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A due anni dal referendum Disconoscimento e tentativi di cancellazione dell'esito referendario Il decreto di ferragosto tenta l'aggiramento del referendum (13 Agosto 2011) Il 13 Agosto 2011 il Governo ha approvato il decreto legge 138/2011 (cd. decreto di Ferragosto) convertito con modificazioni dalla legge n. 148/2011, il cui art. 4 era rubricato “Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall'Unione europea”. Tramite tale articolo sostanzialmente veniva riproposta la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica contenuta nell'art. 23-bis abrogata con i referendum del 12-13 giugno 2011 pur escludendo il servizio idrico. Va inoltre ricordato che l'art. 4 aveva subito numerose modifiche, in particolare per effetto dell'art. 9, co. 2, lett. n) l. n. 183/2011 (cd. legge di stabilità 2012) e dell'art. 25 d.l. n. 1/2012 convertito con modificazioni dall'art. 1, co. 1 l. n. 27/2012, nonché dell'art. 53, co. 1, lett. b) d.l. n. 83/2012, in fase di conversione. Le modifiche sopravvenute avevano limitato ulteriormente le ipotesi di affidamento dei servizi pubblici locali comprimendo ancor di più le sfere di competenza regionale in materia di SPL di rilevanza economica. Pertanto diverse Regioni hanno promosso ricorsi di fronte alla Corte costituzionale chiedendo di definirne l'illegittimità costituzionale. La sentenza 199/2012 della Corte Costituzionale (20 Luglio 2012) Il 20 Luglio 2012 la Corte costituzionale ha depositato la sentenza 199/2012 relativa a tali ricorsi dichiarando incostituzionale l'art. 4 e le successive modifiche per palese violazione dell'art. 75 della Costituzione con il quale si disciplina l'istituto referendario. La Consulta ha riconosciuto che “l’impugnato art. 4, il quale nonostante sia intitolato «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea», detta una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che non solo è contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell’abrogato art. 23-bis”. […] Poi prosegue al punto 5.2.2 del considerato in diritto “La disposizione impugnata viola, quindi, il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’art. 75 Cost., secondo quanto già riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale.”. Pertanto, a seguito di tale sentenza si può sostenere che a livello normativo in materia di gestione dei servizi pubblici locali le lancette dell'orologio siano tornate indietro al 21 luglio 2011 quando sono entrati in vigore i decreti del Presidente della Repubblica n.113 e n. 116 i quali hanno formalmente abrogato le norme oggetto dei referendum. Dunque ad oggi per chiarire il quadro normativo sui SPL (in particolare servizio idrico integrato, gestione dei rifiuti e trasporto pubblico locale) è opportuno richiamare quanto la Corte costituzionale ha sancito nella sentenza di ammissibilità del 1° quesito (Sentenza n. 24/2011 relativa al referendum n. 149 “Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione”): “Nel caso in esame, all’abrogazione dell’art. 23-bis, da un lato, non conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo (reviviscenza, del resto, costantemente esclusa in simili ipotesi sia dalla giurisprudenza di questa Corte sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997 –, sia da quella della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato); dall’altro, conseguirebbe l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria (come si è visto, meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum) relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica.” […] “appare evidente che l’obiettiva ratio del quesito n. 1 va ravvisata, come sopra rilevato, nell’intento di escludere l’applicazione delle norme, contenute nell’art. 23-bis, che limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico).” In conclusione per i suddetti servizi pubblici locali la legislazione vigente è quella comunitaria, mentre per gli altri, ossia quelli esclusi dall'art. 23 bis vale la disciplina di settore mai toccata dal referendum. Tentativo di assoggettamento al patto di stabilità interno delle aziende speciali e delle S.p.A. in house

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Gli interventi legislativi, le sentenze amministrative "post referendum" e i processi di ripubblicizzazione in atto

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A due anni dal referendum

Disconoscimento e tentativi di cancellazione dell'esito referendario

Il decreto di ferragosto tenta l'aggiramento del referendum (13 Agosto 2011)Il 13 Agosto 2011 il Governo ha approvato il decreto legge 138/2011 (cd. decreto di Ferragosto) convertito con modificazioni dalla legge n. 148/2011, il cui art. 4 era rubricato “Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall'Unione europea”. Tramite tale articolo sostanzialmente veniva riproposta la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica contenuta nell'art. 23-bis abrogata con i referendum del 12-13 giugno 2011 pur escludendo il servizio idrico. Va inoltre ricordato che l'art. 4 aveva subito numerose modifiche, in particolare per effetto dell'art. 9, co. 2, lett. n) l. n. 183/2011 (cd. legge di stabilità 2012) e dell'art. 25 d.l. n. 1/2012 convertito con modificazioni dall'art. 1, co. 1 l. n. 27/2012, nonché dell'art. 53, co. 1, lett. b) d.l. n. 83/2012, in fase di conversione. Le modifiche sopravvenute avevano limitato ulteriormente le ipotesi di affidamento dei servizi pubblici locali comprimendo ancor di più le sfere di competenza regionale in materia di SPL di rilevanza economica. Pertanto diverse Regioni hanno promosso ricorsi di fronte alla Corte costituzionale chiedendo di definirne l'illegittimità costituzionale.

La sentenza 199/2012 della Corte Costituzionale (20 Luglio 2012)Il 20 Luglio 2012 la Corte costituzionale ha depositato la sentenza 199/2012 relativa a tali ricorsi dichiarando incostituzionale l'art. 4 e le successive modifiche per palese violazione dell'art. 75 della Costituzione con il quale si disciplina l'istituto referendario. La Consulta ha riconosciuto che “l’impugnato art. 4, il quale nonostante sia intitolato «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall’Unione europea», detta una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che non solo è contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell’abrogato art. 23-bis”. […] Poi prosegue al punto 5.2.2 del considerato in diritto “La disposizione impugnata viola, quindi, il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’art. 75 Cost., secondo quanto già riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale.”. Pertanto, a seguito di tale sentenza si può sostenere che a livello normativo in materia di gestione dei servizi pubblici locali le lancette dell'orologio siano tornate indietro al 21 luglio 2011 quando sono entrati in vigore i decreti del Presidente della Repubblica n.113 e n. 116 i quali hanno formalmente abrogato le norme oggetto dei referendum. Dunque ad oggi per chiarire il quadro normativo sui SPL (in particolare servizio idrico integrato, gestione dei rifiuti e trasporto pubblico locale) è opportuno richiamare quanto la Corte costituzionale ha sancito nella sentenza di ammissibilità del 1° quesito (Sentenza n. 24/2011 relativa al referendum n. 149 “Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione”): “Nel caso in esame, all’abrogazione dell’art. 23-bis, da un lato, non conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate da tale articolo (reviviscenza, del resto, costantemente esclusa in simili ipotesi sia dalla giurisprudenza di questa Corte − sentenze n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997 –, sia da quella della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato); dall’altro, conseguirebbe l’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria (come si è visto, meno restrittiva rispetto a quella oggetto di referendum) relativa alle regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento della gestione di servizi pubblici di rilevanza economica.” […] “appare evidente che l’obiettiva ratio del quesito n. 1 va ravvisata, come sopra rilevato, nell’intento di escludere l’applicazione delle norme, contenute nell’art. 23-bis, che limitano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (ivi compreso il servizio idrico).” In conclusione per i suddetti servizi pubblici locali la legislazione vigente è quella comunitaria, mentre per gli altri, ossia quelli esclusi dall'art. 23 bis vale la disciplina di settore mai toccata dal referendum.

Tentativo di assoggettamento al patto di stabilità interno delle aziende speciali e delle S.p.A. in house

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A seguito della già citata sentenza 199/2012 della Corte costituzionale è possibile sostenere un'interpretazione della complessa normativa di risulta, in base alla quale sarebbero escluse dal patto di stabilità interno le società in house nonché le aziende speciali affidatarie dirette della gestione di servizi pubblici locali. Quest'interpretazione si fonda sul seguente ragionamento. L'art. 4 prevedeva l'assoggettamento al patto di stabilità interno delle società cosiddette "in house". La dichiarazione d'illegittimità di tale articolo ne fa dunque decadere gli effetti anche in questo ambito. Analogamente, le aziende speciali erano state assoggettate al patto di stabilità interno sulla base dell'art. 25, co. 2, lett. a) d.l. n. 1/2012 convertito con modificazioni dalla l. n. 27/2012. Ma anche in questo caso è possibile sostenere che il patto di stabilità non si applica a società in house ed aziende speciali affidatarie dirette di servizi pubblici locali, perchè ad oggi manca il provvedimento attuativo di tale dettame non essendo stato ancora emanato il decreto ministeriale che l'art. 25 del suddetto decreto disponeva fosse approvato entro ottobre 2012 tramite il quale dovevano essere individuate le modalità di assoggettamento al patto di stabilità.E' evidente che sottoporre le Aziende speciali al Patto di stabilità significa, in primo luogo, estendere anche ad esse ciò che si è verificato per gli Enti Locali, e cioè costruire una condizione per cui esse non saranno più in condizioni di effettuare investimenti. Non ci vuole molto per vedere che questa diventerà la strada per favorire i processi di privatizzazione: ci toccherà sentire con ancor più forza il refrain, che i nostri detrattori usano già abbondantemente adesso, che “siccome il servizio idrico ha necessità di molti investimenti, questi li può garantire solo l’ingresso del privato”.

L'intervento dell'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas (28 Dicembre 2012)Per quanto riguarda le tematiche relative al secondo quesito referendario l'articolo 21, commi 13 e 19 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, il cosiddetto "Salva Italia", ha trasferito all'Autorità per l'Energia e il Gas "le funzioni di regolazione e di controllo dei servizi idrici" con i medesimi poteri attribuiti dalla legge n. 481/1995, che prescrive che essa debba perseguire, nello svolgimento delle proprie funzioni, "la finalità di garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza (...) nonché adeguati livelli di qualità nei servizi (...) assicurandone la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull'intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela di utenti e consumatori." .Il D.P.C.M. 20 luglio 2012 in attuazione del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 ribadisce e specifica, all'articolo 2, comma 1, le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici, trasferiti all'Autorità per l'Energia Eettrica e il Gas (AEEG), tra le quali assume un particolare rilievo come finalità: la "tutela dei diritti e degli interessi degli utenti". L’art. 2, comma 1, del medesimo D.P.C.M. 20 luglio 2012 precisa inoltre che “le funzioni di regolazione e controllo dei servizi idrici trasferite all'Autorità per l'energia elettrica e il gas sono da essa esercitate con i poteri e nel quadro dei principi, delle finalità e delle attribuzioni stabiliti dalla legge 14 novembre 1995, n. 481, in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e valutazione, nel rispetto degli indirizzi di politica generale formulati dal Parlamento e dal Governo”.Nei mesi di maggio e luglio l'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas ha messo in consultazione due documenti: il primo (204/2012) in cui, in generale, si delineava la tariffa del servizio idrico e il secondo (290/2012) in cui si è definito il Metodo Tariffario Transitorio per gli anni 2012 e 2013. A fine novembre l'Ufficio Speciale Tariffe e Qualità dei Servizi Idrici ha predisposto una serie di modifiche da apportare a tale Metodo, il quale sarà applicato ai servizi idrici ma solo alle gestioni che ad oggi applicano il Metodo Normalizzato e non a quelle CIPE. Per il 2014, poi, s'intende giungere alla tariffa definitiva. L'AEEG, pertanto, entro il 31/12/2012 intende varare il Metodo Tariffario Transitorio del servizio idrico integrato. Il 28 Dicembre 2012 il Collegio dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ha approvato, tra le altre, la delibera 585/2012 con cui è stato definito il Metodo Tariffario Transitorio (MTT) per la determinazione delle tariffe negli anni 2012 e 2013, esteso poi anche alle gestioni ex-CIPE (MTC) tramite la delibera n. 88 del 28 febbraio 2013. Il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua ha espresso un giudizio assolutamente negativo su quanto prodotto dall'AEEG e su cui, insieme a Federconsumatori, ha promosso un ricorso al Tar Lombardia. Giudizio che si basa sui seguenti principi:

• mancato rispetto dell'esito del II° referendum e dunque mancata eliminazione dalla tariffa di qualsiasi voce riconducibile alla remunerazione del capitale investito. Al contrario si stanno facendo rientrare dalla finestra i profitti garantiti per i gestori sotto la denominazione di “costo della risorsa finanziaria”. Il nuovo metodo predisposto dall’Autorità, riproponendo la copertura tramite tariffa, e

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quindi il riconoscimento ai gestori, di una percentuale standard del capitale investito, sostanzialmente non sta facendo altro che reintrodurre lo stesso meccanismo della remunerazione del capitale investito. Infatti va ulteriormente esplicitato che gli oneri finanziari sono interessi pagati sul capitale preso a prestito e nulla hanno a che vedere con la definizione che l'Authority fornisce nei suoi documenti che è di fatto una forma di remunerazione del capitale. Inoltre, assai forzato appare il tentativo dell’Autorità di far passare la remunerazione del rischio d’impresa, ossia margine di “profitto” puro, come una voce di “costo” della gestione del servizio idrico e quindi anche in questo caso l’Autorità, riproponendo anche se in modo diverso la copertura del profitto d’impresa, “elude” il risultato del referendum poiché la maggioranza assoluta delle italiane e degli italiani ha sancito esattamente l’impossibilità di remunerare in tariffa il rischio d’impresa al di là della sua misura, in quanto ha sancito il divieto di continuare a fare profitti sull’acqua;

• illegittimità della retroattività della tariffa. Infatti sicuramente per il 2012 e perlomeno per gran parte del 2013 le tariffe che verranno determinate lo saranno in maniera retroattiva in violazione del principio di irretroattività degli atti amministrativi. In questo caso, ci troveremmo di fronte ad una sorta di retroattività del nuovo sistema tariffario, come se fosse entrato in vigore dal luglio 2011, retroattività espressamente censurata dal Consiglio di Stato con varie sentenze (da ultime, vedi sentenza Consiglio di Stato, sezione VI, n. 4301 del 9 settembre 2008 e sentenza Consiglio di Stato, sezione V, n. 3920 del 30 giugno 2011) e dallo stesso Co.Vi.Ri (vedi delibera n. 7 del 1 dicembre 2008). Del resto, come già evidenziato, la Corte Costituzionale nel suo giudizio di ammissibilità del referendum ha sancito che la normativa tariffaria residua, senza la remunerazione del capitale, è immediatamente applicabile. Quindi non esiste e non è mai esistito un “vuoto normativo” da colmare;

• arretramento su posizioni più favorevoli ai gestori e conseguente peggioramento del quadro regolatorio in materia di tariffa idrica sia rispetto all'attuale Metodo Normalizzato, sia rispetto al Metodo Tariffario Transitorio, consentendo un maggior margine di discrezionalità alle AATO (o alle istituzioni che le sostituiranno) e ai soggetti gestori nella determinazione delle tariffe

In conclusione anche su tale questione il nuovo metodo tariffario appare largamente e arbitrariamente più favorevole ai gestori del Metodo Normalizzato.

• il Metodo Tariffario Transitorio così come definito dall'AEEG condurrà ad una sostanziale sanatoria di tutte le illegittimità, inadempienze e irregolarità attualmente registrate in diverse gestioni. Infatti, tale metodo prende a base di determinazione delle tariffe 2012 e 2013 quelle che erano le tariffe definite dal Piano d'Ambito, ovvero quelle basate sul presupposto di una gestione impeccabile e dell'effettiva realizzazione degli investimenti previsti negli anni successivi alla redazione del piano d'ambito o della sua ultima revisione. Ovvero non tiene in alcun conto la qualità del servizio reso e gli investimenti pregressi effettivamente effettuati. E' in questo che siamo in presenza di una sanatoria di fatto del pregresso.

La conseguenza più diretta dell'applicazione del Metodo Tariffario Transitorio elaborato dall'AEEG sulle tariffe del servizio idrico sarà un aumento molto rilevante che in media ammonterà ad un 13-14%. I primi risultati relativi all'impatto del nuovo metodo sono stati raccolti in uno studio dell'ANEA (Associazione Nazionale Autorità e Enti di Ambito): gli aumenti tariffari medi, su un campione che riguarda 61 gestori, sono del 13,7%, con valori fra il 22 e il 46,8% per una decina di gestori, mentre solo 17 gestori, resta sotto la soglia del 6,5% di aumento prevista dal vecchio metodo tariffario normalizzato. A fronte di tali dati e nonostante sia tuttora vigente il principio del “full cost recovery” per cui la tariffa dovrebbe coprire integralmente i costi del servizio, Federutility continua a richiedere al Governo di trovare una modalità di finanziamento degli investimenti necessari (circa 2 mld di €/anno) indicando come soluzioni preferibili le tasse e finanziamenti pubblici. In questo modo appare evidente che queste soluzioni non facciano altro che rendere possibili profitti più elevati per gli stessi gestori essendo in gran parte sgravati dall'onere di dover sopperire agli investimenti. Tale richiesta sta diventando sempre più pressante visto che, sulla base del nuovo metodo tariffario, sia perché si cambia la modalità di ammortamento degli investimenti sia perché la remunerazione del capitale avviene sugli investimenti realizzati e non più su quelli previsti, di fatto i soggetti gestori, che si muovono in una logica di massimizzazione dei profitti, si stanno predisponendo a diminuire ulteriormente la realizzazione degli investimenti.

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Il parere del Consiglio di Stato sull'eliminazione della remunerazione del capitale investito (25 Gennaio 2013)

Il parere n. 267 del Consiglio di Stato del 25 gennaio 2013 fa seguito all'adunanza della Seconda Sezione del 19 dicembre 2012 e riguarda il quesito che l'AEEG gli aveva rivolto il 23 ottobre 2012 con cui veniva richiesto:

1. chiarire se le funzioni regolatorie in materia di servizio idrico assegnate all'Autorità (art. 21, comma 19, d.l. n. 201/11) potessero estendersi anche al periodo precedente al trasferimento alla stessa di suddette funzioni e quindi tra il 21/07/2011 e il 31/12/2011;

2. chiarire se per effetto dell'abrogazione referendaria della parte relativa all"adeguata remunerazione del capitale investito" del comma 1 art. 154 D.lgs 152/2006 debba ritenersi parzialmente abrogato in modo implicito anche il D.M. 1° agosto 1996 nella parte in cui prevede la remunerazione del capitale investito.

Dunque, il C.d.S. sintetizza così la richiesta dell'AEEG "Con il quesito in oggetto l'Autorità chiede quindi se già a far data dal 21 luglio 2011 - ossia dalla data in cui ha avuto effetto l'intervenuta abrogazione referendaria [...]- debba attendere all'adeguamento della componente remunerativa degli investimenti riconosciuti ai gestori, con espunzione dalla tariffa, quindi, [...], della parte relativa all"adeguata remunerazione del capitale investito".Per poter rispondere in modo adeguato a tale quesito il C.d.S. ha ritenuto necessario ricostruire il quadro normativo di riferimento e quindi definire la portata dell'effetto abrogante prodottosi con il referendum. In questo senso per i giudici è necessario chiarire in che termini l’intervenuta abrogazione referendaria abbia inciso sul D.M. 1° agosto 1996.A riguardo nel parere si richiama la dottrina giuridica secondo cui l’abrogazione referendaria può produrre effetti anche su quelle discipline legislative che, ancorché non oggetto del quesito, siano tuttavia strettamente connesse ad esso in quanto recanti norme contrastanti con la volontà abrogativa popolare. In particolare si precisa, che più che di un'abrogazione tacita, si tratta di una sopravvenuta inapplicabilità o inoperatività di disposizioni legislative collegate a quelle oggetto del quesito, ossia il D.M. 01/08/1996. Inoltre viene ribadito che ciò è in linea con quanto sostenuto dalla Corte costituzionale (sentenza n. 26/2011) nel dichiarare ammissibile il quesito referendario.Più in generale il parere è molto limpido e dà pienamente ragione alle tesi da noi sostenute all'indomani della vittoria referendaria, e cioè che l'abrogazione del 7% aveva effetto immediato a partire dal 21 luglio 2011, data di promulgazione dell'esito referendario. Il parere è molto chiaro, in particolare dove, a pag. 9, si dice che "l'applicazione fatta dello stesso decreto 1° agosto 1996 a far data dal giorno (21 luglio 2011) in cui il referendum dl 12 e 13 giugno ha prodotto effetti non sia stata coerente...con il quadro normativo risultante dalla consultazione referendaria". E la motivazione lo è altrettanto, e cioè (pag. 10) che "al referendum abrogativo è stata riconosciuta una sorta di valenza espansiva rispetto alle disposizioni legislative non coinvolte in maniera espressa dal quesito referendario, ma comunque incompatibili con la volontà manifestata dagli elettori".Nè costituisce una limitazione il fatto che il Consiglio di Stato (pag. 10) ragioni sul periodo luglio 2011- dicembre 2011, dicendo che "il DM 1° agosto 1996... ha avuto applicazione nel periodo compreso tra il 21 luglio e il 31 dicembre 2011 in contrasto con gli effetti del referendum del 12 e 13 giugno del 2011", perchè il parere del Consiglio di Stato deriva da una richiesta dell' Authority dell'Energia Elettrica e del Gas che chiedeva di pronunciarsi solo sul periodo luglio 2011-dicembre 2011.Interessante anche la chiusura del parere in cui il C.d.S. sancisce che "Di tanto l’Autorità - [...] - terrà conto, nell’esercizio dei poteri riconosciuti alla stessa e nello svolgimento dei conseguenti ed autonomi apprezzamenti tecnici, in sede di adozione dei nuovi provvedimenti tariffari."Il 31 gennaio 2013 l'AEEG ha adottato la delibera 38/2013 dal titolo "Avvio di procedimento per la restituzione agli utenti finali della componente tariffaria del servizio idrico integrato relativa alla remunerazione del capitale" tramite la quale, a suo modo, ha inteso recepire il suddetto parere del Consiglio di Stato. In effetti nella delibera l'Autorità segnala "il proprio intendimento di operare, con riferimento al lasso temporale 21 luglio 2011 – 31 dicembre 2011, in attuazione degli esiti referendari, nel rispetto del full cost recovery, il recupero della quota parte della remunerazione del capitale investito indebitamente versata dagli utenti finali [...]".D'altra parte l'Autorità con la delibera 38/2013 avvia un procedimento, della durata di 4 mesi dalla data di pubblicazione della delibera stessa, per la determinazione dei criteri attraverso cui gli Enti d’Ambito dovranno individuare gli importi, indebitamente versati da ciascun utente a titolo di remunerazione del capitale investito in

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relazione al periodo 21 luglio 2011 – 31 dicembre 2011, nonché delle modalità e degli strumenti con i quali assicurare la restituzione agli utenti finali dei suddetti importi. Inoltre nella delibera più volte si fa riferimento al documento di consultazione 290/2012/R/IDR e al Metodo Tariffario Transitorio in cui, come è noto, l'Autorità ha reinserito sottto mentite spoglie la remunerazione del capitale investito per una percentuale pari al 6,4%.Il problema è che l'Autorità, nell’individuazione della quota parte della tariffa da restituire agli utenti finali, preannuncia di voler adottare i criteri metodologici già illustrati e sottoposti a consultazione nell’ambito del documento per la consultazione 290/2012/R/IDR. Su tali criteri come Forum dei Movimenti per l'Acqua avevamo espresso, già a suo tempo, un giudizio assolutamente negativo visto che non è assolutamente corretto intervenire su tale questione stabilendo che per il periodo 21 luglio 2011 – 21 dicembre 2011, la restituzione spettante agli utenti sia calcolata come differenza tra le tariffe realmente applicate e quelle che scaturiranno dal Metodo Tariffario Transitorio. In realtà, la restituzione da far tornare agli utenti non può che essere quella ingiustamente continuata a percepire da parte dei soggetti gestori relativa alla continuità della voce della remunerazione del capitale investito dal 21 luglio 2011 fino all’applicazione del nuovo metodo tariffario. In caso contrario, se si seguisse la strada indicata nel documento di consultazione suddetto, ci troveremmo di fronte ad una sorta di retroattività del nuovo sistema tariffario, come se fosse entrato in vigore dal luglio 2011, retroattività espressamente censurata dal Consiglio di Stato con varie sentenze (da ultime, vedi sentenza Consiglio di Stato, sezione VI, n. 4301 del 9 settembre 2008 e sentenza Consiglio di Stato, sezione V, n. 3920 del 30 giugno 2011) e dallo stesso Co.Vi.Ri (vedi delibera n. 7 del 1 dicembre 2008).Di fronte tale quadro, sostanzialmente, l'Autorità si trova ad un bivio e al momento sulla base della sola delibera non appare chiaro quale strada intenda intraprendere:

- definire in modo forfettario gli importi indebitamente versati da ciascun utente come differenza tra la remunerazione applicata nel periodo 21 luglio 2011 – 21 dicembre 2011 (7%) e il famigerato 6,4% del Metodo Tariffario Transitorio;

- definire caso per caso e quindi a piè di lista sulla base dei dati che proverranno dagli Enti d'Ambito quale sia la percentuale da sottrarre al 7% relativa agli oneri finanziari e fiscali adottati nel periodo 21 luglio 2011 – 21 dicembre 2011.

Ipotesi diverse, ma entrambe inaccettabili, che dovremo contrastare e che ci chiamano a svolgere una riflessione collettiva a questo fine.Insomma, il parere del Consiglio di Stato è molto rilevante, comparabile a quello della sentenza 199/2012 della Corte Costituzionale sul primo referendum. Nonostante la suddetta delibera dell'Autorità, adesso i gestori non hanno più alibi per continuare a tenersi il maltolto del 7%, la nostra campagna di obbedienza civile esce ulteriormente confermata, anche dal punto di vista del diritto, e va quindi rilanciata, mentre l'Authority per l'Energia elettrica e il Gas esce delegittimita sia per voler fare una tariffa retroattiva a partire dal 2012 e, ancor più, nel voler riproporre sotto mentite spoglie la remunerazione del capitale nel nuovo sistema tariffario.

Entro il 30 di Aprile gli ATO sarebbero stati obbligati a recepire il nuovo metodo tariffario dell'AEEG. Ad oggi sono sempre di più gli enti locali italiani che prendono posizione contro la nuova tariffa dell'AEEG per il servizio idrico.La conferenza dei Sindaci dell'ex ATO 3 Toscana (Firenze, Prato e Pistoia, gestione Publiacqua) riunitasi il 19 Aprile ha detto no alla tariffa voluta dall'AEEG. Qulache giorno prima i sindaci dei Comuni della provincia di Arezzo l'avevano bocciata a grande maggioranza e ieri anche il Comune di Montecatini Terme (PT) ha preso posizione contro il sistema tariffario deliberato dall'AEEG approvando all'unanimità una mozione contro la tariffa truffa. Se ci spostiamo in Emilia Romagna la musica non cambia: i sindaci Piacentini, poche settimane fa, hanno redatto un documento di fuoco contro il nuovo metodo tariffario transitorio a fronte di 12 milioni di mancati investimenti nel territorio piacentino negli stessi giorni in cui i sindaci della provincia di Reggio Emilia hanno sonoramente bocciato la nuova tariffa. Tutte le riunioni dei Comuni sono state accompagnate dalle mobilitazioni dei Comitati per l'acqua pubblica che hanno ribadito come il metodo tariffario predisposto dall'Authority sia in esplicito contrasto con l'esito referendario. Alla fine l'Agenzia Territoriale dell'Emilia-Romagna per i Servizi Idrici e Rifiuti (ATERSIR), che ha sostituito gli ATO ha deliberato la sospensione della decisione in merito alla tariffa, sostanzialmente rifiutando il suo recepimento. Anche la Provincia di Verbania Cusio Ossola ha approvato un ordine del giorno in cui si esprime un giudizio fortemente negativo sul Metodo Tariffario Transitorio dell'AEEG in quanto viola esplicitamente l'esito referendario e si chiede le dimissioni dei membri dell'Authority.

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La sentenza del TAR Toscana sulla remunerazione del capitale investito (21 Marzo 2013)

Il Tar della Toscana con la sentenza n.426/2013 del 21 marzo u.s. accoglie il ricorso presentato dal Forum Toscano dei Movimenti per l'Acqua in merito al fatto che le tariffe approvate dall'ex ATO2 Toscana il 06 Dicembre 2011 sono illegittime in quanto comprendono ancora la “remunerazione del capitale investito”. Il Tar della Toscana conferma questa illegittimità scrivendo nella sentenza che “il criterio della remunerazione del capitale (...) essendo strettamente connesso all’oggetto del quesito referendario, viene inevitabilmente TRAVOLTO dalla volontà popolare abrogatrice...”.

Il fallimento del sistema di finanziamento del servizio idrico basato sul principio del “full cost recovery”

Il finanziamento del servizio idrico integrato ha dimostrato il suo fallimento dal momento in cui al principio del “full cost recovery” si è associato l'affidamento a soggetti privati. I dati in tal senso parlano chiaro: dal 1990 al 2000, decennio in cui si attua la “grande trasformazione” dalle gestioni delle Aziende municipalizzate al nuovo assetto fondato sulla gestione da parte delle società di capitali, tra l'altro periodo in cui tramonta il ruolo della finanza e dell’intervento pubblico, gli investimenti nel settore idrico sono caduti di oltre il 70% flettendo da circa 2 mld di euro a circa 600 milioni annui (Fonte: elaborazione del Co.Vi.Ri. su dati ISTAT, riportata da uno studio del Dipartimento per le politiche di sviluppo del Ministero dello Sviluppo Economico - L. Anwandter- P. Rubino Rischi, incertezze e conflitti d’interesse nel settore idrico italiano: analisi e prospettive di riforma Materiali UVAL- numero 10- 2006); aumenti delle tariffe del SII pari a + 61,4% nel periodo 1997-2006, a fronte inflazione cumulata stesso periodo 25% (Fonte: Unioncamere); previsione dell'aumento dei consumi di circa il 18% nei prossimi 20 anni (Fonte: Bluebook - Centro studi Utilitatis). In effetti gestire l'acqua è un business molto appetibile, il giro di affari annuo è calcolato in circa 8 miliardi di euro. Gestire l'acqua vuol dire non avere rischio d'impresa poiché i profitti erano garantiti per legge per una quota pari al 7% del capitale investito caricata direttamente sulla bolletta (la cosiddetta “adeguatezza della remunerazione del capitale investito” abrogata dal secondo quesito referendario). La gestione dell'acqua non conosce crisi economica, il servizio idrico è per definizione un servizio a domanda rigida, nel senso che la sua essenzialità per la vita lo rende praticamente immune dall'andamento generale dei consumi. Gestire il servizio idrico significa gestire un servizio in regime di monopolio poiché l'acqua è monopolio naturale e pertanto può essere pubblico o privato ma non sussiste possibilità di concorrenza. Pertanto parlare di liberalizzazioni in questo campo è una vera e propria mistificazione. Si può solo parlare di privatizzazione di un bene. D'altra parte i fautori del mercato continuano a mistificare la realtà sostenendo che, rimanendo pubblica la proprietà delle reti, l'acqua non viene privatizzata, ma ciò che viene messo sul mercato è la sua gestione. Appare evidente come il reale proprietario del bene sia colui che lo gestisce in regime di monopolio poiché detiene tutte le informazioni e non colui che ne mantiene la proprietà formale.Insomma, il punto fondamentale è rappresentato da un’impostazione che mette in capo ai soggetti gestori l’effettuazione degli investimenti e, soprattutto, li fa finanziare (non interamente, per la verità) dalla tariffa, con i risultati del caso.Ciò che emerge con una certa evidenza dai dati riportati sopra è che non siamo in presenza di un qualche punto di difficoltà nel finanziamento degli investimenti che andrebbe semplicemente rimosso. In realtà, il quadro che abbiamo di fronte ci dice che è proprio il meccanismo di fondo del “full cost recovery”, cioè il finanziamento del sistema e degli investimenti tramite tariffa, che appare assolutamente inadeguato a garantire l’ingente mole di investimenti di cui il servizio idrico necessita. Vale la pena riassumere brevemente i dati strutturali del fallimento di quell’impostazione:

a) gli investimenti realizzati, almeno da 10 anni in qua, sono largamente insufficienti rispetto a quanto necessario e il loro tasso di realizzazione rispetto a quanto previsto è decisamente preoccupante. Questo “ritardo” assume aspetti ancora più inquietanti se si considera che gli investimenti da realizzare

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riguardano, per buona parte, il completamento della copertura del ciclo del servizio idrico integrato, in particolare per il sistema della fognatura e della depurazione, e la ristrutturazione delle reti esistenti, fondamentale per intervenire rispetto alle perdite, che oggi assommano a più del 30% dell’acqua immessa nelle reti stesse;b) la conferma, in termini aggravati, di questa situazione arriva dal dato già evidenziato prima sulle revisioni triennali finora realizzate dei Piani d’Ambito, che testimoniano il mancato raggiungimento degli obiettivi previsti in termini di investimento e, ancor più, lo spostamento temporale degli stessi;c) va inoltre considerato come, nella determinazione della tariffa in pressoché tutti i Piani d’Ambito, il consumo d’acqua viene costantemente sovrastimato. Come efficacemente dimostrato, la crescita ipotizzata dei consumi nella misura dell’1% annuo è decisamente (e per fortuna) poco attendibile, ma ciò comporta il venir meno, a seconda degli scenari, tra il 10 e il 15% dei ricavi previsti, con l’ovvia conseguenza di ulteriore minore copertura degli investimenti programmati;d) la scelta, insita nel sistema, di mettere in capo ai soggetti gestori di natura privatistica la responsabilità dell’effettuazione degli investimenti determina, stante il loro obiettivo di massimizzazione dei profitti, un’oggettiva subordinazione della decisione di investimento a quella priorità. Né ciò appare scongiurato dal tanto invocato potenziamento del ruolo regolatorio da parte del pubblico, vista l’acclarata “asimmetria informativa” tra soggetto gestore e soggetto regolatorio.

Insomma, il giudizio di fallimento della copertura totale dei costi (più la remunerazione del capitale) tramite la tariffa è un dato di fatto ben difficilmente contestabile. Del resto, il “full cost recovery”, assieme alla gestione del servizio affidato unicamente a S.p.A., rappresenta l’elemento fondante dell’impostazione che negli ultimi 15 anni ha dato vita alle politiche di privatizzazione del servizio idrico nel nostro Paese, con tutte le conseguenze negative che esse hanno provocato.Questo giudizio, peraltro, ormai è largamente condiviso: abbiamo già riportato sopra la valutazione del Co.Vi.Ri. a proposito del dato di realizzazione degli investimenti rispetto a quelli previsti. Non da meno è la stessa Federutilty che, nel documento del maggio 2010: “Investimenti nel settore idrico: superamento del gap infrastrutturale e contributo per uscire dalla crisi”, è costretta a riconoscere che “l’ingente fabbisogno finanziario di cui necessita il sistema non può far carico unicamente alla leva tariffaria in quanto incapace di generare in tempi brevi le risorse per fare fronte al debito”.

Le nostre proposte in tema di nuovo sistema di finanziamento del servizio idrico

Indicare la strada della ripubblicizzazione del servizio idrico tramite la gestione di soggetti di diritto pubblico comporta necessariamente mettere a punto una proposta che si misuri con la necessità di finanziamento del sistema, in particolare rispetto agli ingenti investimenti da realizzare. E ciò a maggior ragione in uno scenario che da quando il mercato e le scelte privatizzatici sono diventate dominanti nel servizio idrico, e cioè negli ultimi 15 anni in termini progressivi, gli investimenti sono drasticamente diminuiti e stanno ben al disotto di quanto sarebbe necessario, così come dimostrato nel paragrafo precedente. In verità, solo un meccanismo realmente alternativo di finanziamento del sistema può garantire gli ingenti investimenti necessari. E’ questo il senso di fondo della nostra proposta, che risale già all’elaborazione della nostra proposta di legge di iniziativa popolare del 2007. Al posto del “full cost recovery”, occorre costruire un nuovo meccanismo tariffario e ricorrere sia alla finanza pubblica che alla fiscalità generale. Più in particolare, la nostra ipotesi, elaborata e presentata nel corso della campagna referendaria e aggiornata alla luce dell’aggravamento della crisi economica e sociale, prevede che la tariffa copra i costi di gestione, gli ammortamenti per la parte degli investimenti finanziati con la finanza pubblica più il costo degli interessi del capitale, prevedendo comunque un’articolazione della tariffa sulla base delle fasce di consumo, mentre la fiscalità generale è chiamata ad intervenire per coprire il costo del quantitativo minimo vitale (50 lt/abitante/giorno) e un’altra parte di investimenti. Per quanto riguarda la suddivisione degli investimenti, la fiscalità generale copre quelli relativi alle nuove opere (circa 23, 2 mld in 20 anni), mentre la finanza pubblica interviene per garantire gli altri circa 16,8 mld. di investimenti relativi alla ristrutturazione delle reti.Lo strumentazione di finanza pubblica che individuiamo come quella più rispondente è riferita, da una parte, all'intervento della Cassa depositi e prestiti oppure, dall’altra, alla possibilità di ricorrere all’emissione di bond locali. E' evidente, peraltro, che pensare all'intervento della Cassa Depositi e Prestiti comporta necessariamente

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che essa ritorni alle sue funzioni originarie, a partire dal fatto di mettere a disposizioni risorse economiche a tasso agevolato, e che, dunque, si operi una seria inversione di tendenza rispetto al fatto che, negli ultimi anni, essa si è distinta nel favorire e supportare i processi di privatizzazione e, in ogni caso, ha abbandonato la sua funzione di “banca pubblica”. Inoltre, la manovra di tipo fiscale deve avvenire senza che essa provochi un innalzamento del deficit e debito pubblico, specificando dunque le maggiori entrate e minori spese del bilancio pubblico, senza produrre tassazione aggiuntiva sul reddito delle persone fisiche. Ciò può essere realizzato in diversi modi: per esempio, intervenendo con la lotta all’evasione fiscale, diminuendo le spese militari, costruendo una tassa di scopo come quella sulle bottiglie PET o con altri interventi ancora. Infine, è utile sottolineare che questa nostra proposta è assai significativa rispetto all’attuale situazione di crisi economica, visto che il Piano straordinario di investimenti reso possibile da essa produrrebbe anche un incremento di circa 200.000 posti di lavoro nei prossimi anni, svolgendo un’utile funzione anticiclica rispetto alla crisi stessa.Questa proposta si muove, peraltro, in un solco di continuità e coerenza politica rispetto all’esito del secondo quesito referendario, quello che ha abrogato la remunerazione del capitale investito dalla tariffa del servizio idrico. Nello stesso tempo, essa è alternativa anche ad ipotesi di pura e semplice rimodulazione del sistema tariffario, facendo comunque ricadere interamente su di esso il finanziamento del servizio idrico, magari provvedendo a sostituire la voce della remunerazione del capitale con una voce fissa, calcolata razionalmente, relativa agli oneri finanziari.Per quanto ci riguarda, invece, come detto sopra, un nuovo metodo tariffario deve essere coadiuvato dall’intervento della finanza pubblica e della fiscalità generale e dovrà sì avere uno schema nazionale unitario, ma applicato e definito a livello territoriale. Anche per questo, è utile riuscire a leggere le situazioni economiche e finanziarie dei soggetti gestori e intervenire nel merito delle scelte che si compiono a livello dei singoli ATO (da questo punto di vista in allegato trovate lo studio approntato dal Comitato acqua pubblica di Torino sulla lettura dei bilanci delle aziende).

I processi di ripubblicizzazione in atto in Italia

Dopo due anni di costanti attacchi all'esito del voto referendario, sia sul versante della gestione sia sul versante della tariffa, chiunque si confronti con la battaglia per la riappropriazione sociale dell'acqua e per una gestione pubblica, partecipativa e senza profitti del servizio idrico integrato, potrebbe immaginarla come totalmente immersa in una fase costantemente difensiva. Niente di più lontano dalla realtà concreta. E se la persistenza del movimento dell'acqua e delle ragioni profonde che hanno portato alla vittoria refendaria del 2011 ha permesso una forte resistenza ai tentativi di governi e poteri forti di riconsegnare l'acqua al mercato, la penetrazione carsica dentro i territori sta producendo importanti e promettenti risultati verso la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato.Se un anno fa il movimento per l'acqua poteva vantare, come unico risultato concreto, l'avvenuta trasformazione nella dittà di Napoli della società a totale capitale pubblico (ARIN S.p.A.) in azienda speciale (Acqua Bene Comune Napoli), oggi innumerevoli processi stanno attraversando la penisola, con l'unico obiettivo di praticare concretamente la trasformazione sancita dal voto della maggioranza assoluta dei cittadini italiani.E' cosi che, mentre nella provincia di Imperia viene bloccata la proposta di privatizzazione e si intraprende un percorso per una gestione pubblica da studiare assieme ai comitati, venti sindaci "ribelli" della provincia di Varese si schierano per l'azienda speciale e in provincia di Brescia si inizia un analogo processo.E' così che il progetto di una grande multiutility del nord (A2A, Iren, Hera) viene smontata pezzo per pezzo e, mentre tra Forlì e Rimini si ragiona in direzione di uno scorporo di "Romagna Acque" dalla multi utility Hera, a Reggio Emilia e Piacenza si apre la medesima strada per aprire alla ripubblicizzazione del servizio idrico.Analogo percorso si sta avviando a Pistoia e a Pescara, mentre a Vicenza il cambiamento dello statuto comunale inserisce nella "carta costituzionale" cittadina la gestione del servizio idrico attraverso enti di diritto pubblico.A tutto ciò va aggiunta la proposta di ripubblicizzazione del ramo idirco di Acea e le proposte di legge regionale d'iniziativa popolare in Lazio, Sicilia e Calabria, oltre a quella depositata in Abruzzo.

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Imperia. E' un caso per molti versi esemplare, prima di tutto poiché i risultati ottenuti derivano in buona parte da una positiva e costruttiva sinergia tra i "Sindaci per l'Acqua Pubblica" e il locale Comitato Acqua Pubblica. Il primo passo è stato, nel luglio scorso, l'eliminazione dalla tariffa d'ambito della componente corrispondente alla remunerazione del capitale investito, in ottemperanza alla volontà espressa dai cittadini italiani in maggioranza assoluta tramite il secondo referendum del 2011. Pochi mesi dopo, Imperia ha posto mano anche al primo quesito provvedendo a bloccare ogni ipotesi di rinnovo della gestione mista in scadenza ed orientando il servizio idrico verso una gestione esclusivamente pubblica. Le aziende locali infatti sono state chiamate ad estromettere il loro socio privato e a confluire nella nuova azienda consortile affidataria del servizio idrico provinciale. La riacquisizione delle quote societarie ora in mano ai privati non potrà prescindere tra l'altro dal chiarire i pesanti dubbi di legittimità sulla cessione a suo tempo attuata delle quote stesse.

Savona. Il progetto di privatizzazione che sembrava avviato a bruciare le tappe senza trovare alcun ostacolo è stato invece sonoramente stoppato in Consiglio Provinciale: la maggioranza che appoggiava la privatizzazione è "andata sotto" alla prova del voto. Ora i sindaci si vanno orientando a confermare il blocco di ogni ipotesi di privatizzazione e guardano invece con crescente favore ad una soluzione esclusivamente pubblica e partecipata.

Torino. Nel Luglio 2012 in Conisglio comunale è stata votata una mozione che indirizzava alla gestione pubblica e alla cancellazione dalla tariffa della remunerazione del capitale investito. A fine Febbraio, le commissioni I e VI del Comune di Torino, in seduta congiunta, hanno liberato per l’aula la delibera di iniziativa popolare stilata e presentata mesi prima dal Comitato Acqua Pubblica Torino per la trasformazione di SMAT in azienda speciale consortile, azienda quindi di diritto pubblico. Pochi giorni dopo, il 4 Marzo, la delibera di iniziativa popolare in questione è stata approvata ufficialmente, sulla spinta della mobilitazione incessante dei cittadini e del locale Comitato Acqua Pubblica: i pochi emendamenti approvati al testo che era stato presentato introducono passaggi intermedi di valutazione e cancellano premesse politicamente "scomode", ma non mutano la sostanza del provvedimento, chiarissimo e inequivocabile nella sua prospettiva, pur introducendo una specifica criticità, ossia l'avvio di una verifica sulla fattibilità della tarsformazione. Attualmente il percorso della delibera è ripreso presso le Commissioni I e VI. Il 23 Maggio in convocazione congiunta la discussione ha visto la presentazione di un documento da parte del Dr. Mora (Direttore Direzione Aziende Partecipate) in cui sono state descritte diversi punti critici sulla tarsformazione. La partita è ancora tutta da giocare.

Varese. Anche a Varese infatti una fetta molto importante di sindaci del territorio ha partecipato al percorso di approfondimento sull'azienda speciale promosso da settembre 2012 dal Comitato per l'Acqua Bene Comune locale, dapprima come "uditori", poi sempre più convintamente collaborando gomito a gomito con i cittadini organizzati. I risultati non si sono fatti attendere e se già nel 2011 la Provincia si era orientata ufficialmente verso una gestione tutta pubblica del servizio idrico gestita tramite gestione in-house, poche settimane fa si è giunti alla decisione finale. Il servizio idrico sarà gestito da una srl in-house e nella discussione e votazione finale si è arrivati ad un passo dalla vittoria piena, poiché molti sindaci (circa 25 su 141, purtroppo non il sindaco del comune capoluogo) erano fermamente convinti della scelta della azienda di diritto pubblico.

Vicenza. Con la chiusura delle procedure di modifica dello statuto del comune capoluogo e la pubblicazione ufficiale è entrato in vigore a fine gennaio 2013 il nuovo statuto comunale di Vicenza che all' ART. 4 (Diritto all’acqua) recita: "Il Comune di Vicenza riconosce il diritto umano all’acqua, ossia l’accesso all’acqua potabile come diritto umano, universale, indivisibile, inalienabile e lo status dell’acqua come bene comune pubblico e garantisce che la proprietà e la gestione degli impianti, della rete di acquedotto, distribuzione, fognatura e depurazione siano pubbliche e inalienabili, nel rispetto delle normative comunitarie e nazionali. Il servizio idrico integrato è un servizio pubblico locale di interesse generale che, in attuazione della Costituzione ed in armonia con i principi comunitari, deve essere effettuato da un soggetto di diritto pubblico, non tenuto alle regole del mercato e della concorrenza". Il 13 Febbraio 2013 con 28 voti favorevoli e due astenuti il Consiglio Comunale di Vicenza ha approvato una delibera che da mandato alla Giunta Comunale in collaborazione con Acque Vicentine S.p.A., il Consiglio di Bacino Bacchiglione e il Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua, di procedere con un percorso che miri a trasformare il gestore del servizio idrico integrato in una società di diritto pubblico, senza scopo di lucro e aperta alla partecipazione attiva dei cittadini.

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Piacenza. Il percorso partecipato per verificare la fattibilita' di ripubblicizzazione del servizio idrico è stato definito a inizio 2013 e l'occasione l'ha fornita la scadenza del mandato, conferito alla società mista IREN e scaduto da un intero anno. A Piacenza e provincia i sindaci sono insorti contro IREN, che negli ultimi due anni di conduzione del servizio ha piu' che dimezzato gli investimenti a cui era vincolata. Inoltre il passaggio all'Ato unico regionale ha creato un vuoto di competenze, peggiorato dalla quasi totale inattività di ATERSIR. Il percorso partecipato a cui prenderà parte anche un rappresentante del Comitato Acqua Pubblica di Piacenza è effettivamente iniziato sia a livello comunale che provinciale, rispettivamente martedì 14 e mercoledì 15 maggio. La discussione sulla ripubblicizzazione è aperta ma ci sono ancora forti resistenze da superare anche interne alla stessa Giunta piacentina la cui posizione è tuttora ondivaga tra favorevoli all'affidamento ad un'azienda speciale e chi si fa promotore della gara.

Reggio Emilia. Limitandoci alle fasi principali e decisive del percorso, si parte da quel 17 dicembre 2012 in cui il consiglio comunale sceglie di togliere la gestione idrica ad IREN per riorientare la gestione in senso esclusivamente pubblico; la delibera passa con il voto positivo della maggioranza e di parte della minoranza e nessun altro consigliere vota contro. Passano quattro giorni e la decisione viene solennemente ribadita dall’assemblea dei sindaci del territorio (corrispondente all’ex ATO), riconoscendo valide le critiche puntualmente espresse dal comitato acqua locale in un documento appositamente redatto ed approvando un atto di indirizzo giustamente intitolato “Una proposta che guarda alle nuove generazioni”. Si passa nel giro di poche settimane, ai primi di febbraio, all'approvazione di due o.d.g.: il primo contro le multiutility e il secondo che ha preparato la modifica dello statuto comunale poi realizzata appunto l'11 febbraio. Lo statuto del Comune di Reggio Emilia ha ufficialmente recepito gli esiti referendari esprimendosi in questi termini: "Il Comune di Reggio Emilia riconosce il diritto umano all'acqua, ossia l'accesso all'acqua potabile come diritto umano, universale, indivisibile, inalienabile e lo status dell'acqua come bene comune pubblico. Garantisce che la proprietà e la gestione degli impianti, della rete di acquedotto, distribuzione, fognatura e depurazione siano pubbliche e inalienabili, nel rispetto delle normative comunitarie e nazionali. Garantisce che la gestione del servizio idrico integrato, riconosciuto come servizio pubblico locale di interesse generale, non persegua scopi di lucro e sia sottratta ai principi della libera concorrenza, mediante un soggetto a proprietà pubblica. Garantisce la gestione partecipativa del bene comune acqua, orientata a criteri di efficienza, risparmio, solidarietà, trasparenza, sostenibilità, con finalità di carattere sociale ed ecologico, salvaguardando le aspettative e i diritti delle generazioni future".Gli eventi di Reggio Emilia, questo non sfugge a nessun pubblico amministratore in Italia, assumono particolare rilievo - non solo simbolico - in quanto vedono la luce in un comune capoluogo di provincia il cui sindaco è contemporaneamente presidente nazionale dell'ANCI.

Forlì. Si è concordato di istituire un tavolo provinciale per l'acqua che tra Forlì e Rimini ragioni in direzione di uno scorporo di "Romagna Acque" dalla multiutility Hera. A tale tavolo prenderanno parte acnhe i comitati locali per l'acqua pubblica.

Palermo. Il 4 Aprile la Giunta comunale ha approvato la delibera di trasformazione di AMAP S.p.A. in azienda speciale.

La Campagna di Obbedienza Civile

Con la vittoria del 2° quesito referendario del 12 e 13 giugno 2011 è stata abrogata la norma che prevede la “remunerazione del capitale”, pari al 7% del capitale investito (contenuta nel comma 1 dell’art. 154, del D. lgs 3 aprile 2006, n.152). Tale cifra, indicata nei piani d’ambito, è calcolata sulla base degli investimenti realizzati e di quelli previsti nell’anno solare di riferimento. Essa incide sulle bollette per una percentuale che oscilla, a seconda del Piano d’Ambito e del Piano degli Investimenti in esso contenuto, fra il 10% e il 25%, variando da un anno all’altro.

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La Campagna di “obbedienza civile” è stata ideata e promossa dal Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua a partire dall'autunno del 2011 e consiste nel pagare le bollette, relative ai periodi successivi al 21 luglio 2011, applicando una riduzione pari alla componente della “remunerazione del capitale investito”.E’ stata chiamata di “obbedienza civile” perché non si tratta di “disubbidire” ad una legge ingiusta, ma di “obbedire” alle leggi in vigore, così come modificate dagli esiti referendari.Oggi, a distanza di due anni i gestori del servizio idrico italiano hanno ignorato con pretestuose argomentazioni l’esito referendario. Per questo abbiamo chiesto alle cittadine e ai cittadini italiani utenti del servizio idrico di aderire a questa campagna.Lo scopo principale è quello di ottenere l’applicazione del risultato che è inequivocabilmente scaturito dai referendum.Con la mobilitazione attiva di migliaia di cittadini ci siamo proposti di attivare una forma diretta di democrazia dal basso, auto-organizzata, consapevole e indisponibile a piegare la testa ai diktat dei poteri forti di turno.Ci siamo proposti anche di dare una risposta all’evidente crisi della democrazia rappresentativa, ormai diventata impermeabile non solo alle istanze della società, ma persino ai formali esiti delle consultazioni codificate nella nostra Carta Costituzionale, come appunto i referendum abrogativi.Oltre all'adesione di migliaia di cittadini che continuamente si autoriducono le bollette, diverse sono state anche le azioni legali promosse dai comitati territoriali e dai singoli utenti per richiedere che la quota relativa alla remunerazione del capitale investito venga espunta definitivamente dalla tariffa: ricorsi presso il giudice di pace e ricorsi al TAR, come quello sopra richiamato al TAR Toscana e quello promosso di fronte al TAR Emilia Romagna. E' possibile trovare tutte le informazioni sul sito www.obbedienzacivile.it.

Richieste al Governo da parte del movimento per l'acqua

• ad attuare l’esito referendario seguendo i dettami della proposta di Legge di Iniziativa Popolare “Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizione per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato” depositata dal Forum Italiano dei Movimenti dell’acqua nel 2007 relativamente alla ripubblicizzazione del servizio idrico integrato come unica soluzione possibile per dare attuazione ai Referendum del 2011;

• intervenire urgentemente presso l'Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas per annullare la delibera n. 585 del 28 dicembre 2012 e la delibera n. 88 del 28 febbraio 2013 relativa alle gestioni ex-CIPE (MTC);

• censurare l’operato fin qui svolto dall’AEEG, imponendo, conseguentemente, all' Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas di avviare il procedimento per la restituzione agli utenti finali della componente tariffaria relativa alla remunerazione del capitale dal 21 luglio 2011 fino al momento dell'entrata in vigore della nuova delibera;

• riportare nell’ambito delle competenze del Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare la fissazione dei criteri e del metodo tariffario relativo al servizio idrico, togliendole quindi all’Autorità per l'Energia Elettrica e il Gas;

• costruire un nuovo metodo tariffario che, quindi, recepisca integralmente l’esito del referendum popolare del 12-13 giugno 2011 con particolare riferimento all’eliminazione della tariffa di qualsiasi voce di costo riconducibile alla remunerazione del capitale investito e al rimborso ai cittadini delle quote indebitamente percepite;

• promuovere tutti gli interventi necessari per l'immediata e duratura soluzione della grave contaminazione delle acque potabili di molti comuni italiani, in particolare a causa della concentrazione di arsenico, floruri e vanadio;

• programmare investimenti pubblici volti a favorire i processi di ripubblicizzazione del SII, investimenti pubblici che dovranno essere posti come alternativa escludente della remunerazione del capitale dalle

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tariffe come richiesto dal secondo quesito referendario. Il Metodo Tariffario Transitorio, infatti, prevede la remunerazione degli investimenti effettivamente realizzati, quindi si chiede che il Governo si impegni ad impedire che con i soldi pubblici vengano realizzati gli investimenti fondamentali, che si evincono dal drammatico quadro riportato in premessa, e che la remunerazione finisca nelle casse dei gestori privati;

• riformulare una seria normativa di settore, finalizzata alla ripubblicizzare la gestione del servizio idrico e a garantire la partecipazione dei cittadini e dei lavoratori; a premiare l'efficienza dei gestori del servizio idrico e a colpire l'inefficienza; a prevedere, con legge quadro, la fissazione di nuovi e più adeguati canoni di derivazione per il prelevamento dell'acqua pubblica; a garantire la riduzione, fino al completo azzeramento in tempi congrui, degli sprechi nel trasporto dell'acqua potabile; ad adeguare agli standards europei i sistemi di depurazione e gli impianti di potabilizzazione;

• riformulare il Patto di stabilità, da far tornare alla sua versione originaria, e cioè di fissazione di un saldo generale di natura finanziaria, lasciando così maggiore libertà di scelta agli Enti locali nella fissazione delle politiche di entrate e di spesa;

• escludere, in ogni caso, dall’ assoggettamento al patto di stabilità degli Enti locali le Aziende speciali e le SpA a totale capitale pubblico;

• approntare una strumentazione “ad hoc” per finanziare, in modo agevolato, gli investimenti nei servizi pubblici essenziali.