ambedue lo stesso soggetto (è ciò che intende Felice), ma semplicemente ne accomunavano la

natura.

Parlando del Verbo Clemente scrive:

«La sua generazione dal Padre è senza inizio (“Il Padre non è senza il Figlio; perché oltre ad essere

Padre, Egli è Padre del Figlio”); il Figlio è essenzialmente uno col Padre, giacchè il Padre è in Lui

ed Egli è nel Padre. Lo Spirito poi è la luce che esce dal Verbo, e – diviso senza alcuna divisione

reale – illumina i fedeli. Lo Spirito è anche la potenza del Verbo che pervade il mondo e attrae gli

uomini a Dio. Abbiamo dunque una trinità che, sebbene presenti dei lineamenti completamente

 platonici, Clemente identifica senza esitare col teismo cristiano… Egli distingue chiaramente i Tre.

L’accusa di modalismo, basata sulla mancanza di qualsiasi termine tecnico per indicare le Persone,

è priva di fondamento. Se sembra subordinare il Figlio al Padre e lo Spirito al Figlio, questa

subordinazione non implica alcuna diseguaglianza nell’essere, ma è il corollario della sua

concezione platonica di una gerarchia di gradi»75

 

DIONIGI

A dir poco è ancora “strabiliante” il modo di citare il Kelly ad opera di Felice riguardo a Dionigi,vescovo di Alessandria:

«Dionigi, che fu allievo di Origene e vescovo di Alessandria, fu accusato di “negare l’eternità del

Figlio, affermando che il Padre non era sempre stato Padre e che <<il Figlio non era, prima di

venire all’esistenza>>…e) di affermare che il Figlio era una creatura ( poema kaì ghenetòn)”. Infine,

non usò mai “il termine omooùsios76” perché “non era scritturistico”. (Il pensiero cristiano delle

74 Felice Buon Spirito, La Trinità…, 3175 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 158-15976  Homooùsios è una parola composta da homòs (= identico, lo stesso) e ousìa (= sostanza, essenza)

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origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G. Gramaglia, 1984, pagg. 166,

168)»77 

Il lettore che legge questa citazione, così come la riporta Felice, è portato a credere che Dionigi

consideri il Figlio una creatura e dunque non eterno come il Padre, e che non abbia usato il termineomooùsios perché non era scritturistico.

Andiamo a controllare cosa effettivamente dice il Kelly alle pagine 166-168 e riportiamolo

integralmente con le parti omesse in rosso.

«Il più noto esponente della tendenza subordinazionista di Origene è il suo allievo Dionigi, vescovo

d’Alessandria. Poco dopo la metà del secolo un’esplosione di sabellianismo… lo indusse a spiegare

quella che egli considerava la posizione ortodossa. Non è quindi strano, visto che mirava a una

confutazione del modalismo, che mettesse in primo piano la distinzione personale tra Padre e

Figlio. Il gruppo sabelliano riuscì comunque a trovare una delle sue lettere (inviata ai vescovi

Ammonio e Eufranore) piena d’indiscrezioni. Essi rivolsero un reclamo formale al Papa, che si

chiamava anche lui Dionigi, accusando il vescovo alessandrino: a) di fare una netta divisione, che

 portava alla separazione, tra Padre e Figlio; b) di negare l’eternità del Figlio, affermando che il

Padre non era sempre stato Padre e che “il Figlio non era, prima di venire all’esistenza”; c) di

nominare il Padre senza il Figlio e il Figlio senza il Padre, come se non fossero inseparabili nel loro

stesso essere, d) di non descrivere il Figlio come omooùsios col Padre; e) di affermare che il Figlio

era una creatura ( poìema kaì ghenetòn), tanto diversa dal Padre nella sostanza quanto lo è la vigna

dal vignaiolo, la nave dal maestro d’ascia che l’ha costruita, ecc.

 Non vi è dubbio che Dionigi abbia usato un linguaggio infelice, in se stesso e nelle sue

conseguenze; nel secolo seguente Atanasio cercò di riabilitarlo; ma il parere di Basilio è più

attendibile quando osserva che lo zelo antisabelliano aveva portato Dionigi all’estremo opposto.

Dionigi di Roma scrisse una lettera che, senza citare il nome, in pratica criticava Dionigi

d’Alessandria, e continuava esponendo una teologia positiva che mostra quanto fosse potente aRoma l’influenza di Novaziano. Il Papa era chiaramente disgustato dalla dottrina delle tre ipostasi,

ispirata da Origene, che gli sembrava indebolire la monarchia divina. I teologi alessandrini che

l’insegnavano erano, a suo parere, virtualmente triteisti che spaccavano l’indivisibile unità della

Divinità in “tre potenze, tre ipostasi assolutamente separate, tre divinità”; si deve mantenere ad ogni

costo l’indivisibilità della santa Monade; quindi il Verbo e lo Spirito devono essere considerati

inseparabili dal Dio dell’universo, e devono essere riassunti e raccolti in lui: è l’idea antica che il

Padre onnipotente (nel senso arcaico di Divinità unica) non può essere mai stato senza il suo Verboe senza il suo Spirito poiché essi appartengono al suo stesso essere. Perciò il papa proseguiva

77 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 32

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dicendo che se Cristo è nel Padre (cfr. Giovanni 14,11), se Egli è il suo Verbo, la sua Sapienza e

Potenza (cfr. I Corinti 1,24), deve essere sempre esistito ed è blasfemo parlare di Lui come di una

creatura o dire che c’era un tempo quando non c’era. Secondo il Salmo 109,3 (Settanta: “Prima

dell’aurora io ti ho generato dal mio ventre”) e  Proverbi 8,25 (“Prima di tutte le colline egli mi ha

generato”), la sua origine non era un atto di creazione, ma “una divina ed ineffabile generazione”.

Dionigi d’Alessandria preparò una replica minuziosa in cui riesponeva la sua posizione in termini

meno equivoci e più prudenti, pur senza rinunciare alle sue caratteristiche essenziali. Riconosceva

spontaneamente che alcune formulazioni e analogie erano scorrette, ma si lamentò che il suo

insegnamento non fosse stato giudicato nel suo assieme. Per riformulare il proprio pensiero adottò

astutamente il linguaggio del papa. Innanzi tutto egli respingeva l’accusa di separare il Padre, il

Figlio e lo Spirito. I tre erano ovviamente inseparabili, come è dimostrato dai loro stessi titoli: il

Padre implica un Figlio, il Figlio implica un Padre, e lo Spirito implica sia la sorgente da cui

 proviene che il mezzo col quale procede. Anche così la definizione “tre ipostasi” deve essere

mantenuta in quanto sono tre, se non si vuole che la triade venga dissolta. In secondo luogo egli

afferma esplicitamente che il Figlio è eterno. Dio era sempre Padre, e perciò Cristo era sempre

Figlio, proprio come se il sole fosse eterno anche la luce del giorno sarebbe eterna: l’una non può

essere concepita senza l’altro. Infine affrontando l’accusa di non aver adoperato il termine

omooùsios, Dionigi d’Alessandria affermava che il termine non era scritturistico. Però ne accettava

il significato, e lo comprovavano le immagini che aveva scelto. Genitori e bambini, ad esempio,

sono persone diverse, ma sono “omogenee” (omoghenèis); la pianta, il suo seme e le radici sono

diversi, ma sono della stessa natura (omophuè). Così, il fiume e la sua sorgente differiscono nella

forma e nel nome, ma sono composti della stessa acqua. Evidentemente interpretava omooùsios nel

significato di “partecipe della stessa natura”, in senso generico, come probabilmente faceva lo

stesso Origene. Sembra che il suo scopo finale fosse quello di correggere la falsa impressione (come

egli la giudicava) che la sua teoria delle tre ipostasi escludesse l’essenziale unità dei Tre. Riassunse

la sua posizione in una formula equilibrata: “Noi due espandiamo la Monade nella Triade senza

dividerla” (così egli concede al papa che il Figlio e lo Spirito sono, per così dire, proiezioni

dell’indivisibile essenza divina), “e riassumiamo la Triade nella Monade senza diminuirla” (cioè

l’unione deve essere riconosciuta, ma non a costo di disconoscere la tre Persone).

Questo episodio ci dà un esempio istruttivo delle linee assai diverse lungo le quali lavoravano i

teologi occidentali e orientali. Gli studiosi hanno spesso cercato di spiegare l’attrito semplicemente

come un malinteso sui termini. Il che, in una certa misura, è vero»78 (sottolineature mie) 

78 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 166-169

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E’ solo leggendo, certo con pazienza, tutto il contesto nel quale è estrapolata la striminzita citazione

di Felice, che si capisce qual è il vero pensiero di Dionigi: proprio tutto l’opposto di quello che vuol

far crede Felice. Scoppiata una crisi di Sabellianismo,79 il vescovo Dionigi cercò di spiegare quella

che per lui era la posizione ortodossa; i sabelliani infatti, con l’esasperata accentuazione dell’unità

divina in uno stretto monoteismo, per forza di cose, spinsero il vescovo a mettere in primo piano la

distinzione personale del Padre e del Figlio.

Sebbene Dionigi avesse le idee sostanzialmente chiare e ortodosse, non riuscì ad elaborarle con un

linguaggio adeguato, anzi fu talmente infelice che il gruppo dei sabelliani, trovando alcuni suoi

scritti pieni di indiscrezioni, presentarono al papa omonimo precise e circostanziali accuse di cui

accenna Felice. Come dice sempre la citazione, il suo zelo antisibelliano lo portò ad esagerare dalla

 parte opposta, dando cioè l’impressione di separare talmente le persone divine da farne tre divinità

che annullavano di fatto l’indivisibile unità della Divinità. Richiamato dal papa con una lettera, il

vescovo Dionigi riformulò nuovamente il suo pensiero ortodosso, utilizzando un linguaggio meno

equivoco, più chiaro ed equilibrato.

Il fatto di non aver utilizzato il termine omooùsios non significava che Dionigi non credesse che il

Figlio non fosse delle stessa sostanza del Padre e dello Spirito; infatti, come dice lui stesso, lo

conosceva bene, ne accettava il significato e utilizzava delle immagini da lui scelte come comprova

nel suo discorso.

 Nulla di più indicato anche in questo caso delle importanti raccomandazioni:

«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una citazione dal

contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che l’autorità citata voleva dire.

Siate specifici nei vostri riferimenti»80 

 Accuratezza nelle affermazioni.

«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la verità ed

essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si dovrebbe fare nonsolo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò che diciamo intorno ad altri o

nel modo in cui li rappresentiamo, e negli argomenti che implicano dati scientifici o notizie

di cronaca. Le affermazioni errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può

essere ingrandito. Le inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto

all'autorità dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio

stesso»81 (il grassetto è mio)

79 Dall’eretico Sabellio di origine libica, assertore di un rigido monoteismo, riteneva la divinità una monade che simanifestava in tre modi diversi, da qui il nome modalismo. Questa “eresia dell’unione”, considerava il Padre, Figlio eSpirito santo un solo prosopon ed una sola ipostasi.80 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 15581  Manuale per la Scuola..., 110, § 10,11

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GIUSTINO MARTIRE

Riguardo a Giustino, partiamo dalla citazione del Kelly che Felice riporta così:

«Si, Giustino Martire “parla del Logos come di un <<secondo Dio>>, adorato <<al secondo posto>>…la sua generazione o emanazione deriva da un atto della volontà di Dio” (Il pensiero

cristiano delle origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G. Gramaglia,

1984, pag. 126)»82 

Si risponde ripetendo ancora alcuni concetti già ricordati, e andando a vedere prima la pag. 120 e

 poi cosa dice effettivamente il Kelly a pag. 126, dove Felice estrapola questa sua citazione;

«La soluzione che proponevano [gli apologisti], ridotta all’essenziale, si può enunciare così: Cristo,in quanto preesistente, è il pensiero o la mente del Padre; in quanto manifestato nella creazione e

nella rivelazione è l’extrapolazione o espressione di questo pensiero»83 

 Ne consegue, dunque, che gli Apologisti, pur essendo tutti ardenti monoteisti decisi fino in fondo a

non compromettere questa fondamentale verità,84 dichiaravano che da sempre nel Padre, Dio eterno,

ingenerato, cioè che contrariamente alle creature non aveva principio, esisteva il Logos, Cristo,

come sua intelligenza e pensiero razionale.85 Prima della creazione, dunque, da tutta l’eternità, Dio

aveva la sua Parola o Logos, perché Dio è essenzialmente razionale.86 Il fatto che gli Apologisti, nel rapporto tra Dio, il Padre e il Logos, restringessero il termine

 generazione (coniato solo in seguito per descrivere il suo rapporto eterno con il Padre) ad

emanazione, non significa che non fossero consapevoli della sua esistenza precedente.

Allo stesso modo, quando Giustino ad esempio parla del Logos come di un “secondo Dio”, adorato

al “secondo posto”, e tutti gli Apologisti sottolineano che la sua generazione o emanazione deriva

da un atto della volontà di Dio, il loro scopo non era tanto quello di dargli un posto subordinato, ma

di difendere il monoteismo, considerato indispensabile. Il Logos manifestato (il Gesù della storia,Logos incarnato) deve essere necessariamente limitato (è l’essere vero uomo, vera umanità) quando

è confrontato a Dio Padre stesso; ed era importante accentuare che non vi erano due fonti di attività

all’interno dell’essere divino. Il Logos era uno nell’essenza col Padre, inseparabile da lui nel suo

essere fondamentale, sia dopo la sua generazione che prima: gli Apologisti non si stancavano di

ripeterlo.87 

82 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 3383 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 12084 Idem, 12085 Idem, 12186 Idem, 12687 Cfr. idem, 126-127

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Giustino altrove così si esprime: «“Egli, che anteriormente era Logos, e talora apparve in sembianze

di fuoco, talora in modo incorporeo, infine per volontà di Dio divenne uomo per il genere umano”.

Egli preesisteva in quanto Dio e fu fatto carne della Vergine, perché nacque come uomo. La sua

incarnazione comportava l’assunzione della carne e del sangue, e Giustino insiste – nonostante lo

scandalo che causava nei critici giudaici – sulla realtà delle sofferenze fisiche del Messia. Ma Gesù

non cessò di esistere come Verbo perché era veramente, al tempo stesso, “Dio e uomo”»88 

Anche questa citazione di Taziano illustra il pensiero di Giustino:

«Taziano era un discepolo di Giustino e, come il suo maestro, parlava del Logos esistente nel Padre

in quanto sua razionalità e che, in seguito, per un atto della volontà del Padre, fu generato»89 

GREGORIO TAUMATURGO

Così Felice cita il Kelly riguardo a Gregorio Taumaturgo:

«“Gregorio Taumaturgo (morto nel 270 circa), l’apostolo del Ponto, all’occasione parlava

volentieri, nello stile di Origene, del Figlio come di una <<creatura o cosa fatta >> (kt…sma; po…

hma)…sostiene che <<vi è un solo Dio, Padre del Verbo vivente”. (Il pensiero cristiano delle

origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G. Gramaglia, 1984, pag. 165)

Si, per Gregorio Taumaturgo, Gesù, il Verbo era una creatura»90 

Anche in questo caso il lettore è chiaramente indotto a pensare che Gregorio Taumaturgo

considerasse Gesù una semplice creatura, e che Dio fosse solo il Padre del Verbo; andiamo alla pag.

165 e leggiamo con le parti omesse da Felice in rosso:

«Gregorio Taumaturgo (morto nel 270 circa), l’apostolo del Ponto, all’occasione parlava volentieri,

nello stile di Origene, del Figlio come di una <<creatura o cosa fatta >> ( kt…sma; po…hma). Però

il suo insegnamento esplicito, che leggiamo nel suo credo, sostiene che “vi è un solo Dio, Padre del

Verbo vivente… generatore perfetto del perfetto generato… vi è un solo Signore, unico dall’unico,

Dio da Dio, stampo e immagine della Divinità, Verbo efficace… E vi è un solo Spirito Santo, che

ha la sua sussistenza da Dio ed è reso manifesto dal Figlio… nel quale è rivelato Dio Padre, che è

sopra tutto e in tutto, e Dio Figlio, che è attraverso tutti. Vi è così una Triade perfetta… nella Triade

non vi è nulla di creato o di servile, nulla di portato all’esistenza come se prima non esistesse e poi

vi fosse introdotto. Così il Figlio non è mai stato privo del Padre né lo Spirito del Figlio»91 

88 Idem, 179-18089 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 12390 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 3491 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 165-166

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Come fa a dire Felice che per Gregorio Taumaturgo Gesù il Verbo è una creatura? Lascio ancora al

lettore le importanti raccomandazioni:

«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una citazione dal

contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che l’autorità citata voleva dire.

Siate specifici nei vostri riferimenti»92 

 Accuratezza nelle affermazioni.

«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la verità ed

essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si dovrebbe fare non

solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò che diciamo intorno ad altri o

nel modo in cui li rappresentiamo, e negli argomenti che implicano dati scientifici o notizie

di cronaca. Le affermazioni errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può

essere ingrandito. Le inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto

all'autorità dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio

stesso»93 (il grassetto è mio)

IPPOLITO

Lo stesso dicasi di Ippolito che così viene citato seguendo sempre il Kelly:

«“Secondo Ippolito, quando Dio volle generò il Verbo servendosene per creare l’universo” (Il pensiero cristiano delle origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G.

Gramaglia, 1984, pag. 140)»94

Ecco la fonte completa di parti mancanti in rosso:

«Secondo Ippolito, quando Dio volle generò il Verbo servendosene per creare l’universo, e la sua

Sapienza per abbellirlo o ordinarlo. Tuttavia, più tardi, avendo di mira la alvezza del mondo, Egli

rese il Verbo, sino allora invisibile, visibile nell’incarnazione. Accanto al Padre (cioè alla Divinitàstessa), vi era “un altro” (aÙtù par…stato ›teros), una seconda “Persona” (prÒswpon), mentre lo

Spirito completava la Triade. Ma se tre sono le Persone rivelate nell’economia, di fatto vi è un solo

e unico, perché è il Padre che comanda, il Figlio che ubbidisce e lo Spirito Santo che ci fa

comprendere… “Il Tutto è il Padre e il potere che ha origine dal Tutto è il Verbo. Egli è la mente

del Padre… Perciò tutte le cose sono mediante Lui, ma Egli solo è dal Padre”. Analogamente,

sottolineando che la generazione del Verbo ha luogo come e quando il Padre vuole, Ippolito non

intende subordinarlo al Padre (giudicato secondo i modelli postniceni, il suo linguaggio ha un

92 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 15593 Manuale per la Scuola..., 110, § 10,1194 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 34

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accenno subordinazionista), ma attirare l’attenzione sull’assoluta unità della Divinità, poiché questa

volontà del Padre di fatto non è altro che il Verbo stesso»95 

Credo non sia necessario nessun ulteriore commento alle già chiare e precise parole di Ippolito,

debitamente tralasciate per ovvi motivi da Felice, che ne completano e chiarificano la suastriminzita citazione.

IRENEO

Il Kelly presenta una trattazione completa di Ireneo da pag. 130 a pag. 135. Per amor di brevità

 presento solo alcuni concetti chiave che da soli bastano per stravolgere tutto il pensiero e le

conclusioni di Felice:

«[Ireneo] s’accostava a Dio da due direzioni, considerandolo sia come Egli esiste nel suo essere

intrinseco, sia in quanto si manifesta nell’ “economia” (cioè nel processo ordinato) della sua

automanifestazione. Dal primo punto di vista Dio è il Padre di tutte le cose, ineffabilmente Uno, pur 

contenendo in sé, dall’eternità, la sua Parola e la sua Sapienza96… Perciò Ireneo poteva affermare

che “proprio in forza dell’essenza e della natura del suo essere non vi è che un solo Dio”, mentre al

tempo stesso, “secondo l’economia della nostra redenzione, vi sono sia il Padre che il Figlio”, sia – 

lo poteva aggiungere facilmente – lo Spirito97… Ancor più degli Apologisti egli mette in evidenza

la coesistenza del Verbo con il Padre da tutta l’eternità… Egli afferma perciò che “il suo Verbo e la

sua Sapienza, suo Figlio e il suo Spirito sono sempre con Lui… Dice che “la Sapienza [di Dio], e

cioè il suo Spirito, era con Lui prima che il mondo fosse fatto”98… Così il Verbo e lo Spirito

collaborarono all’opera della creazione, quasi fossero, per così dire, le “mani di Dio”99…

 Naturalmente il Figlio è pienamente divino: “Il Padre è Dio, e il Figlio è Dio, perché tutto ciò che è

generato da Dio è Dio. Anche lo Spirito – sebbene Ireneo non lo designi mai esplicitamente come

Dio – era certamente considerato divino, perché Spirito di Dio, che sgorga sempre dal suo essere.

Qui dunque abbiamo la visione di Dio d’Ireneo, la più completa e anche la più esplicitamentetrinitaria prima di Tertulliano… A causa dell’accento posto sull’ “economia”, tale tipo di pensiero è

stato definito “trinitarismo economico”. La definizione è adatta e conveniente purchè non si

ammetta che il riconoscimento e la preoccupazione di Ireneo per la Trinità rivelata nell’ “economia”

gl’impediva di riconoscere anche il misterioso essere tre-in-uno, della vita interiore della Divinità.

95 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 140-14196 Idem, 13097 Idem, 13198 Idem, 13299 Idem, 133

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Il punto cruciale della grande immagine esemplificativa che, come i suoi predecessori, egli

adoperava, e cioè quella di un uomo dotato di funzioni intellettuali e spirituali, doveva mettere in

luce, per quanto in modo inadeguato, il fatto che vi sono reali distinzioni nell’essere immanente

dell’unico Padre indivisibile e che mentre queste si manifestavano pienamente soltanto nell’

“economia”, esse però esistevano effettivamente da tutta l’eternità»100 

NOVAZIANO

Scrive Felice:

«“Secondo Novaziano l’unica e sola Divinità è il Padre, autore di tutte le cose; ma da lui, <<quando

Egli volle fu generato un Figlio, la sua Parola>>”. Inoltre, lo “Spirito Santo…Novaziano lo

considera il potere divino (che opera nei profeti, negli Apostoli e nella Chiesa, ispirando e

santificando), ma non fa menzione della sua sussistenza in quanto Persona”. (Il pensiero cristiano

delle origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G. Gramaglia, 1984, pagg.

156,157)»101

Vediamo il Kelly:

«Secondo Novaziano l’unica e sola Divinità è il Padre, autore di tutte le cose; ma da lui, “quando

Egli volle fu generato un Figlio, la sua Parola”. Questo Verbo non è una semplice voce, senza

alcuna entità… ma ha una propria sussistenza,… perché è una “seconda Persona”… Poiché il Padreè sempre il Padre, egli deve avere sempre avuto un Figlio… Egli sottolinea la comunanza

dell’essere tra il Padre e il Figlio. Il Figlio è Dio in quanto deriva il proprio essere dal Padre, e la

Divinità gli è stata trasmessa dal Padre; tra loro vi è una communio substantiae… Egli è diverso dal

Padre soltanto come Figlio (e deve il suo essere interamente al Padre), nella natura divina non vi è

divisione. La teologia novaziana dello Spirito Santo è rudimentale, e Novaziano lo considera come

il potere divino (che opera nei profeti, negli Apostoli e nella Chiesa, ispirando e santificando), ma

non fa menzione della sua sussistenza in quanto Persona»102 

La citazione completa fa emergere il vero pensiero di Novaziano, che smaschera palesemente ciò

che invece voleva far credere Felice.

ORIGENE

100 Idem, 134-135101 Felice Buon Spirito, LA TRINITA’ …, 35102 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 156-157

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Anche per quanto riguarda Origene, Felice cita del Kelly solo alcune righe della pag. 164. A ben

vedere il Kelly stesso ne presenta ampiamente la figura da pag. 158 a 165; riporto solo alcune sue

riflessioni lasciando al lettore la lettura più completa.

Intanto è bene ricordare che Origene nel tentativo di comprendere e di spiegare la sua fede cristiana

in Dio uno e trino, era stato notevolmente influenzato, come altri, dal platonismo “medio” allora di

moda ad Alessandria.103 

Parlando del Figlio dice: «Essendo al di fuori della categoria del tempo, il Padre genera il Figlio con

un atto eterno cosicché non si può dire che “vi era quando non era”… Secondo Origene, il Padre, il

Figlio e lo Spirito sono “tre Persone”. L’affermazione che ciascuno dei Tre è una ipostasi distinta da

tutta l’eternità e non solo – come per Tertulliano e Ippolito – in quanto manifestata nell’

“economia”, è una delle caratteristiche principali della sua dottrina e proviene direttamente dall’idea

di generazione eterna».104 

«Quindi pur essendo realmente distinti, da un altro punto di vista i Tre sono uno… Di per sé,

 pensieri di questo tipo difficilmente rendono giustizia a tutto l’insegnamento di Origene imperniato

sul fatto che il Figlio era stato generato, non creato dal Padre… Egli deriva da Lui come la volontà

dalla mente, che non subisce alcuna divisione in questo processo… L’unità tra Padre e Figlio

corrisponde a quella tra la luce e il suo splendore, tra l’acqua e il suo vapore. Differenti nella forma,

entrambi condividono la stessa natura essenziale»105

Arriviamo così alla citazione di Felice che dice:

«Si, secondo quanto citato prima, “Origene rileva che San Giovanni definisce volutamente il Figlio

semplicemente qeÒj, e non Ò qeÒj. In rapporto al Dio dell’universo egli merita un grado d’onore

secondario…<<non dovremmo pregare un essere creato, neppure Cristo, ma solo il Dio e Padre

dell’universo, che lo stesso nostro Salvatore pregava>>”. (Il pensiero cristiano delle origini, J.N.D.

Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G. Gramaglia, 1984, pag 164)»106

Se andiamo a controllare il Kelly riportando le parti omesse in rosso, scopriremmo veramente il particolare contesto nel quale è inserita la citazione e di conseguenza il pensiero di Origene, così

come dimostrano le varie considerazioni sopra riportate:

«In un ambito più limitato, l’impatto col platonismo si manifesta nel generale subordinazionismo

che ha una presenza massiccia nello schema trinitario di Origene. Il Padre, come abbiamo visto, è il

solo aÙtÒqeÒj; Origene rileva che San Giovanni definisce volutamente il Figlio semplicemente

qeÒj, e non Ò qeÒj. In rapporto al Dio dell’universo egli merita un grado d’onore secondario…

103 Idem, 158104 Idem, 160105 Idem, 161106 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 36

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<<non dovremmo pregare un essere creato, neppure Cristo, ma solo il Dio e Padre dell’universo,

che lo stesso nostro Salvatore pregava; se si prega Cristo, Egli trasmette la preghiera al Padre»107 

TAZIANO

La stessa citazione di Taziano, riportata da Felice, risulta pesantemente strumentalizzata a descapito

dell’eternità del Verbo. Abbiamo già affrontato la questione della sua natura e generazione da parte

del Padre, ma questa citazione merita attenzione; scrive Felice:

«Taziano dice che questo avvenne “in seguito, per un atto della volontà del Padre, fu generato…”

(Il pensiero cristiano delle origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G.

Gramaglia, 1984, pag 123) Si, il Logos venne “in seguito” non da sempre»108

Vediamo invece cosa effettivamente dice il Kelly:

«Taziano era un discepolo di Giustino e, come il suo maestro, parlava del Logos esistente nel Padre

in quanto sua razionalità e che, in seguito, per un atto della volontà del Padre, fu generato»109

E’ chiaro che leggendo per intero la citazione, il pensiero di Taziano cambia completamente: il

Logos in quanto razionalità (pensiero) del Padre non può che esistere da sempre come il Padre; è

solo in seguito che fu generato.

TEOFILO DI ANTIOCHIA

Circa la generazione e il rapporto tra il Padre e il Figlio, lo stesso discorso vale per Teofilo che

viene citato così da Felice:

«Parlando del Figlio di Dio, Teofilo dice che “quando Dio volle creare ciò che aveva progettato,

generò e produsse (™gšnnhse proforikÒn) questo Verbo, primogenito di tutta la creazione.”. (Il

 pensiero cristiano delle origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a cura di G.

Gramaglia, 1984, pag 124)… E’ logico che dal momento che uno è generato e prodotto ha per forzadi cose un inizio»110 

Vediamo la fonte orginale e leggiamola più ampiamente con le parti omesse in rosso:

«Trattando della figliolanza del Logos, Teofilo aggiunge: “Egli non è figlio [di Dio] nel senso in cui

 poeti e romanzieri raccontano le nascite di alcuni figli di dèi, ma piuttosto nel senso in cui la verità

 parla della Parola come eternamente immanente nel seno di Dio. Infatti, prima che ogni cosa

venisse all’esistenza, Egli lo aveva avuto come suo consigliere, come sua intelligenza e suo

107 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 164108 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 36109 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 123110 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 37

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 pensiero. Ma quando Dio volle creare ciò che aveva progettato, generò e produsse (™gšnnhse

proforikÒn) questo Verbo, primogenito di tutta la creazione. [Dio] perciò non svuotò se stesso della

sua Parola, ma avendola generata, rimane sempre unito ad essa»111 

Così il pensiero di Teofilo è chiaro: Cristo in quanto eternamente immanente in Dio è preesistente, perché è il pensiero o la mente del Padre; in quanto manifestato nella creazione e nella rivelazione è

l’extrapolazione o espressione di questo pensiero. Viene così stravolto il pensiero e la conclusione

di Felice.

TEOGNOSTO

La striminzita citazione di Felice ci richiama ad un controllo più approfondito:

«Di Teognosto, capo della scuola catechetica di Alessandria, si dice che “Egli definiva il Figlio unacreatura”. (Il pensiero cristiano delle origini, J.N.D. Kelly, Bologna, EDB, 2ª edizione riveduta a

cura di G. Gramaglia, 1984, pag 165)»112

Ecco cosa scrive il Kelly:

«Egli definiva il Figlio una creatura e ne limitava l’attività agli esseri razionali, ma affermava anche

che la sostanza del Figlio (oÙs…a) non era derivata dal nulla, ma dalla sostanza del Padre, come lo

splendore dalla luce o il vapore dall’acqua. E proprio come lo splendore e il vapore non sono né

identici al sole o all’acqua né diversi da loro, così la sostanza del Figlio non era né identica né

diversa da quella del Padre; Egli era un efflusso della sostanza del Padre, che nel processo non subì

alcuna divisione»113 

Anche in questo caso il vero pensiero di Teognosto contrasta con ciò che Felice dice e vuole

trasmettere.

TERTULLIANO

Felice, per citare Tertulliano, non utilizza il Kelly ma altre opere che se controllate riserverebbero

certamente non poche sorprese. Mi soffermo comunque sul Kelly visto che è la fonte più utilizzata

 per la nostra ricerca. Come Ippolito anche Tertulliano dava grande importanza al monoteismo

cercando di confutare il dualismo gnostico, sebbene avesse in seguito dovuto subire l’accusa di

 politeismo in ambienti ove era fiorente il modalismo.

Innanzitutto aveva il concetto di un Dio che esisteva dall’eternità nella sua solitudine senza eguale,

 pur avendo immanente in sé, indivisibilmente uno con Lui, in analogia con le funzioni intellettuali

111 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 124112 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 37113 John N.D. Kelly, Il pensiero cristiano delle origini…, 165

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dell’uomo, la sua ragione o Verbo. Infatti Tertulliano afferma che prima di tutte le cose Dio era

solo, ed era per sé il mondo, il luogo ed ogni cosa. Tuttavia era solo nel senso che non vi era nulla

di esterno a lui. Ma anche allora non era realmente solo, poiché egli aveva con sé la ragione che egli

 possedeva entro se stesso, vale a dire la propria Ragione. Inoltre Tertulliano, più di tutti i suoi

 predecessori, mette in luce l’alterità o individualità di questa ragione immanente o Parola con la

quale ha ragionato dall’eternità e che costituisce “un secondo oltre a Lui stesso”.

E poi c’è lo Spirito, rappresentante o delegato del Figlio; ha origine dal Padre per mezzo del Figlio.

Anch’egli è una “persona”, cosicché la Divinità è una “trinità” (trinitas: Tertulliano è il primo ad

utilizzare questo termine). I tre sono veramente distinti numericamente, e “possono essere contati”

tanto da poter affermare che la Trinità rivelata nella economia non era in alcun modo incompatibile

con l’essenziale unità di Dio; esprimeva l’idea in modo caratteristico affermando che Padre, Figlio eSpirito sono uno nella “sostanza”. Tertulliano dice ancora: “Dio è il nome per la sostanza, cioè la

divinità, e il Verbo è “una sostanza composta di spirito, di sapienza e di ragione. Quindi quando

 parla del Figlio come essere “della stessa sostanza” del Padre, egli intende dire che condividono la

medesima natura o essenza divina, e, in realtà, poiché la Divinità è indivisibile, sono di unico essere

identico.114 

La conclusione di Felice a pag. 39 è un’insieme di varie citazioni, per la verità molto difficili da

reperire. In attesa di poterne consultare e controllare qualcuna, soffermiamoci sulla seconda:

«Un’ enciclopedia cattolica osserva che “Nella Scrittura non c’è nessun termine col quale le Tre

Persone Divine vengono indicate insieme. Il termine τρίας [trìas] (del quale il latino trinitas è una

traduzione) si trova per la prima volta verso il 180 d.C. in Teofilo di Antiochia. . . . Poco tempo

dopo compare in Tertulliano nella forma latina trinitas”. (The Catholic Encyclopedia, cit., vol. XV,

 p. 47)»

In questa citazione Felice, dopo i puntini di sospensione, ha omesso qualcosa di importante: «...Lui parla de "La Trinità di Dio [il Padre], la Sua Parola e la Sua Saggezza" ("Ad Autolico"., 11, 15 P.

G., VI 1078). Il termine può, naturalmente, essere stato in uso prima del suo tempo. Poco tempo

dopo compare in Tertulliano nella forma latina trinitas»115 

Dalla parte omessa si capisce che Teofilo aveva ben chiaro cosa volesse intendere per  trìas. (La

Trinità, il Padre, il Figlio -Parola- e lo Spirito Santo –Saggezza-). Inoltre, la fonte non esclude che

abbia acquisito la dottrina da altri, né che Tertulliano non l'abbia insegnata!

114 Cfr. Idem, 138-144115 The Catholic Encyclopedia, cit., vol. XV, 47

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Felice, proseguendo, in poche pagine (41-47) parla del Concilio di Nicea e conseguentemente del

credo Niceno; a riguardo vorrei far notare alcune considerazioni:

1) Presentare in poche pagine, e ancor più in modo molto succinto, la storia e lo svolgimento di un

Concilio come quello di Nicea è veramente molto difficile, anche in considerazione del fatto chenon né possediamo gli atti.

2) Iniziando poi, come abbiamo già visto, con una falsa affermazione di ordine dottrinale di capitale

importanza circa i rapporti tra Dio Padre e il Figlio Gesù,116 che tra l’altro era il problema di gran

lunga più spinoso, non aiuta certo a mettere a fuoco la situazione

3) Mescolare o raggruppare a modo di “copia incolla” diverse e isolate citazioni su un tema così

complicato come fa Felice, crea confusione e disinformazione nel lettore; ma vediamo cosa diceFelice – le sue parti sono in corsivo – .

 Nel 325 E.V. fu convocato a Nicea da Costantino stesso un concilio di vescovi… In verità, molto

 probabilmente, è stato l’amico e consigliere vescovo Ossio di Cordova a suggerirgli l’idea di un

concilio, che si potè certamente realizzare grazie all’appoggio logistico dello Stato romano.

 Durante il concilio l’imperatore Costantino, notando che i trinitari erano in maggioranza, prese le

 parti di Atanasio. Perciò, le credenze di Ario furono dichiarate eretiche…

Che i trinitari, o meglio i padri conciliari come li chiama Atanasio, fossero in maggioranza è un

dato di fatto, ma che per questo Costantino prese le loro parti non è assolutamente vero. Costantino

sostanzialmente si limitò ad assistere al Concilio e diede il suo assenso dopo le discussioni dei

 padri, anche perché non aveva la competenza necessaria per affrontare con i vescovi quelle

discussioni teologico-bibliche, nonostante era già avviato alla conversione al cristianesimo. Le

credenze di Ario furono dichiarate eretiche perché contrarie alla testimonianza della Scrittura e alla

fede cristiana.

Si, “Nicea raprresentò in effetti l’opinione di una minoranza…”… “solo una minoranza assunse

una posizione dottrinale chiaramente formulata in contrapposizione all’arianesimo, anche se

questa minoranza riuscì a raggiungere il suo obiettivo”

A questo punto si nota una certa confusione: mentre sopra Felice dice che i “trinitari sono la

maggioranza tanto che Costantino stà dalla loro parte”, qui dice invece che “Nicea rappresenta una

minoranza in contrapposizione all’arianesimo”; quale sarà la verità?

Cosa interessante, non fu presente l’allora papa, Silvestro I. Davvero strano per una cosa di così116 Vedi pag. 9 «La cosa più strana è che anche se tutti credono in Gesù come Dio ci sono varie differenze di creditrinitari e di dottrine varie»

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 grande importanza

E’ vero che non era presente papa Silvestro I, ma aveva mandato i suoi due legati pontifici, i

 presbiteri Vito e Vincenzo

 Dopo mesi di discussioni, Costantino decise a favore dei Trinitari. L’ “Encyclopaedia Britannica”dice che: “Intimoriti dall’imperatore, i vescovi, con due sole eccezioni, firmarono il credo

[niceno], molti contro la propria inclinazione”.. (Vol. 6, pag. 386) (Non sono in possesso di

questa fonte per poter controllare)

In verità l’eresia ariana fu condannata all’unanimità dai padri conciliari, e come si ricordava prima

Costantino non decise a favore di nessuno, ma in un certo senso “ratificò” le decisioni e le

conclusioni de padri stessi.

Dopo tutto questo strano collage, Felice continua:

 Perciò, c’è da chiedersi se Nicea sia stato un bene o un male per i credenti. Qualcuno pensa che

“quando accettiamo per fede che Gesù è Dio, come è stato proclamato a Nicea, rimane ancora una

domanda: fin dove e in che modo questa confessione è contenuta nel NT?... i Padri conciliari a

 Nicea erano preoccupati di non poter rispondere ad Ario con categorie puramente bibliche… ci

 sono degli studiosi non liberali che non tentano di confutare la divinità di Gesù, ma che sono

 peraltro insoddisfatti della confessione nicena di Gesù come Dio, perché sono incerti che questo

corrisponda al linguaggio biblico”. (Introduzione alla Cristologia del Nuovo Testamento,

 Raymond Brown, Editrice Queriniana (1995) pagg. 168, 169)117

Questa citazione è estrapolata da una delle ultime appendici del libro di Brown, e si intitola “ I 

cristiani del Nuovo Testamento chiamavano Gesù ‘Dio’?” E’ indubbio che questo modo di citare

induca il lettore a considerare che la confessione di Gesù come ‘Dio’ sia estranea alle scritture e

 perciò non sia biblica. Basta avere la pazienza e la volontà di leggere per intero la fonte originale

nel suo contesto per accorgerci del vero pensiero che l’autore vuole trasmetterci; come al solito

riporto in rosso le parti omesse da Felice

«Terza appendice

I cristiani del Nuovo Testamento chiamavano Gesù ‘Dio’?

La terza parte di questo libro ha esaminato come i cristiani del NT associassero momenti particolari

della vita di Gesù a designazioni/titoli, che aiutavano ad esprimere la sua identità o il suo ruolo nel

 piano di Dio. Alcune di quelle designazioni rappresentano una cristologia alta (pp. 10-11, supra),specialmente ‘Figlio di Dio’ e ‘Signore’. A causa della funzione svolta nella storia del

117 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ …, 41

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cristianesimo, comunque, una designazione o titolo merita una particolare attenzione, poiché nei

tempi successivi al NT il dibattito si stabilizzò sulla questione se Gesù fosse ‘Dio’. Al Concilio di

 Nicea (325 d.C.) si confessò che il Figlio è Dio e non una creatura: “Dio vero da Dio vero”. Il

riconoscimento che questa fede è ancora il segno distintivo del cristiano si trova nella confessione

di Amsterdam del Consiglio Mondiale delle Chiese, che ha affermato che il Consiglio Mondiale è

composto da “Chiese che riconoscono Gesù Cristo come Dio e salvatore”.

Eppure, quando accettiamo per fede che Gesù è Dio, come è stato proclamato a Nicea, rimane

ancora una domanda: fin dove e in che modo questa confessione è contenuta nel NT? Uno sviluppo

dalle Scritture a Nicea, almeno nella formulazione e nei modelli di pensiero, deve essere

riconosciuto da tutti. Di fatto i Padri conciliari a Nicea erano preoccupati di non poter rispondere ad

Ario con categorie puramente bibliche236. Inoltre, dal tempo di Nicea, c’è stato un preciso progresso

da un approcio più funzionale a Gesù ad un approcio ontologico237. Prima di questo sviluppo

qual’era l’atteggiamento degli autori del NT nell’attribuire a Gesù il titolo ‘Dio’? L’inchiesta

comprenderà un esame di passi scelti del NT, la cui interpretazione in alcuni casi è altamente

controversa. Nonostante gli sforzi per rendere intellegibili ai lettori che non conoscono il greco le

 possibili interpretazioni di tali passi, a volte l’esposizione apparirà più complessa di quanto non lo

sia stata finora. Per questa ragione ho scelto di porre questo materiale in un’appendice238.

Da quanto detto finora, dovrebbe risultare ovvio che l’atteggiamento del NT nei confronti della

divinità di Gesù è molto più generale dello scopo della presente appendice, sia nei termini di ciò che

Gesù pensò di se stesso, sia nei termini di ciò che i suoi discepoli pensarono di lui. Anche se

scoprissimo che il NT non chiama mai Gesù ‘Dio’, ciò non significherebbe necessariamente che gli

autori del NT non considerassero Gesù divino. C’è molto di vero nell’opinione di Atanasio secondo

cui la definizione di Nicea, per cui Gesù è Dio e non una creatura, riassume il senso delle Scritture;

si può dedurre perciò che non è dipendente da alcuna affermazione della Scrittura239. Ciò

nonostante, stabilire che dei passi del NT hanno consentito lo sviluppo dell’uso di ‘Dio’ riferito a

Gesù è importante per diversi motivi.

 Primo: ci sono degli studiosi non liberali che non tentano di confutare la divinità di Gesù, ma che

sono peraltro insoddisfatti della confessione nicena di Gesù come Dio, perché sono incerti che

questo corrisponda al linguaggio biblico»118

Poi lo stesso Brown continua la sua trattazione elencando altri motivi che certificano e giustificano

nel NT l’uso del titolo di ‘Dio’ per Gesù.119 

Per quanto riguarda la trattazione di Felice sul credo Niceno di pag. 43 e ss del suo libro, una parola118 Raymond E. Brown, Introduzione alla Cristologia dl Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1995, 168-169119 Cfr pag. 10

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va detta; senza entrare nel merito cerco di sintetizzare al massimo la questione. Felice per screditare

i padri conciliari – e di conseguenza il valore del Concilio – attribuendo loro la colpa di aver 

snaturato la vera fede cristiana a vantaggio delle diverse filosofie pagane e idolatriche insiste e

rimarca che

A) l’espressione omooùsios (stessa sostanza) non è scritturale e dunque non corrispondendo al vero

linguaggio biblico si allontana dalla fede cristiana

B) è stata voluta e inserita nel credo per un espresso desiderio dell’ imperatore Costantino:

ingerenza nefanda dello stato che conferma ancora una volta che le scelte religiose o di fede erano

ancora troppo dipendenti dalla filosofia e dal potere politico.

C) i padri conciliari a Nicea erano condizionati da presupposti ideologici nella formulazione del

credo e si sono allontanati dalla purezza della vera fede.

Si risponde dicendo che

A) Anche se omooùsios non corrisponde a un linguaggio biblico contiene il significato e il senso

delle scritture, come spiegava Atanasio

B) Si è enfatizzato il ruolo di Costantino al Concilo: è stato il vescovo Osio di Cordova, suo amico

e consigliere a suggerire l’utilizzo di questo termine e comunque Costantino stesso si era

 preoccupato che venisse inteso nel modo corretto.

C) i Padri conciliari dovevano tramandare e spiegare la fede cristiana in una cultura e società di

estrazione greca con altre categorie che non erano specificatamente bibliche.

A conferma di quanto detto, basta leggersi con la dovuta calma e tranquillità gli stessi libri citati da

Felice (ma non solo qui anche altrove nel suo lavoro), Atanasio,  Il Credo di Nicea, Città Nuova, e

John N. D. Kelly,  Il pensiero cristiano delle origini, EDB; molto chiari e lineari affrontano tra le

altre cose, tutti i temi e le questioni che riguardano il Concilio di Nicea, “il prima, il durante e il

dopo”.

Anche le ultime citazioni di pag. 47, in verità, riguardano un altro particolare aspetto del termine

omooùsios (della stessa sostanza120) considerato dai Padri conciliari, così che possono venire

comprese solo se inserite in un determinato contesto.

120 Abbiamo già visto che homooùsios è una parola composta da homòs (= identico, lo stesso) e ousìa (sostanza,essenza). Gli studiosi della storia dei dogmi si sono chiesti se Atanasio avesse inteso l’identità di ousìa come identitànumerica (unica e medesima – lo si dice della Trinità) o identità specifica (quella comune a più, come per esempio agliesseri umani). Molto probabilmente Atanasio per quanto riguarda la ousìa della Trinità la intese come unità numerica;questo però non fu neanche preso in considerazione nel Concilio di Nicea, ma fu oggetto di discussione solo dopo.

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IL PADRE, IL FIGLIO e LO SPIRITO SANTO

Felice, al termine della sua disamina sul Concilio di Nicea e sul credo che ne è seguito, prima di

analizzare diversi passi biblici in rapporto al mistero trinitario, parla in tre pagine distinte in modo

superficiale e impreciso del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, senza però approfondirne nesvilupparne i loro reciproci rapporti.

Riguardo a questo riporto una citazione già utilizzata da Felice sebbene parzialmente, che colpisce

nel segno perché inquadra bene la dottrina della Trinità in rapporto al Padre al Figlio e allo Spirito

Santo, partendo dall’indispensabile esperienza storica di Gesù di Nazaret:

«Come i titoli cristologici hanno il compito di far emergere la verità teologica e soteriologia

dell’evento escatologico dell’identificazione di dio con Gesù crocifisso, così la dottrina della Trinità

ha la funzione di narrare vita, passione e morte di Gesù di Nazaret come storia di Dio. In quanto

 summa del vangelo, la dottrina della Trinità può garantire questa storia da qualsiasi riduzione

razionalistica o mitica di Dio. Come gli inni, le omologie e i titoli cristologici hanno essenzialmente

un valore salvifico e non meramente definitorio e assertivo, così anche la Trinità è una dottrina che

esprime una verità salutare. Il mysterium trinitatis è mysterium salutis.

La dottrina della Trinità deve essere elaborata  non tanto  mettendo insieme affermazioni

bibliche sul Padre, sul Figlio e sullo Spirito, quanto riflettendo sull’esperienza di salvezza in

Gesù di Nazaret. Teniamo presente che il materiale biblico offre in quanto tale solo una possibilità,

non una necessità per fondare una dottrina trinitaria. <I vangeli non parlano di “persone” in Dio né

lo fanno i primi grandi concili cristologici>.1 L’identificazione di Dio con Gesù crocifisso costringe

a presupporre una distinzione di Dio in se stesso, in cui Dio non si contraddice ma è corrispondenza

d’amore. Se la croce è l’evento fondatore della fede trinitaria, non solo il concetto dell’essenza

divina non può essere più pensato astratto dalla storia dell’essere trinitario di Dio, ma l’essere

trinitario di Dio non può essere postulato, prescindendo dall’esperienza di Gesù di Nazaret»121

Bene e con chiarezza ha ricordato Gamberini che la dottrina della Trinità si elabora partendo

dall’esperienza storica di Gesù di Nazaret, che è esperienza di salvezza e di comunicazione

 principalmente tra lui e il Padre e tra di noi.

121 Paolo Gamberini, Questo Gesù (At 2,32). Pensare la singolarità di Gesù Cristo, EDB, 2007, 257

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IL “DIO DI GESÚ CRISTO”

Può emergere a questo punto una domanda fondamentale per il nostro cammino:

Il NT salvaguardia la fede in Jahwè, il solo, vero e unico Dio che nella storia ha liberato e seguito

da vicino il suo popolo, e si è fatto conoscere attraverso i suoi prodigi? In altre parole, c’è unacontinuità tra l’Antico e il Nuovo Testamento?

La lettera agli Ebrei per esempio (ma non solo) ci ricorda che i profeti nell’ AT  e Gesù nel  NT 

rivelano lo stesso e unico Dio: cambiano i messaggeri (coloro che ascoltano), ma non il messaggio

(Dio stesso)!

La fede cristiana da parte sua ritiene da sempre che Dio almeno una parola l’abbia detta in modo

definitivo, e che per di più essa sia una parola personale, il Logos per eccellenza, Gesù di Nazaret, il

crocifisso risorto: non tanto le sue parole sono parola di Dio, ma lui stesso, in quanto persona e inquanto storia è la Parola di Dio, “Dio stesso che parla”; già il grande vescovo Ignazio di Antiochia

all’inizio del II° sec. lo espresse molto bene: «Egli è la sua parola uscita dal silenzio».122

La vera novità cristiana nella comprensione di Dio sta nell’averlo essenzialmente correlato a Gesù

Cristo.

Ci sono molte formule che affermano la fede neotestamentaria nell’unico Dio e Signore:

1. εŒς Ð qεÒς - éis ho theòs (un solo Dio) Rm 3,30; 1Cor 8,4-6; Gal 3,20; Ef 4,6…

2. mÐnoς o qeÒj - mònos ho theòs (unico Dio) Rm 16,27; 1Tm1,17; Ap 15,4…

Per la fede dei cristiani la vita eterna consiste nel conoscere il solo e vero Dio (Gv 17,3); Paolo ai

cristiani di Tessalonica ricorda di fondare la loro fede nell’unico vero Dio e di aspettare il ritorno

del suo Figlio. Paolo chiama il vangelo da lui predicato il vangelo di Dio  perché è Dio l’autore e

contenuto dello stesso ( Rm 15,6; 1Tess 2,2-9). Ora il  Dio del vangelo che Paolo e gli evangelisti

annunciano è il Dio del Nostro Signore Gesù Cristo, come dicono gli Atti ( At 2,39; 3,13);

il Dio dei Padri e Dio Nostro, si rivela adesso “il Dio e Padre del nostro Signore Gesù Cristo” ( Rm

15,6; Ef 1,3).Giovanni nel suo vangelo lo dice senza mezzi termini:

«Dio nessuno lo ha mai visto, ma l’unigenito Figlio ce lo ha manifestato» (1,18). Così san Paolo, un

colto giudeo educato nella più strettissima osservanza della legge dei padri, nel saluto conclusivo

della Seconda lettera ai Corinzi, pone ogni cosa al punto giusto:

«La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio, e la comunione dello Spirito santo, siano

con tutti voi» (13,13); esso non parte dall’alto, da Dio, secondo una linea discendente, ma dal basso,

da Gesù Cristo perché è lui la chiave di lettura che ci permettere di arrivare a capire chi è il Diodella nuova fede.

122  Ai Magnesii 8,2

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L’esperienza di Mosè e dei patriarchi insegna che la fede dell’uomo biblico era radicata nella storia

di una famiglia, di un clan, di un popolo. E’ il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei

vivi e non dei morti, concetto ripreso da Gesù nella famosa discussione con i Sadducei quando

doveva difendere la fede nella resurrezione, per ribadire che le persone del passato non sono finitenel nulla, poiché Dio stesso è la loro vita (cfr. Mt 22,32).

Gesù stesso nel vangelo di Giovanni si pone scandalosamente in rapporto diretto e addirittura di

 precedenza con Abramo affermando:

«Prima che Abramo fosse io sono» (8,58) equiparandosi cioè a Dio stesso.

Perfino nel giorno di Pentecoste Pietro proclamerà solennemente ai giudei:

«Uomini d’Israele,… il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri Padri ha

glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato» ( At 3, 12.13),ribadendo che la resurrezione di Gesù interessa ed è in continuità con la storia del popolo di Israele.

L’enigmatica e solenne espressione che leggiamo nell’Apocalisse

«Colui che era, che è e che viene» (1,4.8; 4,8; 11,17; 16,15) richiama questa linea di sviluppo nella

 prospettiva della fede ebraica nel Dio della storia, nel Dio che era nel passato in Egitto per liberare

il suo popolo attraverso il mar Rosso e per attuare le sue promesse nel tempo avvenire; Giovanni sa

 bene che il Dio di questa definizione è legato alla persona e al destino di Gesù Cristo, di cui l’autore

della lettera agli Ebrei sottolinea che «è lo stesso ieri, oggi, e nei secoli» (13,8).

Sulla stessa linea di una continua-discontinuità, l’autore della lettera agli Ebrei apre il suo scritto

 proprio così:

«Dio, che nel  tempo antico molte volte e in diversi modi aveva parlato ai padri per mezzo dei

 profeti, ultimamente in questi giorni ha parlato a noi per mezzo di uno che è Figlio, che costituì

erede di tutte le cose e per mezzo del quale creò l'universo» (1,1-2)

In sostanza, ciò che gli antichi profeti hanno fatto nei confronti della storia d’Israele e delle suetappe maggiori (Abramo e i patriarchi, Mosè e l’esodo, Davide e la monarchia, l’esilio

 babilonese…), i primi cristiani lo hanno fatto a proposito di Gesù e della sua vicenda (terrena e

ultraterrena); è là che hanno visto ancora una volta all’opera il Dio dei Padri che portava a

compimento ciò che precedentemente aveva iniziato.

Partendo dall’esperienza storica di Gesù di Nazaret e considerando tutta una serie di elementi, se da

una parte può emergere chiaramente la continuità del Dio di Gesù con il Dio di Israele, altrettanto

chiaramente dall’altra si denota la discontinuità con la fede tradizionale del suo popolo.

Ecco allora l’elemento specifico e fondante del monoteismo cristiano:

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La fede cristiana abbraccia quel Dio concreto che Gesù Cristo ha rivelato come suo Dio e

Padre.

Dio e Padre di Gesù

Gesù ci ha rivelato il Dio unico, e ha lavorato per edificare il suo Regno: ma di chi parla Gesù

quando parla di Dio? A chi intendono riferirsi gli autori neotestamentari quando scrivono “ho

Theòs” (”il Dio” con l’articolo)?

Quando parla del Dio unico, il Dio d’Israele, Gesù gli applica spesso il nome di Padre e si pone in

un specialissimo rapporto con Lui, anzi esclusivo, come Figlio suo.

Tre aspetti della vita di Gesù confermano la peculiare caratteristica di questo rapporto: la sua

 preghiera, le sue parole e la sua prassi.

La preghiera è strettamente intima e personale con il Padre; In quello stesso istante Gesù esultò

nello Spirito Santo e disse:

«Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai

sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto» ( Lc 10,21; Mt 11,25);

«Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30);

«Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: “Padre, ti ringrazio che mi hai

ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché

credano che tu mi hai mandato”» (11,41-42)

Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo,

 perché il Figlio glorifichi te» (17,1); «E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che

avevo presso di te prima che il mondo fosse» (17,5)

«Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci

nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi» (17,11)

E diceva: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io

voglio, ma ciò che vuoi tu» ( Mc 14,36)Ancora: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» ( Lc 23,34)

«Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la

mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre

giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato»

(Gv 17, 24-25) 

«Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono

giunto a quest'ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L'ho glorificatoe di nuovo lo glorificherò!» (Gv 12, 27-28)

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Bisogna poi rilevare il modo con cui Gesù parla abitualmente di Dio come Padre prescindendo da

una personale associazione con i discepoli: parlando a loro o alla gente non dice mai “il  NOSTRO

Padre”, bensì il “Padre vostro…” ( Mt  5,16; 5,45; 5,48; 6,4; 6,8.15; 10,20.29; 23,9.  Lc 6,36;

12,30.32; Mt 5,16.45.48; 6,1.14.26.32; 7,11; Mc 11,25; Lc 11,13). “il loro Padre …”, ( Mt 13,43) “il

Padre tuo…” ( Mt  6,4.6.18). Anche l’invocazione aramaica “Abbà” = papà, riportata da Marco,

 permette di intravedere l’originalità e l’essenza stessa del suo rapporto con il Padre; mai nessun

ebreo si era permesso di rivolgersi a Dio come un fanciullo si rivolge a suo papà, al suo babbo, con

la stessa semplicità, la stessa intimità e lo stesso abbandono fiducioso. Inoltre nella lingua aramaica

questo termine non viene mai usato in senso figurato, ma sempre in senso reale, per indicare il

 padre naturale o adottivo.

Anche nella prassi emerge un profondo nesso esistente tra lui e Dio come Padre. Nella classica parabola lucana del figlio prodigo, per esempio, non si parla in astratto della paternità di Dio, ma

Gesù stesso la racconta per giustificare il  proprio operato: quello cioè di far capire come Dio stesso

agisca attraverso lui per cercare e trovare i suoi figli perduti.

Gesù è il Figlio di Dio Padre

Un particolare tipo di paternità di Dio nel NT riguarda il suo specialissimo ed esclusivo rapporto

con Gesù Cristo come Figlio suo. La rivelazione di Dio  Padre per opera di Gesù Figlio riveste una

dimensione del tutto nuova e inattesa. Si deve subito scartare in toto la serie delle tre possibili forme

di parallelismo “figlio di Dio” offerte dalla storia delle religioni nelle quali non è possibile

catalogare Gesù.

La  prima è annoverabile in quella categoria di persone che chiamiamo mitologiche come gli eroi

nella grecità (figli di un dio e di una donna mortale) e gli angeli in Israele; 123 che poi non sia

etichettabile come eroe risulta in generale dal fatto che è connotato da una dimensione ben precisa

(non tiene quindi il paragone per esempio con Ercole, di cui pur si legge in Ovidio che era “illustre

 prole di Giove” ( Metamorfosi IX, 229) e che alla sua morte sulla pira “il Padre onnipotente tra le profonde nubi e lo portò tra gli astri radiosi” (ivi, 271s); in particolare, va detto che il concepimento

verginale di Gesù né è proclamato da tutti gli scrittori neotestamentari (per esempio sia Paolo che

Giovanni e Marco lo ignorano) né è inteso da chi lo tramanda (Matteo e Luca) come un intercorso

sessuale tra un dio e una donna mortale (visto che per essi si tratta di Dio stesso).

La seconda è quella dei cosidetti “uomini divini” nella grecità e dei giusti in Israele: egli infatti non

si presenta propriamente come “dio” né è semplicemente annoverabile tra i giusti osservanti della

Toràh (legge) mosaica. I casi di Empedocle, Pitagora e Platone ne sono una conferma. Quanto al123 Che non sia un angelo è fin troppo chiaro (secondo Felice e gli altri TdG Gesù è l’arcangelo Gabriele; ne parla alla

 pag. 495 ss; in questo elaborato il tema non viene approfondito)

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 più recente Apollonio di Tiana, seconda metà del I° sec. d.C., basta vedere ciò che ne scrive

Filostrato, Vita di Apollonio 1,6: “I suoi conterranei dicono bensì che Apollonio è figlio di Zeus,

ma l’interessato si dice figlio di Apollonio” (trad. it. di D. Del Corno, Adelphi, Milano 1978, 65).

La terza categoria dei “figli di Dio”, anch’essa incompatibile con Gesù, è quella dei sovrani chegodono della regalità, o almeno non quelli di ambito ellenistico-pagano, venerati come dei accanto

ad altre divinità. Infatti, da una parte, i racconti di miracolo che lo riguardano non solo non

esprimono tuta la sua identità ma forse neanche quella più tipica, e d’altronde l’appellativo thèos,

“dio”, a lui attribuito, è tardivo e raro e comunque implica una partecipazione all’unico Dio;

dall’altra egli dimostra una notevole libertà nei confronti della legge mosaica, tanto da non poter 

apparire tout-court come un semplice giusto.

Diverso è il caso del Messia davidico come re d’Israele la cui filiazione divina solo in apparenza può essere l’unico parallelo possibile per Gesù; infatti da una parte il concetto di filiazione divina di

Gesù non è inteso in senso terreno-politico (vedi le categorie del profeta e del figlio dell’uomo per 

giunta sofferente!), ne è solamente riducibile ad una semplice adozione (come avviene nei testi

ebraici per il Messia), ma inteso in un senso molto più forte.

Tra tutti i “figli di Dio” Gesù afferma una sua relazione propria, esclusiva, con questo Padre, lui non

è “un figlio di Dio” come lo siamo tutti noi, ma “il Figlio” a un titolo esclusivamente personale. La

sua filiazione è unica: è Figlio di Dio per natura, noi siamo figli adottivi di Dio, per grazia, per  partecipazione. Questa distinzione è sottolineata anche nelle parole di Gesù Risorto alla Maddalena:

“Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Gv 20,17).

Un passo di fondamentale importanza è Mt 11, 25-27, dove si capisce perché Gesù possa dire Abbà

rivolgendosi a Dio: “Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre,

e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”.

Il Padre e il Figlio vivono in una comunione di conoscenza reciproca ed esclusiva da cui sono

esclusi gli altri. Questa conoscenza è fondata sulla originalità singolare, unica, della loro relazione

reciproca di paternità e di filiazione. Gesù ha la consapevolezza di avere una conoscenza di Dio

 perfettamente identica a quella che il Padre ha di Lui, che è quindi di natura divina e che suppone

anche un carattere divino. Ciò si spiega con il fatto che lui e soltanto lui è il Figlio. E’ soprattutto

nel vangelo di Giovanni, chiamato anche vangelo del Padre che l’idea di paternità attribuita a Dio

raggiunge il suo vertice: 10, 14-15 (il buon pastore), 17,3 (la vita eterna consiste in questa

conoscenza) e 17,25-26 (la conoscenza del Padre per opera di Gesù).

Riguardo al titolo “Figlio di Dio” rivolto a Gesù, Felice per la prima volta cita un libro,  ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO , prima della nascita dei dogmi, di uno dei più noti biblisti a livello mondiale,

il padre domenicano Marie-Emile Boismard , che in effetti ci riporta con i “piedi per terra”

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ridimensionando il significato di questo titolo nei confronti di Gesù contro le esagerazioni di coloro

che, come dice, si sono spinti troppo forzatamente oltre il dato biblico. Si è già citata all’inizio del

nostro studio una sua chiara riflessione che arriva nel cuore del problema.

Dal momento che verrà citato parecchie volte da Felice nel corso del suo libro a conferma e

sostegno delle sue tesi, (in sostanza per darsi ragione), è necessaria a riguardo una importante

 premessa: lo studioso Boismard è un padre domenicano e noto biblista, e dunque certamente non

allineato alle posizioni di Felice e dei TdG in materia di fede cristiana; le citazioni fatte da Felice

nel suo libro dunque, se non debitamente inserite nel contesto e nel pensiero generale dello

studioso, potrebbero risultare fuorvianti per qualsiasi lettore che le accostasse così di primo acchito

al discorso della divinità di Cristo o al mistero della Trinità. Avremo modo di notare in seguito

qualche esemplificazione.

Ma vediamo, a riguardo del titolo “Figlio di Dio”, come viene citato da Felice il Boismard:

«“Giovanni stesso ha riconosciuto che il titolo <<Figlio di Dio>> non aveva un significato

trascendente; si tratta solamente di una filiazione adottiva, come in Salmo 2,7: è un <<semplice

titolo messianico>>…Cristo stesso avrebbe dichiarato alle autorità giudaiche che il titolo <<Figlio

di Dio>> non aveva valore trascendente: rivendicare questo titolo non significava bestemmiare”.

(All’Alba del Cristianesimo – Prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile Boismard (2000)

Edizioni PIEMME; pagg. 68, 154)»

124

 

Così recita la testuale citazione di Felice, che induce il lettore a pensare che il Boismard

ridimensioni di molto la figura e la persona di Gesù, negandogli la sua trascendenza e attribuendogli

solamente una filiazione adottiva nei confronti del Padre; ma basta controllare il libro di Boismard

 per notare alcune importanti omissioni, che come al solito sono riportate in rosso

« Nel suo vangelo (10, 31-36) Giovanni stesso ha riconosciuto che il titolo <<Figlio di Dio>> non

aveva un significato trascendente; si tratta solamente di una filiazione adottiva, come in Salmo 2,7:

è un <<semplice titolo messianico>>…Interrogando il vangelo di Giovanni, specialmente il suo

 prologo (1,1-18), arriveremo a dei risultati più positivi. Secondo Giovanni 10, 31-36 Cristo stesso

avrebbe dichiarato alle autorità giudaiche che il titolo <<Figlio di Dio>> non aveva valore

trascendente: rivendicare questo titolo non significava bestemmiare. E’ la ragione per la quale, nel

suo vangelo, Giovanni preferisce dare a Cristo il titolo di “Unigenito” (monogenès), che non dà

adito ad alcuna ambiguità. Questo titolo si legge precisamente nel prologo del vangelo, ai versetti

14 e 18»125 

124 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 51125 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISRTIANESIMO…, 67,68. 154

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Intanto si nota come la citazione, o meglio le citazioni del Boismard a cui fa riferimento Felice

riguardano Gv 10, 31-36 (che Felice naturalmente evita di ricordare) e non il vangelo nella sua

totalità. Inoltre, il Boismard si è soffermato solamente sul significato del titolo di “Figlio di Dio”

attribuito a Gesù, ma non ha messo in discussione ne la sua trascendenza ne il suo essere divino:

infatti proprio perché il titolo “Figlio di Dio” di per sé non indica necessariamente una filiazione

naturale, come ricorda la nota della BG in  Mt  4,3, ma può benissimo comportare una filiazione

adottiva, come ricorda chiaramente Boismard, Giovanni chiama Gesù l’ “Unigenito” (anche qui

citazione evitata da Felice) togliendo così ogni ambiguità circa la sua divinità. Ecco altri passaggi di

Boismard:

«Ma Giovanni IIb va più lontano: bisogna credere anche che Gesù è il Figlio “Unigenito” di Dio.

Questo titolo implica la fede nella sua divinità (Giovanni 1,1. 14; 20,28)»126

 

«Dunque per Giovanni il Logos è Dio. Di conseguenza, se parte del termine attraverso il quale

Filone designa il Logos, “Primo-Generato” ( protogènes), lo trasforma in “Unigenito” (monogènes),

espressione che introdurrà ai versetti 14 e 18 del prologo (si veda anche 3,16.18 e 1 Giovanni 4,9) e

che evita tutto il riferimento al resto della creazione»127 

«Il vangelo di Giovanni si attiene, dunque, alla tradizione biblica, secondo la quale questo titolo, lo

stesso rivendicato da Cristo, non implica un significato trascendente. Ma poiché Giovanni crede che

Gesù sia Dio, preferisce chiamarlo l’ “Unigenito” (Giovanni 1,14.18; 3,16-18; si veda anche

1Giovanni 4,9), titolo che non può essere rivendicato da un uomo che sia solo tale»128 

Tornando al particolare rapporto tra Gesù e il Padre, egli si presenta anche come un tutt’uno

nell’azione e nell’essere con il Padre: “Le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi

danno testimonianza…Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10, 25-30). E’ per questo che i Giudei

cercavano di ucciderlo, perché lui essendo un uomo chiamava Dio suo Padre e si faceva uguale a

Dio (cfr. Gv 5,18 e 10,33).Anche Gv 14, 9 -11 sottolinea come Gesù non sia semplicemente unito moralmente al Padre, ma sia

un tutt’uno con Lui nell’essere. Gesù dice a Filippo: “Non credi che io sono nel Padre e il Padre è

in me?…Io sono nel Padre e il Padre è in me” Perciò colui che vede il Figlio vede il Padre: “Chi ha

visto me ha visto il Padre”.

Ecco il pieno significato della paternità divina: Dio è Padre perché possiede un Figlio unico, da tutta

l’eternità; così, nel rivelarsi essenzialmente come Figlio di Dio, Gesù rivela, per il fatto stesso che

Dio è essenzialmente il Padre, suo Padre.

126 Idem, 79. 106127 Idem, 112128 Idem, 85

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Per il cristiano, dunque, la paternità di Dio non si misura più primariamente in rapporto all’universo

o a un popolo specifico, ma in rapporto a Gesù Cristo, la cui filiazione unica definisce Dio stesso.

Lo Spirito di Dio condiviso da Gesù Cristo

Basta sfogliare un qualsiasi dizionario biblico per renderci conto di come la realtà dello  spirito

attraversi tutta la storia della salvezza, passando per Mosè e i profeti fino a giungere a Gesù di

 Nazaret e alla sua intera vicenda. E’ evidente per questo che si presentino una verietà di significati e

di comprensioni dello stesso che vanno dalla forza o potenza di Dio a una vera e concreta realtà

 personale, indipendente nella volontà, nelle decisioni e nelle azioni.

Già il giudaismo contemporaneo alle origini cristiane conosceva una serie di ipostasi divine o

attributi personificati che, distinguendosi dai vari esseri angelici non ritenuti propriamente divini,

manifestano i diversi modi di rapportarsi di Dio nei confronti dell’ uomo: sono la  Parola, laSapienza e lo Spirito. La riflessione cristiana attribuì le prime due direttamente a Gesù Cristo (basti

 pensare alla Parola personale del prologo del vangelo di Giovanni, e alla Sapienza ordinatrice e

creatrice del cosmo nella Lettera di Paolo ai Colossesi 1,15-20).129

Di particolare interesse è lo spessore semantico, unico nel suo genere, che la Bibbia riconosce allo

Spirito risaltandone la sua qualità di natura divina: l’italiano “spirito” infatti viene dal latino spiritus

che è maschile, ed ha il corrispettivo nell’ebraico rûach che è femminile e nel greco  pneûma che è

neutro, cosicchè parlando dello  spirito si potrebbero usare indifferentemente i pronomi egli, ella,esso.130 

E’ chiaro che non tutte le volte dove si parla dello spirito nella sua relazione con Dio (ma anche

quando si parla dello spirito dell’uomo), è detto che si tratti sempre di una persona, mentre è certo

che si ha a che fare almeno con una sua personificazione letteraria; lo spirito infatti è presentato

come soggetto di svariate azioni, “ingrediente” principale nei più disparati momenti e forme

dell’intervento divino, associato particolarmente ad alcuni tipi di persone. La cosa più interessante e

importante da notare è che l’ AT considera sempre lo spirito come una proprietà esclusiva di Dio,

 perché unica è la sua origine e unico il suo elargitore.

Ed è a questo proposito che, sulla base del NT , si deve constatare una delle più originali novità della

fede cristiana: accanto a Dio trova posto un nuovo possessore dello spirito e quindi un suo nuovo

elargitore nella persona di Gesù Cristo. Ma qui è necessario distinguere bene le cose per rispondere

adeguatamente a Felice.

129 Ci sarà modo nel corso del lavoro di analizzare tutti questi particolari passi (Gv 10, 25-30; 5,18 e 10,33; Col 1,15-20) per l’argomento in questione.130 Riguardo all’utilizzo del pronome personale maschile greco ™ke‹noj egli/quegli per pneàma  spirito che è di genereneutro, si affronteranno alcuni testi del vangelo di Giovanni.

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Collocandosi da un punto di vista non speculativo bensì storico-salvifico, i primi scritti cristiani non

disquisiscono su un possesso ab eterno dello spirito da parte di Gesù a livello disincarnato, ma

narrano concretamente l’incontro tra di loro prima nel momento del Gesù storico poi in quello del

Gesù glorificato.

La vita di Gesù è particolarmente piena dello spirito come testimoniano molto bene i sinottici e

anche lo stesso Giovanni, anche se è nel quarto vangelo che emerge un più ricco e profondo

insegnamento pneumatologico anche in questa prima fase.131 In effetti il rapporto di Gesù con lo

spirito non differisce molto da quello dei grandi protagonisti del passato israelitico, essendo

sostanzialmente una forza che lo assiste dall’esterno. E’ da notare anche che i racconti evangelici,

come in genere nell’ AT , parlano sempre di discesa dello Spirito “sopra” Gesù, mai “dentro”.

Solo con la Pasqua, e qui arriviamo alla più importante caratteristica dello Spirito intimamente

connesso con Gesù risorto, avviene che lo Spirito di Dio o Spirito Santo diventa effettivamente e

 pienamente condiviso da lui: Gesù, come già si accennava, non è più tanto un fruitore passivo dello

Spirito ma ne diventa elargitore attivo. Giovanni lo dice chiaramente quando riporta le stesse parole

di Gesù secondo cui dal suo seno sarebbero scaturiti fiumi d’acqua viva:

«Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era

ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato» (7,39);

«Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo”» (20,22);

«Infatti colui che Dio ha mandato proferisce le parole di Dio e dà lo Spirito senza misura» (3,34);

«Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che egli aveva

 promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire» (At 2,33).

La sua identità di Risorto è strettamente correlata dalla sua capacità di donare lo Spirito Santo.

Anche Paolo in molte sua lettere parla indistintamente di «Spirito del Figlio» (Gal 4,6), «Spirito di

Cristo» ( Rm 8,9) o «Spirito di Gesù Cristo» ( Fil  1,19): una prima novità consiste appunto

nell’attribuire lo Spirito a Gesù, diversamente dalla tradizione d’Israele che non conosceva

un’attribuzione diretta dello Spirito al Messia. Inoltre le formule Spirito di Dio o Spirito Santo sono

tradizionali in Israele e nel giudeo-cristianesimo, ma l’attribuzione diretta della  Rûach al Figlio di

Dio come Cristo-Messia è inedita e ancor più per il fatto che questi titoli sono attribuiti a un uomo

come Gesù crocifisso e risorto.

131 Solo un accenno. Per esempio Gv 4,23, la frase “adorerete il Padre in Spirito e verità”, va intesa non tanto nel sensodi un mero culto interiore quasi che chiami in causa una certa razionalità, ma nel senso che il culto reso a Diodev’essere animato dal suo Spirito, che nel contesto giovanneo richiama la necessità della rivelazione portata da Gesù.Anche i discorsi dell’ultima Cena dei cap. 14-17 viene sottolineato un particolarissimo rapporto tra lo Spirito (di cui èdetto pure che procede dal Padre – 15,26) e Gesù: Gesù stesso, per esempio, ricorda che la sua partenza è addiritturanecessaria perché lo Spirito possa manifestarsi (16,7) e che venendo porterà con se nient’altro se non ciò che riguardaGesù stesso (16,14); più volte si parla dello Spirito di verità detto anche  Paraclito che in greco significa letteralmentead-vocatus, dunque assistente, garante, protettore. Lo stesso titolo è dato a Gesù risorto in 1Gv 2,1, per dire che se noi

 pecchiamo egli prende le nostre parti presso il Padre.

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Paolo in 1Cor 15,45, in riferimento a Gn 2,7, ritiene Cristo Spirito vivificante in quanto con la sua

resurrezione acquisisce una nuova funzione salvifica, e lo colloca sullo stesso livello soteriologico

di Dio stesso, al quale solo secondo la Bibbia, appartiene la capacità di dare la vita (cfr. 1Re 5,7;

 Nem 9,6; Sl 70,20; Ql 7,12).

Per il cristiano dunque lo Spirito non è solo semplicemente una personificazione, né appartiene a un

Dio disincarnato, ma è ben cosciente che non esiste da solo perché condiviso da Gesù Cristo e in

 base a questa condivisione a due ne fa emergere la personalità; come tra il Padre e il Figlio, così è

tra lo Spirito e il Figlio: non è più possibile pretendere di rapportarsi allo Spirito senza coinvolgere

la persona e la vicenda di Gesù Cristo, e viceversa entrare in comunione con Cristo senza

necessariamente diventare partecipi del suo Spirito (2Cor 5,17).

L’insistenza di Felice sull’idea dello spirito solo come una semplice forza o potenza è fuori posto: ilsemplice fatto di citare dizionari biblici, come per esempio alle pagg. 53-54 del suo libro, in modo

 parziale per riportare solo ciò che fa comodo è segno di poca serietà. Scrive Felice:

«“Il semplice fatto che allo Spirito venga attribuita un’attività intellettuale (per es. parlare, ispirare,

suggerire, ecc.: At 8, 29; Rm 8 6-9) non è sufficiente a farci concludere che si tratti di persona:

 personificazioni simili sono frequenti nella Bibbia.” (Dizionario dei concetti biblici del Nuovo

Testamento (1991) a cura di L. Coenen, E. Beyreuther e H. Bietenhard – EDB; pagg.

1780,1781)»132 

Certamente è vero ciò che scrive Felice, ma è altrettanto vero quello che poco dopo lo stesso

dizionario riporta letteralmente e che Felice appositamente omette:

«6) Lo Spirito di Dio come persona… La personalità divina dello Spirito santo è invece

chiaramente affermata nei passi in cui viene nominato accanto al Padre o insieme con Cristo

Signore, per cui il concetto di personificazione letteraria sarebbe un controsenso… Ma è soprattutto

nel quarto vangelo che lo Spirito santo viene descritto nei contorni di una persona divina, distinta daPadre e dal Figlio… Abbiamo quindi, nel quarto vangelo, tutto un insieme di elementi da cui risulta

in modo chiaro che lo spirito di Dio o di Cristo è persona»133

Lo stesso dicasi del McKenzie citato così da Felice:

«Lo spirito di Yahweh o lo spirito di Dio (Elohim) è una forza…lo spirito di Elohim è una forza

neutrale o indifferente, e lo spirito di Yahweh è una forza che compie le opere di Yahweh…la forza

che ispira la profezia…E’ la forza creatrice di Yahweh…Riepilogando, nell’AT lo spirito, in origine

vento e soffio, è concepito come una divina entità dinamica con la quale Yahweh realizza i suoi132 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 53133 DCBNT, 1794-1795

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fini…Rimane comunque impersonale”. (Dizionario Biblico (1981) J.L. McKenzie; pagg.

946,947)»134 

Lo stesso dizionario parlando dello spirito nel NT dice:

«La teologia dello spirito diventa ancora più elaborata… ma non è ancora sistematica… E’ evidenteche la formula battesimale di Mt 28,19 si allontana in modo sorprendente dagli usi accennati; ed è

 possibile che questo versetto, come altri in Mt, rappresenti una forma di fede più evoluta.

L’elencazione delle tre persone sotto il «nome» è forse la più esplicita enunciazione del carattere

 personale dello spirito in tutto il NT… Qui (come in Mt 28,19) troviamo una elencazione di Gesù,

Dio ( = il Padre) e lo Spirito (2Co 13,13) che supera l’idea comune dello spirito in Paolo e offre la

 possibilità di intravedere che la nuova vita è in ultima analisi opera di una realtà personale, come le

azioni creative e salvifiche del Padre e di Gesù. Come si è osservato il nome stesso di spirito e ilcarattere della realtà e delle opere dello spirito esigono che noi allarghiamo la nostra idea della

 personalità divina… In Gv lo spirito appare soprattutto come Paracleto, spirito di verità… Qui forse

una realtà personale distinta è asserita più esplicitamente che altrove nel NT. Il Paracleto condivide

le sue funzioni con Gesù, ma la distinzione tra i due sembra evidente»135 

Anche la citazione del Boismard, così com’è riportata da Felice da adito solo a una “mezza verità”;

scrive Felice:

«Sì, “Nella Bibbia lo Spirito non è mai concepito come una persona, ma semplicemente come la

manifestazione della potenza di Dio”. (All’Alba del Cristianesimo – Prima della nascita dei dogmi.

Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME; pagg. 145, 146)»136 

Certo, Boismard stà parlando delle tradizioni giudaiche e ricorda come nella Bibbia, affrontando la

questione in modo generale, lo Spirito non sia stato considerato una persona (così sempre nell’AT)

ma una forza o la potenza del Signore. Ma ricorda anche che dopo ulteriori sviluppi si è giunti ad

una nuova comprensione della fede

«Prima che la fede in un Dio-Trinità si radichi bisognerà attendere che questa filiazione venga

concepita come naturale, che si faccia di Cristo qualcuno uguale a Dio. Certamente ciò non avvenne

 prima della fine del primo secolo. E’ necessario aspettare ancora perché si concepisca lo Spirito

come una “persona” e non più solo come la potenza di Dio»137 

Crisi del monoteismo138 

134 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 54135 DBMK, 948. 950-951136 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 54137 Marie Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 157

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E’ certo che la fede cristiana sembra aver messo in discussione il cardine della fede di Israele: lo

stretto monoteismo. Ed è proprio nei confronti di questo cardine che emerge l’origine della fede

trinitaria cristiana.

Il dato primario della nuova confessione è che fin da subito, cioè a partire dal “terzo giorno”, fu

chiaro e tipico per i cristiani che Gesù era stato associato alla signoria di Dio, chiamato e

riconosciuto Signore, appellativo non riferito ad altri se non al Dio trascendente come era per la

fede ebraica. Un unico titolo dunque designa insieme Dio e un uomo, per di più un crocifisso

risorto.

L’elezione del pneàma alla Triade divina fu un fatto secondario, non perché fosse meno importante,

ma perché avvenne in un secondo momento. Ma andiamo ad un testo molto significativo di Paolo:

«E in realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi emolti signori, per noi c'è

un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e

un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui»

(1Cor 8,5-6).

Ciò che di fondamentale colpisce di questa confessione di fede è la distinzione netta tra un solo Dio

e un solo Signore. A monte di questa formulazione c’è sicuramente quella della tipica fede

israelitica dello Ŝ emàc: «Ascolta, Israele: il Signore nostro Dio è un Signore unico»139 (Dt 6,4).

Ebbene il testo paolino disgiunge ciò che qui è strettamente unito, anzi sovrapposto come

equivalente, cioè i due titoli di Dio (´Elohîm) e di Signore (´Adonay). Per Israele, l’unico Dio è

anche il solo Signore e, viceversa, l’unico Signore è anche il solo Dio. I cristiani, invece, mentre

mantengono l’unicità di Dio come Padre, distinguono da lui Gesù Cristo come Signore. Non che

essi rifiutino al Dio della tradizionale fede ebraica il titolo di Signore, tutt’altro, visto che il  NT lo

impiega molto in questo senso, ma essi ora lo attribuiscono indifferentemente a lui e a Gesù risorto,

e non certo perché egli lo abbia conquistato con la forza, come la mitologia greca narra nei suoi

innumerevoli racconti, ma in quanto è Dio stesso che fa dono del «nome che è al di sopra di ogni

138 Da un punto di vista religioso l’espressione sta ad indicare l’esistenza di un unico Dio (mònos, unico, thèos, Dio), incontrapposizione al politeismo (adorazione di più divinità). Considerando le cose in ordine al cristianesimo, vannoindividuati altri due livelli: il monoteismo biblico (la fede del popolo d’Israele) e il monoteismo trinitario, cioè in chesenso la peculiarità del cristianesimo sia quella di essere il monoteismo dell’Uni-Trinità.E’ importante considerare che nel periodo storico dello origini cristiane, detto del Medio Giudaismo, compreso tra ilIII° sec. A.C. e l’anno 70 circa del I° sec. d.C., la fenomenologia religiosa del momento presentava una varietà ditipologie tanto diversificate da rendere pressoché impossibile parlare di ortodossia dominante, così che il concetto dimonoteismo sembrava valere più a livello teorico e verbale che non di esperienza religiosa vissuta di fatto sul piano

 pratico e sociale (cfr. LEXICON, Dizionario Teologico Enciclopedico…, 679).139 La doppia ricorrenza del titolo ´Adonay, «Signore», è solo la pronuncia corrispondente al tetragramma sacro delnome di Dio scritto Yhwh, e può essere tradotto in modi diversi: «il Signore è nostro Dio, il Signore è uno solo»,oppure «il Signore è nostro Dio, il Signore solo» oppure, come si è reso qui, «il Signore nostro Dio è un Signore unico».

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altro nome» a Gesù in forza della sua morte in croce (cfr.  Fil 2,9), associandolo con se alla propria

signoria e accogliendolo alla propria destra, non come ospite estraneo della propria divinità, bensì

come suo compartecipe sullo stesso piano.

Con ciò che abbiamo detto finora si sono intravisti i fondamenti della fede nella Trinità. Le formule binitarie e in seguito trinitarie140 a cui si è accennato, documentano la fluidità non della fede, ma

della sua espressione che oscillò fino al decisivo Concilio di Nicea dell’anno 325. La fede, infatti,

che sta sempre al di là delle parole, è tipica del cristianesimo fin da principio e ne costituisce uno

dei capisaldi.141 

CONTROESAME DI ALCUNI PASSI BIBLICI PRESI IN CONSIDERAZIONE DA FELICE IN ORDINE

ALLA TRINITÀ

L’analisi di 650 passi biblici occupa la parte più consistente del libro di Felice: ben 483 pagine. Ma

ciò che stupisce maggiormente, a parte il considerevole numero di pagine, è la scelta dei diversi

versetti biblici. Gran parte, infatti, sono autentici “specchietti per le allodole” in quanto hanno poco

o nulla a che fare con la dottrina della Trinità.

Tra i versetti meno indicati sono tutti i passi antico testamentari, perché la Trinità verrà rivelata solo

in pienezza nel NT ; gran parte delle considerazioni e delle conclusioni di Felice dunque, non sono

 pertinenti, anzi contribuiscono a creare ancor più confusione soprattutto in chi è poco o maleinformato.

Riguardo a questo vorrei aprire una parentesi. Quando ho iniziato a leggere le considerazioni e i

commenti di Felice a questi passi antico testamentari, mi sono sembrati subito una “forzatura”.

 Notando poi che lo stesso Felice non segnalava nessuna citazione a riguardo, gli chiesi per e-mail se

ciò che scriveva fosse tutta “farina del suo sacco”. Mi rispose segnalandomi alcuni siti web dove

aveva attinto tali informazioni142

http://www.gotquestions.org/Italiano/Bibbia-Trinita.html http://www.paroladidio.com/public/phpbb3/viewtopic.php?f=11&p=757 

http://www.la-bibbia.it/modules.php?name=News&file=article&sid=156 

Da una rapida consultazione credo si tratti di siti cristiani evangelici (o comunque delle Chiese

riformate) che commentano e riprendono argomenti biblici e dottrinali. Parere strettamente

 personale: ricordo, come già accennato prima, che trattandosi di passi veterotestamentari, tali

140 Il già citato Boismard preferirà parlare più precisamente di formule ternarie, più corrispondenti alla mentalitàcristiana dei primissimi anni dopo la resurrezione di Gesù; le formule trinitarie sono già il frutto di un’elaborazione

 posteriore della fede.141 Cfr. Romano Penna, Il DNA del Cristianesimo…, cap. V Il “Dio per noi”, 154-196142 Per serietà e scientificità avrebbe comunque dovuto citarli lui nel suo libro.

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commenti mi sembrano troppo possibilisti in favore della Trinità, andando a spingersi oltre il

messaggio del dato biblico. Sono comunque interessato e aperto a qualsiasi chiarimento a riguardo,

soprattutto, per capire meglio, ascoltando il parere di coloro che trattano di esegesi biblica.

 Non verranno analizzati tutti i passi presi in considerazione da Felice, in quanto molti sono già statitrattati nel suo primo libro e conseguentemente ripresi nel mio precedente lavoro; mi limiterò

 piuttosto ad alcune novità (poche per la verità), o a riprendere qualche passo particolare per 

ribadirne l’importanza o per approfondirne il discorso. Vediamo subito degli esempi:

GENESI 1,1

 Nel principio Dio creò i cieli e la terra. (NR)

Felice scrive:

«La Parola “Dio” in questo passo traduce la parola ebraica “Elohìm” che è il plurale di “elòhah”

(dio). I sostenitori della Trinità interpretano questa forma plurale come una prova della Trinità,

come se in Dio ci fossero più persone»143 

 Non c’è nessuno studioso trinitario ne nessun dizionario biblico che ritiene la forma plurale Elohìm

come prova inconfutabile per dimostrare la Trinità: mi sembra un’autentica forzatura che vada oltre

il dato biblico e ingeneri una certa confusione.

GENESI 1,26

Poi Dio disse: «Facciamo l’umanità a nostra immagine, a nostra somiglianza…»

Riporta Felice:

«Dalla parola “facciamo” i trinitari deducono e affermano a voce alta che qui è dichiarata la Trinità

di Dio in più persone»,144 e ancora: «Per farci un’idea come anche i trinitari stessi abbiano le idee

confuse al riguardo dobbiamo notare i seguenti commenti»: 145 seguono poi alcune citazioni di

versioni bibliche.

Anche in questo caso nessun trinitario si basa sul plurale  facciamo per fondare la dottrina della

Trinità, ne tantomeno lo afferma “a voce alta”. Sono affermazioni gratuite di Felice che vogliono

solo alimentare dubbi.

143 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 56144 Idem, 57145 Idem, 57

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Una risposta pertinente ed equilibrata credo sia quella della CON citata da Felice in modo parziale.

Vediamo come al solito prima la citazione di Felice poi quella con le parti omesse in rosso:

«“Facciamo…questo plurale può indicare una deliberazione di Dio con la sua corte celeste”.

(CON)»146 

«26 Facciamo… questo plurale può indicare una deliberazione di Dio con la sua corte celeste… E’

comunque opinione dei Padri della Chiesa cristiana che questa espressione lasci intravedere in Dio

una pluralità di persone, ma tale interpretazione non fu mai ritenuta vincolante sul piano

teologico»147

Ecco come stanno le cose: il verbo  facciamo lascia solamente intravedere in Dio una pluralità di

 persone, secondo un’opinione dei Padri mai reputata vincolante sul piano teologico.

In effetti lo conferma anche lo stesso Ravasi, citato sempre da Felice, dicendo che si trattava di un

dialogo di tutta la corte celeste; ecco come viene riportata da Felice la citazione di Ravasi e poi

quella “originale” con le parti omesse in rosso:

«“Facciamo…non è solo un plurale “maiestatico”, cioè di solennità, né un’allusione alla Trinità…Si

tratta, invece, di un dialogo che coinvolge tutta la corte celeste”. (La Bibbia per la Famiglia (1993)

G. Ravasi)»148

«“Facciamo l’umanità”, che non è solo un plurale “maiestatico”, cioè di solennità, né un’allusione

alla Trinità come volevano i Padri della Chiesa (la Trinità verrà rivelata solo nel Nuovo

Testamento). Si tratta, invece, di un dialogo che coinvolge tutta la corte celeste»149

Conclusione:

1° Nessuno studioso dichiara che qui si afferma la Trinità di Dio in più persone;

2° si fa riferimento o a Dio e alla sua corte celeste, oppure al fatto che si supplisce la 1ª persona

singolare che non esiste con l’imperativo plurale, procurando uno sdoppiamento della propria personalità (vedi NA e altri);

3° Non c’è nessuna confusione a riguardo, ma solo la puntualizzazione che la dottrina trinitaria

affonda le sue radici nelle scritture neo-testamentarie, ed ha solide basi bibliche.

 

GENESI 3,22

146 Idem, 57147 CON, 24148 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ …, 57149  La Bibbia per la Famiglia, Gianfranco Ravasi (a cura di), San Paolo, Milano 1993, 10

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Poi Dio il SIGNORE disse: «Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi, quanto alla…». (NR)

Scrive Felice:

«Qui è detto che la Trinità è chiara in quanto Dio dice: “come uno di noi”.»150

Ma chi ha detto che qui la Trinità è chiara? Solo Felice e gli altri TdG; altro esempio di forzatura del

dato biblico.

GENESI 11,7

«Scendiamo dunque e confondiamo il loro linguaggio, perché l’uno non capisca la lingua

dell’altro!» (NR)

Dice Felice:

«Stessa tattica, cioè, quella di dimostrare la Trinità con la parola plurale “Scendiamo”»151

Veramente la stessa tattica è solo quella di Felice che, come anche in questo caso a mio avviso, si

spinge oltre il dato biblico; vedi Gn 1,26.

Lo stesso dicasi per  Gn 18,1.19,29 dove si narra l’apparizione di Jahve accompagnato da 2 o 3

uomini che secondo 19,1 sono due angeli; Felice ancora una volta dice che «secondo i trinitari,

questo racconto nel quale si parla di alcuni angeli che visitano Abrahamo dimostrerebbe la Trinità.Essi affermano che Dio apparve ad Abrahamo (18:1) e tre uomini sono in piedi accanto a lui (18:2)

e secondo loro indica che Dio è tre persone»152 

Siamo allo stesso punto: nessuno studioso ritiene che questo incontro dimostri la Trinità.

Certamente molti Padri, come solitamente accadeva quando rileggevano l’ AT alla luce del Nuovo,

nell’esperienza di questi tre uomini ai quali Abramo si rivolge al singolare, hanno intravisto un

simbolo del mistero della Trinità la cui rivelazione però era riservata al NT .

ESODO 3:2-15

L'angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed

ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava.

Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non

 brucia?» Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse:

«Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!»

150 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ …, 59151 Idem, 59152 Idem, 62

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Riprese: «Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra

santa!» E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di

Giacobbe». Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio.

Così esordisce Felice introducendo il famoso brano dell’incontro tra il Signore e Mosè nel roveto

ardente: «Anche di questo racconto si pensa che si parli della Trinità»153 Ma chi lo pensa?

Questo passo non ha nulla a che fare con la Trinità, ma presenta piuttosto una teofania, cioè una

manifestazione di Dio. Il punto della questione riguarda in generale il concetto di angelo come

messaggero, ma particolarmente quello dell’angelo del Signore.

Vediamo alcune note:

«3,2 l’angelo del Signore: Dio stesso, sotto la forma in cui appare agli uomini. Cf. Gen 16,7+»154

«L’ Angelo del Signore che in alcuni passi è chiamato pure l’Angelo di Dio (Gn 21,17; 31, 11) non

va concepito come un essere da porsi a fianco di Dio, quanto piuttosto come il suo rappresentante

sulla terra, perché non di rado il racconto biblico tradisce l’intervento stesso di Dio (v. 4; 16, 10.13;

31, 11.13)»155 

«2. Questo è uno dei testi certi nei quali l’angelo di Jahve si identifica con la sua stessa divinità: Dio

in quanto si manifesta (cfr 6,7-17)»

156

«L’angelo del Signore indica Dio stesso»157

«Angelo dell’Eterno: Ogni angelo mandato da Dio per compiere una particolare missione può

essere chiamato angelo dell’Eterno (2 Sa. 24.16; 1 Re 19.5-7). Quando però la Scrittura nell’Antico

Testamento parla dell’Angelo dell’Eterno, non si tratta di un semplice angelo mandato da Dio, ma

di una vera teofania, cioè di una manifestazione di Dio stesso, in cui l’Angelo dell’Eterno si

 presenta come distinto e uno con l’Eterno (… Es. 3.2-6…)»158 

«Nei testi più antichi dell’Antico Testamento, quando si dice  Angelo del Signore (o, talvolta,

 Angelo di Dio) si indica probabilmente Dio stesso in quanto entra in relazione con l’uomo»159 

153 Idem, 65154 BG, 132155 CON, 84156 GA1, 162157 CEI, 48158 ND, 371159 TILC, 1746

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«Nei testi antichi “l’angelo di Jahve” è Jahve stesso che si manifesta (Gen 16,7+; cf. Mt 1,20+); in

tempi più recenti, la trascendenza divina è stata messa in risalto distinguendo fra Jahve e il suo

angelo»160

«L’ “angelo del Signore” nei testi antichi (Gn 16,7+) rappresentava inizialmente Jahve stesso.Distinto sempre più da Dio, a motivo del progresso registrato dall’angelologia (cf. Tb 5,4+), egli

rimane il tipo del messaggero celeste»161

«MESSAGGERO – 1. AT… angelo del Signore (Gn 16,9ss; 22,11.15; Es 3,2…) = personificazione di

Dio in forma umana, attenuando così ciò che l’Apparizione di Dio stesso poteva avere di troppo

materiale… 2. NT…  Angelo del Signore = personificazione di Dio, come nell’AT ( Mt 1,20; 2,13;

28,2… At 5,19; 8,26; 10,3; ecc…)»162 

Tutte queste indicazioni rispondono più che sufficientemente alle considerazioni di Felice.

160 BG, 2342161 Idem, 2086162 LTBG, 144-145

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ISAIA 6,3

L’uno gridava all’altro e diceva: “Santo, santo, santo è il SIGNORE degli eserciti! Tutta la terra

è piena della sua gloria!” (NR)

Secondo Felice, «per i trinitari questa è una delle più chiare allusioni al mistero della Trinità, in

quanto viene detto un “Santo” per ogni persona divina»163

Ma dove sono qui le persone divine? Si stà parlando del Signore degli eserciti! Siamo nell’AT dove

la stretta fede monoteista di Israele non dava spazio a nessuna idea di  persone divine all’interno

della divinità.

ISAIA 6,8

Poi io udii la voce del Signore che mi diceva: Chi manderò? e chi andrà per noi? Ed io dissi:

Eccomi, manda me. (DI)

Dice Felice:

«Per i trinitari questo passo dimostrerebbe la pluralità di Dio in riferimento a sè stesso con le parole

“manderò” che è un singolare e “per noi” che è un plurale»164

Questo è un altro caso dove i Padri, interpretando le scritture, hanno trovato un indizio che facesse

 pensare alla Trinità, ma non che addirittura dimostrerebbe la pluralità di Dio in se stesso.

Lo conferma lo stesso GA2 citato anche da Felice ma in modo incompleto; vediamo prima la sua

citazione poi quella completa con le parti mancanti in rosso:

«“il plurale…si spiega con l’associazione dei Serafini oppure come semplice plurale di maestà”.

(GA 3Vol)”»165

«Il plurale, che fu già interpretato come un altro indizio del mistero della Trinità, si spiega con

l’associazione dei Serafini oppure come semplice plurale di maestà”. (GA 2Vol)”»166

163 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ …, 69164 Idem, 70165 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ …, 70166 GA2, 588

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ISAIA 9,6

Poiché ci è nato un fanciullo, ci è stato dato un figlio; e il dominio principesco sarà sulle sue

spalle. E sarà chiamato col nome di Consigliere meraviglioso, Dio potente, Padre eterno,

Principe della pace. (TNM)

Felice ritiene che «per i trinitari, questo passo indica la divinità di Gesù in quanto è chiamato con i

titoli di “Consigliere meraviglioso”, “Dio potente”, “Padre eterno” e “Principe della pace”»167

I titoli in questione riguardano la cerimonia di incoronazione del re, e sono titoli richiesti dal

“protocollo reale” che gli si davano nella presa di possesso. Non sono dunque direttamente riferiti a

Gesù Cristo né tantomeno parlano di lui.

Ciò che conta, piuttosto, è l’importante significato messianico dell’oracolo di Isaia riferito in senso

 pieno a Gesù che non viene preso in considerazione da Felice (come del resto anche di altri oracoli

o promesse messianiche), sminuendone così di molto la sua figura.

«Per precisare non soltanto il luogo, ma anche il significato profetico del ministero di Gesù fin

dall’inizio, solo Mt cita Is 8,23-9,1, modificando però notevolmente il testo. Queste parole danno a

tutto il vangelo di Matteo una sua impronta: in Galilea Gesù si rivolge a quelle tribù del popolo

maggiormente minacciate dalla notte pagana, come era stato Israele da parte degli Assiri. In questo

modo il suo ministero viene a contatto con tutte le nazioni (28,19). Mentre altri si ritirano nel

deserto (per es. la gente di Qumran o Giovanni il Battista) oppure concentrano la loro attività a

Gerusalemme, Gesù, l’Emmanuele annunziato dal profeta (Is 7,14; 8,8.10), sceglie la Galilea delle

 genti che Mt ricorda continuamente nel corso del suo vangelo (cf 2,22; 3,13; 4,23.25; 28,16)»168 

«Mt 4,15-16 vede nella proclamazione del regno di Dio fatta da Gesù in Galilea, il compimento di

questa profezia. Il passaggio repentino in questo versetto da una visione di rovine alla promessa di

una restaurazione, prepara la via all’oracolo seguente, uno dei passi messianici più importanti delVT. L’oracolo è stato inserito nella liturgia cristiana di Natale, e riguarda un brano liturgico preso

da una cerimonia di incoronazione del re. L’occasione ribadiva la promessa di un’alleanza eterna

con Davide rinnovando le speranze in un futuro re ideale che avrebbe realizzato perfettamente

l’ideale dinastico, e non dunque nessun particolare re storico, ma appunto il re davidico ideale,

l’Emmanuele di 7,14, ultimo rappresentante della discendenza di David e non al prossimo re che

sarebbe salito sul trono di Giuda. La tradizione cristiana all’unanimità ha visto in Cristo la

realizzazione di questa promessa»169 

167 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ …, 71168 TOB, 2185169 Cfr. GCB, 350

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Il resto delle considerazioni di Felice in quelle pagine sono parole in più.

ZACCARIA 11,12- 13

Poi dissi loro: «Se vi pare giusto, datemi la mia paga; se no, lasciate stare». Essi allora pesarono

trenta sicli d'argento come mia paga. Ma il Signore mi disse: «Getta nel tesoro questa bella

somma, con cui sono stato da loro valutato!». Io presi i trenta sicli d'argento e li gettai nel tesoro

della casa del Signore. (CEI)

 

In questo caso il passo di Zc 11,12-13 è ripreso da Mt 27,9-10 come al solito per dimostrare ai suoi

lettori (ebrei convertiti al cristianesimo) che in Gesù si compiono le antiche promesse essendo

veramente il Messia predetto dagli antichi profeti.

Basta leggere la stessa citazione del GA2 (il GA 3Vol è un errore di stampa) riportata da Felice

anche se in modo incompleto, oppure di altre:

«27,10 Jahve lamentava di aver ricevuto dagli israeliti, nella persona del profeta Zaccaria, un salario

irrisorio; la vendita di Gesù per lo stesso misero prezzo sembra a Mt realizzare la profezia»170 

«12-13. Trenta sicli erano il prezzo di uno schiavo (Es 21,32): il popolo non apprezza l’opera del

 profeta, cioè di Dio. Mt 27,9-10 applica questa profezia al tradimento di Giuda»171

Il discorso dunque non è l’identificazione delle persone del Signore Gesù con il Signore, Jahve

(come invece credono erroneamente i TdG – vedi subito dopo il caso di Mt 1,21), ma l’applicazione

dei riferimenti messianici a Gesù Cristo tramite la rilettura dell’ AT alla luce del NT .

MATTEO 1,21

«Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi

 peccati» (CEI)

Dato che Gesù, nome proprio molto noto in Israele, significa il Signore è salvezza, o Signore,

 salva!, il fanciullo sarà Dio venuto tra gli uomini (vedi  Mt 1,23) per liberare dai peccati il proprio

 popolo, cioè Israele.

Anche Felice dice sostanzialmente questo, ma con una imprecisione di fondo:

170 BG, nota a Mt , 2151171 CEI, 960

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«“Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la

ricompensa divina. Egli viene a salvarvi”». (Isaia 35:4; CEI) Così, dato che il nome “Gesù, in

ebraico Iehoshua, vuol dire: Geova salva” (LU), per i trinitari Gesù è Geova»172 

Per i trinitari (come li chiama Felice) Gesù non è Geova, o meglio Jahve, ma è il Figlio di Jahve;sappiamo infatti come i primi cristiani hanno da sempre ritenuto il Dio dei Padri, come il Dio e

Padre del Signore Gesù Cristo: che Gesù sia Dio è fuori dubbio, ma non nel senso che sia la stessa

 persona di Javhe o di Geova, perché sono due persone differenti.

 Non si tratta dunque di identificarne le persone, come se fossero una sola – vedi Gv 10,30, ma di

accomunarne la natura.

MATTEO 3,16-17E Gesù, tosto che fu battezzato, salì fuor dell’acqua; ed ecco, i cieli gli si apersero, ed egli vide

lo Spirito di Dio scendere in somiglianza di colomba, e venire sopra di esso. Ed ecco una voce

dal cielo, che disse: Questo è il mio diletto Figliuolo, nel quale io prendo il mio compiacimento.

(DI)

«Abbiamo qui il “modello ternario” che più di ogni altro si accosta alla formulazione trinitaria,

 poiché contiene, implicitamente, la menzione del Padre, esplicitamente quella del Figlio e dello

Spirito. Ma è ancora assente il mistero della Trinità come sarà definito più tardi. Infatti la voce

celeste… è una dichiarazione di adozione, e non di filiazione naturale, come riconosce la nota della

BG su  Matteo 4,3 (p. 2091): “Anche al battesimo (Matteo 3,17) e alla Trasfigurazione (17,5) tale

 parola non implicherebbe da sola più che un favore speciale accordato al Messia-Servo”. E’ un

 primo passo verso il mistero trinitario ma non è ancora la Trinità… Verosimilmente il mistero della

Trinità è stato elaborato a partire dalla narrazione del battesimo di Cristo. Ma non si potrà precisare

fin quando non si sarà compreso che Gesù era “Figlio di Dio”, non solo in senso di un’adozione

divina, ma in quello di una filiazione naturale. Ciò non si è potuto fare che alla fine del primo

secolo, come abbiamo visto nel precedente capitolo sulla divinità di Cristo»173 

Il pensiero di Boismard è semplice e chiaro: l’elaborazione del modello ternario della narrazione del

 battesimo di Gesù, è il primo passo verso la definizione del mistero trinitario che sarà formulato

solo più tardi verso la fine del primo secolo.

172 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 83173 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 153-154

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 Non si tratta dunque di vedere la Trinità, come ritiene Felice, ma dei fondamenti scritturistici di

 base che serviranno per la successiva sistematizzazione della fede. Sostanzialmente è lo stesso

concetto espresso dal Dizionario Biblico di Herbert Haag citato da Felice a pag. 86 del suo libro.

MATTEO 11,2-6

Giovanni intanto, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli

 per mezzo dei suoi discepoli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?».

Gesù rispose: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete:

 I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano

l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, e beato colui che non si

scandalizza di me». (CEI)

Felice per questo versetto cita la nota di GA3; riporto testualmente la sua citazione e subito dopo

quella completa con le parti mancanti in rosso:

«Ad ogni modo la scrittura è abbastanza chiara. “Colui che deve venire è una espressione ricalcata

sul V.T. (cfr. 21,9; 23,39) e in quel tempo apertamente riferita al Messia aspettato”. (nota in GA

3Vol»174 

«Questo  c. [capitolo] affronta più direttamente il problema della messianicità e della divinità diGesù, che si imponeva sempre più all’attenzione dei suoi ascoltatori… Colui che deve venire è una

espressione ricalcata sul V.T. (cfr. 21,9; 23,39) e in quel tempo apertamente riferita al Messia

aspettato… Il Battista è più di un  profeta che vede di lontano l’atteso: è il precursore che lo addita

 presente e al quale Dio aveva riservato un annuncio messianico (v. 10 con la citaz. di  Mal. 3,1, che

 parla di una via da aprire dinanzi a Dio, qui identificato con Gesù).»175 

MATTEO 28,19Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e

dello Spirito Santo (NR)

Riguardo al passo in questione, Felice ritiene che sia uno dei cavalli di battaglia utilizzato dai

trinitari per confermare la dottrina della Trinità, in quanto si parla delle “tre persone divine” unite

dal “nome”. Avremo modo più avanti di affrontare più approfonditamente questo aspetto e precisare

il discorso di Felice.

174 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 90175 GA3, 41-42

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Di particolare interesse è la sua citazione del libro di Boismard,  All’alba del Cristianesimo: Felice

riprende il commento dello studioso al passo matteano, ma come spesso capita lo cita fuori

contesto, tanto che al lettore è mascherato il vero pensiero della fonte citata.

Basti ricordare solamente che la comprensione odierna del mistero della Trinità così come lo

ritroviamo nelle formulazioni dogmatiche da Nicea in poi (un’unica  sostanza in tre persone), o per 

usare le parole del Kittek citate da Felice una trinità dell’unità,176 non è certo quella che potevano

avere gli apostoli, Paolo e i primi cristiani del NT. E’ questa l’affermazione di fondo del Boismard,

che invece Felice non prende in considerazione.

Ma, mi ripeto ancora una volta, lo vedremo con più calma in seguito.

GIOVANNI 9,38

Allora egli disse: <<Io credo, Signore!>>; e l’adorò. (ND)

«Questo è un altro passo che i trinitari usano astutamente per cercare di dimostrare che Gesù è

Dio»177

 Non ritorno sul tema “adorazione” riservata a Gesù nel  NT perché già abbondantemente trattato.

Ricordo solo che la questione non riguarda tanto le possibili e legittime traduzione di proskunšw

( proskynèo – adorare, prostrarsi, omaggiare, inchinarsi…), ma tutto il contesto neotestamentario nel

quale si riferisce la proskynesis.

Infatti lo stesso Wikenhauser pur avendo scritto che “egli si prostra dinanzi a lui per rendergli

omaggio e non per adorarlo” come la NM, crede ugualmente in Gesù come vero uomo e vero Dio,

 perché condivide la stessa natura divina del Padre.

Così anche il Nolli, citato da Felice «Molti traducono “signore” con la “s” minuscola. “Allora egli

esclamò: <<credo, signore!>>. E si prostrò davanti a lui”. (Evangelo secondo Giovanni, a cura di G.

 Nolli (1986) Libreria Editrice Vaticana – NVB)»178 crede allo stesso modo nella divinità di Gesù.

E quegli diceva: “Credo, Signore”, e gli si prostrò (GA3)

«38. Il verbo gr. tradotto prostrarsi indica in Gv. l’adorazione cultuale (4,20-23; 12,20)»179 

Dove poi Felice veda tutta questa “astuzia” dei trinitari per dimostrare che Gesù sia Dio, lo sa solo

lui.

ROMANI 10,13

176 Cfr. Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 99-100177 Idem, 121178 Idem, 121179 GA3, 247

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Afferma infatti la Bibbia: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato (TILC)

Felice cita così la nota di Rm 10,13 che richiama la profezia di Gioele 2,32:

«“ Invocare il Signore…è riconoscere implicitamente la propria insufficienza e la sua qualità di

donatore e salvatore”. (GA 3Vol)»180

Ma è sufficiente controllare la fonte citata per capire come stanno veramente le cose; come al solito

le parti omesse da Felice sono in rosso:

« Invocare il Signore, o (come dice la citazione di Gioe. 2,32) il nome del Signore che è la stessa

cosa (il nome se miticamente è espressione della natura dell’essere), è riconoscere implicitamente la

 propria insufficienza e la sua qualità di donatore e salvatore; è quindi una professione di fede (cfr I

Cor. 1,2). Paolo applica a Cristo (v.12) il titolo di Signore che il testo di Gioele e tutto il V.T. 

adoperano come designazione di Jahve; l’opera di Cristo è infatti la stessa opera di Dio; la nuova

alleanza è in continuità dell’alleanza antica»181 

L’importante, dunque, come dice chiaramente il GA nella parte della nota appositamente tagliata da

Felice, è l’applicazione a Cristo (v.12) del titolo di Signore che il testo di Gioele e tutto il V.T. 

adoperano come designazione di Jahve; alla domanda “trabocchetto” di Felice:

«Chi è dunque il “Signore” invocando il cui nome si è salvati? E’ Gesù o Dio stesso?»182 si

risponde: tutti e due!

In rapporto a questo passo, Felice rimanda anche a 1Cor 1,2; vediamo cosa dice lo stesso GA3 in

nota:

«“Santo” è sinonimo di “cristiano” (cfr. 6,1s.) e i cristiani sono appunto coloro che  invocano il 

nome del Signore N. Gesù C ., cioè, riconoscono Gesù come Dio, poiché nell’A.T. “invocare il

nome di Jahve” significava “pregare e adorare Iddio”»

180 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ …, 162181 GA3, 556182 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ …, 162

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GIOVANNI 8,59

Raccolsero allora i sassi per scagliarli contro di lui, ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

(MAR)

Ecco cosa dice Boismard nel contesto del rapporto tra Gesù ed Abramo

«In 13,19 Gesù dice ai suoi discepoli: “Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà

avvenuto, crediate che Io Sono”. Gesù aveva usato un linguaggio analogo con i Giudei (8, 24-28),

dicendo anche a loro: “Prima che Abramo fosse, Io Sono” (8,58). In quest’ultimo testo, Gesù

afferma la sua preesistenza, e l’espressione “Io Sono” evoca il Nome divino rivelato a Mosè in

 Esodo 3,14. Dunque, per essere salvati occorre credere nella divinità di Cristo»183 

 Non per nulla i giudei raccolsero dei sassi per scagliarli contro di lui.

GIOVANNI 10,30

<<Io e il Padre siamo una cosa sola>>. (CEI)

Intanto ricordo subito come non sia assolutamente vero che la traduzione CEI “…  siamo una cosa

 sola”, sia tradotta e interpretata male, come invece ritiene Felice, a motivo dei pregiudizi trinitari,

ma è una legittima versione del greco ›n ™smen; la stessa KIT riporta l’inglese one (thing ) uno

(cosa). Altri riportano altrettanto legittimamente un'altra traduzione “…  siamo uno”, ma il senso

non cambia.

Si sono forse sbagliate tutte le altre versioni che riportano “una cosa sola” o sono mosse anche loro

da pregiudizi trinitari?

siamo uno IBE, GA, NVP, NR, RL, ND, BLM, RI, CON, GL, LB, NIV

una cosa sola TOB, CEI, GCC, PIB, TILC, NAone (thing) - uno (cosa) KIT

Vediamo come viene citato il Wikenhauser 

«“la frese sottolinea in maniera diretta soltanto l'unità del volere e dell'agire”. (L’Evangelo secondo

Giovanni – A.Wikenhauser (1974) © Morcelliana; pag. 282)»184 

Riportiamo ora la citazione completa con le parti omesse in rosso:

183 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 71184 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 246

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«La frase “io e il Padre siamo una cosa sola” (nota che non dice: siamo una sola persona) è il modo

 più chiaro e perspicuo di esprimere il pensiero, che a Giovanni è familiare, dell'unità che unisce il

Padre e il Figlio; un'espressione perfettamente parallela ricorre in 1,1 («e Dio era il Verbo»). Per 

essere esatti, si deve dire che la frase sottolinea in maniera diretta soltanto l'unità del volere e

dell'agire, per cui le parole di Gesù sono da mettersi sulla stessa linea di 5,19 s., 8,16,10,15,12,44 s.;

 però questa unione di volontà e di azione poggia sull'unità di natura. Come si vede, l'unità del Padre

e del Figlio non si riduce ad una pura unione personale o ad una unità morale, ma è di ordine

metafisico. Padre e Figlio, per quanto distinti come persone, sono però identici nella natura, nel

volere e nell'agire»185 (sottolineature mie)

 

Anche il Grande Commentario Biblico viene citato così:

«“il Padre e il Figlio sono una cosa sola quanto al pensiero, la volontà e l’azione”. (Grande

Commentario Biblico, Raymond E. Brown, Joseph Fitzmyer, Roland E. Murphy (edd.), Editrice

Queriniana, Brescia 1973)»186 

Ecco la citazione completa con le parti mancanti in rosso:

« Io e il Padre siamo una cosa sola:… Ora il Padre e il Figlio sono una cosa sola quanto al pensiero,

la volontà e l’azione (cfr. v. 17 sopra; 5,19s.; 8,16). Tale unione presuppone quella ancora più

essenziale in cui Gv parla in 1,1; Gesù non afferma semplicemente che egli e il Padre sono“d’accordo”, ma che sono “una cosa sola” (hen)»187 

Anche questa citazione completa smentisce l’idea espressa da Felice.

Stesso discorso per il Nolli citato così:

«“… uno: uno, una cosa sola (neutro), non una persona sola (maschile)". (Evangelo secondo

Giovanni a cura di G. Nolli (1987) Libreria Editrice Vaticana)»188 

Solo chi si “prende la briga” di controllare, potrà scoprire che anche questa citazione amputatanasconde molto altro

«›n… uno: uno, una cosa sola (neutro), non una persona sola (maschile). ™smen... Frase molto

usata nelle prime discussioni sulla SS.Trinità. Contro chi intendeva una persona sola sta il verbo al

 pl  siamo (™smen); per chi intendeva un'unità morale soltanto (possibile anche se il Figlio fosse

inferiore al Padre o anche un semplice uomo) sta il neutro «›n una cosa sola»189 

185  L’Evangelo secondo Giovanni. Tradotto e commentato da Alfred Wikenhauser, Morcelliana, Brescia 1974, 282186 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 247187 GCB, 1409188 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 247189 Nolli , Evangelo secondo…, 397. Il commento del Nolli è indicato proprio ai TdG, che reputano l’unione del Padrecon il Figlio solo come una semplice unità morale.

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In tutta sincerità, dopo la lettura completa di queste citazioni, per evitare giudizi che forse

 potrebbero risultare troppo pesanti, lascio parlare le loro raccomandazioni

«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una citazione dal

contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che l’autorità citata voleva dire.

Siate specifici nei vostri riferimenti»190 

 Accuratezza nelle affermazioni.

«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la verità ed

essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si dovrebbe fare non

solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò che diciamo intorno ad altri o

nel modo in cui li rappresentiamo, e negli argomenti che implicano dati scientifici o notizie

di cronaca. Le affermazioni errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può

essere ingrandito. Le inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto

all'autorità dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio

stesso»191 (il grassetto è mio)

GIOVANNI 14,26

Ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre vi manderà nel mio nome, egli vi insegneràogni cosa e vi farà ricordare tutto quello che vi ho detto. (EP’ 70)

A proposito dello Spirito Santo, contrariamente a quanto ritiene Felice, non c’è nessuna obiezione

da parte di nessuno perché si debba scrivere Spirito Santo con le maiuscole per poterlo riconoscere

come la terza persona della Trinità.

Inoltre non è vero, come dice Felice, che tutti quelli che credono nello Spirito come la terza persona

della Trinità utilizzino le maiuscole, mentre chi non ci crede impieghino le minuscole.192 

Emblematico nel nostro caso, il Nolli citato da Felice, che pur credendo nella personalità e divinità

dello Spirito Santo, proprio in Gv 14,26 scrive  spirito santo in minuscolo. Nelle note del v. 26

infatti dice:

«tÕ pneàma apposiz. semplice (che aggiunge al nome una determinazione ulteriore): nome sostant

comune concreto… alito, spirito»193 

190  Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 155191  Manuale per la Scuola..., 110, § 10,11192 Cfr. Felice Buon Spirito,  LA TRINITÁ …, 259193 Nolli, Evangelo secondo…, 555

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«tÕ ¤gion  artic determ nom sing… in posiz oppositiva, perché ripetuto due volte… La posiz

appositiva dell’artic (ripetuto due volte) fa dell’intera espressione come il nome personale dello

Spirito Santo, sulla linea di quello di Padre e Figlio»194 

Si ribadisce che, come ben ricorda anche lo stesso Felice, siccome gli antichi manoscritti non

avevano le maiuscole, il loro utilizzo in una qualsiasi traduzione moderna in italiano come anche in

altre lingue, non ha “valore teologico” (come nel nostro caso determinare o meno la personalità

dello Spirito Santo): è piuttosto Felice che strumentalizza le minuscole  spirito santo di alcune

traduzioni cattoliche e protestanti per difendere a senso unico la sua posizione.

Per quanto riguarda il pronome personale ™ke‹noj in rapporto allo Spirito, riporto testualmente la

considerazione di Felice con la quale termina il suo commento: merita senza dubbio un’analisi

«Che lo spirito santo non sia una persona è anche dimostrato dal fatto che “™ke‹noj” è usato in

riferimento a cose. Questo è evidente in Luca 10:12 dove si dice che: “in quel (™ke‹n¼) giorno vi

sarà minor severità per Sodoma, che per codesta città”. (Evangelo secondo Giovanni a cura di G.

 Nolli (1987) Libreria Editrice Vaticana). Si, “™ke‹n¼” è riferito a “giorno”, il quale non è una

 persona. Similmente in 1 Giovanni 5:16 viene detto: “Se uno vede il suo fratello commettere un

 peccato che non meni a morte, pregherà, e Dio gli darà la vita: a quelli, cioè, che commettono

 peccato che non meni a morte. V’è un peccato che mena a morte; non è per quello (™ke…nhj) chedico di pregare”. (LU). In questo caso, “™ke…nhj” è usato in riferimento al “peccato”. Ma il

 peccato non è certo una persona, come non lo è lo spirito santo»195 (sottolineature mie)

Francamente un ragionamento del genere lascia sbalorditi: due sono le ipotesi; 1) o Felice è

veramente convinto di quello che dice e crede in buona fede che sia la cosa giusta, oppure 2) pur 

sapendo di sbagliare crede di avere a che fare con determinati lettori che “bevono tutto” senza

informarsi o controllare… Personalmente sono fermamente convinto della numero 2.

Stupisce non poco, infatti, che Felice non sappia (o faccia finta di non sapere) che in greco esistono

 genere (femm. masch. neutro), numero (pl. sing.) e caso (nom. gen… ecc.); ™ke…nV è di  genere

femminile perchè ¹mšrv (giorno) in greco è femminile, così come ¡mart…a (peccato) è di  genere

femminile al quale corrisponde il femminile ™ke…nhj.

Siccome si tratta di greco, non c’entra nulla il riferimento di ™ke‹noj a cose piuttosto che a

 persone, ma sono fondamentali i generi a cui si riferisce.

Il fatto che ci si riferisca molte volte allo Spirito che è neutro con il maschile ™ke‹noj (egli-lui)

significa che si vuol dare allo Spirito una personalità definita. Ecco perché molte traduzioni rendono194 Idem195 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 261

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con il maschile egli, che si usa per le persone, anziché con il neutro quello che sarebbe preciso se ci

fosse il pronome neutro ™ke‹nÓ.

mas. fem. neutro™ke‹noj

egli- lui ™ke‹n¼

essa - lei

™ke‹nÓ

quello/quella cosa 

«Dobbiamo esaminare non solo ciò che personalmente crediamo, ma anche ciò che è insegnato

da qualsiasi organizzazione religiosa alla quale siamo associati. Sono i suoi insegnamenti

in piena armonia con la Parola di Dio, o si basano sulle tradizioni degli uomini? Se amiamo la

verità, non c’è nulla da temere da tale esame»196 

RIVELAZIONE 1,8

Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!

(CEI)

Questo è il primo versetto di Rivelazione197 (o Apocalisse) preso in esame da Felice. Si notano dei

titoli (ma non sono i soli) che vengono attribuiti in questo libro sia a Dio Padre che a Gesù Cristo.

Secondo Felice, invece, tali titoli sono applicabili solo al Padre, Dio e non a Gesù. I molti altri passicitati in seguito da Felice vogliono confermare proprio questo.

Prima di “zummare” qualche versetto, riporto in proposito il pensiero di alcune fonti autorevoli:

« Il Vivente (Ð zîn: 1,18): proprio di Dio,198 il titolo «il Vivente» viene dato anche a Cristo in base

alla sua resurrezione. Il primo e l’ultimo, l’alfa e l’omega (™gè e„mi Ð prîtoj kaˆ Ð œscatoj, tÕ

”Alfa kaˆ tÕ ’W: 1,17; 2,8; 22,13): detti di Dio (cf 1,8; 21,6), questi titoli vengono trasferiti a Cristo

che, in rapporto col mistero pasquale, è indicato come all’inizio e alla conclusione della serie

omogenea rappresentata dalla storia della salvezza»199 «Gli attributi di Dio nell’AT, specialmente quelli dinamici, vengono riferiti a lui [in  Ap]: egli è il

“primo e l’ultimo”, “l’alfa e l’omega” (1,7; 2,8; 22,13): si trova all’inizio e alla conclusione della

serie omogenea della storia della salvezza»200 

196  La verità che conduce alla vita eterna, Brooklyn 1968, 13197 Etimologicamente la parola apocalisse viene dal greco 'apok£luyij (apokalypsis) che significa rivelazione; èdiventata, nella Chiesa primitiva, il termine tecnico per designare la manifestazione gloriosa di Cristo alla fine deitempi.198 Vivente (4,9.10; 7,2; 10,6; 15,7): sulla linea dell’A.T. si indica Dio che nella pienezza della vita supera ogni elementoumano, ogni limitazione di tempo ( IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 8, Opera Giovannea e lettere cattoliche =CORSO COMPLETO DI STUDI BIBLICI, Elle Di Ci, Leuman 1990, 388199  IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 8…, 390200 NDTB, 92

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«8. Alfa e Omega: Espressioni equivalenti, il “primo e l’ultimo”, il “principio e la fine”, riappaiono

in riferimento a Dio (21,6) e a Cristo (1,17; 2,8; 22,13).  Is (41,4; 44,6; 48,12) aveva già affermato

che Dio era “il primo e l’ultimo”, il creatore e la fine di ogni cosa. Sotto l’influsso ellenistico il

valore simbolico dell’alfabeto fu gradualmente assimilato dal giudaismo; la prima lettera associata

all’ultima significava totalità»201

«Qui [in 1,8] il testo obbliga ad affermare che è Dio che parla, come certamente in 21,6; mentre, in

22,13 la stessa parola viene evidentemente messa in bocca a Cristo»202 

« L’Alfa e l’Omega: prima e ultima lettera dell’alfabeto greco (21,6; 22,13), trasposizione nel Cristo

di una qualità di Dio, principio e fine di tutto (Is 41,4; 44,6; cf. 1,17; 2,8)»203

«Cf Is 49,2; Eb 4,12 ove la stessa espressioni è applicata a Dio. Qui designa Cristo, come in Ap 2,8e 22,13»204 

«Dio non è più semplicemente l’eterno, ma colui che viene. E come non tener presente che il

 participio <<il veniente>>, qui applicato indiscutibilmente a Dio, connota generalmente il Figlio,

soprattutto nella letteratura giovannea, e particolarmente nell’Apocalisse? Bisogna dunque

concludere che, fin dall’inizio del libro, quando per la prima volta il nome segreto di Dio viene

rivelato, tale nome prende una risonanza cristologica. Questo cristocentrismo, o più esattamente

questo teocentrismo cristologico, è una delle grandi costanti dell’Apocalisse»205 

«ALFA E OMEGA Sono la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco. Citate insieme, queste due

lettere alludono a Dio: principio e fine di tutta la realtà. Nel Nuovo Testamento, questa qualità

divina viene riferita a Gesù Cristo: “Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio, colui che è, che

era e che viene” (Ap 1,8)»206 

«Ecco la prima volta di Cristo, che segna il punto culminante della visione. Ritroviamo

l’affermazione in 2,8 e 22,13, associata in quest’ultimo testo ad altri titoli: Alfa e Omega, principio

e fine.

Alfa e Omega erano titoli di Dio stesso in Ap 1,8. Nell’Apocalisse la coppia “primo e ultimo” si

trova sempre riferita a Cristo. Tuttavia l’espressione è evidentemente presa da testi come Is 44,6 e

48,12, dove si tratta di Dio. Questo transfert cristologico non ci stupisce più»207 

201 GCBQ, 1444202  L’Apocalisse di San Giovanni, traduzione e commento di…, 38203 BG, 2627204 TOB, z), 2872205  L’Apocalisse di San Giovanni, traduzione e commento di…, 29-30206  Enciclopedia del Cristianesimo…, 44207  L’Apocalisse di San Giovanni, traduzione e commento di…, 60

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«[22,13] v. 13. Tre coppie di titoli cristologici. Alfa e Omega, inizio e fine sono predicati di Dio

stesso in 1,8 e 21,6… In compenso, si applicano a Cristo i titoli di “primo e ultimo”, in 1,17 e 2,8.

Si tratta di quasi sinonimi. L’interessante è che, ancora una volta, il nostro autore insiste sulla

qualità e sul ruolo veramente divini di Cristo»208 

«L’Apocalisse riferisce a Cristo gli attributi di Dio nell’AT. Egli è il primo e l’ultimo, l’alfa e

l’omega (1,7; 2,8; 22,13)»209

«Gesù è sentito e pensato al livello di Dio… Gli attributi di Dio nell’AT, specialmente quelli

dinamici, vengono riferiti a lui: egli è “il primo e l’ultimo”, “l’alfa e l’omega” (1,7; 2,8; 22,13): si

trova all’inizio e alla conclusione della serie omogenea della storia della salvezza… Con ciò si

manifesta come equivalente a Dioe gli compete il titolo divino “Signore dei signori” (17,14;

19,16)»210 

«C’è un contatto letterale con Is 44,6: “così dice Iahvè şebaōth: io sono il primo e io sono ultimo (e

con Is 48,12) Iahvè è visto qui soprattutto nella sua trascendenza che supera le vicende delle cose.

In Ap 1,8 Dio è detto “alfa e omega”; lo stesso titolo è applicato a Cristo in Ap 22,13.»211

«La formula “il Primo e l’Ultimo” (ho prôtos kai ho èschatos) si trova solo come auto-

qualificazione di Cristo glorificato (1,17; 2,8; 22,13). Si rifà alla dizione ebraica degli attributi

divini, presente nel Deuteroisaia (41,4; 44,6; 48,12)… Un’altra espressione, simile quanto alcontenuto, è: “io sono l’alfa e l’omega” (alfa è la prima lettera e omega è l’ultima) e anche: “io sono

l’inizio e la fine” (22,13). Il trasferimento di questi attributi divini al Risorto indica che Cristo è

stato innalzato a dignità divina e ha assunto compiti di creatore e di perfezionatore»212 

«[ Ap 21,6] Io sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine: l’affermazione precedente viene motivata:

la realizzazione delle promesse di Dio è garantita dal fatto che proprio Dio – e Cristo: cf 22,13 – sta

all’inizio e alla conclusione della serie omogenea della storia della salvezza»213 

Si sa che il tipico ritratto di Gesù impiegato per ben 28 volte da Giovanni nell’Apocalisse reca le

sembianze misteriose di un agnello. «Particolarmente eloquente è il passo in cui la metafora

compare per la prima volta: “E vidi in mezzo al trono… un agnello ritto in piedi come sgozzato”

(5,6). Il trono è quello di Dio, semplicemente detto altrove il Sedente (4,2), ed è paradossale che,

essendo già occupato da lui, si dica che ciononostante l’Agnello vi sta proprio nel mezzo, a

208 Idem, 707209 LDTE, 824210 NDTB, 92211  IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 8..., 409212 DCBNT, 694213  IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 8..., 448

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esprimere una vera e propria sovrapposizione. Alla fine del libro avverrà un’altra identificazione di

questo genere, quando si prospetterà la futura città della Gerusalemme celeste in cui scompariranno

le distanze (il mare che sta davanti al Trono scomparirà): “Il trono di Dio e dell’Agnello sarà in

mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno; vedranno la sua faccia e porteranno il suo nome sulla

fronte” (22,3-4); qui bisogna notare che le espressioni col pronome singolare “i suoi servi, la sua

faccia, il suo nome” sostituiscono i più esatti “i loro servi, la loro faccia, il loro nome”, visto che il

testo parla di due esseri, Dio e l’Agnello: si vede bene perciò che la logica della fede supera la

stessa grammatica»214

«[Ap 5,1-14] a colui che siede sul trono e all’agnello: V. 7,10. Come la dossologia è offerta tanto a

Dio quanto all’Agnello, così la regalità e il dominio appartengono indistintamente al Padre e a

Cristo (3,21)».215

 «Nuovo nel N.T. è il fatto che accanto a Dio come destinatario della  proskynesisadorante sta ora in primo luogo il Cristo innalzato (come risulta in modo particolarmente chiaro, ad

es., in  Apoc. 5,13s.;  Lc. 24,52)… Nel N.T.Il proskune‹n è riservato a Dio e all’Agnello…

 Nell’ Apoc. l’uso di proskunšw ha due punti centrali: l’adorazione di Dio e dell’Agnello nella

liturgia celeste (4,10; 5,14; 7,11; 11,16; 19,4)»216 

La NM in Ap. 5,13s, ha tradotto proprio così:

«“A Colui che siede sul trono e all’Agnello siano la benedizione e l’onore e la gloria e il potere per i

secoli dei secoli”. E le quattro creature viventi dissero: “Amen!” e gli anziani caddero e adorarono»

Queste considerazioni, sicuramente più che esaustive, fanno emergere due errori di fondo

dell’impostazione e del pensiero di Felice, tipico della cristologia geovista:

1) Nel nostro caso i titoli  Alfa e Omega –  Primo e Ultimo (diversamente da Felice che li vuole

riferiti solo al Padre), come confermano tutti questi studi e anche altri, vengono indistintamente

applicati a Dio Padre e al Figlio Gesù: segno che, come si è già ricordato, dato primario della nuova

confessione è che fin da subito, cioè a partire dal “terzo giorno”, fu chiaro e tipico per i cristiani che

Gesù era stato associato alla signoria di Dio, chiamato e riconosciuto Signore, appellativo non

riferito ad altri se non al Dio trascendente come era per la fede ebraica. Un unico titolo dunque

designa insieme Dio e un uomo, per di più un crocifisso risorto.

2) Il fatto di poter applicare indistintamente a Dio Padre e al Figlio Gesù i medesimi titoli con tutto

ciò che ne consegue,217 non implica, come erroneamente pensa Felice e i TdG, far diventare il

Signore Dio e Gesù una medesima persona, ma significa uguagliarne la natura, l’essere.214 Romano Penna, IL DNA DEL CRISTIANESIMO…, 144215 GCBQ, 1450216 DENT II, 1163217 Come ad esempio attribuire il titolo ‘dio’ a Gesù, non implica far diventare Dio Padre e il Figlio Gesù la stessa

 persona, ma significa che pur nella distinzione delle loro persone, sia il Padre che Gesù condividono la stessa divinità.

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Sentiamo Felice in proposito:

«Indicano le parole “Io sono il Primo e l’Ultimo” che Gesù Cristo è l’Iddio Onnipotente?»218 

 No di certo! E’ chiaro che Gesù e Dio rimangono sempre due soggetti distinti, ma vengono collocati

sullo stesso piano; vedi note 198-200.

Ancora Felice:

«In questo passo [Ap 22,13], Dio è pure chiamato “il Primo e l’Ultimo”, espressione che in

Rivelazione 1:17, 18 è riferita a Gesù. Anche l’espressione “apostolo” è riferita sia a Gesù Cristo

che a certi suoi seguaci. Ma questo non dimostra che siano la stessa persona. (Ebrei 3:1)»219 

Stesso discorso di prima: non si tratta di identificare le persone o i soggetti, ma di uguagliarne la

natura.

MATTEO 2,2, 8,11

«Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per 

adorarlo» 8 e li inviò a Betlemme esortandoli: «Andate e informatevi accuratamente del

 bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo». 11

Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi

aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. (CEI)

Si è già affrontato nel precedente lavoro la questione dell’adorazione rivolta a Gesù. Si ribadisce

solo che a prescindere dalla traduzione di proskunšw adorare, rendere omaggio…, mentre nell’uso

linguistico extra biblico il suo significato andava dall’adorazione fino alla semplice dimostrazione

di stima, nel NT viene mantenuta sempre l’accezione religiosa del verbo.

Abbiamo già ricordato che il problema di fondo riguardo alla traduzione di questo verbo, non va

cercato, come ritiene Felice, in un determinato contesto nel quale si svolge la proskÚnesij, ma nel

destinatario che è Gesù Cristo: in tutti i casi infatti che proskunšw si riferisce a lui, viene sempre

reso dai TdG render omaggio, mai neanche una volta adorare.

E’ bene ricordare che esiste il verbo prosp…ptw prospiptō, prosternarsi, prostrarsi, cadere ai piedi

di, che diversamente da proskunšw, nel NT non è usato come termine tecnico per esprimere l’atto

della preghiera e dell’adorazione, bensì designa turbamento oppure improvviso sbigottimento o

costernazione.

Ricorre 8 volte e precisamente in Mc 3,11; 5,33; 7, 25; Lc 5,8; 8,47; 8,28; Mt 7,25 e At 16,29.220 

218 Felice Buon Spirito, LA TRINITÁ …, 185219 Idem, 198220 Cfr DENT, 1166

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In tutti questi casi la KIT rende prosp…ptw con l’inglese to fall , cadere, abbassarsi, crollare,

scendere. Ecco come rende in italiano la NM in tutti i passi dove compare:

 

 Mc 3,11 prostravano davanti

5,33 cadde davanti 

7,25 si prostrò

 Lc 5,8 cadde alle ginocchia

8,47 cadde davanti a lui

8,28 gli cadde davanti

 Mt 7,25 si riversarono 

 At 16,29 cadde davanti a 

GIOVANNI 5,19

Gesù rispose e diceva loro: <<In verità, in verità vi dico: il Figlio non può fare nulla da se stesso

se non ciò che vede il Padre fare. Ciò infatti che fa lui, lo fa ugualmente il Figlio (NVB)

Prima di iniziare ad affrontare la questione posta da Felice, così da poterla analizzare meglio, ho

ritenuto opportuno ampliare la citazione, riportando sempre la versione NVB (da me diversamente

indicata con NVP) dal v. 17 al 20.Questo perché il cuore del problema non è, come invece reputa Felice, nel confronto tra Ómoiwj

 similmente/ugualmente… del v. 19 e ‡soj  uguale/pari… del 18 (come vedremo dopo), ma da tutto

il contesto dove si parla del rapporto tra il Padre e il Figlio; particolarmente rilevante il v. 17

17 Ma Gesù rispose loro: «Mio Padre è all’opera fino ad ora ed anch'io sono all’opera». 18 Per 

questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non solo violava il sabato, ma diceva che

Dio era suo Padre, facendo se stesso uguale a Dio. 19 Gesù rispose e diceva loro: «In verità, in

verità vi dico: il Figlio non può fare nulla da se stesso se non ciò che vede il Padre fare. Ciò infattiche fa lui, lo fa ugualmente il Figlio. 20 Il Padre infatti ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che egli

fa, ed opere più grandi di queste gli mostrerà, in modo che voi ne rimaniate stupiti (NVP)

Ecco alcuni commenti esustivi:

«17.  il Padre mio opera sempre: Tale affermazione presuppone lo sfondo della speculazione

rabbinica sulla natura di Dio… Si ammetteva unanimemente che l’antropomorfismo del racconto

della Gn 2,2s. secondo il quale “Dio si riposò nel giorno di sabato”, non doveva essere preso nel

senso di una reale interruzione dell’attività creatrice di Dio, in quanto il mondo cesserebbe di

esistere. Perciò, come il Padre continua ad agire senza essere legato alla legge del sabato, proprio

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così, dice Gesù, avviene anche per il Figlio. L’affermazione dei sinottici ( Mc 2,12 parall.) secondo

la quale il Figlio dell’uomo è padrone anche dal sabato corrisponde a questa linea. 18. non soltanto

violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio : Gli oppositori di Gesù

interpretano giustamente questa affermazione come una sua rivendicazione di essere il Figlio del

Padre in un senso tutto particolare. Identificando la sua opera con quella di Dio, egli si dichiara

uguale a Dio. Dal loro punto di vista monoteistico ciò non poteva implicare che un dualismo nella

divinità. 19. il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre : Non va qui

eliminata l’affermazione implicita di subordinazione interpretando le parole di Gesù come riferite

unicamente alla sua natura umana. Ciò addosserebbe all’evangelista la responsabilità di aver detto

una banalità. Mancherebbe anche di cogliere una profonda intuizione della cristologia giovannea.

Gesù, piuttosto, intende qui affermare con insistenza l’assoluta armonia che esiste tra l’attività del

Padre e quella del Figlio, il che, ovviamente, esige radicalmente un’identità di natura; in 16,12 ss.,

si utilizza lo stesso processo per precisare la relazione che esiste tra lo Spirito Santo e il Figlio.

Tuttavia, in tutto il vangelo, la trinità non viene mai presentata e trattata come una tesi di teologia

astratta; se ne parla sempre dal punto di vista della sua rilevanza funzionale per la soteriologia. Da

questo punto di vista il Figlio - che è sia Dio che Uomo -, si trova nel mondo per compiere l’opera

del Padre ed esclusivamente l’opera del Padre, cioè quella di portare agli uomini la vita che è la sua

stessa persona. La teologia cristiana più tardiva eviterà qualsiasi deduzione di superiorità di una

Persona della Trinità nei confronti delle altre e parlerà di tutte le azioni ad extra come di azioni

comuni a tutte e tre le Persone, azioni cioè, che non coinvolgono la stessa relazione trinitaria

interna. Giovanni non contraddice questa dottrina, ma neppure ce la presenta sotto questa visuale

così distaccata. Se Gesù avesse detto apertamente ai Giudei che egli era “uguale a Dio” li avrebbe

confermati nella loro convinta conclusione che egli stava parlando di due dei.»221 

«17-18 Dio opera sempre, anche di sabato (in che senso cfr. Gen., 2,2, nota), e non osserva il sabato

a quel modo che pretendevano i rabbini; e Gesù pure, ad imitazione del Padre suo, opera sempre.

Rivendicando questa sua parità col Padre, Gesù afferma di essere Dio uguale a lui e di essere il suo

vero figliuolo, avendo la stessa natura divina. Così infatti compresero le parole di Gesù i Giudei, e

lo accusarono di bestemmia. 19-20 Ricevendo dal Padre la stessa natura divina, che è principio

della comune attività, Gesù compie le stesse opere del Padre, ha lo stesso potere e potrebbe

compiere opere ancora più meravigliose agli occhi degli uomini»222 

Si è epurato così che pur nella distinzione delle persone e dei ruoli, Gesù e il Padre si trovano sullo

stesso livello e conpartecipano della medesima divinità. Ecco risolto il tutto.221 GCBQ, 1393222 PIB VIII, I Vangeli, 309-310

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Felice invece, esulando completamente da questo, ritiene il Figlio inferiore al Padre e

conseguentemente non Dio, giustificandosi dicendo di essere di fronte ad una manipolazione del

termine Ómoiwj: 

«Questo può essere descritto come un tentativo di manipolazione che riguarda la parola

“ugualmente”, che altri traducono anche con “allo stesso modo”, “esattamente”, “come lui”, ecc., la

quale traduce il greco “Ómoiwj”. Molti, per far credere che Gesù sia Dio, traducono in questi modi,

o addirittura eliminano tali parole invalidando la parola di Dio»223 

Felice ricorre subito ad un esempio, citando l’Interlineare del Beretta (IBE) che a suo giudizio opera

tale falsificazione, perché mentre sotto al greco rende giustamente Ómoiwj con  similmente, nella

colonna a lato invece, erroneamente, dice lui, scrive ugualmente;

Subito dopo infatti continua:

«La maggior parte dei vocabolari della lingua greca, danno “similmente”, come prima definizione

della parola greca “Ómoiwj”, a conferma del fatto che questa parola designa principalmente

qualcosa di simile, ma non perfettamente uguale. [sottolineature mie] Per la parola “uguale”, esiste

in greco un altro termine: “‡soj”.»224 

In sostanza, dice Felice, Gesù dal momento che non può far nulla di ciò che non lo veda fare dal

Padre, fu un suo perfetto ritratto sotto tutti gli aspetti, e non Dio stesso, come vorrebbero far credere

coloro che traducono con “uguale”; Gesù allora sarebbe principalmente “simile” e non “uguale” al

Padre.225 

A parte il ragionamento non pertinente, è ulteriormente opportuno far notare ulteriori elementi.

1) Anzitutto molti traducono “allo stesso modo”, “anche”, “ugualmente”, “parimenti”, “fa

esattamente ciò che vede fare”… non certo per far credere che Gesù sia Dio, come ritiene Felice,

ma semplicemente perché è esatto tradurre così; lo confermano le molte versioni citate sotto:

anche il figlio le fa allo stesso modo (lett. ugualmente) NOLLI

quello che egli fa, anche il Figlio lo fa TOB, BG, CEI, GCC

questo anche il Figlio similmente fa CON,

il Figlio similmente lo fa GA3, RL

le fa ugualmente anche il Figlio ND, NR, TILC, NVP, IBE

le fa, allo stesso modo, anche il figlio NA

223 Felice Buon Spirito,  LA TRINITÁ …, 234224 Idem, 234225 Idem, 235

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quello che vede fare dal Padre, lo fa parimenti il Figlio RI, PIB

ma fa esattamente ciò che vede fare dal Padre BLM

2) In secondo luogo Felice non dimostra che la maggioranza dei vocabolari greci (non sono citati ne

quanti ne quali siano) danno “similmente” come prima definizione di Ómoiwj; da alcuni citati sottorisulterebbe il contrario:

ugualmente, allo stesso modo DENT  

similmente, allo stesso modo, così anche Buzzetti

in egual modo, maniera, che Rocci

similmente, parimenti, ugualmente, allo stesso modo GIMontanari

in modo uguale a, ugualmente, così come Liddell e Scott  

ugualmente, in modo uguale Zanichelli-Romizi

Anche la KIT nel greco interlineare riporta l’inglese likewise che significa  similmente, allo stesso

modo, parimenti, così pure

Interessante questo commento

«‡soj…, uguale… Esso significa soprattutto equivalente, ma finisce facilmente per concordare col

significato di — Ómoiwj… I due passi d’importaza teologica per ‡soj, pongono Gesù in relazione

con Dio. In Gv. 5,18 i giudei, a causa del suo operare in giorno di sabato, rinfacciano a Gesù di farsiuguale a Dio. Con ciò non s’intende l’unità e la comunione di Gesù con Dio, con cui Gesù risponde

nei vv. 19 ss., ma si vuol dire che egli si pone accanto a Dio come equivalente, in quanto con una

 pretesa di salvezza agisce contro un comandamento di Dio. Questo stesso significato di

“equivalente a (cioè accanto) Dio” avrà ‡sa qeù in Fil. 2,6.»226 

1CORINZI 12, 4-6

Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma unosolo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.

(CEI)

Questo passo di 1Cor  12, 4-6, come tanti altri, offrono la possibilità di precisare il pensiero di

Boismard citato, anche qui, da Felice in modo tendenzioso. La sua citazione è presa dal cap. 6 “IL

MISTERO DELLA TRINITÀ”.

Riporto subito la citazione di Felice per poterla poi confrontare con l’effettivo pensiero di Boismard

226 DENT, 1775-1776

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«“I modelli ternari non possono essere considerati come un segno che Paolo credesse nel mistero

della Trinità…notiamo che l’ordine nel quale sono menzionate le diverse “persone” varia secondo il

testo e non corrisponde a quello della Trinità…In queste formule Paolo non menziona “il Padre”,

ma “Dio”. Bisogna concludere che esse escludono tutti i riferimenti al mistero trinitario…Nei

modelli ternari, invece, il Signore (o il Cristo) e lo Spirito, sono distinti da Dio; sono, per così dire,

giustapposti al Dio unico, non fanno parte di Dio…nei modelli ternari citati sopra, il Signore non è

considerato come Dio, e ciò esclude tutte la allusioni al mistero della Trinità così come sarà

formulato più tardi”. (All’Alba del Cristianesimo – Prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile

Boismard (2000) Edizioni PIEMME; pagg. 149-151)»227 

Riassumo brevemente e nella sua essenzialità il pensiero di Boismard per poter poi inserire e

confrontare la citazione di Felice.

Il mistero della Trinità costituisce uno dei principali dogmi cristiani. I cristiani come gli Ebrei e i

musulmani riconoscono che c’è un solo Dio, ma all’interno di questo Dio, gli stessi cristiani

affermano l’esistenza di tre persone: Il Padre, il Figlio e lo Spirito. Il mistero consiste pertanto in

questa triplicità nell’unità. Questo ha fatto si che Ebrei e Musulmani abbiano accusato il

cristianesimo di aver abbandonato il monoteismo tradizionale per la fede in tre dei.

Ma cosa ci dicono le origini cristiane? Gesù, innanzi tutto, poi i primi cristiani, hanno creduto in

questo mistero trinitario, cioè di un solo Dio in tre persone? Notiamo subito che questa distinzione

in Dio fra sostanza (unica) e persone (tre) suppone una filosofia greca (e non semitica) molto

elaborata. Di conseguenza è lecito aspettarsi che l’elaborazione del mistero trinitario non si sia

effettuato che tardivamente, nella Chiesa.

Lo stesso passo trinitario di  Mt 28,19 dove si trova il comando di Gesù di andare a fare discepole

tutte le genti battezzandole nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo è certamente

tardivo perché non risale a Gesù, ma verrà utilizzato nella prassi catechetica-liturgica delle prime

comunità probabilmente verso gli anni 80.228 Inizialmente, anche dalle testimonianze degli Atti e diEusebio di Cesarea, si veniva battezzati nel nome di Gesù e non nella formula tradizionale

matteana. In questo senso tale formula non costituisce una prova certa della fede in Dio-Trinità,

cioè di un solo Dio in tre persone.

Boismard, di conseguenza, dice che le formule molto frequenti in Paolo dove compaiono

indistintamente e in diverso ordine Dio, il Padre, Gesù e lo Spirito, a torto vengono considerate

spesso a supporto della fede nel mistero della Trinità. Già nelle tradizioni giudaiche erano presenti

delle formule a tre termini, uno dei quali è Dio, ma non nascondevano nessuna allusione al mistero227 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 165-166228 Vedi nota a Mt 28,18 in BG

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della Trinità: è per questo che gli studiosi le chiamano “formule ternarie” e non trinitarie. Seguono

una serie di testi che esplicano proprio questo ( Baruc 4,22,  Isaia 1,7; 42,1, Salmi 17,21).

Ritornando a Paolo i suoi modelli ternari si legano spesso al rito del battesimo, come ad esempio

quello di 1Cor 6, 9-11

«O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né

idolàtri, né adùlteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né

rapaci erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma siete stati lavati, siete stati

santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio!»

A questo punto continuo ad esporre il pensiero di Boismard, ma citandolo testualmente e riportando

come al solito le parti in rosso omesse da Felice: saranno proprio quelle che faranno piena luce

«Presenteremo fra un istante il perché i modelli ternari non possono essere considerati come un

segno che Paolo credesse nel mistero della Trinità, così come lo concepiamo oggi: un solo Dio in

tre persone…

Ecco altri modelli ternari che si incontrano in Paolo. Vi inseriamo il testo di 2 Tessalonicesi 2,13,

anche se l’autenticità paolina di questa lettera è contestata:

2Corinzi 13,13: La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito

Santo siano con tutti voi.

 Filippesi 2,1: Se c'è pertanto qualche consolazione in Cristo, se c'è conforto derivante dalla carità,

se c'è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione […].

1Corinzi 12, 4-6: Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di

ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera

tutto in tutti.

2Tessalonicesi 2, 13-14: Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, attraverso l'opera

santificatrice dello Spirito e la fede nella verità, chiamandovi a questo con il nostro vangelo, per il

 possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo.

Innanzitutto notiamo che l’ordine nel quale sono menzionate le diverse “persone” varia secondo il

testo e non corrisponde a quello della Trinità. Se Paolo pensava ad una formula trinitaria, perché

non ha rispettato quest’ordine, almeno in 2 Corinzi 13,13? In seguito notiamo che alcune di queste

formule non parlano di “Padre” o di “Figlio”; se Paolo pensava al mistero della Trinità, non avrebbe

introdotto uno di questi in almeno una delle due formule?

Ma occorre spingersi oltre. In queste formule Paolo non menziona “il Padre”, ma “Dio”. Bisogna

concluderne che esse escludono tutti i riferimenti al mistero trinitario. Secondo questo mistero le tre 

 persone “Padre”, “Figlio” e “Spirito” sono concepite nello stesso seno di Dio; esse non sono distinte

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da Dio. Nei modelli ternari, invece, il Signore (o il Cristo) e lo Spirito, sono distinti da Dio; sono,

 per così dire, giustapposti al Dio unico, non fanno parte di Dio. Questo ci viene confermato dalla

doppia confessione di fede che si legge in 1 Corinzi 8,6: “per noi [c’è] un solo Dio, il Padre, dal

quale tutto [proviene] e noi [siamo] per lui; e un solo Gesù Cristo, in virtù del quale [esistono] tutte

le cose e noi [esistiamo] per lui… Se ne può concludere che, nei modelli ternari citati sopra, il

Signore non è considerato come Dio, e ciò esclude tutte la allusioni al mistero della Trinità così

come sarà formulato più tardi”»229

E’ solo leggendo la citazione con le parti omesse in rosso che si capisce il vero pensiero di

Boismard; ma è sufficiente la prima riga della citazione di cui sopra per centrare la questione:

«Presenteremo fra un istante il perché i modelli ternari non possono essere considerati come un

segno che Paolo credesse nel mistero della Trinità, così come lo concepiamo oggi: un solo Dio in

tre persone…»

Si, sia Paolo che gli apostoli come i cristiani della “prima ora”, non credevano certo al mistero della

Trinità come lo concepiamo noi oggi, cioè un solo Dio in tre persone, per due semplici ragioni:

Primo perché la distinzione in Dio fra sostanza (unica) e persone (tre) suppone una filosofia greca (e

non semitica, alla quale loro appartenevano) molto elaborata e a loro estranea. Secondo perché di

conseguenza l’elaborazione di questo mistero si è effettuato tardivamente, nella Chiesa, precisamente al Concilio di Nicea nel 325, quando loro naturalmente erano già da tempo nella

“gloria del Signore”.

GIOVANNI 1,1

In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. (CEI)

Di questo particolare passo è stato già detto moltissimo. Lo stesso Felice riprende praticamente il

medesimo materiale del suo precedente libro  La Traduzione del Nuovo Mondo. Manipolata o

tradotta fedelmente? 

Mi soffermo solo sul modo in cui viene citato da Felice il Boismard: credo sia una delle più palesi

dimostrazioni di disonestà nei confronti del lettore. Ecco la testuale citazione

«Secondo l’inno primitivo…il Logos era stato creato da Dio e, dunque, non era Dio…Era il primo

nell’ordine delle creature”. (All’Alba del cristianesimo – Prima della nascita dei dogmi. Marie-

Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME; pag. 155)»230

 229 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 149-151230 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 228

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Da questa citazione il lettore capisce che il Logos di cui parla Giovanni, cioè Gesù non è Dio perché

è stato creato da Dio e dunque appartiene alle creature; e questo sarebbe confermato dallo studioso

domenicano Boismard… un antentico scoop!

Ma basta andare a controllare direttamente la fonte per rendersi conto che il Boismard afferma

giusto il contrario di ciò che Felice vuole far credere; ecco la citazione con le parti omesse in rosso

«Secondo l’inno primitivo, che riprendeva le speculazioni di Filone d’Alessandria, il Logos era

stato creato da Dio e, dunque, non era Dio. Ma Giovanni IIb corregge questa idea aggiungendo la

frase del versetto 1c. “E il Logos era Dio”. Peraltro, secondo Filone, il Logos, creato da Dio ma per 

mezzo del quale tutto è stato creato, aveva il titolo di “primo generato” ( protogenès). Era il primo

nell’ordine delle creature. Giovanni IIb non può riprendere questo titolo, perciò lo cambia con

“Unigenito” (monogenès), il quale evita ogni riferimento al resto della creazione. In seguito nellafinale, Giovanni IIb ci dice che questo “Unigenito” si trovava “nel seno del Padre” (e non nel seno

di Dio). Abbiamo già tutti gli elementi che permetteranno di formulare i primi due articoli della

fede trinitaria: non v’è che un solo Dio, ma in questo Dio occorre distinguere il Padre e il Logos da

lui generato»231 

Solo chi non ha sottomano o non ha letto il libro di Boismard può essere tratto in inganno dalla

citazione di Felice: quando lo studioso francese parla dell’inno primitivo si riferisce a quello del

filosofo ebreo Filone d’Alessandria nato verso il 20 a.C. e non a quello dell’evangelista Giovanni.

In quell’ inno egli considerava le speculazioni tipiche dei libri sapienziali sulla sapienza, secondo le

quali Dio avrebbe creato il mondo in due tempi: prima creando il Logos, attraverso il quale poi ha

creato tutto il resto. A questo punto interviene l’evangelista che, non potendo accettare questa idea,

come dice la citazione chiaramente evitata da Felice, aggiunge la frase “e il Logos era Dio”

correggendo l’inno.

Infatti, la frase “e il Logos era Dio” introduce una contraddizione non solo nel testo dell’inno

 primitivo ma anche nella fede dello stretto monoteismo ebraico di un unico e solo Dio: come è possibile che il Logos sia allo stesso tempo distinto da Dio, poiché era “presso” di lui, ed uguale a

Dio?

E’ esattamente questa la caratteristica della fede cristiana: non v’è che un solo Dio, ma in questo

Dio occorre distinguere il Padre e il Logos da lui generato. Più tardi si riconoscerà la personalità

specifica dello Spirito.232

 Nulla di più indicato della famose raccomandazioni

231 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 155232 Idem, 108-113. 154-157

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«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una citazione dal

contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che l’autorità citata voleva dire.

Siate specifici nei vostri riferimenti»233 

 Accuratezza nelle affermazioni.«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la verità ed

essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si dovrebbe fare non

solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò che diciamo intorno ad altri o

nel modo in cui li rappresentiamo, e negli argomenti che implicano dati scientifici o notizie

di cronaca. Le affermazioni errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può

essere ingrandito. Le inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto

all'autorità dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio

stesso»234 (il grassetto è mio)

GIOVANNI 1, 3-4

Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui (la Parola), e senza di lui nessuna delle cose fatte è

stata fatta. 4 In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini. (ND)

Per quanto riguarda questo versetto credo sia opportuno considerare l’espressione di' aÙtoà (per 

mezzo di lui), cioè sulla Parola come causa o mezzo della creazione; è lo stesso Felice che si chiede

«La Parola è il Creatore o colui per mezzo del quale furono create tutte le altre cose?»235 

E’ chiaro che Felice ritiene la Parola (Gesù) un semplice agente intermedio, il mediatore della

creazione, attraverso il quale il Padre Dio ha creato tutte le cose. Per poter rispondere

adeguatamente e fare un po’ di chiarezza è bene ribadire la natura del Verbo (Parola-Logos) così

chiaramente presentata da Giovanni nel prologo del vangelo. Dato che si è già ampiamente

affrontato la questione nel precedente studio, richiamerò solamente l’essenziale.

Il termine greco logos ha a che fare con la mente, è un prodotto della mente, del pensiero; è l’idea, il

concetto, il “frutto” dell’attività mentale che dice le cose dopo averle conosciute. Logos dunque,

anche se è impreciso, può essere detto “parola” in quanto espressione di un concetto, cioè di una

 parola mentale, detta o espressa. Il senso completo del greco logos, è infatti, “pensiero interiore

manifestato”. Gesù è, – questo vuol dire Giovanni – il “concetto” che si forma nel Padre mentre

contempla se stesso (i greci dicevano “interiore o proferito”); “generato” ( per modum intellectus

233 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 155234  Manuale per la Scuola..., 110, § 10,11235 Feliec Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 230

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dice la nostra teologia), ricevendo l’esistenza – eterna come quella del Padre, e della stessa natura.

Il logos è il pensiero stesso di Dio e dunque Dio egli stesso.

Detto questo, come risposta alla domanda di Felice, credo sia ottima la considerazione del Nolli

«di' una delle 17 preposiz. proprie del NT, voluta dal genit (e allora significa attraverso, durante, per mezzo di…). Esprime qui la collaborazione più stretta, senza dire con ciò che il logos sia un

semplice strumento: Egli collabora senza cessare di essere Dio»236 

Il verbo venne preso dal Padre come modello nel creare tutte le cose; non semplicemente “per 

mezzo” o “attraverso” di lui dunque, ma “modellate” su di lui.237

«I numerosi e svariati tentativi di ricostruzione di questo “inno al Logos” concordano tuttavia sugli

enunciati, deducibili dal testo stesso, che riguardano il percorso redentore di Cristo: nella sua preesistenza eterna (v. Ia) e nella sua unione personale con Dio (vv. Ib.2) il logos svolge un’ ampia

attività causale di creazione (v. 3) e una funzione salvifica»238 

«Negli scritti di Filone… ricorre frequentemente il termine in questione e al Logos è anche

attribuita un’attività mediatrice nella creazione. Il Logos filoniano tuttavia è un mediatore divino

subalterno e simboleggia le forze divine esistenti e operanti nel mondo; questi dati che

caratterizzano l’insegnamento di Filone sul Logos differenziano nettamente il concetto di Logos

dello scrittore ebreo alessandrino da quello del prologo giovanneo; per l’evangelista infatti il Logosnon soltanto è divino ed è mediatore nella creazione, ma il Logos stesso è Dio e con Dio-Padre

coopera alla creazione»239 

La stessa citazione del Wikenhauser ad opera di Felice è parziale e relativa perché non fa

comprendere in pienezza il vero pensiero dello studioso; la riporto letteralmente

«“Il v.3 descrive il <<Verbo>> come mediatore della creazione del mondo…Si noti come non si

dica <<da lui>>, ma <<per mezzo di lui>>; vuol dire che il <<Verbo>> non è il creatore o la causa prima”»240

Ecco ora quella più completa con le parti omesse in rosso

«“e Dio (= predicato) era il Verbo”… il solo senso plausibile da attribuire a questa formula è quindi

il seguente. Il “Verbo” fin dall’eternità possiede insieme con il Padre, e con lui partecipa dell’unica

natura divina. Un’affermazione tanto alta non è mai stata fatta circa la “sapienza”… il v. 2 sintetizza

236 Nolli, Evangelo secondo Giovanni…, 2237 Cfr. Gino Bressan, Fragmenta ne pereant. Minuzie di filologia biblica, Roma 1995, 15238 DENT II, 209239  IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 8…, 165240 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 231

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le tre asserzioni del v. 1. Il “Verbo” che era Dio, già all’inizio, quando il mondo fu creato, ossia

 prima di ogni inizio, era presso Dio. Questo viene in pari tempo a dire che esso è eterno ed increato.

Il v. 3 descrive il “Verbo” come mediatore della creazione del mondo. Qui si afferma, in forma

 positiva e negativa, che tutto quanto esiste al di fuori di Dio (= il mondo, v. 10) fu creato per mezzo

del “Verbo”. Si noti come non si dica “da lui”, ma “per mezzo di lui”; vuol dire che il “Verbo” non

è il creatore o la causa prima di quanto è stato fatto, ma il mediatore della creazione del mondo…

 Nulla è detto sul modo con cui questa attività di mediatore vada concepita»241 

Come dice Wikenhauser, il Verbo è eterno ed increato, e dunque il fatto che sia mediatore o

strumento del Padre nella creazione non significa renderlo secondario o inferiore al Padre.

Ad esempio, uno studente è “per mezzo” del suo pensiero, la mente, che scrive un tema o produce

delle idee: certamente il suo pensiero non è un “semplice strumento” o qualcosa di estraneo a lui,ma è essenzialmente lo stesso studente autore di ciò che produce.

GIOVANNI 1,14

E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria

come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. (CEI)

Felice si domanda: «Chi è che si fece carne e venne nel mondo? Dio, direbbero i trinitari»242 

Ad essere precisi, un trinitario ben informato non direbbe “Dio si è fatto carne”, ma piuttosto, come

ricorda Giovanni, “il Verbo si è fatto carne”: κaˆ Ð lÒgoj s¦rx ™gšneto (kai o lògos sarx eghèneto).

Certamente di conseguenza sapendo che il Verbo è Dio come il Padre, non è teologicamente errato

dire “Dio si è fatto carne”;243 è comunque un’espressione che va spiegata.

Riguardo poi alla “gloria come di unigenito” a cui accenna Felice, si è già detto, ma ancora una

volta è bene ribadire la contraffazione della citazione del Nolli. Felice scrive testualmente

«Nella prima parte di questo versetto abbiamo il termine greco “æj”, il quale ha valore comparativo

o di paragone. In parole povere, “æj…indica una semplice somiglianza …”. (Evangelo secondo

Giovanni, a cura di G.Nolli (1986) Libreria Editrice Vaticana)»244 

Andando a controllare, si nota che il Nolli, invece, dice proprio tutto il contrario; come sempre la

citazione completa con la parte omessa in rosso

241 Alfred Wikenhauser, L’EVANGELO SECONDO GIOVANNI , Morcelliana, Brescia 1968, 61-62242 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 232243 Di questo studio si vedano ad esempio i vari riferimenti ai Padri apostolici e agli Apologisti.244 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 232

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«ώς forma avverb del pron rel… che perciò mette in relazione, con varie sfumature, ciò che segue a

ciò che precede: indica una semplice somiglianza, spesso soltanto tale per giudizio soggettivo come;

ha anche valore di congiunz subordin temporale non appena, quando. Qui non indica paragone (non

è comparativo), ma diventa modo per affermare che la persona possiede in alto grado la qualità di

cui si tratta (ώς confermativo): quale  primogenito, nella sua qualità di»245 

Dalla citazione completa emerge limpido il pensiero del Nolli: «æj qui non indica paragone (non è 

comparativo), ma diventa modo per affermare che la persona possiede in alto grado la qualità di cui

si tratta (ώς confermativo): quale  primogenito, nella sua qualità di».

In parole povere non indica per niente una semplice somiglianza! Mi spiace dirlo, ma sono sempre

 più convinto che Felice non agisca in buona fede e sia profondamente scorretto nei confronti dei

suoi lettori ignari di venire imbrogliati.

«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una citazione dal

contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che l’autorità citata voleva dire.

Siate specifici nei vostri riferimenti»246 

 Accuratezza nelle affermazioni.

«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la verità ed

essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si dovrebbe fare non

solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò che diciamo intorno ad altri o

nel modo in cui li rappresentiamo, e negli argomenti che implicano dati scientifici o notizie

di cronaca. Le affermazioni errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può

essere ingrandito. Le inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto

all'autorità dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio

stesso»247 (il grassetto è mio)

Anche la traduzione NM e simili non rendono il senso del testo greco perché trasformano

l’affermazione in paragone: il rapporto che intercorre tra la Parola e il Padre è paragonato a quella

tra un figlio unigenito e suo padre; ma quale gloria tale o speciale potrebbe mai avere un normale

figlio da parte di suo padre?

«Non “come”, ma “davvero”. L’uso di æj come particella comparativa è frequente con sfumature

diverse… Ma altrettanto certissimo è un altro uso, anche presso i classici, di æj: “introduce la

caratteristica qualità di una persona, cosa, azione, cui si fa riferimento nel contesto” (Bauer-Arndt,

 Lexicon)…Tale uso si ha anche in ebraico con il k e “come”, in tal caso dai grammatici definito “k e

245 Nolli, Evangelo secondo Giovanni…, 13246 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 155247 Manuale per la Scuola..., 110, § 10,11

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veritatis” ( “il come della realtà” ): “Diedi il governo a … perché (così giustamente, CEI; ebr. k e “in

quanto”) uomo fedele…” ( Ne. 7,2); ecc. In casi simili l’italiano come è certo non pertinente, perché

suggerisce solo una somiglianza, mentre si tratta di realtà»248 

«L’affermazione giovannea che il Logos si è fatto carne contiene l’idea portante di tutta lacristologia e ad essa si farà continuamente appello per la fede in Gesù realmente Dio e realmente

uomo (cf 1Gv 4,2-3)»249

Sentiamo ancora Boismard ampiamente citato da Felice:

«Per Giovanni il Logos è Dio. Di conseguenza, se parte del termine attraverso il quale Filone

designa il Logos, “Primo-Generato” ( protogènes), lo tasforma in “Unigenito” (monogènes),

espressione che introdurrà ai versetti 14 e 18 del prologo (si veda anche 3,16.18 e 1 Giovanni 4,9) eche evita tutto il riferimento al resto della creazione… Il logos di Dio si è incarnato in Gesù.

Dunque Gesù può identificarsi a Dio. Il ritmo del prologo del vangelo si ritrova in questa

affermazione che Giovanni IIb mette sulle labbra del Cristo: “Sono uscito dal Padre e sono venuto

nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre” (Giovanni 16,28). Quand’egli ci parla, lo

fa in quanto Logos di Dio incarnato: “Io dico quello che ho visto presso il Padre” (8,38; anche 1,

18). La personalità di Gesù-uomo si nasconde dietro quella di Gesù-Logos di Dio.

Ma poiché questa parola è Dio (1,1), anche Gesù è Dio, poiché egli si identifica in qualche modo al

Logos di Dio (1,14). Vedendolo risorto, Tommaso potrà esclamare: “Mio Signore e mio Dio”. E,

alla fine della sua prima lettera (dello stesso autore di Giovanni IIb), Giovanni potrà scrivere. “Noi

siamo nel Dio vero e nel suo figlio Gesù Cristo; egli è il vero Dio e la vita eterna”.»250 

La conclusione a cui arriva Felice «Si, il Verbo, l’unigenito Figlio di Dio si è fatto carne, non

Dio»,251 è dunque erronea perché incompleta e va precisata così: «Si, chi si è fatto carne non è Dio

Padre, ne lo Spirito Santo, ma il Verbo, l’Unigenito Figlio di Dio». Ma siccome abbiamo visto che

il Verbo è Dio come il Padre, si può benissimo dire, come ricordavo all’inizio, che Dio ha “assuntocarne umana”.

GIOVANNI 1,18

Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.

(CEI)

248 Gino Bressan F.D.P., FRAGMENTA NE PEREANT, minuzie di filologia biblica (a cura dell’Istituto Teologico “DonOrione” – Roma, Roma 1995, 39-40249  IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 8…, 153250 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 112-113251 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 232

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Ultimo del prologo giovanneo, il v. 18, di densa portata teologica, riprende a parlare di Gesù come

monogen¾j qeÕj, unico, ultimo e totale rivelatore del Padre. Felice invece sposta la sua attenzione

sull’espressione “che è nel seno” (Ð ín e„j tÕn kÒlpon) di secondaria importanza a cui arriveremo

solo in seguito.La tradizione manoscritta di questo versetto presenta tre principali letture considerate dagli studiosi

1) [Ð] monogen¾j qeÕj l’unigenito Dio252 (con o senza articolo) è la lettura originale, criticamente

 più valida e certa perché ha minori probabilità di essere stata manipolata. Offerta dai codici

migliori, compresi i papiri Bodmer (P66 e P75), attestata da Ireneo, Clemente Alessandrino e Origene,

non tradisce intenti polemici e, come si accennava, per la sua elevatezza teologica è di conseguenza

in armonia con il contesto.

2) Ð monogen¾j υίό j il Figlio unigenito che è la lettura della Volgata, (qui anche della CEI)

essendo molto più chiara e naturale, stabilendo un parallelo con l’espressione “nel seno del Padre” e

ricorrendo in altri testi giovannei, sembra essere una lettura derivata.

3) monogen¾j Unigenito, lettura poco seguita che ritiene appunto il semplice sostantivo, conforme

alla designazione del Logos che si ha al v. 14. La completa mancanza di attestazione in copie

greche del vangelo la rende molto incerta.253 

Come all’inizio, così anche alla fine, Giovanni indica la natura divina dell’Unigenito, il quale èdunque l’unico a poter vedere Dio in maniera totale.

Appunto perché Giovanni dice che Gesù è nel seno del Padre e non di Dio, conferma la

caratteristica della fede cristiana come ricorda Boismard, citato a sproposito da Felice; eccola di

seguito

«Sì, Gesù “si trovava <<nel seno del Padre>> (e non nel seno di Dio)”. (All’Alba del Cristianesimo

 – Prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME; pag. 155)»254 

Ecco invece la citazione completa del Boismard che sostiene proprio tutto l’opposto di ciò che vuolfar intendere Felice

«Secondo l’inno primitivo, che riprendeva le speculazioni di Filone d’Alessandria,  il Logos era

stato creato da Dio e, dunque, non era Dio. Ma Giovanni IIb corregge questa idea aggiungendo la

frase del versetto 1c. “E il Logos era Dio”. Peraltro, secondo Filone, il Logos, creato da Dio ma per 

252 E’ la lettura critica appoggiata anche dalla NM; la traduzione di ‘dio’ in minuscolo, quantunque teologicamente noncambi il senso, è comunque segno di inferiorità divina del logos rispetto al Padre, tipico dell’impostazione filosoficamedio-platonica aggiornata e riveduta poi dalla cristologia geovista. (Vedi per es. Paolo Gamberini, Questo Gesù. Pensare la singolarità di Gesù Cristo, tesi XII, EDB 2007, 167253 Cfr.  IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 8…, 157-158; Vedi anche Raymond E. Brown,  Introduzione allaCristologia…, 174-175254 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 233

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mezzo del quale tutto è stato creato, aveva il titolo di “primo generato” ( protogenès). Era il primo

nell’ordine delle creature. Giovanni IIb non può riprendere questo titolo, perciò lo cambia con

“Unigenito” (monogenès), il quale evita ogni riferimento al resto della creazione. In seguito nella

finale, Giovanni IIb ci dice che questo “Unigenito” si trovava “nel seno del Padre” (e non nel seno

di Dio). Abbiamo già tutti gli elementi che permetteranno di formulare i primi due articoli della

fede trinitaria: non v’è che un solo Dio, ma in questo Dio occorre distinguere il Padre e il Logos da

lui generato. In seguito sarebbe stato sufficiente fare dello Spirito una persona distinta da Dio (non

era così nell’Antico Testamento) per ottenere la Trinità»255 

Anche per quanto riguarda l’affermazione “che è nel seno del Padre”, al di la delle diverse

sfumature interpretative, sostanzialmente si può riassumere così

« Nel seno del Padre: l’espressione metaforica non indica contenenza, bensì intimità; Dio unigenito(cioè l’Unigenito che è Dio) penetra tutta l’intimità del Padre e ne conosce pienamente il mistero…;

egli infatti è presente nel Padre ab aeterno (“che è”: designa una presenza permanente)»256 

In conclusione, il punto centrale ancora una volta appositamente evitato da Felice, non è

l’espressione “nel seno del Padre”, ma la persona di Gesù, indicato da Giovanni come il “Dio Figlio

unico” del Padre.

GIOVANNI 17,3

Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.

(CEI)

Il modo con cui Felice affronta il versetto in questione, ci offre la possibilità di fare emergere in

tutta la sua limpidezza la solita tattica geovista: far credere al malcapitato lettore il contrario di

quanto effettivamente la fonte o le fonti citate (come in questo caso) dicono. Vediamo subito cosa

scrive Felice

«Questa è una chiara affermazione della differenza esistente tra Dio e Gesù… E’ chiaro che dato

che Dio ha mandato Gesù, egli non può essere lo stesso Dio che manda il Figlio»257 

Certamente che è chiaro! Riconoscere Gesù come Dio non significa identificarlo con la stessa

 persona del Padre: si ricorda che non si tratta di medesime persone ma di comune natura.

Continua Felice:

255 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 155256  IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 4…, 894257 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 408-409

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«In pratica, questo passo, mostra “che, mentre Gesù era associato a Dio ed era chiamato Signore o

mediatore, c’era una forte tendenza a riservare il titolo ‘Dio’ al Padre, che è l’unico vero Dio”.

(Introduzione alla Cristologia del Nuovo Testamento, Raymond Brown, Editrice Queriniana; pag.

172)»258 

Qui Felice cita lo studio di Brown che ricorda come generalmente si riservi nel NT il titolo di ‘Dio’

al Padre; ma riservando il titolo ‘Dio’ al Padre, Brown non dice che si esclude Gesù dalla divinità.

Infatti è solo andando a controllare la citazione per intero con le parti omesse in rosso che si capisce

il vero pensiero di Brown

«Questi passi associano strettamente Gesù, il Signore, a Dio, il Padre (e talvolta anche allo Spirito);

 perciò sono molto utili nella discussione dell’atteggiamento del NT nei confronti della divinità di

Gesù, nonché delle radici neotestamentarie della successiva dottrina della Trinità. Comunque, per i

nostri scopi, essi mostrano che, mentre Gesù era associato a Dio ed era chiamato Signore o

mediatore, c’era una forte tendenza a riservare il titolo ‘Dio’ al Padre, che è l’unico vero Dio”.»259 

Subito dopo Felice continua citando il Boismard

«”In sintonia con il più rigido monoteismo giudaico, Gesù riconosce che non c’è che un solo vero

Dio; quanto a lui, non è che il suo inviato…Giovanni 17,3 rifiutava l’attribuzione a Cristo del titolo

di <<Dio>>…Il <<vero Dio>> è unico, e Gesù non è che il suo inviato”. (All’Alba del

Cristianesimo – Prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME;

 pagg. 80, 101, 102)»260 

Anche in questo caso se andiamo a controllare la citazione del Boismard a pag. 80 – la prima che

Felice cita – notiamo che è inserita nel capitolo 4 riguardante la DIVINITÀ DI CRISTO, dove lo

studioso domenicano presenta così la questione appositamente tralasciata da Felice: ci sono nella

Chiesa primitiva due correnti contrapposte, una che ritiene Cristo ‘Dio’ e l’altra semplicemente un

uomo. La prima prende conferma dalla fine della prima lettera di Giovanni: «E noi siamo nel veroDio e nel Figlio suo Gesù Cristo: egli è il vero Dio e la vita eterna» (1 Giovanni 5,20), e l’altra

appunto dal nostro testo Gv 17,3: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e

colui che hai mandato, Gesù Cristo».

Da qui la citazione incompleta di Felice che sopra abbiamo scritto. Boismard conclude dunque

dicendo

258 Idem, 409259 Raymond E. Brown, Introduzione alla Cristologia…, 172260 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 409

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«Secondo una, Gesù è Dio. Secondo l’altra, Gesù non è che un uomo. Questa constatazione invita a

domandarci se il Cristo fu ritenuto Dio fin dagli albori del cristianesimo, o se questa convinzione

non fosse il risultato di una riflessione cristologica di cui sarebbe possibile ricostruire le singole

tappe»261 

Boismard è dell’idea che ci fu un continuo sviluppo in questo senso fino al successivo e pieno

riconoscimento della divinità di Cristo.

Andando poi nella seconda e terza parte della citazione di Felice vista sopra, quella delle pagg. 101-

102, vediamo cosa Boismard dice. Riporto la citazione integrale con le parti omesse da Felice in

rosso

«La tradizione giovannea ha sempre creduto nella divinità di Cristo? Possiamo dubitarne per le

seguenti ragioni. Più sopra (pp. 80-82) abbiamo visto che il testo di Giovanni 17,3 rifiutava

l’attribuzione a Cristo del titolo di “Dio”: “La vita eterna è conoscere te, unico vero Dio, e colui che

hai inviato, Gesù Cristo”. Il “vero Dio” è unico, e Gesù non è che il suo inviato. Questo versetto fu

inserito successivamente nella preghiera che Gesù pronuncia in 17, 1-24, e dà l’idea di una lotta di

retroguardia dello schieramento giudeo-cristiano, secondo il quale affermare che Gesù fosse Dio

contraddiceva il fondamentale monoteismo della fede giudaica. Affermare che Gesù era Dio

equivaleva, si pensava, a cadere nel politeismo. [262] Non ci sarebbe più un solo Dio, ma due Dèi.

Probabilmente è per protestare contro questo sviluppo cristologico che alcuni membri del circolo

giovanneo si sono separati. Questo scisma è attestato da 1Giovanni 2,18-23; citiamo integralmente

il testo:

18 Figlioli, questa è l'ultima ora. Come avete udito che deve venire l'anticristo, di fatto ora molti anticristi

sono apparsi. Da questo conosciamo che è l'ultima ora.

19 Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi;

ma doveva rendersi manifesto che non tutti sono dei nostri.

20 Ora voi avete l'unzione ricevuta dal Santo e tutti avete la scienza.21 Non vi ho scritto perché non conoscete la verità, ma perché la conoscete e perché nessuna menzogna

viene dalla verità.

22 Chi è il menzognero se non colui che nega che Gesù è il Cristo? L'anticristo è colui che nega il Padre e il

Figlio.

23 Chiunque nega il Figlio, non possiede nemmeno il Padre; chi professa la sua fede nel Figlio possiede

anche il Padre.

261 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 81262 E’ proprio quello che ancora oggi pensano i TdG.

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Coloro che si sono separati negano che Gesù sia il Cristo; negano anche “il Padre e il Figlio”.

Questa duplice negazione è esplicita un po’ più lontano, in 5,5: “E chi è che vince il mondo se non

chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?” Evidentemente quest’ultima espressione va necessariamente

compresa in senso trascendente. Dunque coloro che hanno lasciato il circolo giovanneo rifiutano di

credere nella divinità di Cristo. Facciamo particolare attenzione a due espressioni presenti nel testo

appena citato. I veri discepoli conoscono la verità (v. 21) perché hanno ricevuto “l’unzione che

viene dal Santo” (v. 20, si veda anche v. 27), cioè che viene dallo Spirito Santo 18. (Come nota correntemente la

BG su 1Giovanni 2,20) Si comprende, allora, il modo in cui bisogna interpretare la frase che Giovanni

attribuisce a cristo in Giovanni 16,12-13. “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento no

siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità

tutta intera”. Lo stesso Gesù non ha potuto rivelare ai suoi discepoli che era Dio, essi non avrebbero

 potuto comprenderlo. Ma lo Spirito di verità gliel’ha fatto capire più tardi. Lo sviluppo cristologico

elaborato dal circolo giovanneo non viene dagli uomini, ma dallo Spirito di verità. Dunque alcuni

membri di questo circolo hanno avuto torto nel separarsi. Sono degli anticristi che rifiutano la verità

insegnata dallo Spirito»263 

Credo che la fatica imposta al lettore nel seguire tutta la citazione abbia comunque fatto emergere il

vero pensiero contestualizzato del Boismard diametralmente opposto a ciò che Felice vorrebbe far 

credere.

«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una citazione dal

contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che l’autorità citata voleva dire.

Siate specifici nei vostri riferimenti»264 

 Accuratezza nelle affermazioni.

«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la verità ed

essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si dovrebbe fare non

solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò che diciamo intorno ad altri o

nel modo in cui li rappresentiamo, e negli argomenti che implicano dati scientifici o notizie

di cronaca. Le affermazioni errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può

essere ingrandito. Le inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto

all'autorità dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio

stesso»265 (il grassetto è mio)

263 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 101-103264 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 155265  Manuale per la Scuola..., 110, § 10,11

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GIOVANNI 20,17

Gesù le disse: <<Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei

fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Di mio e Dio vostro>>. (CEI)

Sono le parole rivolte da Gesù dopo la sua resurrezione a Maria Maddalena che presa dallo stupore

si era buttata ai piedi di Gesù. Felice si chiede

«Gesù riconosce Dio essere il suo Dio e Padre. Come può essere Dio uno che ha un Dio sopra di

lui? Gesù disse inoltre “và dai miei fratelli”. Dio non ha fratelli, ma figli.»266 

Venendo meno l’ABC della teologia cristiana (i concetti di natura e persona, vera umanità - vera

divinità) sono facili queste considerazioni, anche se è vero che questo passo è inserito nel

 particolare contesto della teologia giovannea.Gesù non dice “Padre nostro né Dio nostro” perché quantunque il Padre di Cristo e dei cristiani sia

unico e identico, la relazione differisce in quanto il cristiano acquista la sua figliolanza attraverso

l’unico Figlio che la possiede per diritto, essendo l’Unigenito Figlio. Come vero uomo, dunque,

Gesù può dire mio Dio e non ‘nostro Dio’, così come Figlio Unigenito può dire  Padre mio e non

‘Padre nostro’

Siccome si tratta di Gesù che è il Figlio, ‘fratelli’ si riferisce ai discepoli. Vedi Mt 28,10; Mc 16,7.

«Si è voluto vedere in questo messaggio una distinzione tra la filiazione divina di Gesù, il Figlio

unico, e la filiazione dei fedeli. Né Giovanni, né altri nel Nuovo Testamento mettono in dubbio la

differenza tra la filiazione di Gesù per natura e la nostra filiazione per grazia (1,13). Non è questo il

contenuto essenziale del messaggio affidato a Maria di Magdala. Il suo scopo non è di far sapere ai

discepoli che essi sono figli adottivi, ma di rivelare loro che sono ormai divenuti veramente figli,

che il Padre di Gesù è divenuto veramente loro Padre… Ecco perché il nome di “fratelli” è dato loro

soltanto ora; ora essi sono, con lui, figli del Padre e vivono della vita divina, di cui Gesù è divenuto

la prima sorgente (14,19)»267 

Un altro studioso dice

«Respingo l’opinione che in questo passo Gesù stia facendo un’accurata (e teologica) distinzione tra

la sua relazione al Padre e la relazione dei suoi discepoli al Padre, cioè tra la sua naturale filiazione

e la loro più larga filiazione/adozione, ottenuta mediante il battesimo. Questo passo va interpretato

sullo sfondo della teologia giovannea: l’ascensione, di cui Gesù sta parlando in 20,17, condurrà a

quel dono dello Spirito (20,22; anche 7,38-39) che rigenerà i suoi discepoli dall’alto (3,3) e li

266 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 411267 Henri van den Bussche, GIOVANNI …, 640

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renderà figli di Dio (1,12). Così il Padre di Gesù diverrà il Padre dei discepoli ed essi diverranno

fratelli (e sorelle) di Gesù»268 

Felice cita il Boismard, che, in questo passo, fa notare le sue perplessità circa il valore assoluto del

titolo ‘Figlio di Dio’ attribuito a Gesù

«Giustamente Boismard domanda: “Come ci si può fondare su questo testo per sostenere che Gesù

avrebbe dato al titolo <<Figlio di Dio>> <<il valore più alto di una filiazione propriamente detta>>,

visto che, in questo stesso vangelo, Cristo afferma il contrario?” (All’Alba del Cristianesimo – 

Prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME; pag. 84)»269

Al lettore il dubbio ingenerato dalla citazione rimane, anzi non trova soluzioni plausibili; ma solo

controllando cosa effettivamente dice il padre domenicano si imbocca chiara l’uscita. Poco dopoinfatti lo studioso risponde così

«Il vangelo di Giovanni si attiene, dunque, alla tradizione biblica, secondo la quale questo titolo, lo

stesso rivendicato da Cristo, non implica un significato trascendente. Ma poiché Giovanni crede che

Gesù sia Dio, preferisce chiamarlo l’ “Unigenito” (Giovanni 1,14.18; 3,16-18); si veda anche

1Giovanni 4,9), titolo che non può essere rivendicato da un uomo che sia solo tale»270 

Perché Felice lascia allo scuro di queste informazioni i suoi lettori?

«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una citazione dal

contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che l’autorità citata voleva dire.

Siate specifici nei vostri riferimenti»271 

ROMANI 9,5

de’ quali sono i padri, e de’ quali è uscito, secondo la carne, il Cristo, il quale è sopra tutti Iddio

 benedetto in eterno. Amen. (DI)

Affrontata già ampiamente la questione di  Rm 9,5 nel precedente studio, si aggiunge solo un

commento alla citazione del padre Boismard ad opera di Felice; la riporto integralmente per 

confrontarla poi con la fonte originale

«Se si vuole riferire la dossologia a Cristo, ci si scontra con dei problemi insormontabili che sono

stati notati ormai da molto tempo. Altrove, Paolo attribuisce sempre a Dio le dossologie, e non a

Cristo ( Romani 1,15; 11,36; 2Corinzi 11,31; Galati 1,5,  Efesini 3,21,  Filippesi 4,20; vedi anche

268 Raymond E. Brown, Introduzione alla Cristologia…, 171269 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 411270 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 85271 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 155

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1Timoteo 1,17)… la formula “benedetto (sia)” non si riferisce ad altri che a Dio (2Corinzi 1,3;

11,31;  Efesini 1,3; si veda anche 1Pietro 1,3)… Poiché Dio è il Dio di Cristo, il Cristo non può

essere conosciuto come Dio…E perché questa fraseologia complicata, così inusuale nel suo modo

di scrivere? Gli sarebbe bastato scrivere: “il quale è benedetto […] in eterno”, come in 1Corinzi

11,31, senza aggiungere il titolo di “Dio”, poiché il solo fatto di riferire a Cristo la dossologia

classica era sufficiente a caratterizzarlo come Dio…Non solo Paolo non dice mai che Cristo è Dio,

ma suppone anche che egli non sia Dio”. (All’Alba del cristianesimo – prima della nascita dei

dogmi. Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME; pag. 132)»272 

Ecco la citazione ampliata così come si legge nel libro del Boismard

«La dossologia di  Romani 9,5 è uno dei testi più controversi del Nuovo Testamento, dato il suo

impatto cristologico: riguarda Cristo, la cui divinità sarebbe implicitamente affermata, o Dio? Sono

state sostenute entrambe le opinioni, con predominanza della prima… Se si vuole riferire la

dossologia a Cristo, ci si scontra con dei problemi insormontabili che sono stati notati ormai da

molto tempo. Altrove, Paolo attribuisce sempre a Dio le dossologie, e non a Cristo ( Romani 1,15;

11,36; 2Corinzi 11,31; Galati 1,5,  Efesini 3,21,  Filippesi 4,20; vedi anche 1Timoteo 1,17)… La

formula “benedetto (sia)” non si riferisce ad altri che a Dio (2Corinzi 1,3; 11,31; Efesini 1,3; si veda

anche 1Pietro 1,3)… Poiché Dio è il Dio di Cristo, il Cristo non può essere conosciuto come Dio.

Perché Paolo avrebbe ripreso questa formula stereotipata per applicarla a Cristo, se voleva

attribuirgli il titolo di Dio? E perché questa fraseologia complicata, così inusuale nel suo modo di

scrivere? Gli sarebbe bastato scrivere: “il quale è benedetto […] in eterno”, come in 1Corinzi 11,31,

senza aggiungere il titolo di “Dio”, poiché il solo fatto di riferire a Cristo la dossologia classica era

sufficiente a caratterizzarlo come Dio. Infine, ed è l’obiezione più solida, nell’epoca in cui scriveva

la sua lettera ai Romani, Paolo poteva credere che Cristo fosse Dio? Se la nostra analisi precedente

è stata seguita si converrà che ciò è impossibile. Non solo Paolo non dice mai che Cristo è Dio, ma

suppone anche che egli non sia Dio… E’ verosimile che all’inizio delle sue argomentazioni Paolodica loro che Cristo è Dio? I Giudei avrebbero considerato questa frase come un’intollerabile

 bestemmia.

Allora bisogna accostare la dossologia a Dio? Ma in tutte le altri parti le dossologie si riferiscono a

colui che è nominato nel contesto immediatamente precedente, in questo caso, perciò, a Cristo.

D’altra parte non si vede come costruire la frase in modo logico. La maniera più semplice sarebbe

quella di mettere un punto dopo “il quale è al di sopra di tutto” e fare della dossologia propriamente

detta una frase indipendente. “Dio (sia) benedetto in eterno”. Ma in tutte le altre parti, nell’AnticoTestamento, nel Nuovo, come negli scritti semitici, il soggetto è posto sempre dopo l’aggettivo

272 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 278

101

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verbale e deve essere preceduto dall’articolo… E se, invece, mettessimo un punto dopo “secondo la

carne”? La dossologia diventerebbe molto più complessa e ci si scontrerebbe con le stesse obiezioni

elencate nel caso precedente. La sola soluzione che ci sembra possibile è quella di ammettere che

questa dossologia non sia paolina, ma fu aggiunta da un discepolo di Paolo al momento

dell’edizione della lettera»273 

E’ palese la differenza tra le due citazioni: mentre la prima – quella di Felice – è creata ad arte per 

giustificare l’unidirezionalità di una determinata tesi (il titolo ‘Dio’ può essere attribuito solo a Dio)

avvallata per di più dallo studioso citato, l’altra è di più ampio respiro, presenta la panoramica

generale della questione e soprattutto delucida il vero pensiero dello studioso citato:

1) la tesi di fondo del Boismard non verte sulla dimostrazione se Cristo sia Dio o no – come invece

vorrebbe far credere Felice – (che sia vero uomo e vero Dio per la fede cristiana e per Boismard è

scontato)

2) il titolo ‘Dio’ si può comunque applicare sia a Cristo che a Dio Padre, ma con una predominanza

 per Cristo

3) nell’epoca in cui scriveva la sua lettera ai Romani era inverosimile che Paolo potesse applicare a

Cristo il titolo di Dio

3) considerata la particolare euloghia (benedizione) che ci si presenta, non corrispondente in toto

alle classiche regole della benedizioni, si ritiene possibile che sia stata aggiunta da un discepolo

 poco prima dell’edizione della lettera.

Vediamo un altro passaggio dove Felice cita  Introduzione alla Cristologia del Nuovo Testamento di

Raymond E. Brown:

«Alcuni studiosi affermano che in questo passo Paolo identifica Gesù come Dio, ma, “l’obiezione

 più forte a quest’interpretazione è che mai altrove Paolo parla di Gesù come Dio”. (Introduzione

alla Cristologia del Nuovo Testamento, Raymond E. Brown. Editrice Queriniana. Pag. 179.)»274

 

Come già accennato, questa citazione si trova nella terza apendice dell’ Introduzione alla

Cristologia…, dove l’autore analizza alcuni passi che con più o meno sicurezza attribuiscono il

titolo di ‘Dio’ a Gesù, tra i quali figura quello di Rm 9,5. Poco prima della sua striminzita citazione,

Felice omette di riportare ciò che Brown dice testualmente (come al solito le parti omesse sono in

rosso):

273 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 131-133274 La Traduzione del Nuovo Mondo…, 394

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«(b) Un punto fermo può essere messo alla fine, dopo “per sempre” e una virgola dopo “carne”.

Tutte le parole dopo “carne” quindi costituiscono una preposizione relativa, riferita a “Cristo”, così:

“… il Cristo secondo la carne, il quale è sopra ogni cosa Dio benedetto per sempre”. Questa

interpretazione significherebbe che Paolo chiama Gesù ‘Dio’. Da un punto di vista grammaticale

questa è la migliore lettura. Anche la sequenza contestuale è eccellente; infatti, dopo aver parlato

della discesa di Gesù secondo la carne, Paolo ora enfatizza la sua posizione come Dio. L’obiezione

 più forte a quest’interpretazione è che mai altrove Paolo parla di Gesù come Dio263…

Personalmente sono incline, per la prova grammaticale, a favorire l’interpretazione (b), secondo la

quale il titolo ‘Dio’ è dato a Gesù. Non si può però rivendicarne più che la plausibilità»275 

(sottolineature mie)

La citazione completa inoltre rimanda, come si vede, alla nota 263 che dice:«In ogni caso dovremmo notare che un argomento basato sull’uso o sul non uso paolino del titolo

“Dio” per Gesù è cosa diversa dalla pretesa che Paolo fosse così imbevuto di monoteismo giudaico

da non aver potuto pensare a Gesù come a Dio. Una tale pretesa suppone che Paolo non avrebbe

 potuto trovare il modo di conciliare due verità. Anche se usa una terminologia diversa, non c’è

dubbio che Paolo credesse alla divinità di Gesù (in categorie di preesistenza):  Fil  2,5-6; 2Cor 

8,9»276 

Sostanzialmente le strade dei due studiosi citati si incrociano. Dalla citazione, infatti, emerge

chiaramente che l’obiezione più forte di cui parla Brown (cioè che Paolo altrove non parli mai di

Gesù come Dio), è data appunto dal fatto che nel NT il titolo di  Dio è riservato quasi

esclusivamente al Padre, e non che Paolo ritenga Gesù solo un semplice uomo negando la sua

divinità: questo è fuori discussione.

2CORINZI 13,13

La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano contutti voi. Amen. (ND)

 Non mi soffermo su questo versetto già precedentemente affrontato, se non per riprendere la

citazione di Felice su Boismard

«Ad ogni modo, “i modelli ternari non possono essere considerati come un segno che Paolo

credesse nel mistero della Trinità…notiamo che l’ordine nel quale sono menzionate le diverse

<persone>> varia secondo il testo e non corrisponde a quello della Trinità. Se Paolo pensava a una275 Raymond E.Brown, Introduzione alla Cristologia del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1995, 179276 Idem, 179

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formula trinitaria, perché non ha rispettato quest’ordine, almeno in 2 Corinti 13,13?”. (All’Alba del

Cristianesimo – prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME;

 pagg. 149,150)»277 

Ci troviamo nella sezione dove Boismard accenna ai modelli ternari in Paolo, precisamente da pag.147 ss. A pag. 149 incontriamo la citazione di Felice che come si vede dai famosi puntini di

sospensione è interrotta. Segno evidente che una parte della citazione è stata tralasciata.

Confrontiamola ora con la citazione completa con le parti mancanti in rosso

«Presenteremo fra un istante il perché i modelli ternari non possono essere considerati come un

segno che Paolo credesse nel mistero della Trinità, così come lo concepiamo oggi: un solo Dio in

tre persone… Innanzitutto notiamo che l’ordine nel quale sono menzionate le diverse <persone>>

varia secondo il testo e non corrisponde a quello della Trinità. Se Paolo pensava a una formula

trinitaria, perché non ha rispettato quest’ordine, almeno in 2 Corinti 13,13?»278 

Come si nota proprio la riga tralasciata stravolge completamente ciò che voleva trasmettere Felice

al lettore e fa chiarezza sul pensiero di Boismard: Paolo, dice lo studioso, non poteva credere al

mistero della Trinità così come lo concepiamo noi oggi, cioè un solo Dio in tre persone : è chiaro,

quella formulazione si coniò solo più tardi dopo lunga riflessione biblico-teologica utilizzando

categorie di pensiero e termini che non sono strettamente semitici ma di influsso greco che Paolo

chiaramente non conosceva né poteva capire in quel senso.

La stessa citazione infatti continua dicendo

«Ma occorre spingersi oltre. In queste formule [formule ternarie] Paolo non menziona <<il

Padre>>, ma <<Dio>>. Bisogna concluderne che esse escludono tutti i riferimenti al mistero

trinitario. Secondo questo mistero le tre Persone <<Padre>>, <<Figlio>> e <<Spirito>> sono

concepite nello stesso seno di Dio; esse non sono distinte da Dio. Nei modelli ternari, invece, il

Signore (o il Cristo) e lo Spirito, sono distinti da Dio; sono, per così dire, giustapposti all’unico Dio,non fanno parte di Dio… Se ne può concludere che, nei modelli ternari citati sopra, il Signore non è

considerato come Dio, e ciò esclude tutte le allusioni al mistero della Trinità così come sarà

formulato più tardi»279 

Boismard ribadisce come ci sia stato nel tempo un continuo sviluppo della comprensione della fede

che, partendo anche (ma non solo) da questi riferimenti ternari ha portato più tardi alla formulazione

del mistero della Trinità; di questo, scorrettamente, neanche un minimo accenno da parte di Felice

277 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 285278 Marie-Emile Boismard, All’Alba del Cristianesimo…, 149-150279 Idem, 150-151

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«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una citazione dal

contesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che l’autorità citata voleva dire.

Siate specifici nei vostri riferimenti»280 

 Accuratezza nelle affermazioni.«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la verità ed

essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si dovrebbe fare non

solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò che diciamo intorno ad altri o

nel modo in cui li rappresentiamo, e negli argomenti che implicano dati scientifici o notizie

di cronaca. Le affermazioni errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può

essere ingrandito. Le inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto

all'autorità dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio

stesso»281 (il grassetto è mio)

MARCO 1,11

E venne una voce dal cielo, dicendo: Tu sei il mio diletto Figliuolo, nel quale io ho preso il mio

compiacimento. (DI)

In riferimento al battesimo di Gesù nel fiume Giordano, questo passo non viene commentato da

Felice se non indirettamente, con un lapidario “Vedi Matteo 3:16, 17” che naturalmente vado acontrollare qualche pagina dietro. Si legge testualmente

«Una voce dal cielo, quella di Dio, dice che quest’uomo è suo Figlio, ed Egli lo ha approvato. Cosa

 pensarono gli ascoltatori? Sicuramente non pensarono che Gesù fosse Dio. Poteva Dio compiacersi

di sé stesso?»282 

Certamente non pensarono che Gesù fosse Dio ma, se non altro, il Figlio; e questo non perché Dio

non possa compiacere se stesso; il testo infatti dice chiaramente che Dio, il Padre, compiace propriosè stesso nel Figlio prediletto Gesù: così la voce dal cielo, avvertita da ascoltatori evidentemente

molto più attenti di Felice.

Comunque sia, andiamo piuttosto a sentire cosa dice il citatissimo Boismard (questa volta non

interpellato) riguardo a questo passo; riporto la citazione nelle sue parti fondamentali

«Secondo  Marco 1,10-11, appena fu battezzato da Giovanni nel Giordano, Gesù riemerse

dall’acqua e in quel momento: <<vide aprirsi i cieli e o Spirito discendere su di lui come una

280 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 155281  Manuale per la Scuola..., 110, § 10,11282 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 351

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colomba. E si sentì una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono

compiaciuto”>>. Abbiamo qui il “modello ternario” che più di ogni altro si accosta alla

formulazione trinitaria, poiché contiene, implicitamente, la menzione del Padre, esplicitamente

quella del Figlio e dello Spirito. Ma è ancora assente il mistero della Trinità come sarà definito più

tardi… E’ un primo passo verso il mistero trinitario ma non è ancora la Trinità… Verosimilmente il

mistero della Trinità è stato elaborato a partire dalla narrazione del battesimo di Cristo. Ma non si

 potrà precisare fin quando non si sarà compreso che Gesù era “Figlio di Dio”, non solo in senso di

un’adozione divina, ma in quello di una filiazione naturale. Ciò non si è potuto fare che alla fine del

 primo secolo, come abbiamo visto nel precedente capitolo sulla divinità di Cristo»283 (sottolineature

mie)

Ogni ulteriore commento credo si possa ritenere certamente superfluo.

MARCO 10,18

Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, tranne uno solo, Dio. (TMN)

Anche di questo passo emerge la solita tendenziosità da parte di Felice sia nel modo di citare lo

studioso domenicano, che di affrontare in generale la questione. Inserito in una sezione dal titolo IL

VANGELO DI MARCO è commentato con altri due testi: 9,22-23 (la guarigione di un bambino

epilettico) e 13,32 (l’ora della fine del mondo).

Ecco cosa scrive Felice

«Boismard giunge alla conclusione che “Spiegando la risposta di Gesù si ottiene: Dio solo è buono

e, poiché non c’è che un solo Dio, io non sono Dio perciò tu non hai ragione di chiamarmi

<<buono>>”. (All’Alba del Cristianesimo – Prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile Boismard

(2000) Edizioni PIEMME; pag. 90)»284 

L’ultima parola della citazione <<buono>>, rimanda nel libro di Boismard alla nota 7 (evitata da

Felice) che dice:

«Dunque, ciò che Gesù vuol dire in  Marco 10,18 è: avete torto se voi pensate che io sia

(essenzialmente) buono, perché io sono un uomo come voi, e nessun uomo è (essenzialmente)

 buono. Dio solo è (essenzialmente) buono»285 

283 Marie-Emile Boismard, All’Alba del Cristianesimo…, 153-154284 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 371285 Marie-Emile Boismard, All’Alba del cristianesimo…, 90

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Gesù, o meglio l’evangelista Marco mette in bocca a Gesù una puntualizzazione: la bontà per 

essenza è solo Dio; l’uomo, come in questo caso Gesù, è buono solo per  partecipazione.286 Lo

stesso quando si dice che  Dio è amore, è da intendersi “Dio è amore per essenza”. In Dio tutto è

essenza. Poi continua esaminando gli altri due casi sopra accennati e conclude così

«Cosa concludere da questi testi? Quando Marco li scriveva non poteva avere in mente una dualità

di personalità in Gesù: l’una divina e l‘altra umana. O Gesù era Dio apparso in forma umana, o non

era che un uomo. Poiché Marco fa parlare Gesù come parlerebbe un uomo, significa che lo

considera come un uomo, e non come Dio9.»287

La nota in calce 9 della stessa citazione dice: «I teologi spiegano che in questi testi Gesù parla in

quanto uomo e non in quanto Dio. Questa distinzione sarebbe valida per gli ultimi due testi, ma non

 per il primo: Gesù nega di essere Dio»

L’evangelista Marco stà dicendo di considerare Gesù come uomo, ma non stà negando che sia Dio.

RIVELAZIONE 1,4-6

Giovanni alle sette Chiese che sono in Asia: grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che

viene, dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono, 5 e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il

 primogenito dei morti e il principe dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri

 peccati con il suo sangue, 6 che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui

la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. (CEI)

«Qui si parla di due personaggi, Dio e Gesù Cristo, e Giovanni li distingue chiaramente. Dio è

“Colui che è, che era e che viene”, infatti, la Bibbia applica solo a lui queste parole, mentre Gesù è

“il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra”.»288 

Così scrive Felice all’inizio del commento a questo versetto. Non ritorniamo sui titoli che

nell’Apocalisse vengono riferiti sia a Dio Padre che a Gesù (e qui Felice si sbaglia): ne abbiamo già

abbondantemente parlato, ma in sintesi riporto solo un commento a riguardo

«Dio non è più semplicemente l’eterno, ma colui che viene. E come non tener presente che il

 participio <<il veniente>>, qui applicato indiscutibilmente a Dio, connota generalmente il Figlio,

286 Uno dei casi diametralmente opposti a questo nei confronti di Gesù è Col 2,9, dove si dice che “in Cristo abitacorporalmente tutta la pienezza della divinità-deità”; qui Cristo non  partecipa solamente della divinità di Dio Padre,ma è come presente stabilmente in lui tutta l’essenza di Dio, la deità piena. Per questo la NM non può che tradurre “inlui dimora corporalmente tutta la pienezza della qualità divina”; ma una certa qualità divina è possibile attribuirla per 

 partecipazione anche all’essere umano.287 Marie-Emile Boismard, All’Alba del Cristianesimo…, 91288 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 481

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soprattutto nella letteratura giovannea, e particolarmente nell’Apocalisse? Bisogna dunque

concludere che, fin dall’inizio del libro, quando per la prima volta il nome segreto di Dio viene

rivelato, tale nome prende una risonanza cristologica. Questo cristocentrismo, o più esattamente

questo teocentrismo cristologico, è una delle grandi costanti dell’Apocalisse»289 

Sappiamo già inoltre che il fatto di distinguere chiaramente Dio e Gesù non preclude la sua divinità.

Felice continua scrivendo che «anche se si volesse usare questo passo a dimostrazione della Trinità,

si deve tener conto che “l’ordine delle <<persone>> non corrisponde a quello della Trinità. La

menzione del Padre è assente ed è rimpiazzata dalla formula <<Colui che è, che era e che viene>>,

la quale sviluppa la rivelazione del nome di Dio fatta a Mosè in Esodo 3,14. Infine la menzione dei

sette spiriti presenti davanti al trono di Dio non può fare allusione allo Spirito Santo, che, peraltro,

sarebbe qui distinto da Dio”. (All’Alba del cristianesimo – Prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME; pag. 152)»290

Riportiamo per intero, con le parti omesse in rosso, la citazione del Boismard e confrontiamola con

quella di Felice appena citata

 

«Come nelle formule precedentemente analizzate, l’ordine delle <<persone>> non corrisponde a

quello della Trinità. La menzione del Padre è assente ed è rimpiazzata dalla formula <<Colui che è,

che era e che viene>>, la quale sviluppa la rivelazione del nome di Dio fatta a Mosè in  Esodo 3,14.

Infine la menzione dei sette spiriti presenti davanti al trono di Dio non può fare allusione allo

Spirito Santo, che, peraltro, sarebbe qui distinto da Dio. Siamo in presenza di un modello ternario

attestato nella letteratura giudaica, non di una eco del mistero della Trinità»291 

Boismard stà continuando ad analizzare le diverse formule ternarie, come abbiamo visto prima, che

non riguardano il dogma della Trinità come verrà sistematizzato più tardi. Ciò non significa che lo

stia negando, come invece può emerge dalla sua citazione incompleta.

RIVELAZIONE 3,14

<<E all’angelo della chiesa in Laodicea scrivi: queste cose dice l’Amen, il Testimone fedele e

verace, il Principio della creazione di Dio. (ND)

Anche di questo passo si è abbondantemente parlato. Sappiamo comunque che il punto centrale non

è tanto la traduzione di ¢rc¾ (legittimamente reso con capo, re,  principio,  principe, mezzo o

289  L’Apocalisse di S. Giovanni, traduzione e commento di…, 29-30290 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 481291 Marie-Emile Boismard, All’Alba del Cristianesimo…, 152

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 strumento), quanto il soggetto a cui si riferisce, Gesù Cristo: considerata ed epurata la sua natura di

Logos eterno ed increato di Dio, cadono tutte le “preoccupazioni” di Felice.

Recupero solamente una citazione di Boismard che testualmente leggo così nel libro di Felice

«Boismard, uno dei più noti biblisti a livello mondiale, in un suo studio afferma che “il Cristo-

sapienza non è Dio poiché è stato creato da Dio (Apocalisse 3,14, Colossesi 1,15)”. (All’Alba del

cristianesimo – prima della nascita dei dogmi. Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME,

 pag. 135)»292 

Cosa potrà mai capire il lettore da questa citazione? Che Boismard, uno dei più noti biblisti a livello

mondiale (come tiene a puntualizzare Felice), crede che Gesù sia una creatura e non Dio. Ma basta

controllare la fonte per renderci conto del contrario; riporto in rosso le parti omesse che chiarificanoil pensiero del padre domenicano

«Anche secondo Giovanni, come secondo Paolo, Dio ha creato il mondo per mezzo del suo Logos

(1, 1ab.3) o attraverso la sua sapienza (1Corinzi 8,6), Logos o sapienza che in qualche modo

s’identificano a Cristo. Ma, come nei libri sapienziali e in Filone d’Alessandria, il Cristo-sapienza

non è Dio poiché è stato creato da Dio ( Apocalisse 3,14; Colossesi 1,15). Solo al termine di questa

evoluzione, non prima degli anni 80, Cristo sarà identificato a Dio: in Giovanni 1,1c, il quale

aggiunge la frase “e il Logos era Dio” al testo primitivo; ed in Tito 2,13, il quale reinterpreta

1Timoteo 2,5 aggiungendovi l’affermazione che il Cristo è “nostro grande Dio e salvatore”.

Secondo Giovanni 16, 12-13 questo approfondimento cristologico si sarebbe effettuato grazie allo

Spirito di verità»293 

Boismard quando parla del Cristo-sapienza “creato da Dio”, si stava riferendo ai libri sapienziali e

agli scritti del filosofo ebreo Filone d’Alessandria, e non certo al prologo del vangelo di Giovanni.

«Usate cautela. Ogni evidenza dev’essere usata onestamente. Non togliete una citazione dalcontesto. Accertatevi che ciò che dite sia esattamente ciò che l’autorità citata voleva dire.

Siate specifici nei vostri riferimenti»294 

 Accuratezza nelle affermazioni.

«I testimoni di Geova sono un'organizzazione di verità. Dovremmo voler dichiarare la verità ed

essere sempre assolutamente accurati in tutti i particolari. Questo si dovrebbe fare non

solo riguardo alle dottrine ma anche nelle citazioni, in ciò che diciamo intorno ad altri o

292 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 335293 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 135294 Manuale per la Scuola di Ministero Teocratico, Brooklyn 1974, 155

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nel modo in cui li rappresentiamo, e negli argomenti che implicano dati scientifici o notizie

di cronaca. Le affermazioni errate fatte a un uditorio possono essere ripetute e l'errore può

essere ingrandito. Le inesattezze che sono riconosciute da un uditorio suscitano dubbi in quanto

all'autorità dell'oratore su altri punti, forse mettendo anche in dubbio la veracità del messaggio

stesso»295 (il grassetto è mio)

295  Manuale per la Scuola..., 110, § 10,11

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RIVELAZIONE 5,8; 5,12-14

I quattro viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono dinanzi all’Agnello… (EP 66);

“L’agnello che fu scannato è degno di ricevere potenza e ricchezza e sapienza e forza e onore e

gloria e benedizione”. 13 E ogni creatura che è in cielo e sulla terra e sotto la terra e sul mare, e

tutte le cose [che sono] in essi, udii che dicevano: “A Colui che siede sul trono e all’Agnello

siano la benedizione e l’onore e la gloria e il potere per i secoli dei secoli”. 14 E le quattro

creature viventi dissero: “Amen!” e gli anziani caddero e adorarono. (TMN)

Si è già ampiamente trattato nel precedente lavoro il tema dell’adorazione rivolta a Dio e a Gesù; si

aggiungono solamente altre considerazioni

«Particolarmente eloquente è il passo in cui la metafora [l’Agnello] compare per la prima volta: “E

vidi in mezzo al trono… un agnello ritto in piedi come sgozzato” (5,6). Il trono è quello di Dio,

semplicemente detto altrove il Sedente (4,2), ed è paradossale che, essendo già occupato da lui, si

dica che ciononostante l’Agnello vi sta proprio nel mezzo, a esprimere una vera e propria

sovrapposizione»296 

«a colui che siede sul trono, e all’Agnello: V. 7,10. Come la dossologia è offerta tanto a Dio quanto

all’Agnello, così la regalità e il dominio appartengono indistintamente al Padre e a Cristo (3,21)»297

 

«L’adorazione sale da ogni parte, anche dai posti più inaspettati (cf. Is 38,18). La dossologia si

rivolge insieme a Dio e all’agnello, indicando, al termine della liturgia dei capitoli 4 e 5, che

appunto questo è il messaggio centrale della celebrazione»298 

«Nuovo nel N.T. è il fatto che accanto a Dio come destinatario della proskynesis adorante sta ora in

 primo luogo il Cristo innalzato (come risulta in modo particolarmente chiaro, ad es., in  Apoc.

5,13s.;  Lc. 24,52)… Nel N.T.Il proskune‹n è riservato a Dio e all’Agnello… Nell’ Apoc. l’uso di

proskunšw ha due punti centrali: l’adorazione di Dio e dell’Agnello nella liturgia celeste (4,10;

5,14; 7,11; 11,16; 19,4)»299 

La NM in Ap. 5,13s, ha tradotto proprio così:

«“A Colui che siede sul trono e all’Agnello siano la benedizione e l’onore e la gloria e il potere per i

secoli dei secoli”. E le quattro creature viventi dissero: “Amen!” e gli anziani caddero e adorarono».

296  Il DNA del Cristianesimo…, 144297 GCBQ, 1450298  L’Apocalisse di Giovanni, traduzione e commento di Pierre Prigent, Borla, 1985, 207299  DENT II , 1163

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E’ bene ricordare che nel NT esiste il verbo prosp…ptw ( prospiptō),  prosternarsi,  prostrarsi,

cadere ai piedi di, che designa turbamento oppure improvviso sbigottimento o costernazione, e non

è usato come termine tecnico per esprimere l’atto della preghiera e dell’adorazione, come

proskunšw. Ricorre 8 volte e precisamente in  Mc 3,11; 5,33; 7, 25; Lc 5,8; 8,47; 8,28; Mt 7,25 e At 

16,29.300 

In tutti questi casi la KIT rende prosp…ptw con l’inglese to fall , cadere, abbassarsi, crollare,

scendere.

RIVELAZIONE 22,13

Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’Ultimo, il principio e la fine. (CEI)

Anche per quanto riguarda i titoli in questione, ne abbiamo già ampiamente trattato nel precedente

studio, ma molto interessante è un’affermazione di Felice circa questo passo

«In questo passo, Dio è pure chiamato “il primo e l’ultimo”, espressione che in Rivelazione 1:17, 18

è riferita a Gesù. Anche l’espressione “apostolo” è riferita sia a Gesù Cristo che a certi suoi seguaci.

Ma questo non dimostra che siano la stessa persona. (Ebrei 3:1)»301 

Si nota una chiara incongruenza: qui Felice dice che l’espressione “primo e ultimo” è riferita anche

a Gesù in Ap 1,17-18,302

mentre nel suo precedente libro LA TRADUZIONE DEL NUOVO MONDO,MANIPOLATA O TRADOTTA FEDELMENTE? nel commento ad Ap 1,11 scrive testualmente

«Alcuni trinitari citano questo passo per cercare di dimostrare che Gesù è Dio. Questa espressione

ricorre nella DI e in poche altre vecchie traduzioni bibliche. L’espressione non è inclusa nella

stragrande maggioranza delle traduzioni bibliche moderne. Essa non trova alcun sostegno nei più

antichi manoscritti greci. Tale interpretazione è basata su tardi manoscritti che sono stati trovati

difettosi a causa di scribi troppo zelanti nel voler applicare il titolo “l’Alfa e l’Omega, il primo e

l’ultimo” a Gesù Cristo»303

In questa citazione invece dice tutto il contrario: i titoli “l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo” sono

stati applicati indebitamente a Gesù da scribi troppo zelanti; in sostanza sono dei falsi. Ma allora ci

si chiede: questi titoli sono applicati o no anche a Gesù Cristo nella Scrittura? Credo che questo

modo di fare sia segno di poca serietà ed onestà.

300 Cfr DENT, 1166301 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 198302 Oltre ad Ap 1,17-18 ricordato da Felice, anche 2,8 e 22,13 attribuiscono questi titoli a Gesù.303  La Traduzione del Nuovo Mondo…, 796

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Anche nella loro stampa, precisamente nel libro  Rivelazione mentre attribuiscono «Ecco, vengo

 presto… Io sono l’Alfa e l’Omega»304  ( Ap 22, 12-15) a Geova in persona, tre pagine dopo, lo

attribuiscono a Gesù: «Sia lui che Geova Dio stesso ribadiscono più volte il fatto che essi vengono

“presto”, e Gesù qui lo ripete per la quinta volta (Rivelazione 2:16, 3:11; 22:7, 12,20)»305 

« L’Alfa e l’Omega: prima e ultima lettera dell’alfabeto greco (21,6; 22,13), trasposizione nel Cristo

di una qualità di Dio, principio e fine di tutto (Is 41,4; 44,6; cf. 1,17; 2,8)»306

«ALFA E OMEGA Sono la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco. Citate insieme, queste due

lettere alludono a Dio: principio e fine di tutta la realtà. Nel Nuovo Testamento, questa qualità

divina viene riferita a Gesù Cristo: “Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio, colui che è, che

era e che viene” (Ap 1,8)»307 

«L’Apocalisse riferisce a Cristo gli attributi di Dio nell’AT. Egli è il primo e l’ultimo, l’alfa e

l’omega (1,7; 2,8; 22,13)»308

«Gesù è sentito e pensato al livello di Dio… Gli attributi di Dio nell’AT, specialmente quelli

dinamici, vengono riferiti a lui: egli è “il primo e l’ultimo”, “l’alfa e l’omega” (1,7; 2,8; 22,13): si

trova all’inizio e alla conclusione della serie omogenea della storia della salvezza… Con ciò si

manifesta come equivalente a Dioe gli compete il titolo divino “Signore dei signori” (17,14;

19,16)»309 

«Il primo e l’ultimo, l’alfa e l’omega (Ð prîtoj kaˆ Ð œscatoj, tÕ ”Alfa kaˆ tÕ ’W: 1,17; 2,8; 22,13):

detti di Dio (cf 1,8; 21,16), questi titoli vengono trasferiti a Cristo che, in rapporto col mistero

 pasquale, è indicato come all’inizio e alla conclusione della serie omogenea rappresentata dalla

storia della salvezza»310 

«C’è un contatto letterale con Is 44,6: “così dice Iahvè şebaōth: io sono il primo e io sono ultimo (e

con Is 48,12) Iahvè è visto qui soprattutto nella sua trascendenza che supera le vicende delle cose.

In Ap 1,8 Dio è detto “alfa e omega”; lo stesso titolo è applicato a Cristo in Ap 22,13.»311

«La formula “il Primo e l’Ultimo” (ho prôtos kai ho èschatos) si trova solo come auto-

qualificazione di Cristo glorificato (1,17; 2,8; 22,13). Si rifà alla dizione ebraica degli attributi

divini, presente nel Deuteroisaia (41,4; 44,6; 48,12)… Un’altra espressione, simile quanto al

304  Rivelazione, il suo grandioso culmine…, 316305 Idem306 BG, 2627307  Enciclopedia del Cristianesimo…, 44308 LDTE, 824309 NDTB, 92310  IL MESSAGGIO DELLA SALVEZZA 8…, 390311 Idem, 409

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contenuto, è: “io sono l’alfa e l’omega” (alfa è la prima lettera e omega è l’ultima) e anche: “io sono

l’inizio e la fine” (22,13). Il trasferimento di questi attributi divini al Risorto indica che Cristo è

stato innalzato a dignità divina e ha assunto compiti di creatore e di perfezionatore»312 

In verità come riconoscono le scritture e tutti gli studiosi, il titolo divino «Io sono l’Alfa e l’Omega,il Primo e l’Ultimo» nell’Apocalisse si applica indistintamente sia a Dio Padre che a Gesù, a

significare che lo stesso Gesù è posto sul medesimo piano di Dio Padre, e non che siano la stessa

 persona come ritiene Felice ma che nessuno a mai rivendicato. Nulla a che vedere dunque con

vecchi manoscritti trovati difettosi a causa di scribi troppo zelanti nel voler applicare il titolo “l’Alfa

e l’Omega, il primo e l’ultimo” a Gesù Cristo.313 

Casomai questa è la scusa di Felice e dei TdG per tentare di oscurare la divinità di Cristo.

Per quanto riguarda la CONCLUSIONE di Felice al suo libro, riporto le parti salienti che ne

sintetizzano il pensiero

«Si, gli Israeliti erano monoteisti, come anche i primi cristiani. Essi non credevano affatto in una

Trinità composta da più persone. Credendo in essa di diventa politeisti o meglio, triteisti. La Trinità,

come abbiamo appurato, è una falsa dottrina che nacque da una cattiva interpretazione delle

Scritture… La dottrina della Trinità non ha senso alcuno, anzi, crea forti dubbi in molti. Io spero di

essere stato capace a spiegare bene questo argomento così controverso che va avanti da secoli,

anche se “Subito dopo la risurrezione di Cristo, gli apostoli non credevano ancora che Gesù fosse

Dio, essi non avevano alcuna nozione del mistero della Trinità. (All’alba del cristianesimo – Prima

della nascita dei dogmi. a cura di Marie-Emile Boismard (2000) Edizioni PIEMME; pag. 5)”.

Basare una falsa credenza come la dottrina della Trinità su un libro come la Bibbia, che è la parola

di Dio, è molto pericoloso, specialmente sapendo che la parola Trinità non esiste in essa. Voglio

dire, se si suppone che la Trinità è una dottrina così importante per definire la divinità di Dio, non

 pensate che dovrebbe esistere almeno una volta questa parola nella Bibbia?

Continueranno i trinitari a credere il contrario dopo la lettura di queste pagine? Credo che molti,

 purtroppo, continueranno a crederlo. (2 Corinzi 4:4) Spero che a qualcuno possa intanto sorgere il

dubbio su questa misteriosa dottrina, mentre gli si aprono gli occhi e possano cambiare idea al

riguardo.»314 (sottolineature mie)

Al termine di questa nostra analisi le parole di Felice ci lasciano, a dir poco, sbigottiti. Dato che gli

abbiamo già ampiamente risposto nel corso del lavoro, in tutta sincerità lasciamo senza nessun

risentimento un nostro fraterno commento: chi dovrebbe veramente “aprire gli occhi e cambiare

312 DCBNT, 694313 Cfr. La Traduzione del Nuovo Mondo…, 796314 Felice Buon Spirito, LA TRINITÀ…, 513

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idea” non sono certo coloro che credono nella Trinità, ma piuttosto tanti TdG, e non solo, che

vengono sistematicamente lasciati all’oscuro di tutto, e a loro possiamo solo ripetere le parole di

Giovanni «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità

vi farà liberi» (8,31-32).

Altrettanto illuminante è la prefazione del libro di Boismard, dalla quale Felice ha estrapolato la sua

citazione nella conclusione; riportiamo integralmente parte di essa, come sempre con le parti

omesse in rosso

«Questo volume ha per titolo:  All’alba del cristianesimo. La nascita dei dogmi. Per “alba del

cristianesimo”, intendiamo i primi cinquant’anni che seguirono la morte di Cristo, vale a dire,

approssimativamente, gli anni 30-80. Quanto ai “dogmi”, ecco la definizione che ne da il

vocabolario: “Argomento dottrinale stabilito o considerato come una verità fondamentale,

incontestabile (in una religione, una scuola filosofica)”. Nella Chiesa, la formulazione di gran parte

dei dogmi è stata precisata attraverso definizioni conciliari.

Dunque, i dogmi a cui crediamo non sono nati dall’oggi al domani insieme al cristianesimo. Subito

dopo la risurrezione di Cristo, gli apostoli non credevano ancora che Gesù fosse Dio, essi non

avevano alcuna nozione del mistero della Trinità, né supponevano che la morte del loro maestro

avesse un valore redentivo. Questo fatto viene ammesso da quasi tutti i teologi moderni. Si pone

allora una questione inevitabile: in quale momento sono nati i principali dogmi della Chiesa e come

si sono progressivamente formati? E’ a questa duplice domanda che il presente volume cercherà di

dare una risposta. Il nostro intento rimane limitato, nel senso che abbiamo volontariamente ristretto

il nostro studio ai testi del Nuovo Testamento e a quelli dell’Antico Testamento nella misura che

essi li preparano e chiariscono. Abbiamo voluto restare nel periodo da noi chiamato “l’ alba del

cristianesimo”. E’ chiaro che, menzionando per esempio il dogma della Trinità, sarebbe stato

necessario completare i dati neotestamentari ricordando tutte le controversie che hanno preceduto il

concilio di Nicea, nel 325, il quale ha condannò definitivamente l’arianesimo. Tali studi sono statigià fatti e noi non vi aggiungeremo nulla.

Tuttavia, il genere d’indagine che stiamo per intraprendere, comporta un rischio che un certo

numero di esegeti e di teologi, anche con esperienza, non hanno sempre saputo evitare. Più o meno

coscientemente, si è spesso voluto trovare nel Nuovo Testamento il maggior numero di testi

 possibile che, si pensava, potessero confermare la fede attuale della Chiesa. Oppure, per presentare

il rischio da un altro punto di vista, i testi del Nuovo Testamento spesso sono stati interpretati

supponendo, a priori, che i loro autori condividessero la nostra attuale fede. Diamo solo dueesempi. Noi crediamo che Gesù sia Dio, e questo è uno dei dogmi fondamentali della Chiesa. E’

 pensabile che Paolo non avesse già condiviso la nostra fede? No, riteniamo. Dunque, allorchè si

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vede Paolo designare il Cristo come “il Figlio” per eccellenza, si sarà indotti a interpretare questo

titolo nel senso d’una filiazione naturale e quindi divina e non nel senso d’una filiazione adottiva,

come viene supposta dal Salmo 2 al v.7. Allo stesso modo crediamo che Dio, che è unico, sussista

in tre persone: Padre, Figlio e Spirito. E’ il dogma della Trinità. Questo dogma ci sembra talmente

essenziale che difficilmente si può ammettere che Paolo l’abbia ignorato. Di conseguenza, quando

Paolo chiude la sua seconda lettera ai Corinzi, scrivendo. “La grazia del Signore Gesù Cristo,

l’amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi (2 Corizi 13,13), saremo

indotti a scorgervi una “formula trinitaria” a conferma che Paolo credesse come noi, al mistero della

Trinità. Qualcuno ci accuserà di aver minimizzato il senso di un certo numero di testi, mentre,

secondo noi, è vero il contrario: il loro senso è stato spesso maggiorato da molti commentatori o

teologi»315 

E’ palese per tutti che l’affermazione di Boismard citata da Felice, “Subito dopo la risurrezione gli

apostoli non credevano ancora che Gesù fosse Dio”, inserita in tutto il contesto della prefazione

 presenta un significato sostanzialmente diverso da quello che voleva far apparire Felice: il fatto che

“Subito dopo la risurrezione gli apostoli non credevano ancora che Gesù fosse Dio” non significa

che col passar del tempo in seguito non lo avessero ritenuto tale; infatti ciò è poi avvenuto grazie

alle nuove comprensioni e sviluppi della fede cristiana. Questo è appunto ciò che Boismard vuole

dirci.

Ovviamente lo studioso e noto biblista domenicano non ritiene, come Felice, che la dottrina della

Trinità sia una falsa credenza basata incompatibile con la Parola di Dio, ma ci ricorda solo il suo

sviluppo all’interno dell’esperienza e delle riflessione delle prime comunità cristiane.

CONSIDERAZIONI DI ALCUNI STUDIOSI SULLA TRINITÀ

«Se i lettori hanno compreso gli ultimi tre capitoli, saranno in grado di vedere come le affermazioni

nicene si collocano veramente nella direzione del NT… La dichiarazione cristologia di Nicea è

fedele all’orientamento principale della cristologia del NT… Mi sia permesso far osservare il modo

in cui le affermazioni di Nicea e di Calcedonia (che ho analizzato evidenziandone la fedeltà alle

linee neotestamentarie di sviluppo) siano funzionali e, secondo un linguaggio comune,

‘pertinenti’»316 

315 Marie-Emile Boismard, ALL’ALBA DEL CRISTIANESIMO…, 5-7316 Raymond E.Brown, INTRODUZIONE ALLA CRISTOLOGIA…, 142. 146. 148

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«Asse portante di questo “corso di cristologia” è la centralità dell’evento concreto di Gesù di

 Nazaret – crocifisso e risorto – per la comprensione sia dell’identità di Cristo (vero Dio e vero

uomo), sia dell’identità di Dio come essere relazionale (unitrino)»317

«Parlare di Trinità è cercare le parole umane meno imperfette possibili per esprimere la realtà(storicamente incontrata nella rivelazione neotestamentaria) dell’unità nella diversità di Dio Padre,

del Figlio Gesù Cristo Parola eterna del Padre, e dello Spirito santo dono eterno del Padre nel Cristo

Risorto: una realtà ben testimoniata dalla Scrittura, visibile soprattutto nella vicenda pasquale, e

vissuta con intensa partecipazione nella liturgia e nella vita cristiana. – Un’autentica “teologia

trinitaria” è così un tentativo di rispettare i dati del NT, interpretandoli senza svilirne il

contenuto»318 

«La testimonianza neotestamentaria rimane normativa per la successiva penetrazione del volto

cristiano di Dio. Non si può fare a meno di essa, nel senso che non se né può prescindere e che

occorre sempre farvi riferimento per approfondire il suo contenuto inesauribile…

L’approfondimento e la riflessione sul mistero di Dio come Trinità devono essere sempre condotti

all’interno di questa polarità: da una parte, il riferimento normativo alla rivelazione escatologica di

Gesù Cristo che ci è consegnata nel Nuovo Testamento; dall’altra parte, la docilità agli impulsi

dello Spirito che ci fanno continuamente penetrare sempre più a fondo nella ricchezza di questo

mistero»319 

«Quanto più Israele riflette sulla sua esperienza di Dio, tanto più chiaramente riconosce che Dio

rimane un mistero. “Sono Dio e non uomo”, si dice in Osea (11,9). L’alterità assoluta permane

anche laddove Dio si incarna in Gesù Cristo ed entra nella storia umana»320 

IL DISCORSO DI GESÙ INTORNO A DIO

 Nel messaggio del vangelo Gesù si riferisce al Dio che si è rivelato nell’AT servendosi delle più

svariate immagini (Padre premuroso, l’amico soccorrevole, il padrone di casa che si occupa di tutti,

un giudice amorevole…). Rivolgendosi a Dio nel Padre Nostro, Gesù usa comunque l’immagine

 più audace e nello stesso tempo più rivoluzionaria; già nei primi tempi Israele aveva definito Dio

come il proprio Padre (in ebraico abbinu, parola molto solenne, grave e distaccata). Ma Gesù fa un

 passo avanti: non ricorre a questo termine ma a quello aramaico molto più confidenziale e caldo,

abbà: “padre mio”. E questa è una novità assoluta. Non si trovano paralleli nella religione ebraica,

317 Paolo Gamberini, Questo Gesù…, (retro copertina)318 Umberto Proch,  Dizionario dei termini Biblico-Teologici. Linguaggio religioso e linguaggio corrente, ElleDiCi,Leumann 1994, 196319 Piero Coda, Dio Uno e Trino. Rivelazione, esperienza e teologia del Dio dei cristiani, San Paolo, Cinisello Balsamo2000, 153. 155320 Josef Imbach, COME LEGGERE E CAPIRE LA BIBBIA, introduzione esegetica, Città Nuova, Roma 1992, 125

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di questo modo di rivolgersi a Dio. Rispetto e intimità si fondono in questo termine che in italiano

 possiamo rendere con la parola del linguaggio quotidiano e familiare “papà, babbo mio”.

Dire abbà non significa certamente che dobbiamo immaginarci Dio come un essere maschile. Già

nell’AT insieme ai suoi caratteri paterni emersero anche quelli materni: il Dio dell’Alleanza, per 

esempio, si definisce in Osea come colui che nutre il popolo che a sua volta viene definito “figlio”

(Os 11,1-4). In Geremia si legge che Dio chiama il suo popolo con materno atteggiamento, “figlio

caro” e “fanciullo prediletto”, amato con “viscere di misericordia” (Ger 31,20). In questo contesto

emerge una domanda: Gesù parla sempre e solo di “Padre”, e lo “Spirito Santo”?

In effetti lo Spirito santo non trova quasi posto nella predicazione del Gesù terreno. D’altro lato,

 però, tutti gli autori neotestamentari comprendono la vita di Gesù in chiave messianica, come opera

dello Spirito. Essi tuttavia non sviluppano ancora una dottrina nel senso del successivo dogma della

Trinità (“un Dio in tre Persone”), m si limitano a una considerazione e a una presentazione delle

cose nell’ottica della storia della salvezza: Dio si fa visibile nel Figlio… Dopo la morte e la

resurrezione di Gesù, la giovane Chiesa si rende conto che egli è presente in mezzo a lei in modo

nuovo: una presenza che viene sperimentata quale opera dello Spirito di Dio. Questo Spirito è lo

Spirito di Gesù321 

«Con ciò che abbiamo detto finora si sono intravisti i fondamenti della fede nella Trinità… La fede

nella Trinità di Dio, d’altronde, conobbe uno sviluppo della propria espressione. Mentre sonofrequenti formule binitarie… le formule trinitarie esplicite sono rarissime negli scritti del Nuovo

Testamento… documentano la fluidità non della fede ma della sua espressione. Si può ben dire che

l’espressione oscillò fino al decisivo Concilio di Nicea dell’anno 325, ma la fede, che sta sempre al

di là delle parole, è tipica del cristianesimo fin da principio e ne costituisce uno dei capisaldi»322 

«8) La Trinità.

Il NT non conosce il termine “trinità” applicato a Dio. Tuttavia parla spesso distintamente del

Padre, del Figlio di Dio e dello Spirito Santo; vi si trovano pure formule già fisse, a tre membri, eriferite a Dio (cf. soprattutto 1Cor 12,4-6; 2Cor 13,13). La triade Padre, Figlio e Spirito santo

compare in modo esplicito soltanto nella formula battesimale di Mt 29,19. Il cosiddetto comma

 johanneum (1Gv 5,8), che è un aggiunta assai posteriore (VI sec.), contiene la triade Padre, Parola e

Spirito santo. In Ef 4,4ss troviamo un ampliamento della formula triadica, in cui però l’asse portante

è sempre dato dalla triade “l’unico Dio”, “l’unico Signore” e “l’unico Spirito”. Gal 1,4ss non

 presenta una formula vera e propria; però l’esposizione dell’azione salvifica di Dio mette in luce i

321 Cfr Idem, 125-126322 Romano Penna,  Il DNA del Cristianesimo. L’identità cristiana allo stato nascente, San Paolo, Cinisello Balsamo,2004, 192. 195-196

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tre membri della triade nel loro vero rapporto: Dio invia dapprima il Figlio, e poi lo Spirito del

Figlio, per continuare in terra la sua opera.

Abbiamo anche formule a due membri, in cui viene espresso principalmente l’intimo rapporto

intercorrente tra il Padre e il Figlio. “Un solo Dio, il Padre, e un solo Signore, Gesù Cristo” (1Cor 

8,6); “Un solo Dio e un solo mediatore tra Dio e gli uomini” (1Tim 2,5). A tal proposito dobbiamo

menzionare anche Mt 23, 8-10, dove Gesù ricorda ai discepoli che essi hanno un solo maestro (cioè

Gesù) e un solo Padre nei cieli. Tutte queste affermazioni sottolineano, ad un tempo, l’unità e la

diversità tra Dio e Cristo; Dio comunque è sempre sul gradino più alto, principio e fine di ogni

discorso.

Esiste un’intima relazione tra Cristo e lo Spirito santo. In 2Cor 3,17 Paolo arriva a dire che il

Signore è lo Spirito. Nel vangelo di Giovanni lo spirito si presenta con una “certa autonomia

 personale” (Stauffer, ThW II, 108). La sua azione è però strettamente legata al Cristo elevato (“egli

 prenderà del mio”: Gv 16,14). Tra Cristo e lo Spirito intercorre una “relazione reciproca”. Anche in

questo caso, tuttavia, non sono ancora fissati i principi dogmatici. Non deve quindi stupire se in

1Gv 2,1 è detto che Cristo funge da “paraclito” presso il Padre, anche se lo Spirito è chiaramente

concepito come distinto da Cristo e a questi subordinato.

Tutto ciò sta a dimostrare che il cristianesimo primitivo non possedeva ancora una dottrina trinitaria

già pienamente elaborata. A ciò contribuirà la riflessione di fede delle successive generazioni di

credenti»323 

«La pretesa ellenizzazione del cristianesimo 

La decisione conciliare di adoperare il termine “homooùsios” parve ad un certo numero di vescovi

orientali una deplorevole e pericolosa concessione fatta alla cultura greca, una specie di tradimento

della eredità biblica. Infatti, perla prima volta, un termine non presente nella Bibbia faceva il

 proprio ingresso nella redazione di un documento dottrinale della Chiesa. La dottrina cristiana, a

 Nicea, si era forse compromessa con la filosofia ellenica pagana?

Veramente, la nozione ci “consostanzialità”, ossia di identità di sostanza o natura, era già stata

impiegata, prima di Nicea, in Occidente: Tertulliano, scrivendo in latino, parlava già di unità di

sostanza a proposito del Padre e del Figlio; questa terminologia si trovava inoltre in Egitto. I

cristiani viventi nella cultura greco-romana erano portati del tutto spontaneamente a esprimere il

contenuto della loro fede con le parole che conoscevano, che leggevano o che ascoltavano

nell’ambiente. Nessun tradimento, in questo, ma semplicemente un normale fenomeno di

traduzione. Il cristianesimo, d’altra parte, è un continuo lavoro di trasmissione e di traduzione,

cominciato con gli evangelisti, che tradussero in greco le parole di Cristo pronunciate in aramaico…

323 DCBNT, 498-499

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Se i vescovi del concilio di Nicea scelsero il termine “homooùsios” fu perché la crisi tra arianesimo

e ortodossia si era costituita ed espressa nell’ambito della lingua greca, attraverso uno slittamento

semantico disastroso, dovuto agli equivoci di forme principali greche. L’eresia ariana aveva

consistenza reale solo se espressa in greco, solo se messa in rapporto con il pensiero ellenico:

 perciò, per combatterla, bisognava attaccarla sul suo terreno. Era necessaria una risposta energica,

appropriata, adeguata veramente allo scopo: utilizzazione della cultura greca, ma al servizio

dell’ortodossia.

I vescovi del concilio, inoltre, non si comportarono affatto alla leggera, come se li spingesse un

irragionevole desiderio di novità, perché non ci fu nessuna novità effettiva. Essi, in realtà, non

fecero che sanzionare ufficialmente il valore di uno sforzo di lunga durata, iniziato almeno due

secoli prima dai teologi, per fondare una teologia cristiana viva e robusta, chiarendo il dato rivelato

con la riflessione teologica e spesso con l’aiuto della filosofia… Questo è ciò che la Chiesa ha

sempre fatto: servirsi dei dati e delle ricerche della filosofia per esprimere il contenuto della fede,

senza mai tradirlo. La filosofia bene intesa e accuratamente controllata può rendere la teologia più

feconda, ma certo non può in alcun caso sostituirla. Non è la filosofia che fonda la teologia, ma è la

Rivelazione che giudica le filosofie»324 

Riportiamo da una rubrica di teologia on-line, “Il teologo risponde”, la domanda di un lettore e la

conseguente risposta dell’esperto; ci sembra chiara ed esaustiva:

«La Trinità: tre persone uguali e distinte

Perché diciamo, parlando della Santissima Trinità, che il Figlio procede dal Padre e lo Spirito Santo

 procede dal Padre e dal Figlio? Non sono forse uguali le tre persone divine? O è gerarchico, come la

Chiesa, anche Dio in se stesso?

Carmine Caiazzo

Risponde padre Athos Turchi, docente di filosofia

Eliminiamo subito la terza domanda: in Dio non c’è gerarchia perché non c’è subordinazione di

ruoli come invece c’è nella chiesa. La Trinità infatti è un solo e unico Dio, e non tre individui (Gv

10,30). Nella seconda domanda il lettore ha dimenticato di aggiungere a uguali «e distinte»,

altrimenti se fossero solo uguali non sarebbero 3 ma una sola entità. Il «distinto» giustifica il

«procedere da…».

E veniamo al nocciolo del problema.

324 AA.VV., 100 PUNTI CALDI della storia della Chiesa, Paoline, Roma 1982, 65-67

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Il tema è di quelli sensibili perciò precisiamo i termini. Del Figlio non è appropriato (anche se forse

non è sbagliato) usare il termine «procede» perché il credo ci fa dire: «generato». Dunque il Figlio è

generato e lo Spirito procede. Questo lo riprendiamo da Gesù che si considera Figlio (Gv 5,18),

mentre dello Spirito dice che è inviato sia dal Padre ( Mt 10.20) che da lui stesso (Gv 16,7): è lo

Spirito di entrambi.

E cerchiamo di capire. Dio è unico e unica è la sostanza (natura), ma questa - secondo il nostro

credo - non è qualcosa di monolitico, bensì di molteplice-dinamico, ossia di 3 relazioni che noi

chiamiamo persone divine. Dio è Padre, Figlio e Spirito. Ora in che rapporto stanno tra loro? Dato

un padre esso sarà «relativo» a un figlio, e il rapporto è di «generazione» che conclude alla stessa

natura, sennò se il figlio fosse stato di diversa natura avremmo avuto un atto di creazione. Il Figlio

essendo della stessa natura del Padre è anch’esso Dio a pieno titolo, altrimenti sarebbe un’altra

cosa, e pur avendo la medesima natura non si isola dal Padre, ma col Padre e lo Spirito costituisce

l’unica natura di Dio.

Dice S. Agostino nel De trinitate (V,5) che la distinzione (personale e non individuale) tra Padre e

Figlio è dovuta al fatto che il Padre genera il Figlio eternamente e viceversa il Figlio è eternamente

generato dal padre. Per questo mai si identificano e mai si diversificano, ma stanno eternamente tra

loro distinti in una interminabile generazione.

Più complicato è parlare dello Spirito. Mi rifaccio sempre a S. Agostino. Questi dice che il termine

Spirito si comprende meglio se lo intendiamo come «dono», concetto usato da Gesù (Gv cc.15-16).

Lo Spirito sarebbe il dono di Dio che fa partecipi altri della comunione divina. Per cui in quanto

dono lo Spirito è «una specie di ineffabile comunione tra il Padre e il Figlio» (V,11).

Esemplifichiamo: io parlo con un amico di teologia, e estendiamo e facciamo partecipe un terzo del

discorso, gli facciamo «dono» di un tema teologico che procede da me e dall’amico. Lo spirito

insomma nel concetto di Agostino è la comunione, l’amore tra Padre e Figlio che essi

reciprocamente si fanno, ma che costituisce una unica relazione - lo Spirito -, e da essi si distingue

come «dono» dell’uno verso l’altro. E siccome è di entrambi dono reciproco, da essi «procede», sia

come ipostasi (persona) divina, sia come Spirito partecipato agli uomini.

Gesù - per completezza della terza domanda - parla del Padre come più grande ( Gv 14,28) non

 perché sia anteriore o diverso o più onnipotente, ma perché relativamente alla generazione e

 processione il Padre è detto prima del Figlio e dello Spirito. Solo logicamente anteriore per il

linguaggio umano. Dunque il Figlio non procede, ma è «generato e non creato» come dice il credo,

e lo Spirito «procede» dal Padre e dal Figlio come loro intima cor-relazione»325

325 www.novena.it/il punto rubriche/il teologo risponde

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«TRINITÁ. – I. Questo termine nel linguaggio cristiano e conforme alla teologia cattolica, riferendosi

cioè a Dio uno nell’essenza (Essere assoluto, natura, sostanza) e trino nelle Persone (Essere relativo,

Relazioni sussistenti, Proprietà ipostatiche), designa il mistero più augusto e fondamentale del

cristianesimo, quello che lo differenzia da tutte le altre religioni, anche monoteistiche… 2. Il

mistero della Trinità di Dio fu ignorato da tutta la gentilità, né può trovare nelle mitologie pagane

riscontro o traccia di vera somiglianza, sebbene anche in queste alcuni osservatori superficiali,

apologisti esagerati o filosofi tradizionalisti, quali lo Chateaubriand, il Lamennais, il Bonnetty,

abbiano preteso di scoprire indizi di una primitiva rivelazione della Trinità… Ma questa è un ipotesi

insussistente, che trascura affatto l’elemento essenziale della questione, il carattere proprio della

Trinità cristiana, e le sue relazioni con la fede monoteistica di Israele. Che se anche il popolo

d’Israele non ebbe la rivelazione esplicita del mistero, ne venne tuttavia ricevendo successivamente

qualche lume o accenno, almeno di ombra o figura della realtà… come quelle di Dio padre, dello

Spirito, della Sapienza… preesistente a tutte le cose create, che appare sussistente come quale

ipostasi divina. E se dai Giudei anteriori alla rivelazione cristiana venne identificata con la Legge,

da S. Paolo (Colossesi, I, 15; e più di proposito in  Ebrei), dai primi apologisti della fede contro i

gentili e i Giudei, e dai difensori dell’ortodossia contro gli eretici, massime nella controversia

ariana, fu applicata al Verbo, Figlio di Dio, coeterno e consustanziale al Padre.

 Né questa dottrina si può confondere con la teoria di Filone di Alessandria circa il logos, da lui

concepito come un intermediario fra Dio egli uomini, destinato a riempire la distanza infinita che li

separa,ma “non increato come Dio, né creato come noi”; un essere mitico, dunque, meramente

subalterno e oggetto di speculazione filosofica, non di fede religiosa,non persona viva ed operante,

come Cristo Gesù, Verbo di Dio fatto uomo, e Salvatore del genere umano, quale ci è rappresentato,

 per es., nel prologo del IV Vangelo. Che se alcuni cristiani, massime alessandrini, e anche qualche

dottore come Origene, non si guardarono sempre da infiltrazioni della filosofia di Filone, si che

queste diedero poi fomento all’arianesimo sorto appunto in Alessandria, ciò fu per un abbaglio di

 pochi e per lo più involontario, siccome dovuto all’incertezza dei termini non ancora fissati, e

certamente opposto alla più schietta tradizione; giacchè gli scrittori apostolici prima, e poi i Padri

susseguenti sorti a impugnare l’arianesimo, non discesero mai a compromessi dottrinali, anche

quando dal linguaggio corrente, ispirato da quella filosofia umana, ritrassero qualche termine,

metafora o nozione da esprimere o chiarire le verità della rivelazione cristiana.

Tuttavia anche questa rivelazione, succeduta alla lenta preparazione giudaica, fu graduale e

 progressiva; e ciò, col successivo svolgersi della cognizione e penetrazione maggiore della verità

dogmatica, da luogo alla storia del dogma, cominciando dalle prime origini cristiane»326 

326  Enciclopedia Italiana, Giovanni Treccani, Rizzoli, Milano 1937, (TOPO – VED), 351

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ESEMPLIFICAZIONI DI CITAZIONI FALSIFICATE

«Nel suo Dizionario Biblico il gesuita John L. McKenzie dice: “La Trinità delle persone all’interno

dell’unità di natura è definita in termini di ‘persona’ e ‘natura’, che sono termini filosofici greci;essi infatti non appaiono nella Bibbia. Le definizioni trinitarie sorsero come risultato di lunghe

controversie nelle quali questi termini, e altri come ‘essenza’ e ‘sostanza’, furono erroneamente

applicati a Dio da alcuni teologi”. – Cittadella Editrice, 1973, trad. di  Filippo Gentiloni Silveri, p.

1009»327

Da questa citazione il malcapitato lettore (soprattutto se è TdG) sarà portato a credere che perfino il

gesuita Mc Kenzie non sarebbe d’accordo con la dottrina trinitaria dal momento che egli

• sembrerebbe non approvare riguardo a Dio l’uso di termini (persona e natura) assenti dalla

Bibbia in quanto sono termini filosofici greci (e sappiamo bene come il TdG consideri le

filosofie umane il prodotto di uomini imperfetti, influenzati dagli spiriti demoniaci).328 

• sembra ammettere che proprio la dottrina sulla Trinità sia “nata” come il “risultato di

lunghe controversie” (il McKenzie invece afferma che, non la dottrina, ma le formule di

definizione, cioè la formulazione, la presentazione precisa di quella dottrina, furono

 precedute da lunghe controversie)

• sembrerebbe ammettere - soprattutto - che quei termini, persone e natura, “erroneamente

applicati a Dio” non andavano assolutamente d’accordo con la realtà di Dio, non lo

riguardavano e con ciò non dovevano essere usati.

Chi ha già sperimentato l’inaffidabilità delle citazioni fatte dal CD riscontrerà che il pensiero

dell’autore non è citato per intero ma è stato interrotto in un punto ben studiato, adatto a suscitare

 proprio l’impressione di incompatibilità tra quei termini e Dio. Ecco infatti la citazione del

dizionario del McKenzie nella sua completezza con le parti in rosso omesse da Ragioniamo:

«La Trinità delle persone all’interno dell’unità di natura è definita in termini di ‘persona’ e ‘natura’,

che sono termini filosofici greci; essi infatti non appaiono nella Bibbia. Le definizioni trinitarie

sorsero come risultato di lunghe controversie nelle quali questi termini, e altri come ‘essenza’ e

‘sostanza’, furono erroneamente applicati a Dio da alcuni teologi. L’affermazione definitiva di

trinità di persone e unità di natura fu dichiarata dalla chiesa come l’unico modo corretto in cui si

 potessero usare questi termini»329 

327  Ragioniamo…, 1989, 404328  Idem, 52 ss329 John L. McKenzie, Dizionario Biblico, Bruno Maggioni (a cura di), Cittadella 1973, 1009

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Ora si che il contesto è completo e il pensiero è chiaro: il McKenzie vuol dire che c’è un uso

scorretto ed uno corretto nell’applicare a Dio quei termini; l’uso scorretto attuato da “alcuni teologi”

ha provocato le “lunghe controversie”. Queste sono finite quando la Chiesa ha indicato “l’unico

modo corretto” di applicarli, che consiste cioè nell’abbinare “trinità” con “persone”, e “unità” con

“natura”.

CONCLUSIONE

«Conoscendo queste cose, che farai? E’ ovvio che il vero Dio che è il “Dio di verità” e che odia le

menzogne, non guarderà con favore quelli che aderiscono alle organizzazioni che insegnano

falsità. (Salmo 31:5; Proverbi 6:16-19; Rivelazione 21:8) E, realmente, vorresti ancora

associarti con una religione che con te non è stata sincera?»330

ABBRAVIAZIONI E SIGLE

 DBMk  Dizionario Biblico Mckenzie

 DBM  Dizionario Biblico Miegge

 DENT  Dizionario Etimologico del Nuovo Testamento

 DNT  Dizionario del Nuovo Testamento

 DBS  Dizionario Biblico di Spadafora

 DBH  Dizionario Biblico Haag

 DTBT  Dizionario dei Termini Biblico-Teologici

 NDTB  Nuovo Dizionario di Teologia Biblica

 DCBNT  Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento

 LDTE  Lexicon Dizionario Teologico Enciclopedico

 PDB Piccolo Dizionario Biblico

GCB Grande Commentario Biblico

 RTB Rivista di Teologia Biblica

 LTB Lessico dei termini biblici

GLNT  Grande Lessico del Nuovo Testamento di Kittel

CBL Commento alla Bibbia Liturgica

330  E’questa vita tutto quello che c’è?, Brooklyn 1975, 46

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VERSIONI BIBLICHE UTILIZZATE

 NA Fulvio Nardoni (c)

 RL Riveduta – Luzzi (p)TILC  Interconfessionale in lingua corrente

 RI  La Sacra Bibbia Ricciotti (c)

 ND  Nuova Diodati (p)

GCC La Bibbia Gesuiti Civiltà Cattolica (c)

 BLM  La Bibbia in lingua moderna (p)

 NR  Nuova Riveduta (p)

GA La Sacra Bibbia Salvatore Garofano (3 volumi) (c)CON  Bibbia Concordata

 NVP   Nuovissima Versione dai testi originali – Paoline (c)

 BG La Bibbia di Gerusalemme (c)

CEI  Conferenza Episcopale Italiana (c)

 PIB Pontificio Istituto Biblico (c)

 LB The Living Bible (p)

 NIV  The Niv Study Bible (c) TOB Traduction Oecomenique de la Bible

GL The Greatest is Love (p)

TESTI CRITICI

 KIT  The Kingdom Interlinear Translation of the Greek Scriptures

 IBE   Nuovo Testamento Interlineare di Piergiorgio Beretta – testo NVP

 NAT   Nestle-Aland Nuovo Testamento Greco-Italiano di B. Corsani e C. Buzzetti

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