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UMBERTO MORERA IL FIDO BANCARIO PROFILI GIURIDICI DOTT. A. GIUFFRÈ EDITORE MILANO 1998

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UMBERTO MORERA

IL FIDO BANCARIO PROFILI GIURIDICI

DOTT. A. GIUFFRÈ EDITORE MILANO – 1998

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INDICE SOMMARIO

Ragioni e piano della ricerca.

CAPITOLO PRIMO

LA NOZIONE DI FIDO BANCARIO

1. La necessità di individuare una nozione di fido bancario. 2. Il fido come generale parametro di rischio nella disciplina prudenziale dell’attività

bancaria. 3. Fido bancario e contratti di credito.

CAPITOLO SECONDO

IL FIDO BANCARIO NELLA DISCIPLINA DELL’ATTIVITÀ

DELL’IMPRESA BANCARIA

1. La vigilanza regolamentare sugli impieghi bancari. 2. Il problema dell’eccessiva concentrazione dei fidi. 3. La disciplina dei «coefficienti patrimoniali minimi obbligatori». 4. I limiti di fido in rapporto alla durata del credito. 5. I limiti della concessione di fido agli esponenti bancari. 6. I limiti territoriali nella concessione di fido. 7. I fidi concessi dalle banche di credito cooperativo. 8. Violazione dei limiti di fido e sorte del contratto di credito. 9. Competenze decisionali nella concessione di fido e contratto di credito. 10. Il cumulo degli affidamenti. La Centrale dei rischi. 11. L’istruttoria di fido. 12. La documentazione degli affidamenti.

CAPITOLO TERZO

IL FIDO BANCARIO NEL RAPPORTO BANCA-CLIENTE

1. La domanda di fido. 2. Fido e perfezionamento del contratto di credito. 3. I profili di responsabilità del richiedente il fido. 4. I profili di responsabilità della banca. 5. Segue. La responsabilità per concessione «abusiva» di fido. 6. La «destinazione» del fido. 7. L’utilizzo del fido in rapporto alle «modalità» di concessione. 8. La revoca del fido.

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RAGIONI E PIANO DELLA RICERCA

È agevole rilevare come il fenomeno del fido bancario, se ha

costantemente subito diversi approfondimenti nell’àmbito della dottrina

tecnica, aziendalistica ed economica1, può ben dirsi assolutamente trascurato

1 Sui fidi bancari, nell’ottica tecnica, aziendalistica ed economica, la letteratura è

pressoché sterminata; cfr. comunque, tra gli altri, almeno: T. BIANCHI, I fidi bancari.

Tecnica e valutazione dei rischi, Vª Ediz., Torino, 1977; G. DELL’AMORE, Economia delle

aziende di credito, I, I prestiti bancari, Milano, 1965; M. BOETTI, I fidi bancari, IIIª Ediz.,

Roma, 1990; Gae. ROSSI, Il fido bancario nella pratica della sua erogazione ed

amministrazione, VIIIª Ediz., Bologna, 1980; D.L. SPEDALE, L’affidamento bancario.

Tecniche e principî di valutazione, IIIª Ediz., Milano, 1986; C. ZANTA, L’accertamento

amministrativo nella gestione del fido bancario, Milano, 1976; ID., La capacità di reddito

nella valutazione delle richieste di fido, Milano, 1960; P.L. FABRIZI, Le tecniche di

previsione finanziaria e la valutazione dei fidi bancari, in Banche e banchieri, 1979, (1),

pagg. 13 segg.; A. FANTECHI, Il fido bancario. L’istruttoria delle domande e l’erogazione

del credito, Quaderno dell’Associazione tecnica delle banche popolari italiane, n. 8,

Roma, 1967; ID., Il fido bancario. L’erogazione e l’amministrazione del credito,

Quaderno dell’Associazione tecnica delle banche popolari italiane, n. 13, Roma, 1976; G.

TILLI, La concessione di fido nella prassi delle C.R.A., IIª Ediz., Roma, 1992; C. RISPOLI e

S. PAPPALARDO, Il fido e gli impieghi, Roma, 1996; G. ROSTI, voce “Fido”, in Enc. della

banca e della borsa, VI, Roma, 1972, pagg. 184 segg.; A. PIN, Correlazione

finanziamenti-investimenti d’impresa e fondamenti di tecnica dei fidi bancari, in

Economia e credito, 1982, pagg. 527 segg.; C. GAROFALO, Manuale dell’affidamento

bancario, IIª Ediz., Rovereto, 1988; L. DANIELI, La tecnica del fido bancario, Torino,

1951; V. TURRÀ, Fidi multipli: la centrale dei rischi, Napoli, s.d.; R. RICCI, La moderna

tecnica bancaria, Torino, 1992, pagg. 257 segg.; M. LORUSSO, La politica dei fidi e il

rischio nelle operazioni bancarie, Bari, 1995; A. PATARNELLO, La politica degli impieghi

in prestiti delle banche, Bologna, 1995; P. GIOVANNINI, Equilibrio e tecnica del fido nella

banca, Torino, 1983; A. PESCAGLINI, Analisi di bilancio e fidi bancari, Napoli, 1984; R.

BOTTIGLIA, Politica dei prestiti e valutazione dei fidi negli istituti di credito a medio-lungo

termine, Verona, 1984; ID., Gestione dei prestiti e politica di mercato nelle aziende di

credito, Padova, 1990; C. DEMATTÈ, La valutazione della capacità di credito nelle analisi

di fido, Milano, 1980; J.R.S. REVELL, Rischio e solvibilità delle banche (Ediz. it. a cura di

S. Caliccia), Milano, 1978; L. MALADORNO, Guida completa ai fidi bancari, Milano,

1986; P. CIOCCA, La valutazione dell’affidabilità della clientela da parte delle banche:

criteri e prassi operative, in Contributi alla ricerca economica, n. 18, Banca d’Italia,

Roma, 1983; C. NANNI, Il rapporto di fido bancario nell’opinione delle imprese

finanziate: sintesi dei risultati di un’indagine campionaria, in Contributi alla ricerca

economica, n. 17, Banca d’Italia, Roma, 1983; U. CAPRARA, Gli indicatori per la

valutazione dell’affidabilità creditizia, in Risparmio, 1985, (10), pagg. 23 segg.; C.

CACCIAMANI, Qualità dei prestiti ed equilibri di gestione delle aziende di credito, in

Risparmio, 1992, pagg. 743 segg.; E. LORUSSO, Valutazione del fido bancario, Milano,

1966; S. SASSI, I fidi bancari. La tecnica delle analisi aziendali, Napoli, 1961; S. DE

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– almeno quale autonoma figura oggetto di specifica disciplina – dai giuristi,

i quali, com’è noto, hanno concentrato la loro attenzione sulla natura e sulla

disciplina dei singoli contratti di credito (mutui, sconti, aperture di credito,

ecc.) posti in essere dalle banche con i propri clienti.

Manca in effetti, nell’àmbito degli studi giuridici, un’indagine

d’insieme intorno alla figura del fido bancario, mirata innanzitutto a

comprendere se ed in quale misura e prospettiva essa venga considerata dal

legislatore; tesa poi ad analizzare sistematicamente - una volta individuata la

fattispecie e la “logica” della sua regolamentazione - quale sia la concreta

disciplina della stessa in relazione alle regole che governano l’attività

dell’impresa bancaria; volta infine a chiarire quale sia l’incidenza della

figura in questione nell’àmbito dell’unitario rapporto banca-cliente,

quest’ultimo non soltanto considerato nel contesto delle discipline dei

diversi contratti di credito, bensì anche valutato in ordine ai molteplici

profili pre ed extra negoziali via via rilevanti.

Del resto, e relativamente a tale ultimo aspetto, è agevole rilevare

come anche nel sistema del nostro codice manchi del tutto una visione

unitaria (dell’insieme) dei rapporti di credito intercorrenti tra banca e cliente:

tali rapporti, oltre ad essere disciplinati soltanto nell’ottica tipicamente

contrattualistico-negoziale – causa ed oggetto (artt. 1842 e 1858 cod. civ.);

diritti ed obblighi dei contraenti (artt. 1843, 1846, 1847, 1848, 1849, 1850,

1851 e 1859 cod. civ.); garanzie del creditore (artt. 1844 e 1860 cod. civ.);

scioglimento del vincolo (art. 1845 cod. civ.); ecc. – sono infatti considerati

singolarmente, “atomisticamente” potremmo dire, senza alcun riferimento ai

possibili aspetti di interrelazione tra il singolo contratto e l’unitario rapporto

ANGELI, Il finanziamento esterno delle imprese attraverso il credito bancario e

parabancario, Torino, 1986; A. CARINGI, Amministrazione economica e tecnica del fido

bancario, Macerata, 1958; Gia. DE MARCHI e C. VINCI, I fidi bancari. Disciplina giuridica

e pratica operativa, IIIª Ediz., Milano, 1979; Gia. DE MARCHI, I fidi bancari, IIª Ediz.,

Milano, 1996; G. ZAPPA, I fidi nelle aziende di credito, III Corso di aggiornamento in

materia creditizia e finanziaria. Ca’ Foscari, Venezia, Milano, s.a.; O. ASCANI e L.

TORRETTA, Le analisi di bilancio e i fidi bancari, IVª Ediz., Milano, 1987; P. CAVATERRA

e M. PETROCCHI, Teoria e tecnica della valutazione dei fidi, Milano, 1989; M. MORI, La

politica dei fidi nelle banche italiane, in Banche e banchieri, 1992, pagg. 461 segg.; G. DE

LAURENTIS, Il rischio di credito. I fidi bancari nel nuovo contesto teorico, normativo e di

mercato, Milano, 1994; G. FORESTIERI, Efficienza allocativa e criteri di valutazione dei

fidi bancari, in AA.VV., Finanza aziendale e mercato finanziario. Scritti in onore di

Giorgio Pivato, Milano, 1982; AA.VV., I fidi nelle aziende di credito (3º Corso di

aggiornamento in materia creditizia e finanziaria), Milano, 1962; AA.VV., L’analisi

finanziaria per i fidi bancari, a cura di M. Onado, VIIª Ediz., Milano, 1988; AA.VV.,

Metodi quantitativi per la valutazione del fido bancario, a cura dell’Associazione per lo

sviluppo degli studi di banca e di borsa, Milano, 1981; AA.VV., Le banche e il

finanziamento delle imprese, a cura di I. Angeloni, V. Conti e F. Passacantando, Bologna,

1997.

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creditizio sussistente tra banca e cliente2. Cosicché tale realtà normativa, se

può apparire certamente idonea a disciplinare il singolo rapporto contrattuale

in sé e per sé considerato, finisce per divenire perlomeno inadeguata laddove

assumano rilievo circostanze più in generale collegate all’esigenza di una

prudente allocazione delle risorse e di una corretta gestione degli impieghi,

comunque svincolate dal singolo negozio creditizio.

Di tali aspetti, ed in tale prospettiva, i giuristi, come detto, non si sono

di fatto occupati. Da qui l’esigenza che ha stimolato la presente ricerca.

Tenteremo innanzitutto di individuare una nozione di fido bancario,

analizzando l’“evoluzione normativa” della particolare figura e verificando

quale sia attualmente l’effettiva portata della stessa, da quali componenti

risulti “formata”, in quale ottica venga poi disciplinata; perché, in definitiva,

ed in che misura, le norme facciano ricorso al concetto di fido bancario

(capitolo I).

Affronteremo quindi l’esame dei peculiari profili giuridici del

fenomeno in questione, sia nella prospettiva dell’analisi della generale

disciplina prudenziale che regola l’attività dell’impresa bancaria (capitolo

II), sia poi nella diversa ottica dell’analisi del rapporto banca-cliente

(capitolo III)3.

Mai trascurando, peraltro, la circostanza che il fenomeno in questione

nasce dalla pratica e “vive” nella stessa4, in un particolare contesto di

assoluta interrelazione tra profilo giuridico e profilo economico5.

2 Né, per altro verso, risulta dal codice disciplinato un aspetto che appare invece

sicuramente connaturato ad ogni contratto di credito: quello relativo alla misura del

credito concesso; così come avviene invece per altri contratti, poi non del tutto dissimili da

quelli di credito bancario (e cfr., ad esempio, l’art. 1560 cod. civ. per il contratto di

somministrazione); il che è per lo meno singolare, sol che si ponga mente all’estrema

rilevanza che, nell’àmbito del credito bancario, viene costantemente ad assumere l’aspetto

in questione.

3 L’analisi sarà limitata al solo fido “bancario”, non svolgendosi quindi sul distinto

piano (dell’analisi della disciplina) del credito concesso da imprenditori diversi dalle

banche (ad esempio: società finanziarie, compagnie di assicurazione, case da gioco, ecc.; e

v., per un’ipotesi di fido concesso da una casa da gioco ad un proprio cliente, la fattispecie

decisa da Comm. trib. centr., 11 luglio 1995, n. 2858, in Corriere trib., 1995, pag. 3311;

nonché per quella di fido concesso da una compagnia di assicurazioni, Pret. Roma, 10

maggio 1984, Soc. Cagi c. Soc. Italiana Assicurazioni Crediti , in Temi romana, 1985,

pag. 610).

4 E piace qui rammentare il chiaro monito di V. SCIALOJA, Diritto pratico e diritto

teorico, in Riv. dir. comm., 1911, I, pag. 941, il quale sottolineava con vigore la necessità,

per il giurista, di ricongiungere compiutamente teoria e pratica; e v. anche le chiare pagine

di P. PERLINGIERI, Produzione scientifica e realtà pratica: una frattura da evitare, in Riv.

dir. comm., 1969, I, pagg. 455 segg., e di S. PUGLIATTI, La giurisprudenza come scienza

pratica, in Riv. it. scienze giur., 1950, pagg. 50 segg.. E cfr. anche G. ALPA, Prassi, in

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CAPITOLO PRIMO

LA NOZIONE DI FIDO BANCARIO

SOMMARIO: 1. La necessità di individuare una nozione di fido bancario: le

insoddisfacenti e riduttive equiparazioni operate in dottrina tra il concetto di “fido”, da

un lato, e le nozioni di “credito”, “prestito” ed “apertura di credito” dall’altro. La

necessità di giungere ad una inequivoca nozione di fido bancario, ai fini della corretta

applicazione delle regole che governano l’attività di impresa bancaria e della necessaria

distinzione tra l’area della decisione di concedere fido e l’area dell’attuazione

contrattuale di tale decisione. Il percorso di indagine proposto. – 2. Il fido come generale

parametro di rischio nella disciplina prudenziale dell’attività bancaria: l’evoluzione

legislativa e regolamentare del concetto di fido bancario: dalle ristrette interpretazioni

offerte nella vigenza della legge bancaria del 1926 alle successive definizioni di più ampia

portata contenute nelle Istruzioni di vigilanza. L’attività creditizia degli istituti di credito

speciale e la ritardata ricomprensione della stessa nel concetto di fido. L’evoluzione

attuale susseguente all’ampliamento dell’operatività bancaria ed alla normativa

comunitaria in materia di “grandi fidi”: la scomparsa del termine “fido” nell’àmbito

delle odierne Istruzioni di vigilanza ed il ruolo centrale assunto dal concetto di “rischio”.

Il fido come generale “parametro” di rischio nella disciplina prudenziale dell’attività

bancaria; le componenti di rischio rilevanti ai fini della regolamentazione: il rischio

creditizio (attuale e potenziale) e le altre “attività” di rischio dell’impresa bancaria. Partiti da una configurazione concettuale in cui l’area del fido rappresentava una parte

limitata dell’area del credito, si è approdati oggi ad una configurazione opposta, in cui è

l’area del credito a costituire una parte limitata dell’area del fido. I risultati raggiunti;

alcuni corollari. – 3. Fido bancario e contratti di credito: il differente atteggiarsi delle

discipline. La rilevanza dell’“atto” del soggetto nella disciplina del contratto di credito e

la più generale rilevanza dell’“attività” (imprenditoriale) della banca nella disciplina

dell’affidamento. L’inesistenza della figura del “contratto di fido”. La fondamentale

distinzione sistematica tra il momento della decisione di concedere fido, il successivo

momento dell’attuazione (contrattuale) di tale decisione, ed infine il momento dell’utilizzo

del fido. Rinvio.

Contratto e impresa, 1994, pagg. 1374 segg.; S. MACCARONE, Premessa a ID., Le

operazioni della banca tra norme e prassi, Milano, 1988, pagg. 9 segg..

5 La cui moderna rilevanza appare quasi superfluo sottolineare; e v., per tutti:

AA.VV., Interpretazione giuridica e analisi economica, a cura di G. Alpa, F. Pulitini, S.

Rodotà, F. Romani, Milano, 1982, passim; P. BARCELLONA, Diritto privato e processo

economico, Napoli, 1973, passim; e già V. PALAZZOLO, Contributo allo studio dei

rapporti tra economia e diritto, Roma, 1960, passim; nonché, proprio nel settore che qui

rileva, P. FERRO-LUZZI, Lezioni di diritto bancario, Torino, 1995, passim.

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1. La necessità di individuare una nozione di fido bancario.

Nell’àmbito della moderna realtà economica, ove la prassi ha nel

tempo configurato molteplici “forme” di utilizzo del credito bancario e la

tecnica ha individuato e classificato gli impieghi della banca secondo

molteplici, possibili profili1 , l’uso corrente del termine “fido” (o

“affidamento”) si è costantemente rivelato, almeno per il giurista, fortemente

generico, quand’anche ambiguo.

Peraltro, è agevole rilevare come il termine “fido” non venga

impiegato esclusivamente in contesti tecnico-operativi, ma sia possibile, e da

tempo, riscontrarlo nell’àmbito di numerose applicazioni giurisprudenziali.

Nonché nell’àmbito di contesti normativi e regolamentari che dovrebbero

implicare, a monte, al fine di una puntuale e corretta attuazione delle

disposizioni stesse, quantomeno una messa a fuoco della nozione: ci

riferiamo, ad esempio, alla normativa contenuta nell’abrogata Legge

bancaria del 1936 (r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375; di seguito: L. Banc.), ove

era possibile riscontrare il termine “fido” in molteplici disposizioni (e cfr.:

art. 32, I comma, lett. h; art. 35, II comma, lett. b; art. 35, II comma, lett. c;

art. 37, II comma); ovvero, egualmente, alla normativa secondaria contenuta

nelle Istruzioni emanate dalla Banca d’Italia2; nonché, sempre

1 Com’è noto, la prassi operativa bancaria ha creato numerose forme tecniche di

“utilizzo” del credito, corrispondenti poi a specifiche fattispecie negoziali, sia tipiche che

atipiche. Esistono infatti molteplici modelli contrattuali di credito assolutamente

differenziati tra loro: per struttura giuridica, grado di rischiosità, modalità operative, poteri

nella concessione del credito, ecc. La nomenclatura delle differenti forme tecniche è poi

pressoché illimitata, così come peraltro l’articolazione delle linee di credito conosciute

nella prassi assume contorni assai differenziati da banca a banca. Non è qui possibile, né

sarebbe per i nostri fini di una qualche utilità, tentare un’elencazione delle diverse

tipologie; si rinvia pertanto a quelle opere sistematiche di tecnica bancaria che effettuano

elencazioni e classificazioni delle forme tecniche: e cfr., per tutti: L. FILOSTO, Corso di

tecnica bancaria, II, La banca nel suo sistema operativo, Milano, 1961, pagg. 239 segg.;

T. BIANCHI, I fidi bancari, cit., passim.

2 Sulla natura giuridica delle Istruzioni di vigilanza emanate dalla Banca d’Italia,

cfr., tra gli altri, precedentemente all’entrata in vigore del Testo Unico del 1993: G.

MOLLE, La banca nell’ordinamento giuridico italiano, IIª Ediz. a cura di F. Maimeri,

Milano, 1987, pagg. 294 segg.; G. RUTA, Lineamenti di legislazione bancaria, Roma,

1965, pagg. 214 segg.; C.M. PRATIS, La disciplina giuridica delle aziende di credito,

Milano, 1959, pagg. 118 segg.; G. SANGIORGIO, Le Autorità creditizie e i loro poteri, in

Quaderni di ricerca giuridica, a cura della Consulenza legale della Banca d’Italia, n. 27,

Roma, 1992, pagg. 60 seg.; V. BACHELET, L’attività di coordinamento

nell’amministrazione pubblica dell’economia, Milano, 1957, pagg. 182 segg.; L.

ALIBRANDI, Istruzioni impartite a norma dell’art. 32 della Legge bancaria, efficacia

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esemplificativamente, all’art. 137, II comma, del più recente Testo Unico

delle leggi in materia bancaria e creditizia (decr. lgs. 1º settembre 1993, n.

385; di seguito: T.U.L.Banc.), norma, quest’ultima, avente peraltro natura

penale3.

Come appena rilevato, l’esatta focalizzazione del concetto di fido

bancario, in assenza del sussidio definitorio da parte del legislatore4, si è da

scriminante e limiti, in AA.VV., I controlli bancari, Atti del Convegno di Camogli del

12-14 maggio 1977, Napoli, 1978, pagg. 117 segg..

Vale da subito sottolineare che oggi, ai sensi dell’art. 4, I comma, T.U.L.Banc., la

Banca d’Italia, nell’esercizio delle proprie funzioni di vigilanza, “emana regolamenti, nei

casi previsti dalla legge, impartisce istruzioni e adotta i provvedimenti di carattere

particolare di sua competenza”.

Risulta così significativamente modificata la precedente normativa attraverso un

espresso riconoscimento del potere dell’Organo di vigilanza di emanare, oltre alle

Istruzioni (ma comunque soltanto negli specifici casi previsti dalla legge), anche dei

regolamenti. La differenza sostanziale tra regolamenti ed Istruzioni risiede poi nel fatto

che, mentre i primi hanno contenuto ed efficacia normativi, la loro violazione incidendo

sulla validità degli atti compiuti dalle banche con i terzi, le Istruzioni posseggono invece

natura e carattere di atto amministrativo, anche quando, per le loro peculiarità, vengano ad

assumere le caratteristiche del provvedimento plurimo o generale; con allora la

conseguenza che “la loro violazione non incide sui rapporti con i terzi, anche se potrebbe

essere decisiva per qualificare come colposa, ai fini della disciplina della responsabilità,

la condotta della banca. Il che non toglie, ovviamente, che le Istruzioni di vigilanza

vincolino quest’ultima ed anzi, il loro contenuto ha normalmente le caratteristiche

dell’ordine o del divieto (e non di direttiva), rimanendo, pertanto, esclusa ogni autonomia

del destinatario” (così, puntualmente, R. COSTI, L’ordinamento bancario, IIª Ediz., 1994,

pag. 101). E v. anche infra, cap. II, par. 8.

3 Vale peraltro sottolineare come il Testo unico, per riferirsi al credito bancario, usi

il termine “fido” soltanto nell’àmbito dell’art. 137, II comma, adoperando altrove diverse

locuzioni, tutte differenti tra loro (ad esempio, si parla di: “operazioni di prestito” all’art.

1, II comma; di “esercizio del credito” agli artt. 10, I comma, 35, I comma, 121, II comma;

di “operazioni di impiego” all’art. 35, II comma; di “concessione di finanziamenti” agli

artt. 38, 42, 43 e 46; di “operazioni di credito” all’art. 45, I comma; di “erogazione di

finanziamenti” all’art. 47; di “concessione di credito” agli artt. 53, IV comma, 121, I

comma, e 137, I comma; di “operazioni di finanziamento” all’art. 136, II comma; di

“impieghi in essere” all’art. 150, V comma; di “facilitazione finanziaria” all’art. 121, I

comma); e per qualche utile puntualizzazione concettuale, prima ancora che

terminologica, proprio nell’àmbito dell’attuale Testo unico, cfr. P. FERRO-LUZZI, Lezioni

di diritto bancario, cit., pagg. 90 segg.; ID., Nozione di attività bancaria, in AA.VV., La

nuova legge bancaria. Il T.U. delle leggi sulla intermediazione bancaria e creditizia e le

disposizioni di attuazione. Commentario, a cura di P. Ferro-Luzzi e G. Castaldi, I, Milano,

1996, pagg. 222 segg..

4 Rileva comunque F. VELLA, L’esercizio del credito, Milano, 1990, pag.142, che

una rigida definizione del termine “fido” non sarebbe stata peraltro funzionale alle reali

finalità perseguite dal legislatore ed avrebbe forse finito per comportare un’eccessiva

limitazione alla necessaria discrezionalità degli Organi di vigilanza. E ritornano poi in

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sempre rivelata disagevole per gli interpreti – spesso portati a generiche ed

inespressive visioni di coincidenza con le figure del “credito”5 o del

mente, su di un piano più generale, le note teorie di Salvatore Pugliatti sui pericoli insiti

nell’attività definitoria del legislatore (v., tra i molti scritti in punto: S. PUGLIATTI, La

proprietà nel nuovo diritto, Milano, rist. 1954, pagg. 124 segg.; ID., Aspetti nuovissimi di

tecnica legislativa, in Studi in onore di F. Santoro-Passarelli, III, Napoli, 1973, pag. 875;

ID., Il trasferimento della situazione soggettiva, I, Milano, 1964, pag. 11), sulla quale cfr.

anche A. BELVEDERE, Il problema delle definizioni nel codice civile, Milano, 1977; G.

TARELLO, L’interpretazione della legge, Milano, 1980; senza peraltro dimenticare le molte

e suggestive pagine di Tullio Ascarelli (ad esempio: T. ASCARELLI, Norma giuridica e

realtà sociale, in Diritto dell’economia, 1955, pagg. 1179 segg.).

5 La dottrina si è in effetti spesso limitata ad evidenziare il carattere di

“massimale” (del credito) che riveste il fido (cfr., spec.: F. MESSINEO, Contenuto e

caratteri giuridici dell’apertura di credito, in Riv. dir. comm., 1925, I, pagg. 118 segg.

[ivi, a pag. 119], ed ora in Operazioni di borsa e di banca. Studi giuridici, IIª Ediz.,

Milano, 1954, pagg. 333 segg. [ivi, a pag. 335], da cui si citerà in prosieguo; V.

SALANDRA, Manuale di diritto commerciale, IIª Ediz., Bologna, 1953, pag. 96), ovvero,

ancor più genericamente, l’aspetto lato sensu “creditizio” del fenomeno (e cfr. C.M.

PRATIS, La disciplina giuridica delle aziende di credito, cit., pag. 222; L. FILOSTO, Corso

di tecnica bancaria, II, La banca nel suo sistema operativo, cit., pag. 236, secondo il quale

“dicesi fido il credito che una banca accorda comunque ad un nominativo”; D.L. SPEDALE,

L’affidamento bancario, cit., pag. 25; e v. anche G. FERRI, voce “Castelletto”, in Enc. del

dir., VI, Milano, 1960, pag. 467, che adopera i termini “fido” e “credito” in senso del tutto

ambivalente), senza però essere mai scesa alla verifica di quali siano le (singole)

componenti creditizie considerate “ammesse” (ed allora in quale ottica di disciplina) alla

formazione di un fido. G.C.M. RIVOLTA, Documentazione e prova degli affidamenti

bancari, in Banca borsa, tit. cred., 1989, I, pagg. 352 segg., analizzando il concetto di

“concessioni di fido” (art. 37, II comma, L. Banc.) e le Istruzioni della Banca d’Italia in

punto di tenuta del libro dei fidi non analizza quali siano le possibili componenti che

possono formare un fido, chiarendo però (pagg. 356 seg.) che gli affidamenti concernono

“tutte le concessioni di credito, siano esse da attuare poi mediante schemi negoziali tipici,

oppure mediante schemi negoziali (legislativamente) atipici”. In senso sostanzialmente

analogo, seppur più riduttivo, v. già P. GRECO, Le operazioni di banca, Padova, 1931, pag.

185, secondo il quale: “si intende per fido ogni operazione attiva di credito, sia che

implichi dazione immediata di somme, sia che implichi solo impegno di messa a

disposizione del debitore di una data somma, prelevabile in una o più volte ed entro un

certo periodo di tempo”.

Quanto detto, peraltro, senza qui poi diffonderci sul delicato aspetto relativo

all’esatta configurazione del concetto di “credito”, nelle diverse possibili prospettive

(diritto di credito ed attività di credito) ed esperienze (giuridica ed economica); né, almeno

per il momento, scendendo ad analizzare la nozione giuridica di “finanziamento”,

probabilmente non coincidente con quella (più ampia) di credito ed essenzialmente

relativa al credito caratterizzato da un vincolo di utilizzo delle somme (v. infra, cap. III,

par. 6) da parte del finanziato (e sull’aspetto da ultimo delineato, cfr.: F. VELLA,

L’esercizio del credito, cit., pag. 143; S. ALAGNA, Contratti bancari di intermediazione

creditizia. Aperture di credito. Finanziamenti, Milano, 1984, pag. 134, e passim; R.

CLARIZIA, voce “Finanziamenti (diritto privato)”, in Noviss. Digesto it., Append. III,

Torino, 1982, pagg. 754 segg.; ID., La causa di finanziamento, in Banca, borsa, tit. cred.,

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“prestito”6, ovvero ad inaccettabili equiparazioni con l’“apertura di credito”7

–, risultando in effetti assai difficoltosa l’individuazione di una precisa e non

1982, I, pagg. 580 segg.; ID., I contratti di finanziamento, Torino, 1989, pagg. 28 segg.; M.

FRAGALI, voce “Finanziamento (diritto privato)”, in Enc. del dir., XVII, Milano, 1968,

pagg. 605 segg.; ID., Il mutuo di scopo, in Banca, borsa, tit. cred., 1961, I, pagg. 471

segg.; G. COLLURA, Finanziamento agevolato e clausola di destinazione, Milano, 1986,

passim; G. CONSOLO, Aspetti pubblicistici e privatistici del mutuo di scopo, Padova, 1990;

V. ALLEGRI, Credito di scopo e finanziamento bancario delle imprese, Milano, 1984,

passim; A. ZIMATORE, Il mutuo di scopo. Problemi generali, Padova, 1985, passim; M.

RISPOLI FARINA, Il mutuo di scopo, in Tratt. di dir. priv., diretto da P. Rescigno, 12,

Torino, 1985, pagg. 690 segg. (spec. pagg. 696 segg.); N. CORBO, Autonomia privata e

causa di finanziamento, Milano, 1990, passim; G. FAUCEGLIA, Il contratto di

finanziamento assistito da agevolazione, Milano, 1985, passim; R. PERCHINUNNO,

Funzione creditizia e fine convenzionale. Contributo allo studio del mutuo di scopo,

Napoli, 1988, passim; ID., Il mutuo di scopo, in AA.VV., I contratti del commercio,

dell’industria e del mercato finanziario, a cura di F. Galgano, I, Torino, 1995, pagg. 659

segg.; D. LA ROCCA, La qualità dei soggetti e i rapporti di credito, Napoli, 1992, passim).

6 Come anche puntualmente rilevato da F. VELLA, L’esercizio del credito, cit., pag.

142, nota 12, si può assistere talora anche ad una equiparazione del concetto di fido a

quello di prestito (e v., ad esempio, E. COLAGROSSO e G. MOLLE, Diritto bancario.

Soggetti. Titoli. Negozi giuridici, IIª Ediz., Roma, 1960, pagg. 344 seg.). Per una corretta

critica a tale limitativa visione v. G. DELL’AMORE, Economia delle aziende di credito, I, I

prestiti bancari, cit., pag. 195, per il quale: “la distinzione fra i fidi e i prestiti bancari

appare vieppiù evidente allorché una data azienda, dopo aver ottenuto un fido, di fatto non

approfitta della concessione: la promessa di credito-prestito potenziale non si trasforma

allora in finanziamento effettivo”, aggiungendo, poi, che “nell’aspetto economico-tecnico,

il fido si identifica con qualunque concessione di credito bancario, a prescindere dalla

garanzia che l’assiste”. Analogamente orientato, A. FORMIGGINI, Attività bancaria illecita,

in Riv. dir. civ., 1960, II, pagg. 251 segg., per il quale il concetto che interessa non può

certo ridursi, nell’ottica dell’attività bancaria, al “prestito oneroso a terzi”; e v. anche, in

senso conforme: L. GUIDI, I crediti di firma, Quaderno della Banca Toscana, n. 9, Firenze,

1984, pag. 11.

7 In effetti, molto spesso, il termine “fido” viene confusivamente equiparato a

quello di “apertura di credito”.

Cfr., ad esempio, in tal senso, P. SARACENO, Le operazioni bancarie, Milano,

1957, pag. 126, secondo il quale: “qualsiasi impegno assunto da una banca di lasciare a

disposizione del cliente una somma, di assumere per suo conto un’obbligazione o di

garantirla, viene denominato, nella comune pratica bancaria, apertura di credito. Tutte le

operazioni attive, ad eccezione degli impieghi in titoli ed in immobili, nonché tutte le

operazioni di credito di firma, cioè ogni operazione che implica la valutazione del credito

che può essere attribuito ad un terzo, del rischio che può essere assunto nei suoi confronti,

hanno all’origine un’apertura di credito, o, come anche si dice, la concessione di un fido”.

E v. anche, tra i tanti, per la sovrapposizione: S. SOTGIA, Dei contratti bancari, in

Commentario al cod. civ., diretto da M. D’Amelio e E. Finzi, II, 2, Firenze, 1949, pag.

138; V.M. TRIMARCHI, Considerazioni in tema di apertura di credito bancario, in Banca,

borsa, tit. cred., 1958, I, pag. 320; Gio. TARZIA, Gli usi di banca nella Raccolta camerale

milanese, in Banca, borsa, tit. cred., 1990, I, pag. 113; nonché, S. ALAGNA, Contratti

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bancari di intermediazione creditizia, cit., passim (spec., pagg. 26 segg., il quale però si

“ravvede” a pag. 90); G. FERMO, Fido irregolare e peculato per distrazione, in AA.VV., I

controlli bancari, cit., pag. 243, secondo il quale “il cosidetto fido bancario si allinea al

contratto di apertura di credito”, e, sostanzialmente, anche F. GIORGIANNI, I crediti

disponibili, Milano, 1974, pag. 239, nota 3, secondo il quale (e citando N. GARRONE, La

scienza del commercio, II, 2, 1, Milano, 1925, pagg. 171 segg.), “sotto il profilo tecnico,

l’espressione ‘apertura di credito’, in generale, equivale a concessione di credito, ovvero

impegno della banca di concedere credito ad una determinata persona, quali che siano poi

in concreto i modi di utilizzo del credito” e “pertanto, l’espressione apertura di credito,

usata genericamente come ‘concessione di credito’, può ricomprendere anche, tanto il c.d.

contratto di ‘fido bancario’, quanto altri eventuali accordi che precedono operazioni di

credito di diverso tipo”, affermando poi, in un senso non completamente a noi chiaro

(almeno sul piano terminologico), che “occorre pertanto avvertire che nella prassi bancaria

si assiste ad una pluralità di contratti di c.d. apertura di credito, i quali, seppure danno tutti

vita ad operazioni di concessione di ‘fido’, comportano diverse obbligazioni per la banca

sul modo di utilizzazione del fido stesso e quindi, configurano, forse, differenti contenuti

negoziali”.

In arg., v. anche F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, IIª Ediz., Napoli, 1990,

pag. 1117, il quale, puntualmente, rileva la frequente equiparazione terminologica; così

pure: M. SPINELLI e G. GENTILE, Diritto bancario, IIª Ediz., Padova, 1991, pag. 236.

M. PORZIO, Il conto corrente bancario, il deposito e la concessione di credito, in

Tratt. di dir. priv., diretto da P. Rescigno, 12, Torino, 1985, pagg. 918 segg., sottolinea poi

la necessità di una precisa distinzione concettuale tra fido e singole ipotesi contrattuali: in

particolare tra fido ed apertura di credito, rilevando, in proposito, che “una distinzione

non accurata dei due concetti ha portato, a volte, giurisprudenza e dottrina a confusioni ed

incertezze che occorre dissipare” (pag. 920). Ed a tal riguardo, nel tracciato di Porzio, A.

PRINCIPE, I fidi irregolari. Profili civilistici, Napoli, 1990, pag. 16, rileva che “l’aver

pressoché identificato la concessione di fido con l’apertura di credito, o l’aver limitato il

concetto di fido all’ammontare globale del credito concesso al singolo soggetto, ha

comportato che l’attenzione degli interpreti si è rivolta esclusivamente allo studio della

nozione dei contratti disciplinati dal codice civile e dalla prassi bancaria”.

Sull’equiparazione, v. anche, in senso critico: F. VELLA, L’esercizio del credito, cit., pag.

142 seg.; G.C.M. RIVOLTA, Documentazione e prova degli affidamenti, cit., pag. 349.

E per alcune (non sempre corrette e lineari) applicazioni giurisprudenziali, v. ad

esempio, tra le tantissime pronunce: Trib. Bologna, 17 febbraio 1989, Banca del Monte di

Bologna e Ravenna c. Fallimento Borgo s.r.l., in Banca, borsa, tit. cred., 1990, II, pag.

228, con note di D. MEMMO, Utilizzazione dell’apertura di credito di firma ed estinzione

delle garanzie ad essa connesse, di I. MENGHI, Credito di firma e qualificazione del

contratto di apertura di credito; ed in Dir. banc., 1990, I, pag. 498, con nota di C.G.

CORVESE, Note sulla natura giuridica dell’apertura di credito per crediti di firma; Cass.

23 marzo 1994, n. 2786, Fallimento Borgo s.r.l. c. Carimonte, in Dir. fall., 1994, II, pagg.

916 segg., con nota di G. RAGUSA MAGGIORE, Apertura di credito di firma e posizione

della banca in sede di insinuazione al passivo fallimentare del debitore garantito; in Giur.

civ. comm., 1995, I, pag. 289, con osservaz. di P. BONTEMPI; ed in Dir. banc., 1995, I,

pagg. 245, con nota di S. BONFATTI, Crediti di firma individuali, aperture di credito per

crediti di firma e garanzie reali; Cass. 28 gennaio 1994, n. 866, Banco di Sicilia c.

Fallimento Zinelli e Perizzi s.r.l., in Banca, borsa e tit. cred., 1995, II, pag. 176, ed in Riv.

dir. comm., 1995, II, pag. 35; Trib. Cagliari, 7 gennaio 1985, Fallimento Biocosmital c.

Banca Nazionale del Lavoro, in Riv. giur. sarda, 1986, pag. 109.

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riduttiva nozione di fido; la quale peraltro, come vedremo, si è dimostrata, su

di un piano generale, costantemente in evoluzione e, comunque, mai

certamente “univoca”8.

Appare invece di fondamentale importanza individuare con precisione

cosa si intenda, dal punto di vista giuridico, per fido bancario, quale sia la

sua autonoma nozione; senza cedere alla facile tentazione di adagiarsi su più

agevoli parallelismi con figure già note. È peraltro evidente l’incongruenza,

quand’anche la pericolosità, dell’applicare una serie di regole disciplinanti

l’attività bancaria ad una figura giuridica “nominata” ma non

sufficientemente certa e definita.

Così com’è sicuramente rischiosa, sul piano questa volta del corretto

inquadramento del rapporto banca-cliente (e v. infra, cap. III) ogni

confusione concettuale tra l’area della “concessione” del fido (rectius: l’area

della decisione di concedere fido), come vedremo solo “interna” all’impresa

bancaria, e l’area dell’attuazione contrattuale di tale decisione, rilevante

questa volta all’esterno; confusione destinata inevitabilmente a permanere in

assenza di una puntuale messa a fuoco dei concetti.

Il problema della corretta individuazione della nozione (attuale) di

fido bancario non potrà comunque essere risolto, come spesso accade, che

soltanto attraverso una puntuale indagine intorno all’evoluzione delle

discipline (e delle relative interpretazioni) che hanno, tempo per tempo,

avuto ad oggetto la figura in esame.

2. Il fido come generale parametro di rischio nella disciplina prudenziale

dell’attività bancaria.

Più correttamente, invece, almeno in prevalenza, e tendenzialmente, la copiosa

giurisprudenza della Cassazione penale (ad esempio, tra le molte: Cass. pen. 21 marzo

1984, imp. Tonelli, in Riv. pen., 1985, pag. 372; Cass. pen. 6 marzo 1984, imp. Marchese,

in Giust. pen., 1984, II, pag. 720; Cass. pen. 29 maggio 1984, imp. Maragioglio, in Riv.

pen., 1985, pag. 618; Cass. pen. 22 novembre 1984, imp. Marazzi, ibidem, pag. 244; Cass.

pen. 23 ottobre 1984, imp. Cucco, ibidem, pag. 526; Cass. pen. 28 novembre 1984, imp.

Ricci, idem, 1986, pag. 124; Cass. pen. 23 gennaio 1981, imp. Pirchio, idem, 1981, pag.

749; Cass. pen. 27 ottobre 1987, imp. Ranieri, idem, 1982, pag. 638; Cass. pen. 10

febbraio 1982, imp. Pizzato, in Giust. pen., 1983, II, pag. 50; Cass. pen. 19 ottobre 1989,

imp. Corrada, in Riv. pen., 1991, pag. 222) la quale, in materia di reato di emissione di

assegno a vuoto, distingue costantemente tra “fido” ed “apertura di credito”, ritenendo

soltanto quest’ultima (convenzione negoziale vincolante per la banca e) idonea a

“costituire” la provvista necessaria per l’emissione di un assegno bancario.

8 Sulla difficoltà di “raccapezzarsi”, nell’ottica della problematica del fido, “con la

fitta giungla delle operazioni bancarie e con il gergo degli operatori”: G. COTTINO, Diritto

commerciale, II, 1, IIª Ediz., Padova, 1992, pag. 94.

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Relativamente a quello che sembra essere il primo, preciso riferimento

normativo alla figura del fido, contenuto nell’art. 16, I comma, r.d.l. 6

novembre 1926, n. 1830, e secondo cui “il fido che può concedersi da una

singola azienda di credito ad uno stesso obbligato non dovrà superare il

quinto del capitale versato e delle riserve”, venivano fornite interpretazioni

assai limitative del concetto.

Difatti, sulla scorta della Relazione dell’Ufficio Centrale del Senato al

Progetto di provvedimento che condusse alla citata norma1, giurisprudenza2

e dottrina3 escludevano espressamente dal concetto di fido i crediti assistiti

da garanzie reali, ammettendo, in altri termini, alla “formazione” di un fido,

soltanto i crediti c.d. personali4; con ciò peraltro escludendo implicitamente

dall’area del fido il credito a medio e lungo termine, tipicamente assistito da

garanzie reali e segnatamente ipotecarie.

Dopo alcune voci levatesi a favore di una ricomprensione nel concetto

di fido anche dei crediti assistiti da garanzie reali in genere5, ed intervenuta

la Legge bancaria del 1936, il Comitato dei ministri, quanto all’estensione

del concetto di fido, soggetto, in un’ottica di disciplina prudenziale, ai limiti

di cui all’originario art. 16 cit.6, stabilì che si sarebbe dovuto tener conto di

tutte le obbligazioni di qualsiasi natura, dirette od indirette, anche se solidali

o parzialmente assistite da garanzie reali, determinando poi una deroga di

carattere generale relativamente alle operazioni interamente garantite da

1 Relazione al r.d.l. 6 novembre 1926, pag. 2: “... si sarebbe dovuto precisare cosa

si intenda per fido, dovendosi naturalmente escludere sotto questo titolo gli impieghi che

hanno a sostegno una garanzia reale e ritenendosi per fido soltanto quello che è credito

personale” (i corsivi sono nostri). V., in punto, anche: C.M. PRATIS, La disciplina

giuridica, cit., pagg. 225 seg..

2 Trib. Perugia, 16 aprile 1929, Banca dell’Umbria, c. Cassa di Verona, in Foro it.,

1930, I, col. 214.

3 A. GRAZIANI, Disciplina legislativa del fido bancario, in Foro it., 1930, I, col.

214 seg..

4 Cfr. la Relazione al r.d.l. 6 novembre 1926, cit..

5 Cfr., principalmente, V. SALANDRA, Limiti del fido e nullità di operazioni

bancarie, in Foro it., 1930, I, col. 337 segg. (spec., col. 338); nonché A. DE GREGORIO, La

legislazione italiana sulla tutela del credito, in Riv. dir. comm., 1929, I, pagg. 18 segg..

6 Il Comitato dei ministri, in sede di prima applicazione della Legge bancaria del

1936, deliberò, nel corso della riunione del 5 settembre 1936 (in Gazz. Uff. 18 settembre

1936, n. 217), di confermare il criterio adottato dal precedente legislatore con l’art. 16 del

r.d.l. 6 novembre 1926, n. 1830, nel senso che le banche non potessero concedere fidi

eccedenti il quinto del loro patrimonio.

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ipoteca o da altre garanzie reali7. Questa deroga dimostrava peraltro

chiaramente come, in un’ottica ancora ampiamente tradizionale, le garanzie

reali (l’ipoteca, in particolare) continuavano a rappresentare un elemento di

certezza tale da indurre a considerare al di fuori della logica della

limitazione del rischio le posizioni integralmente assistite da garanzie di tipo

reale8.

Man mano però che nella realtà bancaria veniva sempre meno la

preminenza (almeno sul piano applicativo) delle garanzie reali rispetto a

quelle personali, assistendosi anzi ad una sostanziale inversione di

tendenza9, il concetto di fido si è andato ampliando sempre più, fino quindi a

ricomprendere anche quelle operazioni di credito integralmente assistite da

garanzie reali che, originariamente, ne erano escluse10.

Ed è così che, dalla metà degli anni settanta11, il fido (facente capo ad

un soggetto) viene definito dall’Organo di vigilanza, seguendo una

concezione particolarmente ampia, come ricomprendente “tutti i fidi (ed i

relativi utilizzi se superiori) di pertinenza di uno stesso nominativo, posti in

essere dall’azienda bancaria (comprese le filiali estere) siano essi fidi diretti

7 Cfr. anche P. D’ANGELO e M. MAZZANTINI, Trattato di tecnica bancaria, VIIª

Ediz., Milano, 1957, pag. 303; C.A. GIUSSANI, La disciplina del limite del fido, in

Bancaria, 1974, pag. 604 segg., ivi, a pag. 605.

8 E vale inoltre qui rilevare come anche l’art. 15 del r.d. 26 agosto 1937, n. 1706

(Testo Unico delle leggi sull’ordinamento delle casse rurali ed artigiane, modificato ed

innovato dalle leggi 4 agosto 1955, n. 707 e 28 novembre 1957, n. 1207, ed oggi abrogato

dall’art. 161, I comma, T.U.L.Banc.) avesse escluso, dall’àmbito del fido, le operazioni

assistite, in generale, da garanzie reali: “l’assemblea dei soci è tenuta a determinare ogni

anno il massimo del fido che la società può concedere ad uno stesso obbligato. A tale

effetto, le esposizioni dirette si sommano con quelle indirette. Non sono comprese nel

limite predetto le operazioni e le quote di esse assistite da garanzie reali” (corsivo

ovviamente nostro).

9 Ad esempio, alla metà degli anni ottanta, soltanto il cinque per cento circa dei

crediti a breve termine per importi pari ovvero superiori ai cinquanta milioni di lire era

assistito da garanzie reali (fonte: Banca d’Italia).

10 Ancora piuttosto di recente, si è peraltro affermato come “a stretto rigore, il

termine ‘fido’ dovrebbe designare, nella sua accezione più propria, soltanto quelle

operazioni che, come la locuzione stessa suggerisce, si fondano su di un rapporto

meramente fiduciario con il cliente e si identificano, secondo una terminologia altrettanto

diffusa, nelle così dette operazioni ‘allo scoperto’ (o assistite, tutt’al più, da garanzia

personale)”, così testualmente, G. CAVALLI, Contratti bancari su modulo e problemi di

tutela del contraente debole, Torino, s.d. (ma 1976), pag. 55. Per una critica a tale visione,

cfr. spec. F. VELLA, L’esercizio del credito, cit., pag. 142.

11 Per l’informazione: A.B.I., La legge bancaria e le altre norme essenziali in

materia creditizia, I, Parte generale, Xª Ediz., Roma, 1978, pag. 381.

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(sia per cassa che per firma) o indiretti, garantiti o non garantiti”12, con la

significativa precisazione che il cumulo è soggetto alla normativa in

12 Nell’accezione comunemente accolta (per tutti: D.L. SPEDALE, L’affidamento

bancario, cit., pagg. 25 segg.), il fido “diretto” è quello concesso direttamente al cliente;

mentre per fido “indiretto” si intende il fido concesso al garante (del cliente affidato) con

l’accoglimento della garanzia prestata.

Inoltre, nell’àmbito dei fidi “diretti”, il fido “per cassa” è rappresentato da

quell’affidamento che si sostanzia in un rapporto implicante “erogazione” di denaro da

parte della banca; mentre il fido “di firma” è rappresentato da quell’affidamento in cui la

banca assume, per conto del cliente, un impegno verso terzi, rilasciando quindi una propria

garanzia personale. E sull’importante segmento dei fidi di firma, cfr., in generale: T.

BIANCHI, Le banche di deposito, IIª Ediz., Torino, 1975, pagg. 263 segg.; L. GUIDI, I

crediti di firma, cit., passim; G. MARCHESINI, voce “Credito di firma” in Enc. della banca

e della borsa, V, Roma, 1972, pagg. 704 segg.; S. DE ANGELI, I crediti di firma, Milano,

1968, passim; ID., I crediti di firma nell’attività delle banche italiane: alcune

considerazioni, in Riv. mil. econ., 1988, (25), pagg. 94 segg.; Gia. DE MARCHI e M.

PETTOELLO, I crediti di firma, IIª Ediz., Milano, 1982, passim; C. PAPA, I crediti di firma

nei contratti internazionali, in Risparmio, 1983, pagg. 801 segg.; C. CACCIAMANI, Crediti

di firma e grandi banche: verso una nuova fase di sviluppo, in Bancaria, 1994, (9), pagg.

62 segg.; I. MENGHI, Credito di firma e qualificazione del contratto, cit.; nonché: C.G.

CORVESE, Note sulla natura giuridica dell’apertura di credito per crediti di firma, cit.; D.

MEMMO, Utilizzazione dell’apertura di credito di firma, cit.; S. BONFATTI, Note in tema di

crediti di firma (sostitutivi di cauzioni reali), in Banca, borsa, tit. cred., 1985, I, pagg. 92

segg.; ID., Apertura di credito per crediti di firma e garanzie reali, in Dir. banc., 1994,

pagg. 100 segg.; ID., Crediti di firma individuali, cit.; G. RAGUSA MAGGIORE, Apertura di

credito di firma, cit.; ed anche S. ALAGNA, Contratti bancari di intermediazione, cit., pag.

82, nota 200; nonché, in giurisprudenza, Trib. Bologna, 17 febbraio 1989, cit.; App.

Bologna, 27 giugno 1991, Banca del Monte di Bologna e Ravenna c. Fallimento Borgo

s.r.l., in Dir. banc., 1994, I, pag. 94; Cass. 23 marzo 1994, n. 2786, cit..

Nell’àmbito dei crediti di firma si fanno rientrare solitamente anche le c.d.

“accettazioni bancarie”, strumenti creditizi apparsi in Italia all’inizio degli anni settanta,

sui quali vedi, per la dottrina giuridica, principalmente: G.L. PELLIZZI, Le accettazioni

bancarie, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, I, pagg. 992 segg.; ID., Accettazioni bancarie,

idem, I, 1978, I, pagg. 130 segg.; P. FERRO-LUZZI, Le accettazioni bancarie, in Impresa

comm. ind., 1981, pagg. 1740 segg.; B. LIBONATI, voce “Accettazioni bancarie. Diritto

commerciale”, in Enc. giur. Treccani, I, Roma, 1988, pagg. 1 segg.; M.V. COZZI, Le

accettazioni bancarie e il finanziamento all’impresa, in Rass. dir. civ., 1985, pagg. 379

segg.; F. CAPRIGLIONE, Accettazioni bancarie, in Banca, borsa, tit. cred., 1978, I, pagg.

152 segg.; A. BELLACOSA, Le accettazioni bancarie, in AA.VV., La raccolta non bancaria

del risparmio tra il pubblico, a cura di G. Fauceglia, Torino, 1996, pagg. 53 segg.; E.

SPANO, voce “Accettazione bancaria”, in Diz. del dir. priv., a cura di N. Irti, 3. Diritto

commerciale e industriale, a cura di U. Carnevali, cit., pagg. 1 segg.; AA.VV., Operazioni

anomale di finanziamento con emissione di titoli. Recente evoluzione della prassi, a cura

di B. Libonati e G. Visentini, Milano, 1980, passim; M. SPINELLI e G. GENTILE, Diritto

bancario, cit., pagg. 495 segg.; M. BUSSOLETTI, L’iscrizione in bilancio delle accettazioni

bancarie, in Riv. soc., 1981, pagg. 154 segg.; nonché, in un’ottica aziendalistica,

principalmente: S. CORALLINI, Le accettazioni bancarie, Milano, 1979, passim; P. PISONI

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questione “anche nel caso in cui esso sia costituito esclusivamente da

posizioni assistite interamente da garanzie reali, ovvero da soli fidi

indiretti”13.

L’ampliamento nel tempo del concetto di fido, nella sua ormai

evidente configurazione di oggetto di regole prudenziali, trova poi una

conferma anche dall’esame della disciplina relativa al particolare comparto

degli istituti di credito speciale, operanti tipicamente nel medio e lungo

termine, attraverso poi l’acquisizione di garanzie reali.

Originariamente svincolati dall’osservanza della disciplina sul fido,

anche detti istituti vennero dalla legge (art. 14, legge 10 febbraio 1981, n.

23) sottoposti all’obbligo della tenuta del libro fidi14 (risultando

probabilmente già allora sottoposti alla disciplina concernente le rilevazioni

della Centrale dei rischi15) e, sopratutto, obbligati ad osservare le Istruzioni

emanate dalla Banca d’Italia relativamente ai criteri per limitare la

concentrazione dei rischi16 17.

e L. PUDDU, L’“accettazione bancaria” come forma di finanziamento alle imprese,

Milano, 1977, passim.

13 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXIV, Sez. Iª,

Par. 1 (ediz. maggio 1985).

14 L’art. 14, legge 10 febbraio 1981, n. 23 (oggi abrogato: cfr. art. 161, I comma,

T.U.L.Banc.), affermava espressamente: “Agli istituti o enti che hanno per oggetto la

raccolta del risparmio a medio e lungo termine si applicano le disposizioni dei titoli V, VI,

VII e VIII del regio decreto legge 12 marzo 1936, n. 375, convertito con la legge 7 marzo

1938, n. 141 e successive modificazioni e integrazioni, ad eccezione di quelle contenute

negli artt. 32, 33 e 35. Gli istituti ed enti suddetti dovranno attenersi alle Istruzioni che la

Banca d’Italia comunicherà, confermemente alle deliberazioni del Comitato

interministeriale per il credito ed il risparmio, relativamente alle forme tecniche dei bilanci

e delle situazioni periodiche, nonché ai criteri per limitare la concentrazione dei rischi

(Omissis)”.

15 Rileva infatti F. CAPRIGLIONE, Commento all’art. 32, L. Banc., in Cod. comm.

della banca, a cura di F. Capriglione e V. Mezzacapo, Milano, 1990, pagg. 374 segg., ivi,

a pag. 382, che: “un falso problema potrebbe derivare, invece, dall’interpretazione dell’art.

14 della legge n. 23 del 1981, qualora in detta statuizione si ravvisasse una volontà tesa ad

escludere gli istituti di credito speciale dal servizio centralizzato dei rischi. Ogni dubbio in

proposito viene meno ove si consideri che la normativa sulla Centrale trova applicazione

nei confronti degli istituti in parola sulla base del disposto dell’art. 42 l.b. (che dà la facoltà

all’Organo di vigilanza di chiedere ai medesimi ‘l’esibizione di tutti i documenti’) e non

anche, come per gli altri enti creditizi, ai sensi dell’art. 32, lett. h”.

16 È qui peraltro interessante rilevare come l’esigenza di una disciplina prudenziale

dell’attività di credito posta in essere dagli istituti non fosse avvertita più di tanto

nell’ottica tradizionale, ove si tendeva a tenere nettamente distinto (ai fini

dell’applicazione, o meno, delle regole di vigilanza) il credito speciale, caratterizzato dalla

presenza di una garanzia reale (segnatamente ipotecaria) come elemento strutturale –

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diremmo “necessario” e non tipicamente accessorio – del negozio creditizio, dal credito

ordinario, in cui non è tanto la garanzia ad indurre la banca a concedere credito, bensì

(almeno così dovrebbe) il potenziale economico e di redittività del soggetto richiedente.

Ed in proposito a quest’ultimo aspetto, sottolinea significativamente M. ONADO, Banca e

sistema finanziario, Bologna, 1982, pag. 135, che “la redditività (lorda) futura del debitore

è l’elemento fondamentale (...), quanto più la banca presta ad imprese con prospettive di

profitto adeguate al flusso di rimborsi da effettuare e quanto più i risultati effettivi si

rivelano vicini a quelli attesi, il rischio risulta minimizzato (...). Per la singola banca il

problema fondamentale è dunque quello di rendere quanto più efficienti possibili i metodi

di selezione della clientela e di valutazione dell’affidabilità. Ne discende

fondamentalmente che, per dato flusso di rimborsi richiesto al debitore, il rischio non

dipende né dalla struttura tecnica del prestito, né dal tipo di garanzie offerte”, e v. anche

alle pagg. 256 segg.; e v. pure C.A. CIAMPI, Discrezionalità nell’orientamento del sistema

creditizio e tutela dell’imprenditorialità bancaria, in Bancaria, 1981, pagg. 342 segg..

Secondo R. MATTIOLI, Il ruolo del capitale finanziario, in Il capitalismo italiano del

Novecento, a cura di L. Caracciolo, Bari, 1972: è poi “il rimborso che definisce la natura

del credito anche se conferma a posteriori che la fonte di rimborso è stata quella prevista al

momento della concessione del credito. Paradossalmente, potrebbe dirsi che l’estinzione

del fido è ciò che ne rivela la qualità nativa”.

In ordine alla irrilevanza delle garanzie offerte nell’àmbito delle valutazioni

strumentali alla concessione del credito ordinario, v. anche F. CAPRIGLIONE, Stabilità delle

strutture finanziarie e affidabilità del prenditore di credito. In particolare: la

centralizzazione dei rischi, in AA.VV., La riforma della legge bancaria (temi e

prospettive), a cura di P. Abbadessa, Milano, 1984, pagg. 217 segg., ivi, a pag. 234, il

quale nota come “le stesse garanzie, che accompagnino le forme giuridiche

dell’affidamento, perdono (in parte) il loro significato in vista dell’atteggiamento che

ciascuna banca può tenere; e ciò dando la prevalenza (rispetto alla solvibilità che da esse è

deducibile) ad elementi (d’altro genere) che, fiduciariamente considerati, inducono a

ritenere tecnicamente convenienti ed idonee talune erogazioni di credito. In altri termini, la

prestazione di garanzia si configura destinata ad incidere solo limitatamente in sede di

corretta formazione della volontà decisionale della banca, la quale conserva integro il suo

potere (discrezionale) di vagliare l’eventualità di perdite conseguenti alla concessione di

fido, indipendentemente dall’esistenza o no di quella; da qui il carattere particolare dello

schema valutativo da applicare in subiecta materia, nel quale l’utilizzo di ogni possibile

mezzo conoscitivo in ordine alla situazione economico-patrimoniale del cliente diventa

strumentale ad una operatività che si dispiega essenzialmente intuitu personae e, quindi,

può essere svincolata da fattori che, diversamente, assicurano il rischio d’incapienza”.

E sul project financing, finanziamento svincolato dalle logiche connesse

all’acquisizione delle tradizionali forme di garanzia, in cui il finanziatore entra nel

controllo della buona riuscita dell’operazione, parametrando il proprio intervento non

tanto alle capacità patrimoniali e finanziarie dell’affidato, quanto piuttosto al successo

dell’iniziativa, cfr. almeno: M. LOBUONO, Project financing, garanzie indirette e tutela del

finanziatore, in Quadrimestre, 1989, pagg. 102 segg.; M. MISCALI, Il project financing, in

AA.VV., I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, cit., I, pagg.

729 segg.; C.L. APPIO e V. DONATIVI, Project financing, in AA.VV., L’integrazione fra

imprese nell’attività internazionale, Torino, 1995, pagg. 199 segg.; G.L. RABITTI, Project

finance e collegamento negoziale, in Contratto e impresa, 1996, pagg. 224 segg., A.M.

BALESTRIERI, Il “soggetto promotore” nel project financing, ibidem, pagg. 253 segg..

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Ora, il sorgere del fenomeno del fido – considerato quale fattispecie

regolamentata – nell’àmbito del solo credito ordinario, addirittura

considerando originariamente rilevante soltanto il credito non assistito da

garanzie reali, ed il suo successivo estendersi fino a ricomprendere le

operazioni di credito garantite da pegno ed ipoteca, nonché poi anche le

operazioni svolte dagli istituti di credito, ci sembra riveli chiaramente come,

a fianco dell’avvertita opportunità di ricondurre nell’àmbito del concetto di

fido l’“esposizione” globale (effettiva o potenziale) di un soggetto (e v.

17 Del resto, poi, la coincidenza del fido (ai fini di una sua regolamentazione

prudenziale) con l’area del solo credito “ordinario” poteva trovare una sua giustificazione

in quell’ottica ricollegante il rischio al solo credito fondato sulla “fiducia” personale e

sulla preliminare valutazione sia delle capacità di reddito del cliente, che della sua

potenzialità economica. In effetti, come già accennato nella nota precedente, il credito

“speciale” appariva, almeno in quest’ottica, caratterizzato dalla presenza di una garanzia

(reale) come elemento strutturale – quasi necessario e non tipicamente accessorio – del

negozio di credito; mentre nel credito ordinario (se si esclude la particolare struttura

negoziale dell’anticipazione bancaria, ex art. 1846 segg. cod. civ., e comunque,

relativamente a questa, per altri effetti: e cfr. almeno A. PAVONE LA ROSA, Apertura di

credito garantita da pegno e anticipazione bancaria, in AA.VV., Le operazioni bancarie, a

cura di G.B. Portale, II, Milano, 1978, pagg. 567 segg.; A. CALTABIANO, L’anticipazione

bancaria, idem, pagg. 549 segg.; M. PORZIO, voce “Anticipazione bancaria”, in Enc. giur.

Treccani, II, Roma, 1988, pagg. 3 segg.; G. FERRI, voce “Anticipazione bancaria”, in Enc.

del dir., II, Milano, 1958, pagg. 523 segg.), non è tanto la garanzia offerta dal cliente a

caratterizzare il negozio di credito, non è la garanzia ad indurre la banca a concedere

l’affidamento, bensì, come detto, il potenziale di redittività economica del soggetto

richiedente. Il credito speciale assumerebbe, per così dire, il carattere di un credito

vincolato, di “destinazione” (e poi di stampo “pubblicistico”, almeno nell’agevolazione, a

sostegno di determinate iniziative economiche o sociali) ed è chiaro come, in questo caso,

l’effettiva difesa per la banca sarebbe rappresentata essenzialmente dalle garanzie reali

ricevute; laddove il credito ordinario sarebbe invece credito per così dire “libero”, ove la

banca valuta le potenzialità economiche del cliente e le sue capacità di “rientro” al termine

dell’affidamento, richiedendo così solo eventualmente delle garanzie.

Ed è sempre seguendo quest’ottica che potrebbe poi ulteriormente rilevarsi come,

mentre nel (la concessione del) credito vincolato la valutazione della banca assume un

carattere tipicamente “patrimoniale”, nel senso dell’art. 2740 cod. civ., cioè all’ente, per

concedere credito, interessi essenzialmente la consistenza patrimoniale del cliente

finanziato (patrimonio in genere e garanzie reali in particolare), nel credito ordinario la

valutazione verte non tanto sul patrimonio del richiedente l’affidamento, quanto, piuttosto,

sulle reali capacità economiche di questi di far fronte all’eventuale obbligo di restituzione.

Sembrandoci del resto piuttosto significativa la circostanza per la quale, mentre nel

credito speciale – in sintonia poi con il principio di cui all’art. 1817 cod. civ. – è

tipicamente presente un termine finale (dell’operazione), nelle più tipiche fattispecie di

credito ordinario questo termine manca, vigendo invece un sistema creditizio “a revoca” (e

sulla tipicità del sistema “a revoca” cfr. B. LIBONATI, Contratto bancario e attività

bancaria, estratto dagli Annali della Facoltà giuridica dell’Università di Camerino,

Milano, 1965, pag. 111), con ciò ben evidenziando, ci sembra, il carattere di necessaria

potenzialità economico-finanziaria dell’affidato.

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infra), vi fosse la fondamentale esigenza di ricomprendere sempre più nella

disciplina prudenziale ogni possibile rapporto di rischio proprio dell’impresa

bancaria, indipendentemente poi dal “livello” del rischio stesso.

Tale esigenza appare negli ultimi anni pienamente e definitivamente

confermata dalla costante che vede ogni provvedimento in materia volto a

ricomprendere – nel concetto di fido – sempre maggiori tipologie di attività

di rischio, anche corrispondenti a fattispecie finanziarie evolutesi di recente

e non rientranti nell’àmbito dell’attività bancaria per così dire classica; e ciò

peraltro in perfetta sintonia con l’introduzione, nel nostro ordinamento, del

gruppo bancario “polifunzionale” e del modello di banca “universale”18.

Così, ad esempio, nella Circolare della Banca d’Italia n. 16191, del 5

febbraio 198819, disciplinante i fidi a soggetti collegati ed a società

18 E sul profondo rinnovamento dei modelli operativi nell’ordinamento bancario

italiano, cfr. almeno, tra i tanti: AA.VV., Intermediazione finanziaria non bancaria e

gruppi bancari plurifunzionali: le esigenze di regolamentazione prudenziale, in Temi di

discussione, a cura del Servizio studi della Banca d’Italia, n. 113, Roma, 1989, passim

(spec. pagg. 167 segg.); AA.VV., La ristrutturazione della banca pubblica e la disciplina

del gruppo creditizio, in Quaderni di ricerca giuridica, a cura della Consulenza legale

della Banca d’Italia, n. 26, Roma, 1992; P. FERRO-LUZZI e P. MARCHETTI, Riflessioni sul

gruppo creditizio, idem, n. 31, Roma, 1993, ed oggi anche in Giur. comm., 1994, I, pagg.

419 segg.; F. BELLI, Teorie creditizie e legislazione bancaria: la “banca universale” e il

testo unico, in AA.VV., La nuova legge bancaria. Prime riflessioni sul testo unico in

materia bancaria e creditizia, a cura di M. Rispoli Farina, Napoli, 1995, pagg. 73 segg.;

ID., Direttive Cee e riforma del credito. Il decreto n. 481/92: prime riflessioni e materiali,

Milano, 1993; C. LAMANDA, Il gruppo bancario, idem, pagg. 231 segg.; Ricc. ALESSI, I

gruppi bancari, in AA.VV., La nuova disciplina dell’impresa bancaria, I, I soggetti e i

controlli, a cura di U. Morera e A. Nuzzo, Milano, 1996, pagg. 117 segg.; A. ARRIGONI,

Gruppo bancario e vigilanza regolamentare, Milano, 1996; G. LA ROCCA, Impresa e

società nel gruppo bancario, Milano, 1995; P. BIFFIS, La banca universale italiana, in

Risparmio, 1993, pagg. 1 segg.; G. MINERVINI, Banca universale e gruppo

plurifunzionale, in Dir. fall., 1991, I, pagg. 601 segg.; N. SALANITRO, Gruppo

polifunzionale e banca universale, ibidem, 1991, I, pagg. 581 segg.; P. SCHLESINGER, Il

gruppo plurifunzionale, in Riv. soc., 1988, pagg. 296 segg.; P.G. JAEGER e P. MARCHETTI,

Profili di disciplina del gruppo creditizio, in Quad. giur. dell’impresa, 1991, (1), pagg. 5

segg.; R. COSTI, La disciplina dei gruppi bancari, in Banca, impresa e soc., 1990, pagg.

346 segg.; ID. L’impresa bancaria dopo l’attuazione della seconda direttiva comunitaria,

idem, 1993, pagg. 41 segg.; F. DI SABATO, Il gruppo polifunzionale nella cooperazione di

credito: aspetti giuridici, in Banca, borsa, tit. cred., 1993, I, pagg. 417 segg.; F.

CASTIELLO, La riforma della legge bancaria. Profili pubblicistici, Torino, 1993; V.

SANTORO, Prime considerazioni sul concetto di ente creditizio e di attività bancaria nel

decreto legislativo 481/92, in Dir. banc., 1993, pagg. 389 segg.; G. DE NOVA, Le “altre

attività”; le operazioni di prestito e di leasing nell’attuazione della 2ª Direttiva, in Banca,

borsa, tit. cred., 1993, I, pagg. 429.

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partecipate, dopo aver ricompreso nella nozione di affidamento “ogni forma

di sostegno finanziario”, vengono espressamente individuate, nell’àmbito

della stessa, “le operazioni finanziarie e di factoring”, con assimilazione

delle stesse ai “fidi diretti ed indiretti riconducibili alle categorie di credito

censite dalla Centrale dei rischi”20.

Ovvero anche nella Raccomandazione della Commissione Cee del 22

dicembre 1986, relativa alla vigilanza ed al controllo amministrativo sui

grandi fidi delle banche21, ove il termine “fido” viene ad assumere, in

un’ottica assai ampia22, il significato di “qualsiasi finanziamento e garanzia

di un ente creditizio a favore di un cliente, o di un gruppo di clienti connessi,

utilizzati o non utilizzati, in o fuori bilancio”, ricomprendendo poi “gli

impegni attuali o eventuali che le rispettive autorità competenti considerano

rilevanti ai fini della valutazione del rischio identificabile di tale ente” (art. 1

della Raccomandazione), con la susseguente elencazione di una serie

indicativa di operazioni finanziarie “tipiche”, da considerare come rientranti

nel concetto di “fido”.

Secondo l’art. 1, lett. h, della Direttiva n. 92/121/Cee del 21 dicembre

1992 sulla vigilanza ed il controllo dei grandi fidi degli enti creditizi23, per

19 Emanata a seguito della Delibera C.I.C.R. del 10 marzo 1987 (e poi “trasfusa”

nell’àmbito delle Istruzioni di vigilanza), in Banca, borsa, tit. cred., 1988, I, pagg. 403

segg..

20 In argomento, cfr. F. BELLI, Uno strumento valido per l’intero sistema

creditizio, in Parabancaria, 1988, (2), pagg. 52 segg.; ID., Note a margine della nuova

normativa di vigilanza sul rapporto banca-industria, in Dir. banc., 1988, I, pagg. 489

segg. (ove, a pag. 491, si rileva che “l’impostazione della disciplina è coerente con le

scelte del gruppo bancario polifunzionale, il quale apre la strada ad un superamento di

fatto della definizione tradizionale dell’attività bancaria”); nonché F. VELLA, L’esercizio

del credito, cit., pagg. 141 segg., il quale sottolinea come, anche per quanto concerne i

crediti di firma, le autorità creditizie abbiano riconosciuto “la notevole espansione degli

interventi delle aziende di credito in operazioni che non si realizzano in esborsi di cassa,

ma nell’assunzione di impieghi a garanzia dell’adempimento di obbligazioni altrui ovvero

ad acquistare titoli che non hanno trovato collocazione sul mercato, o in taluni casi, alla

copertura di oscillazioni dei tassi di cambio”.

21 Raccomandazione della Commissione Cee n. 87/62 del 22 dicembre 1986, in

Cod. comm. della banca, cit., pagg. 2054 segg., con commento di P. CARINI e T.

RAGANELLI; sulla quale cfr., approfonditamente, F. CESARINI, La raccomandazione sui

grandi fidi, in AA.VV., Le direttive della C.E.E. in materia bancaria. Stato di attuazione e

riflessi sulla operatività del sistema italiano, a cura di F. Cesarini e S. Scotti Camuzzi,

Milano, 1991, pagg. 283 segg..

22 Sottolinea con efficacia l’“onnicomprensività” della nozione di fido offerta dalla

Raccomandazione comunitaria, anche F. CESARINI, La raccomandazione sui grandi fidi,

cit., pag. 284.

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“fidi” debbono poi intendersi tutte “le voci dell’attivo e le voci fuori bilancio

di cui all’articolo 6 o degli allegati I e III della Direttiva n. 89/647/Cee del

18 dicembre 1989 (...)”24.

E nella più recente regolamentazione emanata dalla Banca d’Italia in

attuazione della citata Direttiva n. 92/121 in materia di grandi fidi (e del

susseguente decreto del Ministro del Tesoro n. 242633 del 22 giugno

199325) vi è un definitivo manifestarsi delle tendenze sopraccennate: il

capitolo delle Istruzioni perde l’originario titolo “Limiti massimi dei fidi

concedibili”, assumendo significativamente quello di “Concentrazione dei

rischi”; scompare poi del tutto, nel testo, il termine “fido”, sostituito con

quello di “rischio”, così rendendo assolutamente evidente l’intenzione di

ricomprendere nella fattispecie disciplinata prudenzialmente tutte le

“attività” della banca riferibili ad un cliente, o, comunque, ad una

controparte26.

Le Istruzioni arrivano quindi a definire come “esposizione” la

“somma delle attività di rischio nei confronti di un cliente, così come

definite dalla disciplina del coefficiente di solvibilità”27. Rientrandovi

pertanto – oltre ai finanziamenti “in bilancio” (che danno luogo ad una

manifestazione finanziaria di cassa, riportati “sopra la linea”), caratterizzati

dall’assunzione da parte della banca di una posizione creditoria in senso

proprio, poi giuridicamente rilevante – anche tutte le attività di rischio “fuori

bilancio” (riportate pertanto “sotto la linea”) – crediti di firma e accettazioni

bancarie, aperture di credito non utilizzate, aperture di credito documentario

irrevocabili, lettere di credito stand by irrevocabili, operazioni collegate ai

23 In G.U.C.E., n. L 29, del 5 febbraio 1993; e v., per un commento, G. GODANO,

La legislazione comunitaria in materia bancaria, Bologna, 1996, pagg. 163 segg., ove

anche, in appendice, il testo normativo.

Per un commento della Proposta di Direttiva (presentata il 27 marzo 1991, in

G.U.C.E., n. C 23, del 9 maggio 1991, p. 18), v. G. PARRILLO, La nuova disciplina

comunitaria sui grandi fidi, in Rivista bancaria 1991, (6), pagg. 29 segg..

24 La Direttiva n. 89/647/Cee del 18 dicembre 1989, relativa al coefficente di

solvibilità delle banche, può leggersi in Cod. comm. della banca, cit., pagg. 2219 segg.,

con commento di C.M. D’ACUNTI; nonché in G. GODANO, La legislazione comunitaria,

cit., pagg. 301 segg..

25 Il testo del decreto può leggersi in Banca, borsa, tit. cred., 1993, I, pagg. 680

segg..

26 BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXIV (ediz.

ottobre 1993).

27 BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXIV, Sez. Iª

(ediz. ottobre 1993), e v. approfonditamente infra.

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tassi di interesse e di cambio (swaps e futures) – produttive quindi di un

mero impegno per la banca (senza assunzione di una posizione creditoria),

nonché poi le azioni, le obbligazioni ed i prestiti subordinati.

Tale esposizione “ponderata (...) in considerazione della natura della

controparte debitrice o delle eventuali garanzie acquisite” andrà allora a

costituire il concetto di “posizione di rischio”.

Alla luce di tutto quanto rilevato, appare ormai evidente come la

nozione di fido si sia evoluta – nella specifica prospettiva della

regolamentazione prudenziale dell’attività di impresa bancaria – ad un punto

tale da ricomprendere, accanto alle posizioni comportanti un rischio

creditizio in senso stretto – attuale o potenziale –, ogni altra possibile

“attività”, purché, naturalmente, riferibile ad una specifica controparte28.

Con il che, sotto il particolare profilo della rilevanza del rischio

creditizio, trova conferma la peculiarità della disciplina dell’attività di

impresa bancaria, nell’àmbito della quale, alle posizioni generanti in capo

alla banca un vero e proprio diritto di credito, vengono equiparate – ai fini

della regolamentazione prudenziale – quelle posizioni che producono in

capo alla banca soltanto un mero impegno di erogazione, con sorgere solo

eventuale di un diritto di credito; con allora conseguente equiparazione del

rischio attuale al rischio potenziale.

Mentre, su di un piano più generale, può ben rilevarsi come, partiti da

una configurazione concettuale in cui l’area del fido rappresentava una parte

limitata dell’area del credito, si è approdati oggi ad una configurazione

sostanzialmente opposta, in cui è l’area del credito a costituire una parte

limitata dell’area del fido; ciò che, del resto, conferma ancora una volta il

nuovo ruolo ormai raggiunto dalla banca, la cui attività di rischio non può

più di certo considerarsi limitata soltanto all’erogazione del credito, intesa

almeno in senso tradizionale (e v. l’art. 10, III comma, T.U.L.Banc.).

In definitiva, e per tirare quindi le fila del discorso, sembra possibile

concludere questa prima fase dell’indagine marcando alcuni risultati: a) il

termine fido ha da sempre espresso un concetto strumentale per

l’applicazione della disciplina dell’attività delle banche, costituendo, via via,

un parametro necessario ai fini dell’osservanza delle regole prudenziali

proprie dell’impresa bancaria; b) in questa prospettiva, il concetto di fido si

è costantemente evoluto nel tempo, in sostanziale parallelo all’evoluzione

propria dell’attività bancaria; c) tale evoluzione ha significato, in un primo

momento, l’estensione del concetto di fido a tutti i profili dell’attività

creditizia posta in essere dalle banche, così ricomprendendo (come detto: ai

28 È peraltro evidente come nella definizione di fido (rectius: rischio) non possano

essere ricomprese quelle attività che, per loro natura, pur rientrando nei parametri di

solvibilità, non siano riferibili a singole “controparti”, come, ad esempio, le attività

materiali ovvero la cassa.

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fini applicativi delle regole prudenziali) i crediti di ogni tipologia, diretti ed

indiretti, garantiti e non garantiti, attuali e potenziali; d) in un secondo

momento, ha significato poi la ricomprensione anche delle altre attività

comportanti un qualsiasi profilo di rischio per la banca29, purché riferite ad

una specifica controparte. Da quanto appena rilevato, ci sembra ulteriormente possibile ricavare

alcuni corollari: i) sul piano delle responsabilità connesse all’attività di

gestione della banca, la valutazione della diligenza non potrà più limitarsi

alla consueta verifica della prudenza e della correttezza nella concessione

del credito in prospettiva tradizionale, ma dovrà svolgersi anche sul distinto

terreno della verifica delle capacità e della perizia nel compimento delle

diverse operazioni di rischio oggi ricomprese nel concetto di fido, prima tra

tutte quella relativa all’assunzione di partecipazioni; con allora l’inevitabile

conseguenza che, accanto ai tradizionali parametri di valutazione

consolidatisi nel tempo30, dovranno acquisire rilevanza ulteriori parametri di

valutazione che tengano anche conto delle nuove professionalità e culture

oggi indispensabili per la gestione (ed il controllo) 31 della moderna impresa

29 Sui rischi bancari, per tutti: M. ONADO, Economia dei sistemi finanziari,

Bologna, 1992, pagg. 252 segg.; A.M. GIANNONI, L’andamento del grado di rischio

dell’attività bancaria, in, Contributi alla ricerca economica, n. 23, Banca d’Italia, Roma,

1983; G. DE LAURENTIS, Il rischio di credito, cit.; J.R.S. REVELL, Rischio e solvibilità

delle banche, cit.; M. ZOLLO, Il rischio creditizio, in AA.VV., La nuova legge bancaria.

Commentario, cit., II, pagg. 817 segg.; G. LUSIGNANI, La gestione dei rischi finanziari

della banca, Bologna, 1996, passim.

Sul rischio economico in genere, può ancora rinviarsi a: F. CHESSA, La teoria

economica del rischio e della assicurazione, I, Padova, 1929; ID., I rischi del credito e la

loro eliminazione, Roma, 1935; C. CASSOLA, Il rischio e la organizzazione dell’industria

moderna, Palermo, 1926; nonché, più di recente: F. DEZZANI, Rischi e politiche

d’impresa, Milano, 1971; S. SASSI, Il sistema dei rischi di impresa, Milano, 1974; U.

BERTINI, Introduzione allo studio dei rischi nell’economia aziendale, Milano, 1987; L.

GUATRI, La valutazione delle aziende, Milano, 1990; F. DI LAZZARO, Il rischio aziendale,

Milano, 1990.

30 Di criteri “canonici”, resi tali nel tempo dalla teoria e dall’esperienza bancaria

nel settore degli affidamenti, parlava C.A. CIAMPI, Discrezionalità nell’orientamento

del sistema creditizio e tutela dell’imprenditorialità bancaria, cit..

31 Per un’ampia ed articolata indagine intorno alle prospettive più corrette in cui

deve inquadrarsi il problema della diligenza e della responsabilità degli amministratori

di banca nell’odierno, mutato contesto normativo e di mercato, cfr. diffusamente F.

MAZZINI, Rischio d’impresa, diligenza e responsabilità degli amministratori di banca,

Milano, 1996.

Rimarca la necessità di nuove capacità e professionalità per l’attuale gestione

dell’impresa bancaria: Gius. FALCONE, Fisiologia e patologia delle partecipazioni

bancarie, in AA.VV., Le banche. Regole e mercato dopo il Testo Unico delle leggi

creditizie, a cura di S. Amorosino, Milano, 1995, pagg. 239; mentre sottolinea poi

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bancaria; ii) laddove il rischio non sia riferibile ad una specifica controparte,

se potrà anche configurarsi un rischio nell’ottica aziendalistica, non potrà

tuttavia configurarsi un fido nel senso ormai chiarito; con allora conseguente

impossibilità di applicare le regole prudenziali al rischio stesso e di

configurare eventuali profili di responsabilità in capo ai soggetti che

gestiscono (e controllano) l’impresa bancaria32 ; iii) non potrà in nessun caso

efficacemente l’attuale insufficenza, per gli esponenti bancari, del possedere requisiti di

mera esperienza, essendo richiesti requisiti di professionalità (svolgimento dell’attività in

termini positivi), G.D. MOSCO, I requisiti di professionalità e onorabilità dei soci e degli

esponenti delle banche, in AA.VV., La nuova disciplina dell’impresa bancaria, I, cit., pag.

102. Ma v. già, per una decisa richiesta di efficienza e professionalità in capo agli

amministratori delle banche, pur in un periodo di marcata programmazione e di assenza di

concorrenza, L. BARCA e G. MANGHETTI, L’Italia delle banche, Roma, 1976, pag. 128.

Sull’odierno ruolo del collegio sindacale nella banca e sulle peculiarità del

controllo demandato ai sindaci in merito alla gestione dell’impresa bancaria, v. spec. S.

SCOTTI CAMUZZI, Specificità dei compiti di controllo dei sindaci sull’amministrazione

delle banche, in Riv. dir. priv., 1996, pagg. 7 segg., in partic. pagg. 27 segg.; spunti anche

in M. SARCINELLI, Governare la banca tra modelli e realtà, in AA.VV., Proprietà,

controllo e governo delle banche, Quaderno di Moneta e credito, Roma, 1997, pagg. 285

segg..

32 E si pensi, ad esempio, al meccanismo tecnico-giuridico dei prelievi di contante

tramite carta bancomat. Il sistema consente in pratica al correntista di prelevare denaro

(sino ad un determinato importo) anche nell’ipotesi in cui non sussista provvista sul conto:

difatti, nonostante la precisa disposizione contrattuale che vieta al cliente di effettuare

prelievi oltre il limite del saldo disponibile esistente sul conto (art. 4, Norme Bancarie

A.B.I. sul bancomat; il testo contrattuale può leggersi in F. MAIMERI, A. NIGRO e V.

SANTORO, Contratti bancari, 1, Le operazioni bancarie in conto corrente, Milano, 1991,

pag. 666), la macchina consente tecnicamente al correntista – allora inadempiente al

contratto di bancomat – di ritirare denaro.

Nella fattispecie, a differenza di quanto avviene nell’ipotesi di disposizione per

assegno – ove la banca può sempre impedire il prelevamento oltre il limite della

disponibilità –, è il mezzo tecnico che consente l’indebito prelievo al cliente: a

dimostrazione di come possa esservi rischio, pur in assenza di fido. E che qui manchi un

fido (almeno nel senso chiarito) appare certo, in quanto manca del tutto una volontà della

banca di compiere una qualsiasi operazione (di rischio) con quella controparte; anzi, il

tenore della norma contrattuale A.B.I. evidenzia una volontà di segno chiaramente

antitetico. In effetti, non vi è “anticipo” di denaro da parte delle banca, bensì “sottrazione”

dello stesso da parte del cliente; e v., per le implicazioni penalistiche, G. CORRIAS

LUCENTE, Bancomat e rilevanza penale dell’abuso da parte del correntista, in Dir.

informaz. e informatica, 1985, pagg. 720 segg.; nonché, nell’ottica civilistica, i rilievi di E.

GIANNANTONIO, Trasferimenti elettronici dei fondi e autonomia privata, Milano, 1986,

pag. 49 segg.; ID., Manuale di diritto dell’informatica, Padova, 1994, pagg. 309 seg.; gli

spunti di F. MAIMERI, I contratti bancari atipici, in AA.VV., I contratti in generale. I

contratti atipici, II, t. 2, a cura di G. Alpa e M. Bessone, in Giur. sist. dir. civ. e comm.

fondata da W. Bigiavi, Torino, 1991, pagg. 688 segg.; e pure (anche se con riferimento

all’analoga situazione della carta assegni) le osservazioni di S. MACCARONE, Carta

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configurarsi un fido qualora la banca deliberi, nei confronti di clienti già

affidati, operazioni di mera agevolazione, strumentali soltanto a consentire il

rientro dell’originario rischio, senza alcuna (nuova) attività di esercizio del

credito: così, ad esempio, l’ipotesi in cui la banca acquisisca partecipazioni

per recupero crediti33 , ovvero quella in cui la banca conceda all’affidato

esposto un’autorizzazione al pagamento rateizzato di un debito (magari con

rinegoziazione-“ristrutturazione” dei tassi)34 35 ; iv) non potrà parimenti

assegni e sistema eurochèque, in Diz. del dir. priv., a cura di N. Irti, 3, Diritto

commerciale e industriale, a cura di U. Carnevali, Milano, 1981, pag. 161).

Quanto appena osservato certamente non esclude tuttavia che, almeno in

prospettiva, il rapporto di bancomat possa trovare in futuro una sua più appropriata

collocazione nell’àmbito delle regole (prudenziali) che disciplinano il rischio nei confronti

di una controparte specifica e quindi, in definitiva, nell’ambito della disciplina del fido.

Sul servizio bancomat in genere, v. per tutti: G. BRANCADORO, Osservazioni sul

servizio “bancomat”, in Banca, borsa, tit. cred., 1986, I, pag. 666 segg.; S. MACCARONE,

I trasferimenti elettronici di fondi nel diritto italiano, in Bancaria, 1981, pagg. 791 segg.

ed oggi in ID., Le operazioni della banca tra norme e prassi, cit., pagg. 361 segg.; F.

MAIMERI, Servizio bancomat, in Legislaz. econom., Milano, 1984, pagg. 167 segg.; ID., Il

servizio bancomat, in Dir. banc., 1990, I, pagg. 236 segg.; ID., Il bancomat, in Risparmio,

1990, pagg. 405 segg.; M. DONADI, Bancomat, in Contratto e impresa, 1988, pagg. 634

segg.; M. DE POLI, Banca e automazione: il servizio bancomat, in Riv. dir. civ., 1991, II,

pagg. 115 segg..

33 Ricostruisce la fattispecie de qua (sulla quale: BANCA D’ITALIA, Istruzioni di

vigilanza per gli enti creditizi, XVIII, Sez. IVª, Par. 2 [ediz. giugno 1993]) come una sorta

di “prestazione in luogo dell’adempimento” F. MAZZINI, Rischio d’impresa, diligenza e

responsabilità, cit., pag. 83.

In un’ottica più ampia, cfr. anche gli interessanti spunti offerti da P. GUERRA,

Ristrutturazioni del debito e assistenza finanziaria all’impresa: il c.d. consolidamento

dei crediti bancari, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, I, pagg. 807 segg.; Gui. ROSSI,

Crisi delle imprese: la soluzione stragiudiziale, in Riv. soc., 1996, pagg. 321 segg.; A.

CASTIELLO D’ANTONIO, La trasformazione del credito in capitale di rischio delle

imprese: profili giuridici, relazione presentata al Convegno ITA di Milano del 6-7

febbraio 1997 (spec. pagg. 8 segg., dal dattiloscritto). Assai istruttiva è la recente

indagine economica compiuta sui comportamenti delle banche nella fase del recupero

dei crediti da: A. GENERALE e G. GOBBI, Il recupero dei crediti: costi, tempi e

comportamenti delle banche, in AA.VV., Le banche e il finanziamento delle imprese, cit.,

pagg. 173 segg..

34 Non tragga in inganno il significato che potrebbe attribuirsi al termine “fido”

dalla lettura dell’art. 1732 cod. civ., disciplinante le dilazioni di pagamento concesse dal

commissionario; in tal caso il termine de quo, contenuto peraltro soltanto nella rubrica

della norma, è solo “passivamente” derivato dagli artt. 384 e 385 cod. commercio, sempre

in tema di attività del commissionario, ove la parola “fido” veniva adoperata in senso

assolutamente generale ed atecnico e non era collegata alla sola dilazione di pagamento

(com’è invece nell’odierno art. 1732 cod. civ.).

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configurarsi un fido qualora la banca conceda un prestito utilizzando

esclusivamente la provvista fornita da terzi e senza quindi sopportare alcun

rischio36; v) è infine evidente come occorra tenere ben distinte, allo scopo di

evitare equivoche sovrapposizioni e conseguenti pericolose confusioni,

l’area relativa alla decisione della banca di concedere fido (come vedremo

rilevante, poi anche organizzativamente, all’interno dell’impresa bancaria),

da quella dell’attuazione contrattuale di tale decisione (rilevante invece

principalmente sul piano dei rapporti con la clientela): ma di tale specifico

aspetto, anche usufruendo dei risultati appena raggiunti, tratteremo nel

prossimo paragrafo.

3. Fido bancario e contratti di credito.

35 Chiaramente diversa è invece l’ipotesi in cui la banca, magari per ottenere più

veloci consolidamenti delle garanzie, o per evitare segnalazioni “a sofferenza” presso la

Centrale dei rischi, deliberi ad esempio la concessione, in favore del cliente esposto, di un

(nuovo e distinto) affidamento nella forma del prestito diretto al ripianamento della

precedente esposizione. Ora, ed indipendentemente dai possibili profili di responsabilità

conseguenti a tali operazioni (e su tali aspetti, v. approfonditamente infra, cap. III, par. 6),

nell’ipotesi appena considerata si avrà sicuramente un nuovo affidamento, posta la

configurabilità di una concreta ed autonoma attività di esercizio del credito in favore del

cliente, indipendentemente poi dalla destinazione del credito stesso.

36 La mancanza di rischio ha portato la prassi bancaria a definire tali crediti

come “crediti passanti”. Ci riferiamo qui a quelle operazioni, normalmente svolte

nell’àmbito di un gruppo di imprese e denominate di “conduit”, per cui una società

effettua un deposito presso una banca, la quale si obbliga a concedere, utilizzando (solo)

tale provvista, un prestito in favore di altra società indicata dalla prima; obbligandosi

poi la banca a corrispondere gli interessi ed a restituire il capitale alla società

depositante soltanto qualora riceva in restituzione il capitale (con gli interessi) oggetto

del finanziamento. Tale fattispecie, da inquadrare giuridicamente nell’àmbito del

mandato senza rappresentanza accompagnato dalla precostituzione della provvista

necessaria al compimento dell’incarico, al di là poi della sua assolutà neutralità per

quanto concerne il rispetto dei ratios e dei limiti prudenziali di vigilanza, non dovrà a

nostro parere neanche essere inserita tra i conti d’ordine di bilancio, non comportando

per la banca, come detto, alcun profilo di impegno o di rischio (neppure potenziale); e

ciò, peraltro, nel pieno rispetto del principio di cui all’art. 7, IV comma, decr. lgs. 27

gennaio 1992, n. 87 (prevalenza della sostanza sulla forma nei bilanci bancari).

Sulle suddette operazioni, per lo più poste in essere per ragioni di vantaggio

fiscale, cfr. l’esauriente analisi compiuta da G. PRESTI, L’operazione di conduit, in

AA.VV., L’integrazione fra imprese, cit., pagg. 215 segg., ove ulteriori, puntuali

indicazioni bibliografiche.

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È immediato rilevare come, nel nostro ordinamento, la disciplina

positiva dei contratti di credito1 risulti per lo più impostata sulla valutazione

degli atti di adempimento (delle obbligazioni) da parte dei contraenti; così

come il contratto di credito per eccellenza – il mutuo – sia contratto che

addirittura si perfeziona con un atto compiuto dal mutuante: la consegna del

denaro, od altre cose fungibili, al mutuatario.

È qui l’atto del soggetto, valutato sia sotto il profilo

dell’adempimento delle obbligazioni, che sotto quello della corretta

esecuzione dei regolamenti contrattuali, ad assumere fondamentale

rilevanza.

Diversamente, la disciplina del fido (richiesta di affidamento,

istruttoria, competenze deliberative, limiti nella concessione, bilanciamento

delle scadenze, tenuta del libro dei fidi, segnalazioni alla Centrale dei rischi,

ecc.; e v. infra) appare fondamentalmente incentrata sulla valutazione

dell’attività d’impresa posta in essere dalla banca; attività che è

concettualmente “a monte” dei contratti di credito e che risulta preliminare

cronologicamente, oltre che prodromica sistematicamente, alla (eventuale)

conclusione di un qualsiasi rapporto contrattuale posto in essere in

attuazione della decisione di concedere fido; alla conclusione, quindi, di un

rapporto che renda operativo il fido concesso (rectius: deciso, deliberato). È

qui il momento della decisione imprenditoriale che rileva, il momento cioè

in cui la banca valuta se porre in essere, o meno, ed a quali condizioni

(importo, durata, forma tecnica, garanzie, ecc.), un certo rapporto con il

cliente richiedente (la decisione stessa); decisione che rappresenterà poi un

atto a valenza organizzativa interna, condizione di regolarità della

successiva attività negoziale.

Questo differente atteggiarsi delle discipline induce a considerare,

sotto il profilo sistematico, l’area della decisione imprenditoriale di

concedere fido come nettamente separata dall’area dell’attuazione

contrattuale della decisione stessa. Nel senso cioè che l’attività decisoria e

deliberativa relativa al fido – alla quale, sotto il profilo che interessa,

dev’essere equiparata (come vedremo in seguito) quella che potremmo

definire l’attività di mantenimento (in essere) del fido stesso (c.d. revisione

periodica degli affidamenti) – deve considerarsi giuridicamente distinta da

tutta quella successiva attività (negoziale) che la banca pone in essere in

esecuzione (rectius: in attuazione) della decisione stessa; così come poi i

diritti e gli obblighi delle parti (banca e cliente), derivanti dal contratto di

credito, conservano una loro sostanziale autonomia rispetto alle vicende del

fido. Dal che discende, ulteriormente, che appare fuorviante – e comunque

di certo inespressivo – parlare di “contratto di fido”, locuzione invero

1 Per un inquadramento sistematico della categoria dei contratti di credito, seppur

in un’ottica certamente tradizionale, può rinviarsi ancor oggi all’opera di E. SIMONETTO, I

contratti di credito, Padova, 1953 (e rist. 1994).

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sovente riscontrabile nell’àmbito della prassi bancaria e del linguaggio

tecnico2, nonché talora, seppur incidentalmente, del linguaggio dei giuristi3.

E per una migliore comprensione del fenomeno nella sua globalità,

potremmo in definitiva descrivere l’intera vicenda creditizia che interessa

come scomposta in tre tempi:

a) la decisione di concedere fido, che si sostanzia in un atto di

organizzazione della banca – tipico della particolare attività di impresa –

“interno” alla stessa4;

b) l’attuazione della decisione di concedere fido, che si sostanzia nel

porre in essere uno o più rapporti di natura contrattuale tra banca e soggetto

affidato (mutui, aperture di credito, anticipazioni bancarie, ecc.);

c) l’utilizzo del fido5, implicante poi sempre un’attività lato sensu

“restitutoria” da parte dell’affidato, che può sostanziarsi: i) in singoli atti

2 Cfr., ad esempio, in tal senso: AA.VV., Le operazioni bancarie, a cura di P.

Mottura, Milano, 1981, pag. 65 (scritti oggi ripresi ed in gran parte riprodotti in: AA.VV.,

Le operazioni bancarie, a cura di R. Ruozi, IIIª Ediz., Milano, 1989), ove si afferma che:

“dal punto di vista giuridico, il fido è un tipico contratto bancario a forma libera” (!).

3 Cfr., ad esempio, A. PRINCIPE, I fidi irregolari, cit., alle pagg. 13, 38, 40, 105,

107, 146, 147; F. GIORGIANNI, I crediti disponibili, cit., pag. 239, nota 3; S. ALAGNA,

Contratti bancari di intermediazione, cit., pag. 81, che parla di “contratto di affidamento”

e di “causa del fido” (pag. 174); M. PORZIO, L’apertura di credito: profili generali, in

AA.VV., Le operazioni bancarie, a cura di G.B. Portale, cit., II, pag. 514; A. AIROLDI,

Conseguenze del nuovo diritto di famiglia sulla garanzia patrimoniale e sui contratti

bancari, in Banca, borsa, tit. cred., 1975, I, pag. 488; nonché, in giurisprudenza, sempre

esemplificativamente, tra le molte decisioni: Cass. 15 maggio 1990, n. 4163, Cassa di

Risparmio di Jesi c. Santoni, in Giust. civ., 1990, I, pag. 2571; Cass. 11 marzo 1992, n.

2915, Manes c. Banca Nazionale del Lavoro, in Riv. dir. comm., 1992, II, pag. 353, con

nota critica di U. MORERA, Apertura di credito tacita o fido di fatto?; in Banca, borsa, tit.

cred., 1993, II, pag. 23; in Giur. it., 1993, I, 1, col. 675, con nota di A.M. MUSY, Comodo

di cassa e “sorprese”; Pret. Monza, 3 marzo 1989 (ord.), Dial Telecomunicazioni c.

Tessilmaglia s.p.a. e Banca Nazionale dell’Agricoltura, in Foro it., 1990, I, col. 1408.

4 È peraltro evidente come tale atto possa essere posto in essere sia dall’organo

in principio competente (consiglio di amministrazione della banca), sia da organi (ad

esempio: comitato esecutivo) o da soggetti (ad esempio: direttore generale, condirettore,

preposto, ecc.) delegati – statutariamente o meno – alla concessione di fido (e cfr. anche

infra, cap. II, par. 9); e come quindi possa poi in concreto assumere, o meno, la struttura

di atto collegiale.

5 È bene avvertire che il concetto di “utilizzo del fido”, così come inteso nel testo,

non può essere restrittivamente considerato equivalente a quello di “utilizzazione del

credito”, ai sensi degli artt. 1843 e 1845, II comma, cod. civ., cioè equivalente a quello di

utilizzazione della disponibilità concessa dalla banca nell’apertura di credito (per la

focalizzazione delle differenze esistenti tra la “messa a disposizione da parte della banca e

l’utilizzazione da parte del cliente”, cfr. F. GIORGIANNI, I crediti disponibili, cit., pagg. 240

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compiuti dal soggetto affidato e con i quali costui esercita i propri diritti

derivanti dal rapporto contrattuale perfezionato con la banca (ad esempio:

prelievi delle somme tenute a disposizione ex art. 1842 cod. civ.); ovvero ii)

nell’escussione, da parte di terzi creditori, degli impegni di firma “rilasciati”

dalla banca; od infine iii) nella materiale apprensione, da parte dell’affidato,

delle somme concesse in prestito dalla banca nell’àmbito di rapporti

contrattuali riconducibili allo schema del mutuo6.

Quanto fin qui affermato non deve peraltro indurre a considerare i

suddetti momenti come tra loro del tutto indipendenti: sussistendo invece

una sicura relazione tra gli stessi, la quale andrà poi ad assumere rilevanza

nelle fasi costitutiva, esecutiva ed estintiva del rapporto negoziale tra banca

e cliente, e che analizzeremo approfonditamente nelle pagine che seguono.

Interessa per il momento soltanto aver messo in luce la sostanziale

autonomia che le tre individuate aree possiedono sul piano sistematico e

dell’applicazione specifica delle singole discipline.

CAPITOLO SECONDO

IL FIDO BANCARIO NELLA DISCIPLINA

DELL’ATTIVITA’

DELL’IMPRESA BANCARIA

SOMMARIO: 1. La vigilanza regolamentare sugli impieghi bancari: le finalità ed i

poteri di vigilanza esercitati dalle autorità creditizie; i principî: cenni. La vigilanza

regolamentare: contenuti e fondamenti normativi. L’art. 53 T.U.L.Banc. e le altre

disposizioni presenti nel Testo unico. L’art. 147 T.U.L.Banc. e la “sopravvivenza”

dell’art. 35, lett. b, L. Banc. sui limiti di fido: le finalità di politica monetaria. – 2. Il

problema dell’eccessiva concentrazione dei fidi: la concentrazione degli affidamenti in

capo a singoli clienti come causa di possibile instabilità dell’impresa bancaria.

L’attenzione delle autorità di vigilanza al fenomeno della concentrazione dei fidi: la

predeterminazione di limiti prudenziali fondati sul rapporto tra dimensioni patrimoniali

della banca ed entità degli affidamenti concessi. Le diverse disposizioni emanate in punto:

dalla Legge bancaria del 1926 all’attuale disciplina. La vigente normativa in materia di

concentrazione dei rischi ed i fattori di novità più rilevanti: l’ampliamento della nozione

segg.; ed anche F. ALCARO, “Soggetto” e “contratto” nell’attività bancaria. Contributo

allo studio dei contratti bancari, Milano, 1981, pagg. 49 segg.), dovendo invece intendersi

in senso sicuramente più ampio e comunque relativo a tutti quei diversi rapporti

contrattuali che possono risultare perfezionati in attuazione della decisione di concedere

fido.

6 La particolare ipotesi di un fido con “a valle” contratti di sconto bancario

necessita di ulteriori approfondimenti: in punto si rinvia al successivo cap. III, par. 2.

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di fido a tutte le forme di sostegno finanziario alla clientela; il carattere inderogabile dei

limiti, applicabili poi a tutte le banche indistintamente; la rilevanza delle connessioni

esistenti tra la clientela; l’applicazioni di limiti prudenziali su base consolidata. Analisi

della disciplina; in particolare: i fidi in favore dei “soggetti collegati” alla banca;

approfondimento della nozione di “soggetto collegato”. – 3. La disciplina dei

“coefficienti patrimoniali minimi obbligatori”: è disciplina prudenziale incidente

sull’operatività globale della banca in genere e sulla concessione degli affidamenti in

particolare. Il “coefficiente di solvibilità” ed il “coefficiente riferito alle dimensioni

dell’intermediazione”. Evoluzione della normativa ed analisi dei suoi elementi essenziali.

Significato e moderna portata della disciplina. – 4. I limiti di fido in rapporto alla durata

del credito: l’odierna despecializzazione temporale e la libertà delle banche di concedere

affidamenti non limitati nella loro durata. La parallela esigenza di garantire

un’equilibrata struttura che assicuri un corretto bilanciamento delle scadenze della

raccolta con quelle degli affidamenti. Il rischio che, a fronte di volumi di raccolta

prevalentemente a breve, si contrappongano impieghi più che altro a medio e lungo

termine. Analisi di dettaglio della disciplina di vigilanza: il fondamento normativo e le

regole prudenziali. Il ruolo centrale assunto da una gestione bancaria integrata; la

rilevanza del termine di restituzione nei rapporti creditizi in relazione alle esigenze di

liquidità tipiche dell’impresa bancaria. – 5. I limiti nella concessione di fido agli

esponenti bancari: le limitazioni alla concessione di affidamenti in favore delle persone

che svolgono, all’interno della banca, funzioni di amministrazione, direzione e controllo.

L’art. 136, I comma, T.U.L.Banc. ed il principio del divieto, penalmente sanzionato, per

chiunque svolga funzioni di amministrazione, direzione e controllo in una banca, di

contrarre obbligazioni di qualsiasi natura, direttamente od indirettamente, con la banca

stessa. L’àmbito soggettivo di applicazione della norma. L’àmbito oggettivo di

applicazione e la fattispecie relativa all’assunzione “indiretta” di obbligazioni. L’esonero

dal divieto: il procedimento deliberativo di autorizzazione dell’operazione; analisi delle

problematiche. Il secondo comma dell’art. 136: le operazioni all’interno del gruppo

bancario. I profili penalistici: cenni. – 6. I limiti territoriali nella concessione di fido: il

principio della libera attività bancaria; l’attività bancaria come attività “spazialmente

indefinita”. Le limitazioni territoriali all’attività di esercizio del credito conseguenti ai

provvedimenti amministrativi. Dai provvedimenti iniziali del 1936-1938 al d.m. 22

maggio 1990: una lenta ma costante liberalizzazione degli spazi operativi nell’attività di

concessione del credito. L’attuale regime generale di liberalizzazione integrale. Il

principio del localismo come principio mantenuto per la sola categoria delle banche di

credito cooperativo; la disciplina del Testo unico, la normativa secondaria ed il ruolo

degli statuti: rinvio. – 7. I fidi concessi dalle banche di credito cooperativo: la rilevanza

delle previsioni statutarie. Lo statuto come strumento per il recepimento delle regole

dettate dall’Organo di vigilanza; gli aumentati poteri di indirizzo in capo a quest’ultimo.

L’esercizio del credito in prevalente favore dei soci; contenuto e delimitazione della

regola. Alcune incongruenze della disciplina: analisi. L’àmbito territoriale dell’attività: il

superamento dei confini comunali ed il mantenimento del principio del localismo; il

problema della possibile concorrenza nell’àmbito della medesima area territoriale. – 8.

Violazione dei limiti di fido e sorte del contratto di credito: l’incidenza della violazione

della disciplina relativa ai diversi “limiti” inerenti l’attività di concessione degli

affidamenti sul rapporto contrattuale di credito posto in essere in attuazione della

decisione di concedere fido. Le posizioni della dottrina e della giurisprudenza: la teorica

che riconduce alla violazione della ridetta normativa la nullità del contratto di credito;

critica. Il valore delle Istruzioni di vigilanza. La violazione della disciplina prudenziale

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comporta soltanto conseguenze “interne”, connesse alla regolamentazione di vigilanza:

profili di responsabilità in capo agli esponenti bancari ed irregolartà dell’atto di

concessione; non anche conseguenze “esterne”, incidenti sul contratto di credito. Il

fenomeno dei c.d. fidi “vetrina” o “immagine”. – 9. Competenze decisionali nella

concessione di fido e contratto di credito: l’incidenza della violazione delle disposizioni

interne concernenti le competenze decisionali per la concessione dei fidi sul rapporto

contrattuale di credito posto in essere in attuazione della decisione di concedere fido.

L’autonomia esistente tra potere di gestione (rilevante nella decisione di concedere fido) e

potere di rappresentanza (rilevante nell’attuazione contrattuale di tale decisione) come

circostanza fondamentale per escludere in linea di principio l’opponibilità al cliente in

buona fede della violazione delle regole di competenza (interna) nella concessione

dell’affidamento. – 10. Il cumulo degli affidamenti. La Centrale dei rischi: il fenomeno

del c.d. “pluriaffidamento”: la molteplicità di fidi concessi allo stesso soggetto da parte di

più banche. Le misure per evitare gli aggravamenti di rischio derivanti dal cumulo dei

fidi. Lo strumento della Centrale dei rischi; origini e fondamenti normativi. Il recente

ampliamento dello strumento agli intermediari finanziari non bancari sottoposti a

vigilanza. Il funzionamento del meccanismo cognitivo: la rilevanza del potenziale di

indebitamento dell’affidato; il distinguo tra fido “accordato”, fido “accordato operativo”

e fido “utilizzato”. La segnalazione dei rischi indiretti e dei rapporti di coobbligazione.

La segnalazione delle “sofferenze”; la nozione di sofferenza: analisi. Il c.d. “flusso di

ritorno” ed il “servizio di prima informazione”. I margini di ulteriore migliorabilità

dell’informazione. – 11. L’istruttoria di fido: le dichiarazioni che il richiedente il fido

deve rilasciare alla banca sulle proprie condizioni patrimoniali ed economiche. La fase

precedente la (eventuale) decisione della banca di affidare: l’importanza dell’indagine

sulle capacità economiche e finanziarie del richiedente il credito. I diversi strumenti di

cognizione. La domanda di affidamento: della persona fisica, della persona giuridica,

dell’appartenente ad un gruppo; la libera configurazione dello schema di richiesta. La

tutela della veridicità delle informazioni fornite dal richiedente: il reato di “mendacio

bancario” (dall’art. 95, L. Banc. all’art. 137, I comma, T.U.L.Banc.); le ragioni della

scarsa applicazione dell’istituto. L’introduzione di una nuova fattispecie penale: il reato

di “falso interno bancario” (art. 137, II comma, T.U.L.Banc.). Analisi della fattispecie; in

particolare: l’omissione della segnalazione di dati o notizie intervenuti dopo la

concessione dell’affidamento al fine di evitare la revoca dello stesso. – 12. La

documentazione degli affidamenti: il libro dei fidi; le ragioni della sua originaria

introduzione come libro “obbligatorio” per l’impresa bancaria (art. 37, L. Banc.). Il

fondamento normativo del libro fidi: dalla legge alle Istruzioni di vigilanza. La disciplina

del libro: l’obbligo di annotazione riferito al momento della concessione; l’oggetto

dell’iscrizione: individuazione e precisazioni terminologiche; il mutamento delle

originarie condizioni di credito; i c.d. “rinnovi” e le “revisioni” interne dell’affidamento.

Le vicende relative all’estinzione del rapporto di affidamento. I principî relativi alla

tenuta del libro: la possibilità di strumenti alternativi di informazione. L’efficacia

probatoria delle iscrizioni. Lo schedario nominativo dei rischi; funzione e disciplina.

1. La vigilanza regolamentare sugli impieghi bancari.

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Ai sensi dell’art. 5, I comma, T.U.L.Banc., le autorità creditizie

esercitano i diversi poteri di vigilanza (informativa, ispettiva e

regolamentare) ad esse attribuiti “avendo riguardo alla sana e prudente

gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all’efficienza ed alla

competitività del sistema finanziario, nonché all’osservanza delle

disposizioni in materia creditizia”1.

È quindi soltanto nel pieno rispetto di tali specifiche finalità ed allo

scopo poi di conseguire le stesse, che le autorità creditizie godono di

un’ampia discrezionalità nell’esercizio della loro attività di vigilanza;

discrezionalità che appare oggi, in principio, ancor più estesa che in passato,

per effetto sia del (processo di delegificazione che ha condotto al)

l’eliminazione di quelle puntuali indicazioni normative (artt. 32 e 35, L.

Banc.) circa i provvedimenti che l’Organo di vigilanza poteva assumere, sia

dell’odierna individuazione di più generali aspetti sui cui i provvedimenti

stessi possono concretamente incidere (art. 53 T.U.L.Banc.)2.

È così che, per quanto concerne in particolare la vigilanza

regolamentare3, la Banca d’Italia, in conformità alle deliberazioni del

C.I.C.R.4, emana disposizioni di carattere generale aventi ad oggetto: a)

1 Sull’art. 5, T.U.L.Banc. e sulla vigilanza bancaria, v., per tutti: V. PONTOLILLO,

Commento all’art. 5, T.U.L.Banc., in AA.VV., Commentario al testo unico delle leggi in

materia bancaria e creditizia, a cura di F. Capriglione, Padova, 1994, pagg. 25 segg.;

A.M. TARANTOLA RONCHI, F. PARENTE e P. ROSSI, La vigilanza sulle banche e sui gruppi

bancari, Bologna, 1996, passim; nonché, in senso critico: G. GUARINO, L’armonizzazione

della legislazione bancaria: la revisione dell’ordinamento bancario del 1936, in AA.VV.,

La nuova disciplina dell’impresa bancaria, I, cit., pagg. 18 seg..

Sulla clausola generale della “sana e prudente gestione”, v., per tutti: F.

CAPRIGLIONE, L’ordinamento finanziario verso la neutralità, Padova, 1994, pagg. 140

segg.; A. PATRONI GRIFFI, L’autonomia statutaria degli enti creditizi tra libertà e

controlli, in Rass. dir. civ., 1994, (2), pagg. 368 segg.; C. LAMANDA, Disciplina delle

autorizzazioni all’attività bancaria e delle partecipazioni al capitale delle banche, in

AA.VV., La nuova legge bancaria. Prime riflessioni, cit., pagg. 68 seg.; ID., Le finalità

della vigilanza, in AA.VV., La nuova legge bancaria. Commentario, cit., I, pagg. 170

segg.; G. VISENTINI, Il governamento delle società per azioni: il caso delle banche, in

AA.VV., Proprietà, controllo e governo delle banche, cit., pagg. 183 segg..

2 Conf. R. COSTI, L’ordinamento bancario, cit., pag. 495, il quale peraltro

sottolinea puntualmente come tale ampliamento abbia poi comportato la necessità che i

provvedimenti delle autorità creditizie determinanti gli strumenti di vigilanza debbano

essere sottoposti a pubblicità preventiva (art. 8, T.U.L.Banc.).

3 Per un inquadramento dei diversi profili della vigilanza regolamentare, cfr. V.

CERULLI IRELLI, La vigilanza “regolamentare”, in AA.VV., La nuova disciplina

dell’impresa bancaria, I, cit., pagg. 47 segg..

4 Sulle funzioni del C.I.C.R., cfr. l’articolato studio di E. BALBONI e G. MASSOLI,

Posizione costituzionale e funzioni amministrative del C.I.C.R. nell’ambito

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l’adeguatezza patrimoniale; b) il contenimento del rischio nelle sue diverse

configurazioni; c) le partecipazioni detenibili; d) l’organizzazione

ammistrativa e contabile ed i controlli interni (art. 53, I comma,

T.U.L.Banc.; e v. anche, per la vigilanza consolidata, art. 67, I comma,

T.U.L.Banc.), e può all’occorrenza adottare, sulle stesse materie,

provvedimenti specifici nei confronti di singole banche (art. 53, III comma,

lett. d, T.U.L.Banc.); dovendo poi le banche “rispettare, per la concessione

di credito in favore di soggetti a loro collegati o che in esse detengono una

partecipazione rilevante al capitale, i limiti indicati dalla Banca d’Italia, in

conformità delle deliberazioni del C.I.C.R.. Tali limiti sono determinati con

esclusivo riferimento al patrimonio della banca ed alla partecipazione in essa

detenuta dal soggetto richiedente il credito” (art. 53, IV comma,

T.U.L.Banc.).

Ora, se l’art. 53, T.U.L.Banc., concentrando in tal modo i diversi ed

eterogenei poteri di vigilanza regolamentare – nella passata legislazione

frammentati in varie norme: artt. 32, 335 e 35, L. Banc. –, viene a

dell’ordinamento del credito, Quaderno dell’Associazione per lo sviluppo degli studi di

banca e borsa, n. 95 - Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 1989; e v. anche: U.

ALLEGRETTI, Il governo della finanza pubblica, Padova, 1971, pagg. 256 segg.; A.

TREQUATTRINI, Il Comitato interministeriale per il Credito ed il Risparmio, in Banca,

impresa e soc., 1986, pagg. 239 segg.; R. COSTI, L’ordinamento bancario, cit., pagg. 74

segg., ove ulteriori, ampi, riferimenti, cui adde A. TREQUATTRINI, Le Autorità nel nuovo

ordinamento creditizio: il Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio, in

AA.VV., Le banche. Regole e mercato dopo il Testo Unico delle leggi creditizie, cit., pagg.

243 segg.; P. DE VECCHIS, Il Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, in

AA.VV., La nuova legge bancaria. Commentario, cit., I, pagg. 79 segg..

Per un esame delle deliberazioni del C.I.C.R., cfr., E. BALBONI e G. MASSOLI,

Posizione costituzionale, cit., passim; e v. anche il contributo di F. BELLI e A. MAIO, Dieci

anni di attività del C.I.C.R.: un tentativo di classificazione, in AA.VV., L’ordinamento del

credito fra due crisi (1929-1973), a cura di P. Vitale, Bologna, 1977, pagg. 83 segg..

5 L’art. 33, I comma, L. Banc. attribuiva al C.I.C.R. la facoltà “di stabilire che

determinate forme di impiego [dovessero] essere preventivamente autorizzate dalla Banca

d’Italia”. Il C.I.C.R. poteva cioè vietare in via generale determinate forme di impiego,

lasciando tuttavia alla Banca d’Italia la facoltà di rilasciare autorizzazioni in deroga.

Vale sottolineare innanzitutto come tale disposizione, alla luce dell’art. 14, legge

10 febbraio 1981, n. 23 (e per un commento a tale norma, cfr.: C. MOTTI, Commento

all’art. 14, l. 10 febbraio 1981, n. 23, in Cod. comm. della banca, cit., I, pagg. 1325 segg.;

sulla riforma del 1981 può invece rinviarsi a R. COSTI, Sulla distinzione tra aziende e

istituti di credito, in ID., Le istituzioni finanziarie degli anni Ottanta, Bologna, 1984, pagg.

92 segg.; V. SANTORO, Recenti modifiche all’ordinamento creditizio, in Mezzogiorno

d’Europa, 1981, (2), pagg. 175 segg.; M. AMATO, Sul principio di specializzazione

funzionale nella disciplina del settore bancario, in Banca, borsa, tit. cred., 1981, I, pagg.

433 segg.; D. LA ROCCA, Credito speciale e credito agevolato: profili istituzionali, in Riv.

trim. dir. pubbl., 1983, pagg. 113 segg.; A. PATRONI GRIFFI, Governo degli incentivi e

istituti di credito speciale, in AA.VV., Problemi giuridici delle agevolazioni finanziarie

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rappresentare l’attuale nucleo centrale della specifica disciplina, esso non

esaurisce del tutto i fondamenti normativi della stessa: debbono infatti

registrarsi altre disposizioni all’interno del Testo unico che presentano

alla industria, a cura di R. Costi e M. Libertini, Atti del Convegno di Catania del 30 e 31

ottobre - 1º novembre 1980, Milano, 1982, pagg. 151 segg.), non trovasse applicazione nei

confronti degli istituti di credito, ai quali le autorità creditizie potevano imporre soltanto

l’osservanza delle Istruzioni emanate in relazione ai “criteri per limitare la concentrazione

dei rischi” (criteri poi determinati in punto di limiti agli affidamenti concedibili con

decreto del Ministro del Tesoro 22 novembre 1982 e successive Istruzioni della Banca

d’Italia). La ratio dell’esclusione degli istituti dall’àmbito applicativo dell’art. 33 potendo

comunque essere agevolmente individuata nella circostanza per cui tali enti risultavano

sottoposti al controllo delle autorità al solo fine di perseguire la loro solvibilità,

garantendone al contempo la stabilità, con assoluta esclusione di ogni possibilità di

intervento tendente ad indirizzare gli impieghi verso particolari settori dell’economia o

verso categorie imprenditoriali predeterminate, ovvero tendente a valutare e selezionare, in

via generale e preventiva, le scelte gestionali degli istituti. Fermo restando, naturalmente,

che l’attività di impiego degli istituti risultava peraltro molto spesso già limitata a

particolari settori o categorie imprenditoriali in virtù di precise disposizioni legali o

statutarie concernenti la singola struttura creditizia (e v. C. MOTTI, Gli istituti di credito

mobiliare nell’ordinamento bancario italiano, Siena, 1988, passim.; V. SANTORO, Recenti

modifiche, cit., pagg. 175 segg.; ID., Commento all’art. 33, L. Banc., in Cod. comm. della

banca, cit., pag. 386).

Tornando all’art. 33, L. Banc., è possibile rilevare come le autorità creditizie, pur

in presenza di una norma sicuramente molto ampia quanto ad oggetto e finalità (tanto da

essere definita “norma in bianco, di volta in volta adattabile a scopi diversi”: così V.

SANTORO, Commento all’art. 33, cit., pagg. 384 segg.; e v. anche F. VELLA, L’esercizio

del credito, cit., pag. 64; M. PORZIO, Autonomia ed eteronomia nella gestione

dell’impresa bancaria, in AA.VV., Il sistema creditizio nella prospettiva del mercato

unico europeo, a cura di M.T. Cirenei e G.C. De Martin, Milano, 1990, pag. 106, ove

dubbi di costituzionalità), relativa a qualsivoglia forma di impiego (e cfr. A. PATRONI

GRIFFI, La concorrenza nel sistema bancario, Napoli, 1979, pag. 209; V. SANTORO,

Commento, cit., pagg. 386 seg.; F. VELLA, L’esercizio del credito, cit., pag. 64), nonché

poi legittimante un potere esercitabile anche nei confronti di singole aziende (ai sensi del

secondo comma; e v. P. VITALE, Pubblico e privato nell’ordinamento bancario, Milano,

1977, pag. 112; R. BERTELLI, Legge bancaria e vigilanza sulle banche: un riesame degli

obiettivi e degli strumenti del controllo funzionale sulle aziende di credito, Siena, 1987,

pagg. 97 segg.; V. BACHELET, L’attività di coordinamento nella amministrazione pubblica

dell’economia, cit., pagg. 193 segg.), non hanno, per quanto concerne gli affidamenti,

utilizzato più di tanto lo specifico strumento, limitandosi soltanto ad intervenire, in via

generale, per disciplinare profili di competenza territoriale, ovvero per dettare limitazioni

negli impieghi oltre il breve termine effettuati dalle aziende.

Peraltro, in realtà – come bene è stato rilevato (F. VELLA, L’esercizio del credito,

cit., pagg. 64 seg.) – non sono mai stati chiariti gli esatti limiti entro i quali poteva operare

il provvedimento amministrativo emanato ex art. 33, L. Banc.; cioè, in pratica, se le

autorità, oltre a vietare il compimento di alcune (categorie di) operazioni, avrebbero potuto

anche porre condizioni particolari al loro svolgimento, incidendo così sulle concrete

modalità di realizzo.

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caratteri sostanzialmente riconducibili a quelli propri della vigilanza

regolamentare in senso stretto (ad esempio: gli artt. 11; 12, V, VI e VII

comma; 17; 38, II comma; 49, II comma; 117, ult. comma; 129, ult. comma;

133, II comma), e si deve poi anche ricordare come l’art. 147 riservi alle

autorità creditizie (la continuazione del) l’esercizio degli “altri poteri” (cfr.

la rubrica dell’art. 147 e l’art. 5, III comma, T.U.L.Banc.) nei confronti delle

banche, corrispondenti a quelli contemplati dagli artt. 32, I comma, lett. d ed

f, e 35, II comma, lett. b, L. Banc. (riserve obbligatorie; vincoli di

portafoglio; limiti di fido), i quali, pur incidendo ormai soltanto sulla politica

monetaria, potrebbero finire per influenzare anche l’attività (di gestione)

delle banche6 7.

6 Conf., per l’impostazione, tra gli altri, R. COSTI, L’ordinamento bancario, cit.,

pagg. 504 seg.; F. MAZZINI, Rischio d’impresa, diligenza e responsabilità, cit., pag. 60;

contra, tuttavia, P. DE VECCHIS, Commento all’art. 147, T.U.L.Banc., in AA.VV.,

Commentario al testo unico, cit., pagg. 726 segg., secondo il quale la mancata

trasposizione, nell’art. 147, T.U.L.Banc, del richiamo alle “finalità di politica monetaria”

contenuto nell’art. 22, decr. lgs. n. 481/1992, indicherebbe “chiaramente la volontà del

legislatore di mantenere l’esercizio dei poteri previsti nell’art. 147 riservato alla sfera delle

competenze afferenti l’esercizio della vigilanza bancaria e creditizia”.

7 In punto di limiti di fido, uno dei vincoli che è stato in passato imposto per

finalità di politica monetaria e che oggi – in ipotesi di reintroduzione – verrebbe dunque a

trovare il suo fondamento normativo non già nell’art. 53, T.U.L.Banc., bensì nell’art. 35, II

comma, lett. b, L. Banc. come richiamato dall’art. 147, T.U.L.Banc., è il c.d. “massimale

sull’incremento dei fidi bancari”; introdotto un tempo proprio ai sensi dell’art. 35, L.

Banc..

Attraverso l’introduzione di tale limite sugli (aumenti degli) affidamenti, applicato

in Italia nel decennio 1973-1983 (e poi reintrodotto per il primo semestre del 1986), non

venne infatti perseguito l’intento di garantire la stabilità delle banche, bensì quello di

controllare la liquidità del sistema. Nella sua prima applicazione, venne così stabilito che i

fidi concessi ai residenti che presentavano un livello di esposizione pari o superiore a

cinquecento milioni di lire non avrebbero potuto essere aumentati oltre al dodici per cento;

stabilendo altresì che – indipendentemente dai livelli espositivi – tale limite avrebbe

dovuto comunque applicarsi per determinate categorie di soggetti, tra i quali erano

ricomprese le imprese commerciali e quelle finanziarie, gli enti senza fini di lucro e le

famiglie; con ciò realizzando, di traverso, una “selezione” degli affidamenti: agevolando le

piccole e medie imprese (con ogni probabilità meno esposte) e disincentivando i fidi in

favore di taluni settori economici e delle famiglie.

Su tale strumento, cfr., diffusamente: M. PORZIO, Una svolta nella politica

creditizia, in Rass. econ., 1973, pagg. 320 segg.; P. SCHLESINGER, Poteri d’intervento

della Banca d’Italia in ordine alla erogazione del credito, in Banche e banchieri, 1974,

pagg. 137 segg.; ed ora anche in AA.VV., Scritti in onore di Salvatore Pugliatti, III,

Milano, 1978, pagg. 1325 segg.; R. COSTI, L’ordinamento bancario, cit., pagg. 517 seg.;

A. PATRONI GRIFFI, La concorrenza nel sistema bancario, cit., pagg. 230 segg.; nonché,

sotto il profilo economico: A. FAZIO, La politica monetaria in Italia dal 1947 al 1978, in

Moneta e credito, 1979, pagg. 293 segg.; T. PADOA SCHIOPPA, Il controllo qualitativo del

credito: considerazioni sulla recente esperienza italiana, idem, 1974, pagg. 345 segg.;

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Delineato così, seppur solo nei suoi contorni essenziali, il quadro

normativo di riferimento, passiamo all’analisi dei fondamentali aspetti della

disciplina prudenziale concernente i fidi bancari.

2. Il problema dell’eccessiva concentrazione dei fidi.

L’eccessiva concentrazione degli affidamenti in capo a singoli clienti

viene da sempre considerata una delle cause principali di instabilità

dell’impresa bancaria. Un’effettiva diversificazione dei fidi da parte della

banca, se non può certo evitare a questa le perdite derivanti dall’insolvenza

di alcuni clienti, può sicuramente evitare che le perdite stesse assumano

dimensioni tali da compromettere l’equilibrio patrimoniale dell’impresa.

La finalità del frazionamento dei fidi è stata costantemente perseguita

dalle autorità creditizie attraverso la predeterminazione di limiti prudenziali

aventi carattere quantitativo, fondati essenzialmente sul rapporto tra

dimensioni patrimoniali della banca ed entità degli affidamenti concessi1.

È così che, fin dal 1926, si è sentita l’esigenza di prevedere precisi

limiti alla concessione degli affidamenti in favore di singoli clienti: l’art. 16

della Legge bancaria allora vigente prevedeva infatti che il fido concedibile

“da una singola azienda di credito ad uno stesso obbligato” non potesse

“superare il quinto del capitale versato e delle riserve dell’azienda”, con

facoltà della Banca d’Italia di “consentire, caso per caso, eventuali

deroghe”2.

R.S. MASERA, Controllo quantitativo del credito: alcune considerazioni generali, idem,

1971, pagg. 118 segg.; G. DELL’AMORE, I vincoli pubblici nella politica dei prestiti

bancari, Milano, 1976, pagg. 11 segg.; S. PREDA, I massimali di credito, Milano, 1974; A.

PIN, Il razionamento del credito bancario. La recente esperienza italiana, in Risparmio,

1977, pagg. 431 segg.; T. BIANCHI, Ritorno a strumenti di controllo indiretto del credito

e riflessi sull’andamento dei mercati finanziari, in Banca, impresa e soc., 1985, pagg. 216

segg..

1 E cfr., efficacemente, V. DESARIO, Vicenda Gruppo Ferruzzi (Audizione del 7

luglio 1993 presso la VIª Commissione Permanente Finanze della Camera dei Deputati),

in ID., Il controllo pubblico sull’ordinamento finanziario, II, Bari, 1995, pagg. 595 segg.;

v. anche C. CLEMENTE, Commento all’art. 53, T.U.L.Banc., in AA.VV., Commentario al

testo unico, cit., pag. 281.

2 Su tale norma cfr., principalmente: P. GRECO, Le operazioni di banca, cit., pagg.

185 segg.; G. MIRAULO, Ordinamento bancario e tutela del risparmio, Roma, 1927, pagg.

160 segg.; F. SETTI, Il limite legale del fido bancario, in Giur. e dottrina banc., 1936,

pagg. 8 segg.; M. RENIER, Il limite di fido bancario, in Riv. casse di risparmio, 1929,

pagg. 515 segg.; A. GRAZIANI, Disciplina legislativa del fido bancario, loc. cit.; V.

SALANDRA, Limiti del fido e nullità di operazioni di banca, loc. cit.; I. LA LUMIA, Gli

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La successiva Legge bancaria del 1936, con l’art. 35, II comma, lett.

b, eliminò il limite rigido, previsto in precedenza per la concentrazione degli

affidamenti, introducendo un sistema per così dire elastico3, che attribuiva

all’Organo di vigilanza la facoltà di “determinare i limiti massimi dei fidi

concedibili e di stabilire norme e termini per le riduzioni in caso di

constatate eccedenze”4.

Ricalcando la precedente normativa5, le autorità creditizie

determinarono poi (in via amministrativa) l’ammontare de quo nella stessa

effetti giusprivatistici della limitazione legislativa del fido bancario, in Banca, borsa, tit.

cred., 1935, II, pagg. 85 segg.; A. DE GREGORIO, La legislazione italiana sulla tutela del

credito, loc. cit.; nonché più di recente, A. PRINCIPE, I fidi irregolari, cit., pagg. 38 segg.;

C.A. GIUSSANI, La disciplina del limite di fido, cit., pagg. 604 segg..

3 Cfr. in punto: P. VITALE, Pubblico e privato nell’ordinamento bancario, cit., pag.

113 seg.; L. DESIDERIO, Note sulla violazione dell’art. 35 legge bancaria in materia di

limite di fido, in Banca, borsa, tit. cred., 1978, II, pagg. 48 segg. (spec. pagg. 49 seg.).

4 Come anche rilevato da L. DESIDERIO, Note sulla violazione dell’art. 35 legge

bancaria, cit., pag. 49, nota 5, la portata innovativa dell’art. 35 è efficacemente

sottolineata dai lavori preparatori, ove, premesso che le prescrizioni contenute nell’art. 16

“si sono rilevate talvolta di non agevole applicazione e dall’altra parte non si sono

dimostrate sufficienti ad assicurare né la tutela dei depositanti né un sano esercizio

dell’attività creditizia”, si afferma che “l’attuale provvedimento è al riguardo

profondamente innovativo poiché, in considerazione della competenza tecnica e della

possibilità di azione tempestiva dell’Ispettorato, demanda a quest’ultimo le necessarie

determinazioni valide per tutte le aziende, ovvero per particolari categorie di esse, ed

anche eventualmente per aziende singole” (Relaz. Giunta Gen. Bilancio sul d.d.l. di

conversione del r.d.l. n. 375/1936, in Atti Parlam. - Camera dei Deputati, Legislatura

XXIX).

Una parte della dottrina (C.M. PRATIS, La disciplina giuridica delle aziende di

credito, cit., pagg. 112 seg., 222; A. PRINCIPE, I fidi irregolari, cit., pagg. 27 segg.),

fondandosi sul tenore della Delibera del Comitato dei Ministri del 5 settembre 1936, ed in

particolare sul contenuto del relativo Comunicato n. 5 del Capo dell’Ispettorato (in Gazz.

Uff. 18 settembre 1936, n. 217, pag. 2286), ove si afferma che “l’art. 16 del r.d.l. 16

novembre 1926, n. 1830, recante disposizioni in materia di fido-limite, è tutt’ora in

vigore”, ha tuttavia negato l’effetto abrogativo (dell’art. 16) da parte dell’art. 35, L. Banc..

Più convincente, in verità, l’impostazione che vede l’abrogazione della disciplina del 1926

per effetto della Legge bancaria del 1936 e la conferma, in via amministrativa, del limite

precedentemente in vigore (cfr.: G. MOLLE, La banca nell’ordinamento giuridico italiano,

cit., pag. 330; L. DESIDERIO, Note sulla violazione dell’art. 35 Legge bancaria, cit., pag.

50; C.A. GUISSANI, La disciplina del limite di fido, cit., pagg. 604 segg.; G. RUTA, Il

sistema della legislazione bancaria, Roma, 1975, pag. 616), E v., in arg., anche le

osservazioni di L. DESIDERIO, Note sulla violazione, cit., pag. 50, testo e nota 6. Per un

dettagliato excursus delle Istruzioni emanante in punto dall’Organo di vigilanza, v. A.

PRINCIPE, I fidi irregolari, cit., pagg. 28 segg..

5 E v., sul punto: P. VITALE, Pubblico e privato, loc. cit.; G. MOLLE, La banca

nell’ordinamento giuridico italiano, cit., pag. 330; nonché, diffusamente, A. PRINCIPE, I

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misura del quinto del patrimonio prevista dall’art. 16 cit.; regola, questa, che

rimase sostanzialmente invariata sino al 19736 7.

La successiva disciplina regolamentare, fondata sulle delibere

C.I.C.R. del 30 marzo 1973 e del 4 giugno 19768, ampliò sensibilmente i

margini di autonomia delle banche9, comunque sempre basandosi sul

principio in virtù del quale è possibile ammettere livelli crescenti di

concentrazione negli affidamenti soltanto in relazione all’effettivo crescere

del grado di patrimonializzazione delle banche (e prevedendo altresì una

particolare disciplina per gli affidamenti in favore dei soggetti “collegati”

alla banca; ma su tale aspetto torneremo più approfonditamente tra breve).

È così che, fatta sempre salva la possibilità di autorizzazioni in deroga

da parte della Banca d’Italia, la concessione dei fidi venne ancorata a due

distinti limiti: da un lato, un limite individuale, riferito alle singole posizioni

di affidamento e corrispondente all’ammontare del patrimonio della banca10;

fidi irregolari, cit., pagg. 23 segg.. Per una lettura particolare v. R. BERTELLI, Legge

bancaria e vigilanza sulle banche: un riesame degli obiettivi, cit., pagg. 123 segg. In arg.,

anche: F. BELLI, Note a margine della nuova normativa di vigilanza sul rapporto

banca-industria, cit., pagg. 490 segg..

6 V., oltre agli aa. citt. nella nota che precede, anche P. ZAMBONI GARAVELLI,

Commento all’art. 35, II comma, lett. b, L. Banc., in Cod. comm. della banca, cit., pagg.

425 segg..

7 Per un’applicazione giurisprudenziale, vigente il regime amministrativo

precedente al 1973, v. App. Roma, 24 gennaio 1978, in Banca, borsa, tit. cred., 1978, II,

pag. 48, con nota di L. DESIDERIO, Note sulla violazione dell’art. 35, cit..

8 Rispettivamente in: BANCA D’ITALIA, Bollettino di vigilanza sulle aziende di

credito, n. 44-45, pag. 21; idem, n. 56-57, pag. 44.

9 Su tale disciplina, v.: G. MOLLE, La banca nell’ordinamento giuridico italiano,

cit., pagg. 331 segg.; A. PATRONI GRIFFI, La concorrenza nel sistema bancario, cit., pagg.

229 segg.; ID., I controlli sulle modalità di esercizio dell’attività bancaria, in AA.VV., La

riforma della legge bancaria (temi e prospettive), cit., pagg. 134 segg.; A. PRINCIPE, I fidi

irregolari, cit., pagg. 49 segg..

10 Rilevava P. ZAMBONI GARAVELLI, Commento all’art. 35, cit., pag. 429, che “la

nozione di patrimonio utilizzato ai fini della disciplina in esame non coincide con quella

generale di patrimonio utile ai fini di vigilanza. Le componenti positive e negative

risultano in numero inferiore; in particolare tra quelle negative mancano i c.d. “dubbi

esiti”. Il motivo di questo mancato allineamento alla nozione unificata di patrimonio utile

ai fini di vigilanza – che potrà essere riconsiderato dalle autorità – è probabilmente da

ricercare nella preferenza per un parametro caratterizzato da un maggior grado di

stabilità”.

E vale qui ricordare che – seppur nel vigore della precedente disciplina

amministrativa (pre 1973) – App. Roma, 24 gennaio 1978, cit., pronunciandosi a seguito

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dall’altro, un limite globale (c.d. massimale di autonomia), entro il quale

doveva essere ricompreso il complesso dei fidi di ammontare superiore al

quinto del patrimonio: massimale determinato in una frazione della massa

fiduciaria variabile tra il venticinque ed il quaranta per cento, in relazione al

rapporto esistente tra mezzi fiduciari e mezzi propri; rilevando poi, per la

determinazione della capienza nel massimale globale di autonomia, la sola

parte “per cassa” dell’insieme dei fidi accordati.

Le linee di fondo della descritta disciplina sulla concentrazione degli

affidamenti rimasero quindi in vigore per circa venti anni, non venendo nella

sostanza modificate né dalla Delibera C.I.C.R. del 20 marzo 198711 (per

effetto della quale fu innovata soltanto la disciplina della concentrazione

degli affidamenti in favore dei soggetti “collegati” alla banca; e cfr. infra tra

breve), né dal successivo decreto 5 giugno 1991, con il quale il Ministro del

Tesoro, sostituendosi in via d’urgenza al C.I.C.R. nell’applicazione della

normativa antitrust (legge 10 ottobre 1990, n. 287), nella parte in cui questa

regolava la partecipazione al capitale di enti creditizi (artt. 27-30), ha

provveduto a modificare, ancora una volta, soltanto la disciplina degli

affidamenti in favore dei soggetti “collegati”.

Successivamente, esercitando i poteri di vigilanza prudenziale previsti

dall’art. 53, I comma, lett. b (per il gruppo bancario: art. 67, I comma, lett.

b), T.U.L.Banc., ed in applicazione del decreto del Ministro del Tesoro

242633 del 22 giugno 1993, la Banca d’Italia ha emanato delle nuove

Istruzioni di vigilanza12 che, recependo integralmente i principî e le

disposizioni della Direttiva n. 92/121/Cee del 21 dicembre 1992,

costituiscono l’attuale disciplina in punto di concentrazione degli

affidamenti.

Tale nuova normativa introduce alcune rilevanti novità rispetto al

precedente corpo di disposizioni. Queste, in sintesi:

i) innanzitutto, come già ampiamente rilevato nel precedente capitolo,

il concetto “prudenziale” di affidamento si è ormai talmente esteso da

perdere anche il suo classico connotato lessicale: le Istruzioni di vigilanza

di un reclamo ex art. 90, L. Banc., decise che, per il computo del patrimonio, non si

sarebbe dovuto tener conto né degli accantonamenti di utili di esercizio non ancor

deliberati, né degli aumenti di capitale già deliberati ma non ancora sottoscritti e versati.

11 La Delibera “Disciplina del rapporto banca-imprese non finanziarie” può

leggersi in Banca, borsa, tit. cred., 1988, I, pagg. 403 segg..

12 BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXIV (ediz.

ottobre 1993). Il testo del decreto ministeriale 22 giugno 1993, può leggersi anche in

Banca, borsa, tit. cred., 1993, I, pagg. 680 segg..

Per una prima lettura delle Istruzioni della Banca d’Italia, v. G. FERRARINI, La

direttiva 92/121/Cee sui grandi fidi e le Istruzioni della Banca d’Italia, Relazione

presentata al Convegno Paradigma di Milano del 14 dicembre 1993.

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non fanno difatti più riferimento alla concentrazione dei fidi, riferendosi

oggi costantemente alla concentrazione dei rischi, e ricomprendendo, in

questi, tutte le forme con cui le banche assicurano sostegno finanziario alla

clientela, cioè anche componenti relative ad attività non tipicamente

riconducibili alla concessione di credito in senso tradizionale13;

ii) in secondo luogo, a differenza che nel precedente regime

normativo, i limiti imposti posseggono carattere inderogabile e trovano

applicazione nei confronti di tutte le banche indistintamente;

iii) inoltre, acquistano per la prima volta rilievo le connessioni

esistenti tra la clientela: i limiti imposti non trovano difatti soltanto

riferimento al singolo cliente affidato, ma anche al (l’eventuale) “gruppo” di

clienti fra loro connessi (nel senso che verrà specificato; v. infra);

iv) qualora infine l’impresa bancaria sia organizzata in forma di

gruppo, v’è da sottolineare l’applicazione dei nuovi limiti su base

consolidata.

Veniamo ora all’analisi di dettaglio di tale disciplina.

Occorre subito richiamare quanto già in parte anticipato nel capitolo

precedente, rimarcando come il concetto di fido, rilevante ai fini delle regole

prudenziali in questione, sia rappresentato dalla somma delle attività di

rischio nei confronti di un cliente, così come definite dalla disciplina relativa

al coefficiente di solvibilità, ponderata poi in considerazione della natura

della controparte debitrice o delle eventuali garanzie acquisite (c.d.

“posizione di rischio”)14.

13 Rileva significativamente il dato anche la Relazione del Governatore della

Banca d’Italia A. Fazio sull’esercizio 1993 (svolta in Roma il 31 maggio 1994), Roma,

1994, pagg. 289 seg.. E su tali aspetti, v. retro, capitolo I, passim.

14 Muovendosi la Direttiva comunitaria sui grandi fidi nella logica della potenziale

perdita massima connessa all’esposizione nei confronti dei singoli affidati, le attività di

rischio vengono di norma assunte al valore nominale (ponderazione del cento per cento).

Tuttavia, al fine di tener conto della minore rischiosità connessa alla natura della

controparte e delle eventuali garanzie ricevute, trovano applicazione fattori di

ponderazione sostanzialmente analoghi a quelli adottati dalla disciplina relativa al

coefficiente di solvibilità; in estrema sintesi: i) zero per le attività di rischio verso governi

centrali, banche centrali, Comunità europee; ii) 20 % per le attività di rischio verso gli enti

del settore pubblico e le banche multilaterali di sviluppo; iii) 50 % per i crediti ipotecari

concessi per l’acquisto di immobili di tipo residenziale. E cfr., per il dettaglio: BANCA

D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXIV, Sez. IVª (ediz. luglio 1996).

E vale ancora rilevare come l’esposizione debba intendersi riferita al debitore

principale anche in presenza di attività assistite da garanzie personali; con facoltà della

banca di considerare l’esposizione in capo al garante purché costui non possa opporre il

beneficio della preventiva escussione. E come poi, per le esposizioni verso società con

unico socio, si applichi l’eventuale ponderazione più favorevole per questi prevista,

valendo la garanzia di cui all’art. 2362 cod. civ.; non estendendosi peraltro tale principio ai

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Ciò posto, la disciplina prudenziale prevede due distinti limiti che le

banche (non appartenenti a gruppi bancari; per queste v. infra) sono tenute a

rispettare.

Innanzitutto, un limite globale, per cui l’ammontare complessivo delle

posizioni di rischio (come sopra individuate) di importo pari o superiore al

dieci per cento del patrimonio di vigilanza (c.d. “grandi rischi”) non può

eccedere la soglia dell’ottocento per cento del patrimonio di vigilanza15.

In secondo luogo, un limite individuale, per cui ogni singola

posizione di rischio (sempre come sopra individuata) non può eccedere la

soglia del venticinque per cento del patrimonio di vigilanza.

Le banche appartenenti ad un gruppo bancario sono esonerate dal

rispetto del limite globale, mentre debbono comunque osservare il limite

individuale, elevato però al quaranta per cento del patrimonio di vigilanza

della singola banca (e v. infra la disciplina consolidata del gruppo)16.

fidi garantiti da tali società, né a quelli concessi in favore delle società controllate

indirettamente (anche al cento per cento) dal socio unico.

15 Il “patrimonio di vigilanza” costituisce il primo presidio a fronte dei rischi

connessi alla complessiva attività bancaria e rappresenta il fondamentale parametro al

quale si riferisce la normativa di vigilanza (ed al quale occorre rapportarsi) per misurare la

reale operatività delle banche (e cfr., per ogni approfondimento: R. COSTI, L’ordinamento

bancario, cit., pagg. 505 segg.).

Il patrimonio di vigilanza è in sintesi rappresentato dalla somma algebrica di una

serie di elementi patrimoniali positivi e negativi. Quelli positivi si differenziano in

elementi patrimoniali di qualità primaria (capitale versato; riserve; fondo rischi bancari

generali ex art. 11, decr. lgs. n. 87/1992, sulla cui controversa natura, v. convincentemente:

T. BIANCHI, I princìpi di valutazione e il fondo per rischi bancari generali, in AA.VV., Il

bilancio degli enti creditizi, Milano, 1993, pagg. 229 segg.), i quali – al netto delle azioni

proprie, dell’avviamento, delle immobilizzazioni immateriali e delle perdite registrate –

costituiscono il “patrimonio di base”; ed in elementi patrimoniali di qualità secondaria

(riserve di valutazione; strumenti ibridi di patrimonializzazione; passività subordinate), i

quali – al netto delle minusvalenze su titoli e di altri elementi negativi – costituiscono il

“patrimonio supplementare”.

Per il dettaglio della disciplina, anche per quanto poi concerne il patrimonio di

vigilanza su base consolidata, cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti

creditizi, XII, Parte Prima, Sez. IIª e IIIª (ediz. luglio 1996).

16 Anche per le succursali italiane di banche estere (extracomunitarie) trova

applicazione unicamente il limite individuale, nella misura pari al cento per cento del

patrimonio di vigilanza. La Banca d’Italia può peraltro esonerare tali succursali dal rispetto

di detto limite purché sussistano condizioni di reciprocità ed un adeguato sistema di

vigilanza nel Paese di origine; così come può anche subordinare l’esonero alla presenza di

determinati vincoli all’operatività della succursale. E sulle succursali di banche estere, cfr.

almeno: F. VELLA, Le succursali di banche estere in Italia, Milano, 1987; G.B. PORTALE,

Le “succursali” di banche estere, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, I, pagg. 1006 segg.; A.

PIETROBON, Le filiali di banche estere in Italia (per una nuova prospettiva di diritto

internazionale privato), idem, 1986, I, pagg. 65 segg.; P. DE VECCHIS, Dipendenze in

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Molto significativo è poi il potere riconosciuto alla Banca d’Italia di

fissare limiti individuali e globali più stringenti nei confronti di quelle

banche che presentino profili di accentuata rischiosità in relazione alla loro

situazione tecnico-organizzativa, soprattutto se rapportata all’incapacità di

seguire l’andamento degli affidamenti concessi e la situazione

economico-finanziaria dei maggiori clienti; così come il potere di fissare

limiti individuali più severi nei confronti di quei soggetti che, in virtù delle

partecipazioni in banche appartenenti ad un gruppo, influenzino la gestione

del gruppo stesso.

Ma l’aspetto sicuramente più significativo della disciplina ci sembra

senz’altro rappresentato dalla circostanza per cui le banche, nel rispetto del

limite individuale, non debbano (limitarsi a) prendere in considerazione

soltanto il singolo cliente beneficiario del fido, ma debbano portare la loro

attenzione sul c.d. “gruppo di clienti connessi”.

In un contesto caratterizzato da molteplici connessioni tra i diversi

operatori economici, la valutazione del merito creditizio operata dalla banca

concedente l’affidamento deve infatti essere effettuata nella piena ed

effettiva consapevolezza dei rapporti intercorrenti tra i soggetti e delle

conseguenze che questi potrebbero avere sui profili di rischio. Nel caso di

attività imprenditoriali organizzate in forma di gruppo è pertanto di grande

rilevanza comprendere gli effettivi legami esistenti tra i distinti soggetti e la

valutazione del merito creditizio finirà per vèrtere sul gruppo nel suo

complesso.

In altri termini, la banca, per concedere l’affidamento, non può più

limitarsi alla valutazione del singolo soggetto: dovrà valutare il gruppo nel

suo complesso17.

Italia di enti creditizi stranieri, idem, 1981, I, pagg. 71 segg.; ID., Filiali in Italia di

banche estere, in Bancaria, 1986, pagg. 1346 segg.; F. BELLI, Appunti sulla disciplina

giuridica delle filiali di banche estere operanti in Italia, Siena, 1984; F. CESARINI, Le

filiali di banche estere in Italia, in AA.VV., Il sistema valutario italiano, a cura di F.

Capriglione e V. Mezzacapo, I, Milano, 1981, pagg. 801 segg., ed oggi anche in ID., Le

aziende di credito italiane. Aspetti strutturali e lineamenti di gestione, IIIª Ediz., Bologna,

s.d. (ma 1984), pagg. 255 segg.; C. BRESCIA MORRA e G. GODANO, Le succursali di

banche comunitarie, in AA.VV., La nuova legge bancaria. Commentario, cit., I, pagg. 317

segg..

17 E su tale problematica cfr. incisivamente, le Considerazioni finali del

Governatore della Banca d’Italia A. Fazio sull’esercizio 1993 (svolte in Roma il 31

maggio 1994), Roma, 1994, pag. 23. In relazione a quanto appena rilevato, precisano poi

le Istruzioni in commento (Cap. XXIV, Sez. VIª, ediz. ottobre 1993) che la banca deve

assicurare, al proprio interno, l’esistenza di una specifica funzione incaricata di seguire il

fenomeno dei gruppi economici e che, inoltre, nel corso dell’istruttoria precedente la

concessione del fido, la banca deve aver cura di acquisire dalla clientela i bilanci

consolidati e comunque tutte le informazioni necessarie per individuare l’esatta

composizione, la situazione economico-patrimoniale, nonché l’esposizione finanziaria del

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Ecco allora che, al fine del rispetto del ridetto limite individuale, il

concetto di cliente viene esteso, oltre che al singolo affidato, anche al

“gruppo di clienti connessi”; considerando come tale l’insieme di due o più

soggetti che costituiscano un “insieme unitario” sotto il profilo del rischio,

in quanto: a) uno di essi possegga un potere di controllo sull’altro o sugli

altri (connessione giuridica)18; ovvero b) sussistano tra i soggetti in

questione, indipendentemente dai profili di connessione giuridica, legami

tali per cui, qualora uno di essi venisse a trovarsi in difficoltà finanziaria,

l’altro, o tutti gli altri, potrebbero incontrare difficoltà nel rimborso dei debiti

(connessione economica)19.

Infine, deve sottolinearsi l’applicazione su base consolidata della

disciplina in questione. Il gruppo bancario – nel suo complesso – dovrà

contenere l’ammontare globale dei “grandi rischi” (quelli pari o superiori al

dieci per cento del patrimonio consolidato) entro il limite dell’ottocente per

cento del patrimonio e ciascuna posizione di rischio non potrà superare il

venticinque per cento del patrimonio consolidato20.

L’unitarietà del gruppo bancario viene altresì significativamente

ribadita attraverso un espresso richiamo all’esigenza che venga conosciuto e

controllato ogni rischio che il gruppo assume nel suo complesso: è così

imposto al gruppo di dotarsi di strutture organizzative e sistemi informativi

sufficientemente articolati, tali da coprire tutte le attività poste in essere dalle

diverse unità che compongono il gruppo stesso.

In particolare, viene richiesto alla capogruppo di assicurare, in capo

alla stessa, un’effettiva e piena conoscenza dei grandi rischi, nonché di

gruppo. L’accentramento della gestione finanziaria che si realizza all’interno dei gruppi

può inoltre rendere meno agevole per la banca l’individuazione del soggetto che, in

concreto, utilizza l’affidamento: in tali casi è pertanto necessario che la dialettica

caratterizzante il normale rapporto con la clientela sia particolarmente sviluppata, in modo

da consentire alla banca il controllo sull’effettiva destinazione degli affidamenti.

18 Occorrerà far riferimento, come minimo, per i rapporti tra società, alle ipotesi di

controllo rilevanti in materia di bilanci consolidati (art. 26, decr. lgs. 9 aprile 1991, n. 127)

e, per le banche (e società finanziarie), all’art. 59, I comma, T.U.L.Banc..

19 E varrà rilevare come, mentre l’ipotesi di connessione giuridica trova il proprio

fondamento sulla nozione di “potere di controllo”, già oggetto di previsione comunitaria

(art. 1, Direttiva n.83/349), l’ipotesi di connessione economica, fondata sul concetto di

“legame di rischio” non trovi alcun effettivo precedente nell’àmbito dell’ordinamento

comunitario.

20 I limiti prudenziali non si applicano comunque ai rapporti intercorrenti

all’interno del gruppo bancario.

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effettuare periodiche verifiche in merito all’andamento dei rapporti

creditizi21.

La disciplina appena descritta entrerà a regime dal 1º gennaio 1999.

Fino a quella data, in conformità con quanto disposto dalla citata Direttiva n.

92/121/Cee, sarà vigente un periodo transitorio, con limiti meno severi di

quelli evidenziati, nel corso del quale le banche potranno (rectius: dovranno)

allineare gradualmente la propria situazione ai parametri richiesti22.

Come sopra anticipato, vi è infine un aspetto della disciplina

prudenziale sulla concentrazione dei rischi che merita un particolare

approfondimento: è quello relativo alla concessione degli affidamenti in

favore di soggetti “collegati” alla banca (“a monte” ed “a valle”).

Nell’àmbito delle diverse discipline prudenziali succedutesi nel

tempo, e relative ai limiti (quantitativi) di fido concedibile dalle banche ai

propri clienti, è soltanto con le già citate delibere C.I.C.R. del 30 marzo

1973 e del 4 giugno 1976, e con le conseguenti Istruzioni della Banca

d’Italia23, che sono stati presi in specifica considerazione, e quindi

21 L’Organo di vigilanza sottolinea inoltre come il sistema di comunicazione

interno debba essere sufficientemente fluido per cogliere le potenziali sinergie informative

che si sviluppano nell’àmbito del gruppo grazie alle conoscenze che le singole unità

operative acquisiscono nei confronti della clientela e che, se opportunamente condivise,

possono contribuire a migliorare, in maniera anche significativa, la conoscenza globale

della clientela, della sua capacità di rimborso, della qualità economica dei progetti

intrapresi, dei fattori (anche congiunturali) che potrebbero influire sull’andamento dei

rischi. E cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXIV, Sez. VIª

(ediz. ottobre 1993).

22 Fino al 31 dicembre 1998 sono sconsiderati “grandi rischi” le posizioni di

rischio di importo pari o superiore al quindici per cento (anziché del dieci) del patrimonio

di vigilanza.

Per quanto concerne poi il limite globale, le banche non appartenenti a gruppi

bancari (per quelle appartenenti a gruppi, tale limite, come detto, non si applica) che alla

data di entrata in vigore della disciplina (ottobre 1993) non risultavano in linea con la

stessa, debbono comunicare alla Banca d’Italia il programma che consenta di ricondurre in

tempi contenuti – e comunque non oltre il 31 dicembre 1998 – la propria situazione entro

il limite stabilito.

Per quanto concerne infine il limite individuale, fino al 31 dicembre 1998 le

banche non appartenenti a gruppi sono soggette al limite del quaranta per cento del

patrimonio (anziché del venticinque); mentre quelle appartenenti a gruppi sono soggette al

limite del sessanta per cento del patrimonio (anziché del quaranta).

Per ulteriori dettagli: BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi,

XXIV, Sez. IIIª (ediz. ottobre 1993); G. GODANO, La legislazione comunitaria in materia

bancaria, cit., pag. 174.

23 Tali Istruzioni, oggi non più in vigore, possono leggersi in: La legge bancaria e

le altre norme essenziali in materia creditizia, I, Parte generale, a cura dell’Associazione

Bancaria Italiana, Xª Ediz., Roma, 1978, pagg. 379 segg.; e su tale normativa v. G.

MOLLE, La banca nell’ordinamento giuridico italiano, cit., pagg. 331 segg.; A. PATRONI

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disciplinati in modo autonomo, quegli affidamenti caratterizzati dal fatto di

essere concessi dalla banca in favore di soggetti a questa “collegati”.

In particolare, veniva innovativamente previsto che la banca, nei

confronti di un soggetto ad essa “collegato”, fosse in principio tenuta ad

osservare, nella concessione di fido, un limite quantitativo notevolmente più

rigoroso (un quinto del patrimonio della banca) rispetto a quello previsto per

ogni altro tipo di cliente (tutto il patrimonio della banca).

Al riguardo, la normativa stabiliva poi chiaramente come nella

nozione di soggetto “collegato” dovessero intendersi ricomprese: a) tutte le

imprese, incluse le istituzioni creditizie (con esclusione tuttavia degli istituti

di credito speciale), al cui capitale le banche concedenti il fido

partecipavano, direttamente od indirettamente, in misura superiore al dieci

per cento; nonché b) tutte le persone fisiche e giuridiche che, sempre in

forma diretta o indiretta, controllavano oltre il dieci per cento delle banche

medesime. Si era quindi in presenza di una nozione in senso ampio,

comprensiva sia delle fattispecie di partecipazione “a monte” (soci rilevanti

della banca), che di quelle di partecipazione “a valle” (società partecipate

dalla banca).

La descritta disciplina rimase sostanzialmente invariata fino al 1987,

allorquando il C.I.C.R., sempre ai sensi dell’art. 35, II comma, lett. b, L.

Banc., adottò la già citata delibera 20 marzo 1987, nell’àmbito della quale,

dopo aver ribadito l’esigenza di “evitare che i soci degli enti creditizi con

interessi imprenditoriali in settori non finanziari possano imporre indirizzi di

gestione degli enti stessi non in linea con le esigenze di corretta allocazione

del credito”24 , dettò dei princìpi-guida per la concessione di fidi ai “soci

GRIFFI, I controlli sulle modalità di esercizio dell’attività bancaria, cit., pagg. 134 segg.;

ID., La concorrenza nel sistema bancario, cit., pagg. 229 segg.; A. PRINCIPE, I fidi

irregolari, cit., pagg. 49 segg..

24 E v. già i contenuti della Relazione alla Commissione Monti istituita dal

Ministro del Tesoro, Il sistema creditizio e finanziario italiano, Roma, 1983, spec. alle

pagg. 90 segg..

Non è naturalmente questa la sede per approfondire il dibattito concernente il

rapporto banca-industria: è qui soltanto sufficiente rilevare – su di un piano assolutamente

generale – come le concessioni di fido ad un socio della banca, con partecipazione

rilevante nella stessa, rappresentino un aspetto dell’attività creditizia molto delicato ed

assai importante nell’ottica della migliore stabilità dell’impresa bancaria e dell’ottimale

efficienza allocativa. Al riguardo, tra le altre, basti considerare la realtà che vede talvolta

amministratori di società bancarie, eletti con il contributo decisivo di imprenditori

soci-controllanti, concedere fidi in favore dei loro “elettori” senza compiere tutte le

necessarie valutazioni economico-patrimoniali su costoro ed introducendo così

nell’attività creditizia elementi extra-gestionali in possibile contrasto con gli interessi della

banca amministrata; e cfr., in punto, per tutti: M. MORI, Banca e impresa. Evoluzione e

prospettive del rapporto, Padova, 1988, pagg. 321 segg.; T. BIANCHI, Sui rapporti

banca-soci, in Banche e banchieri, 1988, pagg. 230 segg..

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rilevanti” delle banche, princìpi poi ripresi dalla Banca d’Italia nelle proprie

Istruzioni25.

Venne così articolata una nuova e più complessa normativa

secondaria da parte dell’Organo di vigilanza, volta a regolare separatamente

due distinti aspetti dell’attività di concessione del credito in possibile

situazione di conflitto di interessi tra banca ed affidato: da un lato, le speciali

regole prudenziali relative agli affidamenti concessi ai soci rilevanti della

banca26; dall’altro, quelle relative agli affidamenti concessi alle società

partecipate dalla stessa27.

Gli è comunque che la nuova disciplina, in verità un pò

confusivamente (almeno sul piano terminologico), “mantenne” – al fine di

identificare la sola fattispecie relativa al socio rilevante – la locuzione

“soggetto collegato” (come visto comprensiva, pre-1987, anche dei soggetti

partecipati dalle banche).

25 Su tali Istruzioni, v., in partic.: Ricc. ALESSI, Il controllo di fatto e la Banca

d’Italia, in Impresa comm. ind., 1988, pagg. 1662 seg.; M. MORI, Banca e impresa, cit.,

pagg. 322 segg.; A. PRINCIPE, I fidi irregolari, cit., pagg. 57 segg.; P. ZAMBONI

GARAVELLI, Commento all’art. 35, cit., pagg. 432 segg.; F. BELLI, Note a margine della

nuova normativa di vigilanza sul rapporto banca-industria, cit., pagg. 489 segg..

26 Per quanto concerne i fidi ai soci rilevanti della banca (sulla cui definizione v.

infra nel testo), veniva stabilito che ogni affidamento non avrebbe potuto eccedere il

minor importo tra: a) 1/5 del patrimonio della banca e b) i 2/5 di una quota del patrimonio

della stessa pari a quella di partecipazione del socio rilevante; tale ultimo limite

soddisfacendo chiaramente l’esigenza che il socio rilevante non si potesse “riprendere”,

attraverso il fido, quanto in precedenza conferito come capitale; e v. qui le considerazioni

di T. BIANCHI, Il sistema verso un ponderato riassetto, in Parabancaria, 1988, (2), pagg.

40 segg..

27 Per quanto concerne i fidi alle società partecipate dalla banca (dovendosi

intendere per tali: gli enti non bancari al cui capitale la banca partecipi, direttamente od

indirettamente per il tramite di soggetti controllati, in misura pari al dieci per cento;

ovvero anche in misura inferiore allorché il complesso del sistema creditizio detenga oltre

il cinquanta per cento del capitale di tali enti), dopo aver definito l’“affidamento” come il

“complesso dei crediti concessi ad ogni società partecipata” e dopo aver individuato un

concetto di “gruppo bancario” erogante con lo specificare che, ove un ente creditizio

eserciti il controllo su una o più banche, “l’affidamento é determinato dall’insieme dei

crediti concessi dal conglomerato bancario”, venivano individuati due distinti limiti al fine

di determinare l’ammontare massimo dei fidi concedibili alle società partecipate: a) nel

caso di gruppo bancario (fermo restando l’obbligo del rispetto dei limiti di fido per ogni

singola banca), l’affidamento concesso dal gruppo nel suo insieme non poteva superare un

quinto del patrimonio della banca capogruppo; e, in ogni caso, b) la somma degli

affidamenti concessi a tutte le società partecipate non poteva superare i quattro quinti dello

stesso patrimonio.

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Così che, in definitiva, la nozione di “soggetto collegato”, in origine

onnicomprensiva, finì per coincidere con quella, più limitata, di “socio

rilevante”; ricomprendendo poi nella stessa: a) ogni persona fisica o

giuridica partecipante direttamente, ovvero indirettamente per il tramite di

società controllata, di società fiduciaria o per interposta persona, in misura

pari o superiore al cinque per cento, al capitale della banca (c.d. azionista

rilevante); nonché b) ogni società controllata dall’azionista rilevante,

direttamente ovvero indirettamente per il tramite di società controllata, di

società fiduciaria o per interposta persona. Ulteriormente specificando che,

per l’individuazione del “gruppo” riferibile al socio rilevante – ferme

restando le ipotesi di controllo di diritto ed indiretto (art. 2359, I comma, nn.

1 e 3, cod. civ., vecchio testo) –, avrebbero assunto rilievo anche ipotesi di

controllo di fatto nella forma dell’influenza dominante (art. 2359, I comma,

n. 2, cod. civ., vecchio testo), presupponendosi iuris tantum l’esistenza di

tale controllo qualora: il socio rilevante o le società del suo gruppo avessero:

i) detenuto, in una società, una partecipazione di maggioranza relativa

superiore al 15 per cento; ovvero ii) finanziato una società in misura

superiore al 50 per cento delle sue attività; oppure iii) garantito una società

in misura superiore al 50 per cento delle sue passività; o infine iv) si fosse in

presenza di una società con la maggioranza dei membri del consiglio di

amministrazione composta da amministratori o dirigenti del socio rilevante

(persona giuridica) o delle società del suo gruppo28. Con il chiarimento, poi,

che il calcolo delle suddette percentuali di partecipazione avrebbe dovuto

effettuarsi con esclusivo riferimento alle azioni comportanti l’esercizio del

diritto di voto nell’assemblea ordinaria.

È nell’àmbito del delineato panorama normativo che vide la luce il

Titolo V° della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (c.d. legge antitrust),

contenente norme sulla partecipazione al capitale delle banche; che venne, in

particolare, redatto l’art. 30 di tale legge.

Secondo tale norma (la cui rubrica indica: “conflitti di interesse”), le

banche debbono rispettare – “per la concessione di credito in favore di

soggetti a loro collegati o che in esse detengono un partecipazione rilevante

al capitale” – i limiti indicati dalla Banca d’Italia in applicazione delle

direttive del C.I.C.R..

Ora, è del tutto evidente come le locuzioni adoperate dal legislatore

del 1990 rappresentassero un grave elemento di confusione per l’interprete,

posto che, almeno in quel momento, il concetto di “soggetto collegato (alla

banca)” richiamava, come visto, proprio quella fattispecie (il partecipante di

rilievo al capitale dell’ente creditizio) che la norma – attraverso l’uso della

disgiuntiva “o” – in realtà letteralmente gli contrapponeva.

28 E v., in punto, le osservazioni di Ricc. ALESSI, Il controllo di fatto e la Banca

d’Italia, cit., pag. 1663.

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Di tale mancanza di coordinamento ha finito per soffrire anche il

Ministro del Tesoro nel momento in cui, sostituendosi in via d’urgenza al

C.I.C.R. nell’applicazione dell’art. 30, legge n. 287/1990 in tema di conflitti

di interesse, ha emanato una norma – l’art. 3, decreto 5 giugno 1991 – che,

mentre da un lato dichiarava ancora efficace ed applicabile la disciplina del

1987 (la quale offriva una particolare nozione di soggetto collegato, cioè di

socio rilevante), dall’altro prospettava una nuova e differente nozione di

azionista rilevante; così finendo per introdurre ulteriori elementi di

confusione attraverso tale “sovrapposizione” di nozioni normative in

relazione ad identica fattispecie29.

Sta di fatto che, dopo l’entrata in vigore del decreto 5 giugno 1991, a

latere della precedente nozione di socio rilevante (coincidente, come visto,

con quella di “soggetto collegato”) offerta dalla disciplina del 1987, veniva

ad assumere rilievo la seguente, ulteriore e “parallela” nozione di azionista

rilevante: a) ogni persona fisica o giuridica e società personale partecipante,

direttamente od indirettamente, al capitale della banca nella misura –

comunque superiore al cinque per cento – stabilita dalla Banca d’Italia30;

ovvero che, indipendentemente da tale limite, possieda il controllo dell’ente

creditizio ai sensi dell’art. 27, II comma, legge n. 287/199031; nonché b) ogni

società direttamente od indirettamente controllata dai suddetti partecipanti al

capitale32.

29 Inevitabilmente critica, in punto, anche A. ANTONUCCI, Ancora sulla disciplina

dei conflitti di interesse. Gli obblighi di comportamento degli enti creditizi, in AA.VV.,

Diritto antitrust italiano. Commento alla legge 10 ottobre 1990, n. 287, a cura di A.

Frignani, R. Pardolesi, A. Patroni Griffi e L.C. Ubertazzi, II, Bologna, 1993, pagg. 1367

seg..

30 Per la determinazione della quota di partecipazione occorreva far riferimento –

precisava il decreto 5 giugno 1991 – a tutte le azioni, acquisite o sottoscritte, aventi diritto

al voto; nel calcolo della percentuale dovendosi quindi computare le azioni privilegiate,

ma non quelle di risparmio. L’ammontare della partecipazione andando poi rapportato al

capitale sottoscritto quale risultante dall’atto costitutivo, esclusa la parte rappresentata da

azioni di risparmio.

31 La norma precisava peraltro che, nell’ipotesi di partecipazione a patto di

sindacato di voto avente per oggetto le azioni della banca, avrebbero dovuto considerarsi

come soci rilevanti, oltre agli aderenti al patto con quote superiori al cinque per cento,

anche quelli con quote inferiori a tale soglia, purché tale partecipazione fosse determinante

per la formazione della maggioranza richiesta per le delibere in seno al sindacato stesso.

32 La norma stabiliva infine che la concessione degli affidamenti da parte della

banca (e delle società bancarie e finanziarie da questa controllate) in favore dell’intero

raggruppamento del socio rilevante avrebbe dovuto essere contenuto nel limite del venti

per cento del patrimonio, con ciò, di fatto, aumentando il potenziale di affidamento dei

soci rilevanti rispetto alla precedente disciplina; riconoscendo poi alla Banca d’Italia, con

riferimento a peculiari caratteristiche strutturali o situazioni gestionali, la facoltà di

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Successivamente, a seguito della già citata Direttiva n. 92/121/Cee

sulla vigilanza ed il controllo dei c.d. grandi fidi bancari, il Ministro del

Tesoro ha provveduto ad emanare il già ricordato decreto 242633 del 22

giugno 1993, che, oltre a “sostituire” espressamente (e cfr. l’art. 9) le

sopracitate delibere C.I.C.R. del 1973, del 1976 e del 1987 (e le conseguenti

Istruzioni di vigilanza), ha prodotto il positivo effetto di una completa

abrogazione della precedente (e come visto contraddittoria) normativa

prudenziale contenuta nell’art. 3, decreto 5 giugno 1991, in punto di

disciplina dei fidi agli azionisti rilevanti delle banche.

In merito, e per quanto qui rileva, v’è subito da rimarcare come, con il

suddetto decreto del 1993, il legislatore sia tornato all’originaria

impostazione di base (cfr. retro), riproponendo quindi una nozione di

“soggetto collegato” in senso correttamente ampio, comprensiva tanto delle

fattispecie di partecipazione “a monte” (azionisti rilevanti della banca),

quanto di quelle di partecipazione “a valle” (società partecipate dalla banca).

È così che, nel dettare i nuovi principî e criteri della materia, l’art. 3 del

decreto 242633/93 riconduce alla fattispecie del “soggetto collegato” sia

l’azionista rilevante, cioè “il soggetto che, in via diretta od indiretta,

controlla o partecipa in misura rilevante al capitale della banca capogruppo,

ovvero della singola banca non facente parte di un gruppo”, sia la società

partecipata, cioè “il soggetto partecipato, in via diretta od indiretta, in

misura rilevante dal gruppo bancario, ovvero dalla singola banca”.

Ed è in applicazione – tra gli altri – di tali criteri, che la Banca

d’Italia, nelle more dell’entrata in vigore del Testo Unico, ha provveduto ad

emanare quelle nuove Istruzioni di vigilanza33, costituenti l’attuale disciplina

in punto di limiti alla concentrazione dei rischi, nell’àmbito delle quali viene

per l’appunto definita la nozione di “soggetto collegato” ai fini

dell’applicazione delle più rigorose regole prudenziali applicabili agli

affidamenti nei confronti dello stesso (e v. infra per un’analisi di dettaglio

dei limiti di fido concedibili).

Secondo tale normativa, in particolare, quali “soggetti collegati”

debbono essere considerati:

a) gli “azionisti rilevanti”: cioè tutti quei soggetti, con esclusione

dell’Amministrazione centrale dello Stato, che, in via diretta od indiretta,

detengano almeno il quindici per cento del capitale sociale, o comunque il

controllo, della società capogruppo, ovvero della singola banca non

appartenente ad un gruppo bancario;

stabilire specifiche modalità di applicazione della disciplina, anche per quanto concerne la

determinazione dei limiti alla concessione di fidi ai soci rilevanti.

33 BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXIV (ediz.

ottobre 1993).

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b) le “società partecipate in misura rilevante”: cioè tutte quelle

società nelle quali la banca detenga una partecipazione non inferiore al venti

per cento del capitale, o comunque di controllo; con esclusione delle società

appartenenti al gruppo bancario e di quelle altrimenti assoggettate a

consolidamento ai fini delle segnalazioni di vigilanza.

Nel calcolo dell’esposizione riferita ai soggetti collegati – proseguono

le Istruzioni – rientrano poi anche tutti quegli affidamenti “concessi al

gruppo di clienti legati a tali soggetti da connessione giuridica”; il che

significa, in altri termini, che nella nozione di soggetti collegati dovranno

essere ricompresi anche quei soggetti che risultino legati agli azionisti

rilevanti (della banca) ed alle società partecipate (dalla banca), così come

sopra definiti, da un rapporto di controllo, rivestano poi essi la condizione di

controllanti ovvero di controllati.

Scendendo ora ad un’analisi più specifica della composita nozione di

“soggetto collegato”, si impongono alcune ulteriori considerazioni di

dettaglio.

A) Innanzitutto, per quanto concerne la sopra riportata definizione di

“azionista rilevante” offerta dalla normativa di vigilanza, non dovrebbero

sussistere dubbi, sotto il profilo soggettivo concernente l’azionista stesso,

che la nozione sia riferibile, essendo espressamente esclusa soltanto

l’Amministrazione centrale dello Stato, a qualunque persona fisica o

giuridica34, compresi quindi gli enti pubblici territoriali; mentre sotto il

profilo soggettivo concernente questa volta l’ente partecipato, che la nozione

sia riferibile soltanto alle banche non facenti parte di un gruppo bancario

ovvero alle banche o società finanziarie capogruppo ai sensi dell’art. 61

T.U.L.Banc. (e sulla ratio di tale impostazione v. infra).

Per ogni diverso profilo, occorre necessariamente far riferimento alla

normativa di vigilanza che disciplina la partecipazione al capitale delle

banche35 ed alle nozioni ivi richiamate, così come poi eventualmente

modificate od integrate in sede di Testo Unico.

Sicché, per detenzione di azioni36 “in via indiretta” dovrà intendersi

ogni tipo di detenzione attraverso società fiduciaria, per interposta persona37,

34 Riterremmo comunque da ricomprendere anche le società a base personale,

come noto sfornite, almeno secondo l’opinione prevalente, di personalità giuridica.

35 BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XLVII (ediz.

agosto 1993), il cui testo può leggersi anche in Banca, borsa, tit. cred., 1994, I, pagg. 82

segg..

36 Per le “residue” banche pubbliche (art. 151, T.U.L.Banc.), il riferimento dovrà

essere operato alle quote di partecipazione.

37 Dovendo ricomprendersi nel concetto di interposizione, anche al fine di evitare

comode elusioni della norma, ogni tipo di fenomeno interpositorio (reale, fittizio o

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ovvero per il tramite di società controllata; in quest’ultimo caso dovendosi

poi oggi far riferimento – per coerenza sistematica – all’analitica nozione di

controllo da ultimo offerta con l’art. 23 T.U.L.Banc.38.

Mentre per quanto concerne le modalità di determinazione della

percentuale del quindici per cento del capitale sociale, questa dovrà essere

calcolata considerando, al numeratore: i) le azioni in proprietà e quelle

oggetto di contratto di riporto, anche se il soggetto sia privo del diritto di

voto, nonché ii) le azioni per le quali il soggetto sia comunque titolare del

diritto di voto, come nel caso di pegno ed usufrutto; al denominatore, tutte le

azioni con diritto di voto rappresentanti il capitale della banca.

Dal suddetto calcolo dovranno poi essere escluse le azioni di

risparmio39, ricomprendendo invece quelle privilegiate che danno diritto di

voto in assemblea straordinaria.

Al di là di tali percentuali, deve poi essere considerato “azionista

rilevante”, e quindi “soggetto collegato”, qualunque persona fisica o

giuridica che detenga il controllo della banca (non appartenente ad un

gruppo bancario) o della capogruppo; anche in tal caso, naturalmente,

facendo riferimento alla compiuta nozione di controllo offerta oggi dall’art.

23 T.U.L.Banc..

B) Per quanto concerne adesso la sopra riportata nozione di “società

partecipata in misura rilevante” offerta dalla normativa di vigilanza, si deve

innanzitutto rilevare come, sotto il profilo soggettivo, per (banca)

partecipante debba intendersi – in virtù della definizione offerta dalle stesse

Istruzioni – la singola banca non appartenente ad un gruppo bancario,

ovvero il gruppo bancario nel suo complesso; mentre per (società)

partecipata debba intendersi qualsiasi tipo di società di capitali o

cooperativa, purché non appartenente al gruppo bancario partecipante o

comunque assoggettata a consolidamento ai fini delle segnalazioni di

vigilanza.

fiduciario); e cfr., in senso conforme nell’impostazione: P. FERRO-LUZZI, Art. 9, comma 1º

e 2º, l. 281/85: prime considerazioni esegetiche, in Banca, borsa, tit. cred., 1986, I, pagg.

433 seg..

38 E quindi non più a quella offerta dall’art. 27, II comma, legge n. 287/1990,

richiamato dalle Istruzioni. E sull’art. 23, T.U.L.Banc., v. per tutti: A. SERRA, Commento

all’art. 23, T.U.L.Banc., in AA.VV., Commentario al testo unico, cit., pagg. 140 segg.;

L.A. BIANCHI, Note introduttive sulla nozione di “controllo” ex art. 23 T.U., in AA.VV.,

La nuova disciplina dell’impresa bancaria, I, cit., pagg. 161 segg.; A. PATRONI GRIFFI, La

partecipazione al capitale e il controllo degli enti creditizi, idem, pagg. 126 segg..

39 Naturalmente, dovranno essere escluse anche le obbligazioni convertibili in

azioni ed i warrants eventualmente detenuti dall’azionista; i quali assumeranno rilevanza

soltanto nel momento dell’eventuale sottoscrizione delle azioni.

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Circa poi il concetto di “partecipazione”, occorre far in principio

riferimento alla normativa di vigilanza che disciplina le partecipazioni delle

banche e dei gruppi bancari40 ed alle nozioni normative ivi richiamate.

È così allora che per “partecipazione” – giusto il preciso rinvio alla

definizione offerta dall’art. 4, I comma, decr. lgs. 27 gennaio 1992, n. 87 –

debbono intendersi “i diritti, rappresentati o meno da titoli, nel capitale di

altre imprese i quali, realizzando una situazione di legame durevole con esse,

sono destinati a sviluppare l’attività del partecipante. Si ha partecipazione

quando un soggetto è titolare di almeno un decimo dei diritti di voto

esercitabili nell’assemblea ordinaria”. In altri termini, sussiste

“partecipazione”: a) nel caso in cui la banca, per effetto di diritti di

qualunque tipologia e comunque acquisiti (compravendita, usufrutto, pegno,

ecc.) nel capitale di un’impresa, risulti titolare di almeno il dieci per cento

dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria (presunzione assoluta

dell’esistenza di una partecipazione); ovvero b) nel caso in cui la banca –

indipendentemente dal raggiungimento della ridetta titolarità (e quindi anche

con quote di capitale in s.p.a. o s.r.l. inferiori al dieci per cento; ovvero con

qualsiasi quota di capitale in cooperative, ove opera il principio di cui all’art.

2532, II comma, cod. civ.) – abbia acquisito dei diritti nel capitale di

un’impresa che siano finalizzati a “sviluppare l’attività” della banca stessa e

che altresì concretino una “situazione di legame durevole” tra banca ed

impresa partecipata; sicché dovrebbero in principio escludersi tutte quelle

ipotesi in cui la banca acquisisca i titoli al fine di una mera attività di

intermediazione degli stessi sul mercato, o comunque senza alcuno scopo di

investimento41, nonché, a nostro avviso, l’ipotesi di pegno di azioni42, non

concretandosi, nella stessa, né quella funzione di sviluppo dell’attività della

banca, né quella situazione di legame durevole tra la stessa banca e l’impresa

partecipata che la norma pone come condizioni (peraltro congiunte) per la

configurazione di una “partecipazione”.

40 BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XVIII (ediz.

giugno 1993), il cui testo può leggersi anche in Banca, borsa, tit. cred., 1994, I, pagg. 417

segg.

41 E v., in punto, F. CESARINI, Le partecipazioni e i titoli immobilizzati, in AA.VV.,

Il bilancio degli enti creditizi, Milano, 1993, pagg. 245 segg.; A. ANTONUCCI, Le

partecipazioni degli enti creditizi, in Banca, impresa e soc., 1992, pagg. 232 segg.; D.

LUCARINI ORTOLANI, Banche e partecipazioni, Milano, 1994, pagg. 37 segg..

42 Contra, parrebbe, seppur implicitamente, D. LUCARINI ORTOLANI, Banche e

partecipazioni, cit., pag. 40; e v. anche, seppur nel vigore della precedente normativa, E.

LOFFREDO, Le partecipazioni societarie delle banche: profili sistematici, in Riv. dir. civ.,

1992, II, pag. 77.

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Se questa è la nozione di partecipazione cui occorre in principio

riferirsi, allora – ai fini dell’individuazione della partecipazione qualificante

la fattispecie di “soggetto collegato” – si avrà partecipazione tutte le volte in

cui: i) sussista una partecipazione, non inferiore al venti per cento del

capitale, per effetto della quale la banca risulti titolare di almeno un decimo

dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria (il che può verificarsi

soltanto nell’ipotesi in cui la società partecipata sia una s.p.a. od una s.r.l.,

non anche nel caso in cui sia una cooperativa); oppure ii) sussista una

partecipazione, non inferiore al venti per cento del capitale, che –

indipendentemente dalla “produzione” di diritti di voto – realizzi una

situazione di legame durevole tra impresa partecipata e banca, destinato poi

a sviluppare l’attività di quest’ultima.

Infine, si noti come nell’àmbito della definizione di “società

partecipate in misura rilevante”, acquisti rilievo, oltre alla partecipazione al

capitale in misura non inferiore al venti per cento, anche quella “comunque

di controllo”. Non si fa qui riferimento, come invece avviene per la

definizione di azionista rilevante, alla detenzione del “controllo”, bensì alla

detenzione di una “partecipazione di controllo”; il che, in principio, è

certamente diverso. Ora, se è vero che il concetto di partecipazione cui

comunque occorre far riferimento è quello sopra individuato, è altrettanto

indiscutibile che in tale concetto venga operato un preciso riferimento ai

diritti “nel capitale”. Evocando quindi posizioni di legittimazione soggettiva

connesse all’assetto proprietario, ovvero comunque al possesso di quote di

capitale; non anche situazioni lato sensu contrattuali produttive di controllo,

ma esterne alla società (cfr., ad esempio: art. 2359, I comma, n. 3, cod. civ.).

Con la conseguenza che la partecipazione detenuta dalla banca potrà

considerarsi di controllo laddove – nei limiti della nozione di cui all’art. 23

T.U.L.Banc. (richiamato dal successivo art. 59, I comma, lett. a) – il

controllo “derivi” da posizioni connesse al possesso di quote di capitale.

Un’ultimo rilievo. Per effetto dell’attuale normativa, la nozione di

soggetto collegato “a monte” (azionista rilevante) potrà ricomprendere le

imprese industriali (non finanziarie) soltanto nell’ipotesi in cui queste

detengano esattamente il quindici per cento del capitale della banca: difatti,

le partecipazioni superiori a tale soglia sono vietate e quelle inferiori non

rilevano ai fini della nozione. Mentre la nozione di soggetto collegato “a

valle” (società partecipata in misura rilevante) potrà ricomprendere le

imprese industriali soltanto qualora sia interessata una banca “abilitata”,

ovvero una banca “specializzata”: esclusivamente banche di tale tipo

potendo difatti essere autorizzate a superare la soglia del quindici per cento

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di partecipazione nell’impresa non finanziaria43 e, quindi, la soglia del venti

per cento rilevante ai fini della nozione di soggetto collegato.

La vigente disciplina secondaria appena descritta, come rilevato

emanata nell’ottobre 1993 – tra la pubblicazione del Testo Unico e la sua

entrata in vigore –, sembrerebbe trovare il proprio fondamento nell’art. 53,

ult. comma, T.U.L.Banc., i cui primi due periodi dispongono: “Le banche

devono rispettare, per la concessione di credito in favore di soggetti a loro

collegati o che in esse detengono una partecipazione rilevante al capitale, i

limiti indicati dalla Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del

C.I.C.R.. Tali limiti sono determinati con esclusivo riferimento al patrimonio

della banca ed alla partecipazione in essa detenuta dal soggetto richiedente

il credito”.

Ora, appare evidente come, con tale disposizione, il legislatore abbia

letteralmente “incollato” nel Testo Unico, senza alcuna modificazione, i

commi I e II dell’art. 30, legge antitrust n. 287/1990 (il che è peraltro

confermato dalla Relazione al Testo Unico44), non tenendo però in alcun

modo conto delle significative perplessità che aveva suscitato in dottrina45 il

confusivo distinguo, operato in tale norma, tra la categoria dei “soggetti

collegati” e quella degli “azionisti rilevanti” (e v. retro); né, il che è più

grave, tenendo in considerazione le successive modificazioni (decreto

242633/93) intervenute per effetto del recepimento della Direttiva n.

92/121/Cee sul controllo dei grandi fidi, modificazioni che avevano, come

visto, correttamente ricondotto alla nozione di “soggetto collegato” tanto gli

azionisti rilevanti della banca, quanto le società partecipate (in maniera

rilevante) dalla stessa. E dovendosi poi ulteriormente rimarcare come nella

norma del Testo Unico, al di là delle appena rilevate incongruenze in punto

di definizione delle fattispecie, sussista un ulteriore e grave elemento di

distonia: manca infatti, tra i parametri cui la Banca d’Italia deve

obbligatoriamente far riferimento (peraltro “in via esclusiva”) nel dettare le

regole prudenziali, quella partecipazione rilevante detenuta dalla banca

nella società richiedente il fido, la quale invece, come visto, rappresenta uno

dei due parametri presenti nella disciplina delle Istruzioni (mostrandosi lo

stesso all’evidenza necessario per regolare la concessione dei fidi alle

società partecipate dalla banca).

Sicché, alla luce di quanto sopra, parrebbe senz’altro opportuna una

modifica della norma in questione, provvedendo ad eliminare la rilevata ed

43 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XVIII, Sez.

IIIª (ediz. giugno 1993).

44 Cfr. la Relazione illustrativa del Testo Unico (sub art. 53), in Dir. banc., 1994,

II, pag. 82.

45 E cfr. A. ANTONUCCI, Ancora sulla disciplina dei conflitti di interesse, loc. cit..

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incongrua distinzione tra soggetti collegati ed azionisti rilevanti, altresì

“integrando”, nel senso ridetto, i parametri di riferimento; ovvero,

addirittura, ad una sua integrale abrogazione, il che appare forse ancor più

auspicabile in un’ottica di coerenza normativa e di certezza giuridica. In tale

ultima ipotesi, peraltro, la (attuale) disciplina delle Istruzioni di vigilanza

continuerebbe a restare legittimamente in vigore, venendo a trovare il suo

fondamento normativo proprio nello stesso art. 53 T.U.L.Banc., ma questa

volta al primo comma, lett. b, ove è previsto che la Banca d’Italia emani

disposizioni aventi ad oggetto “il contenimento del rischio nelle sue diverse

forme”, e non già, come oggi parrebbe, all’ultimo comma.

3. La disciplina dei “coefficienti patrimoniali minimi obbligatori”.

Sempre connessa ai limiti di fido – ma con riferimento questa volta

all’operatività “globale” della banca e non già agli affidamenti in quanto tali,

singolarmente (o cumulativamente) considerati – è poi anche la

fondamentale disciplina in tema di coefficienti patrimoniali minimi

obbligatori1, la cui introduzione ha finito per rappresentare “una svolta di

grande importanza anche nello stile della vigilanza bancaria”2.

1 Sui coefficienti, nell’ottica che qui interessa maggiormente, è fondamentale

l’ampio saggio di R. BERTELLI, L’introduzione dei coefficienti patrimoniali obbligatori

nella vigilanza sulle banche, in Dir. banc., 1988, I, pagg. 51 segg.; ma cfr. anche: ID.,

Patrimonio delle banche, riserva obbligatoria e coefficienti patrimoniali minimi

obbligatori, in Banche e banchieri, 1988, pagg. 779 segg.; M. PREDA, Coefficienti

patrimoniali e ricapitalizzazione delle banche, Milano, 1990; S. MIANI, I ratios e la

gestione delle aziende di credito, in Banca, impresa e soc., 1992, pagg. 179 segg.; A.

CIRILLO, La banca ed il sistema dei coefficienti patrimoniali obbligatori, Padova, 1994; F.

CESARINI, Note sull’applicazione dei coefficienti patrimoniali obbligatori alle banche

italiane in attuazione delle direttive della Cee, in Diritto dell’economia, 1988, pagg. 165

segg.; M. MEDRI e C. MATERA, I coefficienti patrimoniali minimi obbligatori italiani: una

valutazione comparata con i calcoli sperimentali della Cee, in Banche e banchieri, 1989,

pagg. 117 segg.; T. BIANCHI, Disciplina dei ratios e libertà di scelta dei banchieri, in Atti

della Ricerca sugli sviluppi degli ordinamenti bancario-creditizi, diretta da G. Vignocchi,

I, Bologna, 1984, pagg. 81 segg.; P. ZAMBONI GARAVELLI, Commento all’art. 35, L.

Banc., cit., pagg. 439 segg.; A. GIANOLA, Vigilanza, orientamento al mercato ed efficienza

delle aziende di cedito, in AA.VV., Le banche. Regole e mercato cit., pagg. 165 segg.; P.

CLAROTTI, Gli effetti delle misure prudenziali imposte dalle direttive comunitarie sui

coefficienti di solvibilità e i limiti ai grandi fidi, in Dir. comunitario e degli scambi

internaz., 1993, pagg. 429 segg.; F. PEPE, I ratios favoriscono la pianificazione statistica,

in Bancaria, 1988, pagg. 12 segg.; G. CASTALDI, Il Testo Unico bancario tra innovazione

e continuità, Torino, 1995, pagg.109 segg.; C. LAMANDA, La società per azioni bancaria,

Roma, 1993, pagg. 49 segg.; nonché gli stimolanti rilievi di P. SCHLESINGER, I prestiti

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I coefficienti vennero istituiti in Italia nel 1987 come parametri “ai

quali le aziende di credito [avrebbero dovuto] commisurare il complesso dei

propri fidi, [apparendo] idonei ad esprimere il livello minimo di patrimonio

in relazione, rispettivamente, alla rischiosità ed alle dimensioni operative

delle aziende”3 ed hanno costantemente rappresentato un significativo

elemento di contenimento del potenziale delle banche nella concessione

degli affidamenti4.

L’emanazione a livello comunitario della Direttiva n. 89/647 del 18

dicembre 19895, facente peraltro seguito all’Accordo di Basilea dell’11

bancari nell’economia contemporanea, in Banca, borsa, tit. cred., 1991, I, pagg. 269

(spec. pagg. 270-276).

2 Così R. COSTI, L’ordinamento bancario, cit., pag. 506, il quale rileva come, per

effetto dell’introduzione della disciplina de qua, la vigilanza bancaria non sia “più

esercitata attraverso interventi tutori ‘discrezionali’, assunti caso per caso, in condizioni di

sostanziale ‘penombra’ istituzionale”, ma risulti invece affidata “soprattutto, anche se non

esclusivamente, al rispetto di coefficienti oggettivi”.

3 Cfr. BANCA D’ITALIA, Circolare del 31 marzo 1987, n. 15971, facente seguito ad

una (preventiva) “presa d’atto” del C.I.C.R. (Delibera del 23 dicembre 1986), i cui testi

possono leggersi in A.B.I., Circolare 11 maggio 1987, Serie tecnica, n. 101.

4 Il primo coefficiente (risks assets ratio), riferito alla rischiosità dell’attivo, era

finalizzato a misurare la solvibilità della banca in termini di capacità a fronteggiare le

passività con i valori realizzabili dallo smobilizzo dell’attivo. Veniva determinato con

riferimento al rapporto esistente tra fondi propri ed ammontare (ponderato) delle attività a

rischio; così prevedendo che le banche dovessero contenere il complesso dei crediti per

cassa e di firma facenti capo alle filiali italiane ed estere, ponderati in relazione alla loro

rischiosità teorica, entro un ammontare non eccedente dodici volte e mezzo il patrimonio

di vigilanza; con la conseguenza che il valore minimo del rapporto patrimonio/complesso

dei crediti (come sopra considerati) doveva essere pari a 8/100.

Il secondo coefficiente (gearing ratio), riferito alle dimensioni operative

dell’azienda, cioè alle dimensioni dell’intermediazione svolta, era diretto ad evidenziare

un collegamento tra la (crescita del) le dimensioni dell’intermediazione svolta dall’azienda

e (l’evoluzione de) il grado di patrimonializzazione. Veniva determinato con riferimento al

rapporto esistente tra fondi propri ed attivo (con esclusione di alcune voci, e senza la

cennata ponderazione); così prevedendo che le banche dovessero contenere il complesso

dei (soli) crediti per cassa erogati dalle (sole) dipendenze operanti in Italia, entro un

ammontare non eccedente ventidue volte e mezzo il patrimonio di vigilanza; con la

conseguenza che il valore minimo del rapporto patrimonio/complesso dei crediti per cassa

(come sopra considerati) avrebbe dovuto essere pari a 4,4/100.

5 Il testo della Direttiva (in G.U.C.E. n. L 386 del 30 dicembre 1989) può leggersi

in Banca, borsa, tit. cred., 1990, I, pagg. 570 segg.; nonché in Cod. comm. della banca,

cit., pagg. 2219 segg., con commento di C.M. D’ACUNTI. Tale Direttiva risulta poi

strettamente connessa sia alla Direttiva n. 89/299/Cee sui fondi propri delle banche, che

alla seconda Direttiva di coordinamento bancario, n. 89/646/Cee; e cfr., per

l’approfondimento in tale prospettiva, M. ZOLLO, Il rischio creditizio, cit., pag. 819.

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luglio 19886, ha condotto ad una, anche se non profonda, modifica

dell’originaria disciplina, per effetto dell’introduzione del c.d. “coefficiente

di solvibilità”, articolato come rapporto – da contenere nel limite dell’otto

per cento – tra il patrimonio di vigilanza (al numeratore) e l’insieme delle

attività della banca, ponderate secondo i rischi tipici delle stesse (al

denominatore).

Sicché attualmente, dopo il recepimento della Direttiva n. 89/647 per

effetto del decr. lgs. 10 settembre 1991, n. 3017, la disciplina italiana8 sui

coefficienti prevede: a) un coefficiente di solvibilità (di “derivazione”

comunitaria), determinante il requisito patrimoniale minimo che le banche

devono costantemente rispettare a fronte del rischio di solvibilità della

controparte, requisito determinato come quota percentuale del complesso

delle attività aziendali, ponderate in relazione al grado di rischio proprio di

ciascuna di esse; con l’obbligo poi per le banche di osservare costantemente

un “requisito minimo di patrimonializzazione” (i.e.: coefficiente di

solvibilità) pari all’otto per cento9; b) un coefficiente riferito alle dimensioni

Su tale legislazione comunitaria, v. diffusamente: G. GODANO, La legislazione

comunitaria in materia bancaria, cit., (spec. pagg. 127 segg.), ove anche, in appendice,

tutti i testi normativi.

6 Dopo l’emanazione della Prima Direttiva Cee di coordinamento in materia

creditizia (n. 77/780/Cee del 12 dicembre 1977), si è sviluppata, come noto, un’intensa

azione internazionale finalizzata a rendere il più omogeneo possibile il comportamento dei

diversi Stati nella regolamentazione dei coefficienti di solvibilità degli enti creditizi. Tale

attività ha avuto un’importante occasione di verifica nella Quarta Conferenza delle

Autorità di vigilanza (Amsterdam, 22-23 ottobre 1986) che ha posto le basi per il

perfezionamento dell’Accordo di Basilea dell’11 luglio 1988. Per tali informazioni, v.

C.M. D’ACUNTI, Commento alla Direttiva Cee n. 89/647, in Cod. comm. della banca, cit.,

pagg. 2236 seg..

7 Il testo del decreto può leggersi in Banca, borsa, tit. cred., 1992, I, pagg. 542.

8 BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XII, Parte Seconda,

(ediz. luglio 1996), che fanno seguito alla Delibera C.I.C.R. del 12 gennaio 1994

(quest’ultima in: BANCA D’ITALIA, Testo unico bancario e provvedimenti di attuazione,

Roma, 1997, pag. 183), la quale ha marginalmente modificato il contenuto normativo del

precedente decr. lgs. 10 settembre 1991, n. 301 (e v., per approfondimenti, M. ZOLLO, Il

rischio creditizio, cit., pag. 819).

9 Le banche appartenenti ad un gruppo bancario debbono osservare un requisito

minimo di patrimonializzazione diverso, pari al sette per cento: cfr. BANCA D’ITALIA,

Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XII, Parte Seconda, Par. 1 (ediz. luglio 1996).

Alcuni dati: nel corso del 1995 la Vigilanza ha imposto a 23 banche l’osservanza

di un coefficente di solvibilità più elevato rispetto a quello minimo fissato dalla normativa,

e ciò principalmente a causa di riscontrate gravi anomalie nella concessione degli

affidamenti; alla fine del 1995, le banche sottoposte all’osservanza di requisiti patrimoniali

superiori ai minimi rappresentavano circa il dieci per cento del totale (per l’informazione:

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dell’intermediazione (di “derivazione interna”), determinante, invece,

l’ammontare minimo del patrimonio di vigilanza che le banche debbono

possedere in rapporto al complesso dei crediti per cassa erogati in Italia; con

l’obbligo poi di contenere il complesso di tali crediti entro un ammontare

non superiore a ventidue volte e mezzo il proprio patrimonio di vigilanza.

In merito alla suddetta disciplina, v’è poi da sottolineare, da un lato, la

grande rilevanza che viene ad assumere il sistema dei criteri di ponderazione

da adottare nella determinazione del coefficiente di solvibilità: con

riferimento alle categorie delle possibili controparti “debitrici”, al c.d.

“rischio paese” ed alle garanzie ricevute10; nonché, dall’altro, l’applicazione

del coefficiente di solvibilità su base consolidata11.

Su di un piano più generale, è poi importante notare come la

“filosofia” del controllo “per coefficienti” non si fondi sull’obiettivo del

contenimento dei livelli (massimi) di fido concedibili in rapporto allo

standard di patrimonializzazione della banca (con allora sostanziale

“predeterminazione” dei valori massimi di rischio), bensì risulti, al contrario,

improntato – in un’ottica questa volta di “garanzia” – alla salvaguardia ed al

mantenimento dei livelli (minimi) di patrimonializzazione in rapporto sia

alle dimensioni dell’attività di intermediazione raggiunta, che alla rischiosità

della stessa12.

Il tutto, può dirsi, attraverso una sostanziale inversione di prospettiva

rispetto alla (classica) disciplina in precedenza vigente, che, oltre ad

incentivare l’incremento della struttura patrimoniale delle banche, appare al

contempo di spinta per uno sviluppo anche degli impieghi13.

4. I limiti di fido in rapporto alla durata del credito.

Relazione del Governatore della Banca d’Italia A. Fazio sull’esercizio 1995, svolta il 31

maggio 1996, Roma, 1996, pag. 323).

10 BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XII, Parte seconda,

Sez. IIª, Par. 2 (ediz. luglio 1996).

11 BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XII, Parte seconda,

Sez. IIIª (ediz. luglio 1996).

12 In senso sostanzialmente analogo ci sembra anche la “lettura” effettuata da R.

BERTELLI, L’introduzione dei coefficienti patrimoniali, cit., pag. 52, ma anche oltre.

13 E per ulteriori, condivisibili, considerazioni intorno alla rilevanza dei ratios ed

all’incidenza di tale strumento nell’àmbito dell’economia e delle strategie bancarie, v. P.

SCHLESINGER, I prestiti bancari, cit., pag. 275 seg..

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Una particolare disciplina prudenziale è poi dettata in ordine alla

durata degli affidamenti concessi dalle banche.

Come noto, la definitiva ed integrale affermazione, nel nostro

ordinamento bancario, dei princìpi di libera concorrenza e di

despecializzazione operativa e temporale ha comportato il venir meno della

distinzione tra istituti ed aziende di credito e del relativo distinguo operativo

in ordine alle possibili scadenze della raccolta e degli impieghi (“breve

termine” per le aziende, “medio e lungo termine” per gli istituti)1.

Ogni banca quindi, in principio, può oggi operare in qualunque

settore creditizio, concedendo affidamenti senza limiti di durata.

Tale liberalizzazione ha comportato una profonda “ristrutturazione”

della normativa di vigilanza prudenziale, posta l’esigenza – oggi ancor più

sentita proprio alla luce della raggiunta libertà operativa – di garantire nelle

banche un’equilibrata struttura che assicuri un corretto bilanciamento tra le

scadenze connesse alle operazioni di raccolta e quelle relative alle

operazioni di impiego.

È difatti evidente come la despecializzazione temporale, se da un lato

consente positivamente alle banche di utilizzare le forme di affidamento più

idonee a finanziare gli investimenti dell’impresa, così ampliando la

possibilità di sostenere i diversi comparti economici2, dall’altro finisce per

1 In realtà, nel passato regime, le autorità creditizie, pur valorizzando e rispettando

il criterio della specializzazione temporale, avevano consentito una (sia pur limitata)

operatività oltre il breve termine anche alle aziende di credito; richiedendo che gli

affidamenti di queste effettuati nel medio e lungo termine fossero contenuti in un

ammontare non superiore ad una predeterminata frazione della massa fiduciaria, peraltro

aumentata in relazione al livello di patrimonializzazione della banca; cfr. BANCA D’ITALIA,

Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXV (ediz. ottobre 1991). E cfr. R. COSTI,

L’ordinamento bancario, cit., pag. 512; nonché, in generale, sul principio della

coincidenza delle scadenze dell’attivo e del passivo: V. SANTORO, Separazione di gestioni

tra credito a breve e lungo termine. Profili storici della formazione del “principio”, in

AA.VV. La legge bancaria. Note e documenti sulla sua “storia segreta”, a cura di M.

Porzio, Bologna, 1981, pagg. 31 segg.; M. AMATO, Sul principio della specializzazione

funzionale, cit., passim; S. SIGLIENTI, Separazione e integrazione fra credito a breve e

credito a medio e lungo termine, in Bancaria, 1957, pagg. 10 segg.; R. COSTI, Sulla

distinzione tra aziende e istituti di credito, cit., pagg. 79 segg.; U. ALLEGRETTI, Il governo

della finanza pubblica, cit., pagg. 266 segg..

2 Peraltro, la possibilità di operare nel settore creditizio del medio e lungo

termine impone oggi alle banche di dotarsi di nuove capacità nella valutazione

dell’impresa affidata, posta la necessità di considerare una molteplicità di informazioni,

quali “le capacità imprenditoriali e la solvibilità del soggetto affidato, le prospettive di

reddito dei progetti di investimento, la situazione complessiva dell’impresa”, e v. M.

TROIANI, I rischi insiti in un’elevata trasformazione delle scadenze di bilancio, in

AA.VV., La nuova legge bancaria. Commentario, cit., II, pagg. 840.

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comportare un aumento della rischiosità aziendale per effetto dei possibili

squilibri tecnici che potrebbero venire causati dalla complessità della

gestione “congiunta” di operazioni di raccolta e di impiego a differente

regime temporale3.

L’essenziale esigenza di evitare tali inconvenienti – in particolare, che

a fronte di volumi di raccolta prevalentemente a breve si contrappongano

impieghi più che altro a medio e lungo termine – ha condotto la Banca

d’Italia, nell’àmbito dei poteri riconosciutile dall’art. 53, I comma, lett. b e

d (nonché dall’art. 67, I comma, lett. b e d per i gruppi), T.U.L.Banc., ed in

attuazione del decreto del Ministro del Tesoro 22 giugno 1993, n. 2426304, a

dettare una dettagliata disciplina prudenziale diretta a contenere la c.d.

“trasformazione della scadenze” e ad assicurare un possibile bilanciamento

delle stesse.

È così che, attualmente:

a) tutte le banche possono concedere liberamente affidamenti con

durata a “medio e lungo termine”5 ai soggetti diversi dalle imprese6;

b) le banche con patrimonio superiore ai 2000 miliardi di lire (ovvero

con patrimonio superiore ai 50 miliardi ed appartenenti ad un gruppo

bancario con patrimonio consolidato superiore ai 2000 miliardi), nonché le

3 Difatti: se da un lato una struttura caratterizzata da preponderanti impieghi a

medio-lungo termine, con limitati depositi a breve termine, potrebbe costringere la

banca a dover effettuare i rimborsi acquisendo fondi sul mercato a costi elevati,

dall’altro v’è da dire che una situazione di assoluto parallelismo tra impieghi e depositi,

entrambi posizionati sul medio-lungo termine, finirebbe per penalizzare la gestione sul

diverso piano della redditività.

4 Il testo del decreto può leggersi in Banca, borsa, tit. cred., 1993, I, pagg. 674

segg..

5 Negli affidamenti con durata a medio e lungo termine debbono intendersi

ricompresi, ai fini della disciplina in commento, tutti i crediti (compresi i “pronti contro

termine” attivi: su cui v. A. TAGARELLI, Le operazioni di “pronti contro termine”: analisi

dei profili tecnici, giuridici, contabili e fiscali, in Studi e informazioni, 1994, (2), pagg.

169 segg.; e pure C. BRESCIA MORRA, Aspetti giuridici delle operazioni “pronti contro

termine”, in Riv. dir. comm., 1990, I, pagg. 779 segg.; S. BONFATTI, Il contratto pronti

contro termine, in AA.VV., La banca e i nuovi contratti nel quadro della 2ª direttiva CEE,

a cura di G. De Nova, Milano, 1993, pagg. 59 segg.), in Italia ed all’estero, con durata

originaria superiore ai diciotto mesi; cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli

enti creditizi, XXV, Sez. IIª, Par. 1 (ediz. gennaio 1994); e v. anche Circolare Assonime n.

112 del 2 agosto 1994.

6 Per “imprese”, ai fini della disciplina in commento, devono intendersi le

“imprese non finanziarie, le famiglie produttrici, le amministrazioni locali, le società

finanziarie e le assicurazioni”; cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti

creditizi, XXV, Sez. IIª, Par. 1 (ediz. gennaio 1994).

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banche con una struttura del passivo caratterizzata da una raccolta

prevalentemente a medio e lungo termine, con esclusione di quella a vista,

possono concedere liberamente affidamenti con durata a medio e lungo

termine anche alle imprese;

c) le altre banche possono concedere affidamenti con durata a “medio

e lungo termine” alle imprese entro il limite del venti per cento della raccolta

complessiva7, con la precisazione che, per la determinazione di tale limite,

negli affidamenti de quibus deve essere anche ricompresa una parte dei

crediti in sofferenza8;

d) le banche con patrimonio compreso tra i 50 ed i 2000 miliardi,

nonché quelle che al 31 dicembre dei due anni precedenti a quello della

richiesta effettuavano finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese in

misura superiore al dieci per cento della raccolta complessiva, possono

richiedere alla Banca d’Italia l’autorizzazione ad operare oltre il limite del

venti per cento di cui al precedente punto c). Ed è poi evidente che,

nell’esame della richiesta, la Banca d’Italia terrà conto della situazione

tecnica della banca (valutata con riferimento alla concentrazione dei rischi,

all’equilibrio finanziario ed all’esposizione dei rischi di mercato), nonché

dell’adeguatezza della struttura organizzativa a selezionare la clientela, a

seguire l’evoluzione della situazione economico-finanziaria delle imprese

affidate ed a controllare l’andamento dei fidi.

Per tutte le banche (comprese quindi quelle che abbiano optato per il

mantenimento della precedente specializzazione) sono poi previste regole di

controllo sulla trasformazione delle scadenze volte a limitare l’utilizzo della

componente più instabile della raccolta per la concessione di affidamenti a

medio e lungo termine9.

La descritta disciplina prudenziale, che chiarisce peraltro il ruolo

assolutamente centrale ormai assunto da una gestione bancaria integrata e

7 Per “raccolta complessiva” deve intendersi, ai fini della disciplina in commento,

il totale dei depositi a risparmio, conti correnti passivi, buoni fruttiferi, certificati di

deposito, obbligazioni e “pronti contro termine” passivi con clientela; cfr. BANCA

D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXV, Sez. IIª, Par. 1 (ediz. gennaio

1994).

8 La parte dei “crediti in sofferenza”, rilevante nella specie, è costituita dalle partite

in sofferenza, anche se riferite a crediti con durata originaria non superiore a diciotto mesi,

nei settori delle imprese non finanziarie, delle famiglie produttrici, delle amministrazioni

locali, delle società finanziarie e delle assicurazioni; cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di

vigilanza per gli enti creditizi, XXV, Sez. IIª, Par. 1 (ediz. gennaio 1994). Sul concetto di

sofferenza, v. infra, cap. II, par. 10.

9 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXV, Sez. IIIª

(ediz. gennaio 1994).

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consapevole dei diversi profili di rischio connaturati nell’attività creditizia 10,

consente altresì di evidenziare come, nella vicenda caratterizzante il fido

bancario, il termine di restituzione nei rapporti creditizi acquisti un suo

peculiare rilievo, non tanto (e comunque non solo) nell’ottica dei comuni

rimedi contrattuali connessi all’inadempimento (od al ritardo

nell’adempimento), incidenti poi sulla singola relazione contrattuale, quanto

piuttosto, e peculiarmente appunto, in relazione alle fondamentali esigenze

di generale liquidità tipiche dell’impresa bancaria, incidenti poi anche sulla

sua stessa stabilità.

5. I limiti nella concessione di fido agli esponenti bancari.

Ulteriori limitazioni nella concessione di affidamenti bancari

sussistono poi in relazione ai fidi in favore di quelle persone che rivestono,

all’interno della stessa banca, un ruolo determinante per gli indirizzi

gestionali del credito e per il controllo dell’attività: amministratori, direttori

generali e sindaci.

L’art. 136, I comma, T.U.L.Banc. vieta infatti, a chiunque svolga

funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso una banca, di

contrarre obbligazioni di qualsiasi natura, direttamente od indirettamente,

con la banca stessa, se non previa deliberazione del consiglio di

amministrazione presa all’unanimità e col voto favorevole di tutti i

componenti dell’organo di controllo; fermi restando gli obblighi di

astensione previsti dalla legge. Il divieto possiede peraltro natura penale e la

sua inosservanza è punita con le pene stabilite dall’art. 2624, I comma, cod.

civ. (art. 136, III comma, T.U.L.Banc.).

La norma de qua trova il suo immediato precedente nell’art. 36, decr.

lgs. 14 dicembre 1992, n. 481, disposizione che, nell’àmbito della più

generale tendenza normativa a garantire la sana e prudente gestione delle

banche1, aveva riprodotto, con diverse modificazioni, il combinato disposto

di cui agli artt. 38, 65, 82, 86 e 93 dell’abrogata Legge bancaria del 1936, e

10 Gestione che mal si concilia con il ricorso, specie se sistematico, ad operazioni

le quali “se da un lato determinano una riduzione dei rischi finanziari, dall’altro

comportano un’impropria lievitazione dei rischi di credito”; così BANCA D’ITALIA,

Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXV, Sez. Iª, Par. 1 (ediz. gennaio 1994).

1 E v. la Relazione ministeriale all’art. 36, decr. lgs. n. 481/1992 (in Banca,

borsa, tit. cred., 1993, I, pag. 281); la Relazione ministeriale all’art. 136, T.U.L.Banc., in

A.B.I., La legge bancaria, I, Roma, 1994, pag. 106; nonché R. COSTI, L’ordinamento

bancario, cit., pag. 582.

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10 e 44 dell’abrogato T.U. sulle casse rurali e artigiane, r.d. 26 agosto 1937,

n. 1706.

Ora, è noto come il divieto assoluto, sanzionato poi penalmente, di

contrarre prestiti sotto qualsiasi forma con la propria società, previsto per

amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori dall’art. 2624, I

comma, cod. civ., non trovi applicazione nei confronti delle banche: il

secondo comma dello stesso articolo fa difatti salva, per le società aventi ad

oggetto l’esercizio del credito, l’applicazione delle leggi speciali2.

La ratio del trattamento differenziato per le banche si può del resto

comprendere agevolmente alla luce delle logiche dell’epoca, oggi

confermate, in virtù delle quali appariva di certo incongruo imporre

normativamente ai più forti e solvibili gruppi imprenditoriali facenti capo

alle banche – e dei quali i rappresentanti erano soliti sedere nei consigli di

amministrazione di queste ultime – di rivolgersi, per le richieste di

affidamento, piuttosto che all’azienda di credito cui risultavano legati, ad

altre banche, magari concorrenti3; valutata peraltro, su di un piano generale e

di considerazione dello specifico oggetto sociale delle banche, l’assoluta

normalità e tipicità di un’attività di concessione di fidi da parte dell’ente

(anche) ai membri dei propri organi, normalità all’evidenza invece

insussistente per le società non bancarie4. Potendo poi ancora osservare, sul

piano della valutazione del principio derogatorio, come sia essenzialmente

l’istituto del conflitto di interessi (artt. 2391 e 2631, cod. civ.) a ricevere,

nell’àmbito dell’attività d’impresa bancaria, una particolare considerazione

e, conseguentemente, una sua peculiare disciplina.

È così che l’art. 136 T.U.L.Banc. – dopo aver sancito il principio del

divieto, per chiunque svolga funzioni di amministrazione, direzione o

controllo presso una banca, di contrarre obbligazioni di qualsiasi natura,

direttamente od indirettamente, con la banca amministrata, diretta o

controllata – configura poi la legittimità di tali operazioni a condizione che

sussista una previa delibera dell’organo di amministrazione, adottata

2 Sull’art. 2624 cod. civ. è sufficiente qui rinviare a: E. MEZZASALMA, Conflitti di

interessi e prevenzione penale, Milano, 1966, pagg. 20 segg.; M.S. SPOLIDORO, Divieto

della concessione di prestiti o garanzie a favore di amministratori di società di capitali

(art. 2624 c.c.), in Foro pad., 1992, II, col. 2 segg.; L. CONTI, Diritto penale commerciale,

I, Torino, 1980, pagg. 419 ss., ove ogni ulteriore riferimento.

3 E cfr., molto chiaramente, la Relazione ministeriale all’art. 6 della legge 4 luglio

1931, trasfuso successivamente nell’art. 2624 cod. civ. (in Riv. dir. comm., 1931, I, pag.

753).

4 Cfr. Relazione ministeriale all’art. 36, decr. lgs. n. 481/1992, loc. cit.; R. COSTI,

L’ordinamento bancario, cit., pag. 583; (R. COSTI) e P. D’AGOSTINO, I reati bancari, in

Tratt. di dir. penale dell’impresa, III, Padova, 1992, pagg. 105 segg..

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all’unanimità e con il voto favorevole di tutti i componenti del collegio

sindacale.

Non sussiste quindi più, oggi, a seguito del riordino normativo, lo

specifico riferimento, operato dall’abrogato art. 38, L. Banc., alle (tipizzate)

figure degli amministratori, dei liquidatori, dei direttori e dei membri

dell’organo di sorveglianza, né le (conseguenti) previsioni di raccordo per

estendere allora il divieto anche ai commissari ed ai membri del comitato di

sorveglianza di banche sottoposte ad amministrazione straordinaria (art. 65,

L. Banc.), ai commissari ed ai membri del comitato di sorveglianza di

banche sottosposte a liquidazione coatta amministrativa (art. 82, ult. comma,

L. Banc.) ed infine ai commissari ed ai componenti dei comitati di

sorveglianza di banche che abbiano proceduto al concordato di liquidazione

(art. 86, III comma, L. Banc.); essendosi preferito un criterio di tipo

funzionale5 per individuare, attraverso un’unica previsione normativa, tutti

i soggetti interessati: amministratori, sindaci, commissari, membri di

comitati di sorveglianza, direttori generali e coloro che svolgono funzioni

equivalenti6 7.

5 Cfr., chiaramente, la Relazione ministeriale all’art. 36, decr. lgs. n. 481/1992, cit.;

C. PATERNITI, Posizioni soggettive d’autore di reato e modello sanzionatorio nel decreto

legislativo n. 481/1992, in Riv. pen. dell’economia, 1993, pagg. 307 segg.; e sulla vecchia

normativa: G. INSOLERA, Riflessioni sul divieto di “contrarre obbligazioni di qualsiasi

natura” nell’art. 38 della legge bancaria, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1989, pagg. 1175

segg..

6 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XI (ediz. aprile

1997); nonché, per un’esauriente casistica delle funzioni equivalenti, F. BATTINI, L’area

soggettiva della disciplina delle obbligazioni assunte dagli esponenti bancari, in

Bancaria, 1979, pagg. 360 segg.. In generale, per una dettagliata individuazione delle

differenti figure riconducibili alle funzioni di amministrazione, direzione e controllo

dell’impresa bancaria, cfr. A. BORGIOLI, Gli “esponenti bancari”, in Studi e informazioni,

1991, (2), pagg. 109 segg., ivi a pagg. 112 seg..

Il vice direttore generale ricadrà nella previsione di cui all’art. 136, T.U.L.Banc.

soltanto qualora venga a svolgere la funzione di capo dell’esecutivo, nell’ipotesi pertanto

in cui la carica di direttore generale sia vacante; non anche in altre ipotesi.

Da escludere invece che rientri nella previsione normativa in esame il dirigente

della banca (pur se preposto a dipendenza, succursale o filiale [anche estera] e dotato di

poteri autonomi in materia di concessione del credito), nonchè chi svolge funzioni di

controllo interno alla banca (membri dell’ispettorato), od esterno alla stessa (revisori).

Anche per quanto concerne i sindaci supplenti, appare senz’altro da escludere

una loro ricomprensione nel novero dei soggetti attivi del reato. In verità, la Banca

d’Italia, in una nota delle Istruzioni in oggetto, pericolosamente afferma: “i sindaci

supplenti possono svolgere funzioni di controllo nei casi previsti dall’art. 2401 c.c.

nonché, al ricorrere di certe condizioni, nel periodo di permanenza in carica dei sindaci

effettivi (ad esempio, allorquando il membro effettivo del collegio sindacale non sia in

grado di intervenire tempestivamente ovvero non sia adeguatamente informato di

determinati fatti inerenti la vita sociale). In relazione a ciò, in un’ottica di cautela, si

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Tale scelta, in principio sicuramente opportuna nell’intento di evitare

ogni tipo di dubbio interpretativo connesso a possibili figure nuove od

atipiche, potrebbe comunque comportare diversi problemi, connessi proprio

al prescelto criterio oggettivo e funzionale. Si pensi qui soltanto alla

probabile riconducibilità nella fattispecie che rileva delle figure

dell’amministratore o del direttore “di fatto”, di soggetti cioè che, pur non

ritiene che la procedura di cui all’art. 136 del T.U. debba trovare applicazione anche nei

confronti dei sindaci supplenti”.

Tale affermazione, se forse prende spunto da una lontana decisione di merito

(Trib. Milano, 13 maggio 1976, Brodini c. Coop. Edilizia Ortensia, in Giur. comm.,

1977, II, pag. 904), ovvero da un’errata “lettura” di un precedente di legittimità (Cass. 9

ottobre 1986, n. 5928, Brasili c. Cassa di Risparmio di Roma, in Le società, 1986, pag.

1314), sembra, almeno nella sua parte finale, fortemente confusiva e pertanto, nella

sostanza, piuttosto pericolosa.

Non è difatti per nulla chiaro cosa si intenda con l’affermazione “la procedura di

cui all’art. 136 del T.U. deve trovare applicazione anche nei confronti dei sindaci

supplenti”. Significa forse che l’àmbito soggettivo della norma interessa anche i

supplenti? O significa invece soltanto che gli stessi sono chiamati a votare? E poi

quando: in ogni ipotesi, ovvero soltanto qualora svolgano, seppur temporaneamente,

funzioni di controllo?

La prima interpretazione appare senz’altro da respingere, anche se è quella forse

più aderente alla lettera dell’Istruzione; mentre da condividere è la lettura per cui è

necessario il voto del supplente quando questi è chiamato a sostituire

(temporaneamente) il sindaco effettivo.

In effetti, il fatto che la nota in questione sia stata inserita al termine del

paragrafo concernente il voto dei sindaci e non già all’inizio, dopo l’indicazione dei

soggetti interessati, potrebbe consentire una lettura nel senso della mera necessità del

voto dei supplenti in certe limitate ipotesi e non anche nel senso della ricomprensione

degli stessi nel novero dei soggetti attivi dell’art. 136, T.U.L.Banc.; così potendo

ritenere che, qualora un supplente sia chiamato a sostituire temporaneamente un

membro effettivo, debba votare ai sensi dell’art. 136 (è, ad esempio, il caso della

sospensione o dell’autosospensione del sindaco effettivo, il quale, pur restando in

carica, non può di certo esercitare il diritto-dovere di voto).

Ma, in verità, non è tanto la “collocazione” della nota nell’àmbito delle

Istruzioni a condurre ad una tale interpretazione, quanto, piuttosto, l’assorbente

circostanza per cui il sindaco supplente, prima di sostituire il sindaco effettivo, non

svolge alcuna funzione di controllo (conff.: G.U. TEDESCHI, Il collegio sindacale, in

Comm. del cod. civ., diretto da P. Schlesinger, Milano, 1992, pagg. 89 seg.; G. CAVALLI,

I sindaci, in Tratt. delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, 5,

Torino, 1988, pag. 170).

7 Deve poi anche registrarsi, nell’àmbito del nuovo contesto normativo e della

raggiunta omogeneizzazione delle tipologie bancarie, l’abrogazione di tutte quelle più

restrittive disposizioni che regolavano le obbligazioni degli esponenti delle casse di

risparmio, dei monti di credito su pegno, nonché delle casse rurali ed artigiane (e su tale

disciplina v. S. MAZZARELLA, La disciplina delle obbligazioni di amministratori, direttori

e sindaci di enti di credito, in Banca, borsa, tit., cred., 1973, I, pagg. 507 segg.).

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rivestendo la formale qualifica di amministratore o di direttore, purtuttavia

esercitano funzioni a queste figure tipicamente riconducibili8; ovvero

all’altrettanto probabile necessità di escludere dal campo di applicazione

della norma i commissari liquidatori di banche in liquidazione coatta

amministrativa, soggetti, questi, non svolgenti di certo funzioni

“amministrative”, bensì, soltanto e tipicamente, attività liquidativa9.

Ed anche in relazione all’àmbito oggettivo di applicazione della

norma permangono poi numerosi problemi.

Il Testo Unico, lasciando assolutamente inalterato il tenore letterale

della disposizione rispetto ai suoi precedenti (si fa difatti ancora riferimento

alle “obbligazioni di qualsiasi natura”), non ha offerto gli auspicati ausilii

interpretativi: così da dover ancora oggi essere riproposte tutte le diverse

interpretazioni fornite in punto nel vigore dell’art. 38, L. Banc. (e poi

dell’art. 36, decr. lgs. n. 481/1992).

A fronte allora di quelle impostazioni per le quali debbono intendersi

ricomprese nel divieto tutte le operazioni negoziali compiute con la banca,

ricomprendendo quindi anche quelle in cui la stessa viene ad assumere una

posizione lato sensu “debitoria” nei confronti dell’esponente, magari solo

per effetto del perfezionamento di un deposito bancario10, si contrappongono

quelle più restrittive interpretazioni per cui andrebbero ricomprese nel

divieto soltanto quelle operazioni in cui la banca diviene “creditrice”

dell’esponente11, o – meglio – assume in relazione a costui una posizione di

8 Per il dovuto approfondimento della tematica: A. ROSSI VANNINI, L’art. 36 del

d.l. 14 dicembre 1992, n. 481: profili penalistici, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1993, pagg.

373 seg..

9 Contra, tuttavia, ma forse involontariamente, BANCA D’ITALIA, Istruzioni di

vigilanza per gli enti creditizi, XI (ediz. aprile 1997). E cfr., per una corretta

focalizzazione della problematica, A. PISANI MASSAMORMILE, Commento all’art. 136

T.U.L.Banc., in AA.VV., Commentario al testo unico, cit., pagg. 672 seg..

10 Cfr. Pret. pen. Milano, 12 agosto 1976, imp. Sindona e altri, in Giur. comm.,

1979, II, pag. 640; A. PISANI MASSAMORMILE, Commento all’art. 136, cit., pagg. 672 seg..

11 In tal senso, ad esempio: R. COSTI, L’ordinamento bancario, cit., pag. 584; G.

MOLLE, La banca nell’ordinamento giuridico italiano cit., pag. 329; S. MAZZARELLA, La

disciplina delle obbligazioni, cit., pag. 526; G.C. MELLI, Il delitto di “abuso di

obbligazioni dell’amministratore bancario” (artt. 38, 65, 82, u.c. e 93, Legge bancaria),

in Banca, borsa, tit. cred. 1973, II, pag. 311; A. CASSELLA, Il conflitto di interessi

nell’attività bancaria, idem, 1996, I, pag. 801.

È evidente peraltro che dovranno comunque considerarsi ricomprese nel divieto

quelle operazioni di raccolta o accessorie che dovessero risultare perfezionate tra banca ed

esponente a condizioni non standardizzate, diverse cioè (naturalmente in senso più

favorevole all’esponente) da quelle applicate per la clientela o per i dipendenti; e cfr.

anche, in tal senso, BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XI (ediz.

aprile 1997); M.S. SPOLIDORO, Divieto della concessione di prestiti, cit..

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rischio12; sicché, ed in quest’ultima prospettiva, dovrebbero considerarsi

senz’altro rientranti nel divieto de quo, ad esempio (oltre alle aperture di

credito, alle carte di credito, ed a tutti quei rapporti che non evidenziano

posizioni stricto sensu “creditorie” in capo alla banca), anche le fidejussioni

rilasciate dalla banca a favore dell’esponente, le quali, se nel momento del

perfezionamento del rapporto (obbligatorio) non configurano certo un

“debito” in capo alla banca, di certo producono profili di “impegno” e di

“rischio” in capo alla stessa.

La seconda e più restrittiva lettura appare senz’altro maggiormente

convincente, posto che, al di là degli eccessivi vincoli operativi che

verrebbero a crearsi aderendo alla diversa impostazione, essa sembra, vuoi

più rispettosa della genesi stessa della norma, derivata, non si dimentichi,

dall’art. 6, legge 4 giugno 1931, n. 660 – ove, al pari dell’art. 2624 cod. civ.,

si parla chiaramente di “prestiti sotto qualsiasi forma” –, vuoi soprattutto più

coerente con la ratio della disposizione, attraverso la quale appare evidente

come il legislatore abbia inteso evitare il rischio di un illecito “sfruttamento”

delle risorse bancarie da parte degli esponenti.

Ciò posto, uno dei nodi più ardui da sciogliere per l’interprete resta

comunque quello dell’individuazione del corretto significato da ascrivere

all’avverbio “indirettamente”, contenuto nel primo comma dell’articolo in

commento.

Ora, certamente da ricomprendere nell’àmbito della fattispecie vietata

sono tutte quelle ipotesi in cui si è in presenza di interposizioni di persona

aventi natura fittizia ovvero reale13; così come altrettanto certamente deve

respingersi quella (eccessivamente estesa) lettura della norma per cui il

divieto ricorrerebbe ogniqualvolta si fosse in presenza di un cumulo, in capo

12 Cfr. A. BARTULLI e G.M. FLICK, Commento all’art. 93, L. Banc., in Cod. comm.

della banca, cit., pag. 1123; C. ANGELICI, Nota a Cass. 25 gennaio 1968, n. 218, in Riv.

dir. comm., 1968, II, pag. 246; F. BONELLI, Amministratori di banche e conflitto di

interessi, in Giur. comm., 1989, I, pagg. 911 segg.; G. BOTTIGLIONI, Problemi attuali in

tema di obbligazioni degli esponenti bancari, in Banca, impresa e società, 1997, pagg. 98

segg..

13 Così, tra i molti, pur con differenti sfumature: Gui. ROSSI, Sul significato

dell’avverbio “indirettamente” nell’art. 38 della legge bancaria, in Riv. soc., 1979, pagg.

169 segg.; A. BARTULLI e G.M. FLICK, Commento all’art. 93, cit., pag. 1126; G. MOLLE,

La banca nell’ordinamento giuridico italiano, cit., pag. 787; F. BRICOLA, Gli illeciti

rapporti patrimoniali fra dirigenza e azienda di credito, in AA.VV., La responsabilità

penale degli operatori bancari, a cura di M. Romano, Bologna, 1980, pagg. 123 segg.; A.

CRESPI, L’assunzione indiretta di obbligazioni prevista dall’art. 38 della legge bancaria

in un recente responso giudiziario, in Riv. soc., 1976, pagg. 875 segg..

Sul fenomeno dell’occultamento della reale titolarità di beni o diritti può qui

rinviarsi, per tutti, a L. NANNI, L’interposizione di persona, Padova, 1990, passim.

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all’esponente interessato, della titolarità di una qualsiasi delle funzioni

previste dall’art. 136, T.U.L.Banc. e di un’omologa funzione ricoperta in

seno alla società controparte14.

Tali risultati tuttavia non esauriscono di certo la problematica, posta

all’evidenza l’incongruità del comprimere la fattispecie vietata nell’àmbito

della figura dell’interposizione personale.

Occorre, in verità, considerare appieno le ragioni di fondo del divieto

– come appena evidenziato essenzialmente finalizzato ad evitare

un’antieconomica ed imprudente gestione delle risorse – ricomprendendo

quindi nello stesso tutte quelle molteplici fattispecie in cui risulti che è la

persona dell’esponente bancario – e di riflesso il suo interesse patrimoniale –

a “beneficiare”, in senso economico, dell’operazione.

Con la conseguenza che dovranno sottostare alla regola del consenso

unanime previsto dall’art. 136, T.U.L.Banc. tutte quelle concessioni di

affidamento in favore di soggetti pur formalmente distinti dall’esponente

bancario ma tuttavia collegati allo stesso da un rapporto giuridico di

“interdipendenza” patrimoniale (ad esempio, le ipotesi di cui agli artt. 2267,

2291, 2318, 2362, 2499 cod. civ., ovvero quelle di coniugio o parentela

stretta); mentre potranno prescinderne le concessioni in favore di enti o

società di cui l’esponente bancario risulti mero rappresentante o dipendente,

senza alcuna connessione patrimoniale15.

14 Così invece l’isolata tesi di G. LA VILLA, Art. 38 della legge bancaria e

obbligazioni contratte “indirettamente”, in Giur. comm., 1979, II, pagg. 640 segg.; per

una critica puntuale: F. BONELLI, Amministratori di banche, cit., pag. 920.

15 In questo ordine di idee, tra gli altri, in dottrina, pur con diverse sfumature: R.

COSTI, L’ordinamento bancario, cit., pagg. 584 seg.; A. PISANI MASSAMORMILE,

Commento all’art. 136, cit., pag. 675; G. INSOLERA, Riflessioni sul divieto di contrarre

“obbligazioni di qualsiasi natura” nell’art. 38 legge bancaria, cit., pag. 1176; F.

BONELLI, Amministratori di banche, cit., pagg. 919 segg.; nonché A. CRESPI, L’assunzione

indiretta, loc. cit., il quale però – sulle orme di Gui. ROSSI, Sul significato, cit. – ha mutato

espressamente opinione in successivi scritti (ID., Rassegna di diritto societario -

1977-1980, in Riv. soc. 1982, pag. 575; ID., I nuovi orizzonti “postumi” dell’art. 38

dell’abrogata legge bancaria. Variations sérieuses sulle obbligazioni “indirette”, idem

1996, pag. 81), aderendo alla tesi restrittiva che riconduce l’ipotesi legislativa, oltre che

alle ipotesi di interposizione, soltanto a quelle in cui si configura una totale confusione tra

il patrimonio dell’esponente e quello dell’ente affidato.

In giurisprudenza, principalmente: Pret. pen. Milano, 12 agosto 1976, cit.; Trib.

pen. Milano, 17 luglio 1978, imp. Sindona, in Giur. comm., 1979, II, pag. 640; Pret. pen.

Rieti, 14 febbraio 1973, imp. Rosati Colarieti e altri, in Banca, borsa, tit. cred., 1973, II,

pag. 300; ma vedi anche Cass. pen. 25 giugno 1980, imp. Sindona, inedita, ma cit. da L.

GUARNIERI, Disciplina penale, in Giur. banc. (1980-1981), 1, Milano, 1982, pagg. 172

seg.; e Trib. pen. Massa, 27 dicembre 1976, imp. Gamberucci e altri, in Giur. comm.,

1979, II, pag. 641.

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Sembra infine corretto ritenere che la fattispecie vietata debba

completarsi con un richiamo a quelle diverse situazioni di controllo sull’ente

beneficiato che potrebbero eventualmente far capo all’esponente bancario;

controllo che, per coerenza sistematica, andrà ricondotto alla nozione offerta

dall’art. 23 T.U.L.Banc. e che, pertanto, qualora sussistente, potrebbe

configurare l’ipotesi di cui all’art. 136 indipendentemente dalla presenza di

una effettiva partecipazione dell’esponente nella società beneficiata16.

Venendo ora agli aspetti connessi alle formalità deliberative, l’art. 136

T.U.L.Banc., come già rilevato, non contiene un divieto assoluto: consente

all’esponente bancario di contrarre le obbligazioni (in principio vietate)

qualora sussista una “previa deliberazione dell’organo di amministrazione

presa all’unanimità e col voto favorevole di tutti i componenti dell’organo di

controllo, fermi restando gli obblighi di astensione previsti dalla legge”.

Al riguardo, è stato correttamente notato in dottrina come, trattandosi

di eccezione ad un divieto, avente poi serio rilievo, anche di “immagine”,

nell’ambiente bancario, tale norma debba essere letta in senso sicuramente

restrittivo17.

Circa l’interpretazione del dato normativo, v’è innanzitutto da

osservare come la delibera del consiglio di amministrazione18 debba essere

16 Cfr., in senso sostanzialmente conforme, A. PISANI MASSAMORMILE, Commento

all’art. 136, cit., pag. 675; BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XI

(ediz. aprile 1997); e cfr. anche, in punto, diffusamente, A. COLAVOLPE, Brevi note in

tema di obbligazioni degli esponenti di banche e di società appartenenti a gruppi bancari:

l’art. 136 del T.U. delle leggi in materia bancaria e creditizia, in Temi romana, 1996, I,

pagg. 35 segg.; G. BOTTIGLIONI, Problemi attuali in tema di obbligazioni degli esponenti,

cit., pagg. 100 segg..

17 Così, convincentemente, A. PISANI MASSAMORMILE, Commento all’art. 136,

cit., pag. 676.

18 È da escludere la possibilità che un organo delegato, diverso dal consiglio di

amministrazione, possa deliberare operazioni creditizie in favore di coloro che svolgono

funzioni di amministrazione, direzione o controllo all’interno di una banca (così, per tutti,

A. BARTULLI e G.M. FLICK, Commento all’art. 93, cit., pag. 1122; A. PISANI

MASSAMORMILE, Commento all’art. 136, cit., pag. 676; Pret. pen. Milano, 21 gennaio

1978, imp. Ferrari, in Banca, borsa, tit. cred., 1979, II, pag. 250 seg., in motivazione, alla

pag. 251).

E resta a nostro avviso anche esclusa la possibilità che in materia deliberi un

comitato esecutivo cui siano stati, in ipotesi (invero rara), attribuiti, per statuto, poteri

generali in materia di erogazione del credito; contra però: BANCA D’ITALIA, Istruzioni di

vigilanza per gli enti creditizi, XI, (ediz. aprile 1997). L’ammettere, in principio, la

competenza deliberativa in capo ad un comitato esecutivo potrebbe condurre alla

(incongrua) situazione di una delibera ex art. 136, T.U.L.Banc. adottata con il voto di

pochissimi membri del consiglio di amministrazione: gli è difatti che – se per la validità

della delibera si reputa necessaria (come vedremo infra) soltanto l’unanimità tra i presenti

– si potrebbe verificare che in una banca con un consiglio di 11 membri ed un comitato

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necessariamente preventiva (“previa”), rispetto al compimento

dell’operazione di rischio; nonché poi specifica, interessare cioè quel

determinato esponente ed avere poi ad oggetto quella particolare operazione.

Sicché una delibera che provveda a ratificare un’operazione concretamente

già posta in essere, così come anche una delibera che provveda a definire

affidamenti generali, dovrà necessariamente considerarsi inidonea a

soddisfare il precetto in commento19 20.

Circa le formalità deliberative, si è già verificato come la norma in

questione, al primo comma, richieda che la delibera consiliare venga

adottata “all’unanimità e con il voto favorevole di tutti i componenti

dell’organo di controllo, fermi restando gli obblighi di astensione previsti

dalla legge”.

esecutivo di 5 (quest’ultimo con un quorum costitutivo di 3, tra cui magari l’interessato)

potrebbe considerarsi rispettato l’art. 136 con soli 2 voti su 11 (!); così palesemente

tradendo la ratio stessa dell’incriminazione. E peraltro si noti che interpretazioni

eccessivamente permissive, pur se in qualche modo ispirate al dettato delle Istruzioni, non

liberano affatto da responsabilità penale; il che è del resto pienamente confermato dalle

stesse Istruzioni, le quali, nella Premessa, hanno cura di precisare che “attenendo a materia

sanzionata penalmente, ogni valutazione in concreto delle singole fattispecie, non può che

essere rimessa al responsabile apprezzamento dei soggetti interessati e, in ultima analisi,

alla competenza dell’Autorità giudiziaria”.

Circa poi le ipotesi di commissario straordinario unico o di due commissari

straordinari (con poteri di firma necessariamente congiunti, ex art. 72, VI comma,

T.U.L.Banc.), v. le considerazioni di I. COLONNESE, Commento all’art. 65, L. Banc., in

Cod. comm. della banca, cit., pag. 783.

19 Conf. A. PISANI MASSAMORMILE, Commento all’art. 136, cit., pag. 676.

20 In relazione all’ipotesi degli affidamenti “generali”, un esempio potrà giovare.

Si faccia il caso di un esponente (o della sua impresa) titolare di un’apertura di credito

per cento milioni originariamente deliberata nel pieno rispetto dell’art. 136. Ora, se

detto esponente (o la sua impresa) intendesse utilizzare l’apertura di credito sino a

centodieci milioni “sfruttando” una delibera generale del consiglio che autorizza i

preposti delle filiali a concedere a tutti gli affidati, per periodi di tempo limitato (ad

esempio: tre mesi), extra-fidi sulle linee di credito per un ammontare pari al 10 per cento

degli affidamenti in essere, egli, quale esponente (o, “indirettamente”, la sua impresa),

non potrebbe usufruire di tale facilitazione generale, dovendosi applicare, anche per tale

ulteriore 10 per cento, il peculiare meccanismo deliberativo di cui al nostro art. 136.

E si pensi parimenti a quelle (peraltro non infrequenti) ipotesi in cui la banca

consente alla clientela – con delibere generali – limitati scoperti per valuta, ovvero

disponibilità immediate sugli importi degli assegni negoziati in conto, od infine

operazioni di “cambio assegni”. Anche in tutti questi casi l’esponente (o la sua impresa)

non potrà usufruire dell’agevolazione generale.

E per un tentativo di ricostruzione della disciplina giuridica delle suddette

operazioni di credito, v. infra nel testo, e cfr. già U. MORERA, Apertura di credito tacita o

fido di fatto?, in Riv. dir. comm., 1992, II, pag. 356.

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Al riguardo, si deve ritenere che l’“unanimità” richiesta dalla legge

non sia condizionata dalla presenza in consiglio di tutti i componenti,

essendo sufficiente l’intervento di un numero di amministratori atto a

garantire la valida costituzione dell’organo e che tutti gli intervenuti votino

poi a favore dell’operazione (salva, naturalmente, anche ex art. 2391 cod.

civ., l’astensione del componente interessato, con altresì il suo

allontanamento dalla riunione)21.

Circa poi la condizione relativa al voto favorevole di tutti i

componenti l’organo di controllo, si deve ritenere, in ciò concordando

appieno con una recente interpretazione, che l’opinione del singolo

componente debba essere espressa nell’àmbito della riunione consiliare in

cui viene discussa e decisa la questione, e non già successivamente (pur se,

naturalmente, prima del compimento dell’operazione) 22. La legge, in effetti,

è precisa in questo senso, facendo espresso riferimento al “voto” (in senso

proprio: manifestazione di volontà espressa in seno ad un collegio) e,

soprattutto, richiedendo che la delibera consiliare sia “presa col voto

favorevole ...”; in armonia poi con l’esigenza, questa volta di natura

sostanziale, che il componente dell’organo di controllo partecipi

effettivamente all’esame della questione, nonché alla conseguente

discussione collegiale sulla stessa, necessaria a formare il personale

convincimento in merito all’operazione proposta.

Fin qui, le problematiche generali degli affidamenti agli esponenti

aziendali.

Il secondo comma dell’art. 136 stabilisce poi che “le medesime

disposizioni si applicano anche a chi svolge funzioni di amministrazione,

direzione e controllo, presso una banca o società facenti parte di un gruppo

bancario, per le obbligazioni e gli atti indicati nel comma primo posti in

essere con la società medesima o per le operazioni di finanziamento poste in

21 Conf., per tutti: R. COSTI, L’ordinamento bancario, cit., pag. 585; G.

BOTTIGLIONI, Problemi attuali, cit., pag. 107; A. PISANI MASSAMORMILE, Commento

all’art. 136, cit., pag. 676, ove altre indicazioni; nonché BANCA D’ITALIA, Istruzioni di

vigilanza per gli enti creditizi, XI (ediz. aprile 1997); contra, tuttavia, F. BRICOLA, Gli

illeciti rapporti patrimoniali, cit., pag. 138; A. ROSSI VANNINI, L’art. 36 del d.l. 14

dicembre 1992, cit., pag. 374.

Ai fini del calcolo del quorum costitutivo dovrà tenersi conto anche del consigliere

che andrà ad astenersi a causa della sua posizione di conflitto; e ciò in sostanziale analogia

con la regola sancita dall’art. 2373, ult. comma, cod. civ., secondo cui le azioni per le

quali, a causa del conflitto d’interessi, non può essere esercitato il diritto di voto sono

comunque computate ai fini della regolare costituzione dell’assemblea.

22 A. PISANI MASSAMORMILE, Commento all’art. 136, cit., pag. 676; contra,

tuttavia, BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XI (ediz. aprile

1997).

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essere con altre società o con altra banca del gruppo. In tali casi

l’obbligazione o l’atto sono deliberati, con le modalità previste dal comma

primo, dagli organi della società o banca contraente e con l’assenso della

capogruppo”.

Per miglior chiarezza: il secondo comma estende la disciplina del

primo a due ipotesi: a) operazioni all’interno di una società (operazioni tra

società e suoi esponenti), società che faccia parte di un gruppo bancario ma

non sia una banca; b) operazioni di finanziamento “trasversale”, operazioni

cioè che abbiano come parte un esponente di una banca o società del gruppo

bancario da un lato e, dall’altro lato, una società od una banca del gruppo

diversa da quella cui appartiene l’esponente23. È appunto con riferimento a

queste operazioni che l’ultima parte del secondo comma stabilisce: “in tali

casi l’obbligazione o l’atto sono deliberati con le modalità previste dal

primo comma dagli organi della banca o società contraente e con l’assenso

della capogruppo”.

Si tratta di una disciplina nuova24; e forse non troppo bene articolata,

come emerge almeno sotto due profili.

In primo luogo, non si comprende la ragione per cui il conflitto

“interno” in una banca che appartenga ad un gruppo non debba essere

portato a conoscenza della capogruppo; eppure così sembra proprio debba

avvenire, vista la dizione della parte finale del secondo comma: “In tali casi

...”, casi che certamente non comprendono il conflitto “interno” in una

banca, conflitto che risulta regolato dal primo comma. È questo però forse

soltanto un difetto di tecnica legislativa25, purtuttavia difficilmente

superabile, posto che la materia è penalmente sanzionata.

23 Tale rilevante distinguo, operato per la prima volta dal legislatore del Testo

Unico nell’intento di esentare dal placet numerose operazioni “incrociate” ritenute lecite e

fisiologiche nell’àmbito di un gruppo bancario, pone comunque diversi interrogativi sulla

necessità di applicare o meno la procedura stessa in presenza di tutta una serie di

operazioni: posto l’evidente permanere di una diffusa incertezza in merito all’effettiva

“delimitazione” del concetto giuridico di finanziamento, almeno in diritto privato (e v. le

considerazioni svolte nel precedente capitolo).

24 E tuttavia ... incredibilmente applicata, di fatto, ad una fattispecie (che avrebbe

dovuto essere) regolata dall’art. 38, L. Banc., da Cass. 12 dicembre 1995, n. 12733,

Banco Ambrosiano c. C.i.r. e Compagnia Finanziaria De Benedetti, De Benedetti e altri,

in Foro it., 1996, I, col. 2162, con osservaz. di G. LA ROCCA; in Nuova giur. civ. comm.,

1997, pag. 1, con commento di E. VELLANDI; in Corr. giuridico, 1996, pag. 411, con

nota di E. BOCCHINI; in Le società, 1996, pag. 419, con nota di A. COLAVOLPE; e v.

anche il commento fortemente critico di A. CRESPI, I nuovi orizzonti “postumi” dell’art.

38, cit., spec. pagg. 87 seg..

25 Per qualche ulteriore chiarimento: BANCA D’ITALIA, Lettera-Circolare n.

206040 del 10 agosto 1995, in A.B.I., Circolare 30 ottobre 1995, serie Legale, n. 37, pag.

5.

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In secondo luogo, con il secondo comma dell’art. 136 ci si allontana

sensibilmente dalla matrice che aveva ispirato l’art. 38 dell’abrogata Legge

bancaria (e che ancor oggi ispira il primo comma). Posto che il sospetto di

influenza inquinante dell’esponente (interessato all’operazione) sulla

decisione degli organi collegiali chiamati a deciderla – sospetto che permane

quando l’operazione sia interna a qualunque società – è di certo scarsamente

ipotizzabile in molte ipotesi; e si pensi, ad esempio, a quando un

amministratore di una società fiduciaria appartenente ad un gruppo bancario

richieda un’operazione di leasing ad una società interna al gruppo,

operazione che deve essere deliberata dall’organo amministrativo della

società di leasing, alla quale l’esponente interessato è totalmente estraneo.

Relativamente poi alla necessità dell’assenso della capogruppo26 , si

deve osservare preliminarmente come l’espressione “assenso” sia fortemente

atipica, praticamente sconosciuta in diritto privato, così come poi in diritto

societario, ove può registrarsi soltanto un “consenso” del collegio sindacale

(all’iscrizione di determinate poste di bilancio: v. art. 2426, cod. civ.); ma la

scarsa elaborazione in merito a tale “consenso” non è certamente d’ausilio

nella ricerca della corretta delimitazione del concetto di assenso che qui

interessa.

Da ciò l’indubbia difficoltà di approfondire la portata e la natura

dell’“assenso” in questione, poi aggravata dalla circostanza che si è di fronte

ad un’ipotesi di “interferenza” fra soggetti giuridicamente distinti, pur

facenti parte di un gruppo; entità, quest’ultima, peraltro non ancora

sufficientemente approfondita.

In merito, comunque, dovrebbe essere possibile ritenere, almeno da

un punto di vista giuridico-formale, che l’assenso non costituisca requisito di

validità o di efficacia della deliberazione, né requisito di validità o di

efficacia dell’atto eventualmente compiuto senza assenso. Quest’ultimo, in

effetti, apparendo soltanto come condizione di regolarità del complesso

procedimento di decisione dell’atto.

Sicché il compimento dell’atto in caso di omessa richiesta

dell’assenso, in caso di assenso non ancora concesso, ovvero quando

26 La norma non indica quale sia l’organo della capogruppo competente a

concedere l’assenso. Al riguardo, appare logica la soluzione che vuole il consiglio di

amministrazione libero di adottare autonomamente tale provvedimento ogni qualvolta lo

stesso venga sollecitato, ovvero, a seguito alla predeterminazione di precisi criteri di

valutazione, affidare istituzionalmente tale compito ad uno specifico organo all’uopo

delegato; in questo senso anche BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti

creditizi, XI (ediz. aprile 1997); A. NAPOLITANO, La nuova disciplina sulle obbligazioni

degli esponenti bancari, in Impresa comm. ind., 1993, pag. 1562). In ogni ipotesi, è chiaro

come la delibera contenente l’assenso debba essere adottata, con le normali maggioranze,

prima del compimento dell’operazione.

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l’assenso sia stato negato, dovrebbe (soltanto): da un lato, comportare

l’applicazione delle sanzioni penali di cui all’art. 2624, I comma, cod. civ. e,

dall’altro, legittimare reazioni della capogruppo nei confronti degli organi

amministrativi della controllata (ad esempio potrebbe costituire giusta causa

di revoca).

Ciò premesso, e venendo quindi al problema, invero centrale, relativo

a ciò che la capogruppo può e deve fare nel concedere l’assenso, appare

possibile sostenere: i) che debba verificare la correttezza procedimentale

della deliberazione della controllata, cioè l’osservanza delle “modalità

previste dal primo comma”27 ; ii) che debba conoscere l’intera “pratica”,

verificando la completezza formale della documentazione acquisita, la

coerenza tecnica dell’operazione, nonché la sua rispondenza alle istruzioni o

direttive, anche di gruppo, emanate dalla stessa capogruppo ex art. 61, IV

comma, T.U.L.Banc..

L’espressione normativa “assenso”, però, proprio in quanto non

risponde, come già osservato, a nessun istituto di diritto privato o

commerciale, deve essere interpretata, in base ai princìpi (art. 12, I comma,

Preleggi), attribuendogli il senso “fatto palese dal significato proprio” della

parola. Con allora la conseguenza che “assenso” non può significare solo

controllo (nei contenuti di cui ai precedenti punti i e ii), ma deve voler dire,

secondo appunto il significato proprio del termine, manifestazione di

volontà, positiva, al compimento dell’operazione28 .

Ma se è vero che si è in presenza della volontà che la controllata

compia l’operazione, quest’ultima però è, e resta, totalmente della

controllata. In altri termini: il processo valutativo e decisionale della

controllata è compiuto, appartiene soltanto alla controllata, ed appare

escluso che la capogruppo vi possa partecipare, o che comunque possa

influire sulla sua formazione; di tal che l’operazione, assentita e posta in

essere, resta un’operazione della controllata, esclusivamente sua.

27 Con allora il sospetto che, mancando tale verifica, e nell’ipotesi in cui le

modalità del primo comma non siano state osservate, anche i componenti dell’organo della

capogruppo possano incorrere nelle sanzioni penali previste dal terzo comma dell’art. 136,

T.U.L.Banc..

28 E v. già quanto da noi precedentemente affermato in: U. MORERA, Disciplina

delle obbligazioni degli esponenti bancari, in Le società, 1994, pagg. 1706 segg.; ID.,

L’esercizio del credito nei confronti degli “esponenti bancari”, in AA.VV., La nuova

disciplina dell’impresa bancaria, II, L’attività delle banche, a cura di U. Morera e A.

Nuzzo, Milano, 1996, pagg. 125 segg..

L’assenso, nel sistema della disposizione in esame, appare peraltro un atto

“libero”, che la capogruppo può concedere ovvero negare, senza necessità di particolari

motivazioni.

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Ragionando diversamente, ammettendo cioè che la capogruppo possa

chiedere, ad esempio, una modifica dell’operazione, si arriverebbe

all’assurdo di una sostanziale “rideliberazione” dell’operazione, la quale,

alla fine, sotto il profilo delle eventuali responsabilità, finirebbe per

coinvolgere anche la capogruppo. Senza considerare, poi, che se la

capogruppo non fosse una banca ben potrebbe mancargli la competenza

specifica a valutare il c.d. merito creditizio.

L’assenso in questione appare dunque manifestazione di volontà che

l’operazione sia compiuta, ma manifestazione di volontà esterna al processo

valutativo e decisionale dell’operazione: si assente a ciò che altri fà, non si

partecipa al fare assentito; così da doversi escludere che la capogruppo possa

chiedere formalmente modifiche dell’operazione29 e che la controllata

modifichi la sua decisione, coinvolgendo così la capogruppo nella decisione

dell’operazione.

Sembrando allora possibile concludere con l’affermare che l’assenso

trova giustificazione, fondamento e limiti nell’opportunità di far effettuare

una valutazione della rispondenza dell’operazione non già all’interesse

sociale della controllata, bensì all’interesse generale del gruppo, soprattutto

allora alla stabilità, e ciò anche alla luce della circostanza che la capogruppo

può ben conoscere altre posizioni nel gruppo dell’esponente in conflitto.

Venendo infine ai profili penalistici in senso stretto30 , il reato

considerato dalla norma in commento – il cui momento consumativo è

rappresentato dal compimento materiale dell’atto (più precisamente: dal

perfezionamento del negozio di credito, posto in essere in attuazione della

delibera di concessione dell’affidamento) – viene pressoché concordemente

inquadrato tra i reati propri, a soggettività predeterminata dal legislatore31 ;

nonché considerato reato di pericolo presunto, non essendo quindi

necessaria né la produzione di un danno concreto, né la sussistenza di un

rischio effettivo di danno.

29 Naturalmente, sul piano fattuale, ben può avvenire che la capogruppo

informalmente faccia conoscere che non è disposta a rilasciare l’assenso se non, ad

esempio, a condizione che l’importo di un finanziamento sia diminuito, o che il

finanziamento sia maggiormente garantito. Ciò, tuttavia, è manifestazione del potere di

fatto che la capogruppo possiede sulla controllata, potere che esiste per la circostanza

stessa del controllo, prima ed indipendentemente dalla parziale regolamentazione che ne

ha dato l’art. 61, IV comma, T.U.L.Banc..

30 Sui quali, da ultimo, esaustivamente, A. ROSSI VANNINI, L’art. 36, cit., passim;

e v. anche: Cass. pen. 26 giugno 1990, imp. Bordoni, in Cass. pen., 1991, I, pag. 828; Pret.

pen. Rieti, 14 febbraio 1974, cit..

31 E cfr. comunque i problemi sollevati retro, relativi alle diverse ipotesi “di fatto”,

in concreto configurabili.

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L’elemento soggettivo appare costituito dal dolo generico,

consistente, all’evidenza, nella volontà e nella piena coscienza

dell’esponente di porre in essere un’operazione di rischio con l’ente

amministrato, diretto o controllato pur in assenza delle prescritte delibere

autorizzative prese in conformità al disposto normativo.

Infine, circa la configurabilità di un concorso, ex artt. 110 segg. cod.

pen., mentre questo deve essere sicuramente escluso tra l’esponente e quegli

amministratori e sindaci che abbiano eventualmente espresso il voto

favorevole nell’àmbito di una deliberazione non unanime32 , essendo un

precipuo onere dell’esponente interessato accertarsi, prima che l’operazione

abbia attuazione, del corretto ed integrale adempimento delle formalità

prescritte dalla legge33 , ci pare invece configurabile, con ogni probabilità,

tra l’esponente interessato ed il funzionario della banca che materialmente

ponga in essere (o comunque esegua) il rapporto obbligatorio di rischio in

assenza della prevista delibera consiliare34 . E ciò potrà in concreto

verificarsi soprattutto in tutte quelle ipotesi (peraltro non infrequenti) in cui

all’esponente viene consentito l’uso “di fatto” della disponibilità bancaria

(cambio assegni, sconfinamenti sul conto, disponibilità immediata degli

assegni negoziati, ecc.), in assenza quindi della formale decisione di

affidamento (e per tali fattispecie, v. diffusamente infra).

6. I limiti territoriali nella concessione di fido.

Sotto il profilo dell’estensione territoriale, l’attività bancaria di

esercizio del credito è stata sempre considerata dal nostro ordinamento – al

pari di quella relativa alla raccolta – in linea di principio, libera1. La legge

non ha infatti mai stabilito alcun tipo di limitazione territoriale; sì da indurre

32 Conf. A. BARTULLI e G.M. FLICK, Commento all’art. 93, cit., pag. 1127; A.

PISANI MASSAMORMILE, Commento all’art. 136, cit., pag. 677; Trib. pen. Massa, 27

dicembre 1976, cit..

33 Il Trib. pen. Massa, 27 dicembre 1976, cit., ha peraltro precisato che tale attività

di controllo sull’adempimento delle formalità competerebbe anche, seppur a diverso titolo,

e poi quale obbligo, al direttore generale, in qualità di soggetto cui viene riservato il

compito di dare esecuzione alle delibere del consiglio di amministrazione.

34 Cfr., ad esempio, Pret. pen. Milano, 21 gennaio 1978, cit. (in motivazione);

conf. G. BOTTIGLIONI, Problemi attuali in tema di obbligazioni, cit., pag. 114.

1 Per tutti: R. COSTI, L’ordinamento bancario, Iª Ediz., Bologna, 1986, pagg. 320

segg.; G. MOLLE, La banca nell’ordinamento giuridico italiano, cit., pag. 71.

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la giurisprudenza amministrativa a considerare l’attività bancaria come

attività “spazialmente indefinita”2.

Tuttavia, a differenza di quanto è avvenuto per le operazioni di

raccolta del risparmio, le autorità creditizie, fin dall’entrata in vigore della

Legge bancaria del 1936, hanno costantemente imposto precise limitazioni

all’àmbito territoriale nel quale le banche potevano esercitare la loro attività

creditizia.

Con i provvedimenti iniziali3, frutto delle logiche politico-legislative

dell’epoca, tendenti, com’è noto, a comprimere con vigore la concorrenza tra

banche4, ritenuta allora uno dei principali problemi del sistema creditizio,

venne vietato alle aziende di credito ed alle loro filiali di operare “al di fuori

della loro appropriata zona di competenza, che non [avrebbe dovuto]

eccedere in alcun caso, come massima estensione, il territorio della

provincia”5.

Tale sistema, estremamente restrittivo, rimase nella sostanza immutato

per trent’anni, fino al 1966, quando il C.I.C.R.6, conscio dell’avvenuto

mutamento delle condizioni di politica economica che erano state alla base

2 Cfr. Cons. Stato, Sez. IVª, 26 settembre 1975, Banca d’Italia c. Fidotti e altri, in

Banca, borsa, tit. cred., 1975, II, pag. 492, con nota di F. CAPRIGLIONE, Competenza

territoriale delle aziende di credito e ricorsi giurisdizionali al TAR; Cons. Stato, Sez. IVª,

27 gennaio 1976, Ministero del Tesoro e altri c. G.E.F.I. s.p.a., idem, 1976, II, pag. 375,

con nota di L. DESIDERIO, Autorizzazioni ex art. 28 l.b. e procedure di liquidazione delle

aziende di credito.

3 Cfr.: COMITATO DEI MINISTRI, Delibera del 16 maggio 1936 (in Gazz. Uff. 27

maggio 1936, n. 122); nonché ID., Delibera del 5 febbraio 1938 (in Bollettino

dell’Ispettorato per la Difesa del risparmio e l’esercizio del credito, 15 febbraio 1938, n.

20), i cui brani più significativi possono leggersi anche in A. PRINCIPE, I fidi irregolari,

cit., pagg. 109 segg..

4 E su queste tematiche cfr. gli interessanti spunti offerti da V. BUONOCORE,

Rilevanza giuridico-legislativa dell’organizzazione territoriale di un sistema creditizio a

base nazionale, in Giur. comm., 1980, I, pagg. 5 segg.; e v. anche, per diversi aspetti: A.

PISANI MASSAMORMILE, La legge bancaria e la struttura del sistema creditizio, in

AA.VV., La legge bancaria. Note e documenti, cit., pagg. 129 segg. (alle pagg. 182 segg.);

F. BELLI, Le mutazioni del sistema creditizio, in AA.VV., Pubblico e privato (Secondo

Rapporto CER- Censis sull’economia italiana), I, Milano, 1987, pagg. 280 segg. (spec. pag.

281).

5 E qui v. le osservazioni di A. PATRONI GRIFFI, La concorrenza nel sistema

bancario, cit., pagg. 114 segg.; ID., I controlli sulle modalità di esercizio dell’attività

bancaria, cit., pagg. 139 segg..

6 Delibera dell’8 luglio 1966, in BANCA D’ITALIA, Bollettino di vigilanza sulle

aziende di credito, n. 17, pag. 13.

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degli originari provvedimenti in materia, ed in virtù di un più evoluto

atteggiamento nei confronti del fenomeno della concorrenza nel settore

bancario, sensibile alla necessità “di far prevalere sugli interessi delle

aziende, in specie piccole e medie, alla conservazione delle proprie

posizioni, i vantaggi, soprattutto per i prenditori di credito, connessi con una

maggiore concorrenzialità del mercato”7, stabilì un allargamento su base

regionale della sfera territoriale delle maggiori banche nazionali, in ragione

della massa fiduciaria da queste raccolta8.

Successivamente9, e proseguendo in un’ottica di costante

liberalizzazione, dopo aver in un primo tempo esteso all’intero territorio

nazionale l’àmbito operativo delle banche con massa fiduciaria superiore ai

mille e cinquecento miliardi, nonché delimitato la competenza delle altre in

proporzione al risparmio raccolto, il C.I.C.R. aggiornò i parametri relativi ai

mezzi fiduciari rapportandoli questa volta (anche) all’entità del patrimonio

posseduto da ciascun ente.

Infine, a seguito della Delibera C.I.C.R. del 19 luglio 198410 –

adottata sul presupposto che una maggiore efficienza del sistema creditizio

avrebbe potuto essere ottenuta “attraverso un opportuno ampliamento dei

limiti territoriali” e ad un conseguenziale “aumento del grado di

concorrenza” – venne raggiunta, con un deciso abbassamento delle soglie

7 Così, incisivamente, R. COSTI, L’ordinamento bancario, Iª Ediz., cit., pag. 321.

8 Alla citata deliberazione del C.I.C.R. – e nello stesso spirito – ne seguì poi una

successiva, in data 7 settembre 1972 (in A.B.I., Circolare 31 ottobre 1972, Serie tecnica,

n. 171), con la quale venne ulteriormente ampliato il limite territoriale, riconoscendo alla

Banca d’Italia la facoltà di estendere all’intera regione la zona di competenza delle banche

con massa fiduciaria superiore ai trecento miliardi, anche nel caso in cui le stesse avessero

sede centrale, anziché nel capoluogo, in altro luogo della regione.

9 Cfr. C.I.C.R., Delibera del 23 dicembre 1974 (in BANCA D’ITALIA, Bollettino di

vigilanza sulle aziende di credito, n. 50-51, pagg. 35 segg.); C.I.C.R., Delibera 4 giugno

1976 (in BANCA D’ITALIA, idem, n. 55-56, pagg. 44 segg.). In argomento, diffusamente: A.

PRINCIPE, I fidi irregolari, cit., pagg. 113 segg. ed, ivi, le riportate seguenti, significative,

considerazioni del C.I.C.R.: “la restrizione, operante in misura particolare nei confronti

delle aziende di minori dimensioni, fa sì che le stesse siano indotte per necessità di cose a

concentrare l’erogazione del credito ai pochi settori economici in genere esistenti, con la

conseguenza che questa impossibilità di alternative creditizie costituisce in via permanente

un’aggravante di rischio suscettibile, nel caso di sfavorevole andamento di alcuni di detti

settori economici, di creare situazioni di crisi del tutto indipendenti dalla qualità della

gestione”.

10 C.I.C.R., Delibera del 19 luglio 1984, in A.B.I., Circolare 10 gennaio 1985,

Serie tecnica, n. 9.

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relative alla massa fiduciaria11, una sostanziale liberalizzazione dell’attività

creditizia sotto il profilo spaziale; pur mantenendo ancora, è bene

sottolineare, un principio di competenza territoriale amministrata.

Ed è solo successivamente, con il decreto del Ministro del Tesoro 22

maggio 199012, che la zona di competenza è stata estesa all’intero territorio

nazionale per tutte le banche di qualsiasi dimensione e tipo, ad eccezione di

quelle di credito cooperativo per le quali è ancora vigente un regime di

limitazione spaziale. Di tale regime speciale ci occuperemo nel prossimo

paragrafo, dedicato integralmente all’operatività delle banche di credito

cooperativo.

7. I fidi concessi dalle banche di credito cooperativo.

L’ordinamento bancario riserva alle banche di credito cooperativo

talune specificità normative. In particolare, l’art. 35 T.U.L.Banc., stabilisce

alcuni princìpi-base per l’operatività di tali banche (tra questi, in particolare:

il criterio della prevalenza, nell’esercizio del credito, in favore dei soci),

richiedendo poi agli statuti sociali di dettare “le norme relative all’attività,

alle operazioni di impiego e di raccolta ed alla competenza territoriale

determinate sulla base dei criteri fissati dalla Banca d’Italia”1.

Lo statuto delle banche di credito cooperativo non costituisce quindi

soltanto il consueto strumento che regola i rapporti tra i soci (pur sottoposto,

come per tutte le altre banche, al controllo della Banca d’Italia in punto di

non contrasto con i princìpi della sana e prudente gestione: artt. 14, II

comma, e 56, I comma, T.U.L.Banc.), bensì viene anche a configurarsi quale

vero e proprio strumento per il recepimento diretto della disciplina

prudenziale dettata dall’Organo di vigilanza; disciplina che, pertanto, anche

11 Dalla Delibera C.I.C.R. del 19 luglio 1984, cit., la disciplina territoriale risultava

la seguente: “la zona di competenza delle aziende di credito di cui all’art. 5 della legge

bancaria (escluse le casse rurali ed artigiane) è determinata come segue: 1) aziende di

credito con mezzi fiduciari superiori a 500 miliardi: l’intero territorio nazionale; 2)

aziende di credito con mezzi fiduciari compresi tra 50 miliardi e 500 miliardi: le regioni in

cui sono insediate con propri sportelli a piena operatività e le regioni limitrofe; 3) aziende

di credito con mezzi fiduciari inferiori a 50 miliardi: le province in cui sono insediate con

propri sportelli a piena operatività e le province limitrofe”.

12 In BANCA D’ITALIA, Bollettino di vigilanza sulle aziende di credito, n. 112, pag.

135.

1 In virtù del regime transitorio di cui all’art. 150, T.U.L.Banc., le banche di

credito cooperativo hanno peraltro avuto tempo di uniformarsi alla nuova disciplina,

adottando le necessarie modifiche statutarie, sino al 31 dicembre 1996.

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poi su di un piano più generale e di sistema societario, finisce per acquistare

l’efficacia e la valenza che sono proprie delle norme statutarie2.

Ed è evidente che, mediante tale peculiare modello di vigilanza

“attraverso” gli statuti, se da un lato è stato operato un positivo processo di

marcata delegificazione delle regole prudenziali nello specifico settore3,

dall’altro, si sono notevolmente ampliati i poteri di indirizzo in capo

all’Organo di vigilanza, forse giustificati soltanto dall’esigenza di

omologazione degli assetti derivante dell’elevato numero di banche di

credito cooperativo operanti sul mercato4.

Venendo comunque all’analisi della disciplina, ciò che in questa sede

assume rilevanza è principalmente la ricordata regola della “prevalenza”

dell’attività di esercizio del credito in favore dei soci della banca (art. 35, I

comma, T.U.L.Banc.).

2 Ciò dovrà comportare, inevitabilmente, una significativa estensione del controllo

omologativo effettuato sullo statuto dal tribunale, al quale finirà per essere richiesto un

controllo di conformità dello statuto stesso (in tale prospettiva: U. MORERA,

L’omologazione degli statuti di società. Il controllo in sede di costituzione e di

modificazione, Milano, 1988, passim), oltre che alle norme di legge, anche a (i contenuti

de) lle Istruzioni di vigilanza. Più in particolare: il tribunale dovrà verificare l’effettiva

corrispondenza delle norme statutarie ai “criteri fissati dalla Banca d’Italia” (art. 35, II

comma, T.U.L.Banc.).

Individua nel (contenuto del) lo statuto il mezzo per distinguere, nell’àmbito

della categoria delle cooperative di credito, la fattispecie “banca di credito cooperativo”

da quella di “banca popolare”, G. PRESTI, La categoria delle cooperative di credito, in

AA.VV., La nuova disciplina dell’impresa bancaria, I, cit., pag. 186.

3 Precisa opportunamente G. CASTALDI, La nuova legge bancaria: suoi riflessi

sulla disciplina delle casse rurali ed artigiane, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, I, pagg.

800 segg., ivi a pag. 805, come la delegificazione non implichi “di per sé un ampliamento

delle capacità operative” delle casse, ma certamente comporti la “rimozione di quelle

rigidità che impedirebbero alle autorità di controllo di adeguare la propria azione alle

diverse situazioni riscontrabili nella realtà operativa ed ai fenomeni evolutivi che possono

interessarle”. In altre parole, precisa l’A. “la corazza che avvolgeva il corpo delle casse è

stata sostituita con un vestito morbido, meglio adattabile alle diverse potenzialità ed alla

crescita fisiologica degli intermediari”.

4 Alla data del 1° gennaio 1996 le banche di credito cooperativo erano ben 619, su

un totale di 970 banche operanti in Italia (circa il 64 per cento). E v., per numerosi spunti

di riflessione in argomento, G. PRESTI, Dalle casse rurali ed artigiane alle banche di

credito cooperativo, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, I, pagg. 167 segg., ivi a pagg. 186

segg., ove anche ulteriori indicazioni bibliografiche. Ed in prospettiva più ampia v. pure C.

ROVINI, Autonomia e controllo nel processo di formazione delle società bancarie (ed.

provv.), Milano, 1994, pagg. 123 segg..

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Tale regola – che contribuisce a rafforzare, oltre al principio della

mutualità5, anche quello del localismo, tipico delle banche di credito

cooperativo (si ricordi che possono essere soci di tali banche solo soggetti

residenti od operanti continuativamente nel territorio di competenza6; e v.

infra) – viene considerata rispettata, a livello di normativa secondaria7,

quando una quota percentuale superiore al cinquanta per cento del

complesso delle attività di rischio della banca risulti composto da attività

destinate ai soci8, ovvero da attività a ponderazione zero9 10. Sembrando

5 E cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, LVIII, Sez. Iª

(ediz. giugno 1994), ove “il vantaggio del socio derivante dalla possibilità di utilizzo dei

servizi e dei prodotti della banca” viene considerato “tutelato dalla previsione di legge in

base alla quale l’attività delle banche di credito cooperativo deve essere indirizzata

prevalentemente a favore dei soci”.

E v., per ulteriori considerazioni, A. MAGLIOCCO, L’operatività delle banche di

credito cooperativo, in AA.VV., La nuova legge bancaria. Commentario, cit., I, pagg. 561

segg..

6 Cfr. art. 34, II comma, T.U.L.Banc.; e sui problemi che tale norma crea, almeno

così come oggi strutturata – soprattutto in sede di “reclutamento” degli amministratori – ci

sia consentito rinviare a U. MORERA, Casse di credito cooperativo: banche senza

banchieri?, in Riv. cooperaz., 1993, (10), pagg. 66 segg.; e v. anche, più in generale, F.

MAZZINI, I requisiti di professionalità degli esponenti delle casse di credito cooperativo,

in AA.VV., Casse di credito cooperativo e riforma della legge bancaria, a cura di F. Belli,

F. Cateni e V. Santoro, Atti del Convegno di Siena del 25 e 26 marzo 1993, Siena, 1993,

pagg. 151 segg.. Del resto, l’esigenza che, nonostante la concentrazione dell’attività in un

ristretto àmbito territoriale, sussistano comunque “sul piano della professionalità degli

esponenti aziendali, risorse idonee a valutare con attenzione il merito creditizio dei

soggetti affidati,” è molto chiaramente sottolineata anche dalla BANCA D’ITALIA, Istruzioni

di vigilanza per gli enti creditizi, LVIII, Sez. Iª, (ediz. giugno 1994).

7 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, LVIII, Sez. IIIª,

Par. 1 (ediz. giugno 1994). La normativa secondaria appena cit. (Par. 2), sempre nella

logica del rispetto del tradizionale principio del localismo, impone poi agli statuti delle

banche di credito cooperativo di prevedere che le attività di rischio non destinate ai soci

siano in ogni caso assunte nei confronti di soggetti comunque residenti od operanti nella

zona di competenza territoriale, lasciando peraltro la facoltà di prevedere che una quota

minimale (non superiore al cinque per cento) del totale delle attività di rischio sia assunta

al di fuori della zona di competenza territoriale.

8 Nel concetto di “attività di rischio” debbono essere ricomprese tutte le attività di

rischio, considerate al loro valore di bilancio, così come definite dalla disciplina sul

coefficente di solvibilità; BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XII

(ediz. luglio 1996); e cfr. anche retro, il par. 3 di questo capitolo. Alle operazioni fuori

bilancio aventi ad oggetto operazioni connesse ai tassi di interesse e di cambio si

applicano poi i fattori di conversione indicati nella disciplina sul coefficente di solvibilità

per la quantificazione dell’“equivalente creditizio”. Sono inclusi i titoli del portafoglio non

immobilizzato. Mentre è escluso il c.d. “margine disponibile” su linee di credito (cioè la

disponibilità non ancora utilizzata): il che si giustifica coerentemente alla luce

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allora evidente come le due componenti che conducono a formare la “quota

prevalente” (attività verso soci ed attività a ponderazione zero) dimostrino

che, in realtà, nell’àmbito (dell’applicazione pratica) della regola della

prevalenza convive, accanto all’esigenza di tutela dei ricordati princìpi del

mutualismo e del localismo, anche quella (forse preponderante) di tutela

della stabilità e del contenimento del rischio.

In relazione alla disciplina secondaria in esame, v’è peraltro da

rilevare come questa – attuando il disposto di cui all’art. 35, II comma,

T.U.L.Banc. – richieda che sia in ogni caso lo statuto della banca ad indicare

preventivamente, da un lato, “le attività che questa esercita” e, dall’altro, le

“modalità con cui intende dare attuazione al principio della prevalenza”.

Il senso di tale precetto appare piuttosto oscuro. Se infatti da un lato è

ben possibile ritenere che lo statuto preveda, accanto all’attività bancaria, la

possibilità di esercitare alcune attività finanziarie o alcune attività connesse

e strumentali, ovvero elenchi le diverse tipologie di impieghi che possono

essere rese operative (ad esempio: credito fondiario), dall’altro non è affatto

chiaro cosa si intenda per indicazione, nello statuto, delle modalità di

attuazione del principio della prevalenza. A meno di non voler ricondurre il

precetto ad un’esigenza di pre-definizione delle strategie relative agli

impieghi o di altri programmi gestionali della banca; ma allora l’imposizione

di un’evidenziazione di momenti imprenditoriali futuri sarebbe di certo

eccessiva e comunque non correttamente collocata, almeno ci sembra,

nell’àmbito dello statuto.

dell’esigenza di evitare facili elusioni della normativa attraverso formali aumenti del limite

di fido accordato, magari neanche comunicati alla clientela (e v. infra, sui fidi c.d.

“interni”, cap. III, par. 7).

Sono inoltre considerate attività di rischio verso soci anche quelle attività di rischio

che risultano assistite da garanzia personale (esplicita ed incondizionata) rilasciata da

socio.

9 Le attività di rischio a ponderazione zero sono quelle attività di rischio, così

come descritte alla nota precedente, che hanno percentuale di ponderazione “zero” ai fini

della disciplina sul coefficiente di solvibilità (e cfr. l’Allegato B del Cap. XII delle

Istruzioni cit. alla nota precedente).

10 La legge (art. 35, I comma, T.U.L.Banc.), e poi le Istruzioni (BANCA D’ITALIA,

Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, LVIII, Sez. Iª [ediz. giugno 1994]), consentono

però la derogabilità della regola: la Banca d’Italia, per singole banche di credito

cooperativo, e qualora sussistano ragioni di stabilità, può difatti autorizzare un’operatività

prevalente in favore di soggetti diversi dai soci; così sacrificando l’(immediato) interesse

mutualistico all’interesse, ritenuto giustamente prevalente, alla stabilità dell’impresa

bancaria nel mercato (si pensi all’ipotesi della banca con soci poco bisognosi di credito e

con conseguente “compressione” dei volumi dell’operatività globale).

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In altri termini: se è lo statuto che deve indicare, non già le attività

“prevalenti”, bensì le modalità con cui la banca intende dare attuazione al

principio della prevalenza (ad esempio indicando la preferenza, rispetto ad

altre, di alcune tipologie di credito da destinare alla quota prevalente), allora

si corre il rischio di trasferire in capo ai soci quella competenza gestionale

che è propria degli amministratori, e di “rallentare” così l’attività (peraltro

quella prevalente!) della società, per condizionarla a modifiche statutarie le

quali, soprattutto in considerazione dei meccanismi di voto propri delle

cooperative, potrebbero risultare non agevoli, o comunque non immediate11.

Venendo ad altro aspetto della disciplina, abbiamo rilevato nel

precedente paragrafo come l’àmbito territoriale di attività delle banche,

venga oggi spazialmente limitato soltanto per la categoria delle banche di

credito cooperativo. La logica è sempre la medesima: in coerenza con i

princìpi della mutualità e del localismo, la disciplina (art. 35, II comma,

T.U.L.Banc.) richiede che l’àmbito territoriale di operatività di tali banche

(rilevante anche quale zona di competenza per l’acquisizione dei soci: art.

34, II comma, T.U.L.Banc.), nel consueto rispetto dei criteri fissati dalla

Banca d’Italia, venga indicato dagli statuti.

In particolare, l’Organo di vigilanza12 ha limitato l’area di competenza

territoriale ai comuni nei quali la banca abbia la propria sede legale e le

proprie succursali, nonché a quelli ad essi limitrofi; purchè, comunque,

sussista sempre contiguità territoriale tra tutti i comuni che concorrono a

formare la zona.

Il più riduttivo sistema precedentemente in vigore è così caduto, ma

v’è anche da rilevare come l’attuale e più esteso àmbito territoriale non abbia

certo raggiunto quella dimensione provinciale o addirittura regionale che

taluno aveva auspicato. Certo gli è che, se si parte dalla considerazione che

la funzione primaria delle banche di credito cooperativo è quella del

supporto alle economie locali13, la scelta attuale può pienamente giustificarsi

11 Tale prospettiva appare del resto confermata dalla previsione che richiede una

modifica statutaria per operare nell’àmbito di un comune non rientrante nella zona di

predeterminata competenza territoriale (e v. infra).

12 BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, LVIII, Sez. IVª

(ediz. giugno 1994); e v. i rilievi critici di F. BELLI e F. MAZZINI, Le banche di credito

cooperativo verso una nuova mutualità? Il localismo, in Dir. banc., 1996, I, pagg. 443

segg..

13 E v. qui le considerazioni di P. FERRO-LUZZI, Prospettive per le casse rurali ed

artigiane in previsione della liberalizzazione del mercato comunitario, in Coop. credito,

1989, pagg. 82 seg.; G. PRESTI, Dalle casse rurali alle banche, cit., pagg. 176 seg.; A.

NIGRO, Impieghi ed investimenti nell’attività delle casse rurali ed artigiane, in AA.VV., La

riforma della legislazione sulle cooperative, a cura di G. Bucci e A. Cerrai, Milano, 1979,

pagg. 139 segg.; S. GATTI, La riforma della legge speciale sulle casse rurali e artigiane,

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ed ammettersi14. Il vero problema, semmai, è quello derivante dal fatto che il

nuovo ordinamento di settore ha eliminato uno dei cardini del passato

sistema delle casse rurali ed artigiane: la “protezione” territoriale per la

singola cassa15; non sussistendo in effetti più la regola che vietava alle casse

l’insediamento e l’operatività in comuni in cui fosse già presente un’altra

cassa. Con ciò potendosi aprire, almeno potenzialmente, nell’àmbito dello

stesso territorio, nuovi orizzonti sul piano della concorrenza tra banche di

credito cooperativo cui le stesse, forse, non appaiono ancora

sufficientemente preparate16.

8. Violazione dei limiti di fido e sorte del contratto di credito.

Fin qui, l’articolata disciplina relativa ai diversi “limiti” inerenti

l’attività della banca nella concessione degli affidamenti.

Occorre adesso verificare quali siano le conseguenze – sul piano

civilistico1 – della violazione di tale disciplina.

in Riv. dir. comm., 1990, I, pag. 585; G. BERIONNE, La realtà delle casse rurali e artigiane

nelle trasformazioni in atto: ricerca del vantaggio competitivo, Relazione presentata al

Convegno di Bologna del 7 e 8 ottobre 1983 su Banca e informatica, pagg. 8 segg. (dal

dattiloscritto).

14 La normativa ammette comunque che lo statuto possa anche prevedere “sedi

distaccate”, non ricomprese nella zona di competenza di base, purché ubicate in comuni

specificatamente indicati nello statuto stesso. La condizione per la successiva, concreta

apertura della sede distaccata è però che la banca, oltre ad essere in linea con la disciplina

in materia di coefficienti obbligatori, abbia posto in essere nel nuovo territorio una rete di

rapporti con la clientela locale ed abbia raccolto almeno duecento adesioni da parte di

nuovi soci (sempre locali), nonché abbia predisposto una situazione organizzativa ed un

sistema di controlli interni adeguati ai rischi connessi alle differenti caratteristiche delle

nuove piazze di insediamento.

15 Cfr. l’abrogato T.U. sulle casse rurali ed artigiane: art. 21, r.d. 26 agosto 1937, n.

1706; nonché la precedente normativa secondaria: BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza

per gli enti creditizi, VI, Sez. Iª, Par. 2 (ediz. luglio 1990); ed anche G. FAUCEGLIA, Prime

riflessioni sulla territorialità delle Casse di credito cooperativo, in Bancaria, 1993, (5),

pagg. 61 segg..

16 E v. anche A. MAGLIOCCO, La competenza territoriale, in AA.VV., La nuova

legge bancaria. Commentario, cit., I, pagg. 556 seg.; F. CESARINI, Una prima valutazione

delle novità legislative, idem, pag. 570; nonché gli stimolanti rilievi di F. BELLI e F.

MAZZINI, Le banche di credito cooperativo, cit., passim.

1 Sul piano delle sanzioni amministrative (e tali sono sempre state, beninteso,

anche prima del riordino operato con il T.U.L.Banc.; e v. infatti, sulla “improprietà” della

locuzione “disposizioni penali” di cui al Titolo VIII della L. Banc., per tutti: S. COSTA,

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In particolare, interessa analizzare quali siano gli effetti della

violazione in questione sul rapporto contrattuale di credito posto in essere in

attuazione della decisione di concedere fido.

Quid iuris, in altri termini, se la banca, ad esempio, conceda un fido

senza rispettare il c.d. “limite individuale” imposto dalla disciplina

prudenziale, ovvero non deliberi all’unanimità l’affidamento in favore di un

suo esponente, o non rispetti il limite territoriale sussistente per le banche di

credito cooperativo?

Quale sorte per il contratto di credito perfezionato “a valle” della

decisione di concedere l’affidamento?

Il problema, soprattutto in relazione ai limiti massimi di fido

concedibile, è stato affrontato sia in dottrina2 che in giurisprudenza3: ove,

Norme penali della nuova legislazione bancaria, in Annali dir. proc. pen., 1937, pag. 862;

C.M. PRATIS, La disciplina giuridica delle aziende di credito, cit., pag. 492; G. RUTA, Il

sistema, cit., pagg. 358 seg.; E. BATTAGLINI, Sanzioni amministrative, disciplinari e penali

nella nuova legge bancaria, in Banca, borsa, tit. cred., 1938, I, pagg. 2 segg.; G.

VIGNOCCHI, Il servizio del credito nell’ordinamento pubblicistico italiano, Milano, 1968,

pagg. 281 segg.; C. PISANTI, Commento all’art. 87, L. Banc., in Cod. comm. della banca,

cit., pagg. 1050 segg.; hanno ribadito il carattere amministrativo delle sanzioni, in

giurisprudenza: App. Roma, decr. 5 maggio 1990, Ministero del Tesoro, e App. Roma,

decr. 17 novembre 1990, Ministero del Tesoro,entrambi inediti), v. oggi spec. gli artt. 144

e 145, T.U.L.Banc..

Sulle sanzioni de quibus, v. M. CONDEMI, Commento all’art. 144, T.U.L.Banc., in

AA.VV., Commentario al testo unico, cit., pagg. 710 segg.; F. CASTIELLO, Gli illeciti

bancari nel nuovo t.u. sul credito, in Rivista bancaria, 1994, (1), pagg. 67 segg.; S. CECI

IAPICHINO, Sanzioni amministrative, in AA.VV., La nuova legge bancaria. Commentario,

cit., III, pagg. 2105 segg.; nonché, seppur pre-riforma, per tutti, S. MAZZARELLA, Le

sanzioni della legge bancaria e delle leggi speciali, in AA.VV., Credito e moneta, a cura di

C.M. Mazzoni e A. Nigro, Milano, 1982, pagg. 151 segg.; e, per gli aspetti procedurali, L.

DESIDERIO, Le sanzioni amministrative della legge bancaria: aspetti procedurali, in

Banca, borsa, tit. cred., 1974, II, pagg. 162 segg.; C. PISANTI, Commento all’art. 87, L.

Banc., cit., pagg. 1054 segg.; ed anche l’interessante indagine di M. CONDEMI, Le sanzioni

amministrative bancarie e la giurisprudenza della Corte d’Appello di Roma, in Quaderni

di ricerca giuridica, a cura della Consulenza legale della Banca d’Italia, n. 22, Roma,

1991.

Per una recente e significativa applicazione giurisprudenziale, v. Cass. 25 maggio

1994, n. 5107, Iannuzzi c. Banca d’Italia e Ministero del Tesoro, in Banca, borsa, tit.

cred., 1995, II, pag. 281, ed in Foro it., 1995, I, col. 2953, con osservaz. di E. ALESII.

2 Cfr. V. SALANDRA, Limiti del fido e nullità di operazioni di banca, loc. cit.; A.

GRAZIANI, Disciplina legislativa del fido bancario, loc. cit.; I. LA LUMIA, Gli effetti

giusprivatistici della limitazione legislativa del fido bancario, loc. cit.; M. RENIER, Il

limite di fido bancario, loc. cit.; P. GRECO, Le operazioni di banca, cit., pagg. 193 segg.,

A. DE GREGORIO, La legislazione italiana sulla tutela del risparmio, loc. cit.; T.

ASCARELLI, La funzione del diritto speciale e le trasformazioni del diritto commerciale, in

Riv. dir. comm., 1934, I, pagg. 28 segg.; F. FERRARA JR., Le banche e le operazioni di

banca, in Scritti minori, III, Milano, 1977, pagg. 317 segg.; F. SETTI, Il limite legale del

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con risultati non omogenei, sono state prospettate vuoi la piena validità

civilistica del rapporto contrattuale4, vuoi la sua nullità5.

Senza qui ripercorrere in dettaglio le diverse linee argomentative

dell’intero dibattito6, è possibile rilevare come la teorica configurante la

nullità del contratto di credito in ipotesi di violazione della disciplina (legale

o amministrativa, sui limiti di fido), si fondi, essenzialmente, sulla

riconosciuta valenza imperativa della disciplina stessa7; mentre la diversa

fido bancario, loc. cit.; nonché, più di recente, N. SALANITRO, Le banche e i contratti

bancari, in Tratt. di dir. civ., diretto da F. Vassalli, Torino, 1983, pagg. 261 segg., R.

COSTI, L’ordinamento bancario, cit., pagg. 509 e 521 seg.; G. MOLLE, I contratti bancari,

IIª Ediz., in Tratt. di dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu e F. Messineo, Milano, 1973,

pag. 162; ID., La banca nell’ordinamento giuridico italiano, cit., pag. 242; M. MORI,

Banca e impresa, cit., pag. 326; C.M. PRATIS, La disciplina giuridica delle aziende di

credito, cit., pag. 113; M. PORZIO, Il conto corrente bancario, cit., pag. 919; R.

MOSCHELLA, Il negozio contrario a norme imperative, in Legislazione economica

(settembre 1978 - agosto 1979), a cura di F. Vassalli e G. Visentini, Milano, 1981, pagg.

340 segg.; F. GIORGIANNI, I crediti disponibili, cit., pag. 199; G.F. CAMPOBASSO, Diritto

commerciale, vol. 3, Contratti. Titoli di credito. Procedure concorsuali, IIª Ediz., Torino,

1997, pag. 112, nota 1; nonché, diffusamente, A. PRINCIPE, I fidi irregolari, cit., pagg. 15

segg..

3 Cfr.: Trib. Perugia, 16 aprile 1929, cit.; Trib. Verona, 16 maggio 1931, Cassa di

Risparmio di Verona e Banco Orti c. Banca dell’Umbria ed altri, inedita; Trib. Firenze, 9

luglio 1930, Fallimento Banca Agricola Toscana, inedita; App. Firenze, 14 aprile 1931,

Hambros Bank Limited c. Fallimento Banca Agricola Toscana, inedita (tutte citt., ed anche

parzialmente riportate, da I. LA LUMIA, Gli effetti, cit., pagg. 83 e 88); App. Roma, 17

aprile 1934, Fallimento Banco Mercantile c. Hambros Bank Limited, in Banca, borsa, tit.

cred., 1935, II, pag. 85; Cass. 28 giugno 1940, n. 2152, Banca Maniago c. Banca d’Italia,

inedita; nonché, pur relativamente ad uno specifico profilo processuale, Cass. 23 agosto

1989, n. 484 (ord.), Castillitti c. Banca Popolare di Palermo, in Foro it., Rep. 1989, voce

“Giurisdizione civile” , n. 160.

4 Cfr., soprattutto, gli scritti di: V. SALANDRA, M. RENIER, e G.F. CAMPOBASSO,

appena citt.; nonché le decisioni di App. Roma, 17 aprile 1934 ed App. Firenze, 14 aprile

1931, citt..

5 Cfr., soprattutto, gli scritti di: A. GRAZIANI, P. GRECO, I. LA LUMIA, F.

GIORGIANNI ed A. PRINCIPE, appena citt., nonché le decisioni di Trib. Perugia, 16 aprile

1929 e Trib. Verona, 16 maggio 1931, citt..

6 Per un’esauriente analisi dello stesso, v., oggi, l’accurato excursus di A.

PRINCIPE, I fidi irregolari, cit., pagg. 15 segg..

7 Cfr. spec. I. LA LUMIA, Gli effetti giusprivatistici, cit., pag. 85; A. GRAZIANI,

Disciplina legislativa, cit., col. 216; P. GRECO, Le operazioni di banca, cit., pag. 197,

secondo il quale: “le evidenti finalità di ordine pubblico che ispirano la legge, debbono

condurre a ritenere la nullità assoluta della detta operazione, appunto perché contraria ad

una norma di ordine pubblico, vale a dire ad una norma imperativa, non derogabile dalle

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impostazione che riconosce la validità del contratto si fonda su diverse ed

articolate considerazioni, tra le quali assume qui rilievo l’evidenziazione del

peculiare carattere (meramente) amministrativo della disciplina e della sua

(conseguente) non incidenza sulla validità dei rapporti negoziali posti in

essere in attuazione della decisione di concedere l’affidamento8.

In realtà, riteniamo che non possa prescindersi dalla circostanza che

vede oggi la disciplina relativa ai diversi limiti inerenti l’attività di

concessione degli affidamenti regolata (quasi; ma v. comunque infra)

esclusivamente dalle Istruzioni di vigilanza.

Ora, come autorevolmente insegnato dalla migliore dottrina, tali

Istruzioni posseggono natura “esclusivamente amministrativa (...) anche

quando per il loro contenuto generale e astratto assumano le caratteristiche

del provvedimento plurimo o generale”9: sicché la loro violazione, se di

certo può condurre a configurare precise responsabilità in capo agli

esponenti bancari, non sembra possa comunque incidere sul regime di

validità dei singoli contratti perfezionati dalle banche con i clienti10.

Ma in realtà, a ben vedere, ad identica conclusione potrebbe giungersi

anche volendo – in ipotesi – riconoscere alle Istruzioni un valore

“normativo”; con ciò, peraltro, operando un parallelismo rispetto alla

situazione antecedente alla Legge bancaria del 1936: ove i limiti agli

affidamenti erano determinati dalla legge (art. 16, r.d. n. 1830/26).

In effetti, a noi sembra che la disciplina in commento – sia essa dettata

da Istruzioni, ovvero da norme legislative aventi, o meno, carattere

imperativo – abbia come destinatari esclusivamente le banche; ma non per

limitare la loro capacità giuridica, nell’ottica della tutela del singolo cliente

(del singolo rapporto creditizio), bensì, più in generale, per regolare l’intera

attività d’impresa, nell’ottica – più moderna – della tutela prudenziale, a

beneficio poi di tutti i soggetti11.

private convenzioni”; nonché, più di recente: F. GIORGIANNI, I crediti disponibili, cit., pag.

199; M. PORZIO, Il conto corrente bancario, cit., pag. 919 (limitatamente alla disciplina

sui limiti di fido); A. PRINCIPE, I fidi irregolari, cit., passim.

8 Cfr. spec. V. SALANDRA, Limiti del fido, cit., col. 339.

9 Così R. COSTI, L’ordinamento bancario, cit., pag. 101.

10 E cfr. ancora R. COSTI, L’ordinamento bancario, cit., pag. 101; G. TREVES, I

comitati interministeriali, in AA.VV., Scritti giuridici in onore della Cedam nel

cinquantenario della sua fondazione, II, Padova, 1953, pag. 230.

11 E v. le considerazioni di M. PORZIO, Il governo del credito. L’ordinamento

bancario tra pubblico e privato, Napoli, 1976, pag. 32; ID., I contratti bancari in generale,

in Tratt. di dir. priv., diretto da P. Rescigno, 12, Torino, 1985, pagg. 822 e 851; per uno

spunto, v. anche: G. VISENTINI Nuove forme contrattuali e problemi di controllo, in

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Sarà pertanto soltanto l’atto imprenditoriale a risultare eventualmente

irregolare, perché contrario ai princìpi che lo regolano, sarà l’atto (interno)

di concessione del fido a risultare contrario alle norme cogenti che

disciplinano il suo oggetto. E ciò, peraltro, in sostanziale sintonia con i

princìpi vigenti in materia societaria, ove l’invalidità dell’atto sociale non

può opporsi ai terzi di buona fede; con la conseguente piena validità ed

efficacia del contratto posto in essere dalla società con il terzo, in esecuzione

dell’atto sociale viziato (artt. 2377, II comma, e 2391, III comma, cod. civ.):

e questo nell’ipotesi di delibere di provenienza sia assembleare che

consiliare12, annullabili od anche nulle13.

E per quanto poi concerne il requisito della buona fede del cliente che

perfezioni un rapporto contrattuale attuativo della decisione (di concedere

fido) rappresentata da un atto irregolare, non è difficile ritenere che questo

sussista – in pratica – nella quasi totalità dei casi; salva l’ipotesi di fido

accordato ad un esponente della banca senza delibera unanime del consiglio

di amministrazione (e v. retro, par. 5), fattispecie, questa, ove naturalmente

dev’essere esclusa in radice la buona fede del contraente.

AA.VV., L’innovazione finanziaria: tecniche contrattuali, Atti del Convegno di Capri del

20 e 21 giugno 1987, Roma, 1988, pagg. 119 segg., ivi, a pag. 124.

12 Sull’efficacia degli atti posti in essere in esecuzione di delibere consiliari

invalide, cfr., per tutti: F. BONELLI, Gli amministratori di società per azioni, Milano, 1985,

pagg. 38 seg.; G. OPPO, In tema di “invalidità” delle deliberazioni del consiglio di

amministrazione delle società per azioni (a proposito di un libro recente), in Riv. soc.,

1967, pagg. 921 segg., ivi, a pag. 939, nonché oggi in ID., Scritti giuridici, II, Diritto delle

società, Padova, 1992, pagg. 416 segg.; P. ABBADESSA, La gestione dell’impresa nella

società per azioni. Profili organizzativi, Milano, 1975, pagg. 170 segg.. In giurisprudenza

v., molto significativamente: Trib. Roma, 18 marzo 1982, Pavolini ed altri c. R.A.I. -

Radiotelevisione italiana s.p.a., in Giur. comm., 1983, II, pag. 592; nonché Cass. 3

dicembre 1970, n. 2530, Di Vezza e Panozzi c. D’Andrea e Banca Popolare di Terracina,

in Casi e materiali di dir. comm., 1, Società per azioni, pag. 592; Cass. 9 marzo 1983, n.

1768, Soc. Scena c. Baffa Trasci, in Le società, 1983, pag. 1137.

13 Per l’inopponibilità ai terzi dei vizi comportanti la nullità della deliberazione, v.,

convincentemente: A. MIGNOLI, Invalidità di deliberazioni assembleari di società per

azioni e diritti dei terzi, in Riv. dir. comm., 1951, I, pagg. 305 segg.; nonché, in senso

conforme, C. GIANNATTASIO, Nullità di deliberazioni assembleari e tutela dei diritti dei

terzi, in Giust. civ., 1960, I, pagg. 1489 segg.; G. FRÈ, Società per azioni, Vª Ediz.

aggiornata da A. Pellicanò, in Comm. del cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca,

Bologna-Roma, 1982, pag. 425; A. GRAZIANI, Diritto delle società, IVª Ediz., Napoli,

1960, pagg. 372 seg., G. BENEDETTINI, Invalidità di deliberazioni assembleari di società

per azioni e diritti dei terzi, in Foro pad., 1955, III, col. 18 segg.; ed, in giurisprudenza:

App. Torino, 13 maggio 1960, Ferrando c. Soc. Comifrea, in Giust. civ., 1960, I, pag.

1488; e v. anche, su posizioni non distanti: G. COTTINO, La società per azioni, estratto dal

Noviss. Digesto it., Torino, 1972, pag. 144; T. ASCARELLI, Vizi delle deliberazioni

assembleari e tutela dei terzi, in Banca, borsa, tit. cred., 1954, I, pagg. 133 segg..

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In definitiva, ci sembra possibile concludere nel senso che, qualunque

sia la natura (normativa od amministrativa) delle Istruzioni che

regolamentano l’attività di concessione del fido e la valenza (imperativa o

meno) delle stesse, l’eventuale irregolarità dell’atto che abbia deciso la

concessione del fido non svolge alcuna influenza né sulla validità, né

sull’efficacia del rapporto contrattuale che abbia attuato tale decisione14; ad

ulteriore conferma della necessità di tenere giuridicamente distinti il

momento della decisione di concedere fido da quello con cui viene data

attuazione negoziale a tale decisione. Senza contare, poi, che la concessione

del fido potrebbe talvolta risultare svincolata, anche economicamente, dall

(’interesse all) a sua concreta attuazione15. E si pensi qui a quelli che

14 Varrà peraltro ricordare, anche se il problema appare oggi superato, che, in

dottrina (A. PRINCIPE, I fidi irregolari, cit., pagg. 122 segg.), partendo dal presupposto che

il limite della competenza territoriale previsto per le banche dalle Autorità creditizie

doveva considerarsi illegittimo in quanto non fondato su alcuna previsione di legge (ed in

tal senso anche M. PORZIO, L’art. 28 della legge bancaria e l’armonizzazione delle

legislazioni nazionali in materia bancaria, in AA.VV., La concorrenza bancaria, a cura di

L.C. Ubertazzi, Milano, 1985, pagg. 26 seg.), si è giunti a considerare perfettamente validi

“gli atti ed in particolare i contratti di fido” posti in essere senza il rispetto del limite

territoriale; con l’eccezione di quelli delle casse rurali ed artigiane, alla luce dell’affermato

carattere imperativo dell’art. 21, T.U.C.R.A. (contra, però, circa il carattere imperativo

dell’art. 21, T.U.C.R.A.: V. SANTORO, Profili funzionali e operativi delle casse rurali e

artigiane, Milano, 1984, pagg. 103 seg.).

15 Non si confonda il problema in questione con quello, diverso, relativo al “costo”

della disponibilità concessa dalla banca nell’apertura di credito; costo indipendente

dall’utilizzo della disponibilità stessa da parte del cliente (di “prezzo del fido” parla T.

BIANCHI, I fidi bancari, cit., pag. 192, con terminologia che, però, ci pare non focalizzare

esattamente il fenomeno).

E ci riferiamo qui alla pratica, in verità da tempo abbandonata nel nostro Paese (e

cfr., per la prassi bancaria meno recente: G. REZZARA, Della apertura di credito in conto

corrente, Torino, 1926, pagg. 11 seg., testo e nota 36; v. pure l’art. 375 del Progetto

D’Amelio di codice di commercio, ove era rimarcato chiaramente che “La provvigione è

dovuta anche nel caso in cui l’accreditato non utilizzi il credito”), ma di certo ancora

consueta in altri sistemi creditizi, di far “pagare” la disponibilità delle somme utilizzabili

nell’apertura di credito con una speciale commissione conteggiata percentualmente con

riferimento alla (intera) cifra disponibile (c.d. “commissione di conto”, ovvero

“commissione di affidamento”, od anche “commissione di assicurato finanziamento”: e v.

T. BIANCHI, I fidi, loc. cit., P. D’ANGELO e M. MAZZANTINI, Trattato di tecnica bancaria,

cit., pag. 543; G. DELL’AMORE, Economia delle aziende di credito, cit., pag. 616; sulla

speciale commissione v. anche: F. MESSINEO, Contenuto e caratteri giuridici

dell’apertura, cit., pagg. 335 seg.; A. FIORENTINO, Del conto corrente. Dei contratti

bancari (art. 1823-1860), in Comm. del cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, IIª

Ediz., Bologna-Roma, 1969, pagg. 116 seg.; E. SIMONETTO, I contratti di credito, cit.,

pag. 379; S. TONDO, Contratti bancari. I contratti di credito, IIª Ediz., Roma, 1966, pagg.

41 seg.; G. MOLLE, I contratti bancari, cit., pag. 192; A. CALTABIANO, Il conto corrente

bancario, Padova, 1967, pagg. 79 seg.; nonché, diffusamente, AA.VV., Le operazioni

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bancarie, a cura di R. Ruozi, cit., pagg. 77 segg.); tale commissione rappresentando “il

corrispettivo dell’obbligo della banca di essere pronta ad adempiere i propri impegni in

ogni istante, nell’arco di tempo di validità del contratto” (così: T. BIANCHI, I fidi, loc. cit.;

e v. anche S. SOTGIA, Dei contratti bancari, cit., pagg. 142 seg.).

Varrà peraltro osservare come, in Italia, il compenso della banca per l’onere “di

dover essere sempre in grado di far fronte all’eventualità che il cliente aumenti il proprio

scoperto in conto corrente, cioè di dover tenere adeguate riserve liquide commisurate al

margine di credito non ancora utilizzato dalla clientela” (v. AA.VV., Le operazioni

bancarie, cit., pag. 100), venga ormai da tempo calcolato percentualmente non già

sull’intera somma tenuta a disposizione, bensì sullo scoperto massimo verificatosi nel

trimestre di riferimento (c.d. “commissione di massimo scoperto” – regolata dall’Accordo

interbancario, riportato integralmente in AA VV., Le operazioni, cit., pagg. 100 seg. – sulla quale v., oltre agli autori sopra citati, U. CAPRARA, La banca. Principî di economia

delle aziende di credito, Milano, 1954, pagg. 181 segg.; N. CORBO, Autonomia privata,

cit., pag. 115; G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, vol. 3, cit., pagg. 112 seg.). È così,

quindi, che nel nostro sistema nessuna commissione viene normalmente corrisposta

nell’ipotesi di non utilizzo della disponibilità (contrari sembrerebbero: S. ALAGNA,

Contratti bancari di intermediazione, cit., pag. 59; G. COTTINO, Diritto commerciale, II, 1,

cit., pag. 100; A. SERRA, voce “Apertura di credito bancario”, in Digesto delle disc. priv.,

Sez. Comm., I, Torino, 1987, pagg. 155 segg., ivi, a pag.157; G. COSTANTINO, Sui poteri

del giudice dell’esecuzione e sul “fido bancario” quale oggetto di espropriazione, in Foro

it., 1990, I, col. 1411; nonché M. PORZIO, voce “Apertura di credito”, in Enc. giur.

Treccani, II, Roma, 1988, pag. 3; ma v. tuttavia quanto dallo stesso affermato in ID.,

L’accordo interbancario sulla trasparenza, in Tratt. di dir. priv., diretto da P. Rescigno,

22, Torino, 1991, pagg. 281 segg., ivi a pagg. 291 seg.); sicché è stato correttamente

osservato (S. MACCARONE, Le operazioni bancarie in conto corrente, in Giur. banc.

[1985-1987], 6-7, Milano, 1989, pagg. 194 seg.) come l’originaria funzione (retributiva

della disponibilità inutilizzata) della commissione de qua sia stata sostanzialmente

snaturata, dovendosi pertanto la stessa ritenere “piuttosto un accessorio dell’interesse,

legata non alla disponibilità ma alla utilizzazione delle somme”. E per un’applicazione

giurisprudenziale della figura, v. App. Catania, 30 maggio 1985, Banca del Sud c.

Guerriero, in Banca, borsa, tit. cred., 1987, II, pag. 20, ove la problematica non risulta,

però, correttamente messa a fuoco.

Gli è che, a nostro avviso, l’attuale meccanismo vigente nel nostro sistema finisce

inevitabilmente per danneggiare i clienti “migliori”, cioè quelli che realmente utilizzano la

disponibilità nell’apertura di credito (uno spunto in tal senso anche in: T. BIANCHI, I fidi,

cit., pag. 195), non potendosi dimenticare che il margine non utilizzato evidenzia, nella

sostanza, un impegno non corrispondente ad un impiego, quest’ultimo in effetti

rappresentando il profilo di effettiva utilità per la banca. Sicché, se proprio non si volesse

applicare il regime vigente in alcuni sistemi bancari stranieri (commissione percentuale

sull’intera somma disponibile), si potrebbe, e molto più perequativamente, “invertire” il

nostro attuale congegno, applicando la commissione percentuale non sulla tranche

utilizzata di disponibilità, bensì su quella inutilizzata (una sorta di commissione di

“massimo inutilizzo”): il che, peraltro, ci sembrerebbe di certo meglio corrispondere alle

originarie finalità dello specifico “costo”.

Vale qui infine precisare poi che, da un punto di vista tecnico, i criteri

normalmente adottati dalle banche, per l’applicazione della commissione, sono i seguenti:

i) criterio assoluto: la commissione è calcolata sul massimo saldo debitore risultante dalla

staffa in ogni trimestre solare, o frazione, indipendentemente dalla durata del periodo di

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potrebbero definirsi come fidi “vetrina”, o fidi “immagine”, cioè a quegli

affidamenti che rilevano – nell’ottica dell’interesse del soggetto affidato –

più per il fatto (in sé) di essere stati decisi, accordati dalla banca, che per la

loro concreta, potenziale attuazione contrattuale (presente, o futura): è il

caso, ad esempio, del fido “strumentale” all’iscrizione delle imprese di

autotrasporto nello speciale Albo professionale: l’art. 5, III comma, decreto

del Ministro dei Trasporti 16 maggio 1991, n. 19816, richiede infatti a dette

imprese, per il soddisfacimento del requisito della “capacità finanziaria”

necessario all’iscrizione nel ridetto Albo, la produzione di “una attestazione

di affidamento rilasciata da aziende od istituti di credito (...) per un importo

pari a 100 milioni”17; ovvero, sempre a titolo esemplificativo, del fido

strumentale all’iscrizione di alcune categorie di imprese di smaltimento

rifiuti nello speciale Albo nazionale: l’art. 1, n. 1, Delibera 21 aprile 1994

del Comitato nazionale dell’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di

smaltimento rifiuti18 richiede che la capacità dell’impresa venga dimostrata

attraverso la presentazione di una “attestazione di affidamento bancario per

un importo non inferiore al cinquanta per cento dell’investimento da

realizzare”; ove, in tali casi, appare evidente una netta preponderanza

dell’interesse a vedersi (semplicemente) accordato un fido, a vedersi

scoperto; ii) criterio relativo: la commissione è calcolata sul massimo saldo debitore

risultante dalla staffa in ogni trimestre solare, o frazione, a condizione che esso rientri in

un periodo di sequenze a debito di durata superiore a 10 giorni consecutivi (tale durata è

conteggiata in base alla somma dei giorni di permanenza del saldo debitore nel conto

corrente, cioè in base alla somma dei giorni di interesse relativi ai saldi debitori); iii)

criterio misto: la commissione è calcolata sul massimo saldo debitore risultante dalla staffa

in ogni trimestre o frazione – quale ne sia la durata a condizione che nello stesso periodo

il conto abbia presentato frequenze a debito per periodi superiori a 10 giorni (e cfr. A.

PESCAGLINI, Manuale tecnico delle operazioni bancarie, Napoli, 1992, pag. 92).

16 Regolamento di attuazione della Direttiva del Consiglio Cee n. 89/38 del 21

giugno 1989, che modifica la Direttiva del Consiglio Cee n. 74/561 del 12 novembre

1974, riguardante l’accesso alla professione di trasportatore di merci su strada nel settore

dei trasporti nazionali ed internazionali (in Gazz. Uff. 8 luglio 1991, n. 158); e cfr. anche,

in precedenza, l’art. 4, decreto del Ministro dei Trasporti, 5 novembre 1987, n. 508.

17 L’importo-base di 100 milioni di affidamento, necessario per l’ottenimento

dell’iscrizione nell’albo, dovrà poi essere incrementato di 5 milioni ogniqualvolta

l’impresa acquisti un nuovo veicolo (!) (cfr. l’art. 5, IV comma, decreto n. 198/1991, cit. e

la Circolare Ministero dei Trasporti 18 novembre 1991, n. 31/156, riportata dalla

Circolare Assonime n. 26 del 20 febbraio 1992, pagg. 10 segg.).

18 In Gazz. Uff. 19 maggio 1994, n. 115; e cfr. anche la relativa Circolare

Assonime n. 142 del 11 novembre 1994.

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riconosciuta un’affidabilità, una “dignità di credito”19, rispetto poi al

concreto perfezionamento di un rapporto contrattuale di credito20 .

9. Competenze decisionali nella concessione di fido e contratto di credito.

È noto come – almeno secondo lo schema più consueto per le imprese

bancarie – gli statuti sociali attribuiscano in principio i poteri generali in

materia di concessione di fido al consiglio di amministrazione; il quale poi,

con proprie delibere, delega differenziate facoltà decisionali in materia al

comitato esecutivo, all’amministratore delegato, al presidente, al direttore

generale, ai vice direttori generali, ai direttori centrali, nonché ad altri

dipendenti, quali, ad esempio, i condirettori centrali, i direttori delle filiali o

delle succursali, i preposti alle agenzie, ecc.1.

19 E si pensi anche al fido bancario che, ai sensi dell’art. 18, d.m. 10 giugno

1959, è necessario avere (presso la banca che gestisce la cassa di mercato) per essere

ammessi agli acquisti a credito nei mercati all’ingrosso dei prodotti ittici; ovvero al fido

necessario, ai sensi dell’art. 17, lett. a, legge 8 agosto 1977, n. 584, ai fini della

dimostrazione della “capacità economica e finanziaria” dell’imprenditore partecipante

ad una gara di appalto di opera pubblica (e cfr., per alcune significative fattispecie

oggetto di attenzione giurisprudenziale: T.a.r. Friuli Venezia Giulia, 2 agosto 1990, n.

322, Soc. Biasuzzi c. Comune di Sacile, in Arch. giur. oo.pp., 1991, pag. 966; T.a.r.

Lazio, 5 aprile 1982, n. 436, Soc. Pomarici c. Cassa del Mezzogiorno, in Trib. amm.

reg., 1982, I, pag. 1476; T.a.r. Toscana, 11 aprile 1985, n. 379, Soc. Cogeap c. Iacp

Livorno, in Arch. giur. oo.pp., 1985, pag. 1189).

20 Tali considerazioni fanno tornare in mente gli spunti offerti da F. MESSINEO,

Contenuto e caratteri giuridici dell’apertura di credito, cit., pag. 335, e ripresi poi

efficacemente da E. SIMONETTO, I contratti di credito, cit., pag. 373, ove si nota che “è

vero che l’accreditato non ha ancora in suo possesso e proprietà la somma; è vero che egli

non è, nei riguardi della somma stessa e del relativo credito, in posizione migliore degli

altri creditori della banca accreditante, ma non è da questo punto di vista che va esaminato

l’accreditamento, bensì da quello dei creditori dell’accreditato e di coloro che stanno per

entrare o sono già entrati in relazioni d’affari con l’accreditato: rispetto a questi soggetti, il

patrimonio dell’accreditato si presenta, da un lato, arricchito dall’apporto di fiducia

dell’accreditante (più o meno cospicuo a seconda dell’ammontare del fido) e, dall’altro, in

condizioni di ricevere a piacere immissioni di moneta contante o di altri mezzi di

pagamento. L’accreditato non gode del vantaggio di poter fare assegnamento sulla

prestazione dell’accreditante, egli gode del credito o fido concessogli, che si ripercuoterà

sulla sua posizione economica complessiva”. Ed in senso conforme cfr. poi B. LIBONATI,

Contratto bancario e attività bancaria, cit., pag. 106; F. MARTORANO, Il conto corrente

bancario, Napoli, 1955, pag. 47; e v. oggi anche N. CORBO, Autonomia privata e causa di

finanziamento, cit., pag. 133.

1 Sul particolare regime normativo relativo alle deleghe di poteri in materia di

erogazione del credito nelle banche di credito cooperativo, v. BANCA D’ITALIA, Istruzioni

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Occorre adesso domandarsi quale eventuale incidenza potrà avere la

violazione di tali competenze sul rapporto contrattuale di credito con cui

viene data attuazione a tale (irregolare) decisione.

Ora, se si è ben compresa la distinzione, più volte sottolineata, tra il

momento della decisione di concedere fido ed il momento, successivo e

distinto, relativo all’attuazione contrattuale di tale decisione, il problema

non può che essere ricondotto alla più generale tematica del rapporto

esistente tra potere di gestione e potere di rappresentanza; essendo difatti

evidente come la fase decisoria risulti momento tipico della gestione, mentre

la successiva attuazione contrattuale sia invece tipicamente riferibile alle

vicende della rappresentanza.

Ciò posto, è nostra convinzione che, nell’attuale contesto normativo

(art. 2384 cod. civ.), viga un principio di piena autonomia del potere

rappresentativo rispetto a quello decisionale2, sì da ritenere che sul rapporto

contrattuale di credito concluso tra la banca ed il cliente nessuna influenza

possa comportare un’eventuale violazione delle regole stabilite per le

competenze deliberative nel concedere affidamenti3. A meno che,

naturalmente, la banca non riesca a provare la collusione del cliente con il

rappresentante non autorizzato alla concessione del fido (exceptio doli)4.

Tale conclusione appare peraltro l’unica equilibrata ed in concreto

proponibile, sol che si consideri l’oggettiva e pratica impossibilità del cliente

di effettuare una qualsiasi forma di controllo sugli atti di gestione del

credito, contenuti in documenti non soggetti a pubblicità e comunque, in

ogni caso, tipicamente non accessibili ai terzi; a meno di non voler

considerare sufficiente, per il cliente, la possibilità di ricorrere alla facoltà di

di vigilanza per gli enti creditizi, LVIII, Sez. Vª (ediz. giugno 1994); e per alcuni esempi

di deleghe, cfr. C.A. BALOSSINI, Gli amministratori di banca negli statuti delle maggiori

“popolari”, Quaderno dell’Associazione nazionale fra le banche popolari, n. 21, Roma,

1989, spec. pagg. 53 segg..

2 La soluzione può dirsi oggi raggiunta, pur con qualche incertezza, dalla

giurisprudenza ed è comunque proposta convincentemente dalla migliore dottrina; cfr., per

tutti: V. CALANDRA BUONAURA, Potere di gestione e potere di rappresentanza degli

amministratori, in Tratt. delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale,

4, Torino, 1991, pagg. 107 segg. (spec. pagg. 160 segg.), ove ogni ulteriore riferimento

bibliografico.

3 Conf. Cass. 9 settembre 1978, n. 4092, Zini e Marioni c. Banca Belinzaghi, in

Banca, borsa, tit. cred., 1979, II, pag. 132; e in Foro pad., 1978, I, col. 259.

4 E v., per tutti, P. ABBADESSA, Su taluni aspetti della disciplina della

rappresentanza riguardanti l’esercizio dell’attività bancaria, in AA.VV., Le operazioni

bancarie, a cura di G.B. Portale, cit., I, pag. 193; C. ANGELICI, voce “Società per azioni e

in accomandita per azioni”, in Enc. del dir., XLII, Milano, 1990, pagg. 1002 seg..

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richiedere, ex art. 1393 cod. civ., la giustificazione dei poteri; il che, però,

appare strumento perlomeno inidoneo nelle fattispecie considerate.

In conclusione, un’eventuale violazione delle regole di competenza

(interna) nella concessione del fido potrà quindi soltanto configurare profili

di responsabilità del soggetto concedente nei confronti della banca5; ma non

potrà, in linea di principio, essere opposta al cliente contraente.

10. Il cumulo degli affidamenti. La Centrale dei rischi.

La diffusa e ben nota tendenza delle imprese italiane a ricorrere a

molteplici e diversificate fonti di finanziamento fa sì, in concreto, che uno

stesso imprenditore intrattenga spesso relazioni creditizie con distinti istituti

bancari, e magari su piazze diverse, con il conseguente cumulo delle diverse

posizioni di fido in capo allo stesso: è la prassi del c.d. pluriaffidamento1.

È evidente come tale realtà, soltanto in parte attribuibile alle

relativamente ridotte dimensioni degli intermediari del nostro Paese, possa

comportare, in principio, sensibili profili di rischio per la banca, la quale – in

5 Sulla violazione dei limiti di autonomia imposti dalla banca come causa di

licenziamento del dipendente per giustificato motivo, cfr., ad esempio: Cass. 13 gennaio

1988, n. 161, Neri c. Credito Romagnolo, in Notiz. giur. lavoro, 1988, pag. 531.

Sui fidi irregolarmente concessi in punto di competenze, conformemente orientata

nelle soluzioni, pur seguendo diversi percorsi argomentativi, anche A. PRINCIPE, I fidi

irregolari, cit., pagg. 129 segg. (spec. pagg. 146 seg.).

1 Una puntuale e documentata indagine sugli atteggiamenti delle imprese e delle

banche italiane, in relazione alle esigenze di finanziamento ed agli effetti della prassi del

c.d. “pluriaffidamento” e del conseguente “frazionamento del rischio”, è oggi contenuta

nell’interessante saggio di A. FOGLIA, Il finanziamento delle imprese in Italia:

considerazioni teoriche e aspetti empirici, in Banca, impresa e soc., 1995, pagg. 119

segg.; ma v. anche AA.VV., La prassi dei fidi multipli e l’evoluzione del rapporto

banca-impresa, Quaderno dell’Associazione per lo sviluppo degli studi di banca e borsa,

n. 127 - Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, 1994; P. RANCI, I presupposti e le

conseguenze della prassi dei fidi multipli, in Econ. e politica industriale, 1994, (83), pagg.

1 segg.; M.R. QUIRICI, Aspetti innovativi connessi alla partecipazione delle banche al

capitale di rischio delle imprese non finanziarie, in Studi e note di econ., 1996, (1), pagg.

81 segg.. Interessanti considerazioni anche in: F. CESARINI, Le banche creditrici

dell’impresa in crisi: ruolo, responsabilità, problemi, in Banca, borsa, tit. cred., 1996, I,

pagg. 576 segg.; M. MATTEI GENTILI, Il fido multiplo e la nuova regolamentazione

dell’attività bancaria, in Riv. del Credito Emiliano, 1993, (3), pagg. 6 segg.; e v. pure le

analisi economiche di: Mag. BIANCO, Vincoli finanziari e scelte reali delle imprese

italiane: gli effetti di una relazione stabile con una banca, in AA.VV., Le banche e il

finanziamento delle imprese, cit., pagg. 23 segg.; P. SAPIENZA, Le scelte di finanziamento

delle imprese italiane, idem, pagg. 61 segg..

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presenza di esposizioni plurime non conosciute (e quindi non valutate) – ben

potrebbe trovarsi inaspettatamente di fronte ad un patrimonio dell’affidato

non più capiente per il soddisfacimento della propria pretesa creditoria,

inevitabilmente concorrente, quest’ultima, con quelle delle altre banche.

Di qui, l’esigenza di creare misure idonee per la salvaguardia della

banca dallo specifico rischio, in un’ottica poi di effettiva ricerca del pieno

diritto all’informazione della banca stessa2.

Ed è così – consentendo l’art. 32, I comma, lett. h, L. Banc.,

l’adozione di sistemi cautelativi atti ad “evitare gli aggravamenti di rischio

derivanti dal cumulo dei fidi”3 – che, sull’esempio di ormai collaudati

modelli stranieri4, si è giunti a congegnare un meccanismo operativo di

2 Tale esigenza, da sempre avvertita nel mondo bancario, produsse del resto, già

nel secolo scorso, un intervento legislativo ad hoc (r.d. 1° giugno 1897, n. 172) con il

quale si disponeva l’obbligo della reciproca comunicazione delle rispettive posizioni

creditorie da parte dei tre istituti di emissione. Tutte le sedi e le filiali della Banca d’Italia,

del Banco di Sicilia e del Banco di Napoli dovevano fornire, alla propria direzione

generale, precise notizie, con riferimento alle operazioni in corso al giorno venti di ogni

mese, dei soggetti in possesso di un fido eccedente la somma di lire cinquantamila. In

argomento, cfr. le puntuali informazioni fornite da L. LUZZATTI, Il riscontro dei fidi, in Il

Sole del 26, 30 e 31 ottobre 1912.

Successivamente, nel 1912, Mario Alberti presentò un progetto per il controllo dei

fidi multipli, che contemplava la creazione di un istituto, partecipato da enti creditizi, con

la funzione di rilevare l’entità di tutti i crediti bancari concessi ad uno stesso nominativo; e

cfr., in punto, M. ALBERTI, L’evoluzione e l’essenza tecnica del credito mobiliare, in La

finanza moderna, I, Milano, 1934, passim.

3 Sull’art. 32, I comma, lett. h, L. Banc., cfr. F. CAPRIGLIONE, Commento all’art.

32, lett. h, L. Banc., in Cod. comm. della banca, cit., pagg. 375 segg..

Tale autore rileva come la ratio della norma in questione sembri ricollegabile alle

possibilità di attivare un sistema di controllo dei fidi multipli fondato sul censimento delle

esposizioni; notando come “in tal senso orientano sia le note elaborate dalla

Confederazione dei lavoratori delle aziende di credito e dell’assicurazione per le riunioni

della Corporazione del credito del giugno 1935 (Archivio Bankitalia, Sez. Beneduce,

Cartella n. 354/356 - B. 44), sia i lavori dell’Assemblea Costituente (Rapporto della

Commissione economica, IV, Credito e assicurazione, pagg. 32 segg.). Nel primo

documento si sottolinea infatti l’opportunità di istituire un organo ‘presso cui accentrare

l’evidenza dei fidi’ ai fini della soluzione del problema in questione, laddove nel secondo

viene ribadita l’‘utilità’ dell’‘istituzione di uno schedario dei rischi e dei fidi’”. E v. già,

amplius, ID., Stabilità delle strutture finanziarie e affidabilità del prenditore di credito,

cit., pagg. 246 segg..

Sull’argomento, v. anche F. PARRILLO, Il problema del controllo dei fidi, in

Giurisprudenza e dottrina bancaria, 1935, pagg. 341 segg.; ID., La disciplina corporativa

dei fidi, in Rass. monetaria, 1937, (1-2), pagg. 3 segg..

4 V., in particolare: la legge bancaria tedesca del 5 dicembre 1934, Par. IX; i

decreti governativi francesi del 28 maggio 1946, nn. 46126 e 46127; la legge bancaria

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informazione – il “Servizio per la centralizzazione dei rischi bancari”,

facente capo alla “Centrale dei rischi bancari”5 6 – attraverso il quale risulta

danese del 1° ottobre 1930; l’art. 12, VI e VIII comma, dell’Arreté royal belga del 9

maggio 1935, n. 185.

In tema, cfr., l’approfondita analisi comparatistica effettuata da M. VALENTINI, La

centrale dei rischi, I, Attualità di un servizio di rilevazione centralizzata dei rischi

bancari, in Boll. Ass. Tecnica Banche pop., 1968, (12), pagg. 47 segg., ove ampie

indicazioni, in particolare, sui sistemi francese e tedesco; ed anche F. SETTI, La tutela del

risparmio e la disciplina della funzione creditizia nella legislazione straniera, in Rivista

bancaria, 1937, pagg. 77 segg.; F. CAPRIGLIONE, Stabilità delle strutture finanziarie, cit.,

pagg. 250 segg..

5 Il servizio per la centralizzazione dei rischi bancari (Centrale dei rischi) è stato

istituito dalla Banca d’Italia ed è stata reso operativo nel 1964.

L’attività della Centrale, così come poi quella degli intermediari aderenti al

servizio, risulta regolata da apposite Istruzioni (nel prosieguo: “BANCA D’ITALIA,

Istruzioni per la Centrale dei rischi, 1996”), le quali, originariamente emanate in

attuazione dell’art. 32, I comma, lett. h, L. Banc. (ma cfr. anche l’art. 35, II comma, lett. c,

L. Banc.) ed in conformità alle Delibere C.I.C.R. 16 maggio 1962, 27 novembre 1970 e 29

dicembre 1977, trovano oggi il proprio fondamento (conf. G. CASTALDI, Il testo unico, cit.

pagg. 127 seg.) negli artt. 53, I comma, lett. b; 67, I comma, lett. b; 107, II comma,

T.U.L.Banc. (e v. qui le considerazioni di R. COSTI, L’ordinamento bancario, cit., pagg.

454 seg., anche poi in relazione al fondamento normativo circa la possibilità di accesso di

tutte le banche alle informazioni fornite dalla Centrale, rintracciato convincentemente

negli artt. 51 e 137, T.U.L.Banc.) ed in conformità della Delibera C.I.C.R. del 29 marzo

1994, che appare di certo utile riportare per estratto qui di seguito, preceduta da quelle

sopracitate del 1962, 1970 e 1977.

Delibera C.I.C.R. 16 maggio 1962: “ (...) 1.- Alla Banca d’Italia è affidato il

servizio per la centralizzazione dei rischi bancari. Le aziende di credito, istituti ed enti (...)

sono tenuti a dichiarare periodicamente i crediti accordati nonché i relativi utilizzi,

qualunque sia l’entità di questi ultimi. 2-. Per ogni nominativo per il quale abbiano

comunicato la concessione di fidi, le aziende riceveranno, pure periodicamente, dalla

Banca d’Italia, una segnalazione riassuntiva dei crediti censiti al nome dello stesso

nominativo, con l’indicazione, per ciascuna categoria di crediti, dell’importo globale

accordato e di quello utilizzato, senza indicazione degli istituti concedenti. La posizione

globale di rischio di un nominativo potrà essere portata a conoscenza delle aziende di

credito ed istituti che non abbiano denunciato crediti al di lui nome, a condizione che essi,

facendone richiesta, esibiscano la domanda di apertura o di estensione di fido

dell’interessato (...). 3-. I dati (...) sono soggetti all’obbligo del segreto d’ufficio, di cui

all’art. 10, L. Banc., anche nei confronti degli stessi affidati. Qualunque infrazione (...),

come le eventuali inesattezze riscontrate nelle dichiarazioni e ritenute ingiustificabili,

potranno comportare l’applicazione delle sanzioni di cui all’art. 87 segg. L. Banc. (...)”.

Delibera C.I.C.R. 27 novembre 1970: “(...) Il C.I.C.R. (...) autorizza la Banca

d’Italia a: 1) portare a conoscenza delle aziende e istituti che lo richiedono, adducendo una

giustificata motivazione, la posizione globale di rischio di un nominativo censito dalla

Centrale dei rischi anche nel caso in cui le aziende e gli istituti medesimi non siano in

possesso di una domanda di fido; 2) introdurre, per il servizio di prima informazione, il

principio del rimborso delle spese (...)”.

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Delibera C.I.C.R. 29 dicembre 1977: “Il C.I.C.R. (...) autorizza la Banca d’Italia a

portare a conoscenza delle aziende e degli istituti informazioni sul rischio globale dei

nominativi che risultino giuridicamente – in una forma di coobbligazione – collegati ad

altro nominativo già segnalato (...), ovvero sul conto del quale sia stata avanzata richiesta

di prima informazione (...)”.

Delibera C.I.C.R. 29 marzo 1994: “1.- (...) Le banche (...), le società finanziarie di

cui all’art. 65, I comma, lett. a e b, e gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale

di cui all’art. 107, T.U.L.Banc., sono tenuti (...) a comunicare periodicamente

l’esposizione nei confronti dei propri affidati e dei nominativi a questi collegati. La Banca

d’Italia individua nell’àmbito delle società finanziarie (...) e degli intermediari finanziari

(...) quelli che, anche in ragione dell’attività svolta, sono tenuti ad effettuare la

segnalazione (...). 2.- La Banca d’Italia fornisce periodicamente a ogni soggetto tenuto ad

effettuare le comunicazioni (...) la posizione riepilogativa dei rischi complessivamente

censiti a nome di ciascun affidato dallo stesso segnalato e dei nominativi collegati. 3.- Le

società e gli enti di cui al punto 1 possono richiedere alla Banca d’Italia (...) la posizione

globale di rischio di nominativi censiti diversi da quelli da essi segnalati, (...) per finalità

connesse all’attività di assunzione del rischio nelle sue diverse configurazioni; a fronte

delle stesse deve essere versato (...) un corrispettivo (...). 4.- I dati personali censiti (...)

hanno carattere riservato. La Banca d’Italia e i soggetti di cui al punto 1 possono

comunicare ai terzi le informazioni registrate a loro nome, secondo la procedura indicata

dalla Centrale. 5.- Nell’àmbito dei rapporti di collaborazione di cui all’art. 7, VII comma,

T.U.L.Banc., la Banca d’Italia può portare a conoscenza delle autorità competenti degli

altri Stati membri dell’U.E. le informazioni concernenti le posizioni globali di rischio dei

nominativi censiti (...), consentendo che le stesse siano utilizzate dalle banche e dagli

intermediari finanziari di quegli Stati. 6.- Per l’inosservanza delle disposizioni (...) si

applicano le previsioni di cui agli artt. 144 e 145, T.U.L.Banc. (...)”.

6 Sulla Centrale dei rischi, cfr., in dottrina, principalmente: G. RUTA, Attualità del

funzionamento della Centrale dei rischi bancari, in Bancaria, 1965, pagg. 415 segg.; ID.,

Riflessi privatistici delle segnalazioni della Centrale dei rischi bancari, in Riv. dir. comm.,

1965, I, pagg. 359 segg.; ID., L’istituzione della Centrale dei rischi nel sistema della Legge

bancaria, in Credito popolare, 1964, pagg. 20 segg.; F. CAPRIGLIONE, Aspetti della

problematica giuridica della Centrale dei rischi bancari, in Bancaria, 1974, pagg. 19

segg.; ID., Commento all’art. 32, cit., pagg. 375 segg.; ID., Stabilità delle strutture

finanziarie, loc. cit., passim; ID., “Funzione” e “autonomia” nella centralizzazione dei

rischi bancari, in Mondo bancario, 1991, (7-8), pagg. 48 segg.; M. VALENTINI, La

centrale dei rischi, I, Attualità di un servizio di rilevazione, cit.; ID., La centrale dei rischi,

II, La centrale dei rischi in Italia, in Boll. Ass. Tecnica Banche pop., 1969, (4), pagg. 19

segg.; M. TAROLA, La Centrale dei rischi, in Rass. del Credito italiano, 1980, (7), pagg.

24 segg.; V. TURRÀ, Fidi multipli: la Centrale dei rischi, cit.; S. SASSI, Le centrali dei

rischi bancari e le analisi aziendali, Napoli, 1965; A. FINOCCHIARO, Il sistema di

centralizzazione dei rischi bancari in Italia, in Credito popolare, 1977, (1-2), pagg. 13

segg.; L. PAVIA, La Centrale dei rischi quale strumento di controllo sui limiti di

censimento del fido bancario, in Annali Fac. di econ. e comm. Univ. Messina, Messina,

1970, pagg. 67 segg.; F. TOMASELLI, Il servizio accentrato d’informazione sui rischi

bancari, in Boll. Ass. Tecnica Banche pop., 1965, (3), pagg. 5 segg.; S. CORALLINI, Il

controllo dei fidi multipli, in Rivista bancaria, 1965, pagg. 121 segg.; G. MENGHINI, La

centralizzazione dei rischi ed il segreto bancario, in AA.VV., Relazioni tra impresa e

sistema creditizio, Atti di Convegno, Napoli, 1964, pagg. 38 segg.; L. PATRIA, La Centrale

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costantemente possibile, per ogni banca, venire a conoscenza dell’obiettiva

posizione globale di rischio, rispetto all’intero sistema, dei soggetti

richiedenti un affidamento; e ciò in conseguenza delle continue informazioni

che debbono essere fornite periodicamente alla Centrale da tutte le banche:

così peraltro realizzandosi il pieno e più utile coordinamento tra i diversi

interessi privati e pubblici in gioco7.

Più in particolare, le banche8 e, da ultimo, anche gli altri intermediari

finanziari9 sono obbligatoriamente tenuti a comunicare alla Centrale dei

dei rischi italiana ed i limiti tecnici delle sue informazioni, in Bancaria, 1971, pagg. 733 e

873 segg.; ID., La Centrale dei rischi, in AA.VV., La banca. Economia e legislazione, a

cura di R. Caimati, III, Bologna, 1978, pagg. 474 segg.; R. COSTI, L’ordinamento

bancario, cit., pagg. 452 segg.; E. GRANATA, La riforma della Centrale dei rischi, in

AA.VV., La nuova Centrale dei rischi. Profili giuridici e riflessi operativi per gli

intermediari finanziari, Atti del Convegno di Roma del 29 aprile 1996, Roma, 1997, pagg.

7 segg.; M. MATTEI GENTILI, Centrale dei rischi e gestione dei fidi: utilizzo e limiti di

efficacia delle informazioni, in Bancanotizie, 1982, (2), pagg. 11 segg.; U. MORERA, La

centralizzazione dei rischi di credito: profili giuridici, in Dir. banc., 1996, I, pagg. 464

segg.; nonché, in una prospettiva statistica: P. BUSETTA e S. SACCO, I dati della Centrale

dei Rischi, in AA.VV., Le statistiche creditizie in Italia. Validità e limiti, a cura di G.

Cusimano, Milano, 1992, pagg. 101 segg.; e v. pure BANCA D’ITALIA, La centrale dei

rischi. Obiettivi, attualità, prospettive, Roma, 1995.

7 Al riguardo, rileva efficacemente M. CONDEMI, Il controllo pubblico

sull’ordinamento bancario e creditizio: momenti e finalità del suo esercizio, in AA.VV.,

L’ordinamento del credito, a cura di F.P. Pugliese, in Tratt. di dir. amm., diretto da G.

Santaniello, XIII, Padova, 1996, pag. 238, come “la funzione di supervisione nei

riguardi degli intermediari vigilati si sovrappone ad una funzione di ‘servizio’ nei

confronti degli intermediari medesimi, fino ad assumere carattere di inscindibilità”.

Naturalmente, tutte le informazioni e le notizie attinenti al servizio sono riservate ed

assoggettate all’obbligo del segreto d’ufficio, ex art. 7, I comma, T.U.L.Banc.; fatto salvo

quanto previsto dall’art. 18, legge 30 dicembre 1991, n. 413, in punto di obbligo delle

banche di fornire informazioni all’amministrazione finanziaria; e v. comunque le

riflessioni critiche di R. COSTI, L’ordinamento bancario, cit., pagg. 455 seg.. Sulla natura

riservata dei dati cfr. anche BANCA D’ITALIA, Istruzioni per la Centrale dei rischi, 1996,

Cap. I, Sez. 1, Par. 3., nonché, più in generale, F. CAPRIGLIONE, Commento all’art. 32, cit.,

pagg. 379 seg.; R. SCHIAVOLIN, voce “Segreto bancario”, in Digesto delle disc. priv.,

Sez. Comm., XIII, Torino, 1996, pagg. 354 segg..

8 E precisamente: le banche e le succursali iscritte all’albo di cui all’art. 13,

T.U.L.Banc. Dal gennaio 1993 sono poi tenute alla segnalazione anche le filiali estere di

banche italiane (limitatamente a posizioni di rischio assunte nei confronti di soggetti

residenti in Italia); il che ha sicuramente colmato un grave vuoto informativo fino allora

esistente; e cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni per la Centrale dei rischi, cit., Cap. I, Sez. 1,

Par. 4.

9 E precisamente: gli intermediari finanziari non bancari iscritti nell’albo e/o

nell’elenco speciale di cui, rispettivamente, agli artt. 64 e 107, T.U.L.Banc., i quali poi

esercitino, in via esclusiva o prevalente, l’attività di finanziamento sotto qualsiasi forma,

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rischi, al termine di ogni mese, sia l’ammontare dei fidi diretti (per cassa e di

firma) accordati nel mese precedente, sia l’ammontare dei relativi utilizzi10 ;

nonché, poi, l’ammontare dei fidi c.d. indiretti (sui quali v. anche infra nel

testo)11 .

così come definita dall’art. 2, decreto del Ministro del Tesoro 6 luglio 1994 (in Banca,

borsa, tit. cred., 1995, I, pag. 111). Quest’ultima circostanza implica naturalmente

l’iscrizione di tali intermediari nell’elenco generale di cui all’art. 106, T.U.L.Banc.. Per

altri aspetti relativi alla disciplina degli intermediari finanziari, v. BANCA D’ITALIA,

Istruzioni per la Centrale dei rischi, cit., Cap. I, Sez. 1, Par. 4; A. CARRETTA, Il mercato

del factoring e la centralizzazione dei rischi di credito, in Bancaria, 1996, (10), pagg. 68

segg..

Inutile sottolineare come attraverso tale recente apertura agli intermediari

finanziari non bancari sia stata colmata una grave lacuna dell’informazione, già da tempo

segnalata; e v. M. VALENTINI, La centrale dei rischi, II, La centrale dei rischi in Italia,

cit., pag. 39; F. PARRILLO, Il problema del controllo dei fidi, pag. 350; F. CAPRIGLIONE,

Commento all’art. 32, cit., pagg. 382 segg..

10 È importante rilevare come attualmente la normativa richieda che, per i fidi a

revoca (e v. la nota successiva), oltre all’utilizzato (rectius: al saldo contabile

dell’ultimo giorno del mese di rilevazione), debba essere segnalato anche il saldo medio,

corrispondente alla media aritmetica dei saldi contabili giornalieri del mese. In

precedenza, in effetti, come anche rilevato (F. CAPRIGLIONE, Commento all’art. 32, cit.,

pag. 381; ID., Stabilità delle strutture, cit., pag. 277; e v. anche R. COSTI, L’ordinamento

bancario, cit., pag. 453), era consentito all’affidato di eludere potenzialmente la

rilevazione, circoscrivendo la propria esposizione tra l’inizio e la fine di ogni mese.

11 La segnalazione alla Centrale va effettuata qualunque sia il soggetto affidato –

persona fisica o giuridica; organismo che, seppur sfornito di personalità giuridica, risulti

dotato di piena autonomia decisionale e contabile (ad esempio: associazione non

riconosciuta, società di persone, ditta individuale); residente o non residente, clientela

ordinaria o bancaria – con l’eccezione, come visto, dei non residenti in Italia per i fidi

concessi da filiale estera di banca italiana.

La posizione individuale di rischio è poi comunicata alla Centrale suddividendo la

stessa in quattro sezioni: i) crediti per cassa, ii) crediti di firma, iii) garanzie ricevute, iv)

sezione informativa.

Nella sezione crediti per cassa confluiranno: a) i rischi c.d. autoliquidanti, cioè

gli affidamenti, caratterizzati da una fonte di rimborso predeterminata, concessi per

consentire l’immediata disponibilità di crediti non ancora scaduti, vantati dall’affidato

nei confronti di terzi e dei quali la banca cura l’incasso (ad esempio: cessioni di credito;

anticipi salvo buon fine; sconti; prefinanziamenti di mutui; ecc.); b) i rischi a scadenza,

cioè gli affidamenti privi di una predeterminata fonte di rimborso e con scadenza

stabilita contrattualmente (ad esempio: mutui; leasing; prestiti personali; prestiti

subordinati; “sconti” finanziari diretti; sovvenzioni per utilizzo di carte di credito; ecc.);

c) i rischi a revoca, cioè gli affidamenti concessi mediante un’apertura di credito in

conto corrente a tempo indeterminato; d) i finanziamenti a procedura concorsuale, cioè

gli affidamenti concessi agli organi di una procedura concorsuale, assistiti da specifica

causa di prelazione; e) le sofferenze (sulle quali v. diffusamente infra).

Nella sezione crediti di firma confluiranno invece tutte le garanzie prestate dalla

banca, su richiesta della clientela (affidata), con le quali la banca stessa si impegna a far

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La Centrale sarà così in grado di elaborare i dati ricevuti,

comunicando quindi a ciascuna banca – e relativamente ai (soli) soggetti

dalla stessa segnalati – tutti gli affidamenti censiti nell’àmbito del sistema a

nome dei ridetti soggetti, con l’indicazione, per ciascuna categoria di rischio,

dell’importo accordato e di quello utilizzato, nonché del numero (ma non del

nome) degli enti affidanti (c.d. “flusso di ritorno”).

Ai fini dell’informativa, ciò che rileva non è quindi (o non è soltanto)

la componente lato sensu “debitoria” del soggetto affidato, collegata poi

all’effettivo utilizzo del fido (potremmo dire: alla sua esposizione attuale): è

invece, ed essenzialmente, la sua rischiosità potenziale, il suo grado di

“indebitabilità”, valutabile questa volta in relazione all’ammontare

complessivo dei fidi accordati.

Ed in tale prospettiva, assai significativo è anche il distinguo –

attualmente richiesto nella segnalazione dell’accordato relativo ai crediti

per cassa e di firma – tra “accordato” ed “accordato operativo”. Ora,

mentre con la prima voce deve indicarsi il limite entro il quale la banca è

disposta a concedere fido al cliente (soltanto) sulla base di una decisione

assunta nel rispetto delle procedure interne, con la seconda si indica il

fido direttamente utilizzabile dal cliente in quanto riveniente da un

contratto perfezionato e pienamente efficace12; il che ci sembra, anche nella

particolare ottica qui considerata, confermi ancora una volta, e pienamente,

la netta e già più volte rimarcata (ma v. anche infra) distinzione esistente tra

il momento della decisione di concedere fido (rilevante come atto di

organizzazione, interno all’impresa bancaria) ed il successivo momento

dell’attuazione contrattuale di tale decisione (rilevante questa volta

all’esterno, nell’àmbito del rapporto con il cliente).

fronte ad eventuali inadempimenti di obbligazioni assunte dalla clientela medesima nei

confronti di terzi (ad esempio: avalli, fidejussioni, crediti documentari, accettazioni).

Nella sezione garanzie ricevute confluiranno poi le garanzie personali che la

banca ha ricevuto da terzi allo scopo di rafforzare le aspettative di adempimento delle

obbligazioni assunte da soggetti affidati dalla banca stessa (e v. infra).

Nella sezione informativa confluiranno infine: a) le operazioni effettuate per

conto di terzi, cioè gli affidamenti concessi dalla banca a valere su fondi la cui gestione

riveste natura di mero servizio (attività di istruttoria, erogazione, riscossione e

riversamento somme), così come i finanziamenti concessi su fondi di terzi in

amministrazione, qualora non comportino alcun rischio per la banca (per le operazioni

c.d. di conduit, cfr. retro, cap. I, par. 2, nota 36); b) i crediti acquisiti per operazioni di

factoring; c) i crediti passati a perdita, cioè i crediti (o le quote di credito) considerati

dalla banca non più recuperabili.

E v., per ulteriori indicazioni di dettaglio: BANCA D’ITALIA, Istruzioni per la

Centrale dei rischi, cit., Cap. II, Sez. 1 e 2.

12 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni per la Centrale dei rischi, cit., Cap. II, Sez. 1,

Par. 9.

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In quest’ottica di informazione, si comprende ancora agevolmente il

progressivo ampliamento dell’effettiva operatività della Centrale dei rischi,

ottenuto sia attraverso la sostanziale riduzione, rispetto ai valori iniziali,

dell’importo minimo degli affidamenti per i quali è obbligatoria la

segnalazione13, con conseguente aumento del numero dei soggetti censiti, sia

poi richiedendo la segnalazione tanto dei rischi c.d. “indiretti” – cioè delle

garanzie personali ricevute dalla banca in favore di soggetti affidati: in altri

termini, i fidi concessi ai garanti degli affidati con l’accoglimento delle

garanzie prestate14 –, quanto poi dei rapporti di “coobbligazione”, cioè delle

13 Attualmente, il limite, per gli affidamenti diretti (somma dell’accordato ovvero

dell’utilizzato del totale dei crediti riferiti ad un cliente), è di lire 150 milioni. Inizialmente

fu di 250 milioni; nel 1965 fu di 100 milioni; dal 1966 al 1970 di 50 milioni; nel 1971 di

40 milioni; dal 1972 al 1979 di 30 milioni; dal 1980 al 1984 di 50 milioni; dal 1985 al

1995 di 80 milioni.

Anche per i rischi indiretti (valore delle garanzie personali complessivamente

ricevute da un cliente; e v. infra, la nota successiva), l’attuale limite è di lire 150 milioni;

in precedenza fu di 70 milioni (fino al 1979) e poi di 100 milioni (fino al 1984).

Al di sotto dei suddetti limiti, sono operative delle centrali private per la

rilevazione dei rischi finanziari (ad esempio: C.R.I.F. e C.C.N.), cui le banche hanno la

possibilità di aderire su base contrattuale.

14 I fidi indiretti debbono naturalmente essere segnalati esclusivamente a nome del

garante, nel momento poi dell’effettiva acquisizione della garanzia e non già

antecedentemente al perfezionamento dell’operazione garantita. Per un inquadramento

della figura del garante nell’àmbito della nozione di cliente della banca, sia consentito

rinviare a U. MORERA, Sulla nozione di “cliente della banca”, in Vita not., 1994, pagg.

590 segg..

Ai fini della segnalazione, la garanzia (fidejussione, avallo, mandato di credito ex

art. 1958 cod. civ., polizza fidejussoria; lettera di patronage a contenuto obbligatorio, ecc.)

deve essere rilasciata direttamente alla banca in favore di un proprio affidato, allo scopo di

rafforzare l’aspettativa di adempimento dell’obbligazione di quest’ultimo (mancando tale

distinzione, in effetti, si verserebbe in una delle forme di coobbligazione, caratterizzate

dall’identità di causa tra obbligazioni parallele).

Dai suesposti princìpi, consegue, da un lato, che dovranno essere senz’altro

segnalati gli impegni riconducibili allo schema fideiussorio assunti da consorzi o

cooperative di garanzia nei confronti delle banche convenzionate per i finanziamenti

concessi dalle stesse alle imprese consorziate e, dall’altro, che non dovranno essere censiti

i contratti di assicurazione del credito, i quali, non costituendo una forma di garanzia

dell’adempimento del debitore principale, non comportano l’assunzione di

un’obbligazione accessoria rispetto a quella del debitore medesimo; né poi le fidejussioni

cumulativamente rilasciate, entro un determinato plafond, dalle imprese partecipanti a

consorzi o cooperative di garanzia, a tutte le banche convenzionate a fronte dei

finanziamenti da queste concessi alle singole imprese medesime (e cfr. R. COSTI, Consorzi

fidi e cooperative di garanzia, in AA.VV., Credito e moneta, cit., pagg. 493 segg.; nonché

D. VITTORIA, I problemi giuridici dei consorzi fidi, Napoli, 1981, pagg. 204 segg., e G.

CABRAS, Le garanzie collettive per i finanziamenti alle imprese, Milano, 1986, passim).

Per ulteriori e differenti aspetti, connessi alle problematiche relative alle ipotesi di:

pluralità di garanti, pluralità di garantiti, pluralità di garanzie rilasciate da un unico

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relazioni di tipo giuridico intercorrenti fra più soggetti, e dalle quali

discende una loro responsabilità solidale nell’adempimento delle

obbligazioni assunte nei confronti della banca15.

Ed ancora nella suddetta ottica si comprende anche la sempre maggior

rilevanza assunta dal peculiare servizio offerto dalla Centrale in aggiunta al

“flusso di ritorno”: ci riferiamo al servizio c.d. “di prima informazione”,

mediante il quale è possibile, per ogni banca, conoscere la posizione di ogni

nominativo censito; indipendentemente, quindi, da precedenti segnalazioni

effettuate dall’ente richiedente per quel nominativo16. Nonché, infine, la

soggetto a favore di uno stesso affidato, garanzie rilasciate da soci di società, ecc., cfr.

BANCA D’ITALIA, Istruzioni per la Centrale dei rischi, cit., Cap. II, Sez. 2, Par. 8 e 9.

In relazione all’ipotesi di “trasformazione” di rischi indiretti in crediti per cassa, si

deve però aggiungere che, qualora la banca – dopo aver “estinto” una posizione “in

sofferenza” per l’impossibilità di vantare alcun credito nei confronti del cliente in

conseguenza di uno specifico atto giuridico (ad esempio: corresponsione, da parte del

debitore, di quanto determinato in un concordato) – vanti ancora un credito verso il

garante per la parte non recuperata, dovrà segnalare la posizione del garante stesso non più

tra i rischi indiretti, bensì tra i crediti per cassa, magari anche “a sofferenza”, ricorrendone

i presupposti (garante in stato di insolvenza: e v. infra).

15 Cfr. Delibera C.I.C.R. del 29 dicembre 1977, cit.; BANCA D’ITALIA, Istruzioni

per la Centrale dei rischi, cit., Cap. I, Sez. 2, Par. 5.

Tale rilevazione consente di collegare le posizioni di rischio che fanno capo a

ciascuna coobbligazione a quelle di esclusiva pertinenza dei soggetti che ne fanno parte.

Coobbligazioni oggetto di rilevazione sono: le cointestazioni, le società di fatto, le società

semplici, le società in nome collettivo e, limitatamente ai soci accomandatari, le società in

accomandita.

Sono esclusi dalla rilevazione i rapporti di garanzia (fidejussioni ed avalli), nel

senso che non vengono censiti i legami garante-garantito: la segnalazione delle garanzie

ricevute rientra tout court nei rischi indiretti, senza che venga evidenziato in alcun modo

l’affidato garantito (e v. infra, nel testo, le nostre considerazioni critiche in punto).

16 È stato così sensibilmente ampliato il “servizio di prima informazione”, previsto

in origine dalla Delibera C.I.C.R. del 16 maggio 1962, cit.. E cfr., per ulteriori dettagli di

disciplina: BANCA D’ITALIA, Istruzioni per la Centrale dei rischi, cit., Cap. I, Sez. 2, Par.

8.

Circa il contenuto dell’informazione, questa può comprendere la posizione globale

di rischio del soggetto richiesto, le informazioni anagrafiche delle coobbligazioni di cui lo

stesso risulti eventualmente far parte, nonché poi le posizioni di rischio di pertinenza delle

coobbligazioni e le informazioni anagrafiche dei soggetti collegati a quello richiesto da

rapporti di garanzia o di cessione del credito. Nell’informazione è altresì indicato

l’ammontare degli sconfinamenti e dei margini disponibili (e v. infra).

Il servizio di prima informazione, a differenza dell’informativa connessa al “flusso

di ritorno”, riveste poi carattere oneroso, seppur a livello di rimborso spese. La sussistenza

di un regime retributivo differenziato potendosi poi agevolmente giustificare alla luce del

fatto che, mentre la gratuità del primo tipo di informazione si spiega in virtù dei vantaggi

conseguenti all’informativa centralizzata fornita (a loro volta) dalle banche al complessivo

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segnalazione specifica per tutti indistintamente i crediti in “sofferenza”,

indipendentemente quindi dal loro ammontare17 .

Su tale ultimo aspetto occorrono però alcune precisazioni.

La nozione di “sofferenza” offerta dalle Istruzioni della Banca

d’Italia riconduce alla fattispecie in questione “tutti i crediti per cassa in

essere nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato

giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili,

indipendentemente dall’esistenza di garanzie o dalla previsione di

perdita”18 19.

Alla luce di tale puntuale nozione, ci sembra evidente come l'accento

venga condotto sullo stato (economico-finanziario) dell’affidato, non già

su quello del (singolo) rapporto di credito; più che l’andamento della

singola relazione creditizia, ciò che interessa far emergere

dall’informazione è la sussistenza o meno della capacità di rimborso di un

determinato soggetto.

sistema di vigilanza, il servizio di prima informazione persegue esclusivamente finalità

cognitive, strumentali soltanto alle scelte imprenditoriali di corretta gestione del credito (e

v. qui ancora le considerazioni di F. CAPRIGLIONE, Stabilità delle strutture, cit., pagg. 265

segg.).

17 È dal 1972 che vengono censiti i crediti in sofferenza, ma con il limite minimo

di 10 milioni. Dal marzo 1991 anche tale limite è scomparso.

Per alcune ipotesi di responsabilità degli esponenti bancari a seguito di mancata

segnalazione di partite in sofferenza alla Centrale dei rischi, v. ad esempio: App. Roma,

4 febbraio 1995, Farinati ed altri c. Banca d’Italia e Ministero del Tesoro; App. Roma, 6

marzo 1995, Pognici c. Banca d’Italia e Ministero del Tesoro; App. Roma, 6 marzo

1995, Caovilla c. Banca d’Italia e Ministero del Tesoro; App. Roma, 5 gennaio 1995,

Simonetto c. Banca d’Italia e Ministero del Tesoro; App. Roma, 4 febbraio 1995, Melis

c. Banca d’Italia e Ministero del Tesoro; App. Roma, 18 maggio 1995, Marino ed altri c.

Banca d’Italia e Ministero del Tesoro; App. Roma, 14 marzo 1995, D’Urso ed altri c.

Banca d’Italia ed altri, decreti tutti riportati in: BANCA D’ITALIA, Bollettino di vigilanza,

1995, (6), pagg. 82 segg..

18 Con l’ulteriore, importante specificazione che “l’appostazione a sofferenza

implica pertanto una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva

situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero

ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito”; cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni per la

Centrale dei rischi, cit., Cap. II, Sez. 2, Par. 5.

19 Tale individuato presupposto per la segnalazione a sofferenza è peraltro del

tutto conforme a quello individuato in materia di segnalazioni statistiche all’Organo di

vigilanza, oggi ripreso anche dalla normativa sui bilanci bancari (d. lgs. n. 87/1992,

come modif. dall’art. 157, T.U.L.Banc.); con la conseguenza che l’appostazione di un

credito in sofferenza presso la Centrale dei rischi comporta un’analoga segnalazione in

bilancio, nonché poi nella “matrice dei conti” inviata alla Banca d’Italia.

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Con una battuta, potrebbe ben dirsi che la segnalazione deve

riguardare, più che la “sofferenza”, il “sofferente”20.

Del resto, e coerentemente con gli scopi di fondo del servizio di

centralizzazione dei crediti, appare indubbio che la segnalazione presso la

Centrale dei rischi alla voce “sofferenze” assolva la precisa funzione di

“campanello d’allarme” per il sistema bancario, al fine di informare che un

determinato nominativo viene valutato (da una banca segnalante) in stato

di insolvenza, od in situazione sostanzialmente equiparabile; che lo stesso

versa quindi in una condizione di non transitoria incapacità ad adempiere

regolarmente le proprie obbligazioni.

20 La scarsa giurisprudenza edita in punto appare però, nella sostanza, orientata

prevalentemente in senso difforme.

Pret. Crotone, 23 gennaio 1993, Sorrentino c. Cassa di Risparmio di Calabria e

Lucania, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, II, pag. 595; Trib. Roma, 4 dicembre 1989,

Sintel Italia s.p.a. c. Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania, idem, 1991, II, pag. 672;

Trib. Roma, 5 agosto 1995, Inarcos s.r.l., Signoria Italia s.r.l. e Piani c. Banco di Napoli,

e Trib. Roma 3 novembre 1995, Inarcos s.r.l. e Signoria Italia s.r.l. c. Banco di Napoli,

entrambe in idem, 1997, II, pag. 494, con ampia nota critica di F. VELLA, Segnalazione

di crediti in “sofferenza” alla Centrale dei rischi e responsabilità della banca,

giungono tutte a negare in radice – in verità apoditticamente e con motivazioni

insoddisfacenti e talora ambigue (e v., per una puntuale critica ai suddetti precedenti,

anche: A.A. DOLMETTA, A proposito della responsabilità della banca nei confronti del

cliente oggetto di segnalazione di notizie false alla Centrale dei rischi, idem, 1997, II,

pagg. 358 segg.) – possibili profili di responsabilità in capo alle banche segnalanti: vuoi

riconducendo la segnalazione in questione ad un “obbligo” imposto alle banche e,

pertanto, non ammettendo in principio la configurabilità del fumus boni iuris (in sede di

ricorso d’urgenza, ex art. 700 cod. proc. civ.), vuoi ricollegando inopinatamente la

segnalazione a sofferenza all’intervenuto recesso della banca dall’apertura di credito

(come ... “conseguenza quasi automatica”), vuoi infine esaltando un’assoluta

discrezionalità della banca nell’operare la segnalazione, con allora conseguente

impossibilità di sindacarne l’operato; in ogni caso operando inaccettabili equiparazioni

tra credito “esistente” e credito “in sofferenza”.

Una successiva pronuncia (Trib. Cagliari, 28 novembre 1995, Vi.San. di Nino

Villa Santa s.a.s. c. Banco di Napoli, idem, 1997, II, pag. 354, con nota di A.A.

DOLMETTA, A proposito della responsabilità, cit.) si è tuttavia distanziata dalle sopra

ricordate decisioni, affermando correttamente come la banca sia tenuta a risarcire il

danno subìto dal cliente tutte le volte in cui la segnalazione si sia rivelata erronea per

negligenza od imperizia nella valutazione della sussistenza dei presupposti prescritti per

la segnalazione stessa. Con tale pronuncia viene così resa giustizia al “diritto alla

reputazione economica” del soggetto segnalato e, soprattutto, viene per così dire

recuperata la “centralità” sostanziale del possibile profilo di danno in capo allo stesso

(danno consistente nella limitazione dell’accesso al mercato del credito e nel possibile,

conseguente rischio di insolvenza); e su queste tematiche cfr., esaustivamente: F.

VELLA, Segnalazione dei crediti, cit.; A.A. DOLMETTA, A proposito, cit.; nonché infra

nel testo.

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La correttezza di una tale impostazione – che prescinde quindi

completamente dalla natura, dall'origine e dalle vicende in genere del

rapporto di credito – ci sembra del resto confermata da ulteriori indici

normativi.

Innanzitutto, appare assai significativo, almeno nella prospettiva che

interessa, la circostanza per la quale la segnalazione a sofferenza deve

essere effettuata indipendentemente dall’ammontare del credito, e poi

prescindendo sia dalle garanzie eventualmente esistenti che dalla

previsione di perdita21; a dimostrazione che l’informazione concerne

essenzialmente l’incapacità dell’affidato di far fronte ai propri impegni,

non anche le vicende connesse al recupero del credito concesso.

In secondo luogo, ad ulteriore, sicura conferma dell’impostazione

proposta sta poi la regola delle Istruzioni che vuole non più dovuta la

segnalazione a sofferenza qualora venga “a cessare lo stato di difficoltà

economico-finanziaria del cliente”22 .

Del resto, ragionando diversamente, se cioè si volesse svincolare la

segnalazione a sofferenza dalla valutazione dello stato di insolvenza del

soggetto segnalato, dovremmo giungere alla conseguenza, davvero iniqua,

di una (sostanziale) impossibilità, per il cliente – specie se imprenditore –

di contestare un credito che ritenesse ingiustificatamente preteso da una

banca: la contestazione finirebbe difatti per implicare una segnalazione a

sofferenza, con ogni conseguenza negativa, anche in punto di ricorso al

credito presso altre banche23 . E su tale ultimo aspetto, non possiamo che

21 BANCA D’ITALIA, Istruzioni per la Centrale dei rischi, cit., Cap. II, Sez. 2,

Par.5.

Per una corretta distinzione tra partite in sofferenza e perdite, cfr. Cons. Stato,

Sez. IVª, 14 novembre 1994, n. 882, Banca d’Italia c. Di Ronza, in Consiglio di Stato,

1994, I, pag. 1481 (in motivazione).

22 BANCA D’ITALIA, Istruzioni per la Centrale dei rischi, cit., Cap. II, Sez. 2,

Par.6.

Rileviamo inoltre qui come la precedente versione delle Istruzioni sulla Centrale

dei rischi (ediz. 1994) avesse cura di precisare che non dovevano essere segnalate a

sofferenza quelle posizioni “rivenienti dall'assunzione, mediante accollo, di un debito

originariamente a carico di un nominativo in sofferenza, anche quando non vi sia stata la

contestuale liberazione di quest'ultimo”, dovendo tali posizioni essere appostate a

sofferenza “solo qualora lo stato di insolvenza sia riferito all’accollante”; il che ci sembra

dimostri ancora una volta chiaramente come sia essenzialmente la (generale) situazione

economico-finanziaria del soggetto a rilevare ai fini della segnalazione e non invece

l’andamento in sé del (singolo) rapporto di credito.

23 Per evitare le conseguenze negative derivanti dalla segnalazione, l’affidato si

troverebbe in definitiva a dover corrispondere in ogni caso quanto richiesto dalla banca,

salvo poi promuovere domanda giudiziale per l’accertamento dell’indebito pagamento!

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rilevare la diffusa tendenza delle banche a considerare in principio “non

affidabile” un nominativo segnalato tra le partite in sofferenza: tendenza

che però potrebbe trovare una sua piena giustificazione soltanto – e proprio

– nel presupposto che la segnalazione sia effettuata in base a quei criteri

che abbiamo appena messo in luce.

Al di là di quanto appena detto, chi abbia pratica di cose bancarie sa

perfettamente come molte banche tendano tuttavia a segnalare a sofferenza

le posizioni tout court oggetto di contestazione, raramente scendendo a

valutare l’effettivo stato economico-finanziario del debitore (magari

inadempiente soltanto perché contesta il calcolo degli interessi che gli

vengono addebitati)24.

Né, del resto, la Centrale dei rischi potrebbe mai, prima di accettare

la segnalazione, scendere a valutare in qualche modo lo stato

economico-finanziario del soggetto segnalato: la correttezza della

segnalazione è all’evidenza rimessa soltanto alle banche, che se ne

debbono assumere tutte le relative conseguenze. Prime tra queste, le

possibili doglianze dei segnalati; i quali ben potranno adire l’Autorità

giudiziaria per la rimozione della segnalazione ritenuta illegittima ed anche

poi per i profili risarcitori, qualora rilevino la sussistenza di un danno.

Passando ora a concludere, dobbiamo rilevare come gli attuali

strumenti cognitivi offerti dalla Centrale, se consentono, in relazione

all’effettiva esposizione della clientela, un’utile informativa interagente sulle

scelte imprenditoriali del banchiere, il quale “pur conservando una piena

E che un profilo di danno vada tipicamente a configurarsi in capo al segnalato,

comportando poi una responsabilità in capo alla banca, non pare affatto dubbio; e cfr.

approfonditamente (e convincentemente): F. VELLA, Segnalazione di crediti “in

sofferenza”, cit., passim, ed ivi ogni ulteriore riferimento in relazione al più generale

profilo della responsabilità della banca per false od errate informazioni (su cui v.

comunque: A. LUMINOSO, Responsabilità civile della banca per false o inesatte

informazioni, in Riv. dir. comm., 1984, I, pagg. 189 segg.; S. MAZZARELLA, La

responsabilità civile del banchiere per false informazioni, in AA.VV., Funzione

bancaria, rischio e responsabilità della banca, a cura di S. Maccarone e A. Nigro,

Milano, 1981, pagg. 161 segg.; F. RANIERI, La responsabilità da false informazioni, in

Giur. comm., 1976, I, pagg. 630 segg.; C. MIRABILE, Responsabilità aquiliana della

banca per divulgazione di false o errate informazioni, in Banca, borsa, tit. cred., 1990,

I, pagg. 401 segg.; F.D. BUSNELLI, Itinerari europei nella “terra di nessuno tra

contratto e fatto illecito”: la responsabilità da informazioni inesatte, in Contratto e

impresa, 1991, pagg. 558 segg.).

24 In effetti, i rilievi più frequenti che vengono formulati alle banche (per un

caso: Cass. 25 maggio 1994, n. 5107, cit.) ed ai loro esponenti (e v. la giurisprudenza

citata alla precedente nota 17) sono quelli relativi all’ipotesi inversa rispetto a quella

considerata, relativi cioè alla mancata appostazione a sofferenza di nominativi che

invece ne presentano tutte le caratteristiche.

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libertà decisionale in ordine alla realizzabilità dell’operazione, è in grado di

meglio ponderare la economicità dell’azione svolta, garantendone la

destinazione ad un risultato utile”25 , e se permettono altresì alle banche di

acquisire ulteriori benefici “indiretti” (la regolare cadenza delle

segnalazioni, comportando necessariamente un frequente riesame delle

posizioni di rischio, agevola l’indentificazione di affidamenti stagnanti o

inadeguati alle condizioni della clientela, di sconfinamenti inavvertiti, o di

andamenti anomali), appaiono ancora per certi aspetti limitati

operativamente.

Sicché, sotto diverso profilo, sarebbe assai errato pretendere di

considerare le informazioni ricavabili dalla Centrale dei rischi come

strumento di cognizione sufficiente ad evitare al sistema bancario rischiosi

livelli di esposizione nei confronti di un’impresa o, peggio, di un gruppo26 .

E ciò, naturalmente, sia per la necessità di ricorrere anche ad altri strumenti

di informazione, sia per gli attuali “limiti” del servizio in questione.

Circa questi ultimi, se appare di certo molto positivo il recente

allargamento delle rilevazioni alle posizioni di rischio derivanti da

operazioni poste in essere dagli intermediari finanziari non bancari, occorre

peraltro considerare la circostanza, tutt’altro che marginale, per cui

l’informazione non concerne attualmente gli affidamenti concessi da enti

creditizi esteri27; il ché, almeno in relazione ad alcuni importanti gruppi

operanti nei mercati internazionali ed ivi affidati, rappresenta un

indiscutibile “vuoto” informativo.

25 Così F. CAPRIGLIONE, Commento all’art. 32, cit., pag. 377, il quale, poi,

sottolinea come l’analisi in questione colleghi “direttamente il controllo dei fidi multipli

alla regolamentazione della liquidità bancaria”, così spiegandosi la ragione per cui

“l’intervento dell’autorità che è alla base dell’istituzione della Centrale dei rischi, trova

collocazione nell’àmbito del disposto dell’art. 32 l.b.”, e ciò “a prescindere dalla peculiare

valenza che tale servizio presenta a fini di vigilanza bancaria, dovendo ritenersi

indispensabile, in sede di politica creditizia, l’apporto dato dalle statistiche del credito

elaborate con i dati delle rilevazioni”.

26 Come, ad esempio, è accaduto nella nota vicenda concernente l’esposizione del

gruppo industriale Ferruzzi nei confronti del sistema bancario; e v., per uno spunto, F.

BELLI, Teorie creditizie e legislazione bancaria, cit., pag. 105.

27 Cfr. F. CAPRIGLIONE, Commento all’art. 32, cit., pag. 383, il quale sottolinea,

alla luce dell’articolato espandersi dell’economia internazionale, l’importanza di un

effettivo coordinamento dei servizi centralizzati d’informazione sui crediti concessi alla

clientela nell’àmbito comunitario, nel contempo tuttavia registrando il fallimento di un

(forse troppo ambizioso) progetto di Direttiva della Commissione Cee per il

“ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative

alla notifica di certi crediti ed allo scambio di informazioni sui medesimi” (Doc.

XV/249/76/1), ed in particolare della previsione, ivi contenuta, dell’obbligo, per gli Stati

membri che ne fossero risultati sprovvisti, di istituire una Centrale dei rischi.

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Inoltre, come visto, in relazione ai vincoli di coobbligazione è

contemplato il dovere di comunicazione dei soli soggetti legati da vincoli

giuridici con altri nominativi già segnalati28, con ciò escludendo di fatto dal

censimento tutti quei soggetti collegati da vincoli di natura meramente

economica (si pensi, essenzialmente, ai collegamenti societari infra-gruppo);

soggetti il cui grado di stabilità finanziaria e patrimoniale – in ipotesi – ben

potrebbe influenzare le vicende dell’affidato. Certo, questo discorso

introduce il rilevante problema del censimento dei gruppi in Italia, tematica

delicata e difficile, soprattutto in assenza di un albo dei gruppi economici.

Ma vi è la reale esigenza che tutte le banche si dotino – magari proprio

attraverso la Centrale dei rischi – di una “mappa” del gruppo al momento

dell'affidamento: e forse la strada potrebbe partire dai bilanci consolidati,

prevedendo cioè un albo dei gruppi tenuti al consolidato, magari gestito ed

aggiornato da qualche organo centrale di controllo.

Così come, sempre nell’area dei vincoli di coobbligazione e

nell’ottica dell’individuazione di nuovi margini di utilità operativa per il

servizio, può rilevarsi ancora una notevole migliorabilità dell’informazione.

Oggi il garante viene segnalato esclusivamente a suo nome e senza alcuna

indicazione dei fidi e dei soggetti garantiti. Sarebbe sicuramente più utile

se venisse approntato un sistema di censimento più “trasparente”, che

indicasse, accanto al nome del garante, anche quello del garantito. Si

potrebbe così stimare molto meglio l'impegno indiretto, valutandolo in

rapporto al (l’affidato) beneficiario dell’impegno stesso: un conto è difatti

garantire una solida impresa, ben altro è garantire un’impresa in

conclamato stato di difficoltà; il “peso” della garanzia, nei due casi, appare

all’evidenza assolutamente diverso.

E, sempre nella prospettiva della piena evidenziazione del potenziale

di rischio, un altro significativo margine di utilità potrebbe poi essere

guadagnato qualora si rendesse obbligatoria la segnalazione dei fidi in corso

di istruttoria, magari solo richiedendo la segnalazione delle domande (di fidi

nuovi) per importi superiori al limite di censimento. È chiaro che qui, per

rendere operativa la comunicazione dei fidi istruendi, occorrerebbe uno

sforzo significativo nell’apprestare un meccanismo di rilevazione il più agile

possibile, comportando la rilevazione stessa notevoli problemi pratici

connessi alle difficoltà di istituire – all’interno delle singole banche – un

valido accentramento cognitivo delle domande di fido ancora non

perfezionate. Purtuttavia, il sistema auspicato potrebbe rivelarsi di sicuro

ausilio per le banche, offrendo alle stesse la possibilità di conoscere ulteriori

potenzialità di rischio della clientela ed eliminando al contempo il pericolo

di facili frodi, come nell’ipotesi – peraltro non infrequente – in cui uno

28 E naturalmente neanche con certezza rispetto al ventaglio completo delle ipotesi

possibili (ad esempio: art. 2362 cod. civ.).

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stesso soggetto presenti contemporaneamente, a più banche, distinte

domande di affidamento29 .

Un ulteriore miglioramento dell’informazione potrebbe infine essere

raggiunto relativamente agli affidamenti in pool, richiedendo la segnalazione

da parte delle banche partecipanti, indipendentemente dall’ammontare della

loro quota; così evitando che possano configurarsi dei casi in cui – in virtù

della presenza di molte banche nel pool, partecipanti per quote inferiori al

limite minimo di censimento – non vengano segnalati fidi per rilevanti

importi facenti capo ad un unico soggetto30 .

11. L’istruttoria di fido.

L’abrogato art. 35, II comma, lett. c, L. Banc., contemplava

espressamente il potere della Banca d’Italia di “emanare norme relative alle

dichiarazioni che i richiedenti i fidi devono rilasciare sulle loro condizioni

patrimoniali ed economiche perché i fidi stessi vengano concessi”1.

Tale norma trovava il suo fondamento nell’estrema importanza (e

delicatezza) che riveste la fondamentale fase dell’istruttoria delle domande

di fido nell’àmbito dell’attività di esercizio del credito; tale attività dovendo

comunque comportare, al di là di ogni altra considerazione, l’instaurarsi di

un rapporto di fiducia con il cliente2, supportato poi da un’effettiva

29 E v. F. CAPRIGLIONE, Stabilità delle strutture, cit., pagg. 268 seg. E sui profili

connessi al reato di mendacio bancario, v. infra nel testo.

30 Sul credito in pool, per tutti: R. CLARIZIA, voce “Crediti di firma in pool”, in

Digesto delle disc. priv., Sez. Comm., IV, Torino, 1989, pagg. 201 segg.; G. SCORZA,

Finanziamenti e fidejussioni in pool, in Banche e banchieri, 1978, pagg. 161 segg.; L.A.

BIANCHI, I prestiti in pool, in AA.VV., L’integrazione fra imprese nell’attività

internazionale, cit., pagg. 233 segg.; G. MEO, Garanzie bancarie internazionali in pool,

idem, pagg. 253 segg.; nonché, per gli aspetti internazional-privatistici, G. FAUCEGLIA, I

contratti di finanziamento in pool: profili di diritto internazionale privato, idem, pagg. 243

segg.; e per gli aspetti tecnici, A. PATERNELLO, La politica degli impieghi in prestiti delle

banche, cit., pagg. 132 segg..

1 Varrà ricordare come tale norma non trovasse applicazione nei confronti degli

istituti di credito speciale. L’art. 14, legge 10 febbraio 1981, n. 23, escludeva infatti

l’intero disposto dell’art. 35, L. Banc. dalle norme applicabili agli istituti operanti sul

medio e lungo termine; e ciò, essenzialmente, in virtù della circostanza che vedeva tali enti

svolgere comunque e costantemente, potremmo dire tipicamente, prima della concessione

del’affidamento, una formale e compiuta istruttoria delle richieste di fido avanzate dai

clienti.

2 Ed in argomento v. le stimolanti pagine di G. GARRANI, La fiducia base

psicologica del credito. Lineamenti teorici del modus operandi del banchiere, in Rivista

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conoscenza dello stesso da parte della banca3: da qui la necessità di

compiere tutte le analisi e le indagini sia in merito alle capacità finanziarie

bancaria, 1957, pagg. 383 segg.; idem, 1958, pagg. 358 segg.; ibidem, pagg. 536 segg.;

idem, 1959, pagg. 354 segg.; ibidem, pag. 443 segg.; idem, 1960, pagg. 256 segg.; L.

FILOSTO, Corso di tecnica bancaria, cit., pagg. 385 segg.; nonché A. GALASSO, Contratti

di credito e titoli bancari, Padova, 1971, pagg. 130 segg., ove ampi riferimenti.

Talora, comunque, il “credito” (nel senso di “fiducia”, “positiva reputazione”) di

cui gode un determinato soggetto può rendere superflua l’attività istruttoria tesa ad

acquisire i dati necessari all’instaurarsi di quel rapporto fiduciario che è necessario per

lo svolgersi di una relazione di affidamento; “avere un fido”, scrive incisivamente V.

MATHIEU, Filosofia del denaro. Dopo il tramonto di Keynes, Roma, 1985, pag. 138,

“significa convertire ufficialmente il credito in moneta: ma ciò è reso superfluo dal

credito personale”; il che poi ci riporta alla nota frase di guicciardiniana memoria “più

vale il nome che molte ricchezze” (F. GIUCCIARDINI, Ricordi).

3 Preme qui rilevare come l’effettiva conoscenza del cliente, necessaria poi per

l’ottimale concessione del credito in suo favore, quando questi sia imprenditore strutturato

in forma societaria può essere ottenuta, al meglio, attraverso il diretto partecipare alla vita

dell’impresa, consentito dalla partecipazione di minoranza della banca nella società.

Così da poter affermare, in una visione coerente e moderna della disciplina delle

partecipazioni non finanziarie delle banche, che questa può essere considerata, nella

particolare ottica che rileva, come parte dell’insieme più generale della disciplina degli

affidamenti.

E che la partecipazione della banca al capitale dell’industria sia fortemente

caratterizzata (anche) dall’esigenza di una migliore conoscenza dell’affidato da parte della

banca e di un effettivo controllo (dall’interno) sul merito creditizio, è circostanza

significativamente confermata anche nell’àmbito delle Considerazioni finali del

Governatore della Banca d’Italia A. Fazio sull’esercizio 1993, cit., pag. 23, ove viene

incisivamente sottolineato che “per le banche, le maggiori possibilità di partecipare al

capitale delle società non finanziarie (...) favoriscono l’acquisizione di informazioni più

approfondite sui programmi di investimento ed inducono a migliorare il vaglio del merito

di credito”.

Conf., nell’impostazione, D. LUCARINI ORTOLANI, Banche e partecipazioni, cit.,

pagg. 95 segg.; ID., Le partecipazioni delle banche nelle imprese non finanziarie, in

AA.VV., La nuova disciplina dell’impresa bancaria, II, cit., pagg. 77 segg.; e v. anche F.

BELLI, Teorie creditizie e legislazione bancaria, cit., pag. 105; P. CAPALDO, L’assunzione

di partecipazioni bancarie in imprese non finanziarie: prospettive e limiti, in Banca,

impresa e soc., 1993, pagg. 178 segg.; C.A. RISTUCCIA, Il rapporto banca-industria.

Regole istituzionali e trasferimento delle informazioni, in Bancaria, 1994, pag. 28; V.

CONTI, M. MACCARINELLI e M. RATTI, La partecipazione delle banche al capitale di

rischio delle imprese, in Banca, impresa e soc., 1994, pagg. 17 segg.; V. DESARIO, Le

regole per il mercato creditizio e finanziario, in ID., Il controllo pubblico, cit., I, pagg. 277

seg.; ID., Il Testo Unico delle leggi bancarie e creditizie e il nuovo ruolo della vigilanza, in

AA.VV., La nuova legge bancaria. Commentario, cit., I, pag. 76; ID., Dalla legge bancaria

del 1936 al Testo Unico: profili operativi, in AA.VV., Il Testo Unico bancario: esperienze

e prospettive, Atti del Convegno di Roma del 6 e 7 luglio 1995, Roma, 1996, pag. 36; F.

ALMIN, Il mercato finanziario per le piccole e medie imprese e il “diritto dei mercati

regolamentati”, Milano, 1995, pagg. 59 segg..

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ed economiche del soggetto richiedente il credito4 – segnatamente: alle sue

capacità di rimborso –, sia, più in generale, in merito ai rischi connessi

all’operazione5.

E per quanto concerne la più limitata disciplina delle partecipazioni delle banche di

credito cooperativo – BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, LVIII,

Sez. IIIª, Par. 4 (ediz. giugno 1994) – v. le considerazioni di D. LUCARINI ORTOLANI,

Banche e partecipazioni, cit., pagg. 17 segg..

4 Non sempre l’istruttoria si sostanzia in un’analisi del “merito” creditizio del

singolo richiedente, valutato in relazione alle sue proprie capacità economico-patrimoniali:

si pensi, ad esempio, alle numerose convenzioni esistenti tra enti creditizi ed Ordini

professionali, ove la banca convenzionata affida, entro certi limiti e con predefinite forme

tecniche, gli iscritti ad un determinato Ordine professionale, limitandosi a verificare, in

sede di istruttoria, l’effettivo inserimento nell’Albo e senza quindi scendere ad esaminare

le condizioni personali del richiedente l’affidamento. Appare del tutto incomprensibile –

anche nella verifica pratica – l’affermazione di G. MOLLE, I contratti bancari, cit., pag.

159, nota 26, secondo il quale “la banca, di fatto, omette qualsiasi istruttoria quando la

concessione del credito si innesti in altre operazioni in corso, particolarmente nel conto

corrente bancario”. V. anche S. ALAGNA, Contratti di intermediazione, cit., pag. 42.

Nel peculiare caso del credito su pegno (e v. oggi l’art. 48, T.U.L.Banc.) è poi

evidente che tutte le indagini in questione non verranno neppure compiute, essendo il

rimborso del prestito assicurato (non già dall’analisi del soggetto affidato, bensì) dalla

stima effettuata sul bene oppegnorato. Peraltro, nel particolare rapporto del credito su

pegno, la banca, in caso di mancato rimborso, potrà soddisfarsi soltanto sul bene

oppegnorato, senza possibilità di esperire azioni esecutive sugli altri beni del prestatario

(in sostanziale deroga all’art. 2740 cod. civ.): è quindi evidente che le condizioni

economico-patrimoniali di questi non avranno rilevanza alcuna per la banca (e cfr. Trib.

Napoli, 14 maggio 1971, Banco di Napoli c. Fallimento Casati, in Banca, borsa, tit.

cred., 1971, II, pag. 448, ove è ben messa in evidenza la differenza esistente tra credito

su pegno e credito garantito da pegno). E sulla responsabilità dello stimatore – problema

che diviene allora invero centrale – nella vicenda creditizia che occupa, v. spec.: S.

GATTI, La responsabilità degli stimatori delle banche che esercitano il credito su

pegno, in Riv. dir. comm., 1996, I, pagg. 17 segg.; A. COLACE, Responsabilità dei periti

stimatori nei riflessi sull’operazione, in AA.VV., Il credito su pegno: problemi e

prospettive, Atti del Convegno di Palermo del 30 novembre - 1° dicembre 1989,

Palermo, 1991, pagg. 117 segg..

Sull’istituto in generale, cfr. oggi, per tutti, esaustivamente, la raccolta di (suoi)

scritti nel volume di S. GATTI, Il credito su pegno, Milano, 1997.

5 Per quanto concerne il particolare settore del credito al consumo (sul quale v.

infra, cap. III), contraddistinto da un rilevante numero di affidamenti per ammontare

relativamente contenuto, concessi a clienti persone fisiche, per scopi estranei alle

specifiche attività imprenditoriali o professionali eventualmente svolte, sono state

utilmente adottate delle tecniche particolari, fondate su criteri preminentemente statistici

(credit scoring; e v. A. PATARNELLO, La politica degli impieghi in prestiti delle banche,

cit., pagg. 101 segg.), attraverso le quali vengono di fatto superate le difficoltà connesse

all’attività istruttoria classica (tempi, costi, difficoltà oggettive nell’applicazione dei dati di

riferimento, ecc.).

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Non potendo poi dimenticare come le prassi operative seguite ed i

criteri d’indagine in concreto adottati per la valutazione della meritevolezza

dei clienti, finiscano per ripercuotersi inevitabilmente (e fondamentalmente)

sulla stabilità delle banche, nonché sul loro apporto in merito al più

efficiente processo di allocazione delle risorse6.

Cosciente della rilevata, fondamentale, importanza di una puntuale ed

adeguata istruttoria delle domande di fido, la Banca d’Italia è da tempo

intervenuta con proprie Istruzioni in materia7, le quali, oggi, trovano

naturalmente il loro fondamento normativo non più nell’art. 35, II comma,

lett. c, L. Banc., bensì (anche alla luce del chiaro disposto di cui all’art. 13.2

Direttiva n. 89/646/Cee del 15 dicembre 1989) nell’art. 53, I comma, lett. d,

T.U.L.Banc.

Dopo aver sottolineato la particolare importanza che riveste lo

scrutinio relativo alla meritevolezza del credito ai fini di una sana e prudente

gestione dell’impresa bancaria, le norme di vigilanza esortano le banche al

massimo impegno nello svolgimento dell’istruttoria preliminare alla

concessione degli affidamenti ed alla periodica “revisione” degli elementi

conoscitivi acquisiti ab origine, ove (rectius: quando) questa si renda

necessaria.

È così che le banche sono chiamate a realizzare strutture organizzative

interne in grado di attivare procedure idonee a garantire esaurienti istruttorie

ed adeguati controlli delle pratiche di fido; a tal fine, oltre alle classiche

cautele (visure ipocatastali; Bollettino protesti; Centrale dei rischi; ecc.),

6 Sull’istruttoria delle domande di fido v., per tutti: A. FANTECHI, Il fido bancario.

L’istruttoria delle domande e l’erogazione del credito, cit., passim; L. FILOSTO, Corso di

tecnica bancaria, cit., pagg. 243 segg.; G. FORESTIERI e B. ROSSIGNOLI, I prestiti, in

AA.VV., La gestione della banca, IIª Ediz., a cura di P. Mottura, Milano, 1986, pagg. 240

segg.; G. CASTALDI, Commento all’art. 35, II comma, lett. c, L. Banc., in Cod. comm.

della banca, cit., pagg. 446 segg.; P. CIOCCA, La valutazione dell’affidabilità della

clientela da parte delle banche: criteri e prassi operative, cit., pagg. 8 segg.; e cfr. anche

le considerazioni di F. CAPRIGLIONE, Stabilità delle strutture finanziarie e affidabilità del

prenditore di credito, cit., pagg. 236 segg.; e di S. ALAGNA, Le informazioni sulla clientela

tra dovere di riservatezza e interesse alla conoscenza delle notizie economiche, in

AA.VV., Funzione bancaria, rischio e responsabilità della banca, cit., pagg. 301 segg.; M.

MORI, La politica dei fidi nelle banche, cit., pagg. 477 seg..

Un’interessante indagine sui vantaggi (nell’allocazione del credito) connessi

all’acquisizione di una effettiva conoscenza della clientela locale nel tempo e sui paralleli

rischi derivanti da un’eccessiva permanenza in un determinato territorio di un direttore di

filiale, è stata di recente compiuta da: Giov. FERRI, Mobilità dei dirigenti ed efficenza

allocativa: banche locali e nazionali, in AA.VV., Proprietà, controllo e governo delle

banche, cit., pagg. 245 segg..

7 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXXIX, Par. 4

(ediz. ottobre 1989).

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utilizzando tutte le potenzialità degli strumenti via via disponibili (bilanci

consolidati; certificazioni; informative presso la Centrale dei bilanci8; ecc.)9.

E, molto opportunamente – contrariamente a quanto avveniva in passato,

precedentemente al 1985 – per lo svolgimento della suddetta attività non

viene oggi più prescritta l’adozione di moduli predeterminati ovvero di

schemi-tipo predisposti dalla Banca d’Italia: in quanto giustamente ritenuti

potenzialmente non rispondenti alle diverse esigenze che, tempo per tempo,

possono in concreto manifestarsi.

Peraltro, alla luce della necessità che tutti i fidi vengano decisi e

concessi dalla banca soltanto dietro espressa richiesta10, viene previsto che

tale circostanza risulti da formale documentazione, debitamente sottoscritta

dai soggetti interessati11, nella quale siano indicati l’importo, la durata e la

forma contrattuale del fido richiesto, nonché le eventuali garanzie che lo

assistono (ed in merito ai problemi connessi alla natura giuridica di tale

richiesta, v. infra, cap. III, par. 1).

Per quanto concerne i richiedenti persone fisiche, le Istruzioni esigono

poi la dichiarazione delle passività in essere alla data della domanda; mentre

per le persone giuridiche viene richiesta la produzione almeno dell’ultimo

bilancio, ovvero di una situazione contabile recente, mentre per i soggetti

dotati di autonomia patrimoniale imperfetta (società a base personale,

associazioni non riconosciute, ecc.), è lasciata alle banche la facoltà di

stabilire, caso per caso, l’opportunità di richiedere anche gli elementi

conoscitivi prescritti per le persone fisiche. E qualora poi i soggetti

richiedenti il fido appartengano ad un gruppo societario, le banche sono

8 Oltre alla “Centrale dei Bilanci - Società per gli Studi finanziari”, costituita nel

1983 per iniziativa di Banca d’Italia, A.B.I. e numerose banche italiane, e gestita dalla

Banca d’Italia, esistono altre centrali dei bilanci, che sono dirette emanazioni di istituzioni

creditizie (IMI, San Paolo di Torino, Mediobanca, Mediocredito Centrale, Federazione

delle Casse di Risparmio dell’Emilia Romagna); e v., in arg., F. VARETTO, Il sistema di

diagnosi dei rischi di insolvenza della Centrale dei bilanci, Roma, 1990; A. ALBERICI, La

centrale dei bilanci: strumento per l’autodiagnosi aziendale, Bologna, 1981; ID., L’analisi

di bilancio per i fidi bancari. Approccio metodologico per la gestione dei dati della

Centrale dei bilanci, Xª Ediz., Milano, 1997; P. GNES, La centrale dei bilanci moltiplica

le possibilità dell’analisi finanziaria, in Bancaria, 1985, (10), pagg. 25 segg.; G. DE

LAURENTIS, Il rischio di credito, cit., pagg. 64 segg..

9 Sull’esigenza di tipizzazione delle informazioni interagenti nell’àmbito della

gestione del credito, v., in particolare: P. VITALE, Informazione societaria e sistema

bancario, in AA.VV., L’informazione societaria, Atti del Convegno di Venezia del 5-7

novembre 1981, Milano, 1982, pagg. 1335 segg..

10 V. comunque le osservazioni in merito ai fidi c.d. “di sviluppo” (o “di

acquisizione”), infra, cap. III.

11 E cfr. le nostre considerazioni infra, cap. III.

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tenute a farsi rilasciare una dichiarazione12 in ordine ai collegamenti

patrimoniali, diretti ed indiretti, con le società da questi partecipate e con i

soggetti detentori di interessenze nel capitale dei richiedenti stessi; con

esplicita evidenziazione di eventuali, particolari rapporti volti a definire

fattispecie di controllo “di fatto”13.

Le norme di vigilanza impongono poi l’aggiornamento delle

informazioni ogni qualvolta vengano domandate variazioni in aumento del

fido; ma è evidente come l’aggiornamento in questione debba essere

effettuato dalla banca, nel rispetto dell’obbligo di una sana e prudente

gestione, anche in tutte le ipotesi di “rinnovo” dell’affidamento, nonché in

12 Lo schema (indicativo) predisposto dall’Organo di vigilanza è il seguente: “Il

sottoscritto ..., ai fini dell’istruttoria della domanda di concessione/rinnovo di fido

avanzata a codesto ente creditizio, dichiara di appartenere/non appartenere a gruppi

societari”.

In ipotesi di appartenenza, dovranno poi essere compilati dei quadri informativi di

dettaglio, evidenzianti: A) le società sulle quali il richiedente il fido esercita un controllo in

via diretta, di diritto, o di fatto (società partecipate con quote superiori al 50% del capitale;

società partecipate con quote di maggioranza relativa superiore al 15% del capitale; società

finanziate in misura superiore al 50% del totale delle loro attività, con esclusione dei casi

di concessione di finanziamenti connessi all’attività istituzionale del richiedente il fido (ad

esempio, società finanziarie); società nei confronti delle quali siano state rilasciate da parte

del richiedente il fido garanzie superiori al 50% delle loro passività, con esclusione delle

concessioni di garanzie connesse all’attività istituzionale del richiedente il fido (ad

esempio, società di assicurazione); società nelle quali la maggioranza dei componenti il

consiglio di amministrazione sia composta da amministratori o dirigenti del (la persona

giuridica) richiedente il fido; B) le società sulle quali il richiedente il fido esercita un

controllo in via indiretta, attraverso le fattispecie di collegamento evidenziate sub A; C) i

soggetti detentori del controllo in via diretta della società richiedente il fido, attraverso le

fattispecie di collegamento evidenziate sub A; D) i soggetti, nei limiti conosciuti, che

detengono il controllo indiretto della società richiedente il fido, attraverso le fattispecie di

collegamento evidenziate sub A; E) le società, nei limiti conosciuti, controllate in via

diretta e/o indiretta, dai soggetti di cui ai punti C e D, attraverso le fattispecie di

collegamento evidenziate sub A.

13 Le disposizioni in materia hanno all’evidenza lo scopo di fornire le banche di

uno strumento conoscitivo non soltanto necessario per il rispetto delle prescrizioni dettate

in tema di fidi a soggetti “collegati”, ma anche utile, più in generale, sotto il profilo della

concentrazione dei rischi e della stessa valutazione del merito creditizio della clientela.

Peraltro, l’esigenza di semplificazione della disciplina in questione, attraverso

interventi non pregiudicanti il perseguimento delle sopra evidenziate finalità, ha di recente

condotto ad una, seppur parziale, revisione della normativa (cfr. BANCA D’ITALIA,

Bollettino di vigilanza sulle aziende di credito, n. 114, pag. 100): attualmente, non sussiste

difatti più l’obbligo di acquisire le cennate informazioni “nei confronti delle persone

fisiche che non rivestano, per la banca erogante, la qualifica di soggetti “collegati” ai sensi

della relativa disciplina, sempreché l’ammontare delle linee di credito da accordare,

congiuntamente a quelle eventualmente già accordate, risulti inferiore a 80 milioni di lire”.

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sede di periodica “revisione” delle diverse posizioni di rischio (e v., in

punto, infra, il paragrafo seguente).

Naturalmente, quanto sopra riveste carattere assolutamente minimale,

essendo le banche tenute – pur nell’esercizio della propria autonomia

gestionale – ad acquisire ogni ulteriore elemento di informazione e di

valutazione ritenuto utile, nonché ad assumere ogni iniziativa atta a rendere

il livello di approfondimento dell’istruttoria adeguato all’entità ed al grado

di rischio connesso14.

A tutela della veridicità dei contenuti delle informazioni fornite dal

richiedente il fido, la legge (in origine: art. 95, L. Banc.; in seguito: art. 37, I

comma, decr. lgs. n. 481/1992; oggi: art. 137, I comma, T.U.L.Banc.)

prevede poi una specifica sanzione penale per lo stesso richiedente, qualora

questo “al fine di ottenere concessioni di credito per sé o per le aziende che

amministra, o di mutare le condizioni alle quali il credito venne prima

concesso, fornisce dolosamente ad una banca notizie o dati falsi sulla

costituzione o sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria delle

aziende comunque interessate alla concessione del credito”.

È il reato di “mendacio bancario”15, tipico delitto di falso a dolo

specifico – originato dall’intento di ottenere (o farsi aumentare l’ammontare

14 In realtà, oltre a quanto osservato nel testo, le banche nella fase dell’istruttoria

delle domande di affidamento, sono solite verificare – e per prima cosa – la capacità

(intesa in senso lato, cioè nel senso di “legittimo potere”) del richiedente a domandare

l’affidamento stesso.

Così, se il richiedente è persona fisica, verrà verificata la sussistenza della sua

piena capacità d’agire; se invece è persona giuridica, verranno normalmente verificati i

“poteri” del rappresentante, secondo le ben note regole comuni. In verità, la suddetta

attività di verifica più che giustificarsi, sul piano strettamente giuridico, alla luce delle

conseguenze che una domanda di fido illegittimamente presentata potrebbe comportare sul

contratto di credito (e v. infra, cap. III, passim), si comprende nell’ottica di una corretta

gestione dei rapporti con la clientela, ispirata, poi, a più generali esigenze di vigilanza e

controllo dei rischi.

15 A livello normativo, è soltanto con il d. lgs. n. 481/1992 che viene adoperata la

locuzione “mendacio bancario”, così recependo una terminologia proposta per primo, a

quanto consta, da P. NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure

concorsuali, Milano, 1955, pagg. 421 seg., ed entrata poi nel lessico corrente della dottrina

e della giurisprudenza.

Sul mendacio bancario la letteratura è vastissima; cfr. qui, senza pretesa di

completezza, almeno: R. GOLDSCHMIDT, Le disposizioni penali del r.d.l. 12 marzo 1936

per la difesa del risparmio e per la disciplina della funzione creditizia, in Riv. it. dir. pen.,

1937, I, pagg. 56 segg.; G. VASSALLI, L’art. 95 della legge bancaria. Un precetto primario

e un’incriminazione sussidiaria, in Banca, borsa, tit. cred., 1959, I, pagg. 313 segg.; E.

BATTAGLINI, Sanzioni amministrative, disciplinari e penali nella nuova legge bancaria,

cit., pagg. 18 segg.; S. COSTA, Norme penali della nuova legislazione bancaria, cit., pagg.

934 segg.; G. MOLLE, La banca nell’ordinamento giuridico italiano, cit., pagg. 566 segg.;

G. MINERVINI, Amministratori di banche pubbliche e repressione penale. Considerazioni

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del) fido bancario per sé o per le aziende amministrate – in cui la condotta

dell’agente si realizza nel fornire alla banca un’informazione falsa

(concernente direttamente la propria persona, l’azienda amministrata, od

anche quelle “comunque interessate”, e così, in ipotesi di gruppo d’imprese,

quelle facenti parte del gruppo stesso); o, parimenti, riterremmo, nel tacere

un dato negativo che potrebbe assumere significativa rilevanza per la

valutazione del merito creditizio.

Deve comunque rilevarsi come tale normativa non abbia ricevuto

significative applicazioni pratiche16: molto probabilmente a causa della

reticenza delle banche a subire quelle negative conseguenze, almeno sul

piano dell’immagine e del prestigio, che inevitabilmente avrebbero finito per

problematiche, in AA.VV., Funzione giurisdizionale ed attività bancaria, a cura del

Consiglio Superiore della Magistratura, Atti dell’Incontro di studio di Orvieto del 1º-5

dicembre 1980, Roma, 1982, pagg. 165 segg., ivi a pag. 192; I. CARACCIOLI, Reati di

mendacio e valutazioni, Milano, 1962; G. GRASSO, Truffa in danno della banca, ricorso

abusivo al credito, obblighi di denuncia o di rapporto, in AA.VV., La responsabilità

penale degli operatori bancari, cit., pagg. 85 segg.; S. SEMINARA, Le disposizioni penali

della legge bancaria, loc. cit. (spec. col. 61 segg.); (R. COSTI) e P. D’AGOSTINO, I reati

bancari, cit., pagg. 117 segg.; A. TENCATI, Tutela penale dell’esercizio del credito: il

mendacio bancario, in Riv. pen., 1985, pagg. 1049 segg.; O. CUSTODERO, Rilevanza

penale del “mendacio bancario”. Aspetti e prospettive, in Banca, borsa, tit. cred., 1986, I,

pagg. 361 segg.; P. MANGANO, Il reato di mendacio bancario, Milano, 1981; A. LANZI, La

tutela penale del credito, Padova, 1979, pagg. 154 segg.; ID., Il mendacio bancario nella

prospettiva della veridicità e trasparenza dell’informazione societaria, in Diritto

dell’economia, 1990, pagg. 623 segg.; E. SPANO, Su mendacio bancario e truffa, in

Banche e banchieri, 1982, pagg. 167 segg.; ID., False comunicazioni sociali e mendacio

bancario, idem, 1976, pagg. 634 segg.; O. PROSPERI, Lettere di patronage e mendacio

bancario, in Banca, borsa, tit. cred., 1979, I, pagg. 152 segg. (spec., pagg. 163 segg.); G.

MAZZI, Il mendacio bancario nel sistema di tutela penale del credito, idem, 1985, II, pagg.

117 segg.; ID., voce “Reati bancari”, in Enc. del dir., XXXVIII, Milano, 1987, pagg. 932

segg.; L. ALIBRANDI, I reati bancari, Milano, 1976, pagg. 33 segg.; A. FIORELLA,

Problemi attuali del diritto penale bancario, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1988, pagg. 513

segg.; F. BRICOLA, Commento all’art. 95 L. Banc., in Cod. comm. della banca, cit., pagg.

1128 segg.; E. PALOMBI, L’oggetto della tutela nel mendacio bancario, in Riv. pen.

dell’economia, 1993, pagg. 307 segg.; P. SEVERINO DI BENEDETTO, Commento all’art.

137 T.U.L.Banc., in AA.VV., Commentario al testo unico, cit., pagg. 678 segg.; L.

DONATO, Mendacio bancario e falso interno, in AA.VV., La nuova legge bancaria.

Commentario, cit., III, pagg. 2026 segg..

16 V. comunque: Pret. pen. Monza, 1º ottobre 1965, imp. Toso, in Banca, borsa,

tit. cred., 1966, II, pag. 146; Trib. pen. Monza, 6 maggio 1966, imp. Toso, ibidem, II, pag.

303; Pret. pen. Milano, 25 novembre 1983, imp. Capraro, Gross ed altri, idem, 1985, II,

pag. 117, con nota di G. MAZZI, Il mendacio bancario nel sistema di tutela, cit.; ed in

Giur. banc. (1984-1985), 5, Milano, 1987, pag. 318, con osservaz. di R. RAMPIONI; Cass.

pen. 29 aprile 1980 (ined.), che ha considerato prevalente l’art. 2621, n. 1, cod. civ.

sull’art. 95 L. Banc.

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derivare dagli echi pubblicitari di un procedimento penale coinvolgente le

stesse e magari evidenziante gravi carenze sul piano organizzativo;

specialmente poi nell’ipotesi di processi localizzati in limitati ambiti

territoriali di provincia17; ovvero, ma allora sotto diversa prospettiva, in

quelle ipotesi in cui la banca sia riuscita a “rilevare” il mendacio prima

dell’insolvenza dell’affidato, evitando così, in concreto, il danno.

Né, del resto, ed in un’ottica più strettamente economica, qualora il

danno si sia invece prodotto, appare di una qualche effettiva utilità

patrimoniale per la banca inserire, nell’àmbito di un procedimento penale,

una pretesa creditoria (molto) probabilmente destinata a scontrarsi con

l’incapacità del debitore a far fronte ai propri impegni.

A latere del mendacio bancario, il legislatore della riforma,

accogliendo appieno le istanze della dottrina e dello stesso Organo di

vigilanza18, nonché ponendosi in sintonia con le finalità comunitarie di tutela

dell’attività credititizia annettenti fondamentale rilievo strategico

all’organizzazione ed alle procedure di controllo interno delle banche19, ha

poi ampliato la tutela della (correttezza e della trasparenza della) fase

istruttoria attraverso l’introduzione di una nuova fattispecie penale, la quale,

mentre da un lato costituisce il necessario e speculare completamento di

quanto previsto per l’ipotesi di mendacio bancario, dall’altro rappresenta il

supporto normativo di un sistema di autotutela basato sull’efficacia delle

procedure di informazione e sull’efficenza dei controlli interni20: è il reato di

17 Ed in punto v. F. BRICOLA, Commento all’art. 95, cit., pag. 1129; (R. COSTI) e

P. D’AGOSTINO, I reati bancari, cit., pag. 118; e v. pure A. FIORELLA, La banca come

vittima: comportamenti fraudolenti, falso interno e prospettive di riforma, in Riv. trim. dir.

pen. econ., 1995, pagg. 1265.

18 La Banca d’Italia, in una sua Memoria del 17 ottobre 1988 sulla disciplina

penale dell’attività bancaria (in Dir. banc., 1989, II, pagg. 58 segg.), auspicò chiaramente

l’integrazione dell’allora vigente disciplina penale con specifiche fattispecie criminose

riguardanti l’attività bancaria ed, in particolare, l’introduzione di uno specifico reato,

relativo al falso bancario c.d. interno (e cfr., in partic., pagg. 63 seg.).

19 Cfr., in particolare, l’art. 13.2 della Direttiva n. 89/646/Cee del 15 dicembre

1989; la Relazione ministeriale al decr. lgs. n. 481/1992 (sub art. 37); nonché poi la

delibera C.I.C.R. 2 agosto 1996, in BANCA D’ITALIA, Testo unico bancario e

provvedimenti di attuazione, cit., pag. 243; e v. anche, puntualmente, L. DONATO,

Mendacio bancario e falso interno, cit., pagg. 2031 segg. Sulla fondamentale rilevanza dei

controlli interni, per tutti: V. DESARIO, La nuova legge bancaria e l’attività di controllo, in

ID., Il controllo pubblico, cit., I, pagg. 150 segg..

20 E cfr. ancora la Relazione ministeriale, loc. cit..

Sul distinto piano giuslavoristico, appare poi significativo rilevare come

l’inosservanza, da parte del funzionario della banca, delle regole dettate dalla banca stessa

per la concessione e la gestione degli affidamenti, sia stata sovente configurata come

giustificato motivo di licenziamento; cfr. in tal senso, ad esempio: Pret. Milano, 14

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“falso interno” (art. 37, II comma, decr. lgs. n. 481/1992; oggi: art. 137, II

comma, T.U.L.Banc.).

Tale reato si concreta nella condotta di chi, svolgendo funzioni di

amministrazione o di direzione in una banca, ovvero essendo dipendente di

questa, “al fine di concedere o far concedere credito, ovvero di mutare le

condizioni alle quali il credito venne prima concesso, ovvero di evitare la

revoca del credito concesso, consapevolmente omette di segnalare dati o

notizie di cui è a conoscenza o utilizza nella fase istruttoria notizie o dati

falsi sulla costituzione o sulla situazione economica, patrimoniale e

finanziaria del richiedente il fido”.

Si tratta all’evidenza di una figura che, come anche ben sottolineato

dalla Relazione al decr. lgs. n. 481/92, anticipa la tutela penale fornita dalle

fattispecie di appropriazione indebita e di concorso in truffa, sanzionando il

comportamento di chi, all’interno della banca, consapevolmente ometta di

segnalare dati o notizie di cui è a conoscenza, ovvero utilizzi false

informazioni, nell’intento di distorcere o comunque manipolare la

valutazione del merito creditizio21.

In buona sostanza, come anche di recente puntualmente rilevato, il

comportamento sanzionato è quindi quello posto in essere dall’operatore

bancario che “per giustificare una concessione di credito (od una mancata

revoca), utilizzi informazioni false negli atti istruttori che accompagnano (e

formalizzano) le decisioni assunte; ciò per occultare la reale configurazione

dell’operazione (e del rischio fatto assumere alla banca) agli organi di

controllo interni che, nell’immediato od in una fase successiva,

procederanno a verificare la scelta operata e l’andamento dell’esposizione”

(corsivo nostro)22; sicché la condotta del falso, per l’appunto “interno”, si

maggio1987, Giuliani c. The Hong-Kong and Shangai Banking, in Orient. giur. lav.,

1987, pag. 743; Cass. 7 marzo 1987, n. 2433, Monte dei Paschi di Siena c. Savia, in

Notiziario giurisprudenza lav., 1987, pag. 788; Pret. Napoli, 31 maggio 1993, Trezza c.

Banca Popolare di Napoli, idem, 1993, pag. 567; Pret. Milano, 29 marzo 1993, Farioli c.

Banca di Roma, idem, 1993, pag. 265; Cass. 13 gennaio 1988, n. 161, cit..

21 Nella realtà pratica, in effetti, come insegna anche la concreta esperienza delle

ispezioni di vigilanza e delle crisi bancarie, difficilmente il mendacio può dirsi di esclusiva

provenienza “esterna” alla banca; assai spesso risultando perlomeno “connesso” all’attività

concorrente dei funzionari interni all’ente, i quali, se non collaborano direttamente, di

certo “suggeriscono” il comportamento al cliente, al fine di potergli concedere, aumentare,

o mantenere in essere il fido; con ciò, peraltro, potendo configurarsi fattispecie non

lontane dall’abusiva concessione del credito di cui verrà detto nel prossimo capitolo.

22 L. DONATO, Mendacio bancario e falso interno, cit., pag. 2035, ove anche

interessanti ed ulteriori considerazioni in merito alle possibili connessioni tra la disciplina

di cui all’art. 137 T.U.L.Banc. e quella di recente introdotta con la legge 23 dicembre

1993, n. 547 (Modificazioni ed integrazioni alle norme del codice penale e di procedura

penale in tema di criminalità informatica).

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sostanzia proprio nell’attività di manipolazione del complesso procedimento

istruttorio richiesto all’impresa bancaria in merito alla valutazione del

rischio.

La nuova previsione normativa consente così di superare i limiti insiti

nella disciplina del reato di mendacio bancario, per effetto della

sanzionabilità dell’attività di non informazione, o di distorto utilizzo di dati

falsi, posta in essere da quei soggetti che concedono (o inducono a

concedere, in sede di proposta) un affidamento non meritato; in particolare,

dell’attività posta in essere dai soggetti cui è riservata la competenza nella

fase istruttoria e/o decisionale; così come consente di “garantire che la tutela

penale si attesti già a livello di pericolo nella trasparenza e veridicità delle

motivazioni adottate dagli operatori bancari per la valutazione del merito

creditizio”23, salvo poi concorrere con altre fattispecie comuni aggravate,

quali, in concreto, quella di concorso in truffa a danno della banca24.

E, prima di concludere sull’argomento, si impone un’ultima

riflessione; dettata proprio dalla precisa formulazione normativa del nuovo

reato di falso interno.

Nella vigenza dell’art. 95, L. Banc. non vi era concordia tra gli

interpreti in merito al problema se la fattispecie penale del mendacio

bancario dovesse considerarsi limitata alle ipotesi di false dichiarazioni

compiute dal richiedente al momento della domanda di fido (o di aumento

E v. pure P. SEVERINO DI BENEDETTO, Il diritto penale delle banche, in AA.VV.,

Problemi attuali del diritto penale dell’impresa, a cura di G. Insolera e R. Acquaroli,

Ancona, 1997, pag. 125, la quale scorge, nella norma de qua, una limitazione applicativa

della fattispecie alla sola fase istruttoria (e non anche a quella deliberativa, in sede di

consiglio o di comitato); limitazione che però, a nostro avviso, non sussiste, apparendo la

disposizione chiara nel senso della ricomprensione, nella fattispecie del falso interno, di

tutti i possibili soggetti: amministratori (deliberanti) e dipendenti (allora proponenti o

deliberanti).

23 Così, puntualmente, F. BRICOLA, Commento all’art. 95, cit., pag. 1137.

24 Sui rapporti tra il mendacio bancario ed i delitti di truffa (art. 640 cod. pen.,

soprattutto nella sua forma “tentata”), falso (artt. 495 cod. pen. e 2621, n. 1, cod. civ.),

insolvenza fraudolenta (art. 641 cod. pen.), ricorso abusivo al credito (art. 218, legge

fall.), nonché tra il mendacio e l’illecita captazione di sovvenzioni all’impresa, v.,

principalmente: G. GRASSO, Truffa in danno della banca, ricorso abusivo al credito, cit.,

pagg. 101 segg.; G. MOLLE, La banca nell’ordinamento giuridico italiano, cit., pagg. 570

segg.; F. BRICOLA, Commento all’art. 95, cit., pagg. 1131 segg.; (R. COSTI) e P.

D’AGOSTINO, I reati bancari, cit., pagg. 128 seg.; P. MANGANO, Il reato di mendacio

bancario, cit., pagg. 81 segg.; P. NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento, loc. cit.; A.

LANZI, La tutela penale del credito, cit., pagg. 156 segg.; O. CUSTODERO, Rilevanza

penale, cit., pagg. 372 segg.; F. CASTIELLO, Gli illeciti bancari nel nuovo t.u. sul credito,

cit..

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dello stesso), ovvero potesse estendersi anche alle ipotesi di omessa25

segnalazione di fatti significativi accaduti successivamente26.

A fianco delle opposte opinioni, vi era poi chi enucleava, tra le

omissioni dolose successive all’originaria concessione del fido, quelle in

particolare compiute in occasione del “rinnovo” dell’affidamento,

riconoscendo poi soltanto a queste ultime rilevanza penale27.

Ora, senza poterci qui addentrare nello specifico dibattito28, possiamo

sottolineare come, mentre la formulazione novellata del reato di mendacio

bancario non si discosta praticamente in nulla da quella originaria, contenuta

nell’art. 95 L. Banc., restando l’estensione del limite di operatività della

norma limitata alle due fattispecie di concessione del fido e di mutamento

(in aumento) dello stesso, nella configurazione normativa del reato di falso

interno, accanto a tali due fattispecie, viene contemplata espressamente

anche quella in cui l’esponente bancario omette consapevolmente di

segnalare, ovvero utilizza, dati o notizie “al fine di evitare la revoca del

credito concesso”.

Acquistano così sicuro rilievo, per la configurabilità del falso interno,

anche comportamenti omissivi successivi alla concessione del fido (ed

indipendenti dalle fasi di “rinnovo” o di “revisione” del rapporto); in

particolare, tra gli altri, e tipicamente: ogni consapevole omessa

segnalazione (ad un organo sovraordinato) di dati o notizie che, se

conosciuti, condurrebbero (rectius: potrebbero condurre) alla revoca (in

qualsiasi momento) dell’affidamento (da parte dell’organo destinatario della

segnalazione)29.

25 Per la rilevanza penale, nella fattispecie che rileva, anche dei comportamenti

omissivi, cfr., per tutti, G. MOLLE, La banca nell’ordinamento giuridico, cit., pagg. 568

seg.; (R. COSTI) e P. D’AGOSTINO, I reati bancari, cit.,pagg. 124 seg., ove ulteriori

riferimenti.

26 I termini della questione sono sintetizzati in: (R. COSTI) e P. D’AGOSTINO, I reati

bancari, cit., pagg. 125 segg., ove ogni riferimento.

27 Cfr., ad esempio, L. ALIBRANDI, I reati bancari, cit., pagg. 43 seg..

28 Dobbiamo però dichiarare la nostra convinta propensione per la tesi intermedia,

che concede rilevanza penale alle omissioni dell’affidato in sede di “rinnovo”

dell’affidamento (posta la sostanziale equiparabilità tra il momento dell’originaria

decisione di concedere fido e quello del suo rinnovo), omissioni alle quali andranno

peraltro coerentemente aggiunte anche quelle eventualmente compiute dall’affidato nel

momento della “revisione” del fido.

29 Sulla rilevanza, sui limiti e sulle modalità esecutive della condotta omissiva

“consapevole”, v. G. CIANCIA, Brevi considerazioni sul falso interno bancario, in Temi

romana, 1994, pagg. 702 segg.; v. anche I. CARACCIOLI, Il falso interno, in AA.VV.,

Diritto penale e attività bancaria, a cura di G. Marini, Padova, 1994, pagg. 51 segg..

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E quanto appena osservato dovrebbe portare a concludere che il

legislatore della riforma abbia voluto escludere la possibilità di configurare

il reato di medacio in ipotesi di comportamenti omissivi posti in essere dai

clienti successivamente alla concessione del fido30, limitando così la

rilevanza delle omissioni in questione ai soli esponenti bancari31. Il che ci

pare suoni chiaramente a conferma del sempre più marcato rilievo che viene

riconosciuto ad un’attività di controllo costante degli affidamenti;

prospettandosi così, almeno in proiezione ideale, un abbandono dell’attuale

sistema delle “revisioni” periodiche, sistema che, a ben vedere, conferma –

di per sé – il non-controllo del rischio per (troppo) lunghi periodi.

12. La documentazione degli affidamenti.

Nell’odierno sistema bancario, la documentazione degli affidamenti si

fonda essenzialmente su due distinti strumenti: il “libro dei fidi” e lo

“schedario nominativo dei rischi”.

Il primo, originariamente previsto come libro obbligatorio dall’art. 37,

L. Banc.1, trova oggi, per effetto dell’abrogazione dello stesso art. 37 ad

opera (già) dell’art. 49, decr. lgs. n. 481/1992 (e al pari quindi dello

schedario nominativo dei rischi) la sua fonte normativa soltanto nelle

Istruzioni di vigilanza, emanate nell’àmbito degli ampi poteri di vigilanza

30 Con l’eccezione, come appena rilevato, dei comportamenti omissivi

dell’affidato posti in essere in sede di (richiesta di) “rinnovo” dell’affidamento, ovvero in

sede di “revisione” periodica del rapporto.

31 La scelta legislativa – punitiva (durante lo svolgersi del rapporto creditizio)

dell’omissione del solo soggetto interno alla banca – convince senz’altro; dando, ci

sembra, il più giusto rilievo all’attività di controllo sul merito creditizio dell’affidato,

svolta istituzionalmente dal soggetto interno alla banca nell’interesse della stessa (e v.

anche infra nel testo). E cfr. le articolate e corrette considerazioni di P. SEVERINO DI

BENEDETTO, Commento all’art. 137, cit., pagg. 679 segg.; I. CARACCIOLI, Il falso interno,

loc. cit..

1 Secondo l’abrogato art. 37 L. Banc. era “fatto obbligo alle aziende di credito di

tenere un libro aggiornato nel quale siano trascritte, ai sensi delle istruzioni da darsi dalla

Banca d’Italia, le concessioni di fido. Per ogni fido debbono essere indicati i nomi dei

funzionari che lo propongono” (secondo comma); libro al quale poi dovevano applicarsi

“le disposizioni degli articoli 23 e 25 del codice di commercio (poi: artt. 2215, 2216 e

2219 cod. civ.)” (quarto comma). L’obligatorietà del libro fidi era poi stata prescritta

anche per gli istituti e le sezioni di credito speciale dall’art. 14, legge 10 febbraio 1981, n.

23.

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regolamentare riconosciuti alla Banca d’Italia dall’art. 53, I comma, lett. d,

T.U.L.Banc.2.

Per quanto concerne la disciplina del libro – la cui istituzione deve

essere ricondotta3 alla volontà di imporre alle banche l’adozione di un

particolare strumento di controllo del rispetto delle competenze nelle

procedure interne previste in materia di erogazione del credito; strumento

che, anche alla luce della prescrizione dell’indicazione dei proponenti il fido,

assicurasse, sotto altro profilo, la diligenza di questi ultimi4 –, si deve subito

sottolineare come oggetto delle annotazioni siano le “concessioni di fido”,

cioè gli atti deliberativi, interni all’ente, attraverso i quali viene deciso dagli

organi competenti di accordare un fido ad un determinato soggetto.

È quindi l’atto organizzativo di concessione che rileva (in sé), non già

il successivo rapporto contrattuale di attuazione (o, se si preferisce, di

esecuzione) dell’atto stesso. Né d’altro verso, la mancata annotazione nel

libro dell’atto di concessione di un fido, può in qualche modo incidere sulle

vicende del susseguente rapporto negoziale, posta la più volte rimarcata

indipendenza dei due momenti, ed essendo poi il libro fidi richiesto soltanto

per mere finalità di vigilanza e di controllo5.

La scelta, già presente nella Legge bancaria e poi confermata

dall’Organo di vigilanza, di riferire l’obbligo dell’annotazione al momento

deliberativo interno anziché a quello contrattuale esterno (quest’ultimo

2 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXXIX, Par. 6

e 7 (ediz. dicembre 1990); come “integrate” dalla Lettera-Circolare n. 6566 del 10

gennaio 1995.

3 E cfr., in merito, i puntuali rilievi di G. CASTALDI, Commento all’art. 37 L.

Banc., in Cod. comm. della banca, cit., pagg. 480 segg., ivi, a pag. 485.

4 Rileva peraltro G. CASTALDI, Commento all’art. 37, cit., pag. 485, come nelle

intenzioni del legislatore fossero “presenti anche altre finalità: negli atti parlamentari

relativi alla legge bancaria si legge, infatti, che “l’istituzione di questo libro dei fidi è

anche giustificata con gli obblighi di cui alla lett. d dell’art. 32 (ripartizione dei fidi

secondo le varie branche di attività economica)” e che “esso deve servire inoltre da

strumento per l’accertamento di eventuali fidi multipli” (cfr. Relazione della Giunta

generale del Bilancio alla Camera dei Deputati sul disegno di legge di conversione del

r.d.l.n. 375/1936, A.P., XXIX Legislatura, Camera dei Deputati, n. 1137/A, presentata alla

Presidenza il 19 maggio 1936, pag. 12)”. Il che, oggi, appare di fatto superato dai moderni

strumenti di controllo e dall’operatività della Centrale dei rischi.

5 In senso conforme, espressamente e chiaramente, cfr. Cass. 9 settembre 1978, n.

4092, cit.; nonché, più di recente, Cass. 5 dicembre 1992, n. 12947, Banca Nazionale del

Lavoro c. Fallimento Azienda Lavorazione Metalmeccanica Apuana s.p.a., in Giur. it.,

1993, I, 1, col. 1450, in Foro it., 1994, I, col. 1127, con note di D. REGOLI e A. BRUNELLI,

ed in Fallimento, 1993, pag. 587, con nota, adesiva in punto, di Gio. TARZIA, Revocatoria

fallimentare e prova del contratto di apertura di credito.

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anche più indicativo in una concreta prospettiva di rilevazione del rischio: e

cfr. il distinguo ai fini della segnalazione presso la Centrale dei rischi tra

“accordato” e “accordato operativo”, retro, par. 10), appare del resto dettata

dall’esigenza di ancorare l’annotazione ad un momento definito (la data

della delibera), posta sovente, come vedremo anche in prosieguo (infra cap.

III), l’oggettiva difficoltà di individuare con certezza il momento

perfezionativo dell’accordo contrattuale banca-affidato.

E per quanto poi concerne l’oggetto dell’iscrizione, le Istruzioni

hanno cura di precisare come nel libro debbano essere registrate tutte

indistintamente6 le operazioni di fido (nuovi affidamenti, rinnovi, extrafidi,

ecc.), ivi comprese quelle deliberate, nell’esercizio di propri autonomi poteri

in materia di erogazione del credito, da coloro ai quali i poteri stessi sono

attribuiti dagli ordinamenti interni (direttori e vice direttori generali; preposti

alla dipendenze; ecc.), ed indipendentemente poi dalle caratteristiche del

beneficiario, dall’ammontare del credito, dalla forma tecnica in cui siano

state poste in essere e dalle garanzie eventualmente presenti7.

Da quanto appena rilevato, emerge l’uso – nell’àmbito delle Istruzioni

– delle locuzioni operazioni di fido (comprensive, si specifica, dei “nuovi

affidamenti”; dei “rinnovi”; degli “sconfinamenti”, per quest’ultimi

dovendosi peraltro intendere gli “extrafidi”: e v. infra, in nota) ed

affidamenti (nelle loro individuate tipologie di affidamenti “diretti”, sia “per

cassa” che “di firma” ed “indiretti”) in senso sostanzialmente sinonimico.

Ciò non impedisce comunque di chiarire – anche con l’ausilio di criteri

ermeneutici dettati dallo stesso Organo di vigilanza8 – come oggetto

dell’annotazione siano tutti gli atti di concessione di: a) fido diretto, cioè di

fido concesso direttamente al cliente (è qui il rapporto banca-cliente ad

6 Si ricordi, peraltro, che già l’originaria versione dell’art. 37 (fondata sul r.d.l. 12

marzo 1936, n. 375 e precedente, quindi, al r.d.l. 17 luglio 1937, n. 1400) prevedeva che

nel libro fidi fossero registrate “tutte le concessioni di fido comunque autorizzate dagli

organi competenti”.

7 E va qui anche ricordato come risulti del tutto abolita quella (un tempo esistente)

dispensa dalla registrazione per i c.d. “piccoli fidi”, per i fidi, cioè, accordati per importi

modesti (in rapporto al tipo di ente creditizio ed ai suoi mezzi patrimoniali). La Banca

d’Italia, sensibile alle lamentele del ceto bancario susseguenti all’eliminazione delle soglie

di franchigia per le annotazioni nel libro fidi, ha tuttavia consentito di procedere alla

registrazione delle “delibere generali” con cui vengono delegati i poteri di concessione di

fidi limitati in virtù di convenzioni agevolative o simili (e cfr. la Comunicazione del 20

marzo 1986, cit. alla nota successiva).

8 E v. la Comunicazione del 20 marzo 1986 della Banca d’Italia, diretta all’A.B.I.

(in risposta alla sua Lettera del 16 dicembre 1985) ed allegata alla Circolare A.B.I. del 15

aprile 1986.

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assumere rilevanza ai fini dell’annotazione), “per cassa”, ovvero “di firma”9;

b) fido indiretto, cioè il fido concesso al garante del cliente con

l’accoglimento della garanzia prestata (è qui il rapporto banca-garante ad

assumere rilevanza ai fini dell’annotazione)10; e che, oltre ai “nuovi

affidamenti”, cioè a quelli concessi per la prima volta, devono essere

annotati anche i “rinnovi”, cioè i fidi che, una volta scaduti od in scadenza,

vengono nuovamente accordati, anche per importi identici od inferiori11;

nonché gli “sconfinamenti” (rectius: gli extrafidi)12: dovendosi intendere,

per tali, non gli atti di utilizzo eccedenti il limite di fido accordato, bensì

9 Ricordiamo come, nell’accezione comunemente accolta, per fido diretto “per

cassa” si intenda l’affidamento che si sostanzia in un rapporto implicante erogazione di

denaro da parte della banca al cliente affidato; mentre per fido diretto “di firma” si intenda

l’affidamento in cui la banca assume, per conto del cliente affidato, un impegno verso

terzi, rilasciando quindi una propria garanzia personale.

10 Nella citata Comunicazione 20 marzo 1986 diretta all’A.B.I., la Banca d’Italia

chiarisce, relativamente ai fidi indiretti, che “ogni affidamento indiretto per garanzie

personali ricevute va autonomamente registrato sul libro fidi. (...) Relativamente a quei

rapporti con la clientela che si sostanziano in un unico affidamento indiretto, ove le

aziende ne abbiano convenienza, alla relativa registrazione può farsi luogo in uno con

quella del fido diretto cui la garanzia ricevuta accede; ulteriori affidamenti deliberati in

favore del prestatore della garanzia, vanno registrati sul libro fidi tenendo conto dei fidi già

in essere ai fini dell’indicazione dell’ammontare complessivo delle linee di credito

accordate e del relativo utilizzo”.

11 Per i fidi c.d. “a revoca” è sufficiente la registrazione effettuata all’atto

dell’iniziale concessione di credito: cfr. la Comunicazione della Banca d’Italia alla nota

precedente. Non sono pertanto da registrare le c.d. revisioni “interne”, cioè le conferme di

affidamenti a revoca che intervengono periodicamente a seguito degli aggiornamenti delle

posizioni di rischio (e v. infra, nel testo).

12 Ancor oggi le Istruzioni generali di vigilanza adoperano il termine

“sconfinamento” per esprimere una tipologia di affidamento che in realtà dovrebbe

definirsi “extrafido”. Esatta, invece, la terminologia adoperata dalle Istruzioni

specificamente emanate per la Centrale dei rischi, nell’àmbito delle quali con il termine

“sconfinamento” viene correttamente intesa la “differenza positiva tra l’utilizzato di una

linea di credito ed il relativo accordato operativo” (BANCA D’ITALIA, Istruzioni per la

Centrale dei rischi, cit., Glossario, pag. 9, sub voce Sconfinamento); esatta poi anche la

terminologia adoperata da BANCA D’ITALIA, Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo

globale medio ai sensi della legge sull’usura, Sez. I, Par. B1 (ediz. settembre 1996).

E non sarà superfluo ricordare come tale fenomeno abbia ormai raggiunto

dimensioni ragguardevoli, soprattutto nel Mezzogiorno: dai dati Banca d’Italia risulta che

al 30 giugno 1995 gli sconfinamenti censiti su base nazionale dalla Centrale dei rischi

ammontavano a circa 70 mila miliardi (otto per cento degli impieghi segnalati); per altri

dati ed osservazioni in punto, v. G. BERIONNE, Antiriciclaggio: un modo di ragionare, un

modo di lavorare, Quaderno dell’Istituto di Scienze Economiche e Statistiche - Univ.

Statale di Milano, n. 7, Milano, 1996, pagg 17 segg..

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quei (veri e propri) fidi concessi – in aumento di precedenti – da un

(competente) organo della banca, diverso da quello (a sua volta competente)

che aveva originariamente accordato l’affidamento iniziale, e per periodi di

tempo normalmente limitati13.

In merito a ciò, l’Organo di vigilanza ha poi precisato che debbono

anche essere registrate le delibere che comportino “variazioni” del fido

accordato, specificando che l’obbligo di annotazione “in tanto sussiste in

quanto formino oggetto di variazioni elementi contrattuali a loro volta

presenti nel libro in base alle prescrizioni contenute nelle Istruzioni di

vigilanza o in base alle più dettagliate indicazioni che ciascun ente intende

eventualmente annotare (ad esempio: forma tecnica del fido)”14. Con

l’ulteriore precisazione che l’obbligo di registrazione non sussiste per le c.d.

“revisioni” interne dei fidi, cui periodicamente le aziende di credito

sottopongono le posizioni dei clienti affidati; a meno che, naturalmente, in

occasione della revisione, non venga deliberata una modifica dei fidi già in

essere.

Vale peraltro qui sottolineare la circostanza – già puntualmente

rilevata dalla dottrina15 – che la banca non è tenuta ad annotare, nel libro

fidi, le vicende relative all’estinzione dell’affidamento: così la morte o

l’incapacità dell’affidato persona fisica, oppure il fallimento o l’estinzione

dell’affidato impresa o soggetto collettivo; ovvero la rinuncia al fido da

13 Nella citata Lettera dell’A.B.I. del 16 dicembre 1985 viene giustamente

evidenziata “la difficoltà di individuare una definizione quantitativa e temporale della

nozione di sconfinamento ai fini in discorso. Laddove infatti si assumessero come tali i

temporanei utilizzi esuberanti rispetto all’accordato, si giungerebbe al paradosso di dover

registrare sconfinamenti non autorizzati dall’organo competente ma con la richiesta della

firma di un funzionario all’uopo delegato che rischierebbe di avere il sapore di una ratifica

rispetto ad una delega mai concessa”.

Chiara, al riguardo, la citata risposta della Banca d’Italia: “devono formare oggetto

di registrazione tutte le decisioni con le quali gli organi aziendali di volta in volta

competenti – nell’àmbito dei poteri a ciascuno di essi delegati sia in via generale, sia con

riferimento a posizioni specificatamente individuate – conferiscono ai clienti una

maggiore capacità di indebitamento. La relativa annotazione va effettuata con riferimento

al momento in cui l’organo competente, avvalendosi delle facoltà attribuitegli, decide

l’aumento del fido (...). Qualora particolari condizioni organizzative o modalità di tenuta

del libro – da valutarsi da parte dei responsabili organi aziendali – non consentissero

l’adozione di siffatta procedura di registrazione, l’adempimento può considerarsi

soddisfatto anche registrando sul libro fidi le delibere con le quali vengono delegati poteri

in materia di concessione del credito, in via generale, ovvero con riferimento a specifiche

posizioni”.

14 Così la citata Comunicazione della Banca d’Italia del 20 marzo 1986.

15 Cfr. G.C.M. RIVOLTA, Documentazione e prova degli affidamenti, cit., pag. 356.

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parte del cliente; od ancora – e tipicamente – la revoca del fido da parte della

banca.

Tale lacuna, comunque, appare colmata attraverso l’istituzione dello

schedario nominativo dei rischi, della cui disciplina si dirà tra breve.

Per quanto concerne ora gli aspetti prettamente esecutivi della tenuta

del libro, la normativa in vigore richiede innanzitutto che questa avvenga

“preferibilmente a livello accentrato”; pur ammettendo poi l’esistenza di più

libri qualora lo richiedano “particolari esigenze operative”, con

formulazione peraltro che ci sembra possa creare non pochi problemi,

almeno nell’identificazione dei criteri per l’applicazione della particolare

deroga. Problemi che – nonostante la differente opinione espressa dalla

stessa Banca d’Italia16 – sembrerebbero potersi risolvere esclusivamente

sulla base di principî in virtù dei quali appare possibile la contemporanea

tenuta di più libri soltanto in presenza di articolazioni imprenditoriali

oggettivamente differenziate17; per l’impresa bancaria: sezioni, sedi, filiali,

rappresentanze, succursali, agenzie, sportelli, dipendenze, uffici, recapiti18.

In secondo luogo, il libro dei fidi – per effetto dell’abrogazione

dell’art. 37 L. Banc. che ne sanciva l’obbligatorietà – non dovrà più essere

tenuto dalla banca con le modalità prescritte dal codice civile per i libri

16 Cfr., la citata Comunicazione della Banca d’Italia del 20 marzo 1986. Contra, e

nel senso del testo: G.C.M. RIVOLTA, Documentazione e prova degli affidamenti, cit.,

pagg. 354 seg..

17 Cfr., per tutti: A. NIGRO, Imprese commerciali e imprese soggette a

registrazione: fattispecie e statuti, Torino, 1983, pagg. 96 seg.; V. PANUCCIO, La natura

giuridica delle registrazioni contabili, Napoli, 1964, pag. 92.

18 Sulle “articolazioni” bancarie, cfr., per tutti: G. OPPO, Sulla “autonomia” delle

sezioni di credito speciale, in Banca, borsa, tit. cred., 1979, I, pagg. 1 segg., nonché oggi

in ID., Scritti giuridici, IV, Banca e titoli di credito, Padova, 1992, pagg. 26 segg.; Ant.

PIRAS, Gli stabilimenti bancari nella dinamica dei rapporti d’impresa, Milano, 1975;

C.M. PRATIS, Sulla cosidetta autonomia delle filiali di aziende di credito, in Banca, borsa,

tit. cred., 1959, II, pagg. 363 segg.; A.A. DOLMETTA e S. PATRIARCA, voce “Filiale

bancaria”, in Digesto delle disc. priv., Sez. Comm., VI, Torino, 1991, pagg. 120 segg.; F.

VELLA, Le succursali di banche estere in Italia, cit., passim; G.B. PORTALE, Le

“succursali” di banche estere, cit., passim; M. PORZIO, L’ambito di affari della filiale di

azienda di credito e la sua rilevanza giuridica, in Banca, borsa, tit. cred., 1968, I, pagg.

312 segg.; N. SALANITRO, Le banche e i contratti bancari, cit., pagg. 104 segg.; ed anche,

nell’ottica aziendalistica, C. DABRASSI, L’articolazione territoriale delle aziende di

credito, Milano, 1987; A. ARIENTI, Aspetti dell’articolazione territoriale delle aziende di

credito, Milano, 1960; nonché, ma su di un piano generale, il fondamentale studio di P.

MASI, Articolazioni dell’iniziativa economica e unità dell’imputazione giuridica, Napoli,

1985.

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obbligatori (artt. 2214 e segg.)19. E così non dovrà più, prima dell’uso, essere

numerato e bollato; così come le delibere di concessione del fido non

dovranno più annotarsi “giornalmente”20, né troveranno più applicazione le

puntuali disposizioni di cui all’art. 2219 cod. civ. sull’ordinata tenuta della

contabilità21.

Per quanto concerne infine la singola annotazione, le Istruzioni

richiedono, quale contenuto minimo della stessa, almeno la menzione: della

data dell’atto di concessione; del nome del beneficiario e del suo codice

anagrafico nello schedario nominativo dei rischi; dell’ammontare del fido

deliberato; dell’ammontare complessivo dei fidi accordati allo stesso

19 E cfr. espressamente, in punto, BANCA D’ITALIA, Lettera-Circolare n. 6566 del

10 gennaio 1995, cit..

Sull’irrilevanza dell’annotazione nel libro fidi, ai fini della prova della concessione

dell’affidamento e della sussistenza di un rapporto contrattuale di credito (anche poi nella

prospettiva dell’esperibilità dell’azione revocatoria fallimentare), v. in giurisprudenza, tra

le molte, spec.: Cass. 23 giugno 1994, n. 6031, Banca Toscana c. Fallimento Vannucci, in

Giur. it., 1995, I, 1, col. 1059; Cass. 7 novembre 1996, n. 9727, Fallimento SCR s.r.l. c.

Istituto Bancario San Paolo di Torino, in Vita not., 1996, pag. 1351; Cass. 24 giugno 1995,

n. 7163, Cassa di Risparmio di Cuneo c. Fallimento Fidiborsa, inedita; Cass. 5 dicembre

1992, n. 12947, cit.; App. Napoli, 9 giugno 1994, Fallimento Merolla c. Banca Prov.

Napoli, in Dir. e giur., 1994, pag. 344; Trib. Milano, 7 marzo 1994, Fallimento Ital

Discount Leasing c. Banca Popolare Veneta, in Fallimento, 1994, pag. 1283; Trib. Milano,

9 luglio 1987, Fallimento Vita Mayer c. Banco di Sicilia, in Dir. fall., 1988, II, pag. 484;

App. Firenze, 20 ottobre 1990, Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia c. Fallimento

R.S.D., in Foro it., 1994, I, col. 1128, con note di D. REGOLI e A. BRUNELLI. Contra,

tuttavia: Trib. Napoli, 4 giugno 1991, Fallimento Merolla c. Banca Prov. Napoli, in Dir. e

giur., 1994, pag. 344; Trib. Milano, 14 aprile 1986, I.Pla.Ve s.p.a. in amministrazione

straordinaria c. Credito Varesino, in Banca, borsa, tit. cred., 1987, II, pag. 405.

E v. anche, per diversi profili probatori del libro fidi: App. Milano, 19 luglio 1988,

Banca Cesare Ponti c. Fallimento Siderurgica Duina, in Banca, borsa, tit. cred., 1989, II,

pag. 325; App. Brescia, 4 novembre 1991, Mediocredito Lombardo c. Fallimento

Immobiliare Olimpo s.p.a., idem, 1992, II, pag. 559; App. Milano, 29 ottobre 1985, Banca

Commerciale Italiana c. Fallimento Finmedica, idem, 1987; II, pag. 320; App. Milano, 4

ottobre 1983, Banca Commerciale Italiana c. Fallimento Faema s.p.a., in Fallimento, 1984,

pag. 479; App. Milano, 7 aprile 1981, Banca Credito Agrario Bresciano c. Fallimento

Faema s.p.a., in Banca, borsa, tit. cred., 1982, II, pag. 55.

In dottrina, seppur nella vigenza dell’abrogato art. 37, L. Banc., cfr. M. ARATO,

Operazioni bancarie in conto corrente e revocatoria fallimentare delle rimesse, Milano,

1991, pagg. 233 segg..

20 Ai sensi dell’art. 2216 cod. civ., norma corrispondente, nella sostanza, all’art. 25

cod. comm., prima parte, il quale, si ricorda, era richiamato dall’abrogato art. 37, IV

comma, L. Banc.; e cfr. anche lo stesso art. 37, che parlava di tenuta “aggiornata”.

21 Ai sensi dell’art. 2219 cod. civ. (norma corrispondente, nella sostanza, all’art. 25

cod. comm., il quale, si ricorda, era richiamato dall’abrogato art. 37, IV comma, L. Banc.).

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nominativo, con il relativo utilizzo; del nome del funzionario proponente22;

nonché dell’organo o del soggetto deliberante.

La normativa di vigilanza, non essendo più il libro in questione libro

“obbligatorio”, e fermo restando quanto sopra in ordine ai contenuti dello

stesso, considera soddisfatto il dovere di tenuta anche nel caso in cui “tutte

le informazioni ad esso relative siano contenute in altri libri aziendali, anche

di carattere interno (ad esempio: libro dei verbali delle riunioni degli organi

deliberativi)”, ovviamente, oggi, anche se non tenuti secondo le regole

prescritte dal codice civile per i libri obbligatori23.

Tale soluzione, pur giustificata sul piano normativo dall’abrogazione

del più volte citato art. 37, potrebbe comunque rappresentare soluzione in

concreto frustrante le precise finalità di controllo degli affidamenti sottese al

dovere di tenuta del libro de quo; posta l’oggettiva difficoltà di ricavare gli

elementi rilevanti da una serie di dati disaggregati contenuti in una pluralità

di libri od archivi tra loro alquanto disomogenei24.

Come osservato in precedenza, oltre al libro dei fidi, impostato con

criteri di ordine sostanzialmente cronologico, le banche sono tenute ad

istituire uno speciale strumento di controllo interno, impostato questa volta

su base nominativa: lo schedario nominativo dei rischi (detto anche “libro

dei rischi”)25.

22 La qualifica di proponente le operazioni di fido, qualora non esistano funzionari

aventi il compito specifico di formulare proposte in materia, dovrà attribuirsi al

funzionario (od ai funzionari, od al capo ufficio) incaricato di istruire le domande di fido e

di esprimere su di esse, anche solo in via consultiva, il proprio parere, per portare poi la

pratica all’esame di un organo deliberativo. La qualifica di proponente dovrà, pertanto,

attribuirsi a maggior ragione al funzionario (dirigente) che riceve o procura la domanda di

fido e ne delibera, nei limiti della propria competenza, l’accoglimento.

23 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXXIX, Par.

7 (ediz. dicembre 1990); ID., Lettera-Circolare, n. 6566 del 10 gennaio 1995, cit..

24 Sulla consuetudine che gli estremi di una medesima operazione vengano

annotati, spesso in momenti diversi, nei differenti libri della banca, v. peraltro G.C.M.

RIVOLTA, Documentazione, loc. cit., il quale rileva come, ad esempio, “un’operazione di

mutuo garantito da pegno figurerà sia nel libro verbali dell’organo deliberante (quando è

specifico oggetto di delibera collegiale); sia nel libro fidi e nello schedario rischi; sia nel

libro giornale; sia nel registro dei pegni”.

25 BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXXIX, Par. 7

(ediz. dicembre 1990).

Giustamente gli interpreti (cfr. G.C.M. Rivolta, Documentazione e prova, cit., pag.

360) hanno escluso che la fonte dell’obbligo della tenuta dello schedario dei rischi potesse

essere individuata nell’art. 2214, II comma, cod. civ. E v. anche: M. BUSSOLETTI, Obblighi

e modalità di tenuta delle scritture contabili con particolare riferimento alle imprese

bancarie, in Banche e banchieri, 1980, pagg. 815 segg., ove ulteriori considerazioni.

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Tale strumento riveste la peculiare funzione di consentire (in qualsiasi

momento) e per ciascun cliente, l’evidenziazione dell’ammontare dei fidi

accordati ed utilizzati: di modo che risulti poi possibile controllare

efficacemente le singole posizioni di rischio, seguendo puntualmente la loro

“evoluzione” nel tempo.

Lo schedario, secondo quanto disposto dalle Istruzioni della Banca

d’Italia, deve quanto meno indicare: a) il codice anagrafico e gli altri dati

identificativi dell’affidato; b) gli estremi (organo o soggetto che ha assunto

la decisione, e relativa data), dell’atto di concessione di ciascun affidamento;

c) le forme tecnico-contrattuali di ciascun affidamento; d) l’ammontare del

credito accordato per ognuna di tali forme tecniche e l’ammontare del

relativo utilizzo; e) le garanzie che assistono l’affidamento.

L’Organo di vigilanza, dopo aver auspicato che tutte le banche

“ricorrano quanto prima a procedure automatizzate per la tenuta dello

schedario dei rischi accentrato, che consentano di aggiornare le evidenze con

frequenza giornaliera”, richiede che le evidenze dello schedario restino

disponibili presso l’ente creditizio per almeno due anni26 ; autorizzando

altresì le banche che gestiscono lo schedario con procedure informatizzate

ad ometterne la stampa a condizione che siano poi in grado di procedervi su

semplice richiesta27 .

26 La previsione ci sembra legittima: posta l’applicabilità dell’art. 2220 cod. civ.

(ove è previsto che le scritture contabili debbono essere conservate per il periodo di dieci

anni dalla data dell’ultima registrazione; e si ricordi qui che le scritture contabili possono

anche essere conservate a mezzo di riproduzione fotografica ex art. 25, legge 4 gennaio

1968, n. 15) alle sole scritture obbligatorie.

27 Per gli aspetti tecnico-operativi, cfr.: A.B.I., Circolare 15 aprile 1986, Serie

tecnica, n. 8. Quanto alla facoltà di omettere la stampa dello schedario, osservava G.C.M.

RIVOLTA, Documentazione e prova, cit., pag. 362, (ma prima dell’abrogazione dell’art. 37

L. Banc.) che “se tale autorizzazione può dirsi legittima per lo schedario rischi, perché non

trova nella legge la fonte diretta della sua obbligatorietà e della sua disciplina, non

altrettanto potrebbe dirsi per il libro fidi (anche se le Istruzioni lo ipotizzano come

“ulteriore prodotto” delle procedure automatizzate per la tenuta dello schedario rischi). E

ciò non solo per la ragione formale che, configurandolo appunto come “libro”, la legge

postula come indispensabile un supporto cartaceo; ma anche e soprattutto per la ragione

sostanziale che, allo stato della tecnica e delle comuni conoscenze, solo quel supporto

permette, anche a chi non sia specializzato nell’informatica, di leggere i dati che

interessano, controllando la regolarità della loro registrazione e l’inesistenza di

manomissioni successive”.

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CAPITOLO TERZO

IL FIDO BANCARIO

NEL RAPPORTO BANCA-CLIENTE

SOMMARIO: 1. La domanda di fido: la richiesta di fido e la decisione di concedere

lo stesso in relazione alle problematiche del meccanismo contrattuale

“proposta-accettazione”. La domanda di affidamento; analisi del suo contenuto

composito: la dichiarazione di volontà e quella di scienza. La dichiarazione di volontà

come proposta contrattuale ex art. 1326 cod. civ.: critica; la domanda di fido è un mero

“invito a proporre”. È la banca proponente; il richiedente è accettante. Prima della

decisione di concedere il fido, non vengono posti in essere, né dalla banca, né dal

richiedente, atti aventi il carattere dell’impegnatività. – 2. Fido e perfezionamento del

contratto di credito: la richiesta di fido ed il successivo perfezionamento del rapporto

contrattuale di credito. Fattispecie particolari: a) il (patologico) perfezionamento del

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rapporto contrattuale di credito in un momento precedente la decisione della banca di

concedere l’affidamento; la possibile distonia tra la volontà imprenditoriale di non

concedere fido e la realtà contrattuale vincolante la banca all’adempimento

dell’obbligazione creditizia; b) conto corrente e perfezionamento di apertura di credito

ancora inefficace. La concessione di fido con “a valle” operazioni di sconto bancario; il

c.d. castelletto di sconto: analisi della fattispecie. – 3. I profili di responsabilità del

richiedente il fido: l’irrilevanza, in punto di danno, del rifiuto del richiedente, una volta

deciso il fido in suo favore, a stipulare il contratto di credito con la banca. Le

dichiarazioni mendaci contenute nella domanda di fido, la decisione di concedere

l’affidamento ed il conseguente perfezionamento del contratto di credito (poi non

adempiuto): il rimedio dell’annullamento del contratto per dolo del cliente ex art. 1439

cod. civ. L’“assorbimento” di tale rimedio nell’àmbito degli strumenti concessi alla

banca dal sistema. – 4. I profili di responsabilità della banca: la posizione del richiedente

il fido nei confronti della banca durante la fase dell’istruttoria; aspettativa “economica”

di credito ed assenza di specifica protezione giuridica. In caso di mancata o difforme

concessione dell’affidamento, la tutela del richiedente è da ricercare all’interno dei

principî che regolano la responsabilità precontrattuale (art. 1337 cod. civ.) facente capo

alla banca. L’ipotesi di delibera di concessione del fido non seguita dalla conclusione del

contratto di credito. La mera rilevanza “interna” dell’atto di organizzazione che decide

la concessione del fido: anche in tale ipotesi la tutela del richiedente va rintracciata

nell’àmbito della responsabilità precontrattuale. Conferma dei risultati raggiunti alla

luce del principio dell’insussistenza di un “obbligo di contrarre” in capo alla banca. Le

conseguenze della decisione di concedere fido che si sviluppano comunque in capo alla

banca: l’iscrizione dell’affidamento nel libro fidi e nello schedario nominativo dei rischi e

la segnalazione alla Centrale dei rischi. Le conseguenze dell’inosservanza di tali

obblighi: gli artt. 70, I comma, lett. a e 144, I comma, T.U.L.Banc. – 5. Segue. La

responsabilità per concessione “abusiva” di fido: è l’ipotesi della banca che, pur

conoscendo lo stato di insolvenza di un’impresa, conceda o mantenga alla stessa

ugualmente il credito per finalità del tutto egoistiche. All’origine del problema: la

posizione della dottrina e della giurisprudenza d’oltralpe; il riconoscimento di una tutela

per i creditori dell’affidato, danneggiati dalla falsa rappresentazione della situazione

economico-finanziaria di questo causata dagli abusivi affidamenti bancari; il

riconoscimento di una responsabilità extracontrattuale per lesione di un diritto di credito

(quello concesso, all’imprenditore affidato, dagli altri suoi creditori). L’iniziale cautela

della dottrina italiana; le posizioni attualmente raggiunte; analisi critica. L’opportunità

di impostare il problema sul più sicuro terreno del danno (concorsuale) subito dal terzo

per ritardata apertura della procedura e per (eventuale) violazione del principio della par

condicio. Il recente recepimento dei suesposti principî nella giurisprudenza italiana ed il

richiamo al dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. – 6. La “destinazione” del fido:

premessa e piano d’indagine intorno alla fase successiva al perfezionamento del rapporto

contrattuale di credito. La “destinazione” del fido: l’indicazione, nella domanda di fido,

della destinazione delle somme richieste. L’inserimento della destinazione nell’àmbito

contrattuale: clausole di destinazione “legali” e “volontarie”. Le differenze in punto di

controllo della banca sul rispetto della destinazione dell’affidamento in ipotesi di crediti

“di scopo” ed in ipotesi di crediti non caratterizzati dallo scopo: il controllo

sull’adempimento nel primo caso ed il controllo sul rischio dell’impiego nel secondo; i

diversi, possibili rimedi offerti alla banca nelle due ipotesi. Casi particolari: a) i c.d.

“prestiti personali” e l’odierna fattispecie del “credito al consumo”; la rilevanza in

negativo della destinazione nel credito al consumo; il credito al consumo come credito di

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“non-scopo”; analisi della fattispecie; b) il fido concesso dalla banca per il

“ripianamento” di precedenti esposizioni dell’affidato; analisi della fattispecie e delle

possibili conseguenze sul piano civile e penale; c) il fido concesso per l’acquisizione di

beni da costituire in garanzia del fido stesso. – 7. L’utilizzo del fido in rapporto alle

“modalità” di concessione: l’ipotesi di utilizzo del fido consentito dalla banca oltre il

limite originariamente stabilito, ovvero in assenza di formale concessione. Le due distinte

fattispecie dei “fidi di fatto” e degli “extrafidi”: analisi di dettaglio delle possibili,

differenti, ipotesi; in particolare: il pagamento di assegni oltre il limite di affidamento (le

diverse posizioni in dottrina e giurisprudenza; approfondimento della tematica e nostra

posizione). La rilevanza della distinzione tra fido “di fatto” ed “extrafido” nell’àmbito

della problematica della revocatoria fallimentare. I fidi c.d. “interni”, non conosciuti dai

clienti. I fidi c.d. “promiscui”, in cui l’affidato può utilizzare il fido, entro il limite

concesso, attraverso diverse forme contrattuali. La non corrispondenza tra il richiedente

il fido ed il soggetto avente diritto all’utilizzo; la fattispecie e le differenze con il mandato

di credito ai sensi dell’art. 1958 cod. civ.. Le concessioni di fido che si consumano

“istantaneamente”. – 8. La revoca del fido: la cessazione del rapporto creditizio come

momento tipicamente gestionale, interno all’impresa bancaria. I differenti effetti che

conseguono alla revoca del fido rispetto a quelli che conseguono allo scioglimento del

vincolo contrattuale (recesso, risoluzione). Le condizioni che legittimano la revoca del

fido: i fattori “interni” e quelli “esterni” al rapporto banca-affidato. In particolare: il

recesso della banca dall’apertura di credito: il dato normativo ed il contesto contrattuale

di riferimento. Segue: il problema del recesso “brutale”; le diverse soluzioni offerte in

dottrina e giurisprudenza; nostra posizione: l’opportunità di svincolarsi

dall’accertamento dell’esistenza o meno di una giustificazione obiettiva in capo alla

banca; la rilevanza delle concrete “modalità” con cui è stato esercitato il recesso.

1. La domanda di fido.

Si è visto1 come, a monte dell’intera vicenda creditizia, sussista,

normalmente2, una richiesta di concessione di fido presentata dal cliente alla

banca3: è la c.d. “domanda di fido”.

1 Sul punto cfr. retro, cap. II, par. 11.

2 Nella prassi non mancano casi in cui il fido è “offerto” dalla banca stessa (fido

c.d. “di sviluppo”; nelle due forme del fido c.d. “di acquisizione” – per acquisire nuova

clientela – e del fido c.d. “di accaloramento” – per affezionarla maggiormente –; e cfr.,

anche per le terminologie operative e le fattispecie tecniche, P. D’ANGELO e M.

MAZZANTINI, Trattato di tecnica, cit., pagg. 536 e 1009; L. FILOSTO, Corso di tecnica

bancaria, cit., pag. 239; A. BOSISIO, Amministrazione bancaria, Torino, 1948, pag. 104;

A. CARINGI, Amministrazione economica e tecnica del fido bancario, cit., pagg. 67 segg.).

In tale categoria debbono naturalmente essere ricompresi, oltre ai fidi concessi

senza alcuna previa richiesta formulata dal cliente, anche quelle fattispecie in cui la banca,

assunta l’iniziativa di contattare i clienti, abbia poi acquisito dagli stessi formale domanda

di affidamento, debitamente sottoscritta.

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Relativamente a questa tematica, è evidente come un’azione di sviluppo

eccessivamente aggressiva possa finire con il ripercuotersi, non tanto sul corretto svolgersi

della concorrenza nel settore, quanto sulla stessa qualità degli impieghi (e si pensi

all’aspetto psicologico del cliente nel vedersi offrire credito, piuttosto che richiederlo).

Sembrerebbe allora congruo, nell’ottica della migliore allocazione delle risorse, oltre che

per il pieno rispetto dell’art. 2598, n. 3, cod. civ., riconoscere in principio alla sola

clientela l’iniziativa di esprimere il suo fabbisogno di credito, lasciando che la concorrenza

bancaria si manifesti soltanto attraverso i prezzi, la varietà e la qualità dei prodotti; ma si

tratta, beninteso, più che altro – nell’attuale contesto dell’attività imprenditoriale bancaria

– di una mera prospettazione, di una sorta di “divieto della sollecitazione del ricorso al

credito” tutto de iure condendo.

Ed è significativo qui soltanto ricordare come, prima del 1985, le Istruzioni di

vigilanza riservassero un apposito paragrafo, intitolato “Accaparramento di clientela”, ove

venivano espressamente vietati i vari comportamenti tesi all’acquisizione di nuova

clientela, specie se già affidata presso altre banche (cfr. A.B.I., La legge bancaria e le altre

norme essenziali in materia creditizia, I, Parte generale, cit., pag. 488).

Su di un piano differente, anche se non del tutto scollegato dalla problematica

che occupa, è poi l’odierno divieto, sanzionato penalmente, di svolgere “attività di

mediazione o di consulenza nella concessione di finanziamenti da parte di banche” a chi

non risulti preventivamente iscritto nell’apposito albo istituito presso il Ministero del

Tesoro (art. 16, legge 7 marzo 1996, n. 108).

3 Vale osservare come, nell’odierna realtà socio-economica, la scelta della banca

sia ancora essenzialmente influenzata da circostanze di ordine meramente empirico:

ubicazione, “prestigio” del nome, tempi medi di perfezionamento delle istruttorie, e,

soprattutto, conoscenze personali. Si è quindi ancora sostanzialmente lontani da scelte

conseguenti a valutazioni di economicità, connesse all’esame dei “costi” del credito; scelte

che comunque oggi appaiono in ogni caso sicuramente più agevoli a seguito delle recenti

iniziative legislative tendenti a garantire la trasparenza , tra l’altro, delle condizioni e dei

tassi praticati dalle banche (l. 17 febbraio 1992, n. 154; oggi: artt. 115-120, T.U.L.Banc.).

Sulla c.d. trasparenza bancaria la letteratura è molto ampia e non può qui darsene

conto compiutamente; ma cfr. almeno, prima dell’entrata in vigore della legge n.

154/1992: V. ALLEGRI, Nuove esigenze di trasparenza del rapporto banca-impresa

nell’ottica delle tutela del contraente debole, in Banca, borsa, tit. cred., 1987, I, pagg. 38

segg.; P. RESCIGNO, “Trasparenza” bancaria e diritto “comune” dei contratti, idem,

1990, I, pagg. 297 segg.; F. MARTORANO, Trasparenza e parità di trattamento nelle

operazioni bancarie, idem, 1991, I, pagg. 697 segg.; M. BUSSOLETTI, Norme e progetti di

legge in tema di parità di trattamento e trasparenza nelle operazioni bancarie, in Dir.

banc., 1989, I, pagg. 229 segg.; A. NIGRO, La trasparenza nelle operazioni bancarie,

idem., 1987, II, pagg. 55 segg.; M. PORZIO, L’accordo interbancario sulla trasparenza,

cit.; G. RAGUSA MAGGIORE, La trasparenza e il mercato del credito, in Dir. fall., 1989, I,

pagg. 145 segg.; nonché, successivamente alla legge n. 154/1992: A. MAISANO,

Trasparenza e riequilibrio delle operazioni bancarie. La difficile transizione dal diritto

della banca al diritto bancario, Milano, 1993; G. CARRIERO, Trasparenza bancaria,

credito al consumo e tutela del contraente debole, in Foro it., 1992, V, col. 354 segg.; R.

CLARIZIA, Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari e obblighi di

informazione, in Riv. it. leasing, 1992, pagg. 213 segg.; N. SALANITRO, Evoluzione dei

rapporti tra disciplina dell’impresa e disciplina dei contratti nel settore creditizio, in

Banca, borsa, tit. cred., 1992, I, pagg. 597 segg.; R. LENER, Forma contrattuale e tutela

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Tale richiesta, oltre a contenere le notizie concernenti le

caratteristiche essenziali dell’attività svolta dal richiedente4, nonché la

situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dello stesso5, evidenzia

anche l’ammontare del fido che si richiede, la sua scadenza e la forma

contrattuale.

Quanto ai contenuti, potremmo quindi affermare che la domanda di

fido si presenta come un documento composito, comprensivo, da un lato, di

una dichiarazione di volontà, relativa alla richiesta di affidamento vera e

del cliente nella disciplina dela trasparenza bancaria, in AA.VV., La nuova disciplina

dell’impresa bancaria, II, cit., pagg. 189 segg.; A.M. CARRIERO, La trasparenza delle

condizioni contrattuali: regole generali econtrolli, idem, pagg. 177 segg.; M. BUSSOLETTI,

La normativa sulla trasparenza: il ius variandi, idem, pagg. 217 segg.; M. VIALE, La

nuova legge sulla trasparenza bancaria: prime perplessità e dubbi interpretativi, in Giur.

comm. 1992, I, pagg. 785 segg.; A. NIGRO, La legge sulla trasparenza delle operazioni e

dei servizi bancari e finanziari: note introduttive, in Dir. banc. 1992, I, pagg. 421 segg.;

ID., La nuova normativa sulla trasparenza bancaria, idem, 1993, pagg. 571 segg.; A.A.

DOLMETTA, Per l’equilibrio e la trasparenza nelle operazioni bancarie: chiose critiche

alla l. n. 154/1992, in Banca, borsa, tit. cred. 1992, I, pagg. 375 segg.; D. ZUCCHELLI,

Note in margine alla legge n. 154/1992 in tema di trasparenza delle operazioni e dei

servizi bancari e finanziari, in Banca, impresa e soc., 1992, pagg. 221 segg.; E.F. RICCI,

Sulla nullità di clausole contrattuali prevista dalla l. 17 febbraio 1992, n. 154, in Riv.

trim. dir. e proc. civ., 1993, pagg. 759 segg.; U.M. GIORDANO, La trasparenza delle

condizioni contrattuali nella nuova legge bancaria, in Riv. soc., 1993, pagg. 1234 segg.;

AA.VV., Commentario alle norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi

bancari e finanziari (L. 17 febbraio 1992, n. 154), a cura di M. Porzio, in Nuove leggi civ.

comm., 1993, pagg. 1124 segg.; G. PANZARINI, La disciplina delle operazioni contrattuali

nel testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, in AA.VV., Il Testo Unico delle

leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di P. F. Censoni, Trieste, 1995, pagg. 37

segg.; ID., Sulle nullità del contratto bancario, in Contratto e impresa, 1995, pagg. 477

segg.; E. MINERVINI, La trasparenza delle condizioni contrattuali (contratti bancari e

contratti con i consumatori), in Banca, borsa, tit. cred., 1997, I, pagg. 94 segg..

4 Le richieste sono usualmente compilate su appositi moduli, predisposti

liberamente dalle banche per persone fisiche, enti pubblici e morali, ditte individuali,

società commerciali.

Per quanto concerne le notizie riguardanti le caratteristiche essenziali dell’attività

economica svolta, intendiamo qui riferirci all’ubicazione dell’impresa (sede), alla natura

giuridica del soggetto, al genere di attività svolta, ecc.

5 Per quanto concerne la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica del

richiedente il fido, intendiamo qui riferirci alle notizie ed ai dati concernenti i beni in

proprietà e gli eventuali vincoli gravanti sugli stessi (la c.d. “storia”, per quanto concerne i

beni immobili), alle notizie ed ai dati relativi alle obbligazioni assunte, ai vincoli costituiti

volontariamente in favore di terzi, agli affidamenti già ottenuti od in corso di istruttoria

presso altre banche o società finanziarie, ai criteri adottati per la valutazione degli elementi

attivi e passivi del patrimonio, nonché ai dati relativi agli utili od alle perdite di esercizio

conseguiti negli ultimi periodi.

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propria6, e, dall’altro, di una dichiarazione di scienza relativa agli altri

elementi necessari (dal punto di vista strumentale) all’indagine istruttoria

che la banca deve compiere.

Fermiamo ora l’attenzione sulla dichiarazione di volontà, cioè sulla

richiesta di affidamento vera e propria.

Come accennato, essa contiene: a) la richiesta di un certo

(determinato) ammontare di credito, rappresentato da una cifra

corrispondente al fabbisogno del richiedente; b) la richiesta (della

possibilità) di utilizzo di quell’ammontare di credito attraverso una

determinata forma contrattuale; c) la richiesta (della possibilità) di utilizzo di

quell’ammontare di credito per un determinato periodo, ovvero a scadenza

indeterminata.

Per quanto concerne la natura giuridica di tale dichiarazione, ci si

deve chiedere innanzitutto se essa debba, o meno, essere considerata come

“proposta contrattuale”, a mente dell’art. 1326 cod. civ.

Intendiamo qui naturalmente riferirci alla proposta di concludere non

già un “contratto di fido”, che come tale non esiste e non assume, come già

visto, alcuna connotazione giuridica, neppure nell’àmbito dell’art. 1322 cod.

civ., bensì alla proposta di concludere un contratto – tipico od atipico non

importa – con cui venga data attuazione alla decisione della banca di

concedere fido (ad esempio: apertura di credito; mutuo; anticipazione

bancaria; ecc.).

È noto, per ricordare principî consolidati, come la proposta

contrattuale – per essere considerata tale e per esplicare quindi gli effetti

suoi propri – in primo luogo debba essere esplicitata dal soggetto

proponente con l’intenzione di sottostare al vincolo costituito in seguito

all’accettazione e, in secondo luogo, debba essere completa, debba cioè

contenere tutti gli elementi del contratto, o almeno quelli essenziali, senza

pertanto richiedere null’altro che la pura e semplice accettazione della

controparte7.

6 Il modello-tipo, usualmente adottato dalle banche, recita: “... chiede la

concessione di un fido di lire ... valido fino a ... da utilizzarsi mediante ... destinato a ...”. E

v., in proposito, la voce (redazionale) “Richiesta di concessione di fido”, in Enc. della

banca e della borsa, VII, Roma, 1972 (rist. 1976), pagg. 151 segg.

7 In dottrina, v., per tutti: C.M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano,

1987, pag. 219; E. ROPPO, voce “Contratto. Formazione del contratto - Dir. civ.”, in Enc.

giur. Treccani, Roma, 1988, pag. 4; L. BARASSI, Teoria generale delle obbligazioni, II,

Milano, 1963, pag. 365; nonché, in giurisprudenza, e per limitarci alla corte di legittimità,

principalmente: Cass. 4 marzo 1968, n. 702, De Orsola c. Ditta Steffenino, in Foro pad.,

1968, I, col. 537; Cass. 25 ottobre 1965, n. 2234, Guarnati c. Florio, in Giur. it., 1966, I, 1,

col. 411; Cass. 20 gennaio 1979, n. 457, Guglielmo c. Cartiera Vita Mayer, in Foro it.,

Mass. 1979, col. 103; Cass. 15 marzo 1982, n. 1691, Mongelli c. De Robertis, idem, 1982,

col. 354; Cass. 7 ottobre 1981, n. 5261, Barbaro c. Sals, idem, 1981, col. 1018; Cass. 18

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Per quanto concerne il primo requisito, relativo all’intenzione del

proponente di restare indissolubilmente obbligato in caso di accettazione del

destinatario, questo non sembra escluso, sul piano oggettivo ed in linea di

principio, dal tenore e dalla struttura della specifica richiesta in questione;

restando peraltro impregiudicata la necessità di un’indagine sulle (reali)

intenzioni del singolo soggetto, condotte, questa volta, in base ad indizi o

presunzioni.

Per quanto invece concerne il secondo requisito, relativo alla

necessaria completezza della proposta, a noi sembra che questo, nella

fattispecie in esame, non sussista.

Invero, nella domanda standard di fido, vi è soltanto l’individuazione

del mezzo contrattuale attraverso il quale il richiedente intende dare

attuazione alla (eventuale) decisione positiva della banca; nonché due

elementi che in certe ipotesi (si pensi ai mutui od alle aperture di credito)

potrebbero essere, senza eccessiva forzatura, considerati propri – oltre che

del fido – anche del contratto di attuazione: la durata e l’ammontare del

credito. Ogni altro elemento del contratto – e si pensi alle modalità esecutive

del rapporto (diritti ed obblighi delle parti), allo scioglimento del vincolo,

alla clausola di competenza, ecc. – in concreto manca ed è, in pratica,

rimesso alla determinazione (unilaterale) della banca.

Difficilmente pertanto, in relazione alla domanda di fido, potrà

parlarsi di “proposta contrattuale”, a mente dell’art. 1326 cod. civ.8, se non

altro per difetto del fondamentale requisito della completezza9.

aprile 1973, n. 1119, Scheda c. Chimica Lucana, idem, 1973, col. 322; Cass. 10 ottobre

1975, n. 3252, Seat c. Bilotti, idem, 1975, col. 777; Cass. 23 gennaio 1978, n. 298,

Mulinari c. Enel, idem, 1978, col. 56; Cass. 16 maggio 1975, n. 1293, Balestra c.

Ministero Finanze, idem, 1975, col. 297.

8 In questo senso, ci sembra, anche G.C.M. RIVOLTA, Documentazione e prova

degli affidamenti, cit., pagg. 367 seg..

9 Rileva autorevolmente G. CARRARA, La formazione dei contratti, Milano, 1915,

pagg. 130 segg., che per il sorgere del contratto occorre l’incontro delle volontà dei

contraenti su tutto il contenuto del contratto. Qualora il proponente consenta alla

controparte (accettante) di determinare, in base alla propria volontà, alcuni elementi del

contratto, occorre che nella proposta siano stabiliti i limiti entro i quali sarà contenuto

l’arbitrio dell’accettante e l’espressa dichiarazione del proponente di rimettersi alla volontà

dell’altra parte nella determinazione degli elementi non determinati in proposta.

Osserva poi N. DISTASO, I contratti in generale, I, in Giur. sist. civ. e comm.,

diretta da W. Bigiavi, Torino, 1966, pag. 260, che: “poiché è contro l’esperienza che una

parte intenda sottomettersi su punti essenziali all’arbitrio assoluto dell’altro contraente, nel

dubbio dovrà escludersi che ci si trovi di fronte ad una vera e propria proposta contrattuale

quando non sia stato disciplinato qualche elemento di decisivo rilievo del contratto e che

non potrà certo essere rimesso alla esclusiva decisione dell’accettante”; e v. anche A.

BELLELI, Il principio di conformità tra proposta e accettazione, Padova, 1992, passim.

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Tale domanda rientrerà quindi nel generale àmbito delle trattative

contrattuali; tutt’al più potendo configurarsi come mero “invito a

proporre”10. Con la conseguenza che la “proposta” del contratto di credito

verrà avanzata dalla banca, non già dal cliente, e sarà normalmente

rappresentata dal (modulo contenente) le condizioni generali di applicazione

(Norme Bancarie Uniformi; rectius: Norme bancarie A.B.I.11).

V., in senso conforme, principalmente: R. SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in

generale (artt. 1321-1352), in Comm. del cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca,

Bologna-Roma, 1970, pagg. 88 segg.; ed anche L. BARASSI, Teoria generale delle

obbligazioni, IIª Ediz., Milano, 1963, pagg. 95 segg.; A. RAVAZZONI, La formazione del

contratto, I, Le fasi del procedimento, Milano, 1966, pagg. 106 segg..

10 Sulla particolare figura, v., tra gli altri: P. TRIMARCHI, Istituzioni di diritto

privato, VIª Ediz., Milano, 1983, pag. 302; N. DISTASO, I contratti in generale, cit., pagg.

260 segg.; ed anche R. SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale (artt. 1321-1352), cit.,

pag. 90; F. MESSINEO, Dottrina generale del contratto (artt. 1321-1469 cod. civ.), IIIª

Ediz., Milano, 1948, pag. 182; G. CRISCUOLI, Il contratto. Itinerari normativi e riscontri

giurisprudenziali, Padova, 1992, pagg. 144 seg.; E. ROPPO, voce “Contratto. Formazione

del contratto - Dir. civ.”, cit., pag. 4; nonché, già efficacemente: C. VIVANTE, Appunti di

diritto commerciale (1907-1908), Roma, s.d. (ma 1908), pagg. 175 segg..

11 Com’è noto, la Banca d’Italia, con decisione del 3 dicembre 1994, n. 12,

Associazione Bancaria Italiana (in Boll. dell’Autorità Garante della concorrenza e del

mercato, 1994, [48], pag. 75; in Banca, borsa, tit. cred. 1995, II, pag. 393, con nota di N.

SALANITRO, Disciplina antitrust e contratti bancari; in Dir. banc., 1995, II, pag. 85, con

osservaz. di G. CAVALLI), emanata ai sensi dell’art. 20, II comma, legge 10 ottobre 1990,

n. 287 (l. antitrust), ha imposto all’A.B.I. di modificare il contenuto di numerose clausole

delle (ex) N.B.U. che contenevano condizioni contrattuali aventi “incidenza economica”,

ritenute in contrasto con l’art. 2, II comma, lett. a, legge n. 287/1990 cit. (deliberazioni di

associazioni di imprese che fissano condizioni contrattuali), altresì richiedendo a detta

Associazione di precisare a tutte le banche associate che tali Norme Bancarie non

posseggono alcun valore vincolante o di raccomandazione, bensì costituiscono una “mera

traccia” nell’adozione dei contratti bancari.

È così che l’A.B.I., con Lettera-Circolare del 3 febbraio 1995, ha ottemperato a

quanto imposto dalla Banca d’Italia, sottolineando alle banche associate il carattere di

mera traccia rivestito dalle Norme Bancarie ed allegando il testo modificato di tutti gli

schemi contrattuali oggetto del provvedimento antitrust. E ben rileva l’impossibilità di

definire oggi “uniformi” le Norme Bancarie predisposte dall’A.B.I., L. FARENGA, La

moneta bancaria, Torino, 1997, pag. 96, nota 58.

In merito, si deve però rilevare che: a) moltissime clausole contenenti condizioni

contrattuali aventi “incidenza economica” risultano ancor oggi, nonostante le modifiche

operate, inserite nelle Norme Bancarie A.B.I.; b) ai fini della normativa antitrust, non

rileva tanto la formale vincolatività o meno delle Norme Bancarie A.B.I., quanto,

piuttosto, la concreta adozione uniforme delle stesse da parte delle banche; c) è nostra

opinione che, in concreto, la maggioranza delle banche continuerà ad adottare in maniera

sostanzialmente uniforme gli schemi proposti dall’A.B.I., senza modifiche o

diversificazioni. Ed alla luce di tali rilievi riteniamo si porrà anche in futuro un problema

di contrasto delle Norme Bancarie A.B.I. – almeno come oggi strutturate – con la

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normativa antitrust, con poi tutte le possibili e gravi conseguenze in punto di validità dei

contratti posti in essere dalle banche con i clienti in esecuzione dell’intesa vietata (e sulle

sorti del contratto “a valle” dell’intesa, tema in verità poco approfondito dai giuristi della

concorrenza, v., in generale, A. FRIGNANI e M. WAELBROECK, Disciplina della

concorrenza nella Cee, Napoli, 1978, pag. 190, i quali propendono per la nullità del

negozio, e v. anche gli spunti in tal senso offerti da N. SALANITRO, Disciplina antitrust e

contratti bancari, cit., pag. 420; ID., La concorrenza nel settore bancario, in Banca, borsa,

tit. cred.. 1996, I, pag. 765; G. ALPA, Osservazioni sulla riformulazione delle condizioni

generali dei contratti delle banche, in AA.VV., Il Testo Unico bancario: esperienze e

prospettive, cit., pag. 354; G. OPPO, Diritto dell’impresa e morale sociale, in Riv. dir. civ.,

1992, I, pagg. 25 segg., ivi a pagg. 30 segg.; ID., Costituzione e diritto privato nella “tutela

della concorrenza”, idem, 1993, II, pagg. 543, ivi a pag. 549; ed anche, ma in chiave

problematica: L.C. UBERTAZZI, Concorrenza e norme bancarie uniformi, Milano, 1986,

pagg. 98 segg.; A. ANTONUCCI, Diritto delle banche, Milano, 1997, pagg. 315 segg.; A.

TOFFOLETTO, Il risarcimento del danno nel sistema delle sanzioni per la violazione della

normativa antitrust, Milano, 1996, pag. 340; e già T. ASCARELLI, Teoria della

concorrenza e dei beni immateriali, IIIª Ediz., Milano, 1960, pag. 168. In giurisprudenza,

Trib. Alba, 12 gennaio 1995, Beuf c. Cassa Rurale ed Artigiana di Gallo di Grinzane

Cavour, in Giur. it., 1996, I, 2, col. 212, con ampia nota di Gius. ROSSI, Effetti della

violazione di norme antitrust sui contratti tra imprese e clienti: un caso relativo alle

“norme bancarie uniformi”; in Dir. banc., 1996, I, pag. 501, con nota critica di F.

PARRELLA, Disciplina antitrust nazionale e comunitaria, nullità sopravvenuta, nullità

derivata e nullità virtuale delle clausole dei contratti bancari a valle; in Contratti, 1996,

pag. 152, con nota di G. TUCCI, Norme bancarie uniformi e condizioni generali di

contratto, ha escluso un profilo di nullità dei contratti conclusi tra banca e cliente “a valle”

dell’intesa; nonché, ma in senso contrario, Trib. Roma, 24 febbraio 1997, n. 4061, Alinovi

e Ravenna c. Cassa di Risparmio di Perugia, inedita, che viceversa ha dichiarato la nullità

(per illiceità della causa ex art. 1343 cod. civ.) dei contratti “a valle” di un’intesa dichiarata

nulla per violazione di normativa antitrust).

Sulle Norme bancarie predisposte dall’A.B.I. la letteratura è sterminata, ma v.

almeno: A. PISANI MASSAMORMILE, voce “Norme bancarie uniformi”, in Noviss. Digesto

it., Append., V, Torino, 1984, pagg. 234 segg., riportata poi anche in Banca, borsa, tit.

cred., 1984, I, pagg. 188 segg.; N. SALANITRO, Le banche e i contratti bancari, cit., pagg.

46 segg.; F. REALMONTE, Condizioni generali di contratto e norme bancarie uniformi, in

AA.VV., Le operazioni bancarie, a cura di G.B. Portale, cit., I, pagg. 87 segg.; V. ALLEGRI,

Norme bancarie uniformi e condizioni generali di contratto nelle recenti tendenze della

dottrina giuridica, in Economia, banca e congiuntura, 1979, (2), pagg. 5 segg.; ID., Nuove

esigenze di trasparenza del rapporto banca-impresa nell’ottica delle tutela del contraente

debole, cit., pagg. 38 segg.; L.C. UBERTAZZI, Concorrenza e norme bancarie uniformi,

cit., passim; F. ALCARO, “Soggetto” e “contratto” nell’attività bancaria, cit., pagg. 199

segg.; G. CAVALLI, Contratti bancari su modulo e problemi di tutela del contraente

debole, cit., passim; F. BENATTI, Sul controllo delle norme bancarie uniformi, in AA.VV.,

I controlli bancari, cit., pagg. 157 segg.; G. GABRIELLI, Controllo pubblico e norme

bancarie uniformi, in Banca, borsa, tit. cred., 1977, I, pagg. 257 segg.; F. MAIMERI,

Potere contrattuale e norme bancarie uniformi, in AA.VV., Potere, poteri emergenti e loro

vicissitudini nell’esperienza giuridica italiana, Atti del Convegno di Roma del 20-22

marzo 1985, Padova, 1986, pagg. 273 segg., ed oggi anche in Riv. dir. civ., 1986, II, pagg.

209 segg.; M. PORZIO, Il controllo amministrativo sulle condizioni dei contratti bancari,

in Riv. dir. comm., 1980, I, pagg. 145 segg.; G. FLORIDIA, Condizioni bancarie uniformi e

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Cosicché, in definitiva, la richiesta di fido, se da un punto di vista

giuridico non può essere configurata quale “proposta” di contratto, deve

però, nell’ottica bancaria, qualificarsi come atto mediante il quale il cliente

stimola – offrendo i dovuti e necessari elementi di valutazione – l’esercizio

dell’attività creditizia della banca (nei suoi confronti).

E quanto appena affermato ci pare importante per ribadire come,

prima della decisione della banca di concedere un affidamento al cliente,

non vengano mai posti in essere – né da parte della banca, né da parte del

cliente – atti aventi il carattere dell’impegnatività12 (sul quale carattere, per i

particolari effetti, v. spec. gli artt. 1328, I comma, e 1330 cod. civ.).

2. Fido e perfezionamento del contratto di credito.

Se quanto detto nel paragrafo che precede possiede un proprio valore

sul piano sistematico, al fine soprattutto di evidenziare – e ne verificheremo

in prosieguo meglio le conseguenze – la carenza di posizioni di diritto

soggettivo (ed anche forse di aspettativa di diritto)1 in capo al cliente al

momento della decisione della banca di concedere fido2, si deve però

rilevare come in concreto – soprattutto rispetto alle fattispecie più tipiche e

consuete della prassi contrattuale bancaria (rientranti nel paradigma generale

dell’apertura di credito) – la decisione della banca (di concedere fido)

tutela del risparmiatore, in AA.VV., La concorrenza bancaria, cit., 1985, pagg. 170 segg.;

S. PATRIARCA, Efficacia probatoria delle scritture contabili e N.B.U., in Banca, borsa, tit.

cred., 1989, II, pagg. 215 segg.; D. CORAPI, Sull’efficacia nei confronti dei terzi degli

statuti degli istituti di credito di diritto pubblico e delle norme bancarie uniformi, in Foro

pad., 1969, I, col. 1107 segg..

12 Sulla speciale “impegnatività” della proposta contrattuale, v., per tutti: R.

SCOGNAMIGLIO, Dei contratti in generale (artt. 1321-1352), cit., pagg. 91 segg..

1 Sulla irrilevanza (giuridica) anche della posizione del contraente che ha

effettuato la proposta, rispetto alla accettazione, v. R. SCOGNAMIGLIO, voce “Aspettativa di

diritto”, in Enc. del dir., III, Milano, 1958, pagg. 226 segg.

2 Rileva significativamente Cass. 5 dicembre 1992, n. 12947, cit., che

“l’ammissione generica al fido, risultante dal libro fidi, non costituisce né concessione di

credito, né promessa di addivenire a detta concessione”, osservando inoltre, perfettamente,

come “una delibera interna di concessione del fido da parte della banca, non è, di per sé,

né atto costitutitivo di un rapporto negoziale, né prova adeguata dell’instaurazione di un

contratto bancario”; del tutto conforme anche Cass. 28 aprile 1995, n. 4718, Banca

Agricola Mantovana c. Fallimento Confezioni Edda di Busoli Giovanna e C. s.a.s., in Vita

not., 1995, pag. 1323; ed in Fallimento, 1996, pag. 118, con nota di Gio. TARZIA,

Castelletto di sconto e revocatoria fallimentare.

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intervenga spesso in un momento successivo alla sottoscrizione, da parte del

cliente, del contratto di credito, ovvero in un momento successivo al

perfezionamento di un accordo contrattuale – “contenuto” in un contesto

pattizio più ampio – che già prevede e disciplina l’utilizzo del credito.

Ci riferiamo, in primo luogo, a quella relativamente diffusa prassi

bancaria in base alla quale il richiedente il fido, al momento della

(sottoscrizione e della) presentazione della relativa domanda, sottoscrive “in

bianco” anche il (modulo del) contratto di credito3, di modo che sia più

agevole per la banca, una volta deliberato il fido, inviare al domicilio

dell’affidato la copia del contratto sottoscritto dai propri rappresentanti,

trattenendo presso gli uffici quella ab origine sottoscritta dal cliente4.

Ci riferiamo poi, in secondo luogo, all’art. 6 delle Norme Bancarie

A.B.I. che regolano i conti correnti di corrispondenza ed i servizi connessi,

ove è stabilito che: “le aperture di credito che la banca ritenesse

eventualmente di concedere al correntista sono soggette alle seguenti

statuizioni: a) ...; b) ...; c) ...; d) ...; c) ...; f) ....”.

a) Ora, per quanto concerne la prima cennata fattispecie, rileviamo

soltanto come potrebbe anche sostenersi, con un certo fondamento, che il

contratto di credito (presentato come “proposta” redatta su modulo

prestampato e quindi sottoscritto dal cliente [si badi: non ancora affidato]) –

a mente dell’art. 1326, I comma, cod. civ. – sia validamente concluso tra le

parti, ergo efficace tra le stesse5. Con la rilevante conseguenza che potrebbe

3 Tale modus operandi rientra, naturalmente, nella “patologia” delle prassi

bancarie, troppo spesso dimenticata dal giurista nell’analisi dei fenomeni studiati, ed è

originato da esigenze di (presupposta) “snellezza operativa” (e v. infra nel testo).

4 Apponendo normalmente sul contratto una data immediatamente successiva a

quella della delibera di fido (ovvero non apponendo date).

5 In effetti, la sottoposizione al cliente (per la firma) di condizioni generali di

contratto bancario, non sottoscritte dalla banca, integra pur sempre una proposta valida ed

efficace agli effetti dell’art. 1326 cod. civ.; con la conseguenza che la sottoscrizione

(accettazione) del cliente può ben rappresentare il momento perfezionativo del contratto, il

quale risulterà quindi produttivo dei suoi effetti da subito, indipendentemente dalla

(successiva) sottoscrizione della banca proponente. E ciò comunque, al di là del

particolare problema della prova dell’esistenza del contratto e, segnatamente, della prova

testimoniale ex art. 2721 cod. civ. (sull’ammissibilità della quale, v. spec.: S. GIBIINO, La

prova testimoniale nel processo civile, Napoli, 1970, pagg. 60 segg.; Cass. 1° giugno

1968, n. 1663, Rossini c. Papandrea, in Foro it., Mass. 1968, col. 422; Cass. 1° agosto

1960, n. 2254, Henriod c. Chiotti, idem, 1960, col. 494).

Né, a nostro avviso, nelle ipotesi in cui è richiesta la forma scritta ad substantiam

del contratto (rapporti creditizi non previsti in contratti già redatti per iscritto e vigenti tra

le parti: art. 117, II comma, T.U.L.Banc. e BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli

enti creditizi, LIV, Sez. IIIª, Par. 1 [ediz. maggio 1996]; aperture di credito in conto

corrente e prestiti destinati a procurare le somme occorrenti per l’esecuzione di lavori

pubblici: art. 3, legge 26 settembre 1920, n. 1495), la banca potrebbe eccepire la nullità del

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così crearsi una situazione giuridica tale da implicare, tra l’altro, il sorgere di

precise obbligazioni in capo alla banca, tra le quali, per quanto concerne

segnatamente l’apertura di credito, quella di dover, in generale, assicurare la

disponibilità ex art. 1842 cod. civ. e di dover poi, in particolare, consentire

gli atti di utilizzazione ex art. 1843, II comma, cod. civ..

Con l’ulteriore effetto – la cui gravità è facilmente intuibile, anche sul

piano della corretta gestione degli impieghi – che potrebbero ben

determinarsi possibili situazioni di contrasto tra la volontà imprenditoriale

(negativa) della banca nel (non) concedere credito (delibera negativa di

concessione del fido) e l’oggettiva realtà contrattuale viceversa vincolante

l’ente bancario all’adempimento delle proprie obbligazioni derivanti dal

contratto di credito.

b) Per quanto invece concerne la seconda, e più comune, fattispecie,

relativa all’art. 6 delle Norme Bancarie A.B.I. che regolano i conti correnti

di corrispondenza – ove è stabilito che “le aperture di credito, che la banca

ritenesse eventualmente di concedere al correntista, sono soggette alle

seguenti statuizioni: a) ...; b) ...; c) ...; ecc.” – riterremmo si possa

ragionevolmente configurare la stessa come negozio (bilaterale) con

efficacia subordinata6 al prodursi di una condizione sospensiva di natura

potestativa7.

contratto invocando la mancanza della sua sottoscrizione (elemento, quest’ultimo,

comunque necessario per configurare la fattispecie della “scrittura privata”: e v. A.

MORELLO, voce “Sottoscrizione”, in Noviss. Digesto it., XVIII, Torino, 1970, pag. 1012;

A. LISERRE, voce “Forma degli atti. Diritto civile”, in Enc. giur. Treccani, XIV, Roma,

1989, pagg. 3 segg.; F. GAZZONI, Obbligazioni e contratti, Napoli, 1992, pag. 864; M. DI

PAOLO, La forma del contratto, in AA.VV., I contratti in generale, III, I requisiti del

contratto, a cura di G. Alpa e M. Bessone, in Giur. sist. dir. civ. e comm. fondata da W.

Bigiavi, Torino, 1991, pagg. 752 segg.): posta la rilevabilità del vizio di nullità soltanto da

parte del cliente (art. 127, II comma, T.U.L.Banc.; e v. G. PANZARINI, Sulle nullità del

contratto bancario, in Contratto e impresa, 1995, pagg. 482 segg.; R. LENER, Forma

contrattuale e tutela del contraente “non qualificato” nel mercato finanziario, Milano,

1996, pagg. 231 segg.; Gius. TARZIA, La prova dei contratti bancari e dei crediti bancari,

in Dir. banc., 1995, I, pagg. 486 segg.).

6 In senso difforme ci pare S. ALAGNA, Contratti bancari di intermediazione, cit.,

pag. 49.

7 Riteniamo sia da escludere, nel caso di specie (contratto bilaterale oneroso), la

configurabilità di una clausola meramente potestativa, e pertanto, come tale, nulla ai sensi

dell’art. 1355 cod. civ..

In effetti, come insegna accreditata, seppur minoritaria dottrina (v. principalmente,

A. DE MARTINI, Profili della vendita commerciale e del contratto estimatorio, Milano,

1950, pagg. 167 segg.), il profilo degli interessi conduce alla circoscrizione dell’àmbito in

cui la condizione potestativa potrebbe rilevare negativamente, ex art. 1355 cod. civ., ai soli

negozi unilaterali, ovvero ai contratti con obbligazioni ex uno latere. Si rileva giustamente

che “nell’ipotesi di condizione sospensiva potestativa innestata in un contratto bilaterale,

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Sono qui i contraenti – banca e cliente – che, nell’àmbito del

regolamento contrattuale concernente il conto corrente di corrispondenza,

hanno inteso provvedere ad un (distinto) regolamento disciplinante un

eventuale rapporto di apertura di credito, la cui efficacia resta comunque

subordinata alla futura8 valutazione imprenditoriale operata dalla banca

non si può mai dire che la parte alla cui volontà è rimesso il fatto dedotto in condizione

manchi di un apprezzabile interesse al compimento del fatto stesso: l’interesse è costituito,

se non altro, dal vantaggio di avere la controprestazione dell’altro contrante (...). Altra cosa

è l’ipotesi della condizione apposta ad una isolata obbligazione senza mettere in forse un

corrispettivo che la controbilanci, a proposito della quale ipotesi ben si può dire, come per

la donazione, donner et retenir ne vaut; ma quando l’obbligato sia a sua volta creditore per

il medesimo titolo, e la condizione, investendo lo svolgimento degli effetti di tutto il

contratto, metta in forse pure tale credito, non si può più ricadere nella sanzione dell’art.

1355 cod. civ. È, insomma, la stessa causa del contratto bilaterale (oneroso), e la

conseguente corrispettività di obbligazioni, che impedisce di giudicare “meramente”

potestativa la condizione. L’art. 1355 cod. civ., in realtà, quindi, finisce per applicarsi

soltanto agli atti unilaterali, ai contratti in cui una sola parte si obblighi senza corrispettivo,

ed ai contratti onerosi allorché sia condizionata una sola obbligazione e non l’intero

contratto: in tutti questi casi, infatti, l’obbligato sotto condizione non avrebbe interesse

alcuno a ché il contratto svolga, o meno, i suoi effetti” (così: A. DE MARTINI, Profili, loc.

cit.). E v. già, conformemente, B. WINDSHEID, Diritto della pandette, traduz. it. a cura di

C. Fadda e P.E. Bensa, Torino, 1930, I, 1, pag. 93.

8 Dobbiamo qui dissentire dall’opinione espressa da S. ALAGNA, Contratti bancari

di intermediazione, cit., pag. 42, secondo il quale, nell’ipotesi dell’apertura di credito,

occorre “distinguere se l’operazione si innesta sul precedente rapporto di conto corrente,

ovvero se nasce come rapporto autonomo. Solo in questo ultimo caso verranno richiesti al

cliente i suoi dati personali e quelli dell’azienda cui il fido sia eventualmente destinato (in

caso di affidamento al soggetto individuale), ovvero i bilanci sociali e la situazione

debitoria complessiva nei confronti del circuito bancario (in caso di affidamento a società).

Nelle altre ipotesi (specie se preesista un rapporto di conto corrente bancario), la banca ha

già curato di accertare la consistenza patrimoniale e la solvibilità dei clienti; perciò ogni

indagine sarebbe superflua e produrrebbe solo un inutile ritardo nella trattativa” (conf.,

parrebbe, ma con affermazione del tutto immotivata: G. MOLLE, I contratti bancari, cit.,

pag. 159, nota 26).

In realtà, anche nel caso in cui l’apertura di credito sopravvenga al conto corrente,

e si innesti quindi nello stesso, la banca dovrà porre in essere tutta quella complessa

attività istruttoria di cui si è già detto più volte e che è irrinunciabile al fine di un corretto

apprezzamento della situazione economico-patrimoniale del richiedente il fido, valutata al

momento della richiesta.

Difatti, una (preliminare) istruttoria del merito creditizio nel momento del

perfezionamento del rapporto di conto corrente si appaleserebbe sostanzialmente inutile

sotto due distinti profili: da un lato, potrebbe risultare del tutto superflua nel caso in cui il

correntista poi non richieda il fido (attraverso un’apertura di credito in conto corrente);

dall’altro, potrebbe rivelarsi “sorpassata”, cioè non più rispondente alle effettive risultanze

giuridico-patrimoniali del richiedente, qualora il correntista domandi l’affidamento dopo

un lasso temporale significativamente lungo dall’apertura del conto.

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sull’opportunità o meno di concedere credito, e poi in quella determinata

forma9. Qui manca pertanto quel contrasto, evidenziato in relazione alla

prima fattispecie, tra volontà imprenditoriale ed oggettiva realtà contrattuale:

coincidendo giuridicamente e temporalmente la decisione della banca di

concedere fido con l’avverarsi della condizione sospensiva necessaria

all’espandersi degli effetti del contratto di credito, fino a quel momento

valido ma inefficace.

Passiamo ora, ed in diversa prospettiva, all’analisi di quelle peculiari

fattispecie concernenti la concessione di fido con “a valle” operazioni di

sconto bancario; fattispecie genericamente ricondotte dalla prassi

all’inespressiva quand’anche fortemente ambigua figura del “castelletto di

sconto”10 ed in merito alle quali, soprattutto alla luce di un marcato disordine

terminologico e concettuale, appare necessario soffermarsi.

9 Si noti peraltro come, curiosamente (ma non certo nell’ottica squisitamente

“bancaria”), nella Norma Bancaria A.B.I. in questione si parli di “concessione” di apertura

di credito. Appare evidente, al giurista, l’erroneità della locuzione; l’apertura di credito è

un contratto, che si conclude, che si perfeziona con il cliente: certamente che non si

“concede” allo stesso. In realtà, il lessico adoperato nella Norma de qua nasconde una

struttura giuridica differente da quella confusamente evidenziata nella modulistica; la

disposizione dovendo pertanto intendersi nel modo seguente: “le aperture di credito,

perfezionate a seguito di affidamenti che la banca ritenesse eventualmente di concedere al

correntista, saranno regolate dalle seguenti statuizioni: a) ...; b) ...; ecc.”.

10 Sul c.d. “castelletto di sconto”, cfr. in particolare, ma con significati tra loro

difformi e discordanti: G. MOLLE, I contratti bancari, cit., pagg. 161 segg. e 350; V.

MACCARONE, Lo sconto bancario, in Enc. della banca e della borsa, II, Le operazioni e i

titoli di credito bancari, Roma, 1972, (rist. 1976), pagg. 341 segg.; C. GIANNATTASIO,

Sconto cambiario ed obblighi del fideiussore, in Banca, borsa, tit. cred., 1964, II, pagg.

538 segg.; S. BONFATTI, Crediti di firma individuali, cit., pagg. 260 seg.; M. COSTANZA,

Appunti in tema di castelletto di sconto, apertura di credito e azione revocatoria

fallimentare, in Giust. civ., 1994, I, pagg. 1312 segg.; G. FERRI, voce “Castelletto”, cit.; A.

CALTABIANO, Il conto corrente bancario, cit., pagg. 128 segg.; G. COTTINO, Diritto

commerciale, II, 1, cit., pag. 94; F. GIORGIANNI, I crediti disponibili, cit., pag. 199, nota 3;

S. ALAGNA, Contratti bancari di intermediazione, cit., pagg. 43 e 68; M. SPINELLI e G.

GENTILE, Diritto bancario, cit., pag. 244; M. PORZIO, L’apertura di credito: profili

generali, cit., pag. 518; (L. CAPALDO) e G. CAVALLI, Contratti bancari, 2, Il credito

documentario - Lo sconto, Milano, 1993, pagg. 211 segg.; G. PANZARINI, Lo sconto dei

crediti e dei titoli di credito, Milano, 1984, pagg. 55 segg.; D. COLOMBINI, Revocabilità

delle rimesse in conto corrente e “sommatoria” degli affidamenti, in Fallimento, 1994,

pagg. 1287 segg.; M. ARATO, Operazioni bancarie in conto corrente, cit., pagg. 97 segg.;

L. PICARDI, Castelletto di sconto e apertura di credito in conto corrente: collegamento e

autonomia, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, II, pagg. 59 segg.; nonché, in giurisprudenza,

tra le molte, ad esempio: App. Trieste, 4 marzo 1964, Strolego c. Banca Cattolica, in

Banca, borsa, tit. cred., 1964, II, pag. 538; Trib. Bologna, 16 gennaio 1957, Baiardi c.

Banca Nazionale del Lavoro, idem, 1957, II, pag. 110; Cass. 15 maggio 1990, n. 4163, cit.;

Cass. 15 maggio 1990, n. 4164, Cassa Risparmio di Jesi c. Soc. Italgel, inedita; Cass. 11

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Sappiamo che, in principio, la decisione della banca di concedere un

fido – lo abbiamo detto tante volte – viene attuata attraverso il

perfezionamento di un successivo contratto di credito tra la banca stessa ed il

soggetto richiedente.

Interessa qui rilevare come normalmente, attraverso il rapporto

contrattuale di attuazione, venga resa in qualche modo “impegnativa” la

misura del credito concesso: acquisti, per così dire, rilevanza nel contratto la

quantità di credito decisa imprenditorialmente dalla banca (“a monte”: al

momento della concessione del fido). E come vi sia quindi, di regola, una

perfetta corrispondenza, nell’ottica adesso considerata, tra fido e contratto:

il limite di fido venendo allora a coincidere con il (limite del) diritto di

credito del cliente-affidato scaturente dal contratto (ad esempio, nel mutuo:

la somma prestata; nell’apertura di credito: la somma tenuta a disposizione;

ecc.).

Ora, se in principio quanto detto possiede certamente una sua generale

valenza in relazione a pressoché tutte le forme contrattuali con cui viene

attuata la decisione di concedere fido, potrebbe tuttavia essere ravvisata

un’eccezione in quelle ipotesi in cui il fido venga richiesto alla banca al fine

di effettuare, con la stessa, operazioni di sconto.

Qui, in effetti, almeno alla luce della comune esperienza, la

concessione del fido assai raramente viene “recepita”, a valle, in un unico

contratto di sconto, avente poi ad oggetto crediti per un ammontare

complessivo corrispondente a quello deliberato11. Alla concessione del fido

seguendo invece, comunemente, numerosi, distinti, e poi tra loro distanziati

nel tempo, rapporti di sconto.

Ed in virtù di quest’ultimo rilievo, potrebbe allora paventarsi che la

decisione della banca di concedere il fido, a quel determinato soggetto e per

un certo ammontare, non trovi un successivo momento di impegnatività

contrattuale, rischi insomma di rimanere una mera determinazione di

concedere credito in misura per così dire semplicemente “programmata” (in

settembre 1993, n. 9479, Istituto Bancario San Paolo di Torino c. Fallimento Colorio, in

Banca, borsa, tit. cred., 1994, II, pag. 490.

11 L’ipotesi – pur senza dubbio non frequente (e v. B. LIBONATI, Contratto

bancario e attività bancaria, cit., pag. 87, nota 127; P. FERRO-LUZZI, Lo sconto

bancario, in Riv. dir. comm., 1977, I, pagg. 143 segg., nonché in AA.VV., Le operazioni

bancarie, a cura di G.B. Portale, cit., II, pag. 767, da dove si citerà in prosieguo; L.

CAPALDO e G. CAVALLI, Contratti bancari, cit., pag. 211; M. PORZIO, Il conto corrente,

cit., pag. 932, nota 82) – non appare tuttavia di certo irrealistica, ben potendosi

concretamente realizzare in tutte quelle circostanze in cui al richiedente il fido interessi

effettuare, se non un singolo sconto di un singolo credito, almeno un insieme di sconti

“in blocco”, per un ammontare predefinito, e comunque nell’ambito di un’unica

operazione creditizia.

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senso imprenditoriale), non anche poi corrispondente ad alcun impegno

contrattuale (a valle della decisione stessa), come invece accade nelle ipotesi

comuni. Timore che del resto ben si giustifica alla luce di quelle teoriche

che sembrano riconnettere in ogni caso alla banca piena ed incondizionata

libertà di accettare, o meno, i crediti presentati allo sconto dal soggetto

affidato12.

Nella suddetta prospettiva, in effetti, il rischio potrebbe essere

rappresentato dal lasciare l’affidato senza alcuna protezione contrattuale

(tutela, come visto, invece sostanzialmente sempre presente nelle ipotesi

comuni); dal lasciare quindi lo stesso, e per tutta la durata del rapporto (di

affidamento), “coperto” soltanto dalla tutela di cui all’art. 1337 cod. civ. (ed

in punto v. infra par. 4)13 .

In realtà, però – se si tiene nella dovuta considerazione la logica

economica sottostante ad un affidamento richiesto per il successivo

compimento di diverse, ripetute operazioni di sconto, e se si ricostruisce di

conseguenza la fattispecie – questo rischio, a ben vedere, non ha ragione di

sussitere e le suddette teoriche si dimostrano del tutto infondate.

Trova ampio e consolidato riscontro nella comune esperienza che il

soggetto il quale richiede un affidamento al fine di compiere nel tempo

distinti contratti di sconto, cioè singole e distanziate operazioni di sconto,

soggetto che è poi tipicamente un imprenditore, effettui una tale richiesta per

l’essenziale fine (economico) di assicurarsi stabilmente – nel tempo, appunto

– la possibilità di scontare una certa tipologia di crediti (fatture commerciali,

crediti verso la P.A., crediti all’importazione o all’esportazione, ecc.),

ovvero titoli (cambiali, tratte, ricevute, ecc.), e fino ad un determinato

ammontare; con quindi l’intento di creare, in capo alla banca, un

apprezzabile – e durevole – grado di “doverosità” nel compimento delle

operazioni di sconto.

Più chiaramente. Ciò che in realtà risulta sempre interessare al

richiedente lo specifico affidamento è il “garantirsi” (con una certa stabilità

giuridica), pur nell’ambito di un determinato plafond, la possibilità di

12 Cfr., ad esempio, in tal senso: C. GIANNATTASIO, Sconto cambiario ed obblighi

del fideiussore, cit., pag. 542; G. MOLLE, I contratti bancari, cit., pag. 350; nonché le

motivazioni di: Cass. 15 giugno 1956, n. 2088, Tablò c. Banco di Napoli, in Banca, borsa,

tit. cred., 1956, II, pag. 446; Trib. Milano, 10 marzo 1950, Broggia c. Banca Nazionale del

Lavoro, idem, 1950, II, pag. 174; App. Firenze, 31 maggio 1958, Sezione Speciale Credito

Medie e Piccole Industrie c. Nuova Gestione Officine e Fonderie delle Cure, idem, 1959;

II, pag. 531, con nota adesiva di A. PAVONE LA ROSA, Apertura di credito, cessione “pro

solvendo” e pegno di crediti, girata in garanzia di cambiale tratta con clausola di

cessione della provvista; e cfr. anche i rilievi di F. MARTORANO, voce “Sconto bancario”,

in Noviss. Digesto it., XVI, Torino, 1969, pag. 786, nota 6.

13 Nella prospettiva della tutela ex art. 1337 cod. civ., cfr., ad esempio: Cass. 15

giugno 1956, n. 2088, cit.; Trib. Milano, 10 marzo 1950, cit..

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procedere, tempo per tempo, all’attualizzazione di propri crediti non ancora

scaduti, di compiere quindi ripetute operazioni di liquidità. Non interessa

invece mai, né potrebbe interessare, almeno in un’ottica di apprezzabile

utilità economica, assumere posizioni diverse da quella appena delineata;

posizioni che, in buona sostanza, finirebbero per comportare sempre

un’intollerabile incertezza del compimento delle operazioni di liquidità, per

circostanze poi anche indipendenti dalla qualità del credito presentato allo

sconto e comunque in virtù di una più ampia discrezionalità della banca, non

tenuta al compimento delle operazioni da alcun vincolo di natura negoziale.

Corrispondentemente, al di là beninteso dell’utilità economica in sé

considerata e conseguente ad ogni singola operazione di sconto, alla banca

interessa essenzialmente di mantenere in capo ad essa il diritto di rifiutare

all’affidato lo sconto di quei crediti che manifestino un livello di rischio tale

da sconsigliarne a priori l’acquisizione.

Ed ecco quindi che, se quelle appena delineate rappresentano le vere

“ragioni” economiche alla base del rapporto creditizio in esame – in

mancanza delle quali, crediamo, avrebbe ben poco senso imprenditoriale un

affidamento per sconti da effettuare nel tempo –, dovrebbero allora anche

emergere con sufficiente chiarezza la natura ed i termini del rapporto

contrattuale che affidato e banca andranno a concludere in attuazione della

decisione di quest’ultima di concedere al primo lo specifico fido in esame.

Banca ed affidato concluderanno un (unitario) rapporto contrattuale,

“preparatorio” rispetto alle future operazioni di sconto14 e poi riconducibile

ad uno schema negoziale necessariamente atipico, per effetto del quale la

banca si troverà impegnata, nei confronti dell’affidato, sino ad un importo

massimo prefissato e per l’intera vigenza del contratto, a scontare tutti quei

crediti o titoli di credito che presentino (pre) determinate caratteristiche15.

14 Sul sostanziale parallelismo di un tale rapporto con il contratto preliminare, ma

in un’ottica beninteso solo “economica”, v. P. FERRO-LUZZI, Lo sconto bancario, pagg.

767 segg.; e v. anche, in generale, per i concetti, V. SALANDRA, Contratti preparatori e

contratti di coordinamento, in Riv. dir. comm., 1940, I, pagg. 21 segg..

15 Per i titoli di credito, in particolare, la prassi è solita riferirsi al concetto di

“bancabilità”. In punto, cfr.: P. CUGUSI, voce “Bancabile”, in Enc. bancaria, I, Milano,

1942, pagg. 168 segg.; L. FILOSTO, Corso di tecnica bancaria, cit., pag. 333, nota 150; G.

MOLLE, I contratti bancari, cit., pagg. 340 segg.; nonché M. SPINELLI e G. GENTILE,

Diritto bancario, cit., pagg. 220 seg., per i quali “le cambiali sono dette “bancabili”

quando possiedono i requisiti, formali e sostanziali, che consentono alla banca di

ammetterle allo sconto. Trattasi degli stessi requisiti richiesti dalla Banca d’Italia per il

risconto e sono, sotto il profilo formale: la regolarità del bollo, il numero delle firme

(dell’accettante e del cedente), la scadenza (in genere entro quattro mesi), il taglio (vi è un

limite minimo ma non massimo), il luogo di pagamento (piazza bancabile); e sotto il

profilo sostanziale: la qualità delle firme e l’origine commerciale della cambiale”; e v.

pure, per l’analisi tecnica dei singoli requisiti: T. BIANCHI, I fidi bancari, cit., pagg. 225

segg..

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Salvo poi, in caso di rifiuto, a dover motivare lo stesso: pena, un più o meno

marcato profilo di responsabilità contrattuale, valutato anche alla luce dei

generali principî di correttezza e buona fede16. Tale rapporto renderà

“obbligatoria” (nel significato dell’art. 1173 cod. civ.) la decisione della

banca (fino a quel momento rilevante solo internamente) di concedere fido a

quel determinato cliente, ma al contempo non impedirà affatto alla banca

stessa di evitare (legittimamente) di porre in essere operazioni di sconto

qualora i crediti od i titoli presentati dall’affidato non posseggano i requisiti

predeterminati a monte.

Con allora, e per tornare alla prospettiva iniziale, una piena e

recuperata corrispondenza tra la misura del credito nel (la decisione di

concedere) fido, da un lato, e la misura del credito nel contratto di

attuazione, dall’altro.

E se quello appena descritto è il comune contesto negoziale in cui

usualmente si muove la concreta realtà degli affari nella considerata

prospettiva dell’affidamento con “a valle” ripetute operazioni di sconto

bancario17, sarà in tale àmbito, e solo in tale àmbito, che andrà utilmente

16 In tale prospettiva, e puntualmente, anche A. CALTABIANO, Il conto corrente

bancario, cit., pagg. 128 segg.; nonché poi, convincentemente, G. PANZARINI, Lo sconto

dei crediti, cit., pagg. 56 segg.; cfr. pure M. PORZIO, Il conto corrente, cit. pagg. 932 seg.,

nota 82.

Non difformi nella sostanza, al di là di alcune distonie terminologiche, sono poi le

ricostruzioni operate da: Cass. 28 aprile 1995, n. 4718, cit. (in motivazione, alla pag.

1329); Cass. 5 febbraio 1997, n. 1083, Banco di Sicilia c. Fallimento Officina Meccanica

Barengo, in Foro it., 1997, I, col. 1100 (in motivazione alla col. 1104); Cass. 20 maggio

1997, n. 4473, Banca Nazionale dell’Agricoltura c. Docks Siderurgici s.p.a., ibidem, col.

2089 (in motivazione alla col. 2095); Cass. 19 gennaio 1995, n. 559, Banca Nazionale

dell’Agricoltura c. Fallimento Hydromac, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, II, pag. 51 (in

motivazione alla pag. 55); Cass. 11 settembre 1993, n. 9479, cit. (in motivazione, alla pag.

490); Cass. 28 gennaio 1994, n. 866, cit. (in motivazione alla pag. 178).

17 Il particolare contesto creditizio in questione non va naturalmente confuso con

altre, distinte fattispecie, che pure la pratica conosce ma che poco hanno a che fare con

il fenomeno trattato.

Ci riferiamo, in primo luogo, a quelle ipotesi in cui la banca si impegna, sino ad

un ammontare determinato, a negoziare in favore del cliente titoli da questo presentati,

accreditando il controvalore “al dopo incasso” sul conto del cliente stesso: è più che

evidente che in tali ipotesi non sussista nemmeno un’operazione di sconto: manca la

deduzione dell’interesse, manca la cessione del credito, manca infine l’anticipo

dell’importo.

In secondo luogo, è poi possibile pensare a quegli accordi, talora riscontrabili

nella pratica tra banca e cliente, in base ai quali viene (soltanto) predeterminato il tasso

per le future operazioni di sconto: in tali ipotesi si è di fronte ad un accordo avente mero

carattere normativo, non certo implicante alcun obbligo a contrarre, bensì solo

evidenziante un pactum de modo contrahendi (e v. G. PANZARINI, Lo sconto dei crediti,

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ricercata la disciplina propria del contesto stesso, non trascurando,

beninteso, l’indagine caso per caso dell’effettiva portata degli accordi posti

in essere tra banca ed affidato18.

Così non riuscendo allora a comprendere appieno la logica sottostante

a quei diffusi tentativi tesi a dimostrare comunque l’esistenza, tra banca ed

affidato, di un contratto di apertura di credito, ed a riconoscere poi, nei

singoli contratti di sconto, distinti atti di utilizzo della disponibilità, ai sensi

dell’art. 1843 cod. civ.19. Simili sforzi – pur talora pregevoli

cit., pagg. 55 segg.; A. CALTABIANO, Il conto corrente, cit., pag. 129; e per la particolare

categoria: G. GUGLIELMETTI, I contratti normativi, Padova, 1969).

Anche quegli accordi che impegnano il cliente a restituire alla banca la somma

utilizzata nell’ambito di un rapporto di apertura di credito mediante successivi sconti di

titoli integrano un’ipotesi lontana da quella considerata nel testo: qui siamo infatti soltanto

in presenza di un impegno a compiere contratti di datio pro solvendo di titoli (e v., per

l’ipotesi, G. PANZARINI, Lo sconto dei crediti, cit., pag. 60).

Infine, ad ogni evidenza assai lontani dalle nostre fattispecie sono quei rapporti

di apertura di credito il cui utilizzo della disponibilità risulta garantito da cambiali emesse

dall’affidato (per importo corrispondente a quello dell’apertura di credito) e

contemporaneamente trasferite alla banca onde consentire più agevoli “smobilizzi”

dell’eventuale esposizione (e v. qui le osservazioni di G. TERRANOVA, Lo sconto

bancario, in ID., Profili dell’attività bancaria, Milano, 1989, pagg. 53 seg.; G. PANZARINI,

Lo sconto dei crediti, cit., pag. 60; F. MARTORANO, Note sulla cambializzazione dello

scoperto nell’apertura di credito in conto corrente, in Banca, borsa, tit. cred., 1965, II,

pagg. 218 segg.).

18 Ed avendo peraltro cura, almeno nella prospettiva dell’esame della diligenza

nella concessione del credito, di non trascurare il particolare profilo della valutazione

del rischio che la banca è chiamata ad effettuare. L’intera vicenda creditizia qui

considerata apparendo infatti caratterizzata da un peculiare atteggiarsi del momento

inerente alla valutazione del rischio: in una prima prospettiva, connessa essenzialmente al

momento della decisione di concedere l’affidamento (e sostanzialmente analoga a quanto

accade per ogni altra concessione di fido), la banca andrà a “stimare” il cliente affidato,

con ciò valutando, secondo i consueti parametri istruttori, il rischio derivante da una sua

possibile esposizione debitoria; in una seconda e distinta prospettiva, la banca andrà

invece a verificare il singolo rapporto di sconto, con ciò valutando il (diverso) rischio di un

possibile mancato pagamento, questa volta in relazione al singolo credito presentato allo

sconto.

19 In giurisprudenza, v. le motivazioni, talora anche confuse, di: Trib. Parma, 26

novembre 1965, Banca Emiliana c. Del Frate, in Banca, borsa, tit. cred., 1965, II, pag.

593; App. Roma, 26 luglio 1963, Banca Nazionale del Lavoro c. Amministrazione delle

Finanze, idem, 1963; II, pag. 398; Trib. Napoli, 25 gennaio 1956, Troiano c. Banco di

Napoli, idem, 1957, II, pag. 424; App. Napoli, 2 luglio 1952, Banca Napoletana c.

Granieri, idem, 1953, II, pag. 190; App. Ancona, 3 marzo 1959, Lenzi e Macciacchini c.

Cassa di Risparmio di Fermo, idem, 1959, II, pag. 554; Trib. Milano, 12 luglio 1984,

Farioli ed altri c. Cariplo, idem, 1986, II, pag. 95; Trib. Torino, 2 giugno 1988, Fallimento

Hydromac c. Banca Nazionale dell’Agricoltura, idem, 1990, II, pag. 476; App. Roma, 9

febbraio 1987, Banca Commerciale Italiana c. Fallimento D.E.R., idem, 1988, II, pag. 638;

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dogmaticamente – in realtà tradiscono ancora una volta l’inclinazione,

comune soprattutto in giurisprudenza, a “leggere” i peculiari fenomeni

bancari nell’àmbito assai ristretto dei contratti tipici, con gli schemi

concettuali propri di questi, e peraltro alla luce delle tradizionali categorie

civilistiche (collegamento negoziale, assorbimento della causa, contratto

misto, ecc.).

Tale diffuso atteggiamento, che non consente di focalizzare appieno,

con obiettività, il reale ed atipico contesto negoziale di riferimento (sopra

evidenziato), anche poi nella più utile e corretta chiave di ricostruzione

ermeneutica secondo la prospettiva tracciata dagli artt. 1362 e 1368, cod.

civ., può rischiare peraltro di comportare – per effetto dell’allora necessaria

applicazione di tutte le regole ed i principî (normativi e giurisprudenziali)

riferibili al tipizzato contratto di apertura di credito – sia conseguenze

perlomeno incongrue nella regolamentazione dell’effettiva realtà

economico-giuridica voluta dalle parti (ad esempio, in punto di esercizio del

diritto di recesso), sia, soprattutto, l’utilizzo di concetti giuridici inidonei a

consentire la ricostruzione degli atti interni ai rapporti contrattuali, quando

questi acquistino rilevanza esterna (ad esempio, e tipicamente, in ipotesi di

revocatoria fallimentare20).

App. Ancona, 28 giugno 1966, Banca Nazionale dell’Agricoltura c. Bacaloni, in Giur. it.,

1968, I, 2, col. 150; App. Trieste, 4 marzo 1964, cit.; Trib. Bologna, 16 gennaio 1957, cit.;

Cass. 6 dicembre 1969, n. 3897, Zoia c. Banca Popolare di Novara, in Foro it., 1970; I,

col. 1165; Cass. 10 agosto 1990, n. 8128, Banca Nazionale del Lavoro c. Bano s.a.s., idem,

1991, I, col. 128; Cass. 30 maggio 1978, n. 2737, Sagliocco c. Banco di Napoli, in Banca,

borsa, tit. cred., 1979, I, pag. 1; Cass. 1° marzo 1973, n. 565, Monte dei Paschi di Siena c.

Mariotti, idem, 1974; II, pag. 424; Cass. 13 dicembre 1966, n. 2899, Banco di Roma c.

Nigro, idem, 1967, II, pag. 326; ed anche :Cass. 30 marzo 1967, n. 690, Angelotti c. Banca

del Cimino, in Riv. dir. comm., 1968, II, pag. 163; Trib. Napoli, 19 dicembre 1966, S. c.

Banca dei Comuni Vesuviani, in Banca, borsa, tit. cred., 1967, II, pag. 282 (nonostante la

massima; e vedi la motivazione alla pag. 284). In dottrina, per il collegamento tra sconto

ed apertura di credito, ad esempio: S. MACCARONE, Lo “sconto” di fatture e di ricevute

bancarie, in AA.VV., Le operazioni bancarie, a cura di G.B. Portale, cit., II, pag. 786, per

il quale “lo sconto è fondamentalmente divenuto un modo di utilizzazione dell’apertura di

credito”; A. FIORENTINO, Del conto corrente, cit., pag. 173 secondo cui lo sconto può

“inserirsi in un precedente rapporto di apertura di credito”; E. GABRIELLI, Il contratto di

sconto (Rassegna di giurisprudenza), in Banca, borsa, tit. cred., 1984, I, pag. 115, che

rileva come nelle ipotesi in esame lo sconto “perda la sua autonomia” e “la sua causa resti

assorbita” in quella del contratto collegato funzionalmente; G. COTTINO, Diritto

commerciale, II, 1, cit., pag. 113, che rileva espressamente come lo sconto possa risultare

“collegato ad un’apertura di credito”; ed anche L. BIANCHI D’ESPINOSA, Le leggi

cambiarie nell’interpretazione della giurisprudenza, IIIª Ediz., Milano, 1969, pag. 219;

nonché poi, diffusamente, F. ALCARO, “Soggetto” e “contratto” nell’attività bancaria,

cit., pagg. 83 segg..

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A tale metodologia va quindi senz’altro preferita quella, forse più

faticosa, che mira a “ricostruire” il rapporto contrattuale nella sua veste

atipica, senza condizionanti parallelismi con figure tipizzate e poi fornite di

un ampio corredo normativo-giurisprudenziale ma che, proprio in tale

corredo, evidenziano il loro limite per l’interprete dei rapporti giuridici in

campo bancario.

3. I profili di responsabilità del richiedente il fido.

Passiamo ora a verificare se, nell’àmbito generale dell’attività relativa

alla fase precedente l’utilizzo del credito, siano configurabili, o meno, dei

profili di responsabilità in capo ai soggetti operanti: banca e richiedente il

fido.

Prendendo le mosse dall’attività posta in essere da quest’ultimo,

abbiamo visto, nelle pagine che precedono, come questa si sostanzi

essenzialmente nel presentare alla banca una specifica richiesta di fido.

Sino al momento del (l’eventuale) perfezionamento del contratto di

credito, il cliente in effetti non pone in essere nessun altro comportamento

cui sia possibile in ipotesi, ricondurre un qualche profilo di responsabilità:

l’eventuale ingiustificato rifiuto a stipulare il contratto di credito, in

attuazione della decisione della banca di concedere fido, oltre ad integrare

un’ipotesi probabilmente scolastica, difficilmente potrebbe poi rilevare quale

attività concretamente produttiva di danno per l’ente creditizio (al di là,

forse, delle spese di istruttoria) o per terzi soggetti; e ciò anche,

probabilmente, nella prospettiva applicativa dell’art. 1337 cod. civ.

Venendo quindi alla domanda di fido presentata dal cliente,

riterremmo che questa possa senz’altro – in linea di principio – costituire

atto produttivo di danno per la banca qualora contenga notizie o dati non

veritieri (ovvero non evidenzi indicazioni essenziali), che si rivelino decisivi

nell’indurre la banca stessa a concedere il fido richiesto ed a perfezionare,

poi, il relativo rapporto contrattuale di credito. A tal proposito – e rinviando,

per quanto concerne gli aspetti strettamente connessi ai profili di

responsabilità penale del dichiarante, a quanto già osservato in precedenza1

– interessa qui rilevare come, nella prospettata fattispecie, l’attività del

cliente potrebbe, da un lato, incidere sul consenso della banca alla stipula del

contratto di credito e, dall’altro, parallelamente, produrre un profilo di

20 E sulle implicazioni comportate dalla problematica trattata in sede di

revocatoria fallimentare, v. per tutti: M. ARATO, Operazioni bancarie in conto corrente,

cit., pagg. 96 segg., 238 segg..

1 Cfr., retro, cap. II, par 11.

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responsabilità in capo allo stesso cliente. Così da ritenere peraltro

certamente possibile in principio, per la banca, l’esperimento di un’azione di

annullamento del contratto di credito per dolo del cliente, ex art. 1439 cod.

civ.2, in ipotesi di richiesta di fido che contenga dati non veritieri, ovvero

che non evidenzi realtà debitorie, o prestazioni di garanzia, oggettivamente

sussistenti3.

Ma se tale rimedio risulta certamente possibile sul piano del diritto

privato, esso costituisce strumento per così dire “assorbito” – nell’ottica

bancaria – dal profilo di danno (patrimoniale) in concreto rilevante (danno

2 Per uno spunto in tal senso, v. M. PORZIO, Il conto corrente, il deposito e la

concessione di credito, cit., pag. 919.

Riterremmo invece poco percorribile la strada dell’azione di annullamento per

errore essenziale ex art. 1429 cod. civ., posta la difficoltà di ricondurre le indicazioni

patrimoniali del richiedente il fido tra gli elementi incidenti “sulla identità o sulle qualità

dell’oggetto della prestazione” o “dell’altro contraente”, ai sensi dell’art. 1429, n. 2 e 3,

cod. civ.

3 Sulla rilevanza del silenzio ai fini della configurabilità del dolo ex art. 1439 cod.

civ., è unanime la giurisprudenza della Suprema Corte; cfr., in partic.: Cass. 14 ottobre

1969, n. 3328, Nastasia c. D’Angelo, in Giur. it. 1972, I, 1, col. 459; Cass. 22 ottobre

1965, n. 2186, Lotti c. Vettori, in Foro it., Rep. 1965, col. 1957, n. 435; nonché Cass. 20

ottobre 1964, n. 2626, Todeschini c. Zannoni, in Foro it., 1965, I, col. 538, secondo cui

“la menzogna o la reticenza di uno dei contraenti, ove siano servite ad occultare fatti reali,

che, se conosciuti, avrebbero indotto l’altro contraente a non stipulare, integrano gli

estremi del dolo, anche se l’altro contrante, usando della normale prudenza, avrebbe

potuto, prima di obbligarsi, assumere opportune informazioni sulla realtà dei fatti”,

giurisprudenza, questa, che considera il silenzio come dolo qualora costituisca violazione

intenzionale di un obbligo di chiarire all’altro contraente la realtà di una determinata

situazione, obbligo che può derivare specificatamente dalla legge, ovvero dal generale

dovere di correttezza nelle trattative (art. 1337 cod. civ.). E v. anche R. SACCO, Il

contratto, in Tratt. di dir. civ., diretto da F. Vassalli, Torino, 1975, pagg. 325 segg. (spec.

pag. 331).

Sulla rilevanza del silenzio nella fattispecie che qui interessa, v. anche, variamente

orientati: G. MINERVINI, Amministratori di banche pubbliche, cit., pag. 192; C.M. PRATIS,

La disciplina giuridica delle aziende di credito, cit., pag. 524; G. RUTA, Riflessi

privatistici delle segnalazioni della Centrale dei rischi, cit., pag. 366.

Più in generale, sul silenzio come manifestazione di volontà: A. DE MARTINI, In

tema di “silenzio” nella conclusione dei contratti, in Foro it., 1950, I, col. 582 segg.; V.

CARBONE, Il diverso valore del silenzio tra conclusione del contratto e modifica dello

stesso, in Corr. giuridico, 1993, pagg. 1181 segg.; G. CASTIGLIA, voce “Silenzio (dir.

priv.)”, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1992, pagg. 1 segg.; C.M. MAZZONI, Il silenzio

come comportamento modificativo del rapporto contrattuale, in Giur. it., 1974, I, col.

1573 segg.; C.M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, (rist.), Milano, 1987, pag. 214

segg.; nonché, in giurisprudenza, Cass. 22 luglio 1993, n. 8191, Tecno Pulishman c. Fiat

Iveco s.p.a., in Corriere giur., 1993, pag. 1181.

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rappresentato dall’esposizione debitoria di un cliente incapace di farvi

fronte) e dagli strumenti di tutela offerti alla banca dal sistema.

Il punto, in altri termini, è che un’azione di annullamento del contratto

di credito, con conseguente richiesta di danni da parte della banca, risulta di

fatto “assorbita” dalla possibilità, almeno in via normale, che ha la banca

stessa vuoi di recedere dal contratto creditizio di disponibilità, vuoi di

provocare la risoluzione per inadempimento, ricorrendone i presupposti,

pretendendo allora la restituzione di quanto concesso fino a quel momento,

aumentato poi degli interessi.

L’azione di annullamento, oltre all’indiscutibile maggior complessità

giudiziaria che comporta, non consentirebbe, almeno nei casi che

legittimerebbero il recesso della banca – visto l’effetto retroattivo della

pronuncia – di applicare le previsioni contrattuali relative ai tassi

d’interesse; i quali, tutt’al più, potrebbero essere calcolati nella misura

legale.

Sicché ci sembra di poter concludere che, seppur potrebbe certamente

essere configurabile in linea di principio un’azione tesa all’annullamento del

contratto di credito per dolo del cliente nella richiesta di fido, con

conseguente azione risarcitoria, sul piano del diritto bancario risulta

certamente più proficuo percorrere la via della risoluzione per

inadempimento, ovvero quando consentito quella del recesso, e della

domanda di immediata restituzione delle somme risultanti a debito.

Ed è pertanto evidente che, posta la peculiarità dei diversi contratti di

credito, la banca potrà meglio tutelarsi: a) in tutti quei rapporti sussumibili

nel paradigma dell’apertura di credito, recedendo dal contratto (cfr. l’art. 6,

lett. c, d ed f, Norme Bancarie A.B.I. che regolano i conti correnti di

corrispondenza e servizi connessi4) e richiedendo poi la restituzione di

quanto utilizzato; b) nelle anticipazioni bancarie recedendo dal contratto (od

azionando le clausole risolutive espresse spesso presenti in tali tipi di

contratto; e cfr. gli artt. 6, 7, 8 e 10 delle diverse versioni delle Norme

Bancarie A.B.I.) e richiedendo poi la restituzione di quanto utilizzato; c) nei

mutui, avvalendosi, quando possibile, dell’art. 1186 cod. civ., oppure della

facoltà, riconosciuta dall’art. 1819 cod. civ., di richiedere al cliente

mutuatario, ricorrendone i presupposti, la restituzione dell’intero debito

4 Ovvero, laddove risultassero in concreto ancora adottati i relativi schemi

contrattuali (in prospettiva ormai desueti: e cfr. Banca d’Italia, Decisione 3 dicembre 1994,

n. 12, cit.): ex art. 7, Norme Bancarie A.B.I. che regolano l’apertura di credito garantita da

pegno di merci o documenti rappresentativi di merce; ex art. 4, Norme Bancarie A.B.I. che

regolano l’apertura di credito utilizzabile in conto corrente; ex art. 8, Norme Bancarie

A.B.I. che regolano l’apertura di credito garantita da titoli costituiti in pegno dallo stesso

cliente o da un terzo.

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residuo nell’ipotesi di mancato pagamento anche di una sola rata5, ovvero,

nei prestiti fondiari, di ritardato pagamento quando lo stesso si sia verificato

almeno sette volte, ex art. 40, II comma, T.U.L.Banc.6.

In definitiva, non è difficile comprendere come, in ipotesi di

dichiarazioni mendaci del richiedente il fido, all’eventuale profilo di danno

per la banca – risolventesi, sul piano patrimoniale, nell’esposizione debitoria

del cliente – sia ben più agevole rimediare con gli strumenti posti a tutela del

creditore nelle situazioni di inadempimento, ovvero con gli strumenti posti a

tutela del diritto di sciogliere il vincolo negoziale, che non con quelli

connessi al vizio della volontà. Sicché risulta sostanzialmente privo di un

suo più preciso interesse ogni ulteriore approfondimento dei profili di

responsabilità del richiedente il fido nella fase precedente il perfezionamento

del rapporto di credito.

4. I profili di responsabilità della banca.

5 Varrà qui segnalare come le distorsioni applicative talvolta sussistenti

nell’àmbito della prassi bancaria conoscano tipologie contrattuali – da noi verificate

concretamente – che facoltizzano la banca, nei mutui a scadenza pluriennale, ad esigere in

ogni tempo il pagamento immediato delle residue rate di debito (indipendentemente dal

mancato pagamento di rate ex art. 1819 cod. civ., o dalla sussistenza dello stato di

insolvenza ex art. 1186 cod. civ.), con formule giustificative del tipo “qualora la banca

reputi necessario richiedere ... potrà”, o similari.

Com’è ovvio, tali prassi negoziali – scaturenti da esigenze simulatorie al fine di

godere delle agevolazioni fiscali inerenti al credito a medio e lungo termine per rapporti

che nascono già, nell’intento delle parti (banca e cliente), come crediti “a breve” – non

possono che considerarsi del tutto illegittime da ogni possibile angolo visuale (artt. 1344,

1414, 1418, 1469 bis, 1817, I comma, cod. civ.; 640, II comma, n. 1, cod. pen.).

6 Sull’art. 40 T.U.L.Banc. cfr. M. SEPE, Commento all’art. 40 T.U.L.Banc., in

AA.VV., Commentario al testo unico, cit., pagg. 215 segg.; C.-M. TARDIVO, Il credito

fondiario e alle opere pubbliche nel testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia

(Decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385. Parte prima (artt. 38-41), in Vita not.,

1993, pagg. 1292 segg., ivi a pagg. 1310 segg.; ID., Il credito fondiario nella nuova legge

bancaria, IIª Ediz., Milano, 1995, pagg. 70 segg.; G.L. TREQUATTRINI, Le operazioni di

credito fondiario, in AA.VV., La nuova legge bancaria. Commentario, cit., I, pagg. 630

segg.; G. PRESTI, Le particolari operazioni di credito nel nuovo ordinamento bancario, in

AA.VV., La nuova disciplina dell’impresa bancaria, II, cit., pagg. 109 seg.; e v. anche M.

PIGA, La risoluzione per inadempimento e il ritardo nell’inadempimento nelle operazioni

di credito fondiario, in Giust. civ., 1996, II, pag. 43.

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Sicuramente più interessante appare l’esame dei profili di

responsabilità della banca nella fase precedente la conclusione del contratto

posto in essere in attuazione della decisione di concedere fido.

Abbiamo più volte rimarcato, nelle pagine precedenti, la necessità di

svincolare l’area della decisione imprenditoriale, di organizzazione (interna),

da quelle, successive, connesse al contratto di credito.

È così che si sono potute delineare due distinte “fasi”: in primo luogo,

la fase intercorrente dalla richiesta di fido avanzata dal cliente all’eventuale

perfezionamento del contratto; in secondo luogo, quella successiva al ridetto

perfezionamento.

Nell’àmbito della prima fase, che è quella che ora interessa, è

opportuno poi ulteriormente distinguere il periodo precedente la decisione di

concedere fido, dal periodo susseguente la decisione stessa ma precedente il

perfezionamento del rapporto contrattuale di credito: ciò, per verificare

l’eventuale rilevanza della delibera di concessione del fido nell’àmbito del

rapporto banca-cliente.

È noto come, normalmente, nella prassi bancaria, tra la richiesta di

fido e l’eventuale concessione dello stesso trascorra un lasso temporale non

insignificante1: è il tempo necessario per compiere l’indispensabile

istruttoria sul soggetto richiedente il fido2.

In tale fase, il cliente si trova in una situazione assolutamente “neutra”

dal punto di vista giuridico – forse neppure di aspettativa – attendendo, per

così dire, le determinazioni della banca in ordine al fido richiesto, nonché

poi l’eventuale successivo perfezionamento del rapporto contrattuale.

Ora, è chiaro che qui l’unico profilo di responsabilità della banca

potrebbe essere ravvisabile nell’ipotesi – tutt’altro che infrequente nella

pratica – in cui l’ente creditizio, da un lato, ingeneri nel cliente, sulla base di

elementi obiettivi, il fondato convincimento che il fido richiesto verrà

certamente accordato e poi, dall’altro, non deliberi invece la concessione

dell’affidamento e, conseguentemente – è questo il dato rilevante – non

concluda il contratto di credito3. In tale ipotesi, e sempre che il cliente –

1 Per alcune considerazioni in punto: G. GUIDI, La responsabilità del banchiere nel

credito a breve termine, in AA.VV., La responsabilità del banchiere, Atti del Convegno di

Capri del 6 e 7 giugno 1981, Napoli, 1982, pagg. 95 segg., ivi, a pag. 101.

2 La durata della fase istruttoria di un fido può variare da banca a banca e

comunque varia da caso a caso; e cfr. V. SELAN, I tempi medi dell’istruttoria fidi:

un’analisi empirica, in Rivista bancaria, 1972, pagg. 235 segg.; A. PEZZINI, L’istruttoria

delle richieste di fido nella pratica delle casse di risparmio, in Risparmio, 1963, pagg. 244

segg..

3 Nella (patologia della) pratica bancaria non è peraltro infrequente che vengano

addirittura “anticipati” gli effetti del rapporto creditizio ancor prima della decisione della

banca di concedere fido. E non ci riferiamo qui ai c.d. “prefinanziamenti”, (su cui v.: Trib.

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confidando nella concessione del fido – abbia posto in essere atti

impegnativi per il suo patrimonio (i quali poi, alla luce del mancato credito,

si risolvano in un danno), la banca a nostro avviso ben potrà essere chiamata

a rispondere per responsabilità precontrattuale, ex art. 1337 cod. civ.4.

E ciò potrà naturalmente accadere – fermi i presupposti di cui sopra –

anche nell’ipotesi in cui la banca, da un lato, ingeneri nel cliente il fondato

convincimento che il fido verrà accordato per la cifra e con le modalità

tecniche richieste, mentre poi, dall’altro, l’affidamento venga deliberato per

pen. Palermo, 11 luglio 1969, imp. Bazan ed altri, in Banca, borsa, tit. cred., 1970, II,

pagg. 257 segg., con nota di A. SANTORO; R. RUOZI, Sul fenomeno del prefinanziamento,

in Diritto dell’impresa, 1982, pagg. 406 segg.; V. ALLEGRI, Credito di scopo e

finanziamento bancario, cit., pagg. 104 segg.; S. ALAGNA, Contratti bancari di

intermediazione, cit., pag. 67; BANCA D’ITALIA, Istruzioni per la Centrale dei rischi, cit.,

Cap. II, Sez. 4, Par. 5), in quanto, in tal caso, si è in presenza di una vera e propria

concessione di fido, seppur anticipata e diversa rispetto al modulo richiesto (e si pensi ad

un rapporto di apertura di credito posto in essere nelle more del perfezionamento di

un’istruttoria di fido relativa ad un mutuo ipotecario); ci riferiamo invece a quelle prassi

che consentono al cliente di utilizzare, di fatto, il credito prima ancora della formale

concessione dell’affidamento (e su tali tematiche, v. infra).

4 È peraltro evidente che il profilo di responsabilità precontrattuale in capo alla

banca risulterà tanto più marcato quanto meno “qualificato” (per usare il termine

adoperato da R. LENER, Forma contrattuale, cit.) si rivelerà il richiedente l’affidamento;

risultando comunque in ogni caso connesso al “livello” degli atti impegnativi posti in

essere dal richiedente stesso sull’erroneo presupposto della concessione di credito.

Sul ruolo dell’art. 1337 cod. civ. nell’àmbito dell’attività bancaria, cfr., seppur in

un’ottica differente rispetto alla presente: P. ABBADESSA, Banca e responsabilità

pre-contrattuale: i doveri di informazione, in AA.VV., Funzione bancaria, rischio e

responsabilità della banca, cit., pagg. 293 segg.. In argomento, cfr. anche G. RUTA,

Riflessi privatistici delle segnalazioni della centrale dei rischi, cit., pagg. 365 seg.

Sulla particolare responsabilità, la letteratura è sterminata; cfr. comunque, oltre al

fondamentale saggio di L. MENGONI, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in

Riv. dir. comm. 1956, II, pagg. 362 segg., almeno: F. BENATTI, La responsabilità

pre-contrattuale, Milano, 1963; M. BESSONE, Rapporto precontrattuale e doveri di

correttezza (Osservazioni in tema di recesso dalla trattativa), in Riv. trim. dir. e proc. civ.,

1972, pagg. 974; C. TURCO, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, Milano,

1990; G. PATTI e (S. PATTI), Responsabilità precontrattuale e contratti standard, in

Comm. del cod. civ., diretto da P. Schlesinger, Milano, 1993; E. DELL’AQUILA, La

correttezza nel diritto privato, Milano, 1980, pagg. 41 segg.; nonché, di recente,

sollevando forti dubbi circa la stessa configurabilità (almeno nell’ottica tradizionale) di un

profilo di “responsabilità” nell’ambito della fase precontrattuale, F. FERRO-LUZZI, Dalla

responsabilità alla imputabilità precontrattuale, (ed provv.), Roma, 1996, pagg. 55 segg..

Sulla natura aquiliana della responsabilità precontrattuale (affermata pressoché

costantemente dalla giurisprudenza, ma spesso contestata in dottrina), v., per tutte,

l’articolata Cass. 11 maggio 1990, n. 4051, Bellucci e Cipollini c. Ministero della Difesa,

in Foro it., 1991, I, col. 184, con ampia nota di D. CARUSO, Note in tema di danni

pre-contrattuali.

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un importo nettamente inferiore e/o con modalità tecniche impraticabili per

il cliente.

Viceversa, qualora la banca non ponga in essere nessun tipo di attività

da cui il richiedente possa trarre il ragionevole convincimento di una

concessione di fido in suo favore, nessun tipo di responsabilità potrebbe

essere riconosciuta in capo all’ente creditizio nel caso in cui questo neghi al

richiedente l’affidamento domandato, ovvero provveda alla sua concessione

per un importo minore o con modalità tecniche difformi da quelle richieste.

Sempreché, beninteso, il diniego o la concessione difforme non vengano

espressi dopo un periodo di istruttoria irragionevolmente lungo5, sì da

pregiudicare la possibilità del richiedente di far ricorso al credito desiderato

presso altri enti finanziari e di svolgere, conseguentemente, gli affari

programmati.

Quanto appena affermato, sempreché il rifiuto della banca di

accordare il fido richiesto (ovvero la concessione difforme) non sia dovuto a

particolari valutazioni del rischio connesse a risultanze emerse dalle

segnalazioni fornite dalla Centrale dei rischi (o da altre fonti di

informazione), le quali evidenzino significative difformità tra quanto

dichiarato dal richiedente nella domanda di fido presentata alla banca e la

realtà economico-patrimoniale oggettivamente sussistente6.

Venendo ora all’aspetto che più interessa, quid iuris qualora alla

delibera di (concessione del) fido non faccia seguito il perfezionamento del

contratto di credito?

5 E v. qui ancora V. SELAN, I tempi medi dell’istruttoria fidi, loc. cit.; nonché, di

recente, il Codice di comportamento del settore bancario e finanziario predisposto

dall’A.B.I. (in Circolare, 22 gennaio 1996, Serie legale, n. 6), il quale “impegna” le

banche aderenti a “ridurre il più possibile i tempi per le decisioni sulle richieste di

affidamento, tenendo conto della propria struttura organizzativa, delle procedure interne e

della tipologia del fido richiesto”; a “seguire criteri di trasparenza nelle procedure per la

valutazione delle richieste di affidamento, al fine di consentire la conoscenza dello stato di

avanzamento della pratica di fido”; a “comunicare al cliente, anche attraverso forme

impersonali, i tempi medi di risposta alla richiesta di credito, decorrenti dal

completamento della documentazione necessaria e determinati in relazione alla tipologia

ed alla complessità del finanziamento”; “a indicare, conseguentemente, i tempi medi

necessari per l’effettiva disponibilità del finanziamento stesso”. E cfr. anche il Protocollo

d’intesa realizzato da alcune banche e camere di commercio lombarde, con l’adesione

della Banca d’Italia e dell’A.B.I. (il cui testo leggasi in: Contratti, 1996, pag. 210), per la

riduzione dei tempi nella concessione degli affidamenti e per la trasparenza dell’attività

istruttoria posta in essere dalle banche.

6 E ciò, perlomeno, nella prospettiva di cui all’art. 1227 cod. civ..

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Occorre ancora partire dal presupposto – talora correttamente intuito7

e già da noi più volte messo in luce – che la decisione di concedere fido

costituisce atto meramente interno all’ente creditizio, destinato quindi, nei

suoi effetti di organizzazione, soltanto a soggetti posti all’interno alla banca,

e poi rappresentativo solo della volontà di concedere un affidamento avente

determinate caratteristiche; non anche impegnativo nei confronti di soggetti

esterni8.

Ciò posto, appare agevole ritenere come nessuno specifico diritto

possa sorgere in capo al cliente; nessuna possibile pretesa, protetta

giuridicamente, possa riconoscersi al richiedente l’affidamento (anche) dopo

la decisione di concedere fido, così da dover necessariamente considerare

applicabile, anche in questa fase, e ricorrendone i presupposti, soltanto la

protezione giuridica prevista in via generale dall’art. 1337 cod. civ.; come

potrebbe verificarsi, ad esempio, nell’ipotesi in cui la banca comunichi al

richiedente la notizia della (adottata) delibera di concessione del fido e poi

non addivenga al perfezionamento del contratto di credito.

I risultati raggiunti ci sembra trovino peraltro conferma dalle

conclusioni che vengono tratte nell’àmbito della più generale problematica

inerente alla sussistenza, o meno, per la banca, di un obbligo a contrarre

(ed, in particolare, a concedere credito).

È noto infatti come, nonostante qualche voce contraria9, sia opinione

consolidata quella che riconosce alla banca un pieno diritto a rifiutare il

perfezionamento di un contratto bancario di credito (ordinario), posto che

questo – a differenza di altri rapporti posti in essere dalle banche e per i

quali, al limite, potrebbe essere anche configurabile un obbligo a contrarre10

7 V. ad esempio: G.C.M. RIVOLTA, Documentazione e prova degli affidamenti

bancari, cit., pag. 352; F. SCORDINO, I contratti bancari, Napoli, 1965, pagg. 334 seg..

8 E per le analoghe prospettive di ricostruzione in diritto societario può rinviarsi

alle chiare pagine di F. CHIOMENTI, La revoca delle deliberazioni assembleari, (rist.

inalt.), Milano, 1975, passim; P. FERRO-LUZZI, La conformità delle deliberazioni

assembleari alla legge e all’atto costitutivo, (rist. inalt.), Milano, 1993, passim.

9 Seppur soltanto tendenzialmente orientata: e cfr. le ipotesi prospettate da M.

PORZIO, Intervento, in AA.VV., Funzione bancaria, rischio e responsabilità della banca,

cit., pagg. 239 segg. (in partic., pagg. 244 segg.); ID., I contratti bancari in generale, cit.,

pagg. 825 segg., e fondate sugli artt. 2597 e 1679 cod. civ.: sui quali, anche nella

prospettiva che qui rileva, cfr. L. NIVARRA, L’obbligo di contrarre ed il mercato, Padova,

1990, pagg. 72 segg..

10 Si pensi, ad esempio, ai crediti (ex c.d.) “speciali”, ove i margini di

discrezionalità delle banche risultano ridottissimi, risolvendosi l’istruttoria, in definitiva,

in un esame meramente “tecnico” delle posizioni (e v., in punto, S. MAZZAMUTO, in

AA.VV., Procedure per la concessione di agevolazioni finanziarie agli investimenti

industriali nel mezzogiorno (l. 22 gennaio 1980, n. 10; d. min. 28 giugno 1979; d. min. 10

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– risulta essenzialmente fondato sulla fiducia11, nonché caratterizzato dal

rischio connaturato all’operazione; sicché, nel nostro ordinamento, l’obbligo

novembre 1979), a cura di M. Libertini, in Nuove leggi civ. comm., 1980, pag. 798; ID., Il

rapporto di finanziamento “agevolato”: aspetti privatistici dell’attuazione, in AA.VV.,

Credito e moneta, cit., pag. 484; A. GALASSO, voce “Finanziamenti pubblici”, in Noviss.

Digesto it., Append. III, Torino, 1982, pagg. 777 segg.; nonché Trib. Ascoli Piceno, 12

dicembre 1985, Pascali c. Isveimer, in Dir. fall., 1986, II, pag. 700, che ha comunque

escluso che i soggetti richiedenti la concessione di finanziamenti di carattere speciale siano

titolari di un diritto soggettivo all’erogazione del finanziamento); ovvero al servizio svolto

dalle banche in qualità di delegatarie nella riscossione delle imposte; alle operazioni

connesse alla negoziazione degli assegni circolari (e forse, alla loro emissione; v. Pret.

Fabriano, 20 novembre 1975, imp. Bergamo, in Banca, borsa, tit. cred., 1977, II, pagg.

375 segg., con nota critica di M. BOUCHÈ); all’attività di intermediazione nelle operazioni

su titoli, non connesse al credito; ai depositi ed al servizio di cassa ad essi connesso;

nonché, oggi, con tutta probabilità, anche alla necessaria attività di cooperazione al

trasferimento di denaro contante oltre i venti milioni che la banca è chiamata a fornire ex

art. 1, legge 5 luglio 1991, n. 157 (disciplina antiriciclaggio). Osserva comunque, e

giustamente, P. ABBADESSA, voce “Obbligo di far credito”, in Enc. del dir., XXIX,

Milano, 1979, pagg. 529 segg., ivi a pag. 531, nota 4, seppur nella vigenza della passata

legislazione, che l’obbligo di contrarre “non va naturalmente confuso con il dovere di

esercitare l’impresa. Per le banche pubbliche tale dovere scaturisce dalla necessità che

incombe su ogni ente pubblico di perseguire i fini per i quali è costituito. Un vincolo

analogo (si può al più discutere se esso non si presenti nella forma dell’onere) vale tuttavia

per le banche private. Basti pensare che attraverso le autorizzazioni previste dall’art. 28

legge bancaria gli Organi di vigilanza operano un controllo diretto sulle dimensioni del

mercato creditizio. Ciò posto, è assurdo pensare che una banca possa conservare

l’autorizzazione restando inattiva per tutto il tempo che desidera”.

11 In questa prospettiva, appare perlomeno riduttivo verificare se i contratti di

credito bancario rientrino, o meno, nella categoria dei contratti stipulati intuitu

personae, cioè dei contratti c.d. “personali”, caratterizzati dalle qualità soggettive

dell’uno o dell’altro contraente (variamente orientati, in punto, ad esempio: G.E.

COLOMBO, L’estinzione dell’apertura di credito, in AA.VV., Le operazioni bancarie, a

cura di G.B. Portale, cit., II, pagg. 525 segg.; G. FERRI, voce “Apertura di credito”, in

Enc. del dir., II, Milano, 1958, pag. 607; C. FOLCO, Il sistema del diritto della banca,

Milano, 1959, pagg. 140 segg.; F. MESSINEO, Caratteri giuridici comuni, concetto e

classificazione dei contratti bancari, in Banca, borsa, tit. cred., 1960, I, pagg. 324

segg.; P. GRECO, Corso di diritto bancario, IIª Ediz., Padova, 1936, pag. 14; E.

SIMONETTO, I contratti di credito, cit., pagg. 245 segg.; A. GALASSO, Contratti di

credito e “intuitus personae”, in Foro pad., 1970, I, col 136 segg.; S. ALAGNA,

Contratti bancari di intermediazione creditizia, cit., pag. 79; Cass. 25 marzo 1969, n.

957, Sommadossi c. Credito consorziale di Bressanone, in Banca, borsa, tit. cred.,

1969, II, pag. 499).

A ben vedere, i contratti bancari di credito sono caratterizzati dall’elemento della

fiducia in un senso assolutamente ampio, travalicante l’elemento dell’intuitus personae

in senso proprio (rilevanza delle qualità personali); laddove soltanto si pensi che la

banca concede credito valutando tanto la volontà di restituire (valutazione della

correttezza dell’affidato; in questa prospettiva il contratto di credito potendo anche

rientrare nella categoria dei contratti “uberrimae fidei”: e v. G. CRISCUOLI, Il contratto,

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di far credito risulta in principio estraneo allo statuto dell’impresa bancaria,

in quanto tra l’altro collidente – anche se congegnato in modo da escludere

le operazioni palesamente rischiose – con quel tipico ruolo selettivo che la

banca, in un’economia di mercato, è chiamata a svolgere rispetto al processo

di ottimale allocazione delle risorse12 13 .

Va da sé, peraltro, come la fattispecie descritta (delibera di

concessione del fido non seguita dal perfezionamento di un contratto di

credito) si riferisca a tutte quelle ipotesi in cui alla concessione

dell’affidamento da parte della banca non abbia fatto seguito, non solo

nessun comportamento concludente di questa, rilevante sul piano del

formale perfezionamento del rapporto creditizio, ma neppure alcun atto di

cit., pag. 31), quanto poi, su di un piano svincolato dalle qualità soggettive, l’oggettiva

capacità di farlo (valutazione del potenziale economico-finanziario dell’affidato); e cfr.

pure retro cap. II, par. 11, nota 2.

12 In tal senso, perfettamente: P. ABBADESSA, voce “Obbligo di far credito”, cit.,

pagg. 530 seg., nonché, nel tracciato, G.B. PORTALE, Tra responsabilità della banca e

“ricommercializzazione” del diritto commerciale, in AA.VV., Funzione bancaria, rischio

e responsabilità della banca, cit., pagg. 263 segg., ivi a pag. 265.

13 Conformente orientata, nel senso di escludere la configurazione di un obbligo

per le banche di concludere contratti di credito, oltre ai due autori citati nella nota che

precede, anche: G. FERRI, Intervento, in Funzione bancaria, rischio e responsabilità della

banca, cit., pagg. 246 segg., ivi a pagg. 248 seg.; A. NIGRO, Attività bancaria e vincoli a

contrarre delle banche, in Economia e credito, 1985, (3), pagg. 107 segg., anche in

AA.VV., La concorrenza bancaria, cit., 1985, pag. 239; ID., Operazioni bancarie e parità

di trattamento, in Dir. banc., 1987, I, pagg. 11, seg.; G.C. BIBOLINI, Attività bancaria e

illecito civile della banca, in AA.VV., Operazioni bancarie e responsabilità del banchiere,

Atti del Convegno di Valmadrera - Lecco del 16 e 17 gennaio 1987, Padova, 1987, pagg.

67 segg., ivi a pag. 78 segg.; F. MARTORANO, Trasparenza e parità di trattamento nelle

operazioni bancarie, cit., pagg. 700 e 708; N. SALANITRO, Tassi e condizioni nei contratti

bancari: vincoli di trasparenza e di uniformità, in Banca, borsa, tit. cred., 1989, I, pagg;

489 segg. (spec. pag. 498); C.-M. TARDIVO, Revoca di finanziamento ed obbligo a

contrarre: due facce di una sola medaglia?, idem, 1988, II, pag. 808 segg.; M.

BUSSOLETTI, Norme e progetti di legge in tema di parità di trattamento e trasparenza

nelle operazioni bancarie, cit., pagg. 230 segg. (spec. pag. 233 seg.); V. ALLEGRI, Credito

di scopo e finanziamento bancario, cit., pag. 136; L. NIVARRA, La banca fra obblighi di

contrarre e regole di trasparenza, in Contratto e impresa, 1988, pagg. 145 segg. (spec.

pagg. 151 segg.); ID., La disciplina della concorrenza. Il monopolio, in Comm. del cod.

civ., diretto da P. Schlesinger, Milano, 1992, pagg. 171 segg,; ID., L’obbligo a contrarre

ed il mercato, cit., pagg. 72 e 81, ove un’accurata analisi dell’art. 8 legge 64/1987 -

Disciplina organica dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, e dei suoi riflessi sul

problema che interessa, relativo all’obbligo di contrarre della banche.

V. tuttavia le perplessità di M. PORZIO, I contratti bancari in generale, cit., pagg.

826 seg., il quale arriva comunque ad ammettere il ruolo essenziale dell’elemento della

fiducia almeno (seppur soltanto) nei contratti di credito.

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mera tolleranza nei confronti del cliente, il quale possa in qualche modo

essere ricondotto ad una volontà della banca di dar corso ad un rapporto

creditizio.

Sotto altro e diverso profilo, il mancato perfezionamento del rapporto

creditizio con il cliente riteniamo non possa in principio esonerare la banca

dal compimento di alcuni atti direttamente dipendenti dall’assunzione

(formale) della delibera di concessione del fido.

Ci riferiamo, qui, all’obbligo dell’annotazione sul libro dei fidi delle

concessioni di fido, cioè delle delibere di concessione del fido, ancora

interne all’ente creditizio ed anteriori, come visto, al perfezionamento del

contratto di credito14 . Obbligo di annotazione, il cui riferimento al momento

deliberativo interno, anziché al momento contrattuale esterno, si spiega –

come già in parte rilevato – alla luce dell’esigenza, sia di consentire un

tempestivo controllo che tutti i rischi vengano deliberati dall’organo

competente15 , sia, soprattutto, di ancorare l’annotazione ad un momento

definito (la data della deliberazione), posta sovente l’oggettiva difficoltà di

individuare con certezza il momento perfezionativo dell’accordo

contrattuale banca-affidato.

Così come, susseguentemente all’assunzione di una delibera di fido,

sorge per la banca l’obbligo di annotare l’affidamento concesso nello

schedario nominativo dei rischi (c.d. “libro dei rischi”), strumento di

controllo, come già visto, ulteriore e differenziato rispetto al libro dei fidi16 .

La banca, infine, dovrà ottemperare all’obbligo di comunicazione alla

Centrale dei rischi delle concessioni di fido che superino un predeterminato

ammontare17 .

E da quanto appena rilevato derivano poi alcune precise conseguenze

in ipotesi di omesso, tardivo od irregolare adempimento degli obblighi

suddetti.

Innanzitutto, le omissioni e le irregolarità potrebbero concorrere a

configurare le ipotesi previste dall’art. 70, I comma, lett. a, T.U.L.Banc.:

“gravi irregolarità nell’amministrazione, ovvero gravi violazioni delle

disposizioni legislative, amministrative e statutarie che regolano l’attività

della banca”, sufficienti a condurre all’amministrazione straordinaria

dell’ente bancario.

14 Sull’obbligo dell’annotazione nel libro dei fidi, v., retro, cap. II.

15 In tal senso, v. G.C.M. RIVOLTA, Documentazione e prova, cit., pagg. 352 seg.;

e v. anche, più approfonditamente, retro, cap. II.

16 Sull’obbligo dell’annotazione nello schedario nominativo dei rischi, v., retro,

cap. II.

17 Sull’obbligo di segnalazione alla Centrale dei rischi, v. sempre retro, cap. II.

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Inoltre, sul piano sanzionatorio, l’art. 144, I comma, T.U.L.Banc.

punisce l’inosservanza delle norme dettate in materia di vigilanza

regolamentare irrogando pene pecuniarie di natura amministrativa a chi, tra

coloro che svolgono funzioni di amministrazione e di direzione e tra i

dipendenti, debba imputarsi l’infrazione18 .

5. Segue. La responsabilità per concessione “abusiva” di fido.

Un particolare e rilevante profilo di responsabilità che potrebbe

configurarsi a carico della banca nell’attività creditizia è quello, chiaramente

delineato in dottrina, relativo alla concessione c.d. “abusiva” del fido:

l’ipotesi è quella in cui una banca, pur conoscendo (o potendo conoscere)

che un’impresa è in stato di dissesto pre-fallimentare, concede ugualmente

credito alla stessa; facendo magari affidamento, per il futuro “rientro”

dell’esposizione, sulle garanzie rilasciate dai soci o da terzi1.

18 In punto, cfr. G.C.M. RIVOLTA, Documentazione e prova, cit., pag. 365, ove

ulteriori approfondimenti in ordine a possibili sanzioni fiscali (art. 51, d.p.r. 29 settembre

1973, n. 600) e ad altre sanzioni indirette ed eventuali (artt. 2393, 2407, 2409, 2710 cod.

civ.; artt. 160, n. 1; 187; 203; 216, n. 2; 217, II comma; 223; 224; 227, legge fall.); nonché,

oggi, M. CONDEMI, Commento all’art. 144, cit., passim.

1 Sul tema, ove scarseggiano decisioni giurisprudenziali (v. comunque infra), cfr.,

in dottrina, il fondamentale saggio di A. NIGRO, La responsabilità della banca per

concessione “abusiva” del credito, in Giur. comm., 1978, I, pagg. 219 segg., ed in

AA.VV., Le operazioni bancarie, a cura di G.B. Portale, cit., I, pagg. 301 segg.; nonché,

altresì: ID., Revocatoria delle rimesse in conto corrente e posizione della banca nei

rapporti di concessione di credito, in Giur. comm., 1980, I, pagg. 290 segg., spec. pag.

306; R. CLARIZIA, “La responsabilité du banquier donneur de crédit” (La responsabilità

del banchiere in una recente sentenza della Cassazione francese), in Banca, borsa, tit.

cred., 1976, I, pagg. 361 segg., ID., Sulla responsabilità del banchiere (recensione a J.

Vézian), in Riv. dir. civ., 1976, II, pagg. 436 segg.; A. PRINCIPE, Concessione abusiva di

credito e problemi di responsabilità della banca, in AA.VV., Responsabilità contrattuale

ed extracontrattuale delle banche, Atti del Convegno di Alghero dell’8-10 novembre

1984, Milano, 1986, pagg. 355 segg.; G. LO CUOCO, Responsabilità della banca per

concessione abusiva di credito, idem, pagg. 211 segg.; G.C. BIBOLINI, Responsabilità

della banca per finanziamento ad imprenditore insolvente, idem, pagg. 29 segg.; A.

BORGIOLI, Responsabilità della banca per concessione “abusiva” di credito?, in AA.VV.,

Funzione bancaria, rischio e responsabilità della banca, cit., pagg. 197 segg.; M.

COMPORTI, Rischio professionale della banca e responsabilità extracontrattuale?, idem,

pagg. 21 segg., ivi a pagg. 33 segg.; C. CASTRONOVO, Diritto privato generale e diritti

secondi. Responsabilità civile e impresa bancaria, idem, pagg. 275 segg.; ID., La nuova

responsabilità civile, IIª Ediz., Milano, 1997, pagg. 100 segg.; J. VEZIAN, Intervento, in

AA.VV., Funzione bancaria, cit., pagg. 225 segg.; M. VASSEUR, Intervento, idem, pagg.

252 segg.; M. PORZIO, Intervento, idem, pagg. 239 segg.; ID., I contratti bancari in

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È chiaro peraltro che qui il profilo “abusivo” non è tanto connesso alla

decisione di concedere un fido, bensì, essenzialmente, alla successiva fase

del suo concreto utilizzo: è difatti solo con l’utilizzo del fido che possono

pienamente configurarsi quelle conseguenze negative per i creditori di cui

adesso diremo.

Il problema viene comunque trattato in questa sede, essendo relativo,

nella sostanza, più alle decisioni imprenditoriali dell’ente bancario, che al

concreto svolgersi negoziale di un rapporto creditizio già deliberato.

La problematica che interessa ha, come noto, radici remote nella

giurisprudenza e nella dottrina sia francese che belga2 3; ove gli orientamenti

generale, cit., pag. 824, nota 34; G.B. PORTALE, Tra responsabilità della banca e

“ricommercializzazione” del diritto commerciale, cit., pagg. 263 segg.; G. FERRI,

Intervento, cit., pagg. 246 segg.; F. GALGANO, La responsabilità civile del banchiere, in

AA.VV., Operazioni bancarie e responsabilità del banchiere, cit., pagg. 21 segg., ivi a

pagg. 35 segg.; ID., Civile e penale nella responsabilità del banchiere, in Contratto e

impresa, 1987, pagg. 20 segg.; A. FIORITO, Intervento, in AA.VV., La responsabilità del

banchiere, cit., pagg. 161 segg.; V. RUTA, Intervento, idem, pagg. 267 segg.; M. BRONZINI,

Responsabilità bancaria in Francia, in Banca, borsa, tit. cred., 1980, I, pagg. 376 segg.;

M. FOSCHINI, La concessione e la revoca del fido bancario e il fallimento del cliente, in

Dir. fall., 1992, I, pagg. 503 segg.; N. SALANITRO, Le banche e i contratti bancari, cit.,

pagg. 252 seg.; G. TERRANOVA, La responsabilità della banca nei confronti dei creditori

dell’impresa finanziata, in ID., Profili dell’attività bancaria, cit., pagg. 193 segg., ivi a

pagg. 210 segg.; B. INZITARI, Concessione abusiva del credito: irregolarità del fido, false

informazioni e danni conseguenti alla lesione dell’autonomia contrattuale, in Dir. banc.,

1993, I, pagg. 412 segg.; ID., Irregolarità del fido e responsabilità della banca per

concessione abusiva del credito, in AA.VV., Scritti in onore di Luigi Mengoni, Milano,

1995, pagg. 1479 segg.; G. RENNA, Responsabilità della banca per inosservanza delle

cautele imposte alle aziende di credito, in Corr. giuridico, 1993, pagg. 834 segg.; G.

FRANCHINA, La responsabilità della banca per concessione “abusiva” di credito, in Dir.

fall., 1988, I, pagg. 656 segg..

2 La produzione giurisprudenziale francese è vastissima: dalle remote Cass. civ. 1°

agosto 1876, in Sirey, 1876, I, pag. 457 e Trib. Paris, 21 novembre 1861, idem, 1881, II,

pag. 144, alle più recenti Cass. comm. 2 maggio 1972, in Rec. Dalloz, 1972, J, pag. 618;

Cass. comm. 5 gennaio 1973, idem, 1973, J, pag. 577; Cass. comm. 19 marzo 1974, idem,

1975, J, pag. 124; Rev. soc., 1975, pag. 155; Cass. comm. 9 ottobre 1974, idem, 1975, pag.

245; Cass. comm. 7 gennaio 1976, idem, 1976, pag. 126; Cass. comm. 9 maggio 1978, in

Rec. Dalloz, 1978, J., pag. 419; Cass. civ. 16 ottobre 1979, idem, 1980, J, pag. 212; Cass.

comm. 2 febbraio 1976, in Banque, 1978, pag. 1021; Cass. comm. 9 luglio 1979, in Rec.

Dalloz, 1980, J., pag. 265; Cass. civ. 16 ottobre 1979, idem, J, pag. 212; App. Paris, 6

gennaio 1977, in Banque, 1977, pag. 476; App. Rouen, 8 aprile 1975, in Banque, 1975,

pag. 872; App. Aix en Provence, 23 febbraio 1979, in Rec. Dalloz, 1980, J, pag. 286.

Per la giurisprudenza belga v.: Cass. 19 marzo 1976, in Rev. crit. jur. bel., 1977,

pag. 38; Trib. comm. Bruxelles, 16 giugno 1976, in Rev. banque, 1976, pag. 298.

3 Per la dottrina francese cfr., tra i molti, principalmente: M. VASSEUR, La

responsabilité civile du banquier dispensateur de crédit, IIIª Ediz., Paris, 1978, passim; J.

VEZIAN, La responsabilité du banquier en droit privé français, Paris, 1977, pagg. 149

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assolutamente prevalenti tendono ad ammettere la configurabilità di una

speciale responsabilità in capo alla banca che conceda credito in modo

“imprudente” (“non orthodoxe”), ravvisando in tale attività gli estremi

dell’illecito qualora si produca un danno per i terzi creditori: sia quelli

anteriori alla concessione del fido (ai quali il finanziamento abusivo

potrebbe recare pregiudizio, importando un ritardo nell’inizio della

procedura concorsuale ed un conseguente aggravio dello stato di dissesto),

sia quelli successivi (per i quali il pregiudizio potrebbe configurarsi

nell’ipotesi in cui questi abbiano concesso credito all’impresa sull’erroneo

presupposto di una fittizia solvibilità prodotta dal fido concesso

abusivamente)4.

Nell’esperienza d’oltralpe, si tratterebbe in particolare di

responsabilità extracontrattuale (ex art. 1382 cod. civ. franc.) per lesione di

un diritto di credito (i.e.: il credito concesso all’imprenditore affidato, dagli

altri suoi creditori)5.

segg.; AA.VV., Responsabilité professionnelle du banquier: contribution à la protection

des clients de la banque, Paris, 1978, passim; C. GAVALDA e J. STOUFFLET, Droit de la

banque, Paris, 1974, pagg. 583 segg.; J. STOUFFLET, L’ouverture de crédit peut-elle être

source de responsabilité envers les tiers?, in Juris class. périod., 1965, I, pagg. 1882

segg.; R. RODIERE e J.L. RIVES-LANGE, Droit bancaire, IIIª Ediz., Paris, 1980 pagg. 78

segg..

Per la dottrina belga, v. tra gli altri: P. VAN OMMESLAGHE, La responsabilité du

banquier dispensateur de crédit en droit belge, in Rev. de la banque, 1979, pagg. 5 segg.;

R. CUIGNET, La responsabilité juridique du banquier donneur de crédit, idem, 1976, pagg.

4 segg.; A. ZENNER, Responsabilités du donneur de crédit, idem, 1974, pagg. 707 segg.;

ID., Nouveaux développements de la responsabilité du dispensateur de crédit, in Journal

des tribunaux, 1977, pagg. 53 segg..

E v. anche, in Germania: K.J. HOPT, Rechtspfichten der Kreditinstitute zur

Kreditversordnung, Kreditbelassung und Sanierung von Unternehmen, in Z.H.R., 1979,

pagg. 139 segg.; nonché, in Svizzera: H. SCHOENLE, La responsabilité extracontractuelle

du donneur de crédit envers les tiers en droit suisse, in Schweizerische Aktiengesellschaft,

1977, pagg. 149 segg.; ID., Rechtvergleichender Aspekte (Frankreich, Belgien, Schweiz)

der Bankenhaftung aus Sanierungsaktionen, in Z.H.R., 1979, pagg. 208 segg..

4 Cfr. B. INZITARI, Concessione abusiva del credito, cit., pag. 422; e v. anche le

considerazioni da noi effettuate retro, cap. II, par. 8, e concernenti, in generale, la

rilevanza, sul piano dell’“immagine”, della mera concessione di un fido,

indipendentemente quindi dal suo concreto utilizzo.

5 Sull’argomento, in Italia, cfr. principalmente: F.D. BUSNELLI, La lesione del

credito da parte di terzi, Milano, 1964; P. TRIMARCHI, Sulla responsabilità del terzo per

pregiudizio del credito, in Riv. dir. civ., 1983, I, pag. 217.

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Questa impostazione, nonostante le attuali ben note tendenze

ampliative dell’area dell’illecito aquiliano6, non è riuscita ad essere

pienamente recepita dalla dottrina italiana, ove può ben dirsi diffuso, al

riguardo, un atteggiamento di tendenziale cautela.

Come anche ben sintetizzato da Terranova7, le ragioni essenziali di

tale atteggiamento possono ricondursi, principalmente, alle seguenti.

Innanzitutto, sul piano della giustizia sostanziale, non è parso

prospettabile che una banca, dopo aver finanziato un’impresa ed aver

perduto notevoli somme, sia tenuta a risarcire anche gli altri creditori del

fallimento, trasformandosi praticamente in “debitore della massa”.

In secondo luogo, non è parso in alcun modo opportuno, questa volta

sul piano della politica del diritto, configurare ostacoli ai finanziamenti

bancari, soprattutto alla luce dell’importanza vitale che (almeno in Italia) ha

sempre rivestito il credito bancario per la massa delle imprese

sottocapitalizzate.

Infine, ed è questo l’argomento certamente più complesso ed

articolato, si è dubitato che l’“abusiva” concessione del credito possa

configurare un atto illecito produttivo di danno “ingiusto”, ex art. 2043 cod.

civ.: e ciò in quanto non verrebbero lesi, nella specie, interessi

giuridicamente protetti.

Ed è su tale ultimo delicato aspetto che, seppur brevemente, converrà

soffermarsi8.

Innanzitutto, occorre subito precisare che la concessione “abusiva”

del fido non sembra possedere una diretta incidenza sul credito del terzo,

non sembra provocare una diretta lesione del credito stesso, il quale ci pare

“conservi” – sul piano oggettivo – tutti i propri caratteri (tra i quali,

principalmente, quello dell’esigibilità): la concessione del fido ha qui, in

effetti, come unica concreta conseguenza quella di ritardare i tempi della

procedura concorsuale. Né, per altro verso, com’è stato esattamente

evidenziato9, sembra possibile configurare la generale garanzia patrimoniale

6 E cfr., per la tendenza, il noto saggio di F. GALGANO, Le mobili frontiere del

danno ingiusto, in Contratto e impresa, 1985, pagg. 1 segg., ove si giunge a paragonare

l’area del danno risarcibile all’“immagine dell’universo in espansione”.

7 G. TERRANOVA, La responsabilità della banca nei confronti dei creditori, cit.,

pagg. 213 seg..

8 Per convincenti obiezioni alle prime due considerazioni critiche, appare

esauriente rinviare allo scritto di G. TERRANOVA, La responsabilità della banca nei

confronti dei creditori, cit., pagg. 214 segg..

9 E v., in punto, le osservazioni di A. BORGIOLI, Responsabilità della banca per

concessione “abusiva”, cit., pagg. 205 segg.; G. TERRANOVA, La responsabilità della

banca nei confronti dei creditori, cit., pagg. 216 segg..

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(del debitore) come un diritto soggettivo accessorio al credito (tipo pegno o

ipoteca), sicché sarebbe piuttosto arduo, almeno sul piano dei fondamenti

giuridici, ammettere una comune tutela risarcitoria per le lesioni della

garanzia patrimoniale in presenza delle specifiche azioni di conservazione e

di reintegrazione previste dalla legge (artt. 2900 segg. cod. civ.; 64 segg.,

legge fall.)10.

Ma in realtà, a parte quanto appena osservato, occorre riflettere se non

sia il caso di spostare più utilmente il discorso su di un piano

sostanzialmente differente, non più ancorato alla sequenza “concessione di

fido danno ingiusto risarcimento” (che abbiamo visto non

eccessivamente sicura), bensì alla diversa sequenza “concessione di fido

(strumentale al conseguimento di un) ritardo nell’apertura della procedura

fallimentare danno (concorsuale) del terzo”.

Ci sembra infatti che la concessione del fido ad una impresa in stato di

decozione, pur integrando un’attività in sé lecita e corrispondente

all’esercizio di un diritto, si possa trovare esposta ad un’azione risarcitoria

qualora (si provi che tale attività) sia chiaramente strumentale al diretto

perseguimento di vantaggi egoistici a pregiudizio degli altri creditori, in

sostanziale dispregio del principio della par condicio11: è ad esempio il caso

– a dire il vero piuttosto frequente nella pratica12 – dei fidi concessi (o,

meglio, non revocati) al solo fine di permettere di giungere ai (...sospirati)

consolidamenti di ipoteche, pegni o pagamenti, costituiti od effettuati

dall’imprenditore affidato.

In tali casi, e salva peraltro ogni possibile conseguenza sul piano

penale (artt.: 137, II comma, T.U.L.Banc.; 217, II comma, n. 4, e 218, I

comma, legge fall.), riterremmo certo possibile per i creditori dell’affidato –

previa ovviamente dimostrazione delle concrete finalità fraudolente nella

concessione (o nel mantenimento) del fido – agire nei confronti della banca

finanziatrice per una tutela risarcitoria ex art. 2043 cod. civ.

E quanto sopra ha trovato finalmente un sostanziale recepimento

anche da parte della nostra giurisprudenza di legittimità13, la quale ha

10 V. tuttavia, le osservazioni critiche e gli spunti offerti da G. TERRANOVA, La

responsabilità della banca nei confronti dei creditori, cit., pagg. 217 segg., soprattutto in

relazione al disposto di cui all’art. 2394 cod. civ..

11 E v. ancora gli spunti di G. TERRANOVA, La responsabilità della banca nei

confronti dei creditori, cit., pagg. 220 seg..

12 E v. infra, il successivo par. 6. Per altre ipotesi v. B. INZITARI, Concessione

abusiva del credito, cit., pagg. 418 segg.; G. LO CUOCO, Responsabilità della banca, cit.,

pagg. 212 segg..

13 Con la notissima Cass. 13 gennaio 1993, n. 343, Cassa di Risparmi di Livorno

c. Banco di Sardegna, Banca Cesare Ponti e Cassa di Risparmio di Modena, in Dir. banc.,

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ravvisato un profilo di responsabilità extracontrattuale in capo alla banca

che, nel concedere credito (immeritato) ad un cliente potenzialmente

insolvente, abbia ingenerato nei creditori di quest’ultimo l’erroneo

convincimento della sua solvibilità14; responsabilità la cui fonte è stata tra

l’altro individuata nella violazione, oltre che dei principî che regolano la

corretta erogazione del credito nell’àmbito del sistema bancario, anche dei

doveri di solidarietà sociale contemplati nell’art. 2 della Costituzione, i quali

comportano che “diritti ed obblighi, seppur specificatamente regolati dalle

norme che li prevedono, non possono mai prescindere dall’osservanza del

principio di buona fede, operante all’interno delle posizioni soggettive, non

potendo l’autore di un comportamento scorretto trarre da esso utilità con

altrui danno”15.

6. La “destinazione” del fido.

Decisa dalla banca la concessione del fido al cliente e posto in essere

– in una determinata forma tecnica – il rapporto contrattuale di credito, si

presenta il momento “esecutivo”, potremmo dire operativo,

dell’affidamento: è la fase dell’utilizzo.

Tale fase risulta caratterizzata dalla coesistenza del rapporto bancario

di fido (cioè dalla “posizione” bancaria di credito facente capo ad un

soggetto) con uno o più rapporti negoziali, di stampo tipicamente

privatistico, intercorrenti tra banca e cliente e disciplinati dalle comuni

regole concernenti i negozi di credito (ovvero i negozi di garanzia,

nell’ipotesi di fidi “di firma”).

1993, I, pag. 399; in Giur. it., 1993, I, 1, col. 2129; in Corr. giuridico, 1993, pag. 834; in

Resp. civ., 1993, pag. 808; in Banca, borsa, tit. cred., 1994, II, pag. 258; in Giust. civ.,

1993, I, pag. 1189; in Soc. e dir., 1993, pag. 435.

14 Rileva efficacemente B. INZITARI, Concessione abusiva, cit., pag. 422, come il

terzo creditore o contraente possa “risultare danneggiato o perché ha instaurato rapporti

contrattuali, o perché ha omesso di interrompere rapporti contrattuali già in essere, che, al

contrario, in condizioni di normalità del patrimonio del sovvenuto, ragionevolmente

sarebbero stati interrotti (decadenza dal beneficio del termine o risoluzione ex art. 1461

cod. civ., ecc.) e che, invece, il terzo non ha potuto esercitare, in quanto il comportamento

irregolare della banca non ha consentito il naturale e, appunto, ragionevole manifestarsi

dell’insolvenza”.

15 Così, testualmente in motivazione, Cass. 13 gennaio 1993, n. 343, cit.; e cfr., in

punto, le cosiderazioni di G. SICCHIERO, Appunti sul fondamento costituzionale del

principio di buona fede, in Giur. it., 1993, I, 1, col. 2129 segg..

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La fase ora in esame appare così peculiarmente contraddistinta dalla

reciproca influenza che producono tra loro gli aspetti relativi all’affidamento

e gli aspetti relativi al rapporto contrattuale di credito; strumentale –

quest’ultimo – all’utilizzo dell’affidamento stesso.

In altri termini, ciò che intendiamo sottolineare è che le vicende

concernenti il contratto creditizio – pur concettualmente autonome rispetto

alle vicende del fido – non risultano avulse e comunque del tutto

indipendenti da queste ultime; così come, per certi aspetti, la dinamica del

fido può risultare sicuramente influenzata dagli eventi caratterizzanti

l’andamento del rapporto contrattuale.

Saranno principalmente tali connessioni che andremo ad analizzare

nel presente paragrafo ed in quelli successivi, cercando anche di cogliere –

nell’ottica che interessa – gli aspetti peculiari dei fenomeni creditizi in

questione e di sfuggire, nel contempo, alle inevitabili suggestioni che le

analisi relative ai diversi rapporti contrattuali potrebbero produrre al fine di

un approfondimento delle relative discipline. Tale approfondimento esula

infatti, a tutta evidenza, da questo studio, risultando invece pertinente alle

specifiche indagini compiute intorno alle numerose fattispecie contrattuali

che si riscontrano oggi nell’àmbito dell’attività creditizia svolta dagli enti

bancari1.

Ora, pressoché tutta la modulistica concernente le “domande di fido”

che i soggetti richiedenti presentano alle banche, prevede modelli di

richiesta che evidenziano la dichiarazione di volontà relativa alla

destinazione del fido nell’ipotesi in cui questo venga concesso2.

1 Come già accennato, la nomenclatura tecnica delle differenti forme contrattuali

“a valle” del fido bancario è pressoché illimitata; così come l’articolazione delle linee di

credito, conosciute nella prassi, assume contorni assai differenziati da banca a banca.

Le differenti forme tecniche si “riconducono” pressoché generalmente ai ben noti

paradigmi creditizi di base (aperture di credito; anticipazioni bancarie; sconti, mutui,

fidejussioni; avalli; crediti documentari; cauzioni; accettazioni) e nell’àmbito delle relative

discipline andranno collocate; naturalmente non trascurando l’evidenziazione delle

peculiarietà tipiche di quegli schemi negoziali più moderni, non sempre riconducibili ai

classici paradigmi sopraelencati.

2 Come già rilevato in precedenza (cfr. cap. II, par. 11), la Banca d’Italia, sin dal

1985, ha cessato di predisporre modelli tipizzati di richiesta fidi; in quanto ritenuti

potenzialmente non corrispondenti alle diverse esigenze che si manifestano in concreto.

Tuttavia, da un’indagine da noi effettuata in banche di diverse categorie, si è potuta

riscontrare la previsione della dichiarazione di destinazione del fido in diciassette moduli

di richiesta del fido su venti esaminati.

E v. anche: A. FANTECHI, Il fido bancario. L’istruttoria delle domande, cit., pagg.

15 segg.; G. MOLLE, I contratti bancari, cit., pagg. 156 seg.; G. ROSTI, voce “Fido”, cit.,

pagg. 187 seg..

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È chiaro che l’indicazione di tale “destinazione” – la quale peraltro

dev’essere espressa in modo esauriente, non apparendo certo sufficienti

locuzioni generiche del tipo “per le necessità della propria attività”3 – non

sembra possedere sempre una valenza di “impegnatività” riflettentesi in ogni

caso sul rapporto contrattuale.

Soltanto in alcune ipotesi, difatti, la “destinazione” indicata al

momento della richiesta di fido viene poi recuperata, “ripresa” nell’àmbito

del contratto di credito, divenendo così parte integrante dello stesso,

qualificante poi anche a livello causale4. Ci riferiamo a quelle ipotesi in cui

il rapporto di credito viene a sostanziarsi in un contratto di finanziamento

caratterizzato dalla presenza di una specifica clausola di destinazione5,

normalmente “legale”6, ovvero, più raramente, “volontaria”7.

3 L’esempio è tratto da A. FANTECHI, Il fido bancario. L’istruttoria delle domande,

cit., pag. 25.

4 E v., per tutti, M. FRAGALI, voce “Finanziamento (diritto privato)”, cit., pagg.

605 segg..

5 Sulla clausola di destinazione v., per tutti, V. ALLEGRI, Credito di scopo e

finanziamento bancario, cit., pagg. 111 segg., ove numerosi esempi concreti di clausole;

nonché N. CORBO, Autonomia privata, cit., pagg. 122 segg.; G. COLLURA, Finanziamento

agevolato e clausola di destinazione, cit., passim; A. ZIMATORE, Il mutuo di scopo, cit.,

pagg. 107 segg.; M. RISPOLI FARINA, Il mutuo di scopo, cit., pagg. 722 segg.; M. FRAGALI,

Il mutuo di scopo, cit., pagg. 496 segg.; A. MUNARI, Il leasing finanziario nella teoria dei

crediti di scopo, Milano, 1989, passim. Cfr. anche, in un’ottica più ampia; R.

PERCHINUNNO, Funzione creditizia e fine convenzionale, cit., pagg. 107 segg.; e S.

MAZZAMUTO, Pubblico e privato nel sistema degli ausili finanziari all’impresa, in

AA.VV., I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, cit., I, pagg.

641 segg..

6 Non è tanto la clausola che ha natura e provenienza legale, quanto la

destinazione, prevista poi dalla clausola.

Non è qui possibile analizzare le diverse fattispecie normative, comuni soprattutto

nel settore dei finanziamenti agevolati a medio e lungo termine (sull’argomento, cfr.

comunque, tra i molti, almeno: V. ALLEGRI, Credito di scopo, cit., pagg. 114 segg., R.

COSTI, Lo statuto dell’impresa agevolata, in AA.VV., Problemi giuridici delle

agevolazioni finanziarie alla industria, cit., pagg. 338 segg.; V. BUONOCORE, Profili

privatistici del mutuo agevolato, idem, pagg. 258 segg.; P. SCHLESINGER, Credito

agevolato e mutuo di scopo, idem, pagg. 273 segg.; A. GALASSO, voce “Finanziamenti

pubblici”, cit., pagg. 764 segg.; A. POLLICE, Soggetto privato e ausilio finanziario

pubblico. Mutuo e destinazione nel credito agevolato, Napoli, 1984, pagg. 206 segg.; S.

MAZZAMUTO, Il rapporto di finanziamento “agevolato”: aspetti privatistici

dell’attuazione, cit., pagg. 419 segg.; L. NIVARRA, Il contratto di finanziamento tra codice

e legislazione speciale, in Foro it., 1982, I, col. 1688 segg.; R. PERCHINUNNO, Funzione

creditizia e fine convenzionale, cit., passim.; ID., Il mutuo di scopo, cit., pagg. 695 segg.).

Preme soltanto rimarcare come, a differenza dei crediti “alle opere pubbliche” (art. 42,

T.U.L.Banc.), “agrario” e “peschereccio” (artt. 43 - 45, T.U.L.Banc.; su cui: A.

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Come detto, però, nella maggioranza dei rapporti attuativi del fido

bancario la destinazione dello stesso non viene affatto contemplata dalle

parti nel contesto contrattuale di esecuzione; non incidendo così né sulla

“causa” del negozio, il quale pertanto rimane caratterizzato da una funzione

creditizia neutra, o “pura”, né sulle obbligazioni (contrattuali) del cliente, il

quale pertanto non risulterà in alcun modo tenuto (ex contractu) a rispettare

una determinata destinazione d’impiego delle somme oggetto

dell’affidamento. Con l’ulteriore significativa conseguenza che – a

differenza dei contratti caratterizzati dalla presenza di una specifica clausola

(legale o volontaria) di destinazione – non sarà qui possibile configurare

JANNARELLI, Il credito agrario e peschereccio nel t.u. della legge bancaria, in Dir. e giur.

agr. e ambiente, 1994, pagg. 197 segg.), il credito “fondiario”, disciplinato dagli artt. 38 -

41, T.U.L.Banc., non sia figura sussumibile nella categoria dei crediti di scopo (conf., per

tutti, M. SEPE, Commento all’art. 38 T.U.L.Banc., in AA.VV., Commentario al testo unico,

cit., pag. 204; e sul credito fondiario, anche per altri aspetti: S. TONDO, Appunti sul nuovo

mutuo fondiario, in Vita not., 1994, pagg. 609 segg.; ID., Nuovi appunti sul mutuo

fondiario, idem, 1995, pagg. 85 segg.; S. BONFATTI, La disciplina dei crediti speciali nel

“testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia”, in Giur. comm., 1994, I, pagg.

1010 segg.; V. BENEDETTI, La riforma del credito fondiario nella nuova legge bancaria,

in Fallimento, 1994, pagg. 5 segg.;C.-M. TARDIVO, Il credito fondiario e alle opere

pubbliche nel testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia cit., pagg. 1292

segg.; ID., Il credito fondiario nella nuova legge bancaria, cit., passim; M. RISPOLI

FARINA, Prime riflessioni sulla riforma dei crediti speciali operata dal testo unico in

materia bancaria e creditizia, in AA.VV., La nuova legge bancaria. Prime riflessioni, cit.,

pagg. 163 segg.; G. PRESTI, Le particolari operazioni di credito nel nuovo ordinamento,

cit., pagg. 102 segg.; C. COSTA, Il credito fondiario nelle procedure esecutive e nelle

procedure concorsuali alla luce del nuovo t.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia,

in Dir. fall., 1994, I, pagg. 562 segg.; G. BOZZA, Il credito fondiario nel nuovo T.U.

bancario, Padova, 1996; A. PATRONI GRIFFI, La nuova disciplina del credito fondiario:

requisiti e caratteristiche dell’operazione. Tipicità e obbligatorietà della disciplina, in

Riv. dir. impresa, 1996, pagg. 245 segg.; G.L. TREQUATTRINI, Le operazioni di credito

fondiario, cit., I, pagg. 622 segg.; nonché gli scritti di: A.U. PETRAGLIA, L. PATRIA, A.

CITONI, G. CASTALDI, G. LAURINI, P. LOCATELLI e V. CARBONE, in AA.VV., La nuova

disciplina del credito fondiario, Roma, 1997); e sulle “particolari operazioni di credito” di

cui agli artt. 38 segg. T.U.L.Banc., cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti

creditizi, LXII (ediz. aprile 1996), a commento delle quali: A. NAPOLITANO, Le nuove

istruzioni della Banca d’Italia sul credito fondiario, in Impresa, comm. ind., 1995, pagg.

1429 segg.; G. TUCCI, Particolari operazioni di credito: credito fondiario, agrario e

peschereccio, in AA.VV., Il Testo Unico: esperienze e prospettive, cit., pagg. 255 segg..

7 Sulla clausola di scopo volontaria, cfr., diffusamente, V. ALLEGRI, Credito di

scopo, cit., pagg. 136 segg.; G. GIAMPICCOLO, voce “Mutuo (diritto privato)”, in Enc. del

dir., XXVII, Milano, 1977, pagg. 454 segg.; R. PERCHINUNNO, Funzione creditizia e fine

convenzionale, cit., pagg. 55 segg.; ed anche – in un’ottica però non del tutto condivisibile

– M. BACCIGALUPI, Note sul contratto di finanziamento, in Dir. ed economia, 1955, pagg.

103 segg. Un cenno anche in G. FERRI, voce “Apertura di credito”, cit., pag. 604.

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ipotesi di risoluzione del rapporto per inadempimento8, conseguenti a

difformi destinazioni delle somme.

Resta comunque il fatto che il richiedente l’affidamento – all’atto

della domanda – dichiara una specifica destinazione del fido e che la banca

pone normalmente in essere, soprattutto per i fidi di rilevante importo,

costanti verifiche in merito al concreto impiego delle somme anche laddove

il regolamento contrattuale non “contenga” poi la clausola di vincolo.

Ma la dichiarazione del cliente relativa alla destinazione del fido non

sembra in alcun modo incidere sulla natura e sulla disciplina del contratto di

credito; così come poi le verifiche compiute dalla banca in merito alla

destinazione degli impieghi non possono certo accreditare tentativi di

assimilazione di quei rapporti contrattuali, in cui la destinazione del credito è

del tutto estranea all’elemento causale del negozio, a quei rapporti

contrattuali caratterizzati proprio dallo scopo creditizio9.

In verità gli è che, da un lato, la dichiarazione del richiedente il fido

(relativamente alla destinazione di questo) appare esclusivamente finalizzata

a consentire alla banca, nella fase istruttoria, una concreta valutazione

dell’impiego produttivo delle somme richieste, nell’ottica di un corretto

apprezzamento del globale merito creditizio del cliente e del rischio

bancario: senza quindi alcuna incidenza sugli elementi causali del

successivo (e peraltro eventuale) contratto di credito, ovvero su profili di

impegnatività (e conseguentemente di responsabilità) per il richiedente10;

8 Che il mancato rispetto della clausola di destinazione del credito possa

configurare una causa di risoluzione del contratto per inadempimento, ex art. 1453 cod.

civ., è pressoché pacifico; e v., per tutti: G. GAMPICCOLO, voce “Mutuo (diritto privato)”,

cit., pagg. 456 segg.; M. RISPOLI FARINA, Il mutuo di scopo, cit., pag. 734; N. CORBO,

Autonomia, cit., pag. 125; V. ALLEGRI, Credito di scopo, cit., pag. 138, ove, alla nota 91,

ulteriori riferimenti ed, alle pagg. 139 segg., un’accurata analisi di fattispecie particolari

(finanziamento successivo al raggiungimento dello scopo; rinuncia all’utilizzo del credito

da parte del beneficiario; perdita della qualificazione soggettiva del beneficiario;

inadempimento parziale; ecc.); ma v. anche le perplessità espresse da R. PERCHINUNNO, Il

mutuo di scopo, cit., pagg. 672 seg..

9 Perfettamente e chiaramente, in tal senso: S. ALAGNA, Contratti bancari di

intermediazione creditizia, cit., pagg. 178 seg.; e v. anche N. CORBO, Autonomia, cit.,

pagg. 122 segg..

10 La destinazione delle somme richieste a credito può assumere significativa

rilevanza – sotto lo specifico profilo della rischiosità dell’impiego, e, segnatamente,

dell’individuazione dell’effettiva garanzia che assiste l’affidamento – nella specifica

ipotesi in cui il fido venga richiesto alla banca da uno solo dei coniugi in regime di

comunione dei beni; essendo stato rilevato come la richiesta di un credito, se non viene

speso il nome della comunione, ovvero se alla banca non risulta che il credito viene

richiesto nell’interese della famiglia o per l’acquisto o l’amministrazione dei beni comuni,

non dovrebbe comportare un debito gravante sui beni della comunione (in tal senso N.

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così come, dall’altro lato, le costanti verifiche compiute dalla banca

sull’effettivo impiego delle somme erogate appaiono essenzialmente

finalizzate, nell’ottica di una sana e prudente gestione del credito bancario, a

mantenere il migliore controllo sull’andamento delle posizioni di rischio,

soprattutto alla luce della valutazione delle capacità di restituzione del

soggetto affidato11.

Si tratta, in definitiva, di tenere distinte, sul piano sia giuridico che

economico, quelle ipotesi caratterizzate da un preciso obbligo contrattuale

del cliente nell’impiego delle somme concesse in affidamento, da quelle

diverse ipotesi in cui la destinazione di tali somme rileva esclusivamente sul

piano delle valutazioni gestionali della banca per il mantenimento o meno in

essere del fido, operanti poi sul piano della piena discrezionalità

imprenditoriale bancaria. Comprendendosi così come, in quest’ultime

ipotesi, al di là della “destinazione” vera e propria delle somme (impiego a

fini commerciali, professionali, di investimento, ecc.) possa rilevare – ed in

egual misura – (il controllo sul) la costante movimentazione delle somme

(quando resa possibile da meccanismi di “rotatività”12 previsti a livello

contrattuale), indice, questo, di corretto e regolare andamento della

posizione.

Le osservazioni appena effettuate dovrebbero poi condurre a

considerare in maniera certamente differenziata – nelle due ipotesi in esame

SALANITRO, Le banche e i contratti bancari, cit., pag. 202) e, beninteso, sempre salvo

l’art. 189 cod. civ..

Sullo specifico problema, cfr. anche, approfonditamente, S. ALAGNA, Regime

patrimoniale della famiglia ed operazioni bancarie, Padova, 1988, pagg. 51 segg., ove

ogni altra indicazione, anche bibliografica; nonché, più in generale, anche per ulteriori

spunti in ordine ai rapporti tra fido e regime patrimoniale della famiglia, AA.VV., Il nuovo

diritto di famiglia e i suoi riflessi sulle operazioni di banca, a cura di A. Mineo, Milano,

1977, passim; A. AIROLDI, Conseguenze del nuovo diritto di famiglia, cit., pagg. 485

segg..

11 In quest’ottica anche: M. PORZIO, Il conto corrente, cit., pag. 920; S. ALAGNA,

Contratti bancari di intermediazione, cit., pag. 179; G. MOLLE, I contratti bancari, cit.,

pag. 156; G. ROSTI, voce “Fido”, cit., pag. 187; nonché N. CORBO, Autonomia, cit., pag.

123, il quale peraltro giustamente osserva che: “l’eventuale interesse della banca alla

destinazione del credito non si lega né ad interessi di indirizzo economico, né a volontà di

influenza sulla singola attività, ma esclusivamente a funzione di garanzia del credito

utilizzato” (corsivo nostro).

12 Il termine tecnico “rotativa di fido”, ben noto nella prassi bancaria, può dirsi

oramai entrato anche nel linguaggio comune dei giuristi e delle corti (e cfr., per tutti: F.

GAZZONI, Manuale di diritto privato, cit., pag. 1117; G. PELLEGRINO, Gli effetti del

fallimento sui contratti bancari, in Dir. fall., 1992, I, pag. 95; Cass. 29 gennaio 1964, n.

231, Soc. imp. industriali c. Ministero delle Finanze, in Giust. civ., 1964, I, pag. 2144).

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– i possibili rimedi di fronte ad un comportamento non regolare

dell’affidato.

È così possibile affermare, in principio, che, mentre nell’ipotesi di

violazione di clausola di destinazione, il rimedio appare tutto incentrato sul

contratto (risoluzione per inadempimento), solo conseguenzialmente

potendo recuperare rilevanza a livello decisionale interno (revoca

dell’affidamento), nella diversa ipotesi di inosservanza della

(originariamente dichiarata) destinazione in assenza di uno scopo

contrattualmente previsto, il rimedio “parte” dalla scelta imprenditoriale

(revoca del fido), potendosi giustificare soltanto successivamente

nell’àmbito contrattuale in virtù dei consueti meccanismi di scioglimento dei

vincoli negoziali (tipicamente: il recesso), ovvero considerando eventuali

responsabilità contrattuali per violazione dell’obbligo di buona fede.

E pertanto, sul piano operativo: a) in tutte quelle ipotesi in cui si

ravvisino violazioni di specifiche clausole di destinazione (“legali” o

“volontarie”), la banca potrà agire per la risoluzione del rapporto, ex artt.

1453 segg. cod. civ., ovvero azionare eventualmente una clausola risolutiva

espressa, ex art. 1456 cod. civ., qualora pattuita13; parallelamente poi

revocando l’originaria delibera di concessione del fido; b) in tutte le altre

ipotesi, qualora si accerti il mancato rispetto, da parte del cliente, della

(originariamente dichiarata) destinazione del fido, con allora conseguenti

valutazioni negative circa le prospettive di “rientro” della posizione di

rischio, la banca potrà deliberare la revoca dell’affidamento, comunicando

quindi tale decisione al cliente in uno con la dichiarazione di recesso (per

giusta causa) dal rapporto contrattuale di utilizzo, nelle ipotesi in cui tale

rimedio sia previsto dalla legge o dal contratto; nel caso opposto potendo

comunque, a nostro avviso, agire per la risoluzione del contratto per

violazione dell’obbligo di buona fede nell’esecuzione, ex art. 1375 cod.

civ.14 e del generale obbligo di correttezza ex art. 1175 cod. civ.15.

13 Cfr., per delle applicazioni giurisprudenziali: Trib. Milano, 20 dicembre 1982,

Casenovole s.r.l. c. Credito Commerciale, in Banca, borsa, tit. cred., 1984, II, pag. 515;

Trib. Catania, 30 aprile 1984, Cassa Regionale per il credito alle imprese artigiane

siciliane c. Bongiorno e Aresco, idem, 1986, II, pag. 106, con nota di V. ALLEGRI, Un caso

di duplice violazione della clausola di scopo in un contratto di finanziamento.

14 È opinione pressoché unanime che l’inadempimento dell’obbligo di buona fede

nell’esecuzione dei contratti – da intendersi in senso oggettivo (M.C. BIANCA, Diritto

civile, III, Il contratto, cit., pagg. 472 seg.) – generi responsabilità contrattuale, ancorché

la fonte di tale obbligazione sia legale; e v. anche A. D’ANGELO, La tipizzazione

giurisprudenziale della buona fede contrattuale, in Contratto e impresa, 1990, pagg. 702

segg., spec. pagg. 715 segg..

15 Sull’impostazione, v., conformemente orientato, M. PORZIO, Il conto corrente,

cit., pag. 920; e cfr. anche G. MOLLE, I contratti bancari, cit., pag. 157.

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Ciò posto su di un piano generale, appare ora opportuno fermare

l’attenzione, seppur brevemente, su alcuni aspetti particolari.

A) La prassi bancaria conosce da tempo forme creditizie per le quali è

tipicamente irrilevante la destinazione che viene data alle somme concesse

in affidamento. Intendiamo riferirci a quei fidi in favore di persone fisiche

(normalmente poi articolati nelle forme del mutuo o dell’apertura di credito)

in cui alla banca – al fine della consueta valutazione del merito creditizio

effettuata nell’àmbito della corretta gestione delle risorse – non interessa

conoscere (e poi verificare) l’(ottimale) impiego “produttivo” delle somme

da parte del cliente: il quale, pertanto, può “spendere” il fido come meglio

ritiene, senza che le sue scelte rischino in qualche modo di influenzare le

decisioni imprenditoriali dell’ente creditizio. Si tratta dei c.d. “prestiti

personali”16, ove, nonostante venga sempre formalmente richiesto lo scopo

del credito al momento della domanda di fido17, alla banca interessano

essenzialmente le caratteristiche patrimoniali del richiedente, risultando poi

irrilevante l’impiego “produttivo” delle somme dallo stesso ottenute.

Potendo poi qui ulteriormente rilevarsi come lo “scopo” del credito,

inizialmente dichiarato dal richiedente il prestito, potrebbe solo rilevare sul

limitato piano dei motivi (peraltro non “comuni”) e non certo assumere

rilievo di elemento causale in qualche modo riconducibile al contratto di

credito.

I rilievi appena svolti in merito alle fattispecie di “prestito personale”

non possono non provocare qualche riflessione intorno al fenomeno del

credito al consumo, la cui regolamentazione18, per molti versi, ben potrebbe

– nell’àmbito del settore bancario – venir configurata come la nuova

disciplina dei c.d. crediti personali. In particolare, interessa verificare la

fondatezza di quelle impostazioni che ravvedono nel credito al consumo un

tipo particolare di credito di scopo, caratterizzato quindi dalla destinazione19.

16 Su tale figura, in verità piuttosto trascurata dalla dottrina, cfr. principalmente,

per l’inquadramento, F. ALCARO, Contratti tipo di prestiti personali, in AA.VV., Le

operazioni bancarie, a cura di G.B. Portale, cit., II, pagg. 935 segg..

17 Per motivi, riteniamo, connessi essenzialmente all’esigenza di completezza

formale dell’istruttoria dei fidi; e di evidenziazione del particolare tipo di prestito, ai fini

poi dell’applicazione delle specifiche condizioni contrattuali.

18 È nell’àmbito della legge comunitaria per il 1991 (artt. 18-24, legge 19 debbraio

1992, n. 142), in adeguamento della Direttiva del Consiglio Cee del 22 dicembre 1986,

n.87/102, che è stata introdotta in Italia una disciplina del c.d. credito al consumo.

Tale normativa, è stata poi inserita nell’àmbito del T.U.L.Banc., agli artt. da 121 a 126. 19 Ci riferiamo a quella dottrina che ha manifestato la propensione ad inquadrare il

generale fenomeno del credito al consumo nell’ottica della tutela del consumatore,

considerato come tipico “contraente debole”. E cfr., tra i molti, ad esempio: M. BESSONE,

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La questione sorge proprio dall’analisi della vasta letteratura

sviluppatasi intorno al fenomeno del credito al consumo20 e di quella che ha

approfondito la teoria del credito di scopo21, ove, mentre nell’àmbito della

Mercato del credito, credito al consumo, tutela del consumatore, in Foro it., 1980, V, col.

80 segg.; G. ALPA e M. BESSONE, Funzione economica e modelli giuridici delle

operazioni di “credito al consumo”, in Riv. soc., 1975, pagg. 1359 segg.; G. ALPA, Diritto

privato dei consumi, Bologna, 1986, pagg. 151 segg.; D. SINESIO, Il credito al consumo.

Problemi e prospettive nella realtà italiana, in AA.VV., Credito e moneta, cit., pagg. 315

segg.; conf. A. FRISULLO, Commento all’art. 121 T.U.L.Banc., in AA.VV., Commentario

al testo unico, cit., pagg. 611 segg..

20 Sul credito al consumo, sia prima che dopo la legge n. 142/1992, la letteratura è

vastissima e non è qui possibile darne conto compiutamente; cfr. comunque, oltre agli

autori citati nella nota precedente, almeno: G. PIEPOLI, Il credito al consumo, Napoli,

1976, passim; F. CAPRIGLIONE, Credito al consumo e controllo pubblico: prospettive

d’indagine, in Bancaria, 1979, pagg. 1228 segg.; G. ALPA, Credito al consumo e tutela

del debitore nell’esperienza francese (appunti sulla legge 10 gennaio 1978, n. 78-22), in

Foro it., 1978, V, col. 179 segg.; F. MAIMERI, Prime riflessioni sulla proposta di direttiva

comunitaria sul credito al consumo, in Banca, impresa e soc., 1985, pagg. 437 segg.; G.

DE NOVA, L’attuazione in Italia delle direttive comunitarie sul credito al consumo, in Riv.

trim. dir. e proc. civ., 1992, pagg. 905 segg.; A. TIDU, La direttiva comunitaria sul credito

al consumo, in Banca, borsa, tit. cred., 1987, I, pagg. 728 segg.; ID. Il recepimento della

normativa comunitaria sul credito al consumo (legge 19 febbraio 1992, n. 142, artt.

18-24), idem, 1992, I, pagg. 403 segg.; A.A. DOLMETTA, Due quesiti sull’individuazione

della disciplina regolatrice delle operazioni di credito al consumo, idem, 1993, I, pagg.

156 segg.; F. MARTORANO, Il credito al consumo, e V. TROIANO, Credito al consumo e

attività bancaria: una doppia autorizzazione?, in AA.VV., Le direttive comunitarie in

materia bancaria e l’ordinamento italiano, a cura di A. Brozzetti e V. Santoro, Milano,

1990, pagg. 175 segg.; V. DESARIO, Credito e consumo (Intervento all’incontro di studio

di Jesi del 7-8 luglio 1989), in Credito popolare, 1989, pagg. 275 segg., in Documenti

della Banca d’Italia, 1989, n. 225, pagg. 13 segg. ed in ID., Il controllo pubblico, cit., I,

pagg. 249 segg.; M. GORGONI, Il credito al consumo, Milano, 1994; D. SINESIO, Credito al

consumo, in Dir. banc., 1987, II, pagg. 264 segg.; G. FERRANDO, Credito al consumo:

operazione economica unitaria e pluralità di contratti, in Riv. dir. comm. 1991, I, pagg.

591 segg.; L.C. UBERTAZZI, Credito bancario al consumo e direttiva Cee: prime

riflessioni, in Giur. comm., 1988, I, pagg. 321 segg., ed oggi anche in AA.VV.,

L’armonizzazione comunitaria dei diritti bancari internazionali, Studi raccolti da L.C.

Ubertazzi, Padova, 1989, pagg. 3 segg.; D. LA ROCCA, La qualità dei soggetti e i rapporti

di credito, cit., pagg. 91 segg.; A. MAISANO, Trasparenza e riequilibrio delle operazioni

bancarie, cit., pagg. 73 segg.; G. CARRIERO, Commento agli artt. 124 e 125 T.U.L.Banc.,

in AA.VV., Commentario al testo unico, cit., pagg. 622 segg.; nonché la significativa

raccolta degli scritti di G. OPPO, F. CAPRIGLIONE, L. FABII, M. CARDILLO, G. CASTALDI, L.

DESIDERIO, G. CARRIERO, C. TAGLIENTI, V. DESARIO, P. DE VECCHIS e V. PONTOLILLO, in

AA.VV., La disciplina comunitaria del credito al consumo, a cura di F. Capriglione,

Quaderni di ricerca giuridica, a cura della Consulenza legale della Banca d’Italia, n. 15,

Roma, 1987.

21 Cfr., in particolare, S. ALAGNA, Contratti bancari di intermediazione, cit.; R.

CLARIZIA, voce “Finanziamenti (diritto privato)”, loc. cit.; ID., La causa di finanziamento,

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prima emerge la marcata tendenza a configurare il fenomeno del credito al

consumo come credito caratterizzato dalla destinazione, nell’àmbito della

seconda non è dato rinvenire significativi riferimenti al fenomeno de quo,

talvolta anzi portato proprio come esempio di irrilevanza della

destinazione22.

In effetti, a prima vista, potrebbe anche sembrare che l’odierna

normativa riconduca la fattispecie “credito al consumo” nell’àmbito del

credito caratterizzato dallo scopo; l’art. 121, I comma, T.U.L.Banc.,

definendo credito al consumo “la concessione di credito (...) a favore di

persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o

professionale eventualmente svolta”.

In realtà, però, lo scopo qui non sembra assumere rilevanza “in

positivo”, al fine della qualificazione della fattispecie e dell’individuazione

della disciplina applicabile al rapporto; come invece avviene normalmente

nei tipici crediti di scopo: agrario; peschereccio; alle opere pubbliche;

immobiliare (non anche “fondiario”, ex art. 38 T.U.L.Banc.23). Nel credito al

consumo lo scopo assume a ben vedere rilevanza “in negativo”, nel senso

cioè che le somme erogate dovranno avere, tipicamente, una

“non-destinazione”, difatti potendo (anzi, dovendo) essere impiegate

liberamente, nel consumo appunto.

Potremmo quindi affermare che il fenomeno del credito al consumo

risulta caratterizzato proprio dal “non-scopo”, se per “scopo”, come

riteniamo (almeno nell’ottica del credito bancario), deve correttamente

intendersi soltanto lo scopo (lato sensu) imprenditoriale, professionale,

ovvero immobiliare. Ed un significativo indice a conferma di quanto appena

rilevato sta nella non applicabilità della disciplina del credito al consumo,

oltre che ai crediti impiegati per scopi inerenti all’attività imprenditoriale o

professionale, anche ai finanziamenti destinati alla proprietà immobiliare

(art. 121, IV comma, lett. e, T.U.L.Banc.).

loc. cit.; ID., I contratti di finanziamento, loc. cit.; M. FRAGALI, voce “Finanziamento

(diritto privato)”, loc. cit.; ID., Il mutuo di scopo, loc. cit.; G. COLLURA, Finanziamento

agevolato e clausola di destinazione, cit.; V. ALLEGRI, Credito di scopo e finanziamento

bancario, cit.; A. ZIMATORE, Il mutuo di scopo, cit.; M. RISPOLI FARINA, Il mutuo di

scopo, loc. cit.; N. CORBO, Autonomia privata e causa di finanziamento, cit.; G.

FAUCEGLIA, Il contratto di finanziamento assistito da agevolazione, cit.; R. PERCHINUNNO,

Funzione creditizia e fine convenzionale, cit.; D. LA ROCCA, La qualità dei soggetti e i

rapporti di credito, cit..

22 E v. i pertinenti rilievi di D. LA ROCCA, La qualità dei soggetti, cit., pagg. 94

segg..

23 Il credito fondiario, come già rimarcato (v. retro, nota 6), non possiede la natura

di credito di scopo, risultando del tutto irrilevanti le finalità del finanziamento.

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Quanto detto non deve comunque far ritenere che la specifica

destinazione (al consumo) sia, nell’àmbito bancario, irrilevante sotto ogni

profilo: essa concorre a configurare la fattispecie “credito al consumo” ed a

rendere conseguentemente applicabile la particolare normativa che regola il

settore; ma in un’ottica preminente di tutela del consumatore, sotto i diversi

profili della trasparenza e dell’informazione (v., ad esempio, l’obbligatoria

forma scritta, o la necessaria indicazione del tasso annuo effettivo globale),

nonché della più equa ripartizione dei rischi tra consumatore e finanziatore24.

Sicché, in verità, più che di credito “al consumo”, dovrebbe parlarsi di

credito “al consumatore”, o comunque “alla persona”, posta la più sicura

rilevanza della qualità di “consumatore” del debitore ai fini dell’applicabilità

della disciplina in questione.

In conclusione, riterremmo corretto svincolare – nel contesto bancario

– la fattispecie “credito al consumo”, disciplinata da norme che tendono

essenzialmente alla piena tutela del contraente debole25, dalla figura tipica

del credito di scopo, disciplinato invece da norme che affondano la propria

ratio nella logica delle agevolazioni per lo sviluppo di determinati settori

economici o sociali; con la conseguenza, importante per il discorso che

interessa, che mancherà tra l’altro alla banca (parte di un rapporto di credito

al consumo) la possibilità di risolvere il rapporto contrattuale nell’ipotesi in

cui il cliente destini eventualmente a fini imprenditoriali o professionali le

somme ricevute, restando invece sempre in capo alla banca, ricorrendone i

presupposti, la possibilità di revocare l’affidamento e recedere poi dal

contratto (cfr. art. 126 T.U.L.Banc.).

B) Passando ora all’esame di una diversa fattispecie, è agevole notare

come, piuttosto di frequente nell’àmbito della prassi bancaria, venga

concesso al cliente un affidamento – normalmente attuato, sul piano

24 Sul punto, v. ancora D. LA ROCCA, La qualità dei soggetti, cit., pagg. 160 segg..

25 Varrà qui senz’altro notare, anche se non può certo in questa sede approfondirsi

la specifica problematica, come, prendendo in considerazione i prenditori di credito, la

legge penale, inversamente da quanto accade nell’àmbito di quella civile, tuteli

specificamente i soggetti che svolgono attività imprenditoriali o professionali.

L’art. 644, V comma, n. 4, cod. pen. (così come modificato dall’art. 1, legge 7 marzo

1996, n. 108, Disposizioni in materia di usura; e cfr. anche, già in precedenza, l’abrogato

art. 644 bis c.p.), prevede infatti pene più severe per i reati di usura compiuti “in danno di

chi svolge attività imprenditoriale, professionale o artigianale”. E v. pure A. CAPERNA e L.

LOTTI, Il fenomeno dell’usura tra esperienze giudiziarie e prospettive di un nuovo assetto

normativo, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, I, pagg. 75 segg.; E. PALOMBI, La nuova

struttura del reato di usura, in Riv. pen. dell’economia, 1996, pagg. 29 segg.; P. SILVA,

Osservazioni sulla nuova disciplina penale del reato di usura, in Riv. pen., 1996, pagg.

131 segg..

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negoziale, nella forma del prestito – destinato a “ripianare” una precedente

esposizione del cliente stesso nei confronti della banca concedente26.

Tale operazione – da non confondere con i piani di rateizzazione delle

esposizioni, cioè con le “dilazioni” di pagamento di un debito (magari con

rinegoziazione-ristrutturazione dei tassi), le quali naturalmente non

implicano e non configurano alcun (nuovo) affidamento da parte della

banca27 – evidenzia sicuri aspetti di convenienza.

26 Ricostruisce la vicenda in termini di “patto di compensazione tra il preesistente

debito nei confronti dell’ente erogatore e le somme mutuate” G. COLLURA, Finanziamento

agevolato, cit., pagg. 148 segg.; ma occorre avvertire come, nella pratica, tale “patto” di

compensazione risulti raramente da accordi formalizzati o comunque effettivi, dovendosi

invece considerare più verosimile l’ipotesi di compensazione compiuta, per così dire,

“unilateralmente” dalla banca. V. comunque Cass. 2 ottobre 1972, n. 2796, Banco di

Napoli c. S.A.I.P.A., in Banca, borsa, tit. cred., 1973, II, pag. 485, con nota di C. BROLI,

Osservazioni in tema di finanziamenti di scopo; in Giust. civ., 1973, I, pag. 84 e 1009, con

nota di G. GHIRARDI, Interpretazione della “realità” del mutuo; in Foro pad., 1973, I, col.

201, con nota di G. FERRANDO, Appunti sul mutuo di finanziamento; e, seppur in obiter,

Cass. 24 ottobre 1975, n. 3519, Fallimento Impresa Boni c. Banca Nazionale del Lavoro,

in Foro it., 1976, I, col. 1947, con osservaz. di G. NICCOLINI.

Peraltro, e più in generale, concrete difficoltà nel configurare, sul piano giuridico,

la stessa esistenza dei presupposti per operare una compensazione sussistono nell’ipotesi

in cui, per il “ripianamento” di una precedente esposizione (e cioè di un “saldo debitore”),

venga perfezionato un rapporto di apertura di credito. In tale ipotesi, difatti, posto che la

somma tenuta a disposizione con l’apertura di credito non costituisce per il cliente un

“credito” verso la banca, né configura per quest’ultima un “debito” nei confronti

dell’accreditato (tanto da risultare impignorabile), risulterebbe all’evidenza assai arduo

riferirsi all’istituto della compensazione: e cfr., in tal senso, anche Cass. 22 marzo 1994, n.

2742, Fallimento Angelo Magni c. Cassa di Risparmio di Prato, in Fallimento, 1994, pag.

837, ed in Banca, borsa, tit. cred., 1994, II, pag. 618, con osservaz. di G. PRESTI; Cass. 9

maggio 1991, n. 5193, Banca Nazionale dell’Agricoltura c. Fallimento Gelardini, in Foro

it., 1992, I, col. 152, con osservaz. di M. FABIANI.

27 E cfr., per un caso portato all’attenzione dei giudici, Trib. Milano, 15 giugno

1989, Plasti Master Special s.r.l. c. Banco di Roma, inedita, ma sintetizzata in

Giurisprudenza bancaria milanese. Rassegna del Tribunale di Milano. Sezione 8ª civile

(1985-1990), a cura di B. Quatraro, Milano, 1991, pag. 160.

In generale poi, sulla rinegoziazione delle condizioni contrattuali, v. F. MACARIO,

Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996, passim. Assai

interessante, in un’ottica economica, è l’analisi di A. BAGLIONI e U. CHERUBINI, La

ristrutturazione del debito bancario delle imprese: teoria ed evidenza empirica per il caso

italiano, in AA.VV., Le banche e il finanziamento delle imprese, cit., pagg. 217 segg..

In realtà, il quotidiano operare bancario, che conosce i (non sufficientemente

definiti) “fidi a rientro”, non sembra tenere sempre distinte le due ipotesi; così che, nella

pratica, tendono spesso a confondersi, o comununque a sovrapporsi concettualmente: i) la

delibera di concessione di nuovo affidamento, attuata normalmente nella forma del mutuo

destinato all’estinzione di una posizione debitoria pregressa; e ii) la delibera con cui la

banca autorizza il cliente affidato a procedere al pagamento di un debito in forma rateale.

Certo, in entrambi i casi sussiste una delibera della banca; in entrambi i casi il cliente

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Innanzi tutto per il cliente: questi può “sfruttare” il nuovo

affidamento, evitando di veder evidenziata la propria posizione debitoria di

fronte al sistema, magari aggravata da una segnalazione “a sofferenza”

presso la Centrale dei rischi; ed allungare così, convenientemente, i tempi di

maturazione di una (probabile) crisi.

In secondo luogo per la banca: questa, da un lato, potrebbe trarre

vantaggio dell’instaurarsi del nuovo rapporto creditizio, acquisendo garanzie

reali contestuali, sottoposte, come tali, al più favorevole regime di cui all’art.

67, II comma, legge fall. (od a quello di cui all’art. 39, IV comma,

T.U.L.Banc.)28; così come, dall’altro lato, può senz’altro ottenere il risultato

dovrà corrispondere periodicamente delle somme determinate secondo un piano

concordato (di “ammortamento”, o di “rientro”, a seconda dei casi); in entrambi i casi

l’operazione è poi economicamente finalizzata ad estinguere una posizione debitoria del

cliente, con dei vantaggi per lo stesso; tuttavia soltanto nel primo caso vi sarà la

concessione di un fido in senso proprio, nel secondo sussistendo soltanto una facilitazione

(rectius: dilazione) di pagamento.

28 Il condizionale è d’obbligo, alla luce di quella diffusa ed ormai consolidata

opinione giurisprudenziale che considera, da un lato, le garanzie reali acquisite per effetto

delle operazioni in commento comunque rientranti nella più rigorosa disciplina di cui

all’art. 67, legge fall. (cfr. Cass. 22 marzo 1994, n. 2742, cit.; Cass. 18 novembre 1992, n.

12342, Fallimento Mambelli c. Banca Nazionale del Lavoro, in Fallimento, 1993, pag.

509; Cass. 5 febbraio 1982, n. 652, Banca Nazionale del Lavoro c. Fallimento Rinaldi, in

Banca, borsa, tit. cred., 1983, II, pag. 143; Cass. 4 aprile 1970, n. 909, Monte dei Paschi

di Siena c. Fallimento Lanificio Lodolini s.p.a., idem, 1971, II, pag. 405; Cass. 17 ottobre

1973, n. 2622, Banca Popolare di Milano c. Fallimento Arduino, in Giur. comm., 1974, II,

pag. 26; Trib. Catania, 25 maggio 1992, Monte dei Paschi di Siena c. Fallimento Casa

Vogue di Daniele Scilla s.a.s., idem, 1993, II, pag. 277; Trib. Bologna, 29 aprile 1986,

Banca Popolare di Bologna e Ferrara c. Fallimento Scalorbi, in Dir. fall., 1987, II, pag.

234; App. Palermo, 24 gennaio 1989, Banca Sicula c. Fallimento Icam, in Temi sicula,

1989, pag. 383) e, dall’altro, soggetti egualmente a revocatoria fallimentare i ripianamenti

di esposizioni, effettuati con somme erogate a mutuo dalla stessa banca, in quanto ritenuti

configurare ipotesi di “pagamento anormale”, ex art. 67, legge fall., I comma, n. 4, legge

fall. (e cfr. Cass. 5 febbraio 1982, n. 652, cit.; Trib. Catania, 29 febbraio 1992, Fallimento

Franceschino c. Banco di Sicilia, in Giur. comm., 1993, II, pag. 277; App. Palermo, 24

gennaio 1989, cit.), ovvero semplici ipotesi di pagamento revocabile (e cfr. Cass. 9 maggio

1991, n. 5193, cit.; Cass. 21 dicembre 1990, n. 12123, Cariplo c. Cassa Rurale ed

Artigiana di Carate Brianza, Bonzi e Parravicini, in Banca, borsa, tit. cred. 1992, II, pag.

274; App. Milano, 2 febbraio 1990, Banco di Desio e della Brianza c. Fallimento

Tecnomeccanica Ticinese, in Banca, borsa, tit. cred., 1991, II, pag. 477; ma v. Trib.

Milano, 9 luglio 1987, Fallimento Samar s.r.l. c. Cassa Rurale ed Artigiana di Treviglio,

idem, 1989, II, pag. 78).

E v. anche Trib. Milano, 20 ottobre 1988, inedita, ma commentata da (M.

BUSSOLETTI) e U. MORERA, Le garanzie, in Giur. banc. (1987-1989), n. 8-9, Milano,

1994, pagg. 399 segg..

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– favorevole poi sul piano dell’immagine aziendale – di diminuire il livello

delle esposizioni, aumentando, nel contempo, quello degli impieghi vivi.

Tali pratiche, pur abbastanza diffuse ed implicitamente ammesse

anche dalla stessa Banca d’Italia29, suscitano diverse perplessità ed inducono

ad alcune riflessioni.

Innanzitutto, su di un piano assolutamente generale, e per molti versi

connesso alla tematica della concessione “abusiva” di fido (cfr. retro, par.

5), è innegabile che, nella fattispecie considerata, la banca finisca col

concedere fido ad un soggetto certamente non meritevole di credito e di

fiducia, anzi, tipicamente “non affidabile”: così “ingannando” sia il sistema

bancario (almeno a livello di informazione accentrata), nei confronti del

quale il soggetto in questione verrà presentato non più come “esposto”,

bensì, al contrario, come bene affidato, sia i terzi, i quali, soprattutto in

ipotesi di affidati svolgenti attività imprenditoriali, finiranno per “far conto”

sul credito bancario ottenuto dagli stessi, nell’àmbito di (magari rischiosi)

rapporti d’affari. E ciò con la conseguenza che potrebbero non

irrealisticamente configurarsi profili risarcitori extracontrattuali in capo alle

banche operanti nel senso prospettato30.

In secondo luogo, sul piano penale, l’eventuale acquisizione di

garanzie reali contestuali al sorgere del nuovo rapporto creditizio

sembrerebbe poter comportare, in ipotesi di successivo fallimento

dell’affidato, risvolti certamente non modesti (sotto il profilo del concorso),

sia nell’àmbito della fattispecie di bancarotta c.d. preferenziale prevista

dall’art. 216, III comma, legge fall.31, sia della fattispecie di ricorso abusivo

29 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni per la Centrale dei rischi, cit., Cap. II, Sez. 1,

Par. 9, ove viene disposto che “in caso di deliberazione di un affidamento che preveda la

contestuale estinzione, all’atto dell’erogazione, di altro finanziamento concesso al

medesimo cliente, la segnalazione dell’accordato della nuova operazione assorbe quella

della precedente. In particolare, se la nuova operazione è della medesima natura della

precedente, l’importo da segnalare all’accordato è pari all’ammontare risultante dalla

nuova deliberazione. Se la nuova operazione è di natura diversa dalla precedente,

l’accordato della nuova deliberazione deve comunque essere segnalato sino al momento

dell’erogazione nell’àmbito della categoria di censimento ove viene segnalato l’utilizzato

della precedente operazione, mentre l’eventuale margine disponibile deve essere

evidenziato nella categoria di censimento di pertinenza della nuova operazione”.

30 In senso conforme, ad esempio, B. INZITARI, Concessione abusiva del credito,

cit., pagg. 417 segg. (e cfr. amplius, il precedente par. 5).

31 Spunti in tal senso in: G. PRESTI, Osservazioni a Cass. 22 marzo 1994, n. 2742 e

App. Milano, 25 maggio 1993, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, II, pag. 627; V. ALLEGRI,

Credito di scopo, cit., pag. 144, nota 109; L. PONTI, Nuove responsabilità della banca

nell’erogazione del credito, in Riv. dir. civ., 1996, pag. 36; e v. anche M. LA MONICA, I

reati fallimentari, Milano, 1972, pagg. 297 segg.; e sullo specifico reato di bancarotta

preferenziale, v. per tutti: G. COCCO, La bancarotta preferenziale, Napoli, 1987, passim;

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al credito prevista dall’art. 218 (e 225), legge fall.32. Al di là poi, e sempre

sul piano penale, di ogni possibile ed ulteriore conseguenza connessa alla

configurabilità dei reati di falso interno bancario (art. 137, II comma,

T.U.L.Banc.), di false comunicazioni sociali (art. 2621 cod. civ.) e di false

comunicazioni alle autorità di vigilanza (art. 134, T.U.L.Banc.)33.

Infine, e senza eccessive difficoltà, potrebbero configurarsi profili di

nullità in capo allo stesso rapporto contrattuale posto in essere in attuazione

del nuovo affidamento. Specie se questo, in ipotesi, si concretizzasse in un

mutuo con clausola di destinazione legale34: e non tanto poi per questioni di

U. GIULIANI-BALESTRINO, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, IIIª Ediz., Milano,

1991, pagg. 397 segg.; C. CARRIERI, I reati di bancarotta, Milano, 1993, pagg. 139 segg..

32 Art. 218, I comma, legge fall.: “... è punito con la reclusione sino a due anni

l’imprenditore esercente un’attività commerciale che ricorre o continua a ricorrere al

credito, dissimulando il proprio dissesto”; sulla quale disposizione, da ultimo, per tutti: C.

PEDRAZZI e (F. SGUBBI), Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse

dal fallito (art. 216-227), in Commentario Scialoja e Branca alla Legge fallimentare, a

cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 1995, pagg. 192 segg., il quale mette bene in luce la

centralità, nell’àmbito della fattispecie considerata, dell’attività dissimulatoria dello stato

di dissesto.

33 E sulla configurabilità dei reati di false comunicazioni in ipotesi di questo

genere, cfr. Cass. pen. 8 novembre 1989, imp. Faretti, in Riv. pen. dell’economia, 1990,

pag. 204; A. CRESPI, La tutela dell’attività di vigilanza bancaria e creditizia, in AA.VV.,

La nuova legge bancaria. Commentario, III, cit., pagg. 1995 segg.; C. PEDRAZZI,

Profili penali dell’informazione societaria, in AA.VV., L’informazione societaria, cit.,

pagg. 1131 segg.; G. CORRIAS LUCENTE, Il delitto di false informazioni sociali e le

informazioni all’organo di vigilanza, in Cass. pen., 1991, pagg. 1636 segg., L. DONATO,

Commento all’art. 134 T.U.L.Banc., in AA.VV., Commentario al testo unico, cit., pagg.

662 segg., ove ulteriori indicazioni bibliografiche.

34 Cfr., in argomento, diffusamente: V. ALLEGRI, Credito di scopo, cit., pagg. 144

segg.; G. COLLURA, Finanziamento agevolato, cit., pagg. 148 segg. In giurisprudenza:

Cass. 10 giugno 1981, n. 3752, Fallimento Vinilavio c. Mediocredito Trentino Alto Adige,

in Foro it., 1982, I, col. 1687, con nota di L. NIVARRA, Il contratto di finanziamento tra

codice e legislazione speciale; Cass. 2 ottobre 1972, n. 2796, cit.; Cass. 3 aprile 1970, n.

896, Sangiorgi c. Sezione Autonoma Credito Alberghiero - Banca Nazionale del Lavoro,

in Foro it., 1971, I, col. 2376, con nota di E. ROPPO, Causa tipica, motivo rilevante,

contratto illecito; in Foro pad., 1972, I, col. 274, con nota di G.B. FERRI, Rilevanza

giuridica dello scopo nei crediti speciali; in Temi, 1972, pag. 437, con nota di L. RATTIN,

Il mutuo di scopo come contratto condizionato; Cass. 24 ottobre 1967, n. 2621, Cassa di

Risparmio di Roma c. Fallimento SMET, in Banca, borsa, tit. cred., 1968, II, pag. 55, con

nota di Gio. DE MARCHI, Simulazione del contratto di mutuo fondiario?; Trib. Cagliari, 26

febbraio 1990, Fallimento Rundini c. Cariplo, in Riv. giur. sarda, 1991, pag. 737, con nota

di V. CAREDDA, Brevi appunti in tema di simulazione ed azione revocatoria; App.

Brescia, 9 febbraio 1994, Cariplo c. Fallimento Tecnoedil s.r.l., in Vita not., 1994, pag.

1224, ed in Banca, borsa, tit. cred., 1995, II, pag. 198, (in entrambe le riviste) con nota di

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simulazione relativa35, quanto, piuttosto, per difetti inerenti alla causa del

negozio36, o addirittura, in certe ipotesi (oggi limite), per carenza di

legittimazione dell’ente bancario37.

C) Un’altra vicenda particolare e per certi versi tipica, concernente

ancora la “destinazione” del fido, è infine rappresentata dall’utilizzo delle

somme concesse in affidamento non per i normali impieghi personali o

produttivi, bensì per costituire il pegno richiesto a garanzia del fido stesso38.

In merito a tali comportamenti, che possono talvolta celare ambigue

connivenze tra cliente e banca39, occorre almeno avvertire dei rischi –

incidenti sul piano delle responsabilità civili e penali – che possono

presentarsi, in capo ai funzionari, dirigenti od amministratori dell’ente

bancario che consentissero il prelievo di somme (strumentali

all’acquisizione altrove40 dei valori da costituire in garanzia) prima della

C.-M. TARDIVO, Revocatoria ordinaria, simulazione, frode alla legge e ai creditori in un

contratto di finanziamento fondiario.

Sul tema, v. anche: V. CALANDRA BUONAURA, Credito industriale a medio

termine e revocatoria fallimentare, in Giur. comm., 1976, I, pagg. 59 segg. (spec. pagg. 89

segg.); G. FAUCEGLIA, Il contratto di finanziamento assistito da agevolazione, cit., pagg.

142 segg.; A. ZIMATORE, Il mutuo di scopo, cit., pagg. 136 segg..

35 Così però Gio. DE MARCHI, Simulazione del contratto, cit., pagg. 63 segg.; Cass.

24 ottobre 1967, n. 2621, cit. Correttamente invece, ad esempio, App. Milano, 25 maggio

1993, Sezione del Credito Fondiario del Monte dei Paschi di Siena, c. Fallimento

Chemical Laboratory Libra s.r.l., in Banca, borsa, tit. cred., 1994, II, 618, con osservaz. di

G. PRESTI, ove comunque si giunge a configurare la nullità del contratto per frode alla

legge.

36 Cfr. V. ALLEGRI, Credito di scopo, cit., pagg. 146 segg.; E. ROPPO, Causa

tipica, loc. cit.; Cass. 10 giugno 1981, n. 3752, cit..

37 È l’originale tesi di G.B. FERRI, Rilevanza giuridica dello scopo, cit., col. 282

segg.; per il quale, se la sezione Autonoma non è legittimata a concludere mutui che non

realizzino lo scopo cui il patrimonio della Sezione stessa è per legge destinato, il

contratto concluso in violazione di tale principio è nullo per mancanza di legittimazione

di uno dei contraenti, non perché in frode alla legge; e v. anche A. NIGRO, Banche

private e banche pubbliche: rilevanza dell’oggetto e limiti dell’attività, in Riv. dir.

comm., 1972, I, pagg 103 segg..

38 Nell’àmbito della prassi bancaria, non sono affatto infrequenti i casi in cui

vengono utilizzate le somme concesse in affidamento per acquisire titoli, valori o libretti

di deposito da costituire poi in pegno a favore della stessa banca concedente il fido.

39 E si pensi qui soltanto ai notevoli vantaggi fiscali che potrebbero derivare ad

un’impresa dall’aver assunto un’esposizione debitoria nei confronti di una banca.

40 È chiaro che la problematica non sembra assumere particolari contorni di

rischiosità qualora le somme non “fuoriescano” materialmente dalla giuridica disponibilità

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decisione di affidare (contabilizzando pertanto le somme stesse in conti

transitori, nell’attesa della concessione di fido e del conseguente

perfezionamento del rapporto contrattuale). Tale operato concreta in fatto

una dazione di somme a soggetto non affidato e senza la preventiva

acquisizione della (richiesta) garanzia. Così potendo condurre, nell’ipotesi di

malafede del beneficiario, a gravi rischi di perdita per la banca, con i

conseguenti profili di responsabilità civile in caso di danno; sia poi,

ricorrendone i presupposti, a profili di responsabilità penale in capo

all’esponente bancario, per appropriazione indebita “a vantaggio altrui”, ex

art. 646 cod. pen.41 42.

7. L’utilizzo del fido in rapporto alle “modalità” di concessione.

Abbiamo in precedenza più volte rilevato come la decisione della

banca di concedere fido possa, in concreto, trovare attuazione attraverso

diverse “forme” tecniche (rilevanti, nell’ottica privatistica, come differenti

modelli contrattuali); “forme” che, come si è visto, consentono poi – sotto il

profilo strumentale – l’effettivo utilizzo del fido stesso.

Interessa ora, in particolare, analizzare in dettaglio l’utilizzo in

relazione alle differenti “modalità” di concessione dell’affidamento.

della banca affidante (come, ad esempio, nell’ipotesi di accensione di libretto di risparmio

al portatore emesso dalla banca e detenuto dalla stessa fino alla concessione del fido ed

alla successiva formalizzazione del rapporto di garanzia contestualmente a quello di

credito).

41 E v., in arg., diffusamente i puntuali rilievi di: G.M. FLICK, Diritto penale e

credito: problemi attuali e prospettive di soluzione. Addenda “Dal pubblico servizio

all’impresa banca: ritorno al futuro”, Milano, 1989, pagg. 66 segg.; E. MEZZETTI,

L’appropriazione indebita nell’abuso di fido bancario, in Giust. pen., 1990, II, pagg. 193

segg.; E. TRAINA, L’extrafido tra illecito penale e civile, in Dir. banc., 1990, I, pagg. 87

segg.; P. MANGANO, Finanziamento bancario e appropriazione indebita, in Fallimento,

1994, pagg. 967 segg..

42 E v. in genere, per l’applicabilità dell’art. 646 cod. pen., seppur a diverse

fattispecie di “abuso di fido”: Cass. Sez. Un. 23 maggio 1987, imp. Tuzet, in Banca,

borsa, tit. cred., 1987, II, pag. 545; Cass. Sez. Un. 28 febbraio 1989, imp. Vita ed altri, in

Foro it., 1989, II, col. 506; ed anche, significativamente, almeno in ordine alla casistica

esaminata, App. pen. Bologna, 27 maggio 1986, imp. Tuzet e Borgatti, in Foro it., 1987,

II, col. 76; Trib. Benevento - Uff. Istruz., 29 febbraio 1988, imp. V. ed altri, in Impresa

comm. ind., 1989, pag. 365; Trib. Roma - Uff. Istruz., 23 gennaio 1981, imp. Ventriglia ed

altri, in Temi romana, 1981, pag. 113.

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Interessa cioè mettere in luce le diverse possibilità di utilizzo che – al

di là ed indipendentemente dalla forma contrattuale adottata – potrebbero

presentarsi all’affidato in relazione al vario atteggiarsi della concessione.

Va infatti rilevato come, nell’ottica del rapporto concessione-utilizzo,

non sussista affatto un modello “unitario” di fido. Così, ad esempio, non

accade sempre che l’utilizzo consentito dalla banca rientri nei limiti

quantitativi stabiliti nell’atto di concessione; come pure non è detto che

l’utilizzo risulti in ogni ipotesi legittimato, “a monte”, da una formale

delibera di concessione; ovvero come è anche possibile che la banca, per

proprie esigenze interne di gestione, deliberi dei fidi ad alcuni clienti senza

che questi ne siano a conoscenza e senza quindi che giungano ad utilizzarli.

Parimenti, è possibile che l’affidato possa articolare l’utilizzo su

diverse forme tecniche attuative di un’unica concessione; o che il soggetto

legittimato all’utilizzo del fido non corrisponda a quello che ha richiesto

l’affidamento; ovvero, ancora, che l’affidato, in sostanziale deroga al

principio della c.d. “localizzazione” dei rapporti bancari1, possa utilizzare un

fido presso diverse filiali della banca.

In questa articolata indagine, converrà prendere le mosse dall’ipotesi

in cui l’utilizzo in concreto consentito dalla banca non rientri nei limiti

quantitativi stabiliti nell’originario atto di concessione, ovvero in cui

l’utilizzo addirittura non risulti legittimato, “a monte”, da alcuna decisione

di affidare.

In primo luogo, ed anche per evitare equivoci terminologici, appare

utile enucleare – in ciò prescindendo completamente dal confusivo lessico

bancario2 – due distinte categorie sistematiche: da un lato, quella

1 E cfr. gli artt. 1834, II comma, e 1843, II comma, cod. civ.. Sul principio della

localizzazione, v., per tutti: A.A. DOLMETTA e S. PATRIARCA, voce “Filiale bancaria”, cit.,

pag. 133; P. MASI e A. TIDU, voce “Servizi bancari”, in Enc. giur. Treccani, XXVIII,

Roma, 1992, pag. 10; Ant. PIRAS, Gli stabilimenti bancari, cit., pagg. 235 segg.; N.

SALANITRO, Le banche e i contratti bancari, cit., pagg. 108 segg.; G. MOLLE, I contratti

bancari, cit., pag. 424; G. MOLLE e L. DESIDERIO, Manuale di diritto bancario e

dell’intermediazione finanziaria, Vª Ediz., Milano, 1997, pag. 131; A. PIN,

L’organizzazione delle aziende di credito, Milano, 1969; A. SCIARRONE ALIBRANDI,

L’interposizione della banca nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria, Milano,

1997, pagg. 185 seg., nota 27; BANCA D’ITALIA, Istruzioni per la Centrale dei rischi, cit.,

Cap. II, Sez. 3, Par. 2.

2 Da un’indagine empirica da noi svolta, è emerso che nel linguaggio corrente

della tecnica e della prassi contrattuale, così come nelle circolari-zibaldone, spesso

emanate all’interno delle stesse banche, si parla, senza precisione, né reale

consapevolezza, di: “sconfinamenti”; “extrafidi”; “superi transitori”; “fidi occasionali”;

“elasticità di cassa”, “scoperti momentanei”; “comodo di cassa”; “fidi di fatto”; “linee di

credito straordinarie”; “fidi (o sconti) una tantum”; “facilitazioni di cassa”; “disposizioni

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ricomprendente le numerose fattispecie operative che potremmo definire fidi

di fatto; dall’altro, quella ricomprendente le fattispecie riconducibili a quei

fidi straordinari, concessi a fronte di esigenze momentanee e contingenti

manifestate da soggetti già affidati, che possono essere definiti come

extrafidi3.

La differenza fondamentale tra le due sopraindividuate categorie risiede in

questo: nella prima, dove – in fatto – è consentito occasionalmente un

utilizzo superiore ai predeterminati limiti quantitativi di fido (ovvero,

addirittura, un utilizzo in assenza di una previa concessione; il che, in

un’ottica giuridica, è poi lo stesso), l’attività di credito della banca è posta in

essere, per così dire, “spontaneamente” – quando non anche, talvolta,

inconsapevolmente – senza formali richieste del cliente e, soprattutto, senza

valutare il (globale) merito creditizio dello stesso secondo i consueti

parametri di indagine istruttoria; nella seconda, invece, la banca, a seguito di

specifica richiesta – avanzata per far fronte a momentanee esigenze di

liquidità – da parte di un cliente già affidato, e dopo una valutazione delle

sue particolari capacità di credito, provvede ad innalzare temporaneamente

(ed entro predeterminati valori percentuali) il limite di fido originariamente

accordato e ad aumentare conseguentemente il limite contrattuale di credito,

potendo così l’affidato contare, seppur per un breve lasso temporale, su di un

maggiorato potenziale di utilizzo4.

allo scoperto”; “fidi di cortesia”; “concessioni di scoperto”; “scoperti di conto”;

“sovvenzioni di cassa”; “fidi straordinari”; “affidamenti di favore”; ecc..

E cfr. anche, su tali terminologie, N. SALANITRO, La revocatoria delle rimesse in

conto corrente, in Banca, borsa, tit. cred., 1988, I, pagg. 665 segg.; G. OLIVIERI,

Compensazione e circolazione della ricchezza mobiliare, (ed. provv.), Roma, 1992, pag.

225.

3 Per tali affidamenti straordinari, in un nostro precedente scritto (U. MORERA,

Apertura di credito tacita, cit., passim), avevamo proposto la definizione di

“sconfinamenti”, alla luce della terminologia adoperata dalle Istruzioni generali di

vigilanza in punto di libro dei fidi (BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti

creditizi, XXXIX, Par. 6 [ediz. dicembre 1990]) e di alcune precisazioni effettuate

dall’Organo di vigilanza in materia di Centrale dei rischi (Circolare n. 130 del 27 giugno

1985, pagg. 12 seg.).

Attualmente appare in effetti più corretto adoperare il termine “extrafido”, almeno

dopo quanto precisato dalle Istruzioni di vigilanza sulla Centrale dei rischi (BANCA

D’ITALIA, Istruzioni per la Centrale dei rischi, cit., Glossario, pag. 9, sub voce

Sconfinamento), ove lo sconfinamento viene definito come “la differenza positiva tra

l’utilizzato di una linea di credito e il relativo accordato operativo”; e cfr. anche retro, cap.

II, par. 12, nota 12.

4 Normalmente, a quanto consta, il maggior potenziale di utilizzo oscilla tra le

percentuali del 5 e del 20 per cento.

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Il divario tra le due individuate fattispecie appare pertanto incentrato

su due punti nodali:

a) quello relativo al merito creditizio, valutato congruamente soltanto

in presenza degli extrafidi accordati, e non anche relativamente ai c.d. “fidi

di fatto”;

b) quello relativo alla consapevolezza, da parte del cliente, di un (sia

pur momentaneo) potenziale (certo) di utilizzo eccedente i limiti del fido

“normale”; sussistente, anche qui, soltanto in presenza di un extrafido

accordato.

E prendiamo senz’altro le mosse da quelli che abbiamo definito “fidi

di fatto”.

Nel novero di questi, possono rientrare numerose fattispecie concrete:

ad esempio, lo sconto di carta commerciale, presentata occasionalmente dal

cliente alla banca in situazione di (limite di) fido già completamente

utilizzato; ovvero, tipicamente, il pagamento di assegni pervenuti alla banca

trattaria e da questa poi pagati pur in assenza di fondi disponibili; o, ancora,

quelle operazioni, che potremmo definire di “liquidità”5 sugli assegni

negoziati (“cambio” per cassa degli assegni6; prelevamento immediato degli

importi degli assegni “versati” sul conto, ecc.7), effettuate dalla banca in

5 L’espressione “contratto di liquidità”, proposta da P. FERRO-LUZZI, Lo sconto

bancario, cit., pag. 757, a proposito dello sconto (e v. anche, sulle sue orme: S.

MACCARONE, I contratti bancari di liquidità, in Dir. banc., 1987, pagg. 54 segg.; G.

TERRANOVA, Lo sconto, cit., pagg. 45 segg.), è qui riproposta solo alla luce di quelle

affinità che potrebbero scorgersi tra le operazioni in questione e lo sconto bancario.

6 Sul c.d. “cambio” dell’assegno allo sportello, v., diffusamente, G. OLIVIERI,

Compensazione e circolazione della ricchezza, cit., pagg. 248 segg.; e cfr. anche B.

RENDA, Sulla “negoziazione” e l’accreditamento in conto di titoli di credito bancari da

parte di banca diversa dalla trattaria od emittente, in Banca, borsa, tit. cred., 1983, II,

pagg. 41 segg..

7 Quanto appena evidenziato nel testo riteniamo mantenga la propria valenza

anche dopo l’entrata in vigore della normativa sulla trasparenza delle operazioni e dei

servizi bancari (l. 17 febbraio 1992, n. 154; oggi: artt. 115-120, T.U.L.Banc.; e, per ogni

riferimento, cfr. retro, par. 1, nota 3); conf., in punto, Gio. TARZIA, Revocatoria

fallimentare e prova del contratto di apertura di credito, cit., pag. 592.

Se difatti la legge sulla trasparenza aveva sancito il principio della forma scritta per

tutte le operazioni di prestito e di finanziamento, il decreto del Ministro del Tesoro 24

aprile 1992 ha (opportunamente) “temperato” tale regole, prevedendo (art. 4, II comma)

che la Banca d’Italia potesse “individuare modalità particolari per i contratti relativi ad

operazioni e servizi che si innestano su rapporti preesistenti originati da contratti redatti

per iscritto”; il che è puntualmente avvenuto nell’àmbito delle Istruzioni applicative in

materia di trasparenza (BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, LIV,

Par. 3 [ediz. maggio 1992], e, successivamente, LIV, Sez. III, Par. 1 [ediz. maggio 1996])

ove è chiaramente stabilito che “la forma scritta non è obbligatoria per operazioni e servizi

già previsti in contratti redatti per iscritto (ad esempio: conto corrente di corrispondenza)”;

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favore di un correntista a cui non risulti concesso in precedenza lo specifico

affidamento che consente l’operazione (c.d. fido “salvo buon fine assegni” o

“per disponibilità immediata assegni”) ed a cui, di conseguenza, non sia

stato poi contrattualmente riconosciuto il diritto di disporre immediatamente

sul conto delle somme corrispondenti agli assegni negoziati, prima quindi

del loro effettivo incasso8.

(e v. in punto: A.M. CARRIERO, Commento all’art. 117 T.U.L.Banc., in AA.VV.,

Commentario al testo unico, cit., pagg. 595 seg.). Il che – alla luce della costante presenza,

nei contratti di conto corrente bancario, di clausole (nelle Norme Bancarie A.B.I.: l’art. 6)

che “prevedono” (la possibilità di) rapporti di apertura di credito o comunque rapporti di

disponibilità in capo al correntista – porta ad escludere la necessità della forma scritta (ex

art. 117, I e III comma, T.U.L.Banc.) per il perfezionamento di un’apertura di credito tra

banca e correntista; contra, tuttavia, ma con motivazione che ci pare eccessivamente

rigida, M. ARATO, La revocatoria fallimentare delle rimesse bancarie: problemi attuali, in

Banca, borsa, tit. cred., 1996, I, pagg. 21 segg., ivi a pagg. 31 seg.; e cfr. anche A.A.

DOLMETTA, Per l’equilibrio e la trasparenza, cit., pag. 385.

Con la conseguenza, peraltro, che oggi debbono considerarsi invalide – almeno per

il profilo che qui rileva, e nei limiti poi di cui all’art. 127, II comma, T.U.L.Banc. – quelle

operazioni di “cambio assegni” effettuate (senza supporto scritto) a soggetti non clienti

della banca negoziatrice, ovvero a clienti non correntisti della stessa; e, tra queste,

principalmente, quella – ben nota a tutti gli operatori bancari – consistente nel c.d.

“versamento” degli assegni sui libretti di deposito; la quale, finalizzata proprio

all’agevolazione dei depositanti sprovvisti di conto corrente, si sostanzia in due (distinte)

operazioni, compiute in immediata sequenza: una prima, di rischio, con la quale viene

negoziato un assegno per cassa con contestuale “cambio” dello stesso (liquidazione

dell’importo relativo), ed una seconda, di raccolta, consistente nel deposito sul libretto

della somma in precedenza “cambiata”. E sulle ulteriori conseguenze derivanti dalla

conclusione di rapporti contrattuali bancari in assenza della forma scritta, v. G.

FAUCEGLIA, La forma dei contratti relativi ad operazioni e servizi bancari e finanziari, in

Riv. dir. comm., 1994, I, pagg. 417 segg., ivi a pagg. 429 segg..

Restando peraltro impregiudicato – anche qualora, in futuro (ma non lo crediamo

...), si addivenisse ad un contratto scritto – il grave profilo di rischio che presenta il c.d.

versamento di assegni sul libretto, ben potendo la banca andare incontro a serie difficoltà

nel recupero delle somme relative agli assegni impagati; specie nei casi in cui l’assegno

“versato” sia munito di clausola di non trasferibilità (ergo risulti necessariamente girato

“per l’incasso”, ex art. 43, legge assegno), sembrando mancare in questo caso alla banca la

legittimazione ad agire esecutivamente, in regresso, verso il cliente.

8 Cfr. G. OLIVIERI, Compensazione e circolazione, cit., pag. 227; S. MACCARONE, I

contratti bancari di liquidità, cit., pag. 79; A. NIGRO, Rimesse in conto corrente bancario

e revocatoria fallimentare, in Giur. comm., 1985, pagg. 1000 segg.; nonché, per dei profili

fallimentari: Cass. 22 marzo 1994, n. 2744, Fallimento Antonio Cassetti c. Banca Agricola

Mantovana, in Fallimento, 1994, pag. 727, con nota di Gio. TARZIA, Criteri

d’individuazione del “saldo disponibile” nel conto corrente; Cass. 15 novembre 1994, n.

9591, Banca Antoniana c. Fallimento Luigi Miorin, in Giur. it., 1995, I, 1, col. 1206, con

nota di A. BADINI CONFALONIERI, La cassazione individua il saldo rilevante per la

revocatoria delle rimesse sul conto corrente “scoperto”.

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In tutti questi casi, come in molti altri analoghi, la banca ed il cliente

si comportano, in fatto, come se esistesse, a monte, una decisione di

concedere fido, attuata poi nella forma tecnico-contrattuale che consente in

concreto quel determinato utilizzo9.

In realtà, però, non sussistono né la decisione della banca di

concedere fido, né l’accordo relativo al perfezionamento del rapporto di

attuazione della decisione stessa. Mancando inoltre ogni altra attività della

banca normalmente conseguente alla concessione (ad esempio: annotazioni

nel libro dei fidi, eventuali segnalazioni alla Centrale dei rischi10, ecc.).

È così che ci troveremo di fronte a singoli atti, a singole fattispecie

negoziali, da considerare in maniera del tutto autonoma.

Pertanto, e per tornare agli esempi proposti, lo sconto effettuato una

tantum, in condizioni di supero del limite di fido, dovrà essere considerato

nell’ottica del singolo contratto di sconto, effettuato occasionalmente11; al di

fuori poi dell’accordo negoziale posto in essere in attuazione dell’originaria

delibera di fido12.

Così come il pagamento di un assegno effettuato dalla banca trattaria

in assenza di fondi disponibili dovrà, a nostro avviso, essere considerato

come atto autonomo, in un’ottica di indipendenza dai rapporti collaterali

(conto corrente) in cui gli effetti giuridico-contabili di tale atto possono poi

trovare “collocazione”; e comunque senza dare al singolo atto della banca

una valenza di “comportamento concludente”, rilevante poi quale elemento

idoneo alla conclusione di nuovi rapporti creditizi di disponibilità (e su

quest’ultimo aspetto v. infra nel testo).

9 Sul carattere sicuramente ricorrente di tali operazioni, cfr., per tutti: S.

MACCARONE, I contratti bancari di liquidità, cit., pag. 58; G. PRESTI, Tipologia dei saldi

bancari e revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente, in Banca, borsa, tit.

cred., 1991, II, pagg. 328 segg., ivi, a pag. 340; E. SPANO, Saldo contabile, saldo liquido e

revocatoria fallimentare, in Banche e banchieri, 1988, pagg. 737 segg., ivi, a pag. 739; V.

SANTORO, Il conto corrente bancario, in Comm. del cod. civ., diretto da P. Schlesinger,

Milano, 1992, pag. 185; G. PANZARINI, Lo sconto dei crediti, cit., pagg. 595 seg.; G.F.

CAMPOBASSO, Diritto commerciale, vol. 3, cit., pagg. 124 seg.; nonché BANCA D’ITALIA,

Libro bianco sul sistema dei pagamenti in Italia, Roma, 1987, pag. 71.

10 È evidente come gli importi relativi a tali operazioni debbano comunque

essere segnalati in Centrale dei rischi come utilizzato.

11 È chiaro peraltro come l’occasionalità dell’operazione di sconto acquisti rilievo,

come tale, soltanto se la si inquadra nell’ottica giuridica del superamento del limite di

fido; innestandosi invece comunque “economicamente” nell’àmbito del più globale

rapporto di affidamento.

12 E v. anche le osservazioni effettuate retro, par. 2, passim.

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Non convincono infatti quelle teoriche che ricollegano al conto

corrente di corrispondenza una seppur limitata funzione creditizia,

considerando pertanto come “dovuto” il pagamento, da parte della banca, in

ipotesi di (contenuti) scoperti di conto13; ovvero le ricostruzioni dei

pagamenti allo scoperto effettuati dalla banca in termini di anticipazioni del

mandatario ex art. 1720 cod. civ.14; né possono condividersi quelle

impostazioni che ravvisano nella condotta della banca che paghi assegni od

esegua altri pagamenti allo scoperto un comportamento concludente idoneo

a perfezionare15 un rapporto di apertura di credito16.

13 Cfr. F. SCORDINO, I contratti bancari, cit., pag. 161; G. COTTINO, Diritto

commerciale, II, 1, cit., pag. 84; A. DE MARTINI, Sconto di assegni bancari e

accreditamento in conto corrente, in Banca, borsa, tit. cred., 1948, II, pagg. 62 segg.; C.

GIANNATTASIO, Anticipazioni della banca nel conto corrente di corrispondenza, in Banca,

borsa, tit. cred., 1959, II, pagg. 376 segg.; G. MOLLE, Questioni in tema di “scoperto di

conto”, idem, 1965, II, pagg. 566; ID., voce “Conto corrente bancario”, in Noviss. Digesto,

it., IV, Torino, 1964, pag. 418; Trib. Forlì, 19 gennaio 1959, Credito Romagnolo c.

Fallimento Bombacci, in Banca, borsa, tit. cred., 1960, II, pag. 283; nonché Trib. Milano,

14 gennaio 1988, Odontal s.r.l. c. Cariplo, idem, 1989, II, pag. 486. E cfr. inoltre: V.

SANTORO, Il conto corrente, cit., pagg. 199 segg.; N. CORBO, Autonomia, cit., pag. 129

seg.; S. ALAGNA, Contratti bancari di intermediazione, cit., pag. 66; e v. anche lo spunto

di S. MACCARONE, Osservazioni in tema di conto corrente bancario, in AA.VV., Le

operazioni bancarie, cit., pag. 614.

14 Cfr. G. MOLLE, I contratti bancari, cit., pag. 409; C. GIANNATTASIO,

Anticipazioni della banca, loc. cit.; F. SCORDINO, I contratti bancari, cit., pag. 177; e v.

anche A. LUMINOSO, Spunti in tema di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto

corrente bancario e di mandato in rem propriam all’incasso, in Banca, borsa, tit. cred.,

1986, I, pag. 155 segg., ivi a pag. 165; A. CALTABIANO, Il conto corrente bancario, cit.,

pagg. 149 segg.; A. NIGRO, Revocatoria delle rimesse in conto corrente, cit., pag. 298; M.

ARATO, Operazioni bancarie in conto corrente, cit., pag. 157; nonché, in giurisprudenza,

tra le molte sentenze: Cass. 8 marzo 1969, n. 761, Soc. Scientific Company Italiana c.

Credito Lombardo, in Banca, borsa, tit. cred. 1969, II, pag. 502; Cass. 25 luglio 1972, n.

2545, Credito Italiano c. Fallimento Santoro, in Foro it., 1973, I, col. 2211; Cass. 27

gennaio 1975, n. 317, Fallimento Mangiarotti c. Cassa Rurale ed Artigiana di Binasco, in

Giur. comm., 1976, II, pag. 434; Cass. 5 dicembre 1992, n. 12947, cit. (in motivazione);

Cass. 21 marzo 1991, n. 3060, Banco di San Marco c. Fallimento La Legnotecnica s.a.s.,

in Foro it., 1992, I, col. 152; Cass. 4 luglio 1985, n. 4022, Credito Bergamasco c.

Fallimento V.P.C. Incentives e Promotions s.p.a., in Giur. comm. 1986, II, pag. 5, con

osservaz. di A. NIGRO; Cass. 10 febbraio 1982, n. 815, Capurso c. Banca Nazionale del

Lavoro, in Banca, borsa, tit. cred., 1982, II, pag. 124; Trib. Roma, 22 ottobre 1982,

Chesini e Carino c. Banca Nazionale del Lavoro, idem, 1984, II, pag. 114. Sul punto cfr.

anche: N. CORBO, Autonomia, cit., pagg. 129 seg.; F. BONELLI, Revocatoria fallimentare

delle rimesse in conto corrente bancario, in AA.VV., Le operazioni bancarie, a cura di

G.B. Portale, cit., I, pag. 701, nota 4.

15 In generale, sulla conclusione di rapporti contrattuali mediante “comportamenti

concludenti”, v., per tutti, G. GIAMPICCOLO, Note sul comportamento concludente, in Riv.

trim. dir. e proc. civ. 1961, pagg. 778; A. RAVAZZONI, La formazione del contratto, I, Le

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Innanzi tutto, a noi sembra che riconoscere una sia pur limitata

funzione creditizia al conto corrente bancario finirebbe per snaturare

gravemente l’essenza causale del contratto, che è – e resta – esclusivamente

quella di “servizio di cassa”, cioè di accordo per la annotazione; rischiando,

peraltro, sia di legittimare comportamenti imprevedibili delle banche nei

pagamenti “allo scoperto”, mal conciliabili con l’esigenza di certezza e

trasparenza dei rapporti banca-cliente, sia di condurre a costruzioni

perlomeno collidenti con le disposizioni penali in tema di assegni tratti allo

scoperto; senza contare poi che una funzione creditizia non regolata e per

così dire “spontanea” (come finirebbe in definitiva per divenire quella del

conto corrente), comporterebbe inammissibili sperequazioni tra i diversi

correntisti, essendo ben nota la tendenza delle banche a “coprire” soltanto

alcuni clienti (considerati) particolarmente importanti per motivi che spesso

sfuggono alla logica del merito creditizio17.

fasi del procedimento, cit., pagg. 372 segg.; P. TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato,

cit., pagg. 304 segg.; sulla “categoria” del comportamento concludente, cfr., poi: A.

FALZEA, voce “Comportamento”, in Enc. del dir., VIII, Milano, 1961, pagg. 135 seg.; ed

anche l’ampio saggio di V. SCALISI, La revoca non formale del testamento e la teoria del

comportamento concludente, Milano, 1974, spec. pagg. 252 segg..

16 A favore della conclusione dell’apertura di credito per fatti concludenti, cfr.,

principalmente: P. SCHLESINGER, Imprese insolventi e credito bancario: considerazioni

introduttive, in Fallimento, 1985, pag. 243; S. ALAGNA, Contratti bancari di

intermediazione, cit., pagg. 45, testo e nota 64, e pag. 66; M. PORZIO, voce “Apertura di

credito,” cit., pag. 3; F. MARTORANO, Il conto corrente bancario, cit., pagg. 55 seg.; V.

SANTORO, Il conto corrente bancario, cit., pag. 125; G. MOLLE, I contratti bancari, cit.,

pag. 178; M. SANDULLI, Relazione, in AA.VV., La revocatoria dei versamenti in conto

corrente bancario, Atti di Convegno, Padova, 1987, pag. 126; D. MARTELLA, Rimesse in

conto corrente e revocatoria fallimentare: limiti del diritto bancario giurisprudenziale, in

Riv. dir. comm., 1990, I, pagg. 779 segg.; R. DANOVI, Massimo scoperto, saldo

giornaliero, saldo per valuta, sconfinamenti: nuove traiettorie delle iniziative fallimentari

sui conti correnti, in Giur. comm., 1986, I, pagg. 917 segg.; E. TARTAGLIA,

Considerazioni in tema di revocatoria fallimentare dei versamenti in conto corrente

bancario, in Banca, borsa, tit. cred., 1987, I, pag. 536; F. CARDELLA, Rimesse in conto

corrente bancario assistito da apertura di credito e revocatoria fallimentare, in

Fallimento, 1986, pagg. 11 segg.; e vedi anche: Cass. 11 marzo 1992, n. 2915, cit.; App.

Milano, 22 marzo 1991, Banco di Sicilia c. Fallimento Vita Mayer, in Banca, borsa, tit.

cred., 1992, II, pag. 443; Trib. Catanzaro, 7 aprile 1995 (ord.), Soverato Dolci s.n.c. c.

Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania, idem, 1995, II, pag. 491.

17 Talvolta le banche, al fine di non far giungere il cliente al fallimento, e per

ottenere i sospirati consolidamenti delle garanzie reali prestate o dei pagamenti effettuati

dall’impresa affidata, evitano l’invio al protesto degli assegni privi di copertura (e tale

atteggiamento, al di là di ogni altra considerazione, non può che ricollegarsi alla delicata

tematica, già sviluppata retro, par 5, della concessione c.d. “abusiva” del credito).

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In secondo luogo, non convince la costruzione che riconduce alle

anticipazioni del mandatario i pagamenti effettuati dalla banca allo scoperto:

l’impostazione criticata, come è già stato del resto ben evidenziato18, non

può trovare una sua logica applicazione in tutti quei casi in cui gli esborsi

della banca siano conseguenti a prelievi effettuati per cassa dal correntista,

oltre il limite di disponibilità; sicché non appare idonea a spiegare il

fenomeno.

Né, infine, come detto, è possibile concordare con quelle teoriche che

ravvisano nella ridetta condotta della banca un comportamento concludente

idoneo a perfezionare un’apertura di credito19. Ora, a parte il tenore della

clausola contrattuale di cui all’art. 6, lett. e, delle Norme Bancarie A.B.I. che

regolano il contratto di conto corrente di corrispondenza – tenore di per sé

non decisivo20 – occorre riflettere sulla circostanza per cui nell’apertura di

18 Cfr. F. BONELLI, Revocatoria fallimentare, cit., pag. 701, nota 4; M. PORZIO,

L’apertura di credito: profili generali, cit., pag. 516; ID., Il conto corrente, cit., pag. 894;

F. MARTORANO, Compensazione e revocatoria fallimentare nel conto corrente bancario,

in Banca, borsa, tit. cred., 1976, I, pagg. 129 segg., ivi a pag. 170.

19 In senso conforme a quanto da noi affermato è anche la prevalente

giurisprudenza, seppur con riferimento prevalentemente alla vexata quaestio della

revocatoria fallimentare dei versamenti in conto corrente; e cfr., tra le molte pronunce:

Cass. 7 ottobre 1970, n. 1832, Pace c. Banco di Roma, in Foro it., 1971, I, col. 3025; Cass.

3 luglio 1987, n. 5819, Fallimento Alma c. Banca Nazionale del Lavoro, in Fallimento,

1987, pag. 1135, ed in Foro it., 1987, I, col. 850; Cass. 25 ottobre 1977, n. 4563, Pedone c.

Banco di Napoli, in Foro it., 1978, I, col. 1504; Cass. 4 luglio 1985, n. 4022, cit.; e v.

anche Trib. Milano, 14 aprile 1986, cit., ed App. Milano, 27 ottobre 1986, Fallimento

Laminati Plastici c. Banca Nazionale del Lavoro, entrambe in Banca borsa, tit. cred.,

1987, II, pag. 404; App. Milano, 11 ottobre 1988, Credito Varesino c. Implave Industrie

Vernici s.p.a., in Fallimento, 1989, pag. 634; App. Milano, 3 novembre 1995, Cassa di

Risparmio delle Province Lombarde c. Fallimento Calzaturificio Castea, in Banca, borsa,

tit. cred., 1997, II, pag. 329; Trib. Milano, 7 marzo 1994, cit.; Trib. Verona, 3 aprile 1990,

Fallimento Conceria Colognese s.p.a. c. Banca Popolare di Novara, in Banca, borsa, tit.

cred., 1991, II, pag. 312; nonché, in dottrina: E. SPANO, Saldo contabile, saldo liquido e

revocatoria fallimentare, cit., pag. 738; L. PANZANI, Ancora sulla revocatoria delle

rimesse in conto corrente: ampliamento unilaterale del fido, saldo contabile, saldo per

valuta e saldo disponibile, in Fallimento, 1990, pagg. 1148 segg., ivi a pag. 1154; V.

NAPOLEONI, Quale “saldo” per la revocatoria fallimentare delle rimesse in conto

corrente bancario?, ibidem, pagg. 322 segg., ivi a pag. 326.

20 L’art. 6, lett. e, delle Norme Bancarie A.B.I. che regolano i conti correnti di

corrispondenza dispone, tra l’altro, che “l’eventuale scoperto consentito oltre il limite

dell’apertura di credito non comporta l’aumento di tale limite”.

Rileva giustamente V. SANTORO, Il conto corrente, cit., pag. 123, come un

riferimento alla regolamentazione pattizia costituirebbe un’inversione logica del problema:

“infatti non si tratta di verificare se le clausole del contratto consentano di superare

l’affidamento in seguito ad un comportamento della banca (nel qual caso incontreremmo

un limite invalicabile nella clausola [art. 6, lett. e, n.b.u.]), si tratta invece di verificare se il

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credito l’effettivo nucleo del rapporto, e quindi la vera essenza del contratto,

risiede nella disponibilità, nel (l’obbligo della banca di) tenere a

disposizione una determinata somma, e per un lasso di tempo

sufficientemente durevole in un’ottica di significativa economicità21: oggetto

del contratto, come insegnato dalla più attenta dottrina22, non è il godimento

di una somma, bensì il godimento di una disponibilità23. L’apertura di

comportamento delle parti (ed in particolare quello della banca) è tale da far supporre

superata anche la suddetta clausola”. E cfr. anche, in senso sostanzialmente non difforme,

M. PORZIO, voce “Apertura di credito”, cit., pag. 3, secondo il quale “l’inserimento di

questa clausola non risolve definitivamente il problema, sia perché esso può riferirsi solo

ad un’apertura di credito concessa in modo espresso, sia perché un eventuale

comportamento contrario delle parti potrebbe costituire prova (nel rispetto dell’art. 2723

cod. civ.) di una deroga concordata alle clausole contrattuali o della conclusione di un

nuovo contratto”; e v. pure S. ALAGNA, Contratti bancari di intermediazione, cit., pagg.

71 segg..

21 Nella logica del rapporto, è più che ovvio che l’art. 1842 cod. civ. preveda

l’obbligo della banca di tenere a disposizione una somma “per un dato periodo di tempo o

a tempo indeterminato”; essendo del tutto inconcepibile una apertura di credito ...

istantanea (mentre è sicuramente istantaneo l’atto di utilizzo, ex art. 1843 cod. civ.). Ed è

così che l’apertura di credito, proprio perché incentrata sul godimento della disponibilità,

si configurerà quale tipico “contratto di durata” (conf., per tutti: A. SERRA, voce “Apertura

di credito bancario”, cit., pag. 157; M. ARATO, Operazioni bancarie in conto corrente, cit.,

pag. 96; G. MOLLE e L. DESIDERIO, Manuale di diritto bancario, cit., pag. 152; Cass. 19

febbraio 1964, n. 369, Ministero delle Finanze c. Banca Nazionale del Lavoro, in Giust.

civ., 1964, I, pag. 2143; e, per la categoria, cfr. il fondamentale scritto di G. OPPO, I

contratti di durata, in Riv. dir. comm., 1943, I, pagg. 150 segg.).

22 Efficacissime ed illuminanti sono le considerazioni di G. FERRI, voce “Apertura

di credito”, cit., pagg. 599 segg..

23 Comprendendosi così perfettamente come la posizione della banca nell’apertura

di credito non possa minimamente essere ricondotta a quella del debitore di somma di

denaro; l’obbligazione pecuniaria, qui, non c’entrando affatto. Dal che discende la

conseguenza che le somme “disponibili” per l’accreditato non potranno in alcun modo

essere oggetto di atti di disposizione inter vivos, né formare oggetto di successione (conf.

M. ARATO, Operazioni bancarie in conto corrente, cit., pag. 92); né potranno costituire

oggetto di una cessione di credito a terzi (conf. S. ALAGNA, Contratti bancari di

intermediazione, cit., pagg. 51 seg.; V.M. TRIMARCHI, Considerazioni in tema di apertura

di credito, cit., pag. 318); così come poi i creditori dell’affidato non potranno in alcun

modo procedere al pignoramento (ex art. 543 cod. proc. civ.) ovvero al sequestro della

disponibilità (in senso conforme, sullo specifico aspetto, cfr. in dottrina: F. GIORGIANNI, I

crediti disponibili, cit., pagg. 248, 310; G. TERRANOVA, Conti correnti bancari e

revocatoria fallimentare, Milano, 1982, pag. 44; F. MESSINEO, Contenuto e caratteri

giuridici dell’apertura di credito, cit., pagg. 367 seg.; G. MOLLE, I contratti bancari, cit.,

pag. 175; e, pur con qualche perplessità, M. PORZIO, Conto corrente, cit., pag. 923;

nonché, in giurisprudenza: Pret. Monza, 3 marzo 1989, cit.; Trib. Milano, 29 ottobre 1987,

Dosapro Milton Roy Commerciale c. Banca Popolare di Sondrio, in Giur. it., 1988, I, 2,

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credito è quindi un contratto finalizzato – tipicamente ed essenzialmente –

ad assicurare una disponibilità. E si comprende così come gli atti di utilizzo

della disponibilità (art. 1843 cod. civ.) restino fatti giuridicamente del tutto

autonomi, strutturalmente, rispetto all’apertura di credito24; come creino un

nuovo e distinto rapporto tra cliente e banca, relativo questa volta al

godimento della somma (non più quindi della disponibilità).

Saremo pertanto di fronte ad un’apertura di credito soltanto

nell’ipotesi in cui l’accreditato può effettivamente avere la certezza di “far

affidamento” su di una certa disponibilità e per un certo periodo di tempo (si

noti il lessico dell’art. 1842 cod. civ.: “tenere” a disposizione, non già

“mettere” a disposizione, come spesso, ma erroneamente, si dice),

indipendentemente poi dall’effettivo esercizio del diritto di utilizzo;

esercizio che, di per sé, non sembra quindi poter incidere sugli aspetti

tipicamente causali del contratto in questione.

Se manca la certezza di poter fare affidamento su di una determinata

somma (disponibilità), perché – com’è nella fattispecie considerata – la

banca può ben effettuare il pagamento allo scoperto, così come potrebbe

però anche legittimamente rifiutarlo25, non potremmo mai trovarci di fronte

col. 512; App. Milano, 29 maggio 1990, Dosapro Milton Roy Commerciale c. Banca

Popolare di Sondrio, in Mondo bancario, 1990, (6), pag. 51, con nota di F. MAIMERI,

Impignorabilità del fido bancario non utilizzato; e in Dir. banc., 1991, I, pag. 419, con

nota di I. P., Sul “fido bancario” e la sua pignorabilità; e v. anche, in punto, seppur in una

prospettiva particolare, Trib. Vallo della Lucania, 5 febbraio 1993, Credito Fond. Cassa

Risparmio delle Province Lombarde c. Fallimento Toti, in Fallimento, 1993, pag. 1160;

contra: G. COSTANTINO, Sui poteri del giudice dell’esecuzione e sul “fido bancario”, cit.,

passim).

24 E v. ancora, perfettamente e chiaramente, G. FERRI, voce “Apertura di credito”,

cit., il quale (a pag. 600) sottolinea come “il contratto di apertura di credito esaurisce la sua

efficacia nell’apprestamento di una disponibilità: gli atti di utilizzazione sono operazioni

autonome, anche se collegate economicamente, con quella di apertura di credito e, rispetto

all’apertura di credito, incidono soltanto perché valgono a modificare la misura della

disponibilità”. Conf., nella sostanza, A. SERRA, voce “Apertura di credito bancario”, cit.,

pagg. 156 segg.; Trib. Perugia, 15 maggio 1982, Caruso c. Banca Commerciale Italiana, in

Banca, borsa, tit. cred., 1983, II, pag. 496; Cass. 12 giugno 1973, n. 1688, Di Maio c.

Calabrese, in Giur. it., 1974, I, 1, col. 1410. Per una “visione” del contratto di apertura di

credito completamente diversa – ma non condivisibile – cfr. G. COSTANTINO, Sui poteri

del giudice dell’esecuzione e sul “fido bancario”, cit., passim.

25 La mancanza di un obbligo giuridico della banca, nell’ipotesi de qua, a dar

seguito all’ordine del correntista, può dirsi sicura: e cfr., per tutti, M. ARATO, Operazioni

bancarie in conto corrente, cit., pag. 157; F. BONELLI, La revocatoria fallimentare delle

rimesse in conto corrente bancario: la giurisprudenza della cassazione a partire dal

1982, in Giur. comm., 1987, II, pagg. 219 segg.; G. CAVALLI, Problemi aperti in tema di

revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario, in Dir. banc., 1989, I,

pag. 123; nonché, in giurisprudenza, Cass. 4 luglio 1985, n. 4022, cit.; Cass. 25 ottobre

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ad un’apertura di credito, che appare invece caratterizzata proprio dalla

certezza della disponibilità (“tenere” a disposizione) fino al momento dello

scioglimento del rapporto26. Così che, in definitiva, per sussumere la

concreta fattispecie nel paradigma normativo dell’apertura di credito, il

rapporto intercorrente tra banca e cliente dovrà essere caratterizzato da un

principio di reale ed effettiva stabilità27.

E così, per ritornare al nostro problema, il ravvisare nell’atto della

banca che paghi “allo scoperto” una condotta concludente, rilevante ai fini

del perfezionamento del contratto di apertura di credito, significa, a nostro

avviso, non considerare nella loro giusta ottica i tre distinti tempi che – come

tante volte rilevato28 – caratterizzano il fenomeno creditizio bancario: la

decisione di concedere fido, la sua attuazione (contrattuale), l’utilizzo.

Difatti, la condotta de qua da parte della banca sarà certo rilevante

giuridicamente, ma evidenzierà soltanto la volontà dell’ente di concedere un

affidamento, poi mediante quel rapporto negoziale corrispondente al

comportamento concretamente posto in essere dalle parti in relazione al

momento dell’utilizzo e meglio capace di rispecchiarlo e disciplinarlo.

Ragionare nel senso criticato significa quindi, ancora una volta,

confondere concettualmente tra “fido” ed “apertura di credito”; mentre

dovrebbe esser chiaro come la banca, effettuando pagamenti “allo scoperto”,

non ponga in essere un’apertura di credito29, bensì decida spontaneamente30

1977, n. 4563 cit.; ed anche Cass. 9 maggio 1985, n. 2885, Pappalardo c. Cassa Centrale di

Risparmio Vittorio Emanuele e Banco di Roma, in Banca, borsa, tit. cred., 1987, II, pag.

143, che nella specie configura una “facoltà” della banca; e vedi anche la motivazione di

Cass. 23 aprile 1996, n. 3842, Quattrocchi c. Banca di Roma, in Foro it., Rep. 1996, voce

“Contratti bancari”, n. 29.

26 Fermo restando il principio esposto nel testo, il discorso potrebbe (forse)

assumere contorni meno netti nell’ipotesi in cui il comportamento della banca venisse

posto in essere, nel tempo, con assoluta continuità e senza eccezioni.

Tale ipotesi può reputarsi comunque abbastanza scolastica, data la tendenza delle

banche a non lasciar “consolidare” situazioni di irregolarità nell’esposizione oltre i limiti

del fido concesso (e ciò, almeno, nella prassi fisiologica).

Rileva Trib. Verona, 3 aprile 1990, cit., come “tollerare, in alcune circostanze,

sconfinamenti dal fido senza che vi sia una regolarità di tale condotta e senza che gli

importi eccedenti siano più o meno omogenei, porta ad escludere che (...) sia mai

intervenuto un accordo per ampliare lo scoperto” (in motivazione, alla pag. 323).

27 Per uno spunto in tal senso, cfr. A. NIGRO, Conto “scoperto” e limite della

differenza, in Dir. banc., 1990, I, pagg. 299 segg..

28 E v. quanto osservato retro, cap. I e II, passim.

29 Conformi, nella conclusione, M. SPINELLI e G. GENTILE, Diritto bancario, cit.,

pag. 300; in giurisprudenza: Cass. 9 febbraio 1979, n. 902, Grunzweig c. Banque de

Suez-Italie, in Foro it., Rep. 1979, voce “Contratti bancari”, n. 21; Cass. 14 febbraio 1984,

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di concedere un fido (non “richiesto”), con decisione poi attuata ponendo in

essere, unilateralmente, i singoli atti di pagamento.

Sicché la fattispecie in esame potrebbe rientrare, per quanto concerne

i prelevamenti per cassa allo scoperto, nella disciplina del mutuo (regolato

poi in conto corrente)31, mentre, per quanto concerne i pagamenti (di

assegni) allo scoperto, in quella dell’adempimento dell’obbligo altrui

prevista dall’art. 1180 cod. civ.32. In tale ultima ipotesi, i rapporti tra terzo

(banca) e debitore (cliente) verranno poi regolati in conto corrente, ove

naturalmente sarà addebitato l’importo relativo al pagamento.

D’altronde, a nostro avviso, neanche ripetuti pagamenti di assegni

privi di copertura consentirebbe di ravvisare un comportamento concludente

delle parti rilevante ai fini del perfezionamento di un contratto di apertura di

n. 1112, Bianchi c. Banca Provinciale Lombarda, in Foro it., 1984, I, col. 1285 (in

motivazione); ed interessanti anche i rilievi di C. CAMARDI, Osservazioni a App. Milano, 3

novembre 1995, in tema di conclusione tacita di contratti di apertura di credito, in Banca,

borsa, tit. cred., 1997, II, pag. 335.

30 I motivi che inducono la banca a comportarsi nel modo descritto possono essere

i più disparati; sovente c’è comunque il tentativo di “coprire” particolari clienti (e v. M.

SPINELLI e G. GENTILE, Diritto bancario, cit., pag. 301; nonché, seppur in relazione ad una

fattispecie particolare, Cass. 13 gennaio 1993, n. 343, cit.), ovvero di non far giungere il

cliente al fallimento, magari per consolidare garanzie reali ... in dirittura d’arrivo. Secondo

Cass. 4 luglio 1985, n. 4022, cit., le banche sarebbero indotte “a tollerare scoperti senza

stipulare aperture di credito essenzialmente perché intendono prescindere dalla osservanza

delle formalità richieste dalla Banca d’Italia per la concessione di fidi”, con ciò

confondendo però la causa con l’effetto (patologico).

31 In quest’ottica: M. PORZIO, Il conto corrente, cit., pag. 894; G. CAVALLI, voce

“Conto corrente. Conto corrente bancario”, in Enc. giur. Treccani, VIII, Roma, 1988, pag.

6; G. GRAZIADEI, La convenzione d’assegno, Napoli, s.d. (ma 1970), pagg. 178 seg.; i

quali comunque non operano distinzioni tra prelievi per cassa allo scoperto e pagamenti

allo scoperto in genere; nonché, in giurisprudenza: Cass. 29 maggio 1990, n. 5023,

Fallimento Cartiera di Cairate c. Banca Popolare di Milano, in Banca, borsa, tit. cred.,

1991, I, pag. 312, con nota di G. PRESTI, Tipologia, cit., (in motivazione).

32 Su tale figura, oltre al fondamentale saggio di R. NICOLÒ, L’adempimento

dell’obbligo altrui, Milano, 1935, cfr., per tutti: ID., voce “Adempimento (diritto civile)”,

in Enc. del dir., I, Milano, 1958, pagg. 554 segg., ivi a pagg. 565 segg.; A. DI MAJO, voce

“Pagamento (diritto privato)”, idem, XXXI, Milano, 1981, pag. 553; M. GIORGIANNI, voce

“Pagamento (diritto civile)”, in Noviss. Digesto it., XII, Torino, 1965, pag. 321 segg..

Vale rilevare come in chiave di adempimento del terzo sia stata ricostruita anche la

diversa fattispecie del “cambio assegni” per cassa (Cass. 19 ottobre 1978, n. 4701, Banca

Commerciale Italiana c. Lipari, in Banca, borsa, tit. cred., 1979, II, pag. 283, commentata

criticamente idem, 1983, II, pagg. 41 segg., da B. RENDA, Sulla “negoziazione” e

l’accreditamento in conto, cit.).

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credito33: se è vero – com’è vero – che il fulcro causale del contratto de quo

è rappresentato dalla tenuta a disposizione di una somma di denaro della

banca a godimento del cliente, sarebbe alquanto difficile – se non

impossibile – riuscire a determinare l’oggetto del contratto (art. 1346 cod.

civ.)34, cioè l’ammontare della somma che deve essere tenuta a disposizione

dalla banca (in definitiva: l’ammontare della disponibilità)35.

In altri termini: ammettendo per un momento che il pagamento

ripetuto nel tempo di assegni privi di copertura possa integrare un

comportamento concludente ai fini della configurabilità di un’apertura di

credito, quale oggetto avrebbe tale contratto? Come sarebbe possibile

determinarlo? La verità, ancora una volta, è che l’apertura di credito è

contratto che richiede tempo, stabilità e consapevolezza dell’oggetto

(disponibilità) al fine di “rispettare” appieno la causa sua propria; non

apparendo quindi possibile ravvisare, in ogni concessione di credito, anche

un’apertura di credito.

33 E v. la precedente nota 26. Contra: P. SCHLESINGER, Imprese insolventi e

credito bancario, cit., pag. 243; nonché, sostanzialmente, tutti coloro che ammettono la

conclusione del contratto di apertura di credito per effetto di fatti concludenti: S. ALAGNA,

Contratti bancari di intermediazione, cit., pagg. 45 segg.; M. PORZIO, voce “Apertura di

credito,” cit., pag. 3; F. MARTORANO, Il conto corrente bancario, cit., pagg. 55 seg.; V.

SANTORO, Il conto corrente bancario, cit., pag. 125; G. MOLLE, I contratti bancari, cit.,

pag. 178; M. SANDULLI, Relazione, cit., pag. 126; D. MARTELLA, Rimesse in conto

corrente e revocatoria, cit., pagg. 779 segg.; R. DANOVI, Massimo scoperto, saldo

giornaliero, cit., pagg. 917 seg.; F. CARDELLA, Rimesse in conto corrente bancario

assistito da apertura di credito, cit., pagg. 11 segg.; E. TARTAGLIA, Considerazioni in

tema di revocatoria, cit., pag. 536.

In senso variamente critico, cfr. invece, efficacemente: G. CAVALLI, Problemi

aperti in tema di revocatoria, cit., pagg. 121 segg.; nonché, E. SPANO, Saldo contabile,

saldo liquido, cit., pag. 738; L. PANZANI, Ancora sulla revocatoria delle rimesse in conto,

cit., pag. 1154; V. NAPOLEONI, Quale “saldo” per la revocatoria, cit., pag. 326.

34 Ovvero, se si preferisce, l’oggetto dell’obbligazione, cioè della prestazione

dedotta in contratto; e, per l’equiparazione, v. F. CARRESI, Il contenuto del contratto, in

Riv. dir. civ. 1963, I, pagg. 365 segg.; M. GIORGIANNI, L’obbligazione, I, Milano, 1968,

pag. 213. A meno di non voler svilire completamente la nozione: e v. allora, per tutti, G.

GORLA, La teoria dell’oggetto del contratto nel diritto continentale (Civil law). Saggio di

critica mediante il metodo comparativo, in Jus, 1953, pagg. 290 segg..

35 Secondo D. MARTELLA, Rimesse in conto corrente, cit., pag. 765, “l’ammontare

massimo dello scoperto consentito” potrebbe essere chiaramente individuato

“dall’andamento ondulatorio del conto”; il che non convince: posto che, così ragionando,

si finisce con il confondere tra la (necessaria) determinabilità a priori dell’oggetto

dell’apertura di credito ed una (inammissibile) “deducibilità” dello stesso a posteriori, in

virtù dell’esame dei dati numerici del conto corrente su cui l’apertura risulta appoggiata

contabilmente. E v. anche, in senso sostanzialmente condivisibile, la motivazione di Cass.

3 luglio 1987, n. 5819, cit..

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Non molto diversa si presenta, infine, la situazione nell’ultimo

esempio proposto: ci riferiamo a quelle operazioni di “liquidità” sugli

assegni negoziati (“cambio” per cassa degli assegni; prelievo immediato

degli importi degli assegni “versati” sul conto) compiute dalla banca in

favore di un cliente a cui non risulti concesso in precedenza uno specifico

affidamento che consenta l’operazione (c.d. fido “per disponibilità

immediata assegni” o “salvo buon fine assegni”) ed a cui, di conseguenza,

non sia stato riconosciuto il diritto di disporre subito sul conto delle somme

corrispondenti agli assegni negoziati, prima quindi del loro effettivo

incasso36.

Le (singole) operazioni dovranno essere inquadrate autonomamente,

nell’àmbito di una concessione “di fatto” del fido37; così come, anche

rispetto a tale attività, non crediamo possibile ravvisare quell’“attività

concludente” idonea a perfezionare, tra banca e cliente, un rapporto di

apertura di credito38. Anche in tal caso, la disciplina delle operazioni andrà

quindi individuata caso per caso, verificando la concreta applicabilità delle

regole generali alla singola fattispecie.

Veniamo ora agli “extrafidi”.

Abbiamo già visto come questi si distinguano dai “fidi di fatto” per

essere, nella sostanza, dei veri e propri affidamenti; tutti gli elementi del

36 In argomento, cfr. anche G. CAVALLI, Problemi aperti in tema di revocatoria

fallimentare delle rimesse, cit., pag. 133; nonché G. OLIVIERI, Compensazione e

circolazione, cit., pag. 227; S. MACCARONE, I contratti bancari di liquidità, cit., pag. 79;

A. NIGRO, Rimesse in conto corrente bancario e revocatoria fallimentare, cit., pagg. 1000

segg..

37 L’Organo di vigilanza rileva come la prassi di riconoscere ai clienti non affidati

(ovvero oltre ai limiti dell’affidamento) il corrispettivo di assegni tratti su un’altra banca

prima dell’incasso realizzi “forme improprie di affidamento”; e cfr. (BANCA D’ITALIA,

Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXXI (ediz. maggio 1985).

38 Conf. Trib. Verona, 3 aprile 1990, cit.; Trib. Venezia, 28 luglio 1987,

Fallimento Zinelli c. Banco di Sicilia, e Trib. Venezia, 8 luglio 1987, Fallimento

Snichelotto c. Banca Cattolica del Veneto, entrambe in Fallimento, 1988, pag. 471; Trib.

Venezia, 20 settembre 1989, Fallimento Pizzeria Ketty c. Banca Nazionale

dell’Agricoltura, idem, 1990, pag. 319; Trib. Milano, 28 novembre 1991, Rotolificio

Milanese s.r.l. c. Banca Popolare di Milano, in Banca, borsa, tit. cred., 1993, II, pag. 458;

G. PRESTI, Tipologia dei saldi bancari e revocatoria fallimentare, cit., pag. 338.

Ricordiamo come le Norme Bancarie A.B.I. in materia di conto corrente di

corrispondenza precisino che: “qualora la banca consentisse al correntista di disporre, in

tutto o in parte, dell’importo (degli assegni negoziati) prima di averne effettuato l’incasso

ed ancorché sull’importo sia iniziata la decorrenza degli interessi, ciò non comporterà

affidamento di analoghe concessioni per il futuro” (art. 4, IV comma); ove la locuzione

“affidamento di analoghe concessioni” dovrebbe stare, in realtà, se si vuole dare un senso

compiuto alla disposizione, per “concessione di analoghi affidamenti”.

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procedimento sono qui presenti: la richiesta del cliente, l’istruttoria sul

merito creditizio, la delibera di concessione, l’annotazione nel libro dei

fidi39, la (eventuale) segnalazione alla Centrale dei rischi tra gli elementi

dell’accordato40.

Rispetto al fido “base”, gli extrafidi sono poi caratterizzati dai

seguenti peculiari fattori: a) in primo luogo, deve naturalmente già sussistere

in capo al richiedente una posizione di fido; b) in secondo luogo, il

fabbisogno di credito dev’essere momentaneo (come ad esempio nell’ipotesi

di fido “stagionale”); c) infine, l’ammontare del credito supplementare

richiesto dev’essere percentualmente limitato41 rispetto all’ammontare, in

precedenza già accordato, del fido “base”. Qualora manchi anche uno di tali

elementi, non saremo in presenza di una richiesta di “extrafido”, bensì,

soltanto, di una normale domanda di concessione di fido, ovvero di aumento

dello stesso.

In definitiva, quindi, l’“extrafido” rappresenta un peculiare tipo di

affidamento (sottoposto alla normale disciplina generale del fido)

caratterizzato dal breve tempo operativo e, come tale, attuato mediante

rapporti creditizi “a termine”, i quali poi, normalmente, si “innestano” in

quei rapporti a tempo indeterminato originariamente posti in essere in

attuazione del fido-base.

Ciò posto, vale qui notare come la proposta distinzione tra “fidi di

fatto” ed “extrafidi” non sembra affatto rivestire un esclusivo valore

definitorio, o comunque di mero ordine terminologico; la ripartizione

assumendo invece una sua significativa rilevanza, sopratutto in relazione

alla complessa problematica inerente alla revocatoria fallimentare delle

rimesse in conto corrente42.

39 Cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi, XXXIX, Par.

6 (ediz. dicembre 1990).

40 In realtà, a seguito del perfezionamento (della modifica) del rapporto

contrattuale, la segnalazione sarà relativa all’accordato operativo (e per la distinzione tra

accordato ed accordato operativo, cfr. retro, cap. II, par. 10).

41 In una percentuale, come già osservato, normalmente oscillante tra il 5 ed il 20

per cento.

42 Non è certo possibile, in questa sede, scendere ad esaminare le differenti ed

articolate problematiche inerenti alla revocatoria fallimentare dei versamenti effettuati sul

conto corrente bancario. Sul tema, certamente uno dei più difficili e tormentati del diritto

bancario, la letteratura risulta pressoché illimitata; oltre alle monografie di G.

TERRANOVA, Conti correnti bancari e revocatoria fallimentare, cit., e di M. ARATO,

Operazioni bancarie in conto corrente e revocatoria fallimentare delle rimesse, cit.; cfr.

comunque almeno G. CAVALLI, Problemi aperti, loc. cit., passim; N. SALANITRO, La

revocatoria delle rimesse in conto corrente, cit.; AA.VV., Operazioni bancarie e

procedure concorsuali, a cura di S. Maccarone e A. Nigro, Atti del Convegno di Verona

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Al riguardo, sembra infatti che l’azione ex art. 67, legge fall. possa

trovare fondati margini di esperibilità in presenza di un fido “di fatto”, non

anche in presenza di un “extrafido” deliberato dalla banca. Intendendo con

ciò sottolineare che, mentre ad un versamento effettuato sul conto corrente

nel “segmento” contabile relativo all’“extrafido” (accordato), e durante il

periodo di vigenza dello stesso, difficilmente potrebbe essere negata – in

linea di principio – la natura di atto ripristinatorio della disponibilità43, nella

diversa ipotesi di rimessa sul conto susseguente ad un utilizzo consentito “in

fatto” dalla banca, ben potrebbe essere riconosciuto valore solutorio al

versamento, e pertanto configurata una sua revocabilità in sede

fallimentare44.

Passando all’esame di differenti fattispecie, va detto ora brevemente

dell’ipotesi in cui la banca, per proprie esigenze interne di gestione, deliberi

dei fidi ad alcuni clienti, senza che questi ne siano a conoscenza e senza

quindi che giungano ad utilizzarli.

Nella specie, è chiaro che il fido – c.d. “interno” – non potrà essere in

alcun modo considerato come vero e proprio “affidamento” in senso

tecnico-giuridico e, come tale, sottoposto alla più volte richiamata disciplina

generale (istruttoria, competenze, limiti, annotazioni, segnalazioni)45: il fido

“interno” avrà valenza per così dire “aziendale”, rappresentando unicamente

del 23-25 maggio 1985, Milano, 1988; F. BONELLI, La revocatoria fallimentare delle

rimesse in conto corrente bancario, cit., pagg. 213 segg..

43 È noto come ormai, dopo la fondamentale e “storica” Cass. 18 ottobre 1982, n.

5413, Banca Nazionale del Lavoro c. Fallimento Carman Ormi s.p.a., in Banca, borsa, tit.

cred., 1983, II, pag. 8, con nota di G. TERRANOVA, Effetto estintivo e funzione solutoria

nelle rimesse di conto corrente (nonché in numerosissime altre riviste giuridiche, con varie

note di commento), sussiste una sostanziale convergenza di opinioni nel considerare, da un

lato, soggette a revocatoria soltanto quelle rimesse che rappresentino versamenti effettuati

su conti contabilmente passivi e non affidati (ovvero oltre il limite del fido) (conti c.d.

“scoperti”), quelle rimesse, quindi, con funzioni tipicamente solutoria (cioè di

“pagamento” ex art. 67, II comma, legge fall.); e, dall’altro, sottratte a tale pericolo quelle

rimesse eseguite su conti che, pur passivi contabilmente, risultino assistiti da un rapporto

di affidamento (conti c.d. “passivi”), vedendo riconosciuta, nelle rimesse di quest’ultimo

tipo, una funzione di mero “ripristino della disponibilità”, cioè di creazione di provvista

per future operazioni.

44 Molto chiara, in punto, tra le tante, la conforme motivazione di Trib. Verona, 3

aprile 1990, cit. In dottrina, appare sufficiente rinviare, per tutti, a G. PRESTI, Tipologia dei

saldi bancari, cit., pag. 338.

45 Sulla irrilevanza dei fidi “interni”, costituenti poi (potenziale) “margine

disponibile”, ai fini della valutazione del rispetto del criterio della “prevalenza” nella

concessione di credito da parte delle banche di credito cooperativo (art. 35, I comma,

T.U.L.Banc.) cfr. retro, cap. II, par. 7.

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un massimale operativo, senza poi alcuna influenza concreta – dal punto di

vista giuridico – nelle eventuali scelte relative all’effettiva concessione

dell’affidamento, qualora, in ipotesi, questo dovesse venire effettivamente

richiesto dal soggetto interessato.

Va comunque detto, e qui allora sul piano delle possibili valutazioni

dei comportamenti degli organi della banca, come un frequente ricorso ai

fidi “interni” non possa mai costituire un presupposto per il riconoscimento

alla clientela di sconfinamenti automatici46.

Restano inoltre da ricordare quelle ipotesi – in verità, peraltro

alquanto ricorrenti – in cui l’affidato può articolare, a sua scelta, l’utilizzo su

diverse forme tecniche attuative di un’unica decisione di concedere fido (di

un unico fido): è questo il caso del fido c.d. “promiscuo” (talvolta

denominato “complesso”)47, dove la banca consente che l’affidamento possa

trovare attuazione – entro il limite globale accordato – mediante diverse

forme contrattuali, corrispondenti poi a differenti categorie di rischio, senza

che risultino preventivamente determinate le quote di utilizzo per ognuna di

esse48. Qui, nell’ottica negoziale che rileva, appare evidente che il diritto

46 Nello stesso senso si è espresso l’Organo di vigilanza in sede di esplicazione dei

criteri per la compilazione dei “Prospetti informativi sull’evoluzione degli impieghi e dei

fidi accordati”; cfr. BANCA D’ITALIA, Bollettino di vigilanza sulle aziende di credito, n.

113, pag. 15.

47 Con i fidi “promiscui” non debbono essere confusi i fidi c.d. “plurimi”; in

quest’ultima ipotesi, vengono deliberati distinti affidamenti a due (o più) soggetti, con

possibilità di elevare il fido a ciascuno di essi fino ad un valore massimo pari alla somma

dei due (o più) affidamenti, ma con contemporaneo blocco del fido di cui beneficia l’altro.

La descritta fattispecie, ove i soggetti interessati rispondono autonomamente e non

in via solidale dei rispettivi utilizzi, non va poi naturalmente a sua volta confusa (come

talora accade nella pratica bancaria) con quella in cui più persone siano cointestatarie dello

stesso (rapporto di) affidamento, in relazione all’esistenza di conti a firma disgiunta,

intestati cioè a più soggetti con facoltà individuale di prelevamento, ovvero di conti a

firma congiunta, nei quali, per disporre, è necessaria la firma di tutti gli intestatari del

rapporto (e v. B. RENDA, La contitolarità dei depositi bancari, Padova, 1981, pagg. 45

segg.).

Sui criteri di segnalazione alla Centrale dei rischi dei fidi “plurimi” cfr. BANCA

D’ITALIA, Istruzioni per la Centrale dei rischi, cit., Cap. II, Sez. 1, Par.11; e per la

segnalazione dei fidi c.d. “frazionati”, accordati cioè allo stesso cliente da più dipendenze

di una medesima banca, cfr. BANCA D’ITALIA, idem, Cap. II, Sez. 3, Par 2.

48 Ad esempio: il cliente risulta globalmente affidato per 1000, con possibilità di

utilizzare il fido sia mediante un’apertura di credito in conto corrente, che mediante sconti

di cambiali commerciali; qualora, ad esempio, risultino effettuati sconti per un ammontare

di 350, il fido che si volesse utilizzare con l’apertura di credito sarà pari, di conseguenza, a

650.

M. BOETTI, I fidi bancari, cit., pag. 186, individua ad esempio, tra le forme più

ricorrenti di fidi promiscui: lo sconto di portafoglio commerciale accettato e/o lo sconto di

tratte non accettate; il rilascio di fidejussioni e/o la costituzione di depositi cauzionali; le

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contrattuale dell’affidato – di utilizzare le somme fino ad un certo

ammontare nell’àmbito di ogni singolo rapporto di credito – potrà

configurarsi come sottoposto alla condizione sospensiva del mancato (o

parziale) utilizzo del fido nell’àmbito degli altri rapporti49; oppure – e molto

meglio – come diritto avente ad oggetto un’obbligazione alternativa, in cui

la scelta della prestazione è rimessa all’affidato.

Ovvero, ancora, quelle diverse ipotesi in cui il soggetto legittimato

all’utilizzo del credito non corrisponde a quello che ha richiesto

l’affidamento: è il caso in cui un soggetto richiede ad una banca di mettere a

disposizione una somma di denaro o di rilasciare una fidejussione in favore

di un terzo beneficiario, il quale poi verrà ad assumere, nei confronti

dell’ente bancario, tutti gli obblighi derivanti dal rapporto creditizio posto in

essere (di cassa, ovvero di firma50); mentre il richiedente assumerà la figura

del garante di costui.

Qui ci troviamo di fronte ad una situazione particolare: soggetto

“affidato”, nei confronti del quale vengono quindi svolte le consuete

aperture di credito documentarie a vista sull’estero e/o gli anticipi in divisa che ne

seguono.

Per qualche applicazione giurisprudenziale, v. ad esempio Trib. Verona, 3 aprile

1990, cit.; Cass. 28 aprile 1995, n. 4718, cit..

49 Sul problema se – in ipotesi di fido promiscuo, o comunque in presenza di più

linee di credito – il limite relativo a ciascuna forma contrattuale debba essere, ai fini della

revocatoria fallimentare delle rimesse, considerato separatamente ovvero congiuntamente

(agli altri limiti), cfr., in un’ottica sostanzialmente favorevole all’autonomia, pur con

marcati distinguo: G. CAVALLI, Problemi aperti, cit., pagg. 127 segg.; M. ARATO,

Operazioni bancarie in conto corrente, cit., pag. 238; G.C.M. RIVOLTA, Documentazione

e prova, cit., pagg. 374 seg.; Trib. Milano, 7 marzo 1994, cit.; Trib. Torino, 23 dicembre

1992, Fallimento Hydomatic c. Banco di Sicilia, in Dir. fall., 1994, II, pag. 801; Trib.

Milano, 8 aprile 1993, Radaelli Siderurgica Acciai Speciali c. Cariplo, in Società e dir.,

1994, pag. 599; Trib. Milano, 16 novembre 1992, Fallimento Discount Ital Leasing c.

Cassa di Risparmio di Savona, in Banca, borsa, tit. cred.,1993, II, pag. 654; contra, Gio.

TARZIA, Il contratto di conto corrente e la revocatoria fallimentare, in Fallimento, 1988,

pagg. 934 segg.; App. Roma, 9 febbraio 1987, cit..

Per i criteri di segnalazione alla Centrale dei rischi dei fidi “promiscui”, cfr.

BANCA D’ITALIA, Istruzioni per la Centrale dei rischi, cit., Cap. II, Sez. 1, Par. 12. Per

l’individuazione delle c.d. classi di importo, ai fini della segnalazione del tasso “soglia”, ai

sensi della legge sull’usura, in caso di fido promiscuo, cfr. BANCA D’ITALIA, Istruzioni per

la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura, Sez. I, Par.

B4 (ediz. settembre 1996).

50 Per quanto concerne l’impegno di firma, l’ipotesi non va naturalmente confusa

con quella, più tipica, in cui il rilascio della fidejussione è a favore dello stesso

richiedente, poi debitore nell’operazione garantita. Nel caso prospettato, invece, il rilascio

della fidejussione è a favore del terzo beneficiario, poi debitore nell’operazione garantita.

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indagini istruttorie e le valutazioni sul merito creditizio, titolare poi del

rapporto contrattuale di credito ed unico negozialmente legittimato

all’utilizzo, non è, come di consueto, il richiedente l’operazione creditizia

(che assume la figura di garante della stessa), bensì un diverso soggetto.

La peculiarità della vicenda consiste pertanto nel fatto che qui il

soggetto richiedente il fido non pone poi in essere – com’è normalmente – il

rapporto contrattuale attuativo della decisione di affidare (né può,

conseguenzialmente, compiere i relativi atti di utilizzo); essendo, come

detto, tale rapporto obbligatorio intercorrente esclusivamente tra la banca ed

il terzo beneficiario.

Ciò posto, riterremmo poi in principio non sussistere tra richiedente e

banca, nella specie, un rapporto di mandato di credito, ai sensi dell’art. 1958

cod. civ.51. Nell’ipotesi considerata, manca in effetti, in capo alla banca, un

vincolo obbligatorio a porre in essere un negozio creditizio con il terzo: la

banca essendo giuridicamente libera di concludere, o meno, con il terzo, il

rapporto contrattuale; così come sarà poi libera di recedere da questo,

secondo le regole normali, senza dover attendere il maturarsi delle

condizioni previste dall’art. 1959 cod. civ.

In realtà, la fattispecie considerata evidenzia una sostanziale analogia

con la figura del mandato di credito: il richiedente il fido (come l’ordinante

nel mandato di credito) assume la figura di garante del beneficiario; ma

mentre l’obbligo di garanzia in capo all’ordinante nel mandato di credito

sorge ex lege, per effetto del perfezionamento del contratto, l’obbligo di

garanzia nell’operazione de qua viene assunto in base ad uno specifico

accordo tra banca e richiedente il fido. Ed è così poi che – coerentemente

con quanto affermato – alla Centrale dei rischi andrà segnalato, per rischio

diretto, il nominativo del terzo beneficiario, titolare ed utilizzatore

dell’affidamento; mentre il richiedente il fido, garante della posizione, dovrà

essere segnalato come rischio indiretto, tra le garanzie ricevute52 53.

51 Almeno nelle ipotesi normali. Ciò tuttavia non esclude, naturalmente, che

cliente e banca possano porre in essere un mandato di credito ai sensi dell’art. 1958 cod.

civ..

Sulla particolare figura del mandato di credito, cfr. in partic.: P. ABBADESSA, voce

“Obbligo di far credito”, cit., pagg. 534 segg.; M. FRAGALI, Del mandato di credito, in

Comm. del cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 1957, pagg. 529

segg.; E. SIMONETTO, voce “Mandato di credito”, in Noviss. Digesto it., X, Torino, 1964,

pagg. 149 segg., N. LOMEO e S. D’IPPOLITO, Il mandato di credito come negozio ad effetti

preparatori, in Riv. notar., 1969, I, pagg. 314 segg..

52 La fattispecie non va naturalmente confusa con quella in cui l’affidamento è

concesso a favore del richiedente, con possibilità di utilizzo anche da parte di un terzo (il

quale non subisce il vaglio del merito creditizio e non assume alcuna obbligazione diretta

verso la banca). Va qui peraltro rilevato come tali meccanismi operativi siano talvolta

finalizzati a consentire l’esercizio del credito nei confronti di soggetti ai quali non sarebbe

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Un breve cenno, a chiusura della presente indagine, meritano infine

quelle concessioni di fido che si consumano, per così dire, istantaneamente:

nelle quali cioè il soggetto affidato “esce di scena” non appena perfezionato

ed eseguito il contratto posto in essere in attuazione della delibera di fido;

subentrando, nella posizione di rischio, un terzo soggetto.

Ci riferiamo, in particolare, a quelle operazioni di finanziamento

attraverso le quali il cliente cede pro soluto alla banca un proprio credito

verso terzi, con sua immediata e definitiva liberazione da qualsivoglia

obbligazione. La peculiarità della vicenda, in questo caso, consiste nel fatto

che il cliente affidato – nel momento stesso dell’utilizzo del fido (riscossione

delle somme in pagamento del credito) – smette i suoi rapporti con la banca,

subentrando, nei confronti di quest’ultima, il terzo ceduto.

8. La revoca del fido.

Di fondamentale importanza – sia per la banca che per l’affidato – è il

momento che chiameremo, ancora in prima approssimazione, della

cessazione del rapporto creditizio.

Importante innanzitutto per la banca perché – al di là di quei rapporti

caratterizzati dal termine di restituzione e dalla rateizzazione del debito (ad

esempio: prestiti fondiari), in cui rilevano essenzialmente le modalità di

risoluzione del negozio creditizio ed il rispetto delle relative condizioni – la

scelta del momento in cui cessare l’attività di esercizio del credito nei

confronti di un determinato cliente rappresenta opzione delicatissima

imprenditorialmente, sia sul piano generale della (valutazione della) sana e

prudente gestione bancaria, sia su quello, particolare, delle concrete

possibilità di recupero delle somme impiegate; risultando peraltro rilevante

anche nelle diverse prospettive risarcitorie, fallimentari (art. 67, legge fall.) e

penali (artt. 216, III comma,legge fall.; 137, II comma, T.U.L.Banc.).

Importante poi per l’affidato perché, soprattutto qualora lo stesso

svolga attività imprenditoriale o professionale, la decisione di porre termine

all’erogazione del credito potrebbe significativamente condizionare i diversi

altrimenti possibile concedere fido (ovvero ulteriore fido): così, ad esempio e tipicamente,

si concede ad una persona un affidamento mediante apertura di credito su conto corrente,

con delega autorizzativa al prelievo rilasciata dal correntista affidato ad un terzo. E su tali

questioni, con particolare riferimento all’aspetto simulatorio, v. esaustivamente N.

SALANITRO, Le banche e i contratti bancari, cit., pagg. 115 seg. e 248 seg..

53 La fattispecie descritta non va poi nemmeno confusa con quella riconducibile

all’operazione di conduit (sulla quale cfr., retro, cap. I, par. 2, nota 36), in cui manca per

la banca ogni profilo di impegno o di rischio.

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rapporti eventualmente intercorrenti con altre banche, e comunque il ricorso

al credito, rappresentando allora, per l’imprenditore, il momento dell’inizio,

spesso irreversibile, della crisi dell’impresa1.

Ora, per mettere correttamente a fuoco i diversi problemi connessi alla

fase della cessazione del rapporto creditizio, occorre ancora una volta

richiamare la tanto spesso menzionata distinzione tra il momento della

decisione di concedere fido, il momento della (sua) attuazione contrattuale

ed infine il momento dell’utilizzo (talvolta eventuale) del credito. E ciò al

fine di rilevare come, parallelamente a quanto detto per la fase iniziale del

rapporto, anche nella fase terminale dello stesso, dovranno utilmente tenersi

distinti: i) il momento della revoca dell’affidamento, ii) quello relativo al

recesso2 dal contratto di credito (ovvero alla sua risoluzione), ed infine iii)

quello della cessazione del potere di utilizzo.

Ciò posto, va subito detto che la “revoca del fido” è vicenda che – a

differenza di quanto avviene per il recesso, la risoluzione o la cessazione del

potere di utilizzo – non è affatto contemplata, e quindi disciplinata, dalla

normativa vigente; se si eccettua la previsione penale di cui all’art. 137, II

comma, T.U.L.Banc., ove il momento della revoca del credito assume

autonoma rilevanza nell’àmbito della fattispecie penale del “falso interno

bancario” (e v. retro, cap. II, par. 11).

La revoca dell’affidamento (che si sostanzia spesso in un atto

collegiale: delibera)3, è, al pari della concessione, momento tipicamente

gestionale, poi di organizzazione, rivolto all’“interno” dell’impresa bancaria,

non rilevante in quanto tale all’esterno e non incidente quindi direttamente

sul rapporto contrattuale di credito con il quale è stata data attuazione alla

primaria decisione di affidare. Attraverso la revoca del fido, la banca, per

mezzo del soggetto o dell’organo legittimato (internamente), “estingue”,

1 Per una visione dello scioglimento del rapporto creditizio come possibile

circostanza influente (anche) sui processi di riallocazione del controllo dell’impresa, cfr.

l’interessante spunto di N. D’AMICO, Giov. FERRI e N. PESARESI, Le banche, il credito e

la riallocazione proprietaria in Italia, Rapporto presentato al Convegno di Roma del

24-25 marzo 1994, organizzato dalla Banca d’Italia su Assetti proprietari e mercato

delle imprese, pag. 57 (dal dattiloscritto).

2 Per la distinzione, sul piano giusprivatistico, tra la figura della revoca e quella

del recesso, v., da ultimo, l’analisi di T. MONTECCHIARI, I negozi unilaterali a

contenuto negativo, Milano, 1996, pagg. 63 segg..

3 Che la revoca, in un’ottica privatistica, si esplichi normalmente attraverso la

struttura di atto “unilaterale” è opinione ormai comune, e risalente a Salv. ROMANO, La

revoca degli atti giuridici privati, Padova, 1935, pagg. 54 segg.; nel nostro caso,

comunque, viene ad assumere la struttura di atto unilaterale essenzialmente per una

questione di legittimazione (e cfr. i puntuali rilievi di F. CHIOMENTI, La revoca delle

deliberazioni assembleari, cit., pagg. 54 segg.).

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sempre nell’àmbito delle sue scelte di autonomia4, un proprio precedente

atto: per l’appunto l’atto di concessione (del fido), con effetti di cessazione,

sia pure interni5.

Sicché, se l’atto di concessione dell’affidamento – al di là degli

eventuali profili di responsabilità precontrattuale che potrebbero emergere in

capo alla banca – rappresenta, come tante volte rilevato, soltanto ed

unicamente la decisione (imprenditoriale), avente poi valore organizzativo

interno, di porre in essere un negozio di credito, l’atto di revoca

rappresenterà, analogamente, soltanto la decisione (sempre imprenditoriale

ed organizzativa) di porre termine a quel rapporto negoziale, valutato

negativamente – sul piano delle scelte di impresa – il proprio interesse al

mantenimento della relazione creditizia in questione.

E così, allora, la medesima analogia si avrà anche nella fase attuativa

delle decisioni: se questa, relativamente alla concessione del fido, si è

sostanziata nel perfezionamento di uno o più rapporti negoziali di credito

secondo le discipline proprie dei differenti tipi contrattuali (mutui, aperture

di credito, sconti, anticipazioni, fidejussioni, ecc.), relativamente alla revoca

si sostanzierà nel non concludere più contratti di credito, ovvero nel porre in

essere – ricorrendone i presupposti – i diversi meccanismi giuridici

strumentali allo scioglimento del vincolo.

Ed in particolare: nei fidi attuati attraverso contratti caratterizzati dalla

“disponibilità” (ad esempio: l’apertura di credito), la revoca verrà attuata

tipicamente per mezzo dell’esercizio del diritto di recesso dal contratto (e su

tale aspetto, v. infra, diffusamente); nei fidi attuati attraverso contratti

caratterizzati dalla consegna del denaro, dall’obbligo di restituzione a

termine e dalla rateizzazione del debito (ad esempio: il mutuo), la revoca

potrà invece trovare attuazione nei consueti meccanismi risolutori connessi

all’inadempimento del debitore6.

4 E v. qui comunque i rilievi critici di F. CHIOMENTI, La revoca delle deliberazioni,

cit., pagg. 30 segg..

5 Problema di scarso rilievo, nella prospettiva che occupa, è poi rappresentato

dall’individuazione dell’effetto – retroattivo o meno – dell’atto di revoca; su cui, in

generale, v. Salv. ROMANO, La revoca degli atti giuridici, cit., pagg. 367 segg..

6 In particolare, attraverso gli strumenti offerti dagli artt. 1453 segg. cod. civ..

Ovvero attraverso quelli di cui all’art. 40, II comma, T.U.L.Banc. relativamente alla

speciale risoluzione in ipotesi di reiterato ritardo nel pagamento delle rate di

ammortamento di un credito fondiario (su cui, anche se con soluzioni non sempre

condivisibili: C.-M. TARDIVO, Il credito fondiario e alle opere pubbliche, cit., pagg. 1311

segg.; e v. pure gli aa. citt. alla precedente nota 6 del par. 3).

Salva comunque la possibilità per la banca di applicare, in caso di mancato

pagamento di una rata, l’art. 1819 cod. civ., che consente di richiedere al cliente l’intero

residuo senza effetti risolutivi del contratto. Difatti, a ben vedere, con l’introduzione del

meccanismo di cui all’art. 1819 cod. civ. si è inteso soltanto consentire al mutuante, in

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Quanto appena rimarcato va peraltro al di là del profilo inerente alla

rilevata conseguenzialità logico-giuridica (prima ancora che temporale) tra i

diversi momenti della revoca del fido e dello scioglimento del vincolo

contrattuale, assumendo una sua precisa valenza anche in ordine ai diversi

effetti che conseguono alla revoca rispetto a quelli che derivano dallo

scioglimento del vincolo. E basti pensare ai differenti regimi della novazione

delle garanzie reali (con poi tutti i conseguenti problemi in punto di

“consolidamento” delle stesse) nell’ipotesi di mera revoca interna del fido e

successivo ripristino dello stesso (ove non dovrebbe sussistere effetto

novativo della garanzia), rispetto alla diversa ipotesi di recesso dal contratto

e successivo perfezionamento di un nuovo rapporto creditizio (ove di certo

si pone concretamente un problema di novazione della garanzia accessoria)7;

ovvero ancora, sempre esemplificativamente, alle problematiche connesse

alla valutazione del rispetto delle formalità eventualmente richieste per

l’esercizio del diritto di recesso dal contratto di credito8; od anche

all’esigenza di non riconnettere in ogni caso ad un’eventuale “sospensione”

dell’apertura di credito la revoca dell’affidamento9.

ipotesi di mancato rispetto di un termine rateale da parte del debitore, di “cambiare”

l’obbligazione del mutuatario, richiedendo a quest’ultimo l’immediata restituzione

dell’intero (non più quindi “rate nel tempo” ma “tutto subito”), senza che per questo la

richiesta comporti in sé anche effetti risolutivi del contratto; essendo comunque poi ovvio

che, in ipotesi di inadempimento anche della nuova obbligazione (mancata restituzione

immediata dell’intero) allora il mutuante potrà, sì, richiedere la risoluzione del contratto.

E per la necessità, ai fini dell’applicazione dell’art. 1819 cod. civ., che si sia

comunque in presenza di un unico rapporto di mutuo, v. Cass. 26 ottobre 1959, n. 3076,

Cremonesi c. Cassa di Risparmio Anconetana, in Foro it., 1960, I, col. 618 (ove è stata

esclusa l’applicabilità dell’art. 1819 cod. civ. all’ipotesi di singoli inadempimenti connessi

a mancati pagamenti di cambiali; posta l’accertata non riconducibilità delle operazioni

cambiarie ad un unitario contratto di finanziamento [cambiali c.d. di smobilizzo], bensì a

distinte operazioni di sconto).

7 Cfr. in arg., ad esempio, Trib. Bologna, 17 febbraio 1989, cit..

8 E cfr., ad esempio, l’art. 126, lett. c, T.U.L.Banc. (sul quale: A. FRISULLO,

Commento all’art. 126 T.U.L.Banc., in AA.VV., Commentario al testo unico, cit., pagg.

629 segg.; V. SANTORO, Il regime speciale per le aperture di credito in conto corrente nel

credito al consumo, in AA.VV., La nuova disciplina dell’impresa bancaria, II, cit., pagg.

235 segg.).

9 Secondo l’art. 6, lett. c, Norme Bancarie A.B.I. sul conto corrente di

corrispondenza, la banca ha in qualsiasi momento la facoltà di ridurre o sospendere

l’apertura di credito. In tale ipotesi (da non confondere con quella di cui all’art. 1845, II

comma, cod. civ., susseguente al recesso), la “sospensione” è relativa al momento

dell’esecuzione contrattuale – essendo temporaneamente inibiti all’accreditato gli atti di

utilizzo (e cfr. M. PORZIO, L’apertura di credito: profili generali, cit., pag. 520) – e non

incide affatto sulle vicende dell’affidamento in quanto tale; quest’ultimo resta in essere e

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Rilevato quanto sopra, possono ora individuarsi i momenti in cui,

almeno tipicamente ed in via normale, assume rilievo la decisione di

revocare un affidamento; per poi verificare le condizioni che legittimano –

sempre in un’ottica valutativa dell’attività imprenditoriale – tale decisione.

Il dato dell’esperienza conduce ad affermare come la decisione di

revocare un fido maturi, di norma: a) in presenza di fatti esterni al rapporto

banca-cliente (magari avente andamento di per sé assolutamente regolare), i

quali evidenziano una situazione di difficoltà economica dell’affidato o dei

suoi garanti (ad esempio: protesti, ingiunzioni di pagamento, pignoramenti,

istanze di fallimento, segnalazioni “a sofferenza”, ecc.), ovvero b) in

presenza di fatti questa volta interni al rapporto banca-cliente, i quali, a loro

volta, possono scomporsi in: b1) fatti di anomalia nell’andamento del

rapporto (ad esempio: frequenti sconfinamenti, poca elasticità nella

movimentazione della disponibilità, presentazione di cattiva “carta” allo

sconto) che, al pari dei sopra detti fatti esterni, evidenziano una situazione di

difficoltà economica dell’affidato; b2) fatti di anomalia nell’andamento del

rapporto che, pur non evidenziando difficoltà del cliente, inducono la banca

(normalmente in sede di revisione periodica degli affidamenti) ad operare

negative valutazioni di convenienza, relativamente al mantenimento in

essere del rapporto stesso10 . E relativamente a tale ultima circostanza, vale

rilevare come, almeno nei rapporti bancari caratterizzati dalla disponibilità,

sia proprio l’effettivo (e costante) “utilizzo” del credito a rappresentare la

condizione essenziale per il mantenimento in essere dell’affidamento; un

protratto mancato esercizio dei diritti nascenti dal contratto di credito da

parte del cliente potendo condurre, prima o poi, alla revoca del fido da parte

della banca. Un fido non utilizzato rappresenta in effetti per l’impresa

bancaria un “impegno” non corrispondente ad un “impiego”: sicché la

conseguente riduzione del margine di utilità dell’affidamento concesso ben

potrebbe giustificare la scelta della revoca dello stesso.

Ciò posto su di un piano generale, veniamo ora all’analisi di quella

fattispecie (attuativa della revoca del fido) che, di gran lunga più di ogni

altra, è stata argomento di vivaci dibattiti in dottrina ed oggetto di numerose

dovrà essere ricompreso, anche sotto il profilo della disciplina pubblicistica applicabile,

nell’àmbito degli impieghi vivi della banca.

E v., per un’applicazione giurisprudenziale relativa alla “sospensione”

dell’apertura di credito, Pret. Torino, 2 gennaio 1989, Tecma s.p.a. c. Cassa di Risparmio

di Torino, in Banca, borsa, tit. cred., 1990, II, pag. 808.

10 Sebbene più raramente, la revoca del fido può conseguire anche a situazioni

obiettive, estranee all’affidato, e magari attinenti alla banca stessa; è il caso, ad esempio,

dell’emanazione di provvedimenti restrittivi del credito, sia legislativi che posti in essere

dalle autorità creditizie (e v., ad esempio, l’art. 150, V comma, T.U.L.Banc.).

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pronunce da parte della giurisprudenza: il recesso della banca dal contratto

di apertura di credito.

Com’è noto, la disciplina del codice in punto di recesso della banca

dal contratto di apertura di credito (art. 1845 cod. civ.) prevede due distinti

regimi: uno per l’apertura a tempo determinato, l’altro per quella a tempo

indeterminato.

Rispetto al primo, la legge, dopo aver consentito alle parti di

prevedere nel contratto il diritto della banca di recedere anche in assenza di

una “giusta causa” (art. 1845, I comma, cod. civ.), stabilisce che: i) il recesso

ha l’effetto di sospendere immediatamente, in capo all’accreditato, il diritto

di utilizzare la disponibilità ancora eventualmente sussistente; ii) la banca

deve concedere un termine di almeno quindici giorni per la restituzione delle

somme utilizzate e dei relativi accessori (art. 1845, II comma, cod. civ.).

Rispetto al secondo, la legge consente il recesso soltanto previo il

decorso di un periodo di preavviso stabilito dal contratto, dagli usi o, in

mancanza, predeterminato dalla stessa norma in quindici giorni (art. 1845,

III comma, cod. civ.).

Varie e differenziate sono state le interpretazioni offerte in merito ai

diversi aspetti che emergono da tale normativa e non vale certo qui rendere

conto, in dettaglio, delle molteplici opinioni11 . E ciò, soprattutto, in virtù

11 In punto, la letteratura è in effetti vastissima; ma v. almeno, oltre agli scritti

citati nelle note successive: G.E. COLOMBO, L’estinzione dell’apertura di credito, cit.,

pagg. 525 segg.; V. BUONOCORE, Il recesso della banca dal contratto di apertura di

credito a tempo determinato, in Banca, borsa, tit., cred., 1968, I, pagg. 532 segg.; ID., Due

questioni in tema di recesso dal contratto di apertura di credito, idem, 1969, I, pagg. 412

segg.; A. GRAZIANI, Il recesso dal contratto di apertura di credito, idem, 1960, I, pagg.

347 segg.; F. BILE, Questioni sul patto di recesso della banca senza preavviso dal

contratto di apertura di credito a tempo indeterminato, idem, 1969, II, pagg. 256 segg.; V.

ANGELONI, Il recesso per giusta causa dall’apertura di credito prima della scadenza del

termine e l’immediata sospensione dell’utilizzazione del credito, idem, 1959, I, pagg. 577

segg.; G.A. MICHELI, In tema di recesso dall’apertura di credito a tempo determinato,

idem, 1959, I, pagg. 190 segg.; S. SOTGIA, Dei contratti bancari, cit., pagg. 128 seg.; A.

SERRA, voce “Apertura di credito bancario”, cit., pagg. 159 seg.; G. FERRI, voce “Apertura

di credito”, cit., pagg. 605 segg.; M. PORZIO, voce “Apertura di credito”, cit., pagg. 5 seg.;

S. ALAGNA, Contratti bancari di intermediazione, cit., pagg. 71 segg.; G. MOLLE, I

contratti bancari, cit., pagg. 223 segg.; G. GIAMPICCOLO, In tema di recesso dall’apertura

di credito a tempo determinato, in Foro pad., 1960, I, col. 681 segg.; P. FIORETTA, In tema

di recesso dal contratto di apertura di credito a tempo indeterminato, in Riv. dir. comm.,

1957, I, pagg. 278 segg.; V. FALASCHI, Il recesso dall’apertura di credito per giusta causa

quale clausola risolutiva espressa dalla legge nell’art. 1845 cod. civ. Il recesso dal

contratto a tempo indeterminato, in Foro it., 1960, I, col. 1528 segg.; F. GALGANO, Diritto

civile e commerciale, II, 2, Padova, 1990, pagg. 135 seg.; F. MARTORANO, Insolvenza

dell’impresa e revoca del fido bancario, in Fallimento, 1985, pagg. 250 segg.; B.

NAVARRA, L’apertura di credito, Torino, 1991, pagg. 27 segg.; M. COSTANZA, Rispetto

del beneficio del termine nell’apertura di credito, in Corr. giuridico, 1994, pagg. 204

segg.; R. SGROI SANTAGATI, “Concessione abusiva del credito” e “brutale interruzione

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della circostanza che vede ormai da tempo tale disciplina del codice

profondamente derogata dalla contrattualistica “uniforme” adottata dalle

banche: sarà su quest’ultima che converrà concentrare l’attenzione.

L’art. 6, lett. c e d, Norme Bancarie A.B.I. che regolano i conti

correnti di corrispondenza prevede che “la banca ha la facoltà di recedere in

qualsiasi momento, anche con comunicazione verbale, dall’apertura di

credito, ancorché concessa a tempo determinato, nonché di ridurla o di

sospenderla; per il pagamento di quanto dovuto sarà dato al correntista, con

lettera raccomandata, un preavviso non inferiore a un giorno” (lett. c)12 ;

stabilendo poi che “in ogni caso il recesso ha l’effetto di sospendere

immediatamente l’utilizzo del credito concesso” (lett. d).

Attraverso tale previsione, sono state completamente parificate le

discipline relative alle due diverse tipologie di apertura di credito (a tempo

determinato ed indeterminato), senza quindi più alcuna differenza tra le

stesse; in particolare poi: a) svincolando il diritto di recesso della banca

dall’esistenza di una “giusta causa”; b) ricollegando al recesso l’effetto di

sospendere immediatamente il diritto dell’affidato all’utilizzo della

disponibilità eventualmente sussistente; c) eliminando il periodo di

preavviso e prevedendo un termine di restituzione molto ridotto.

Si è così di fronte ad una normativa A.B.I. di forte “tutela”, tesa nella

sostanza a consentire alle banche di interrompere l’esercizio del credito ogni

qualvolta si prospettino livelli di esposizione dell’affidato unitamente al

rischio di non restituzione.

Ora, alla luce di tale situazione di indiscutibile distonia tra legge e

modelli contrattuali A.B.I., l’impressione è che il percorso da seguire non sia

del credito”, in Dir. fall., 1994, I, pagg. 625 segg.; C. CHESSA, Sul recesso dall’apertura

di credito a tempo indeterminato, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, II, pagg. 591 segg.; A.

CIGLIANO, Recesso della banca dall’apertura di credito, credito di restituzione, calcolo

degli interessi, in Dir. e giur., 1990, pagg. 594 segg..

12 La versione dell’art. 6 riportata nel testo corrisponde a quella attualmente ancora

contenuta in pressoché tutti i contratti bancari di conto corrente.

Deve comunque essere sottolineato che nella nuova versione proposta nel febbraio

1995 dall’Associazione Bancaria Italiana a seguito della già citata Decisione della Banca

d’Italia, 3 dicembre 1994, n. 12 (emanata a’ sensi dell’art. 20, II comma, legge antitrust, e

nell’àmbito della quale era stato imposto all’A.B.I. di eliminare, tra le altre, ogni clausola

che determinasse in un certo numero di giorni i termini di adempimento, di esercizio di

poteri o facoltà, di efficacia o di opponibilità), la locuzione “preavviso non inferiore a un

giorno”, relativa in realtà al termine di restituzione, è stata sostituita con quella di

“preavviso non inferiore a .... ”, così potendo le singole banche determinare liberamente

(con il cliente) il termine per la restituzione. In merito, ci sia soltanto consentito perlomeno

di dubitare che le banche indicheranno nei nuovi modelli contrattuali un termine vicino a

quello previsto dal legislatore (quindici giorni), restando molto probabilmente ancora assai

“basse”.

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tanto quello di scendere a verificare fino a che punto le regole dettate dal

codice siano o meno derogabili13 , ed allora entro quali limiti, così rischiando

di concludere nel senso dell’invalidità della clausola A.B.I.14 per contrasto

con i principî di meritevolezza (art. 1322 cod. civ.) o di ordine pubblico

economico (art. 1343 cod. civ.)15, e di lasciare conseguentemente sguarnite

le banche di fronte a quelle situazioni-limite, in cui effettivamente può

rendersi necessario un recesso immediato; quanto, piuttosto, quello di

stabilire quali siano le condizioni in cui può ritenersi ammissibile

l’attuazione del ridetto contesto pattizio da parte della banca.

Così che allora, in tale prospettiva, da un lato ci si riesce a svincolare

dal limitato e forse sterile dibattito relativo alla legittimità o meno delle

deroghe al codice contenute nella pattuizione in questione16 – dibattito che

13 Quand’anche poi legittime costituzionalmente. E ci riferiamo, in particolare,

all’ammissione normativa di un “patto contrario” alla regola per la quale la banca non può

recedere dall’apertura di credito prima della scadenza del termine, se non per giusta causa

(cfr. art. 1845, I comma, cod. civ.), disposizione che, com’è noto, viene ritenuta

incostituzionale da parte della dottrina (G.E. COLOMBO, L’estinzione dell’apertura di

credito, cit., pagg. 542 segg.; A. MAISANO, Trasparenza e riequilibrio delle operazioni

bancarie, cit., pagg. 52 seg.); anche se poi la suprema Corte ha dichiarato di recente la

manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale in relazione all’art. 77

cost.: Cass. 7 aprile 1994, n. 3291, Hotel S1 s.r.l. c. Cassa Rurale ed Artigiana SS.

Crocefisso, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, II, pag. 145, con ampia nota critica di R. TETI,

La disciplina del recesso della banca dall’apertura di credito a tempo determinato nel

codice del 1942: una storia di promesse legislative non mantenute, di modifiche

dell’ultima ora e di “coordinamenti innovativi”, ove esaustive indicazioni bibliografiche

sull’argomento.

14 In tale prospettiva, cfr. G. CAVALLI, Contratti bancari su modulo e problemi di

tutela del contraente debole, cit., pagg. 69 segg. e 154 segg.; ID., Le clausole vessatorie

nei contratti bancari, in AA.VV., Le operazioni bancarie, a cura di G.B. Portale, cit., I,

pagg. 123 segg.; G.E. COLOMBO, L’estinzione dell’apertura di credito, cit., pag. 542; M.

PORZIO, voce “Apertura di credito”, cit., pag. 6; nonché, seppur in forma più dubitativa,

M. COSTANZA, Rispetto del beneficio del termine nell’apertura di credito, cit..

15 Per l’estensione del controllo di meritevolezza anche nell’àmbito dei contratti

tipici, cfr. almeno: M. COSTANZA, Meritevolezza degli interessi ed equilibrio contrattuale,

in Contratto e impresa, 1987, pagg. 423 segg.; M. BESSONE, Causa del contratto, funzione

del tipo negoziale ed economia dello scambio, in Giur. merito, 1978, pagg. 1327 segg.; R.

LANZILLO, Regole del mercato e congruità dello scambio contrattuale, in Contratto e

impresa, 1985, pagg. 309 segg.; nonché il classico studio di G.B. FERRI, Causa e tipo del

negozio giuridico, Milano, 1965, pagg. 63 segg..

16 Sia sotto il profilo dell’esclusione della rilevanza della giusta causa ai fini del

recesso, che sotto quello dell’abolizione del preavviso e del sostanziale “annullamento”

del termine di restituzione.

L’accenno alla “sterilità” del dibattito trae origine dall’oggettiva constatazione che

la giurisprudenza (sia di merito che di legittimità), pur talora considerando le pattuizioni di

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conduce comunque la questione di fronte al dilemma: o clausola valida (ed

allora libertà assoluta della banca e carenza di ogni tutela per l’affidato),

ovvero clausola nulla (ed allora mancanza di effettiva tutela della banca di

fronte a determinate situazioni limite) –, e dall’altro lato ricollega il

momento terminale del rapporto creditizio nel più corretto àmbito della

valutazione dei comportamenti attuativi del diritto di recesso.

Senza poi contare che il limitarsi a ragionare sulla (validità o meno

della) previsione contrattuale condurrebbe giocoforza a valutazioni sulla

meritevolezza della stessa tendenzialmente “astratte”: in quanto rapportate

ex ante, al momento della conclusione del contratto; quando invece,

casomai, se proprio necessario, avrebbe un senso verificare la meritevolezza

deroga all’art. 1845 cod. civ. aventi carattere “vessatorio” e quindi sottosposte alla

disciplina di cui all’art. 1341 cod. civ., è costantemente stata nel senso di considerarle

pienamente legittime (e cfr.: Cass. 1° marzo 1973, n. 565, cit.; Cass. 6 febbraio 1975, n.

439, Cibrario c. Credito Italiano, Foro it., Rep. 1975, voce “Contratti bancari”, n. 10;

Cass. 26 ottobre 1968, n. 3572, Banca d’America e d’Italia, c. Fallimento Adinolfi, in

Foro it., 1968, I, col. 2663; Cass. 7 ottobre 1993, n. 9943, Massari c. Credito Romagnolo,

idem, 1994, I, col. 801; Cass. 23 novembre 1993, n. 11566, Fiucci e Di Michele c. Cassa

di Risparmio di Pescara e Loreto Aprutino, in Impresa comm. ind., 1994, pag. 1093; Cass.

9 novembre 1994, n. 9307, Frulla c. Cassa di Risparmio di Pesaro, in Banca, borsa, tit.

cred., 1995, II, pag. 521; Cass. 24 settembre 1996, n. 8409, Scarascia c. Credito Italiano, in

Foro it., Rep. 1996, voce “Contratti bancari”, n. 28; Cass. 4 marzo 1968, n. 686, Banco di

Napoli c. Vetrugno, in Giust. civ., 1968, I, pag. 786; Cass. 11 maggio 1971, n. 1333,

Melloni Zilioli c. Credito Italiano, in Banca, borsa, tit. cred., 1971, II, pag. 501; Cass. 9

febbraio 1987, n. 1381, Banca d’America e d’Italia c. Fallimento Sacet e Sacet s.p.a.,

idem, 1989, II, pag. 152; App. Bologna, 19 giugno 1964, Gimelli e Dazzo c. Banca del

Monte di Ravenna, idem, 1965, II, pag. 237; Trib. Parma, 6 novembre 1964, Valrecchio

s.p.a. c. Cassa di Risparmio di Parma, idem, 1964, II, pag. 588; Trib. Milano, 9 dicembre

1982, OS.I.MI. s.p.a., idem, 1983, II, pag. 456; Trib. Napoli, 8 luglio 1988, Teselli ed altri

c. Credito Italiano, e Trib. Milano, 24 ottobre 1988, Castellazzi ed altri c. Credito Italiano,

entrambe idem, 1990, II, pag. 496; Trib. Verona, 28 febbraio 1968, Galletti e Guerrini c.

Banca Cattolica del Veneto, idem, 1969, II, pag. 256; Trib. Napoli, 18 luglio 1992,

Pancarrè s.a.s. ed altri c. Istituto Bancario San Paolo di Torino, idem, 1994, II, pag. 206;

App. Torino, 11 maggio 1953, Soc. Naz. Officine Savigliano c. Banco di Napoli, idem,

1959, II, pag. 309; Trib. Roma, 4 dicembre 1989, cit.; App. Cagliari, 21 gennaio 1994,

Murru Luigi e Murru Palmas Tina c. Banca Nazionale delle Comunicazioni, idem, 1995,

II, pag. 317; Pret. Torino, 2 gennaio 1989, cit.; Trib. Firenze, 23 dicembre 1976, Mancini

c. Banca Toscana, in Giur. merito, 1977, pag. 487; Trib. Prato, 21 marzo 1989, Banco di

Napoli c. Universale Gift, in Nuovo diritto, 1989, pag. 715; Trib. Bologna, 16 gennaio

1957, cit.; App. Torino, 5 marzo 1971, Cibrario c. Credito Italiano, in Notiziario giur.,

1971, pag. 572; Trib. Milano, 28 novembre 1991, cit.; Trib. Napoli, 27 dicembre 1988, De

Francesco c. Banca Nazionale del Lavoro, in Dir. e giur. 1990, pag. 594; App. Milano, 14

aprile 1995, Banca Popolare di Lecco e altri c. F. Scheer, inedita; nonché Trib. Milano, 7

ottobre 1985, Menegolo c. Banca d’America e d’Italia, in Banca, borsa, tit. cred., 1986; II,

pag. 440 (quest’ultima relativa al recesso ad nutum della banca dal contratto che regola

l’uso della carta di credito).

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della clausola proprio nel momento della sua effettiva applicazione

(recesso).

In effetti, appare senz’altro più consono alle diverse esigenze di tutela

abbandonare l’astratto terreno dell’analisi della fattispecie negoziale per

lasciare l’esercizio del diritto di recesso al sindacato del giudice di merito, il

quale potrà più utilmente e coerentemente accertare l’eventuale

responsabilità della banca per i danni provocati dal recesso stesso, avuto

riguardo proprio alle concrete circostanze esistenti al momento dello

scioglimento del vincolo contrattuale.

Così impostata la questione, è chiaro come occorra senz’altro far

riferimento alle generali clausole di correttezza nel rapporto obbligatorio

(art. 1175 cod. civ.) e di buona fede nell’esecuzione del contratto (art. 1375

cod. civ.)17.

In tale prospettiva, non appaiono comunque condivisibili quelle

impostazioni che tendono a ritenere “abusivo” ed illegittimo per contrarietà

al principio di buona fede il recesso della banca qualora lo stesso non risulti

sorretto da idonee giustificazioni operanti sul piano della tutela del creditore,

qualora non sia, in altri termini, supportato da motivi obiettivamente

apprezzabili18, normalmente ricondotti a situazioni di insolvenza del cliente

che possano mettere in pericolo le ragioni di credito della banca od anche,

semplicemente, a fatti “differenti dalle inadempienze o dall’insolvenza, che

tuttavia rendano egualmente intollerabile (o pericoloso per la restituzione

delle somme affidate) la prosecuzione del rapporto”19.

17 La cui applicazione troppo spesso, almeno in passato, è stata sottovalutata,

quando non addirittura rifiutata dalla cultura giuridica classica, ancorata al legalismo

positivista ed ostile agli interventi “valutativi” operati dal giudice; e v., in punto, S.

RODOTÀ, Ipotesi sul diritto privato, in AA.VV., Il diritto privato nella società moderna, a

cura di S. Rodotà, Bologna, 1971, pagg. 19 segg.; G. ALPA, L’arte di giudicare,

Roma-Bari, 1996, pagg. 105 segg..

18 In tal senso, ad esempio: N. SALANITRO, Le banche e i contratti bancari, cit.,

pagg. 66 seg.; G.C. BIBOLINI, Attività bancaria e illecito civile della banca, cit., pagg. 75

segg.; Trib. Milano, 18 gennaio 1988, Invest 2000 s.r.l. c. Banca Nazionale

dell’Agricoltura, inedita, ma sintetizzata in Giurisprudenza bancaria milanese. Rassegna

del Tribunale di Milano, cit., pag. 123; Trib. Milano, 29 novembre 1993, Venusia s.r.l. c.

Banca Popolare di Milano, in Banca, borsa, tit. cred., 1995, II, pag. 517; e v. pure G.

SANTORO, L’abuso del diritto di recesso ad nutum, in Contratto e impresa, 1986, pagg.

766 segg., spec. pag. 777, ove viene ben posta in evidenza la differenza esistente tra i

“motivi” di cui si tratta e la “giusta causa” richiesta dall’art. 1845 cod. civ., implicante poi

anche conseguenze differenziate sul piano (processuale) dell’onere probatorio.

19 Così, testualmente, N. SALANITRO, Le banche e i contratti bancari, cit., pag. 67;

e v. anche, per un’elencazione delle situazioni che potrebbero assumere rilevanza come

motivi di recesso, E. CIRILLO, La responsabilità della banca in caso di revoca del credito,

in AA.VV., Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale delle banche, cit., pagg. 123

segg., ivi a pag. 127.

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A ben vedere, in effetti, se si pone mente alla tipica funzione del

recesso discrezionale (ad nutum) nei contratti di durata20, funzione

prevalentemente ricollegata all’esigenza di evitare la perpetuità dei vincoli

obbligatori21, appare innanzitutto per lo meno riduttivo riconnettere la

legittimità del recesso all’esistenza di un oggettivo motivo di tutela del

rapporto creditizio, posta, nel nostro caso, la sicura rilevanza anche di quei

diversi motivi di recesso essenzialmente riconducibili alla fisiologica

esigenza della banca di “ottimizzare” l’allocazione del risparmio raccolto, e,

quindi, ricollegabili anche solo a ragioni di mera “inopportunità” della

prosecuzione dell’apertura di credito (ad esempio: in ipotesi di scarso

utilizzo della disponibilità; e v. retro).

Ed anche, al di là dei suesposti rilievi, appare in secondo luogo di

certo più congruo svincolare il giudizio sull’abusività del recesso

dall’accertamento dell’esistenza o meno di una “giustificazione” obiettiva

(sia questa o no collegata ad esigenze di tutela del credito) da parte della

banca.

In effetti, collegare in ogni caso la buona fede della banca recedente

all’effettiva sussistenza di una motivazione può apparire in molti casi

inadeguato e riduttivo: anche un recesso per così dire “giustificato” potrebbe

risultare contrario ai principî di correttezza e buona fede, a causa delle

concrete modalità con cui è stato esercitato.

Cosicché è senz’altro preferibile ragionare in ogni caso intorno alla

valutazione dell’abusività del recesso anche nell’ipotesi in cui questo risulti

effettivamente assistito da validi motivi; scendendo pertanto ad un’analisi

globale del comportamento posto in essere dalla banca nella fase terminale

del rapporto.

Ed è quindi in tale prospettiva che dovrà essenzialmente valutarsi la

rilevata soppressione del termine di preavviso, nonché la ricorrente

compressione (quando non sostanziale abolizione) del termine concesso per

la restituzione delle somme utilizzate alla luce delle varie componenti del

rapporto creditizio: caratteristiche soggettive dell’affidato, entità

dell’affidamento, durata del rapporto fino a quel momento, sussistenza di

20 Per tutti: S. SANGIORGI, Rapporti di durata e recesso ad nutum, Milano, 1965,

passim; G.F. MANCINI, Il recesso unilaterale e i rapporti di lavoro, I, Il recesso ordinario,

Milano, 1962, passim.

21 E cfr. G.F. MANCINI, Il recesso unilaterale, cit., pag. 208; G. DE NOVA, Il

recesso, in Tratt. di dir. priv., diretto da P. Rescigno, 10, Torino, 1982, pag. 552; e v.

anche T. MONTECCHIARI, I negozi unilaterali a contenuto negativo, cit., pag. 46 segg.; per

una visione del recesso come strumento di determinazione della durata e

conseguentemente della prestazione, v. comunque G. GABRIELLI, Vincolo contrattuale e

recesso unilaterale, Milano, 1985, pagg. 13 segg., ove ulteriori indicazioni.

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affidamenti presso altre banche, indebitamento generale dell’affidato, ecc.22 23.

22 Per la rilevanza del comportamento complessivo delle parti sino al momento

del recesso: T. MONTECCHIARI, I negozi unilaterali a contenuto negativo, cit., pag. 98. E

per l’inquadramento generale della figura dell’“abuso” del diritto, cfr., oltre al noto e

fondamentale saggio di P. RESCIGNO, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, pagg.

205 segg., G. LEVI, L’abuso del diritto, Padova, 1993; ma anche le importanti pagine di

U. NATOLI, Note preliminari ad una teoria dell’abuso del diritto nell’ordinamento

giuridico italiano, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1958, pagg. 26 segg.; V. GIORGIANNI,

L’abuso del diritto nella teoria della norma giuridica, Milano, 1963, passim; G. ALPA,

Pretese del creditore e normativa di correttezza, in Riv. dir. comm., 1971, II, pagg. 277

segg..

23 V’è comunque da rilevare come l’art. 25, legge 6 febbraio 1996, n. 52, novella

di recepimento della Direttiva n. 93/13/Cee del 5 aprile 1993 concernente le clausole

abusive nei contratti stipulati con i consumatori, abbia proposto una disciplina – l’odierno

art. 1469 bis, III, n. 8, IV, n. 1, e VI comma, cod. civ. – che sembra incidere

essenzialmente sul terreno della fattispecie-recesso nei contratti a tempo indeterminato (v.

anche gli spunti offerti da F. RESCIO, in Banca, borsa, tit. cred., 1994, II, pagg. 215 segg.),

peraltro andando poi ad “integrare” anche la disciplina di cui all’art. 126 T.U.L.Banc. (su

cui ci permettiamo rinviare a: U. MORERA, L’apertura di credito in conto corrente in

favore del “consumatore”, Relazione presentata al Convegno ITA di Milano del 17 aprile

1996, ove si è giunti alla conclusione che nelle aperture di credito al consumo a tempo

indeterminato sarà per la banca possibile recedere senza preavviso soltanto in presenza

[almeno] di un giustificato motivo di recesso, a condizione però che tale motivo venga

immediatamente comunicato all’affidato [arg. ex Allegato alla Direttiva, Par. 2, a]); e v.

anche P. SIRENA, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti bancari di

credito al consumo, in Banca, borsa, tit. cred., 1997, I, pagg. 354 segg. (spec. pagg. 364

segg.).

Tale peculiare disciplina, al di là di ogni altra considerazione, non sembra però influire

concretamente più di tanto sul problema che occupa (e nella prospettiva che interessa):

detta normativa trova difatti applicazione soltanto relativamente ai contratti conclusi dai

“consumatori” e non anche a quelli conclusi dalle imprese e dai professionisti, (pressoché)

unici soggetti, a ben vedere, che potrebbero risultare gravemente danneggiati da un recesso

abusivo della banca nell’apertura di credito (conf. R. TETI, La disciplina del recesso della

banca dall’apertura di credito, cit., pag. 170, nota 83).

Sull’art. 1469 bis cod. civ., v. A. BARENGHI e C. CECERE, Commento all’art. 1469 bis, in

AA.VV., La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, a cura di A.

Barenghi, Napoli, 1996; G. DE NOVA, Le clausole vessatorie (Art. 25, legge 6 febbraio

1996, n. 52, Milano, 1996, pagg. 13 segg.; AA.VV., Le clausole vessatorie nei contratti

con i consumatori. Commentario agli articoli 1469-bis - 1469 sexies del codice civile, a

cura di G. Alpa e S. Patti, Milano, 1997, pagg. 3 segg.; AA.VV., Clausole vessatorie e

contratto del consumatore (artt. 1469 bis e ss.), a cura di E. Cesàro, Padova, 1996, pagg.

17 segg.. Sulla riforma, più in generale, oltre ai volumi appena citati, cfr., tra i molti,

almeno: V. BUONOCORE, Contratti del consumatore e contratti di impresa, in Riv. dir.

civ., 1995, I, pagg. 1 segg.; N. SALANITRO, La direttiva comunitaria sulle “clausole

abusive” e la disciplina dei contratti bancari, in Banca, borsa, tit. cred., 1993, I, pagg.

545 segg.; G. CIAN, Il nuovo capo XIV bis (titolo II, libro IV) del codice civile sulla

disciplina dei contratti dei consumatori, in Studium iuris, 1996, pagg. 411 segg.; A.A.

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Acquistano così rilievo e prospettive quelle moderne e pienamente

condivisibili tendenze24 che, sulla scorta di importanti orientamenti

consolidatisi oltralpe25, riconnettono alla banca una precisa responsabilità

DOLMETTA, Dal testo unico in materia bancaria e creditizia alla normativa sulle clausole

abusive, in Dir. banc., 1995, I, pagg. 445 segg.; G. LENER, La nuova disciplina delle

clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, in Foro it., 1995, V, col. 145; U.

MORELLO, Clausole vessatorie, clausole abusive: le linee di fondo di una nuova

disciplina, in Notariato, 1996, pagg. 285 segg.; V. ZENO ZENCOVICH, Il diritto europeo

dei contratti (verso la distinzione fra “contratti commerciali” e “contratti dei

consumatori”), in Giur. it., 1993, IV, col. 57 segg.; S. TONDO, Evoluzione nella disciplina

giuridica dei contratti per adesione, in Riv. notar., 1995, pagg. 1 segg.; A. TULLIO, Il

contratto per adesione. Tra il diritto comune dei contratti e la novella sui contratti dei

consumatori, Milano, 1997; R. PARDOLESI, Clausole abusive, pardon vessatorie: verso

l’attuazione di una direttiva abusata, in Riv. crit. dir. priv., 1995, pagg. 523 segg.; G.

ROMAGNOLI, Clausole vessatorie e contratti di impresa, Padova, 1997; P. SIRENA, La

nuova disciplina delle clausole vessatorie, cit.; AA.VV., Clausole “vessatorie” e

“abusive”. Gli artt. 1469 bis ss. c.c. e i contratti col consumatore, a cura di U. Ruffolo,

Milano, 1997; AA.VV., Le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.

L’attuazione della direttiva comunitaria del 5 aprile 1993, a cura di C.M. Bianca e G.

Alpa, Padova, 1996.

Sulla soluzione adottata (rectius: proposta) dall’A.B.I. (Circolare 23 febbraio 1996,

Serie legale, n. 17) in merito al problema del recesso della banca dall’apertura di credito,

cfr. infine: E. GRANATA, Contratti bancari e clausole vessatorie alla luce della legge

52/96, in Bancaria, 1996, (9), pagg. 56 segg., nonché i rilievi critici di G. DE NOVA, Il

recesso dal contratto di apertura di credito e la nuova disciplina in materia di clausole

vessatorie (legge n. 52/96), Relazione presentata al Convegno ITA di Milano del 19 e 20

giugno 1996, pagg. 9 segg. (dal dattiloscritto); e vedi anche G. ALPA, La riformulazione

delle condizioni generali dei contratti delle banche, in I contratti, 1996, pagg. 5 segg.. 24 In particolare: G.B. PORTALE, Tra responsabilità della banca e

“ricommercializzazione” del diritto commerciale, cit., pagg. 263 segg.; e v. pure A.A.

DOLMETTA e G.B. PORTALE, Recenti sviluppi del diritto bancario italiano, in Vita not.,

1991, pagg. 413 segg.; nonché F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, II, 2, cit., pagg.

135 seg.; ID., Civile e penale nella responsabilità del banchiere, cit., pagg. 18 seg.; G.

SANTORO, L’abuso del diritto di recesso, cit., pagg. 772 segg.; G. FERRI, Intervento, cit.,

pag. 250; G. TERRANOVA, La responsabilità della banca nei confronti dei creditori

dell’impresa finanziata, cit., pag. 224.

In giurisprudenza, oltre alla notissima Trib. Roma, 28 febbraio 1983, Santoro c.

I.C.C.R.I. e Fallimento fratelli Caltagirone, in Foro it., 1984, I, col. 1986, spunti

significativi, seppur spesso solo in motivazione, anche nelle decisioni seguenti: Cass. 9

gennaio 1987, n. 1381, cit.; Pret. Torino, 2 gennaio 1989, cit.; Trib. Milano, 14 gennaio

1988, cit.; Trib. Massa, 14 giugno 1988, Trapassi c. Banca Nazionale del Lavoro, in Arch.

civ. 1988, pag. 1075; Trib. Milano, 18 gennaio 1988, cit.; nonché, di recente, Cass. 21

maggio 1997, n. 4538, Ipam c. Credito Romagnolo, in Foro it., Mass. 1997, col. 426.

25 Cfr. spec. M. VASSEUR, La responsabilité contractuelle et extracontractuelle de

la banque en France, in AA.VV., Funzione bancaria, rischio e responsabilità della banca,

cit., pagg. 66 segg.; nonché Cass. comm. 18 maggio 1993, in Les Petites Affiches, 13

dicembre 1993, pag. 16, la quale – pur essendo chiamata a statuire in merito ad una

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nel caso – tutt’altro che infrequente26 – di immotivata ed immediata

(solitamente detta anche “brusca” o “brutale”) revoca del credito; con poi

ogni ulteriore conseguenza sul piano risarcitorio, soprattutto nell’ipotesi di

procurato dissesto dell’impresa finanziata27, anche allora nei confronti dei

creditori della stessa28 29.

concreta fattispecie precedente all’entrata in vigore della Legge bancaria del 1984 –

scende a valutare con estremo rigore il comportamento della banca recedente, in perfetta

sintonia con l’art. 60 Legge bancaria, cit..

26 L’atteggiamento delle banche che conduce molto di frequente alla revoca

immediata del fido attuato attraverso un’apertura di credito, trova del resto una

significativa, seppur indiretta conferma nella circostanza per cui, almeno prima della

riforma della disciplina dei bilanci bancari, nelle situazioni patrimoniali delle banche può

dirsi esser stata costantemente omessa l’evidenziazione, “sotto la linea”, nei conti

“impegni e rischi”, del c.d. margine disponibile (difatti, da un’indagine da noi effettuata –

fonte: Annuario 1988 dell’Associazione Nazionale delle aziende ordinarie di credito,

Milano, 1988 –, su 106 bilanci bancari esaminanti soltanto 19 evidenziavano, sotto la

linea, nei conti “impegni e rischi”, voci riconducibili ad operazioni attive per le quali

assumeva valore il rischio di utilizzo del fido “a revoca”).

In effetti, se il margine disponibile, non rappresentando un dato contabile di

credito verso la clientela, non potrebbe certo trovare collocazione nelle poste dell’attivo, lo

stesso avrebbe dovuto pur sempre risultare evidenziato in uno specifico “conto impegni”,

e ciò nell’ottica della dovuta trasparenza dei diversi livelli di rischiosità; nonostante

l’obiezione – per l’appunto tipicamente bancaria – che di veri e propri “impegni” non si

tratterebbe, posta la revocabilità immediata di tutti i fidi interessati al problema del

margine in questione. E cfr. le puntuali, conformi, osservazioni di G.E. COLOMBO, in

AA.VV. Gli impegni e i rischi nell’impresa bancaria: profili contabili e giuridici, a cura di

S. De Angeli, Milano, 1987, pagg. 70 segg., spec. pagg. 87 segg..

Il problema, oggi, appare comunque risolto. Difatti, secondo lo Schema della c.d.

“nota integrativa” (la quale, si ricorda, è parte costitutiva del bilancio bancario ai sensi

dell’art. 2, II comma, decr. lgs. 27 gennaio 1992, n. 87), approvato con Provvedimento del

Governatore della Banca d’Italia del 15 luglio 1992 (in A.B.I., Circolare 24 luglio 1992,

Serie tecnica, n. 134, pag. 130), nella nota stessa dovranno in ogni caso trovare

collocazione i “margini attivi utilizzabili su linee di credito” (cfr. Nota integrativa, Parte B

- Informazioni sullo stato patrimoniale, Sez. 10, voce 10.4 dello Schema). Sulla “nota

integrativa”: F. SUPERTI FURGA, La nota integrativa nel bilancio bancario italiano

secondo la normativa europea, in Banche e banchieri, 1993, pagg. 343; ID., Gli schemi

obbligatori: la nota integrativa, in AA.VV., Il bilancio degli enti creditizi, cit., pagg. 187

segg..

Sui margini disponibili, v. T. BIANCHI, Prestiti bancari e margini disponibili di

linee di credito, in Diritto dell’economia, 1992, pagg. 31 segg..

27 E vedi qui, in particolare, l’articolata motivazione di Trib. Roma, 28 febbraio

1983, cit..

28 E cfr. G. TERRANOVA, La responsabilità della banca nei confronti dei creditori

dell’impresa finanziata, cit., pagg. 222 segg..

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29 E per ulteriori profili, relativi alle conseguenze della revoca brutale sul piano

del ricorso al credito usuraio, v. T. GRASSO e (G. SAVATTERI), Ladri di vita, Milano,

1996, pagg. 150 segg.; A. CAPERNA e L. LOTTI, Il fenomeno dell’usura, cit., pagg. 79

segg.; G. MERUZZI, Usura, in Contratto e impresa, 1996, pag. 791, nota 64.