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Il Fantastico Quartiere Coppede

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the most beautiful residential area of Rome

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Giovanna Pimpinella

Il fantastico Quartiere Coppedè Tra simboli e decorazioni

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Prima edizione ebook, formato PDF: novembre 2012 ISBN: 978-88-534-4077-8

Per segnalazioni o suggerimenti relativi a questo volume scrivere al seguente

indirizzo: [email protected]

Società Editrice Dante Alighieri s.r.l. - via Monte Santo 10/A - 00195 Roma

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A Maria, Simone, Domenicoche mi hanno reso quello che sono.

Pazienza voi ricercatori,il mistero sarà illuminato dalla sua propria luce.

(Karl Kraus)

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Il fantas!co quar!ere coppedètra simboli e decorazioni

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Ogni lavoro deve avere almeno una motivazione, sepoi ne ha più d’una ancora meglio. Le motivazionidi questo libro sono naturalmente varie, la prima, lapiù forte, è l’amore per il bello che vive tra gli spicchid’azzurro dei palazzi di Roma, la seconda è che nonesiste niente come questo libro che state per leggere inriferimento all’argomento, ovvero una guida che siaperò un dizionario di simboli, terzo, perché quello cheleggete, per l’incuria degli uomini, forse potrebbe nonessere più visibile nel momento in cui lo state leggendo.Il quartiere Coppedè soffre dello scontro tra le diversecomponenti della sua duplice natura, da un latoquella di bene privato dall’altro quella di bene arti-stico e quindi universale.Gran parte degli edifici oggetto di questo libro non èmantenuta con le dovute cure, anzi è abbandonata allento disfacimento del tempo oppure, una volta restau-rata, è nascosta allo sguardo del pubblico come ognivilla di lusso che si rispetti. E tutto questo sotto gli occhi di un’umanità distrattache passa, osserva, magari saluta, ma sempre prosegueveloce, raramente si ferma e comprende la vera portatadi quello che potrebbe vedere tutti i giorni.Così ho voluto cercare di raccontare quello che si puòvedere fermandosi a guardare, e quello che si può sen-tire, se si ha voglia.

Buon viaggio.

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D a d o v e i n i z i a l af a v o l a : l a v i t a d i

G i n o C o p p e d èLa storia di Gino Coppedè non nasce con lui, ma con il padre

Mariano che, orfano e povero, riesce a riscattare le sue ori-

gini attraverso il lavoro e la creazione di una florida azienda

di ebanistica “La Casa Artistica”, nella quale inserirà oltre al

primogenito Gino, nato a Firenze il 26 settembre 1866,

anche gli altri due figli, Carlo e Adolfo.

L’influenza paterna sarà determinante non solo per la for-

mazione artistica, ma forse anche per la visione stessa

della vita professionale, caratterizzata dalla voglia di

emergere sia dal punto di vista economico sia “culturale”,

quindi da una sete di prestigio che porterà Gino a lottare

assiduamente per ottenere riconoscimenti dal mondo ac-

cademico che gli verranno concessi con fatica e molto

spesso anche negati.

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Nel 1881 si diploma presso la Scuola professionale di Arti

Decorative Industriali di Firenze e da qui inizia un pratican-

tato presso “La Casa artistica”, dove impara l’arte dell’inta-

glio e viene a contatto con alcuni architetti toscani. Il suo

primo approccio con la materia artistica è quindi quello

della lavorazione decorativa del legno, vissuta come un in-

sieme di perizia tecnica ed esaltazione dell’estro creativo. Il

mobile già rappresenta una metafora dell’edificio perché

contiene in sé le proporzioni geometriche tridimensionali

ed insieme il rigore funzionale dell’oggetto che nasce per

soddisfare delle esigenze precise.

Poiché nasce in un contesto familiare artistico, decide di co-

struire anche la sua famiglia intorno al mondo dell’arte e

nel 1889 sposa la figlia dello scultore Pasquale Romanelli,

Beatrice, che gli darà tre figlie: Anna (1890), Matilde (1892)

e Margherita (1897). A loro volta anche le figlie non si allon-

taneranno dall’ambiente e due di loro sposeranno architetti

che collaboreranno con il suocero ma avranno anche suc-

cesso autonomamente.

Nel 1891, ottiene il Diploma di professore di Disegno archi-

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tettonico presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze e tra il

1896 ed il 1897 insegna al Regio Orfanotrofio Puccini di Pi-

stoia collaborando allo stesso tempo con alcune fonderie

della medesima città.

In questi anni viene chiamato a Genova da Evan Mackenzie,

assicuratore di grande successo di origine fiorentina, per

cui progetta ed inizia il restauro – ma sarebbe più appro-

priato dire la ricostruzione – di un edificio preesistente,

posto nel quartiere residenziale di Castelletto. Questo sarà

il suo primo successo e darà il via alla sua luminosa carriera

di architetto residenziale. Grazie anche al notevole investi-

mento che il ricco americano sarà disposto a fare sulla di-

mora, Coppedè potrà realizzare una struttura lussuosa, in

cui si fondono forme “storiche” e lussi moderni, come im-

pianti di riscaldamento centralizzati assolutamente innova-

tivi per l’epoca ed una piscina interna ad acqua riscaldata.

Il suo primo grande lavoro sarà quindi una villa estrosa ed

insieme armonica nella propria complessità, che si sviluppa

su due piani su una superficie complessiva di circa nove-

cento metri quadra!. Coppedè infa" dilata lo spazio originario

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aggiungendovi torrette e guglie, scalette aggettanti ed edi-

cole, modificando il paramento murario con laterizi, pu-

trelle e arenaria proveniente da Spezia. I riferimenti al

rinascimento fiorentino e la maestria della bottega paterna

si ritrovano nelle boiseries e nei soffitti a cassettoni, ma

anche negli stemmi, nelle vetrate a piombo e nelle ricche

ceramiche ispirate allo stile dei Della Robbia.

Grazie anche al successo della dimora dei Mackenzie, il No-

vecento si apre con grandi soddisfazioni personali contrad-

distinte dal raggiungimento di una certa fama e da

commissioni che lo consacrano come l’architetto prediletto

dell’alta società genovese, per cui realizza ville e castelli.

Troviamo quindi importanti e fondamentali esempi del suo

lavoro a Genova dove, grazie ai palazzi che disegna, con-

temporaneamente modella l’immagine delle strade del

nuovo centro di via XX Settembre ed assolve più volte alla

carica di membro della commissione per il riordinamento

dei piani regolatori del Comune.

Ma oltre che a Genova, viene chiamato a lavorare anche

nel resto dell’Italia, nella natia Toscana, in Lombardia e in

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Sicilia, oltre che a Lugano. Qui troviamo esempi del suo stile

in ville dell’alta borghesia che, complici le atmosfere del

lago, restituiscono con completezza la magia delle sue co-

struzioni e lo spirito favolistico dei suoi progetti.

A partire dal 1906 segue la ristrutturazione e poi le ripetute

modifiche del Castello del Marchese de la Motilla a Siviglia,

la struttura subirà talmente tanti lavori da essere terminata

solo nel 1931 dall’architetto Vincenzo Traver.

Anche la carriera accademica ha una certa crescita sempre

nei primi anni del Novecento e nel 1903 diventa accade-

mico corrispondente della R. Accademia delle Arti del Di-

segno di Firenze, mentre dal 1908 sarà accademico

“residente”.

Tra il 1905 ed il 1910 è nominato “Accademico di Merito”

dell’Accademia Linguistica ed in seguito Accademico delle

Accademie di Perugia ed Urbino. Sempre in questi anni ac-

quisisce anche il titolo di ingegnere grazie alla nomina dalla

R. Scuola di Applicazione per gli Ingegneri di Roma per

“equipollenza di titoli”, un ennesimo esempio di come la

sua carriera si sia consolidata nel tempo.

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Ma le vere aspirazioni accademiche si concretizzano nella

partecipazione nel 1913 al concorso per la Cattedra di Ar-

chitettura Generale presso la Scuola di Applicazione per gli

Ingegneri di Roma, un ruolo prestigioso e molto ambito.

Proprio questo esito negativo del concorso sarà fonte di

grande dispiacere per Coppedè, tanto da portarlo ad indire

una causa di ricorso nella quale elencherà, non senza spirito

polemico, più di cento progetti a testimonianza della pro-

pria indiscutibile professionalità. In questo episodio pos-

siamo iniziare ad intravedere le avvisaglie del clima critico

con cui il nostro architetto si è dovuto confrontare per tutta

la vita, un clima evidentemente ostile, che non voleva am-

metterne l’innovazione ma che ha anche cercato, pur-

troppo con una certa fortuna, di relegarlo a personaggio di

secondo piano nella storia dell’architettura moderna, ne-

gandone le capacità tecniche ed enfatizzando un presunto

“effimero effetto scenografico” come linea guida della sua

produzione. E sempre questo episodio assume un valore

esemplificativo del carattere dell’uomo, contraddistinto

dalla voglia costante di riscatto rispetto alle critiche che gli

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si pongono e desideroso, suo malgrado, di una fama che lo

porta a vivere l’architettura non solo come un semplice la-

voro, ma come una sorta di componente vitale della propria

esistenza.

Tra la Prima Guerra Mondiale e negli anni subito successivi,

fino alla morte, si ritrova impegnato in vari cantieri sparsi

per l’Italia, non solo Genova, ma anche Messina e Roma,

come architetto della società di costruzione della fami-

glia Cerruti, che diventa la sua principale committente

in quegli anni.

Questi sono gli anni di quello che diventerà il “Quartiere

Coppedè”, la cui costruzione avviene in fasi alterne per oltre

dieci anni ed in misura non ancora chiara, anche dopo la

sua morte. Nonostante i numerosi impegni mette a dispo-

sizione della Nazione le sue capacità professionali e pro-

getta l’allestimento di numerosi ospedali da campo sempre

negli anni della guerra, dimostrando uno spirito attivo che

altri artisti ed intellettuali dell’epoca concretizzeranno con

l’impegno diretto nelle battaglie e che lui invece volgerà a

quello che sapeva fare meglio: immaginare spazi per le at-

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tività dell’uomo. Nel 1917 la sua perseveranza viene pre-

miata con l’accesso diretto al mondo universitario grazie

al Decreto di libera docenza in Architettura Generale che

gli viene affidato presso la R. Università di Pisa.

E proprio in questi anni la vena decorativa della sua produ-

zione trova un nuovo sfogo nella collaborazione con i fra-

telli Carlo e Adolfo, tutti uniti dall’incarico di arredare le

prime - e lussuose - classi di alcuni piroscafi del Lloyd Sa-

baudo e della Società Cosulich. Ancora una volta quindi

l’arredamento artistico si fonde con l’ideazione architetto-

nica e Coppedè si confronta con gli spazi definiti ed “im-

mutabili” delle navi da crociera. Qui la funzionalità si fonde

con una creatività che vira verso il ludico e la decorazione

degli ambienti ritrova una nuova commistione tra lusso e

invenzione.

Il 1920 sarà un anno di lutti in cui Gino perde due figure

fondamentali della sua vita, muoiono infatti la moglie Bea-

trice, che gli è stata accanto per 39 anni, e il padre Ma-

riano, da cui eredita la direzione de “La Casa Artistica”

insieme al fratello Adolfo.

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Sempre in quegli anni redige due ambiziosi progetti di ri-

sistemazione urbanistica del centro di Roma, uno con l’in-

gegner Ugonotti che riprogetta ed in parte sposta

l’ubicazione della Stazione Termini di Roma, intesa come

una struttura ormai inadeguata alle esigenze di una capi-

tale europea, ed uno dedicato alla risistemazione dell’area

intorno alla fontana di Trevi. Entrambi i progetti prevede-

vano vari abbattimenti di strutture preesistenti e creazioni

di arterie stradali ex novo ripromettendosi di ridisegnare e

svecchiare la città Eterna. Forse proprio per questo taglio

così innovativo resteranno purtroppo solo sulla carta.

Tra il 1925 ed il 1927 realizza il suo ultimo lavoro romano,

un palazzo all’inizio di via Veneto, con affaccio su piazza

del Tritone, ultimo vibrante colpo che riesce a sferrare alla

ferma e monolitica architettura romana. L’edificio infatti

sarà al centro di polemiche che non risparmieranno la de-

risione ed il fraintendimento dello stile e delle idee del no-

stro architetto, sempre sminuito nel suo lavoro

nonostante nel 1926 venga nominato Professore residente

“emerito” dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze.

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Dopo questa ultima soddisfazione accademica e la realiz-

zazione del palazzo di via Veneto Coppedè muore, il 20 set-

tembre del 1927, sempre a Roma, a causa di un’incurabile

malattia ai polmoni. Il suo corpo troverà pace lontano da

quella Capitale che non lo ha mai accettato veramente,

tornerà nella propria città d’origine, Firenze, anche que-

st’ultima poco generosa nel ricordo, dove viene comunque

accolto e seppellito nella tomba di famiglia, nel cimitero

di S. Miniato, come un viaggiatore che finalmente torni a

casa dopo un lungo viaggio.

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L ’ e d i l i z i a d e i p o t e r in u o v i : i l q u a r t i e r e

S a l a r i o - T r i e s t eL’aspetto della città di Roma a cavallo del Novecento era

quello di una città in forte espansione, la trasformazione

in Roma Capitale, iniziata nel 1870, aveva velocemente

modificato non solo il tessuto urbano preesistente, ma por-

tato nuove esigenze e richieste di abitazione intensiva.

L’apertura dei diversi Ministeri del nuovo Regno d’Italia non

solo aveva prodotto la necessità di rimediare inediti ed

ampi spazi istituzionali che accogliessero il nuovo concetto

burocratico savoiardo di “Stato”, ma anche di costruire ex

novo strutture che ospitassero i luoghi della “cultura mo-

derna”. A fare le spese di questa “riorganizzazione mo-

derna” furono prima di tutto le proprietà ecclesiastiche,

riadattate a discapito degli occupanti, ovvero comunità re-

ligiose sfrattate senza troppi problemi. Si veda come esem-

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pio, tra i molti che si potrebbero fare, la grandiosa ristrut-

turazione degli spazi del Ministero delle Comunicazioni nel

grande edificio delle Poste a piazza San Silvestro che vide la

penosa cacciata del convento della carmelitane. Ma ci fu

spazio anche per imponenti progetti architettonici che por-

tarono alla nascita di palazzi prestigiosi come la Galleria

Nazionale d’Arte Moderna o Palazzo delle Esposizioni, e

quartieri lungo ed oltre le mura della città, creati per ospi-

tare la nuova media borghesia degli impiegati statali che si

trasferivano a Roma, come il Quartiere Ludovisi, costruito

al limite della speculazione e della “cementificazione”.

Nasce quindi un’edilizia dei poteri nuovi, ricca e determi-

nata a distinguersi dall’edilizia papalina che punta sulla so-

brietà e sui valori di un ideale “Neoclassico”, in cui il rigore

della linea - a volte alleggerita da un vago ricordo liberty

nei particolari decorativi - e l’imponenza delle masse si fon-

dono a garantire l’immagine di uno stato solido e duraturo

grazie all’unità dell’Italia. Anche il centro storico si modi-

fica, per esempio la costruzione degli argini del Tevere, che

sconvolgerà sostanzialmente in alcuni punti lo strato urba-